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CAPITOLO PRIMO

I Musei tra luoghi comuni e realtà

Nel 1946 con la nascita dell’International Council of Museums (ICOM), l'organismo associato alle

Nazioni Unite che si occupa dei musei, ha emanato una definizione dei musei: "tutte le collezioni

aperte al pubblico di materiale artistico, tecnico, scientifico, storico o archeologico, inclusi zoo e

giardini botanici, ma escludendo le biblioteche, a meno che non mantengano sale di esposizioni

permanenti".

Negli anni successivi, l'Icom ha adottato altre sette diverse definizioni; un cambiamento decisivo si

ebbe nel 1951 con l'introduzione del concetto di "interesse pubblico" e si indica cosa il museo deve

fare con le sue collezioni:

preservarle, studiarle, migliorarle in vari modi ed esporle al pubblico per il suo diletto e la sua

istruzione. Tutto ciò diviene importante perchè, per la prima volta, si indica la finalità del museo.

Altro cambiamento si ha nel 1961 in cui si definisce che "il museo è un'istituzione permanente che

conserva ed espone, a scopo di studio, istruzione e diletto, collezioni di reperti di interesse culturale e

scientifico";

quest'ultima definizione è rivolta anche ai concetti di "paesaggio" e "ambiente naturale".

Grazie ad Andrè Malraux, ministro della Cultura del governo de Gaulle, nel 1959 si introduce il

concetto del termine "patrimonio culturale" in ambito amministrativo con la firma del decreto; ciò

evidenzia che non si poteva guardare alla cultura come un insieme di singole eccezionalità perchè ogni

elemento ha significato in un contesto culturale, sociale e ambientale che ne è parte integrante.

In una storica riunione dell'Icom nel 1971 a Santiago del Cile si dichiarava, esplicitamente, che il museo

deve essere a servizio della società e del suo sviluppo. Questa nuova concezione diede il via alla

nascita di piccoli musei locali e la loro diffusione porta a parlare di una "Nuova museologia" come

aspirazione a "un museo aperto all'esterno, trasportato fuori dalle mura di un edificio, fatto dalla

collettività e per la collettività".

Nel 1995, la sesta definizione, vede l'aggiunta di due categorie all'interno delle istituzioni che possono

chiamarsi museo:

amministrazioni pubbliche responsabili di musei e istituzioni impegnate nella formazione e nella

ricerca museale.

Nel 2004 l'Icom introduce un'ulteriore novità con il concetto di "patrimonio immateriale" e definisce il

museo come:

"un'istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al
pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell'uomo e del suo

ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio,

istruzione e diletto".

-Il museo deve essere un'istituzione permanente perchè i compiti che intende svolgere richiedono

una struttura stabile, personale esperto;

- La necessità di non avere scopo di lucro si rafforza ancor di più con l'emergere di finalità sociali

esplicite, che sarebbero incompatibili con un interesse di mercato;

- I musei non dovrebbero essere dei contenitori di oggetti, ma dei luoghi di incontro e di crescita

culturale per la popolazione; gli oggetti della cultura sono considerati tali perchè sono in grado di
raccontare la storia delle società

umane. La ricerca sulle testimonianze materiali e immateriali è un atto essenziale del museo che,

attribuisce, una valenza emblematica e la capacità di rappresentare dei significati agli oggetti ;

La parola "ambiente" va concepita, non solo in ambito naturalistico, ma anche come un aspetto fatto

di rapporti sociali ed economici, di legami tra persone;

Sono i compiti fondamentali di un museo. Senza reperti, cioè senza conservazione, non si parlerebbe

neppure di museo e mancherebbe un elemento chiave per la comunicazione con il pubblico oltre che

per la ricerca. Quest'ultima permette di usare le collezioni per articolare discorsi culturali ripetuti nel

tempo e tiene conto del passato. Il museo è una macchina culturale in cui queste tre funzioni si

integrano e lavorano insieme;

L'esposizione di un museo è il suo modo di parlare alla società. L'esposizione delle collezioni

permanenti o temporanee soddisfa le necessità di studio e di formazione di studenti e ricercatori, ma

serve anche per il diletto. Il fatto che un museo debba fare ricerche implica la presenza di un personale

specializzato che opera sulla base di metodologie e deontologie professionali condivise.

CAPITOLO SECONDO

Dall'arca di Noè ai musei di domani

La parola "museo" deriva da museion, luogo sacro alle Muse. Museion era l'edificio voluto da Tolomeo

I Sotere nel III secolo a.C. ad Alessandria d'Egitto.

Renzo Piano identifica l'archetipo del museo nell'arca di Noè come "ciò che va salvato dall'oblio e

tramandato al futuro".

Già nel Mesolitico e nel Neolitico ritroviamo forme archetipiche di museo:

tombe e templi.

Le prime, in quanto, arricchite da oggetti e suppellettili capaci di rendere il defunto degno di memoria;
i secondi, non sono solo luoghi sacri ma anche scrigni in cui contenere i tesori materiali e culturali

della comunità.

Tombe, templi, palazzi reali appaiono come musei ante litteram per il fatto di essere stati depositi della

memoria collettiva;

i musei ante litteram possono essere anche le piramidi dell'antico Egitto:

un museo svolge il ruolo di custode della memoria, di luogo in cui una comunità si identifica attraverso

la creazione, la conservazione e la coscienza del proprio patrimonio culturale. In questo senso, il

museo è fondamentale sia per la comunità che per i singoli individui.

Il Museion di Alessandria d'Egitto

Le Muse erano le figure mitologiche alla quale il Museion era dedicato, fatto costruire da Tolomeo I

Sotere che incaricò Demetrio di Falera. Fondato intorno al 300 a.C., comprendeva una biblioteca, un

osservatorio astronomico e un giardino botanico. Il Museion era un luogo di studio, ricerca,

conservazione e rielaborazione del patrimonio. Sarebbe riduttivo, però, ricordare questo luogo solo

per le Muse o per la sua biblioteca... per due ragioni:

in primo luogo perchè al Museion si ispireranno i musei universitari; in secondo luogo perchè il

confronto continuo fra studiosi e l'attività di ricerca e sperimentazione rimangono un modello di


riferimento anche per i musei contemporanei.

Esso fu distrutto da un incendio nel 270 a.C. e il culto delle Muse sarà abbandonato ma ritornerà nel

periodo rinascimentale.

Cristianesimo e Medioevo

L'età romana segnò una battuta di arresto e il termine latino museum fu usato per indicare grotte e

anfratti realizzati nei giardini delle ville private abbellite con mosaici murali e conchiglie. Dalle prime

rivolte cristiane fino all'avvento di Teodosio, l'iconoclastia si abbattè sui simboli pagani dell'arte e della

cultura greca. Con il declino dell'Impero d'Occidente la fruizione delle opere d'arte risultò

impraticabile, ma non solo. Anche con l'avvento dei barbari e dei saccheggi, l'imperatore Avito dovette

far fondere le statue per ricavarci il metallo da vendere.

Nel Medioevo i protagonisti della conservazione diventano chiese, cattedrali e monasteri. Nelle chiese,

oltre a reliquie e oggetti sacri, vi sono "oggetti delle meraviglie" costituiti da reperti inconsueti.

Il Museo Capitolino

Sul finire del XV secolo la corte papale decide di riprendere il legame alle Muse e di permettere che la

parola "museo" acquista maggiore importanza. Nel 1471, papa Sisto IV dona antiche statue pagane in

bronzo ed è il gesto che porta alla fondazione del primo nucleo del Museo Capitolino, considerato il
primo museo moderno della storia. Le motivazioni della sua nascita inducono a sospettare che le

ragioni politiche abbiano prevalso rispetto a quelle culturali, soprattutto, per l'affermazione del papato

come unico ere politico-culturale dell'impero.

Paolo Giovio e il suo museo a Como

La parola “museo” viene usata in senso moderno da Paolo Giovio nato a Como nel 1483, fu per molti

anni a seguito di Giulio de’ Medici che divenne papa Clemente VII e lo nominò vescovo di Nocera dei

Pagani. Frequentò il Vasari e strinse amicizia con figure importanti come Francesco I, Cosimo de’

Medici, Carlo V; proprio queste amicizie influenzarono Paolo III Farnese che provò dei risentimenti

verso Giovio. Egli ebbe, però, un periodo positivo con papa Paolo III e proprio in questo periodo Giovio

diede vita al Museo di Borgo Vico, presso Como:

usò per la prima volta la parola “museo” indicando un progetto iconografico ben definito e un edificio

che potesse accogliere le collezioni a servizio delle persone come luogo di conoscenza.

L’edificio fu ispirato alle ville classiche e fu eretto tra il 1537 e il 1543; la prima sala era dedicata alla

raffigurazione di Apollo e delle Muse mentre le altre ospitavano la collezione che comprendeva un

numero elevato di ritratti di papi, imperatori ecc.

Giovio voleva fare del suo museo un luogo di conoscenza e, per questo motivo, accanto ad ogni

ritratto egli collocò i suoi scritti che chiamò “Elogia”:

restituivano la storia, la personalità di ogni personaggio rappresentato.

L’umanista morì nel 1552, trent’anni dopo la sua collezione venne divisa tra gli eredi e la villa fu

distrutta.

Studioli e camere speciali: la cultura della segretezza e della meraviglia

Giovio propone un nuovo modello, dove la collezione è inserita in un percorso espositivo

minuziosamente pensato per offrire al pubblico sia emozioni che conoscenza. Questo progetto non si

impose Urbino come unico modo per presentare e conservare le collezioni.

A partire dal XIV secolo presso le corti iniziò a diffondersi la raccolta di oggetti rari e preziosi che

venivano custoditi negli studioli, luoghi adibiti alla conoscenza ma anche alla conservazione degli

oggetti speciali. Tra gli studioli più celebri vi sono quelli di Federico da Montefeltro nel Palazzo Ducale

di Urbino, Francesco I de’ Medici in Palazzo Vecchio a Firenze e Isabella D’Este nel Palazzo Ducale di

Mantova. Erano ambienti privati di piccole dimensioni, spesso segreti ed erano ornati da decorazioni di

grande pregio; garantivano tranquillità ed erano ideali per dedicarsi allo studio, ad affari privati e incontri

riservati con personalità importanti.

Per lo studiolo di Federico da Montefeltro fu scelto, nel 1476, di ricoprire le pareti di rivestimento lignei
con complessi intarsi realizzati con la tecnica del trompe-l’oeil con effetto di illusione prospettica. Tra gli

oggetti raffigurati si evidenziavano armi e armature per indicare l’importanza di Federico come

condottiero; al di sopra delle tarsie e sotto il soffitto a cassettoni i ritratti di papi, cardinali, poeti,

filosofi. Federico da Montefeltro possedeva un secondo studiolo a Gubbio che poi è stato acquisito dal

Metropolitan Museum di New York.

Lo studiolo del granduca di Toscana Francesco I de’ Medici fu decorato con stucchi e pitture da oltre

trenta artisti seguendo le indicazioni di Vincenzo Borghini e realizzato in stile manieristico con la

supervisione di Vasari. Sulla volta vennero raffigurati i quattro elementi costitutivi dell’universo

secondo le filosofie antiche; mentre sulle pareti vi erano molti dipinti tra cui i ritratti di Cosimo ed

Eleonora de’ Medici, le sculture bronzee erano poste in apposite nicchie. Nello studiolo non erano

Presenti né oggetti devozionali né i testi antichi base per la cultura rinascimentale; il suo scopo, oltre

come luogo di conoscenza, era di conservare gli oggetti rari e preziosi dal punto di vista economico e

artistico. Dopo la morte di Francesco I, lo studiolo fu distrutto e i dipinti spostati a Palazzo Pitti e la sua

ricostruzione fu possibile solo grazie alle descrizioni di Vasari e Borghini. La collezione di Francesco I

costituirono la base per la fondazione della Galleria degli Uffizi inaugurato nel 1581 e dal 1591 aperto

ai visitatori che facessero richiesta al granduca Ferdinando I.

Dopo il matrimonio con Francesco II Gonzaga, Isabella D’Este decise di creare, nella torre del Castello

di San Giorgio, un suo studiolo e una “grotta” caratterizzato da una volta a botte collegato da una

scala. Le opere d’arte custodite erano, principalmente, dipinti da lei commissionati ad importanti

pittori; mentre gli oggetti antichi erano custoditi nella grotta. Dopo la morte del marito, sia grotta che

studiolo furono trasferiti nella Corte Vecchia; gran parte della collezione dei Gonzaga fu venduta a

Carlo I d’Inghilterra mentre un’altra parte fu distrutta nell’incendio del 1698.

Gli studioli erano completamente diversi dal museo descritto da Giovio:

i primi erano strettamente personali; i secondi erano utilizzati da un largo pubblico e per la

trasmissione della memoria.

Schtazkammer e Wunderkammer

Dalla seconda metà del Cinquecento gli studioli assumono una maggiore rilevanza e si diffondono le

Schatzkammer o camere del tesoro, ricche di pietre preziose e metalli pregiati. Quella più importante

è la Schatzkammer del complesso viennese della Hotturg.

I veri luoghi della curiosità e dello stupore sono però le Wunderkammer o camere delle meraviglie:

lo scopo principale era quello di creare stupore e meraviglia nei visitatori-ospiti. Le mirabilia, cioè gli

elementi che stimolavano sentimenti e desideri grazie alla loro straordinarietà, potevano essere:
naturalia nonché i prodotti della natura e artificialia i prodotti creati dall’uomo.

L’interesse per le raccolte naturali ha influenzato la realizzazione del primo museo di storia naturale da

parte di Ulisse Aldrovandi. Il clima di diffidenza nei confronti degli umanisti, nel periodo di

Controriforma, costò ad Aldrovandi l’accusa di eretico: egli fu prosciolto ma poi si dedicò alla raccolta

e catalogazione di pesci, proprio per poter essere apprezzato dall’ambito ecclesiastico.

Questo progetto gli diede la possibilità di creare il suo museo naturalistico; l’intento principale era

quello di raccolta ed esposizione di tutti i possibili esemplari del regno vegetale, animale e minerale.

Aldrovandi nel 1568 convinse il Senato bolognese a creare l’Orto Pubblico che diresse per

quarant’anni in un cortile del Palazzo Pubblico. Dopo la sua morte, per sua volontà, tutte le sue

collezioni furono destinate al Senato di Bologna per far sì che le sue fatiche diventassero importanti ed

utili per la città. Nel 1907, nel terzo centenario dalla sua morte, una parte della collezione fu riunita

nella biblioteca universitaria di Bologna. Egli scrisse anche una storia illustrata degli animali e nel 1603
coniò il termine “geologia”.

La differenza tra questo tipo di museo e le Wunderkammer non è netto, probabilmente, quest’ultime

puntano sulla meraviglia e le rende meno vicine al museo naturalistico.

Tra le Wunderkammer più spettacolari si nota quella dell ’arciduca d’Austria Ferdinando nel Castello di

Ambras in Tirolo. Si traferì ad Ambras in un castello gotico che fece trasformare in stile rinascimentale

e si dedicò alla raccolta della sua collezione e alla costruzione della sua camera delle meraviglie. Parti

del palazzo furono dedicate a ritratti e a diversi oggetti; si presentava anche una collezione di naturalia

e artificialia contenute in diciotto teche alte fino al soffitto.

Altre Wunderkammer importanti furono quelle di Alberto V di Baviera a Monaco e dell’imperatore

Rodolfo II d’Asburgo nel Castello di Praga.

Alberto V aveva degli emissari che erano incaricati di acquistare tutti gli oggetti più strani proprio per

realizzare la sua camera che era dedicata ai tre regni della natura. La catalogazione fu affidata a

Samuel Von Quiccheberg, venne stampato nel 1565 con il titolo di Museaum Theatrum che fu

considerato il primo catalogo a stampa di un museo; le raccolte furono divise in cinque categorie:

oggetti religiosi, sculture e opere plastiche, storia naturale, strumenti musicali e scientifici e opere

d’arte.

Rodolfo II d’Asburgo formò la sua Wunderkammer con oggetti provenienti da varie parti del mondo: i

Dipinti di Arcimboldo, denti di tigre. L’imperatore era ossessionato da tutto ciò che era occulto.

Una delle più importanti camere delle meraviglie italiane fu quella creata da Manfredo Settala con

circa tremila mirabilia. Tra gli oggetti più stupefacenti vi era un diavolo meccanico; la catalogazione fu
di del fisico Paolo Maria Terzaghi con il titolo Museum Septalianum.

Le Wunderkammer erano, spesso, luoghi in cui si osservazione e studio della diversità.

Dall’Illuminismo a fine Ottocento

Agli inizi del XVII secolo la società era pronta ad accogliere gli stimoli indotti da Francesco Bacone che

contrappose una logica di carattere sperimentale e induttivo: un nuovo metodo per far sì che l’uomo

domini sulla natura. La nuova idea conquistò gli studiosi e fu la base per la creazione della “Royal

Society” (1660), accademia inglese delle scienze, durante gli incontri il “collegio invisibile” discutevano

della nuova filosofia volta a promuovere la conoscenza mediante l’osservazione diretta e la

sperimentazione. Grazie alla nuova filosofia baconiana nacque nel 1683 l’Ashmolean Museum di

Oxford, il più antico museo universitario del mondo. Elias Ashmolean ricevette in dono la collezione di

John Tradescant, con l’impegno di realizzare un edificio che potesse contenerla.

L’interesse degli accademici, nella logica baconiana, non era più mirato sull’aspetto della meraviglia

destinata a pochi ma si sposta sullo studio e sulla sperimentazione. Fu istituito un corso di storia

naturale sperimentale e le collezioni dell’Ashmolean furono aperte al pubblico sia agli studiosi che a

gente comune con il pagamento di un biglietto. Oltre che primo museo universitario, divenne anche il

primo museo “popolare” del mondo.

La filosofia di Bacone e degli altri empiristi inglesi definì le basi sulle quali si creò l'Illuminismo,

soprattutto, in Francia dove si coniugò l'uso della ragione e della sperimentazione e la fiducia nel

progresso. Nel Settecento l'apertura al pubblico delle collezioni si diffuse in diversi paesi europei e

anche lo zar Pietro il Grande condivise questa svolta. Lo zar conobbe Leibniz ed ebbe con lui un

rapporto epistolare, lo scienziato affermava che le camere delle meraviglie non servivano solo per

appagare la curiosità ma anche per perfezionare le arti e le scienze. Dopo il trasferimento della

capitale dell'impero russo da Mosca a San Pietroburgo, lo zar decise di creare la Kunstkamera ovvero il

primo museo della Russia in cui le collezione avrebbero consentito al popolo di osservare e istruirsi.

La prima mostra avvenne nel 1719 all'interno della casa confiscata al boiardo Kikin; le collezioni furono

trasferite nel grande palazzo costruito lungo la Neva per volontà di Piero il Grande e completato nel

1727. Nel 1713 Maria Luisa, ultima della dinastia dei Medici, fu dichiarata erede del Granducato:

questa successione non avvenne poichè a seguito del Trattato di Vienna, la corona passò a Francesco

Stefano di Lorena.

Dopo due anni dalla morte del fratello di Maria Luisa, quest'ultima promulgò una convenzione con la

quale cedeva al nuovo granduca le collezioni medicee a condizione che non fossero trasportate fuori

da Firenze e, soprattutto, dovevano essere fruibili al pubblico. Inoltre, nel 1769 gli Uffizi furono aperti
al pubblico per volontà del granduca Pietro Leopoldo.

Il British Museum

Il British Museum nasce a Londra nella metà del Settecento, il promotore fu Sir Hans Sloane medico e

naturalista britannico succeduto nel 1727 a Newton nella presidenza della Royal Society. Sloane

propose a re Giorgio II di donare la sua collezione e nel 1753 fu accettata e una legge (Act of

Parliament) decretò la nascita del museo. Nel 1759 il British fu aperto con ingresso gratuito per

studenti, persone interessate. La figura dello scienziato si delineava come vera e propria professione e

l'educazione pubblica diventava una priorità del museo. Sede iniziale del museo fu il palazzo signorile,

Montagu House, poi nel 1847 fu terminato l'edificio che oggi ospita il museo.

La specializzazione e l’ordine razionale delle collezioni secondo lo spirito illuminista

La nuova ideologia abbandona definitivamente la meraviglia e inizia ad influenzare l’approccio dei

musei verso le collezioni:

si compie la separazione tra arte e scienza; da un lato inizia ad assumere grande importanza la figura

dello scienziato, mentre dall’altro inizia a diffondersi la figura del critico d’arte che doveva

commentare ed educare il visitatore.

Si diffuse la presentazione ordinata delle raccolte che fu adottata nella creazione dei Musei Vaticani,

fortemente voluta dai papi Clemente XIV e Pio VI e con la creazione di sale aperte al pubblico.

La ricerca di un ordine razionale e la pubblica fruizione a scopo pedagogico e sociale del museo fu

appoggiato dallo spirito illuminista e dalla Rivoluzione francese del 1789.

Con l’assolutismo di Luigi XIV le collezioni reali furono collocate nella reggia del Louvre, messe a

disposizione per un pubblico selezionato. Nel 1750 il suo successore, Luigi XV concesse l’apertura al

pubblico dalle nove a mezzogiorno del mercoledì e del sabato delle collezioni ospitate nel Palais du

Luxembourg. Nel Musée du Luxembourg, primo museo aperto ad un gruppo di aristocratici e di

borghesi, si ammiravano dipinti di Rubens dedicati a Maria de’ Medici e un centinaio di dipinti di altri

grandi artisti. Gli intellettuali illuministi optarono per la creazione di una pinacoteca permanente

indicando il Louvre come struttura.

La rivoluzione francese e i musei

Con la Rivoluzione francese il museo assunse l’identità di una nuova istituzione con una precisa

funzione sociale. L’Assemblea Nazionale Costituente, nel 1791, dispose l’utilizzo del Louvre per riunire

tutti i monumenti delle scienze e delle arti; il museo aprì nel 1793 con il nome di Muséum central des

arts, ospitato nella Grande Galerie e nel Salon Carré, divenendo il primo museo popolare della storia.

Alexandre Lenoir si fece promotore del Musée des Monuments français aperto al pubblico nel 1795;
inoltre, l’Assemblea istituì, nell’ultimo decennio del Settecento, altri due musei “specializzati”:

il Musée du Conservatoire national des arts et métiers, incentrato sulla tecnica, e il Muséum national

d’Histoire naturelle, incentrato sulle scienze naturali. L’istituzione di questi quattro museo puntava ad

esigenze ben precise:

educare il popolo ai valori di una Francia capace di diventare egemone come lo furono Atene e Roma;

ricostruire il prestigioso passato della nazione;

favorire lo sviluppo del pensiero scientifico.

Napoleone, le grandi collezioni come bottino di guerra e gli show pubblici

Napoleone Bonaparte fu saccheggiatore di opere d’arte ed oggetti preziosi, prova sono le quantità di

opere portate a Parigi:

capolavori di artisti del Rinascimento italiano, antiche sculture, modelli neoclassici.

Le numerose spoliazione operate dal futuro imperatore fecero in modo da creare, all’interno del

Louvre, il Musée Napoléon (nuova denominazione del Muséum central des arts). La direzione fu

affidata a Vivant Denon, alla finalità educativa si affiancò la volontà di celebrare la potenza, il prestigio

e il successo. Egli applicò un metodo espositivo basato sull’ordine cronologico, educativo e di

classificazione tanto da aiutare il visitatore ad acquisire in modo rapido conoscenze e informazioni.

Durante la Restaurazione e già dalla disfatta di Napoleone a Waterloo, la coalizione antifrancese

formata da inglesi, prussiani e altri alleati, riportarono in patria diverse opere d’arte trafugate.

L’età d’oro dei musei

Nel corso dell’Ottocento in Europa vengono istituiti diversi musei basati sul modello del Louvre:

1819 - re Ferdinando VII dispose l’apertura al pubblico del Museo del Prado, a Madrid;

1824 - National Gallery di Londra;

1830 - l’Altes Museum a Berlino, nell’edificio neoclassico progettato da Karl Friedrich Schinkel;

1830 - re Ludovico I di Baviera volle, a Monaco di Baviera, la Glyptothek ospitato in un edificio di stile

ionico;

1836 - sempre voluto da re Ludovico I di Baviera nacque la Alte Pinakothek;

1852 - per volontà di Nicola I di Russia furono aperte al pubblico le collezioni dell’Ermitage di San

Pietroburgo.

Nella prima metà del XIX secolo, inizia a diffondersi un certo interesse per l’arte egizia tanto che i

reperti e cimeli affluirono nei musei europei, a seguito di scavi che coinvolsero numerosi studenti e

mercanti. Il collezionista Bernardino Drovetti raccolse una quantità immensa di tesori che poi vendette

al Louvre, al Museo di Berlino e al re Carlo Felice di Savoia grazie al quale nacque il Museo egizio di
Torino nel 1824.

La seconda metà dell’Ottocento e i musei al servizio della produzione

Nella seconda metà dell’Ottocento vedremo la nascita di altri musei che, principalmente, vengono

favoriti dalla filosofia storicista e dall’affermazione del positivismo.

L’Inghilterra, grazie alla Rivoluzione Industriale, era divenuta una delle più importanti potenze

economiche e nel 1851 a Londra si inaugurò la prima Esposizione universale della storia. Quest’ultima

venne collocata all’interno del Crystal Palace, costruzione in stile vittoriano, a cui aderirono 28 paesi;

Sir Henry Cole, promotore dell’iniziativa, fu incaricato di acquistare una parte degli oggetti esposti per

realizzare il museo che aprì nel 1852 nella Marlborough House che poi si traferì al South Kensington

Museum.

L’obiettivo era di mettere l’arte al servizio dell’industria ponendo anche le basi per la nascita di una

nuova professione: il designer. Per far sì che anche i lavoratori potessero visitare il museo, venne

introdotta l’apertura serale. Nei tre decenni successivi, su modello di quello inglese, nacquero musei di

arte decorativa e di arte applicata all’industria; uno dei punti più importanti, negli anni successivi, sarà

la stretta collaborazione tra arte e industria per migliorare la qualità tecnica, estetica dei manufatti.

Questo tipo di rapporto avrà diversi nomi rispetto ai luoghi in cui si diffonde:

Liberty, Art Nouveau, Modern Style, Floreale, Arte Joven ecc.

Nel 1902 a Torino sarà organizzata la prima Esposizione internazionale di arte decorativa e moderna.

I primi musei americani e la curiosa storia dello Smithsonian

La novità della seconda metà dell’Ottocento fu la nascita dei primi musei americani con un legame forte
con collezionisti, industriali, uomini di finanza: i cosidetti stakeholders.

Il primo museo fu lo Smithsonian Institution caratterizzato da 19 musei e gallerie, 9 centri di ricerca,

uno zoo, biblioteche, una casa editrice e 150 affiliazioni che comprendono musei, science centers,

acquari e università statunitensi.

Nel 1829, lo scienziato britannico James Smithson morì disponendo per testamento che erede dei suoi

beni fosse il nipote e, se quest’ultimo, non avesse avuto figli gli eredi sarebbero stati gli Stati Uniti

d’America e avrebbero dovuto creare lo Smithsonian Institution per diffondere la cultura. Nel 1825 il

nipote morì privo di eredi e nel 1846 fu creato l’istituto, l’edificio fu realizzato da James Renwick Jr. Nel

1870 fu fondato a New York il Metropolitan Museum of Art da un gruppo di cittadini americani con la

finalità di educare gli americani all’arte. Nel 1876 fu fondato il Philadelphia Museom of Art e aprì al

pubblico il Museum of Fine Arts di Boston.

Dal Novecento ad oggi


In Francia fin dal XVII secolo ruolo importante era del Salon, presso il Louvre, grande esposizione

periodica di artisti contemporanei col favore del sovrano. Il Salon contribuì a rendere popolare l’arte e

ad educare i cittadini, ma allo stesso tempo, diffuse regole rigide sia per lo stile pittorico che per i

soggetti. Nell’edizione del 1863 del Salon furono esclusi molti artisti, di conseguenza, ci furono

proteste e Napoleone III dispose che le opere escluse fossero esposte al Salon des Refusées. Nel 1874

gli impressionisti francesi organizzarono un’esposizione privata, contro il Salon, e nel 1884 fu fondato il

Salon des Indépendants un’esposizione annuale voluta da Seurat e altri artisti e aperta alle

sperimentazioni. Agli inizi del XX secolo, le avanguardie storiche, rifiutarono la tradizione e i suoi

luoghi celebrativi rivendicando un radicale rinnovamento dei mezzi espressivi attraverso lo

sperimentalismo.

Duchamp e l’attenzione dei musei per l’arte moderna

Nel 1917 il dadaista Marcel Duchamp espose in incognito negli USA il suo celebre ready-made

Fontana, un orinatoio da uomo, che segnerà l’apertura all’arte concettuale. Quel periodo fu maturo,

soprattutto, per la nascita di un museo disposto ad accogliere anche opere di ideologia innovativa.

Questa opportunità venne colta da Pierre-André Farcy nominato a capo del Museo di Grenoble nel

1919; egli iniziò una politica di acquisizioni di opere di Matisse, Picasso e altri artisti contemporanei

così divenne uno dei più grandi musei di arte contemporanea.

A Parigi verrà inaugurato nel 1947 un museo dedicato all’arte degli artisti viventi; mentre l’8

Novembre 1929, dopo pochi giorni dal crollo di Wall Street, aprì a New York il Museum of Modern Art

fondato da tre donne e collezioniste insieme a quattro membri del consiglio di amministrazione:

Lillie Plummer Bliss, Abby Aldrich Rockefeller e Mary Quinn Sullivan.

Nel 1937 il magnate americano Solomon R. Guggenheim costituì la fondazione che portava il suo

nome e due anni dopo, quest’ultima, aprì il Museum of Non-Objective Painting che ospitava opere

d’arte astratta di artisti contemporanei della collezione del magnate. Il 21 Ottobre 1959 il museo aprì

al pubblico con il nome di Solomon R. Guggenheim Museum nella nuova sede progettata

dall’architetto Frank Lloyd Wright.

I musei e i regimi totalitari del XX secolo

Nella prima metà del Novecento l’Europa fu caratterizzata da un cambiamento che interessò la

politica, l’economia, la società e fu investita da due guerre mondiali. Tutto ciò influenzò,

profondamente, anche i musei. Quest’ultimo fu al servizio del potere per i regimi totalitari,

soprattutto, in Unione Sovietica e nella Germania nazista.

In Russia un cambiamento si ebbe con la Rivoluzione del 1917 quando tutti i musei divennero
proprietà dello Stato a cui, poi, si affiancò la nascita di nuovi musei, il cambiamento dell’assetto e della

missione dei musei ciò avvenne subito per l’Ermitage. Il museo divenne lo strumento con la quale si
educava il popolo a una nuova visione del mondo basata

sul materialismo storico, lotta di classe e dittatura del proletariato. Furono creati anche musei

“propagandistici” come:

i musei della Rivoluzione, musei “antireligiosi” e musei agiografici dedicati alle figure rivoluzionarie

(Museo di Lenin a Mosca).

In Germania, invece, hanno dato appoggio nell’ascesa del nazismo e nacquero gli Heimatmuseum cioè

“musei delle piccole patrie locali” finalizzate a promuovere l’identità locale. Questi musei vennero

utilizzati dal nazismo come veicolo di attaccamento alla patria e di progressiva affermazione della

subcultura xenofoba e razzista. Hitler sognava di realizzare un museo d’arte d’Europa nella cittadina

austriaca di Linz, nel 1938 questo segno sembrava poter divenire realtà:

egli stesso si interessò del nuovo progetto urbanistico che della politica di acquisizioni.

Alcune opere furono acquistate dal mercato internazionale, mentre altre furono frutto di razzie che

durarono fino al 1945 a scapito degli ebrei. Il Fuhrer volle creare una sorta di task force, una

commissione speciale; il museo non venne mai realizzato e molte opere furono riconsegnate ai

legittimi proprietari o i loro eredi.

I musei nel secondo dopoguerra

Negli anni del dopoguerra nelle principali città europee, i musei non ebbero un ruolo importante né

dai politici e né dalla gente comune e la conseguenza fu una minore affluenza di visitatori.

Nell’immediato dopoguerra, iniziò ad esserci una leggera ripresa:

negli Stati Uniti era attiva, nel 1906, l’American Association of Museums finalizzata a rafforzare il ruolo

del museo e a stimolarne l’attvità con collaborazioni tra musei stessi. Nel 1946 il presidente

dell’associazione, Hamlin, creò l’International Council of Museums (ICOM) e il suo primo direttore fu

Georges-Henri Rivière che ebbe un’idea nuova della museologia dando vita al movimento della

Nouvelle Muséologie. Quest’ultima si poneva la volontà di abbattere lo scalone monumentale del

museo, di abolire la distanza tra visitatore e contenuto del museo rendendolo un’istituzione al servizio

del popolo.

Ripensare al museo

La necessità di interazione tra museo, visitatori e comunità fu secondario per alcuni museologi in

Europa. Nel 1990 Stephen E. Weil, dello Smithsonian, accolse l’emergere di un nuovo paradigma

incentrato sul coinvolgimento delle comunità e delle loro esigenza senza, però, privarsi della
meraviglia. Il punto di svolta avviene nel 1977 quando il Centre Pompidou viene aperto al pubblico.

L’evoluzione dei musei contemporanei

Grazie al progetto del Centre Pompidou realizzato da Renzo Piano, le future architetture museali

ebbero sempre più importanza. Oggi, possiamo affermare, che la realtà museale è molto ricca:

esistono musei grandi, piccoli, generalisti, specializzati, innovativi e tradizionali; questo ambito

continua ad essere in evoluzione anche grazie allo sviluppo delle economie emergenti. Quest’ultime

contribuiscono a delineare l’importanza che i musei hanno oggi e che avranno in futuro.

Il ruolo del museo può continuare ad avere prestigio e, soprattutto, essere luogo di conservazione e

trasmissione della memoria anche all’interesse da parte dei politici e degli stakeholders.

CAPITOLO TERZO

Varietà: idee e oggetti

I musei sono diversi prima di tutto per i tipi di reperti e per la dimensione.

Reperti

Nel 1876 in USA furono creati altri quattro musei che vennero classificati in due categorie:

tre di arte e uno di storia naturale. Proprio gli Stati Uniti sono il paese con il maggior numero di musei

e questa crescita si è registrata nel Novecento e riguarda quelli dedicati alle culture locali.

Le motivazioni che causano la nascita del museo sono molteplici:

nel XIX la specializzazione della ricerca è stato uno dei punti salienti, soprattutto, per i musei scientifici. Nel
Novecento, i musei raccoglievano le opere estraendole dal contesto originario e reinterpretandole

altrove; alla base di ciò vi era l’idea che queste opere avessero un valore in sé e che i musei fossero

“enciclopedie della cultura” in grado di parlare un linguaggio universale.

Musei universali e musei territoriali

Nei paesi sviluppati la disponibilità di capitali e la domanda generata da una nuova classe media

acculturata e curiosa offrono le basi per la creazione di nuove collezioni. Sempre nella seconda metà

del Novecento, in molti paesi non sviluppati, la volontà della borghesia era di rivendicare e rafforzare

la propria identità nazionale che porterà alla creazione di nuovi musei. Dalla metà del Novecento la

concezione universalistica della cultura subìsce una rivisitazione critica anche nell’ambito dei musei, si

scopre l’importanza del contesto che ha generato i reperti e il ruolo giocato dalle culture locali nella

creazione delle collezioni. Ciò porta i musei a considerare con attenzione la specificità del territorio e

della comunità a cui appartengono iniziano, così, a diversificarsi tra loro:

portando in evidenza la specializzazione.

Quest’ultima riduce la concorrenza, soprattutto, nel nuovo contesto del dopoguerra dove la
competizione tra stati è meno aggressiva e le forme di cooperazione sono più praticate rispetto al

passato. In questo periodo l’universalismo moderno dà il via ad una crisi poiché mette al centro

dell’attenzione gli aspetti in comune tra gli esseri umani che portano ad una rappresentazione

universale della conoscenza.

L’idea di patrimonio culturale

Il concetto di patrimonio culturale come bene pubblico collettivo ha una data di nascita precisa cioè

durante la Rivoluzione francese in cui vengono promulgati i primi provvedimenti di salvaguardia di

monumenti e palazzi storici. Se, precedentemente, il patrimonio culturale veniva indicato come un

insieme di beni specifici, oggi non è più così:

l’attenzione si è allargata ad una vasta testimonianza materiale come elementi architettonici cioè

edifici tipici di particolari luoghi e tutti i dettagli che li caratterizzano.

Successivamente anche lo spazio che ospita le opere viene preso in considerazione, in Francia nel

1930, una legge dello stato attribuisce valenza di bene anche all’area di pertinenza dei monumenti e

palazzi di interesse artistico e storico. Lo scopo era di proteggere gli oggetti e lo spazio è visto come un

valore aggiunto, si inizia a parlare di siti culturali.

All’inizio degli anni Sessanta cresce l’attenzione per l’ambiente naturale e la consapevolezza che il

patrimonio culturale si sia arricchito di significati che i soli inventari non possono contenere, perciò, si

supera la tradizione distinzione tra capitale naturale e culturale e il patrimonio assume una

connotazione legata al territorio che lo identifica. Nel 1959 il decreto Malraux è significativo per

questo processo che non si limita a tutelare la superficie attorno al bene ma riconosce il valore dello

spazio culturale.

Musei di idee e musei di oggetti

Le trasformazioni che hanno investito la cultura nel Novecento portano ad una cultura più attenta alle

diversità locali e meno universalistica, interessata alle relazioni tra gli oggetti e meno focalizzata sulla

sacralità dell’oggetto. I musei si adeguano alle nuove “credenze” e divengono, più che musei di

oggetti, musei di idee.

Dimensioni

La dimensione è uno degli elementi di diversità tra i musei, per poterla misurare si tiene conto della

superficie, numero di reperti, numero di visitatori. Uno degli edifici più grandi è l’Ermitage di San

Pietroburgo con la superficie di oltre 20.000 metri quadri nella sola sede principale; il museo con più

reperti è lo Smithsonian di Washington con oltre 136.000 oggetti catalogati; il museo con più visitatori

è il Louvre di Parigi. Mentre, i musei piccoli sono situati alla periferia delle grandi mete turistiche
spesso gestiti da personale volontario o comunque non del tutto professionale.

La proliferazione dei musei di piccole dimensioni ha una sua storia: per la maggior parte sono nati negli anni

Settanta come risposta locale alla crisi dei tradizionali modelli

di sviluppo industriale. Erano, spesso, musei contadini per far riscoprire le radici locali dei borghi di

minori dimensioni ma l’aspetto interessante è stata la disponibilità al volontariato culturale ad

occuparsi della storia delle località di residenza e del loro paesaggio.

I musei piccoli ma funzionali sono una palestra per la formazione di professionalità che, poi,

potrebbero puntare ad istituzioni più grandi.

Modalità espositive

Tra musei americani e musei europei vi è un diverso approccio alla comunicazione:

più aperti al pubblico, i primi utilizzano le collezioni come strumenti di dialogo con i visitatori;

più rigidi negli orari d’apertura, ad esempio, i secondi che sono focalizzati sul personale di ricerca e

non sui gusti e sulle domande dei visitatori.

Le esposizioni sono un insieme organizzato di oggetti, all’interno di un dato percorso, al fine di

trasmettere il messaggio del museo e diviene il principale strumento di comunicazione:

il modo di contenere, esporre e organizzare i reperti permette al museo di proiettare all’esterno il

proprio messaggio.

Il messaggio del museo è la ragione per la quale esso viene creato, non è immutabile e può essere

influenzato dalle pressioni e dalle domande che emergono dalla comunità;

lo schema con il quale il museo organizza le esposizioni è la parte più interessante e si presta ad

un’analisi sistematica;

il recepimento e la comprensione del messaggio dipendono dall’efficacia con la quale il museo riesce

a comunicare con i propri visitatori.

La comunicazione diviene più potente quando sono gli stessi oggetti a parlare, così, entra in gioco

l’interpretazione ossia la messa in spettacolo del patrimonio del museo. Quest’ultimo non si limita a

esporre ciò che contiene ma li utilizza per creare un discorso, perciò, l’esposizione è più efficace se

offre diversi percorsi di visita da uno più generico a quello più specializzato. Anche nella scelta del

linguaggio, il museo, può avere duplice scelta:

da quello più semplice in alcuni spazi mentre in altri utilizzare approfondimenti e temi specifici.

Quanto più un’esposizione permette la scelta e la decisione dello spettatore, tanto esalta e potenzia le

capacità comunicative.

Le collezioni museali organizzate in modo poco comunicativo portano conseguenze negative come il
calo di pubblico. Le mostre temporanee aiutano su questo punto di vista:

costituiscono un richiamo interessante per il pubblico ma comportano elevati costi economici ed altri

inconveniente come dare più importanza a colui che ideato la mostra e non al corpo professionale che

costituisce il museo. La progettazione delle mostre temporanee avviene seguendo la moda del

momento più che alla strategia di comunicazione del museo che ospita la mostra, segue modalità di

comunicazioni universali e non che si riferiscono alla specificità del messaggio del singolo museo.

Gli utenti vengono visti come mercato e come consumatori non come comunità o cittadini, dunque

questo tipo di mostra è utile a quelle permanenti ma non lo sono nel momento in cui vogliono

sostituirle nella comunicazione col pubblico.

Per molti anni i musei hanno allestito le loro collezioni seguendo gli schemi della ricerca cioè quelli

basati su un percorso logico (osservazione-ipotesi-dimostrazione), si hanno esposizioni che partono da

aspetti concettuali e astratti mentre si dovrebbe partire da aspetti concreti che rendano il discorso più

fluido. Molti musei d’arte considerano ogni opera come elemento isolato dal contesto, in grado di

parlare da sola, priva di legami con il mondo che l’ha generata. Derivano elementi estetici, belli da

vedere ma privi di ambito educativo.

I percorsi espositivi possono assumere conformazioni varie e nessuna è neutrale nei confronti del

messaggio che trasmette:

un percorso di visita basato sull’ordine cronologico suggerisce l’idea che il processo di evoluzione

illustrato termini nell’ultima sala del museo;

l’evoluzione, invece, è influenzata dal caso e formato da deviazioni. La comunicazione del messaggio del
museo deve essere spettacolare ma non fatta solo di soluzioni

tecniche.

L’esposizione efficace tende a richiedere la costruzione di un percorso non solo fisico ma anche

concettuale.

Ruoli

Il termine “museo” viene, spesso, accompagnata da un sostantivo o aggettivo che ne qualifica il ruolo:

il museo come strumento sociale, mezzo di comunicazione, tempio, forum sono associazioni di parole

che hanno sottolineato la potenzialità del museo sul piano educativo di massa.

Altri accostamenti come “museo azienda” mettono in evidenzia i vincoli economici che riguardano i

musei e i benefici derivanti dall’adozione di pratiche manageriali.

Il museo visto come tempio e come forum sono molto curiose; la prima è negativa poiché si riferisce

ad un luogo sacro in cui accostarsi in silenzio dove non è importante capire ma credere. La seconda è
positiva, il museo viene visto come luogo di discussione e di incontro sociale quindi un luogo aperto.

Musei icona e blockbuster locali

Il museo può fidelizzare i visitatori abituali, invogliandoli a ripetere l’esperienza, con eventi come

mostre temporanee o seminari con personaggi noti ma anche eventi mirati a pubblico locale specifico

come community exhibitions. Musei che seguono questo approccio che puntano sull’attvità di

interpretazione e comunicazione agiscono sul pubblico metropolitano, come una sorta di blockbuster

locali. Anche in assenza di proposte culturali, alcuni musei vengono visitati poiché inclusi nelle visite

della città, nelle iniziative scolastiche o ancora visitati dai residenti:

questi vengono chiamati “musei icona”.

I musei leader e quelli marginali

Rivolgersi a un pubblico situato in un bacino geografico di grandi dimensioni demografiche è una

condizione essenziale per avere grandi musei, ciò comporta un aumento dell’eterogeneità delle

persone cui il museo si rivolge e quindi si ha la necessità di comunicare con un codice comprensibile

universalmente. Esiste un altro tipo di museo:

poco visibili e attrattivi per poter richiamare un numero elevato di visite poiché non dotati delle

necessarie risorse economiche e professionali. Questi musei occupano una posizione marginale nello

scenario delle visite, ma può essere una condizione mutabile.

Natura giuridica

Degli oltre 3.600 musei italiani censiti dall’Istat nel 2009, 2.200 sono pubblici quindi dello Stato,

regionali o affidati ad altre amministrazioni locali; mentre gli altri 1.400 sono privati cioè

appartengono a fondazioni o a singole imprese. Un terzo sono ecclesiastici.

I privati decidono di gestire un museo per diverse motivazioni:

per quanto riguarda i musei diocesani è da escludere il lato economico, in quanto, si tratta di piccole

collezioni.

Musei d’impresa e di fondazione

I musei d’impresa, in Italia, sono circa 80 a questi si aggiungono diverse collezioni e i musei distrettuali

cioè legati a produzioni specifiche di un territorio ma non fanno capo a nessuna impresa. I motivi della

loro esistenza sono diversi:

nascono, a volte, per conservare una collezione o un archivio aziendale;

a volte, sono motivazioni di carattere economico che spingono ad adottare un’azione di marketing più

sofisticata, di aumentare la visibilità o di agire in un campo di attvità non profit.

Un altro tipo di proprietà privata sono i musei legati a fondazioni come per esempio la Fundaciò La
Caixa di Barcellona, fondazione di una delle maggiori banche europee, che ha creato una rete di musei

e gallerie espositive localizzate in edifici storici restaurati. Non viene, però, rappresentata l’attvità

finanziaria o bancaria della Caixa che risponde a meccanismi aziendali più complessi. L’interprete deve
essere esterno all’oggetto interpretato

Esiste un momento importante e delicato per un museo ovvero la scelta degli oggetti da esporre,

viene messa in gioco la soggettività delle persone che lo amministrano. A prescindere dalla qualità dei

singoli musei, ci si chiede se il coinvolgimento diretto li metta in condizioni di svolgere funzioni

socioculturali di un museo, funzioni che richiedono estraneità fra soggetto che interpreta e l’oggetto

interpretato. Sorge il dubbio che possa venire a mancare una della peculiarità fondamentali:

la capacità di interpretazione critica che trasforma gli oggetti e i loro significati in patrimonio culturale

per la comunità.

La parola “museo” è molto evocativa, in quanto, tende a suscitare associazioni di idee in persone

molto diverse tra loro sia per età che per la cultura, formazione scolastica. Tutti, però, avranno un’idea

analoga cioè il museo visto come un edificio in cui si ospitano reperti preziosi.

CAPITOLO QUARTO

Il museo: come è fatto e come funziona

Aspetti terminologici

Il museo è una complessa “macchina culturale” che esiste da più di cinquecento anni e viene

modificata da uomini e donne, al servizio di un gruppo più o meno grande di persone, con finalità

legate al soddisfacimento di interessi e necessità umane.

La museologia è la scienza sociale che studia il museo cercando di capire cosa sia, a cosa serva, come

debba funzionare e rapportarsi con i visitatori e la comunità e a quali risultati possa produrre.

La museografia è la disciplina che si occupa di progettazione e realizzazione di edifici, spazi museali,

allestimenti e percorsi museali.

La museotecnica è l’insieme delle conoscenze e delle pratiche che consentono di realizzare le soluzioni

espositive del museo.

La museologia e la museografia sono indispensabili per la vita del museo contemporaneo;

spesso il museologo è il direttore del museo mentre il museografo è l’architetto specializzato:

per il bene del museo queste due personalità dovrebbero lavorare a stretto contatto tra loro.

In realtà, la dirigenza non è sempre così funzionale poiché i processi decisionali coinvolgono in minima

parte il museologo dando invece spazio all’architetto soprattutto nei grandi musei, dove, il contenitore

assume più importanza del suo contenuto.


Musei moderni e musei contemporanei

Se consideriamo il museo dal punto di vista architettonico bisogna distinguere tra musei moderni e

musei contemporanei:

i primi comprendono i musei nati tra la seconda metà del Settecento e gli Settanta del Novecento; i

secondi vanno dal Centre Pompidou (1977) ad oggi.

Musei nei palazzi signorili e del potere nelle costruzioni neoclassiche del Sette e Ottocento

Nel Settecento nascono i grandi musei come il British e il Louvre in ambienti già esistenti e

precedentemente utilizzati per altri usi. Vennero, però, realizzatiti ambienti anche nuovi direttamente

creati per ospitare collezioni nella seconda metà del secolo:

nel periodo in cui andava affermandosi un nuovo movimento che richiamava i valori, la perfezione, la

chiarezza della classicità greca e romana cioè il neoclassicismo.

Il primo museo creato con queste caratteristiche è il Museo Pio-Clementino, in Vaticano.

L’estetica del neoclassicismo era stata promossa negli scritti di Winckelmann soprintendente delle

antichità di Roma. Il suo successore, Giovanni Battista Visconti, incaricò l’architetto Michelangelo

Simonetti di realizzare l’opera:

il progetto venne rispettato nella sua integrità, tanto che la Sala Rotonda riproduce il Pantheon mentre

al centro è collocata la vasca in porfido proveniente dalla Domus Aurea.

Lo stile neoclassico si impose come stile ispiratore della gran parte dei musei dell’Ottocento, in

Germania: la Gliptoteca e la Pinacoteca a Monaco di Baviera realizzate da Leo von Klenze;

l’Altes Museum berlinese di Schinkel, l’edificio è un rettangolo con un’ariosa facciata principale

caratterizzata dalla lunga serie di colonne ioniche e all’interno una rotonda e sale espositive

simmetriche.

A Londra, il British Museum è ispirato ad un tempio greco;

negli Stati Uniti lo stile neoclassico si impose e determinante fu l’influenza di Thomas Jefferson, terzo

presidente degli USA e ottimo architetto, che progettò Monticello, una villa e l’Università della Virginia.

La museografia della modernità

Lo stile neoclassico ha distinto diversi musei ottocenteschi:

in primo luogo, nell’impianto architettonico di matrice classicista erano presenti elementi o particolari

tipici di altre forme stilistiche, dal barocco al rinascimentale;

in secondo luogo, cominciò a diffondersi una nuova idea di spazio museale particolarmente attenta

alla funzione pedagogica e alla fruizione da parte dei visitatori.

Un esempio fu il Kaiser Josef Stadtmuseum, di Otto Wagner, mai realizzato ma per concezione
architettonica è molto significativo:

forma monumentale classica all’esterno e all’interno, al posto della rotonda, un grande atrio di pianta

quadrata sul quale si sarebbero dovuti affacciare dei balconi. L’intento era di fare del museo un luogo

dove i visitatori si sarebbero trovati a loro agio, diversamente, dalla successione di sale espositive di

stile neoclassico.

I grandi cambiamenti nella museologia arriveranno con l’abbandono di forme classiche e con la

sperimentazione di nuovi stili liberi dalle influenze del passato e, soprattutto, attente alle funzionalità:

sul piano museografico, il primo importante contributo fu di Le Corbusier architetto e urbanista più

influente del XX secolo. Due suoi progetti, mai realizzati, furono pienamente innovativi:

il Museo mondiale e il Museo a crescita illimitata.

Il primo finalizzato a creare una sorta di città culturale internazionale ideale con un edificio a forma di

piramide gradonata, con un percorso espositivo a spirale capace di coniugare estetica e funzionalità;

Il secondo avrebbe dovuto poggiare su pilastri e svilupparsi a forma di spirale.

Massimo esponente dell’architettura urbana fu Lloyd Wright a lui si deve la costruzione de “La Casa

sulla cascata”, egli si discostò da alcuni aspetti del Movimento moderno rifiutando i rigidi canoni

compositivi e sottolineando la necessità di un equilibrio tra ambiente ed edificio e di un’armonia tra

uomo e natura. Ma avrà in comune, con il Movimento moderno, il rifiuto della ricerca estetica fine a se

stessa.

Wright realizzerà il Solomon Guggenheim di New York:

vide una forte contrapposizione tra l’architetto e il direttore.

Concepì l’edificio con lo spazio plastico e dinamico, all’esterno il museo si presenta come una spirale

rovesciata composta da quattro anelli bianchi in cemento armato. All’interno, intorno ad un ampio

spazio centrale sovrastato dalla grande cupola in vetro sale una rampa elicoidale che permette una

passeggiata espositiva continua. Le peculiarità del Solomon Guggenheim generarono critiche ancor

prima della sua inaugurazione: rapporto tra contenitore e contenuto. Ci si poneva il problema che il

contenitore potesse distogliere l’attenzione dal contenuto, in quanto, il primo era definito anch’esso

opera d’arte.

Caso diverso è per i contenitori speciali con contenuti scadenti o inesistenti, si tratta di “musei di se

stessi”.

Paul Nelson, per il Palais de la Découverte, propose una struttura che in realtà presentava

caratteristiche tipiche dell’architettura funzionalista ma anche forme scultoree e soluzioni inconsuete;

tra gli altri rilevanti musei realizzati vi è il Whitney Museum of American Art, da Marcel Breuer
formatosi alla Bauhaus. Inaugurato nel 1966, all’esterno si presenta come un parallelepipedo rivestito

di granito, con una faccia a forma di piramide rovesciata e la realizzazione coniuga razionalità e

funzionalità.

La realizzazione capace di confrontarsi con Wright e Le Corbusier è la Neue Nationalgalerie di Mies van der
Rohe, tra i massimi esponenti del Bauhaus. Il suo motto era “Less is more”; inaugura il museo nel

1968, realizzata in vetro e acciaio. La struttura esterna, collocata su un podio, è costituito da un

parallelepipedo in vetro e vuoto al suo interno sul quale è posto un tetto piano che poggia su 8 pilastri

in acciaio a sezione cruciforme. Van der Rohe concepì l’open space d’ingresso come sede per mostre

temporanee, con la collezione museale collocata in area apogea così il visitatore può crearsi il proprio

percorso di visita.

I musei moderni si staccano, completamente, dall’idea del modello ottocentesco e si valorizzano i

singoli reperti o le singole opere anche con l’uso dell’illuminazione. Tutto ciò, apre la strada ai musei

contemporanei.

Nel dopoguerra si sviluppa un’architettura museale di concezione opposta:

tra gli esempi il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaek in Danimarca.

Negli anni Sessanta, in architettura, si cominciò a parlare di postmoderno che si oppose all’approccio

funzionalista e razionalista mettendo in primo piano l’importanza della funzione estetica.

La Neue Staatsgalerie di Stoccarda a cura di S�rling presenta un edificio che mescola stili che vanno

dal monumentale ottocentesco al pop, miscuglio di hi tech e postodernismo.

La museografia nella contemporaneità

La nascita del museo contemporaneo si può far coincidere con l’apertura del Centre Pompidou nel

1977 ad opera di Renzo Piano e Richard Rogers. La sua realizzazione avviene in un ampio programma

culturale e di riqualificazione urbana voluto dal presidente francese Georges Pompidou, che voleva

creare un centro culturale dinamico, polifunzionale e aperto a vari linguaggi creativi. L’edificio è un

parallelepipedo sostenuto da una struttura metallica, con una superstruttura caratterizzata da sette

livelli in acciaio e vetro con piani liberi oltre ad un terrazzo. Uno degli elementi innovativi fu la scelta di

collocare tutti gli elementi impiantistici e funzionali all’esterno, mettendoli in evidenza anziché

nasconderli e liberando da ingombri gli spazi interni. I tubi sono dipinti con colori vivaci ed ognuno è

collegato una funzione specifica: verde per i tubi dell’acqua, blu per l’impianto di climatizzazione,

rosso per le scale mobili e ascensori, giallo per gli impianti elettrici. Di fronte all’edificio vi è una

grande piazza che era destinata come luogo di incontri ma anche un prolungamento del forum. Oggi

al Centre Pompidou, il quarto e il quinto piano, ospitano il Musée nationale d’art moderne, con oltre
50.000 opere. Negli altri piani sono presenti una biblioteca, un centro e archivio audiovisivo, l’Atelier

Brancusi e l’Ircam (centro pubblico per la ricerca e il coordinamento acustico-musicale).

Il Centre è stato punto focale di critiche sia prima che dopo la sua inaugurazione per gli ingenti costi di

manutenzione.

Musei superstar e archistar

Le critiche riservate al Centre Pampidou diedero effetti positivi per la sua notorietà ma anche per la

fama dei suoi architetti, Renzo Piano divenne un “archistar”. Il centro divenne un “museo superstar”

per:

 forte attrattività turistica e notorietà diffusa;


 grande numero di visitatori;
 collezioni di qualità;
 architettura eccezionale;
 significativo peso commerciale.

Oltre a Piano tra gli archistar ricordiamo:

Aldo Rossi, Robert Venturi, Denise Scott Brown si specializzarono nella progettazione di allestimenti

interni complessi e tecnologici. In particolare negli anni Novanta convivevano diversi stili architettonici,

mentre si facevano strada il decostruttivismo e il minimalismo.

Il primo, vide come protagonista Zaha Hadid, propone geometrie instabili e forme disarticolate e un

uso sistematico della deformazione e della torsione mediante l’impiego di materiali anche tecnologici.

La realizzazione più nota è il Guggenheim Museum di Bilbao a cura di Frank Gehry, realizzato in titanio,

pietra e acciaio. L’architettura minimalista ha l’obiettivo di ridurre l’aspetto emozionale dell’osservatore


mediante

forme geometriche semplici e neutrali, cercano di far risaltare più il contenuto che il contenitore.

Il museo superstar disegnato dall’archistar nasce per volontà di committenze pubbliche o private che

lasciano ampia libertà al museografo, mentre direttore e curatori si trovano in posizioni minori.

La complicità di direttore e architetto dovrebbe essere uno dei principi fondamentali per la positività

del museo:

a Montréal quando venne data ampia libertà al direttore del Musée d’art contemporain Marcel

Brisebois per la costruzione del nuovo edificio, egli propose all’architetto di visitare insieme diversi

musei d’arte contemporanea.

Più recente, per la realizzazione del Dalì Museum di St. Petersburg in Florida sia Hank Hine e Yann

Weymouth (direttore e architetto) hanno progettato insieme un museo il cui contenitore potesse

sembrare surreale tanto quanto la collezione interna.


I musei sostenibili

Uno dei musei sostenibili più importanti è l’Academy of Science di Renzo Piano a San Francisco che

ospita anche un museo di storia naturale. La struttura è caratterizzata da una superficie ondulata

rivestita da un tappeto d’erba con piante e fiori interrotto da lucernari e forma di oblò. Le “colline”

garantiscono l’isolamento termico e il tetto è ricoperto da 50.000 cellule fotovoltaiche che

garantiscono autonomia per il riscaldamento e l’illuminazione.

Altro esempio di architettura sostenibile è il progetto di Calatrava per il Museu do Amanha (Museo di

domani) che riqualifica la zona portuale di Rio De Janeiro; è un edificio a due piani di forma allungata,

autosufficiente sul piano energetico e realizzato con materiali riciclabili. Ha un tetto con falde

fotovoltaiche che cambiano posizione durante il giorno per ricevere la luce del sole, mentre apposite

cisterne raccolgono l’acqua piovana.

Oltre ai musei superstar realizzato dagli archistar, negli anni Ottanta vengono realizzati in Italia musei

più piccoli:

musei nei quali il rapporto tra direttore e l’architetto era molto stretto ed anche gli edifici

semiabbandonati venivano adattati per l’uso museale. Un esempio è il Castello di Rivoli, trasformato

nel primo museo d’arte contemporanea italiano dall’architetto Andrea Bruno.

La museotecnica

Nella maggior parte dei casi bisogna studiare e progettare soluzioni ad hoc per ogni museo,

adattandosi alle caratteristiche di quest’ultimo. Ciò può essere oneroso economicamente per il museo,

ma con il tempo può risultare conveniente. Ad esempio, la Gioconda è stata per anni protetta da uno

spesso vetro antiproiettile ma ciò che l’ha compromessa è l’affollamento di pubblico davanti all’opera,

soprattutto, nei mesi caldi che generavano livelli di umidità elevata. Anche i flash hanno generato gravi

problemi all’opera, così il Louvre dispose il restauro e venne incaricato un laboratorio museotecnico

italiano di realizzare un contenitore sicuro:

il risultato è stata una vetrina ingegnerizzata di grandi dimensioni realizzata in acciaio di alto spessore

e una blindatura posteriore in acciaio ad alta resistenza, con una lastra antiriflesso composta da

alternanze di lastre e fogli di pvb (polivinilbutrrale).

Chi fa funzionare la macchina-museo?

Consiglio di amministrazione: è molto diffuso nei musei statunitensi (Board of Trustees) i suoi

Compiti principali sono di indirizzo, gestione, controllo e definiscono le linee e le scelte strategiche del

museo. Nominano il direttore, approvano il bilancio, ratificano modifiche statutarie, verificano la

correttezza della conduzione culturale, economica e amministrativa del museo. Il consiglio del British
Museum è formato da 25 membri; il Museo del Prado ha un suo consiglio chiamato Real Patronato

che comprende tra i membri di diritto oltre 10 cariche istituzionali;

Comitato scientifico: esprime pareri non vincolanti ma vengono presi in considerazione dal consiglio

di amministrazione, soprattutto, se i membri hanno grande reputazione;

Il direttore: un buon direttore deve avere una competenza specialistica unita a passione o interesse per la
ricerca unite a capacità manageriali e capacità di rapportarsi al mondo esterno e alla comunità

di riferimento. Secondo l’ICOM un buon direttore deve esercitare una triplice funzione di

orientamento e controllo: scientifico, culturale e manageriale. Inoltre, deve possedere passione,

propensione a favorire lavoro di squadra, carisma e sensibilità. Direttore e consiglio di

amministrazione dovrebbero garantire e verificare il costante rispetto dell’etica museale che l’ICOM

sintetizza in:

1) I musei assicurano la conservazione, l’interpretazione e la valorizzazione del patrimonio naturale e

culturale dell’umanità;

2) I musei custodiscono le loro collezioni a beneficio della società e del suo sviluppo;

3) I musei custodiscono testimonianze primarie per creare e sviluppare la conoscenza;

4) I musei contribuiscono alla valorizzazione, alla conoscenza e alla gestione del patrimonio naturale e

culturale;

5) Le risorse presenti nei musei forniscono opportunità ad altri istituti e servizi pubblici;

6) I musei operano in stretta collaborazione con le comunità da cui provengono le collezioni e con le

comunità di riferimento;

7) I musei operano nella legalità;

8) I musei operano in modo professionale.

Lo staff del museo: all’interno di un museo possono operare diverse figure professionali, l’ICOM

identifica:

1) Conservatore/trice: sua la responsabilità delle collezioni. Le funzioni principali sono di conservarle,

incrementarle, studiarle, valorizzarle e amministrare sia il budget sia il personale alle sue dipendenze;

2) Catalogatore/trice: deve assicurare l’invetariazione e la catalogazione delle collezioni;

3) Registrar: sotto la direzione del conservatore si occupa di movimentazione delle opere dei reperti;

4) Restauratore/trice: si occupa della manutenzione, conservazione e restauro di opere e reperti;

5) Assistente tecnico addetto alle collezioni: sotto la direzione del conservatore o del restauratore si

occupa dell’etichettatura e della collocazione dei reperti e della documentazione anche fotografica;

6) Responsabile del centro di documentazione: amministra fototeca e archivi, realizza ricerche


documentarie utili per la ricerca e le attvità espositive oltre a riordinare e aggiornare strumenti di

catalogazione ed elaborazione dei dati informativi;

7) Curatore/trice: ha la responsabilità di progettare e realizzare mostre temporanee;

8) Progettista degli allestimenti: si occupa della realizzazione degli allestimenti predisponendo gli

spazi, definendo l’immagine grafica della mostra e gestendo i rapporti con i fornitori e gli eventuali

consulenti esterni che collaborano alla realizzazione della mostra;

9) Responsabile della mediazione e dei servizi educativi: realizza programmi, interventi, studi, ricerche

finalizzati a mettere in relazione in modo ottimale le collezioni con il pubblico;

10) Mediatore/trice, educatore/trice: si occupa di mettere in atto le attvità educative per i diversi tipo

di pubblico;

11) Responsabile dell’accoglienza e della custodia: si occupa dell’accoglienza e del comfort dei

visitatori e della loro sicurezza e delle opere o dei reperti esposti. Ha la responsabilità della

sorveglianza del museo, coordina la biglietteria e aree di vendita, verifica che le condizioni di

accoglienza siano adeguate, verifica il funzionamento e l’adeguatezza degli apparati per la sicurezza

delle opere e il rispetto delle normative per la sicurezza del visitatore;

12) Operatore/trice dei servizi di accoglienza e custodia: si occupa dell’accoglienza e dell’orientamento

dei visitatori e della sorveglianza degli spazi;

13) Responsabile della biblioteca/mediateca: si occupa di tutte le pubblicazioni riguardanti il museo,

cura il catalogo, classificazione e catalogazione;

14) Responsabile del sito Web: in coordinamento con il responsabile dell’ufficio stampa realizza e

aggiorna il sito Web anche creando mostre virtuali;

15) Responsabile amministrativo e finanziario: si occupa della gestione amministrativa e finanziaria e

delle risorse umane. Verifica che la gestione sia trasparente, economica, efficace ed efficiente. Ha la

responsabilità del controllo di gestione e si occupa degli aspetti amministrativi relativi ad acquisto, contratti
e convenzioni;

16) Responsabile della logistica e della sicurezza: cura che la normativa vigente in materia di igiene,

sicurezza e salute sia osservata, realizza le azioni necessarie a garantire la sicurezza dei visitatori, delle

collezioni e dell’edificio, definisce e realizza programmi di manutenzione;

17) Responsabile dei servizi informatici: progetta e gestisce rete, sistemi multimediali e programmi

informatici. Sviluppa la rete informatica sia per la gestione interna dei dati sia per la comunicazione

esterna ed è responsabile della conservazione e della sicurezza dei dati;

18) Responsabile marketing, promozione e “fund raising”: sviluppa strategie finalizzate a favorire la
promozione, la visibilità, lo sviluppo del museo, l’incremento nel numero dei visitatori e la loro

fidelizzazione;

19) Responsabile dell’ufficio stampa: realizza comunicazione culturale tramite tutti i media per poter

dare maggiore visibilità al museo e alle sue attvità. Stabilisce relazioni con professionisti dei media e

supporta i professionisti del museo nelle loro relazioni con i media.

Non tutti i musei possono permettersi tutte queste figure professionali:

ciò accade nei grandi musei, mentre nei medio-piccoli oltre al direttore vi sono 10-20 persone in totale

nello staff.

Inoltre, molti musei utilizzano personalità esterne per lo svolgimento di alcune delle mansioni

elencate.

Per la realizzazione di mostre blockbuster (mostre-evento) o al contrario per contenere i costi si

riferiscono a curatori esterni:

nel primo caso confidando nel fatto che il curatore superstar possa attrare grandi masse di visitatori;

nel secondo sfruttando il fatto che curatori freelance accettino compensi contenuti sapendo di poter

inserire nel proprio curriculum una curatura museale.

Infine, bisogna sottolineare il fatto che il direttore debba convocare periodicamente incontri con tutti i

vari responsabili in modo da favorire gioco di squadra, elaborazione e condivisione delle strategie e

coerenza delle azioni.

Gli amici del museo

Oltre agli organi istituzionali, esistono anche gli “amici del museo” ovvero persone che sostengono il

museo in diversi modi possibili. Possono essere personalità che decidono di aiutare la nascita o lo

sviluppo di un museo, promuovendolo e finanziandolo anche con imporri cospicui oppure volontari

che collaborano con il museo mettendo a disposizione il proprio tempo libero e le proprie competenze

oppure persone che pagano, semplicemente, una quota associativa. In molti casi, gli amici del museo

sono raggruppati in associazioni:

una delle più vecchie è la Société des Amis du Louvre, fondata nel 1897 da un gruppo di uomini politici

e altri funzionari dell’amministrazioni delle belle arti con il fine principale di far acquisire al museo

risorse finanziarie per incrementare le collezioni.

In altri casi la nascita dei musei si deve proprio a questa forte realtà, soprattutto, per gli ecomusei:

volontà di intere comunità locali.

Nei piccoli musei la presenza degli amici può essere un fattore molto importante anche per la

sopravvivenza del museo stesso; anche nei grandi musei il contributo delle associazioni può essere
prezioso, in modo particolare, quando tra i membri ci sono persone con specializzazioni e con

competenze che posso far fruttare il museo.

Nel 1967, Louis Monreal, crea un’organizzazione internazionale non profit che raggruppa le

associazioni amici del museo di tutto il mondo: nacque la WFFM (World Federation of Friends of

Museums), le cui linee-guide furono messe a punto dal presidente dell’Icom Varine-Bohan. La

federazione aveva come obiettvo la promozione e diffusione delle associazioni amici del museo.

Marketing e comunicazione

L’idea di marketing, inizialmente, era molto lontano da ciò che voleva rappresentare il museo; Philip

Kotler avanzò l’idea che il marketing potesse estendersi anche a nuovi ambiti che non avevano come

obiettvo il profitto. Questa disciplina poteva essere utilizzata per scopi non aziendali come l’attirare un
maggior numero di

visitatori, facendo sì che non apparissero come luoghi noiosi ma come luoghi vivi e stimolanti. La

maggior parte dei direttori cominciarono ad utilizzare tecniche di marketing solo perché spinti dalla

sollecitazione degli stakeholders; così, iniziò ad essere preso in considerazione come uno strumento

per l’organizzazione museale. Nel 1983 l’ICOM istituì il suo International Commitee for Marketing &

Public Relations.

Diversi studiosi diedero anche una definizione ben definita del marketing ad uso del museo:

Peter Lewis afferma che il marketing museale è il processo manageriale che permette ad un museo o

a una galleria di perseguire le sue finalità ed è responsabile dell’identificazione, previsione e

soddisfazione dei suoi utilizzatori. In questa definizione l’attenzione è rivolta alle persone.

Negli anni ci furono dei cambiamenti, poiché il modello teorico di Kotler si basava sulle 4P (prodotto,

prezzo, punto vendita e promozione); mentre con il tempo si è giunti alla conclusione che il marketing

non è l’arte di individuare dei sistemi per collocare il prodotto ma l’arte di creare autentico valore per

il cliente. Nel 2005 alle 4P vennero sostituite le 4C (customer value, customer cost, customer

convenience, customer communication).

Il museo e i suoi pubblici

I visitatori della maggior parte dei musei non sono omogenei ma fortemente eterogenei, in quanto, vi

sono persone diverse tra loro dal punto di vista sociale, di scolarizzazione, di nazionalità o pubblico

captive (coatto, in quanto obbligato alla visita) come le scolaresche.

Conoscere i propri pubblici è essenziale per impostare strategie e realizzare attvità espositive, di

accoglienza, didattiche e di comunicazione efficaci e capaci di trasformare la visita in un’utile e

piacevole esperienza. Un primo dato che aiuta a capire il successo o meno di un museo o di una sua
mostra temporanea è il numero di visitatori totali, ovviamente, questo dato non è sufficiente per

corregere o aggiungere strategie:

vi è il bisogno di conoscere le caratteristiche dei visitatori, sulle loro necessità, ma anche sul

gradimento dell’esperienza-visita e riscontrare le eventuali criticità. Molti musei adottano il “libro dei

commenti”, può essere anche online, o “cassette per i suggerimenti” in cui si possono imbucare

proposte o critiche. Uno dei sistemi più diffusi e più semplici da sottoporre è l’exit survey cioè un

breve questionario alla fine della visita del museo.

Inoltre, si possono realizzare ricerche di marketing che possono fornire informazioni anche sulle

caratteristiche psicografiche dei visitatori (sui fattori che li inducono a frequentare il museo, sulle

esposizioni gradite ecc.) tramite metodi di tipo quantitativo o di tipo qualitativo:

focus group (interviste di gruppo) e interviste di profondità (individuali).

Il marketing museale si propone non solo di fidelizzare i visitatori attuali ma anche di catturarne di

nuovi, si rivolge il proprio interessa a coloro che non visitano i musei e si cerca di carpirne le

motivazioni.

La comunicazione interna

La comunicazione del museo si può distinguere in interna ed esterna:

la pima è quella che si svolge all’interno del museo; mentre la seconda si svolge al di fuori del museo e

trova un alleato nei social media.

Le strategie e le pratiche di comunicazione interna sono facilitate da una buona conoscenza dei

pubblici del museo e dai feedback forniti dai visitatori in termini di gradimento delle esposizioni e in

generale dell’esperienza-visita e delle attvità e criticità evidenziate.

E’ presente in alcuni musei la figura dell’educatore-animatore museale che, oltre ad avere una buona

conoscenza del museo e della mostra, è in grado di interagire con il gruppo, anche valorizzando

processi cognitivi ed emozionali spontanei.

Una comunicazione personalizzata per ogni singolo visitatore non è realizzabile, anche le nuove

tecnologie rendono questo obiettivo meno distante:

audioguide, smartphones e schermi touchscreen con programmi che consentono anche per ogni reperto di
ottenere vari gradi di approfondimento informativo. Le nuove tecnologie, inoltre, aiutano la

realizzazione di allestimenti e percorsi museali incentrati sulla comunicazione sensoriale che viene

utilizzata da musei che hanno predisposto allestimenti per i non vedenti, con la possibilità di toccare

oggetti o repliche. Ciò viene adottato anche dai musei della scienza come il Science Museum di Londra

che, propone Legend of Apollo, una simulazione che fa provare sensazioni, vedere, ascoltare e sentire
gli odori che gli astronauti hanno sperimentato durante le missioni Apollo negli anni Sessanta e

Settanta. Un altro aspetto della comunicazione è quello tra ciò che è esposto e il visitatore:

il marketing museale può fornire indicazioni al direttore e ai curatori utili per allestire percorsi e

modelli espositivi che facilitavano la comunicazione con i pubblici anche monitorando gli spostamenti

fisici dei visitatori. Per esempio, a Tokyo l’Intercommunication Centre consegnava al visitatore un

biglietto d’ingresso magnetico che, grazie ad appositi rilevatori presso le singole installazioni,

permetteva di ricostruire gli spostamenti degli utenti; questo strumento permetteva, oltre a mettere in

evidenza le parti della mostra con maggior interesse o il contrario, fornisce informazioni utili anche per

il crowd management cioè la gestione di grandi flussi di pubblico nei locali del museo. Uno studio

all’inizio degli anni Ottanta, analizza gli spostamenti degli utenti all’interno di musei e portò a definire

quattro tipologie di visitatore:

 visitatore formica, che preferisce percorsi predefiniti e tende a soffermarsi sulla totalità degli
oggetti

esposti, seguendo un percorso lineare e dedicando molto tempo alla visita;

 visitatore pesce, che predilige una visione di insieme partendo dal centro della sala ed eseguendo

rapidi spostamenti osservando la maggior parte degli oggetti in tempo breve;

 visitatore cavalletta, che effettua una visita piuttosto breve ma seleziona gli oggetti ai quali prestare

attenzione generalmente avendo conoscenze precise sul contenuto della mostra;

 visitatore farfalla, la cui visita è oscillante con spostamenti frequenti.

La comunicazione didattica è un altro elemento al quale il marketing museale attribuisce grande

importanza:

un tempo le scolaresche erano obbligate a seguire percorsi obbligati e “lezioni” impartite dagli stessi

insegnanti o dal personale del museo.

A fine anni Settanta fu proposto per i musei un nuovo modulo educativo, l’educational entertainment

cioè una modalità di fruizione della visita museale capace di istruire ma allo stesso tempo intrattenere.

Mitchel Resnick, professore di Learning Research, ha introdotto un nuovo modo di apprendimento che

ritiene utile in qualsiasi tipologia di museo e che ha definito “playful learning” sottolineando come

questa modalità renda l’utente parte attiva. Un esempio di questa nuova metodologia sono i giochi

interattivi o giochi di ruolo che alcuni musei propongono.

La comunicazione esterna

Per il marketing museale la comunicazione esterna serve a mantenere i legami con la comunità locale

e i pubblici esistenti, informandoli sulle attvità in corso e future, ma anche a rafforzare l’immagine e la
reputazione del museo e a conquistare nuovi pubblici. Per realizzare le proprie campagne i grandi

musei ricorrono ad agenzie pubblicitarie e di comunicazione, che lavorano a stretto contatto con i

responsabili del marketing e della comunicazione del museo.

Tra le operazioni mediatiche più imponenti ed efficaci legati all’apertura di un museo si ricorda il

Guggenheim di Bilbao, nel 1997:

in tutto il mondo si seppe dell’inaugurazione e la stessa città di Bilbao, probabilmente sconosciuta a

molti, acquisì una grande notorietà divenendo una visitatissima meta turistica. La comunicazione

esterna può essere anche utile per i lavori di ampliamento e rinnovamento di un museo:

un caso fu quello del MoMA di New York, per realizzarlo in tempi rapidi possibili fu decisa la chiusura

totale del museo. Le quasi 100.000 opere furono collocate in un magazzino del New Jersey e in parte

in una ex fabbrica del Queens; il direttore del museo, Glenn Lowry, trasformò l’edificio del Queens in

un museo temporaneo, che diventò il MoMA Queens.

Grazie anche all’agenzia Ruder Finn, fu impostata una campagna che aveva due priorità:

a) spostare l’attenzione sul MoMA Queens, per indirizzare i turisti e far capire alla comunità di Manhattan
che il Queens è un quartiere facilmente raggiungibile, ricco di realtà interessanti e non

pericoloso;

b) integrare il nuovo museo temporaneo nel tessuto urbano e sociale in un quartiere popolare,

facendo superare ai suoi abitanti la diffidenza verso il museo di Manhattan. Nel Queens fu fatto un

lavoro di sensibilizzazione presso le scuole:

si spiegò ai genitori che la visita al museo insieme ai loro figli sarebbe stata un’esperienza interessante

e furono distribuito biglietti omaggio; fu realizzata una pubblicazione a fumetti destinata a teenager

nella quale i personaggi usavano fra loro un linguaggio anche colorito e visitavano il MoMA Queens.

Si diffuse anche l’augmented reality (realtà aumentata), una tecnologia che consente la combinazione

visiva di elementi reali e virtuali con effetti esilaranti utilizzabili attraverso schermi touchscreen:

uno dei primi musei a introdurre questa tecnologia fu Getty Museum di Los Angeles, che nel 2010 ha

deciso di proporre uno dei reperti più complessi cioè la collezione degli Asburgo.

Questa metodologia può essere utilizzata collegandosi al sito internet del museo, si stampa il marker

(il disegno in bianco e nero stilizzato) su un normale foglio A4 e lo mostra alla webcam del proprio

computer:

la tecnologia riconosce il marker e riproduce sullo schermo del computer in 3D l’oggetto, che può

essere esplorato in tutte le prospettive muovendo il foglio.

Nel 2008 il Brooklyn Museum di New York ha inaugurato la mostra fotografica “Click”, curata dalla
gente:

agli artisti è stato chiesto di inviare le proprie foto digitali, che sono poi state votate online da un

forum aperto a tutti; infine, le fotografie sono state esposte al museo nell’ordine di gradimento

ricevuto.

Molti grandi musei organizzano mostre blockbuster, alcune di queste mostre sono concepite per

essere ospitate in più musei. Una della maggiori mostre di più successo fu “The Treasures of

Tutankhamun”, inaugurata dalla regina Elisabetta nel 1972 al British Museum.

Il “brand management”

Alcuni musei adottano tecniche di marketing tipiche del mondo profit per far acquisire massima

notorietà e imporsi sul mercato dei consumatori culturali. Tra queste il “branding” o “brand

management” che permette al museo di trasformarsi in un apprezzato prodotto di largo consumo;

concetto principale è quello del brand equity cioè il valore monetario della marca. Il museo che più fa

uso di questa metodologia è il Guggenheim che, sotto la direzione di Thomas Krens, ha adottato una

politica espansiva con un nuovo modello di business basato sull’apertura di sedi estere in franchising

e caratterizzata da effetti speciali esaltati da campagne di comunicazione che permettevano al museo

di diventare un brand dotato di vasta notorietà internazionale e capace di evocare dimensioni

spettacolari e sorprendenti anche grazie agli archistar.

Conquistare nuovi pubblici

Uno degli obiettvi del marketing museale è la conquista di nuovi pubblici per aumentare il numero dei

visitatori ma anche per contrastare il calo nel numero di visite. Le mostre blockbuster sono efficaci per

attrare nuovo pubblico, soprattutto, quando il tema della mostra è in grado di richiamare i visitatori

che frequentano sporadicamente.

Oltre a queste grandi mostre, vi sono altri metodi per attrare il pubblico come la strategia che il

marketing definisce “make the big bigger”, allargando l’offerta museale in periodi di già grande

affluenza per catturare nuovi visitatori; realizzar iniziative di “cross-promotion” cioè promozioni

incrociate tra il museo e un altro museo o tra un museo e un cinema/teatro.

Anche gli abbonamenti come i pass a prezzo fisso che danno diritto a visitare gratuitamente più musei

di una stessa città per un certo tempo, favoriscono l’accesso di nuovi pubblici al museo.

Ci sono molteplici modalità per attrare nuovo pubblico:

- la possibilità di prenotare online la visita;

- merchandising museale e di ristorazione

- bookshop;
- punti di incontro e di socializzazione, incluse le ludoteche per bambini;

- sale lettura;

- proiezione e conferenza, le videoteche.

Un’ulteriore tecnica è l’outreach exhibitions:

mostre che raggiungono visitatori anche a distanza dalla sede del museo come le mostre itineranti.

Già negli anni Novanta il Museo de la Ciencia della Fondazione La Caixa di Madrid aveva predisposto

un bus attrezzato che circolava per la Spagna anche nelle zone meno ricche, con il personale del

museo che proponeva esperimenti, illustrava il funzionamento dei sistemi scientifici e distribuiva

materiale illustrativo.

CAPITOLO QUINTO

Il Museo: a chi e a che cosa serve

Il museo nazionale dello stuzzicadenti

Stephen E. Weil tra i suoi tanti contributi ne lascia uno, sicuramente, provocatorio:

il “paradosso del Museo dello stuzzicadenti”. Immaginiamo che al centro della città sorga un edificio

realizza per ospitare il museo sopra citato: senza fini di lucro che collezioni, conservi, studi, interpreti

ed esponga al pubblico solo stuzzicadenti. All’interno il museo si avvale dei metodi della museotecnica

più avanzati:

schermi touchscreen che permettono interattività, video e rappresentazioni 3D.

Il percorso è basato su spazi tematici:

nello spazio storico sono esposti stuzzicadenti utilizzati da grandi politici e star hollywoodiane;

nello spazio dedicato all’igiene orale ci si incentra sul ruolo dello stuzzicadenti nello sconfiggere le

carie.

Il numero dei visitatori è modesto e l’attenzione dei mass media è rara, ma ciò non preoccupa il

direttore che sottolinea la sua finalità: non vincere una gara di popolarità ma avere un museo rigoroso.

Nella realtà, il Museo dello stuzzicadenti non esiste solo in parte poiché ciò che aveva pensato Weil

corrispondeva a ciò che dovrebbe caratterizzare un museo; egli sottolinea, inoltre, che valutare un

museo sul piano delle funzioni e non prima sugli obiettivi può portare fuori strada. La domanda

principale che gli stakeholders devono porsi prima di creare un museo è “a cosa e a chi serve?”. Se il

focus si sposta su questo è chiaro che il museo dello stuzzicadenti, per quanto possa rispondere ai

criteri principali di un museo, non serve a niente.

Quale missione per il museo contemporaneo?

La missione del museo contemporaneo può essere identificata nel presentare la ricchezza, la
complessità e la diversità della vita stimolando riflessioni e dibattito nella comunità. La conseguenza

delle riflessioni e dei dibattitiè la maturazione e la diffusione della cultura e ciò fa sì che possa

rafforzarsi il patrimonio culturale della comunità stessa. Le collezioni esposte devono essere veri e

propri mezzi per trasmettere cultura, non devono essere passivi; tutto ciò induce a intendere il museo,

non come luogo di esposizione e intrattenimento, ma come vera e propria “fabbrica di cultura”.

La politica espositiva

Un buon museo sviluppa una propria riconoscibile identità e la sua forza è la sua unicità; egli deve

tener sempre a mente la ragione pur cui è nato ed esiste. Produrre cultura presuppone che, oltre

all’esposizione di oggetti, deve essere presente un’ideologia/punti di vista fondati sul piano teorico o

frutto di ricerca sul campo. Produrre cultura per un museo implica non “usare” il visitatore per

perseguire i propri obiettivi di reddito e consenso o limitarsi ad esporre in modo accattivante una

propria collezione secondo format standardizzati, ma esprimere un ulteriore punto di vista che sia

inaspettato al pubblico e allo stesso tempo deve assegnare valore a ciò che si espone. Il confronto e,

spesso, lo scontro è alla base del processo che genera produzione culturale e contribuisce a formare il

patrimonio culturale della comunità.

Inoltre, si può usufruire di tecnologie capaci di effetti speciali e che puntano anche al coinvolgimento
emozionale del pubblico; la spettacolarizzazione è fine a se stessa nel momento in cui è finalizzata,

esclusivamente, per “catturare” visitatori.

“E’ la meraviglia il seme dal quale nasce la conoscenza” (Bacone)

Funzioni

Per poter definire le funzioni del museo un punto di riferimento è il Museum Manifesto, proposto nel

1970 da Joseph V. Noble. Egli identificò quattro funzioni fondamentali del museo:

1) raccolta;

2) conservazione;

3) interpretazione;

4) esposizione al pubblico.

Per molti anni questi punti furono utilizzati come strumento di valutazione, ma negli anni Novanta si

fece avanti un nuovo modo che modificava quello di Noble. Il primo a sostenerlo fu il museologo e

docente olandese Peter van Mensch che propose di ridurre la funzioni a tre:

1) conservazione;

2) studio scientifico;

3) comunicazione.
Precisò che la funzione di conservazione incorpora quella di raccolta mentre la funzione di

comunicazione comprende sia interpretazione che esposizione. Il paradigma di Mensch è uti e

corretto nel momento in cui la terza funzione non sia intesa nel senso di attvità di trasmissione di

informazioni ed emozioni ai visitatori, ma proponga il punto di vista del museo stimolando il confronto

con il pubblico che può aumentare il valore del patrimonio culturale della comunità.

Ciò richiede partecipazione attiva dei visitatori al processo dialogico del museo, il che chiama in causa

l’effettiva capacità del pubblico di saper valutare il punto di vista proposto.

I “supermusei” orientati al marketing tendono ad imporre la propria linea limitandosi a diminuire la

propria idea nel momento in cui i visitatori diminuiscono. Alcuni studiosi affermano che i musei sono

gli strumenti ideali per le classi o i gruppi dominanti per esercitare la propria egemonia politica:

il filosofo Pierre Bourdieu sostiene che il museo condivide con altri enti educativi (scuola e università)

la responsabilità di essere “violenza simbolica” cioè di imposizione da parte del potere di una cultura

funzionale al potere stesso.

Gli “stakeholders”

E’ molto frequente che gli stakeholders si servino dei musei per conseguire ritorni personali sul piano

del consenso, dell’immagine ed anche su piano economico.

Alcuni esempi:

- un assessore alla cultura a due mesi dalla rielezione potrebbe finanziare una mostra-evento di

mediocre qualità ma ben congegnata in grado di attrare e soddisfare molti visitatori;

- il sindaco di un piccolo comune di montagna potrà avere interesse nel creare un piccolo ecomuseo,

per avere ritorni mediatici;

- un direttore di un museo potrebbe finanziare una mostra non rilevante culturalmente ma

sponsorizzata da una nota marca, quest’ultima, sfrutterebbe la situazione per esercitare il branded

entertainment cioè intrattenimento finalizzato a rafforzare o far conoscere un marchio.

In questi casi non vi è alla base un lavoro intellettuale che porta ad accrescere il patrimonio culturale

della comunità, ma solo scelte il cui obiettivo è garantire ritorni politici ed economici.

Il miglior antidoto contro le ingerenze degli stakeholders è rappresentato dalla qualità intellettuale,

professionale e umana del direttore e dei membri del consiglio di amministrazione del museo. Un

metodo per realizzare iniziative di qualità, andando contro a ciò che gli stakeholders decidono, può

provenire anche dagli “amici del museo”.

Ci sono molte realtà, diversamente, in cui gli stakeholders sollecitano e incoraggiano il ruolo sociale

del museo scegliendo direttori e membri di organi direttvi di grande qualità.


Il museo come punto di riferimento della comunità

A fine anni Novanta in molti musei australiani all’ingresso era presente il “sorry book”, un libro in cui

gli australiani bianchi si scusavano per il trattamento riservato alle “stolen generations” con una delle

pratiche coloniali più crudeli: bambini aborigeni venivano prelevati per essere “civilizzati” in istituzioni

distanti dalle loro tribù e gestite da amministratori e missionari. In realtà molti furono sottoposti ad

abusi e violenze psicofisiche e poi venivano assegnati a famiglie angloaustraliane come servi.

L’iniziativa di sensibilizzazione e “pentimento” risultò coinvolgente:

ciò ci evidenzia come la comunicazione con il pubblico possa essere basata su idee semplici, molto

spesso gli effetti speciali della tecnologia vengono utilizzati da stakeholders privi di immaginazione e

creatività.

Molti musei potrebbero svolgere un ruolo di contrasto all’omologazione e di valorizzazione delle

differenze, ciò comporta una progettualità basata sul cambiamento e sulla volontà da parte di musei di

approcciarsi ad una comunità che non è sempre uguale ma che si ridefinisce man mano.

CAPITOLO SESTO

Le politiche di oggi

Cinque politiche cruciali

Avendo conto dei diversi paesi e dei vari tipi di amministrazione, possiamo affermare che le politiche

per i musei possono apparire le une diverse dalle altre:

vi sono almeno cinque indirizzi riconoscibili nella maggior parte dei paesi economicamente sviluppati

e ricchi:

 il forte investimento in beni materiali soprattutto immobiliari;


 la politica dei grandi eventi;
 la promozione del turismo culturale;
 il tentativo di creare articolazioni gerarchiche dei musei;
 la tendenza a favorirne la professionalizzazione.

La politica del mattone

Il boom nella domanda museale e la prospettiva di flussi futuri di visite sono stati oggetto di studio da

parte di professionisti e politici per creare nuovi interventi. Molti musei si sono ritrovati in

competizione tra di loro per la conquista della stessa audience e ciò ha impedito di raggiungere i livelli

di visite previste.

Si investe di più sulle cose che sulle persone, in ambito culturale, perché gestire cantieri risulta più

compatibile con gli assetti delle burocrazie pubbliche che sono più adatte a controllare che a

governare.
La politica degli eventi

La disponibilità di spazi museali garantita da “la politica del mattone” risolve alcuni problemi ai policy

maker ma ne attribuisce di altri. Per mantenere i siti aperti e garantire visite richiede risorse finanziarie

e un personale specializzato, entra in gioco un altro importante elemento per le politiche culturali:

l’animazione.

Un calendario di grandi eventi diventa cruciale, la politica degli eventi punta a creare picchi di

attenzione con funzione di stimolo della domanda di intrattenimento in genere; questo approccio,

però, evidenzia anche aspetti negativi:

mettere in secondo piano eventi che appartengono alla stessa categoria, altre iniziative culturali, altri

musei ma ciò è considerato un male minore rispetto al successo che può rilevare.

I governi locali sanno che gli eventi culturali sono efficaci in termini di condizione di consenso, spesso,

facilitati dalla costruzione di edifici ad hoc per la gestione degli eventi che coordinano erogazioni

finanziarie più frammentate rispetto ai cantieri e ciò porta anche più successo nel turismo.

Il turismo e la rendita della cultura

La logica di innovazione dei musei si è basata, fin ora, sull’innovazione di processo cioè si vende la
medesima cosa ma producendolo in modo migliore:

orari e calendari di apertura favorevoli per il pubblico, utilizzo di tecniche di management e l’offerta di

servizi cosiddetti “accessori”.

La maggior parte dei paesi, meta di importanti flussi turistici, vive una congestione sia territoriale che

temporale soprattutto in Italia; ma quest’ultima, come altre città Europee, vanta di patrimonio

culturale diffuso e non circoscrivibile a musei, biblioteche, siti archeologici. Ci sono città che hanno

saputo cogliere meglio di altri alcune opportunità: l’Italia non è fra queste, perché tende a vendere

quanto più possibile ai passanti non soffermandosi sulla propria comunità. La logica da seguire

dovrebbe essere quella di un imprenditore, far sì che possano mescolarsi tra loro vari elementi che

portino ad una fase di crescita per il territorio.

Il turismo varia da una località all’altra; inoltre, molti territori con attrative naturali o culturali si

connotano come destinazioni turistiche anche se sono prive di infrastrutture adeguate.

La politica del “fare squadra”: retti e sistemi

Negli anni Ottanta e Novanta è emersa una forte richiesta di attenzione verso le autonomie locali e

negli stessi anni si è consolidato lo stereotipo di pensiero che si basa sulla razionalizzazione e sul

primato del mercato. Inoltre, i governi locali si son trovati una simultanea richiesta di attenzione alle

identità e allo sviluppo economico del locale:


la prima si è accompagnata a una proliferazione di forme museali e attvità culturali diffuse;

la seconda aveva aspettative di tipo economico nei confronti della cultura.

I policy maker hanno pensato a nuove articolazioni dei musei e delle iniziative culturali territoriali, per

dare una risposta meno parziale e più organica. Retti, sistemi, percorsi a tema e gerarchie organizzative

si diffondono nella penisola e in Europa come soluzioni che dovrebbero conciliare il sostegno allo

sviluppo locale grazie ad una vasta offerta turista e, infine, l’economicità di gestione per concentrare le

risorse sui grandi cantieri e grandi eventi.

La politica degli standard museali

Il vasto numero di iniziative di interpretazione del patrimonio culturale e insieme la varietà di forme

che hanno assunto, hanno spinto i musei a creare degli strumenti in grado di riconoscere

l’appartenenza alla specie “museo” e a misurare l’importanza delle singole istituzioni. Così sono nate

le “accreditation schemes” cioè le procedure di riconoscimento basate sull’adesione a standard di

qualità predefiniti. Il primo paese che definisce i requisiti minimi per ottenere la definizione di museo

è la Gran Bretagna nel 1988; altri paesi introducono gli standard per definire la qualità dei musei, in

Italia arrivano alla fine degli anni Novanta.

In Italia, gli standard mirano alle dotazioni più che alle prestazioni ovvero sul possesso di determinati

mezzi fisici o amministrativi e di personale più che sul grado di successo con il quale sono usati.

Cosa succede se le politiche sono sbagliate?

Un costante sottoinvestimento nell’immateriale: il costante sottoinvestimento in ricerca, formazione

e progettazione compromette l’accumulazione di capitale sociale in un settore nel quale è strategica;

- Grandi eventi, costi e benefici: gli investimenti nei grandi eventi possono accelerare progetti locali

già in corso ma non ne fanno nascere di nuovi;

- Turismo, da solo non porta benefici durevoli: ignorare le dinamiche reali dei fenomeni turistici e

accontentarsi di modelli stereotipati non comporta solo azioni meno efficaci, ma può provocare anche

danni al valore culturale di un territorio;

- Retti museali, la risposta sbagliata ad una domanda giusta: retti, sistemi e articolazioni varie dei

musei seguono una traccia di tipo tematico mettendo insieme musei simili fra loro per caratteristiche

“aziendali” più che territoriali. Un caso è il Sistema de museus della Catalogna, in Spagna criticato per

la sua rigidità inadeguatezza ai tempi. Questo sistema evidenzia l’unità catalana ma non permette ad

un ente più piccolo la formazione di un proprio sistema.

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