Introduzione.................................................................................................. pag. 8
4. Enunciazione e tempo................................................................................ p. 24
4.1 Una storia dell’enunciazione..................................................................... p. 25
4.2 Il primato dell’operazione......................................................................... p. 27
4.3 Verso una fenomenologia del linguaggio.................................................. p. 27
4.4 La “semiotica enunciativa” di Coquet....................................................... p. 28
4.5 Temporalità enunciativa ed enunciazionale.............................................. p. 30
4.6 Tempo cronico e tempo linguistico........................................................... p. 31
1
2. Verso una Confutazione............................................................................. p. 49
2.1 La penultima versione della realtà............................................................ p. 49
2.2 Storia dell’eternità.................................................................................... p. 49
2.3 La dottrina dei cicli e Il tempo circolare.................................................. p. 51
2.4 Il tempo e J.W. Dunne............................................................................... p. 51
2.5 La creazione e P.H. Gosse........................................................................ p. 52
5. Racconti fantastici...................................................................................... p. 63
3. I – IL SENTIERO DI PARTENZA........................................................... p. 83
3.1 Coordinate spaziali.................................................................................... p. 83
3.2 Coordinate temporali................................................................................. p. 85
3.2.1 La luce insospettata............................................................................ p. 86
3.2.2 Il tempo logico.................................................................................... p. 87
2
3.3 Una scatola di tempi e spazi...................................................................... p. 88
3.4 Il racconto di un ritardo............................................................................. p. 90
3.4.1 Studio dell’universo figurativo........................................................... p. 91
3.4.2 La costituzione del valore................................................................... p. 92
3.5 Tempi paralleli.......................................................................................... p. 97
3.5.1 Il libro dell’antenato e i libri-games................................................... p. 99
3.6 “Essere cinese”........................................................................................ p. 100
3.7 La doppia faccia della lingua................................................................... p. 102
3.7.1 Il “dottore” Soggetto......................................................................... p. 103
3.8 Lo schema narrativo................................................................................ p. 105
3.9 Il mistero del ritardo, ovvero: un fare-dopo per essere /non-tedesco/..... p. 107
3.10 Il tempo è cinese.................................................................................... p. 108
3.11 La verità (parziale) sul tempo................................................................ p. 111
3.12Mancano due pagine.............................................................................. p. 114
3
6.4 Il Segreto: come trasformare un nome in un segno vero......................... p. 151
6.4.1 La storia del nome “Albert”.............................................................. p. 154
6.5 Ultimo sguardo fuori dalla finestra.......................................................... p.
155
4
12.X – IL SENTIERO DEL CORAGGIO.................................................... p. 194
12.1L’altro lato della morte.......................................................................... p. 194
12.2Incomincia il duello............................................................................... p. 195
12.3Il ritardo che spiega l’altro ritardo......................................................... p. 196
12.4Pensieri sofisticati e “religione del futuro”............................................ p. 197
5
18.3 Una storia rivalutata............................................................................... p. 239
18.4 Timido accenno di risposta.................................................................... p. 241
18.5 La storia del nome e le sincronie testuali............................................... p. 242
6
25.1 Un genio incompreso............................................................................. p. 279
25.2 Avvocato di se stesso............................................................................. p. 279
25.3 Non era un capitolo epico...................................................................... p. 280
25.4 Evitare la gaffe....................................................................................... p. 281
25.5 Il problema di Ts’ui Pen........................................................................ p. 282
25.6 L’anti-nome........................................................................................... p. 283
Conclusioni.................................................................................................... p. 310
Appendice...................................................................................................... p. 318
Il giardino dei sentieri che si biforcano........................................................ p. 319
La Linea Serre-Montauban............................................................................ p. 326
Bibliografia.................................................................................................... p. 327
Sitografia....................................................................................................... p. 330
7
Ogni favola è un gioco
che si fa con il tempo
ed è vera soltanto a metà
la puoi vivere tutta
in un solo momento
è una favola e non è realtà!”.
Edoardo Bennato, Ogni favola è un gioco
INTRODUZIONE
L’intento del mio lavoro è proprio quello di entrare in questa terra di mezzo,
e svelare i meccanismi, grazie ai quali, essa ha prodotto i notevoli e ambigui frutti
della finzione letteraria. In particolare il mio interesse è ricaduto sul modo in cui la
tematica del tempo viene configurata, nella vasta produzione di Borges. Si tratta,
infatti, di un corpus abbastanza nutrito di racconti che giocano a deformare la
dimensione temporale di cui l’uomo è fatto, e in cui è immerso. Tema centrale di
questa problematica della temporalità, è il contrasto fra il tempo in cui viviamo,
1
In spagnolo si chiama “Mate” l’infusione preparata con le foglie di erba Mate, “hierba Mate o, semplicemente,
“yerba”, una pianta originaria del Sud America. Con il passare del tempo fu adottata come bibita tradizionale dei
gaucho di Argentina. Bere il mate, per gli argentini, è un rituale così diffuso come per gli italiani bere una buona
tazza di caffè.
2 ?
Spoudàios pàzein, con questa espressione Platone caratterizzava il mestiere del filosofo. Scrive Savater, parlando
dei filosofi – “perfino i più severi e noiosi tradizionalisti – [...] E questo deriva dal fatto che giocano “seriamente”,
come sempre giocano i bambini e quasi mai gli adulti. I bambini non giocano mai per distrarsi, ma per
concentrarsi. E ai filosofi succede la stessa cosa”. [Savater, Borges, 2003, pag 117]
8
che scorre inesorabilmente, e il tempo della coscienza, immobile dentro di noi, che
sembra simulare una promessa di eternità.
Tra le diverse suggestioni proposte dall’autore, ricordiamo la possibilità che
l’attimo prima di morire duri un anno intero (Il miracolo segreto); che un tempo si
ramifichi continuamente da infiniti possibili passati, verso altrettanti futuri
successivi (Il giardino dei sentieri che si biforcano); che si possa incontrare nello
stesso luogo (in una panchina davanti a un fiume, cioè davanti alla metafora più
nota del tempo) un io passato (L’altro), o se stessi nel futuro giorno del proprio
suicidio (23 agosto 1983); che sia possibile modificare eventi passati nella
memoria collettiva (L’altra morte).
Lo sforzo teorico della semiotica trae origine in parte da una duplice critica rivolta
al “soggetto” e alla “realtà”. Si tratta di una critica non filosofica, che mira
3
“Creativo” è contrapposto qui a “scientifico”, in base all’opposta vocazione alla ambiguità, da una parte, o alla
chiarezza, dall’altra.
4
[Bertrand 2000, pag 15]
9
innanzitutto a non ritrovare in seno alla descrizione testuale nozioni di natura
psicologica od ontologica. Bisogna cioè attenersi con estremo rigore alla realtà
dell’oggetto testuale da costruire, la sola cui si abbia veramente accesso nel quadro
di un progetto semiotico. [Bertrand 2000, pag 57]
Dopo aver, esposto (nel primo capitolo) le posizioni teoriche e pratiche della
semiotica in merito alla questione del tempo, e prima di addentrarci nelle
profondità testuali del Giardino7, presenterò la particolare e malleabile idea del
tempo che affiora nella superficie dei racconti e dei saggi di Borges, secondo il
punto di vista appena presentato.
10
contenuto – e quelli più specificamente narrativi come il ‘significante’ – o piano
dell’espressione.
La sfida di questo lavoro consiste nel verificare se anche i racconti di fantasia,
considerati come strutture autonome di articolazione del senso – attraverso
l’analisi semiotica – confermano o no il significato espresso direttamente nei
saggi. Per far questo prenderò in considerazione prima un saggio e poi un racconto
fantastico, per vedere se entrambi mettono in scena allo stesso modo, il contrasto
fra tempo soggettivo e tempo oggettivo, insito nell’esperienza umana.
Nel terzo capitolo, si continuerà su questa linea: tramite l’analisi semiotica del
Giardino, indagheremo sui significati implicati dalle relazioni formali tra i vari
elementi del testo. Vedremo in che modo la dialettica contrastante tra soggetto e
tempo articolerà questa contraddizione profonda, fra il carattere discontinuo del
8
Il riferimento è alla distinzione tra la concezione di Agostino e di Aristotele, riportata da Ricoeur [1985]
9
Per convenzione, userò questa abbreviazione per indicare il titolo del saggio di cui farò il resoconto nel secondo
capitolo.
11
tempo oggettivo, e la continuità soggettiva del sempre-presente, da cui osserviamo
il fluire delle ore e dei giorni. In sostanza, nell’ultimo capitolo, verificherò se il
testo di Borges – attraverso i suoi artifici strutturali – la ‘penserà’ come lui [Eco
1989]10, confermando o smentendo, al livello semantico profondo, il sistema
filosofico che sviluppa nella Confutazione e che poi egli stesso smentisce
manifestamente. Come abbiamo già detto, per far questo utilizzerò il metodo
dell’analisi strutturale, ispirandomi al modello delineato da Greimas [1976] nella
sua analisi di un racconto di Maupassant. Ritengo, infatti, che l’uso ermeneutico
della struttura in questo caso specifico, sia la chiave di volta per un particolare tipo
d’interpretazione di un racconto, la cui organizzazione narrativa appare, già in
superficie, abbastanza caotica.
10
Cfr. cap. 3, paragrafo 1.2
12
CAPITOLO I
LA QUESTIONE DEL TEMPO IN SEMIOTICA
11
L’estensione di questo tipo di intelligibilità relazionale – dal segno al testo –, che fonda l’approccio semiotico ai
testi, sarà la conquista alla base della cosiddetta “svolta testualista”, avvenuta negli anni Ottanta, in seguito
all’introduzione di modelli di tipo logico-narrativo, stratificazione dei livelli di senso e individuazione di strutture
testuali profonde. Queste novità, faranno giustizia del modello semiologico-retorico che sto riassumendo adesso. Il
mio intento, in questo resoconto semplificato, è finalizzato sempre al punto di vista della disciplina sul tempo, dalle
origini strutturaliste alla svolta fenomenologica (vedi avanti, paragrafi 4 e 5). Per questi motivi gerarchici di
esposizione, talvolta, potrà sembrare con-fusa la nozione di segno e quella di testo.
13
significazione per differenze. Per questo la semiotica, più che essere “la scienza
che studia i segni”, si definisce meglio come “teoria della significazione”.
12
La Morfologia della fiaba, pubblicata in russo nel 1928, tradotta in inglese nel 1958 e in italiano nel 1966, si
proponeva di individuare una “regolarità” nelle fiabe, attraverso un’indagine sulla presenza costante di elementi
ricorrenti e delle relazioni tra questi.
14
relazioni paradigmatiche fondanti il sintagma di superficie13. Secondo quest’ottica,
il racconto, come anche altri tipi di testi, è visto come la manifestazione sulla
superficie discorsiva (nella sua dimensione sintagmatica), di strutture semantiche
profonde basate su differenze significative di ordine paradigmatico. Il percorso
che deve compiere lo studioso, nella sua analisi dei testi, sarà allora finalizzato
alla scoperta delle origini del senso che fonda la possibilità stessa del racconto.
Per questo si parla di percorso generativo del senso, poiché, risalendo attraverso
esso, l’analisi mira a scoprire il senso di un testo, risalendo ai modi della sua
produzione, alle condizioni strutturali (paradigmatiche) che lo fondano e che
generano i vari “effetti di senso”.
Alla base di questa teorizzazione, si distingue fin da subito la volontà di
considerare i testi da un punto di vista oggettivo, scientifico. Escludendo qualsiasi
riferimento a una realtà di tipo extra-linguistico, l’approccio semiotico ai testi
letterari, intendeva spazzare via ogni possibile deriva di tipo psicologista o
filosofico, che aveva ormai impregnato tutti gli altri ambiti della critica14.
13
Il principio di immanenza deve molto agli studi di Hjelmslev sulla lingua (1943, pp. 135-136): “La teoria
linguistica è stata costruita in maniera immanente, mirando solo alla costanza, al sistema, e alla funzione interna, a
spese, apparentemente, delle fluttuazioni e delle sfumature, della vita e della realtà concreta fisica e fenomenologia.
Tale temporanea limitazione del punto di vista è stato il prezzo che si è dovuto pagare per strappare alla lingua il
suo segreto. Ma appunto grazie a tale punto di vista immanente la lingua ci ha ripagato delle limitazioni che ci
aveva imposto: essa ha assunto una posizione centrale nella conoscenza […]. Invece di ostacolare la trascendenza,
l’immanenza le ha fornito una base nuova e migliore; immanenza e trascendenza si uniscono in un’unità superiore
sulla base dell’immanenza”. Questa definitiva subordinazione, alla forma e alle costanti, di ogni possibilità di
“trascendere” il testo-oggetto è ciò che regola lo slogan greimasiano “fuor del testo non v’è salvezza!”. Secondo
quest’ottica è possibile isolare un testo-in-sé, con confini ben definiti, dalle pratiche discorsive che danno forma
alla cultura entro cui quel testo vive – e che esso stesso contribuisce a plasmare.
14
Per fare alcuni esempi, si ricordi la critica ermeneutica di Jauss e Hirsch, agli inizi degli anni settanta; critica
stilistica di Leo Spitzer; critica tematica; critica psicoanalitica di indirizzo freudiano e junghiano (Northon Frye);
critica pragmatica; critica storicista di Bateson. Cfr. “Guida breve allo studio della letteratura” [Ceserani, 2003].
15
bianco ← contrari → nero
↑ ↑
In presuppone presuppone base a
questa struttura,
che sta
Come riferito sopra, nella nostra esposizione dei due tipi possibili di relazioni che
contribuiscono alla fondazione del segno, la componente sistemica del paradigma
è considerata prioritaria, in senso gerarchico, rispetto alla componente processuale
sintagmatica. Ma, naturalmente, avendo precisato che la prospettiva primaria è di
tipo statico, fondato sulla struttura relazionale del quadrato, si evidenzia subito
dopo la possibilità che questa struttura offre per rendere conto delle realizzazioni
discorsive di superficie, che hanno carattere dinamico. Infatti, ed è questa la base
della sintassi fondamentale,
16
nel momento in cui nego un termine, contemporaneamente, affermo l’altro. È
questa condizione acronica della struttura fondata sulle relazioni, che sta al cuore
della narratività, secondo questo approccio greimasiano alla generazione del senso
dei testi.
Stato di congiunzione S ∩ Ov
Stato di disgiunzione S U Ov
Questi due tipi di relazione stanno alla base della semantica narrativa. Ora, dato
che la relazione che definisce lo stato è considerata come un termine della
categoria del quadrato, le operazioni che sono possibili sul quadrato, applicate agli
stati narrativi, si traducono in trasformazioni degli stati, per cui: se un Soggetto era
congiunto con l’Oggetto, l’esito della negazione di questo stato sarà il passaggio
alla disgiunzione tra i due attanti. Queste trasformazioni di stati narrativi,
conversioni delle operazioni sul quadrato in un tipo di “fare” antropomorfo,
stanno alla base della sintassi narrativa15. Dunque, ogni narrazione si fonda su una
struttura che regge le trasformazioni da uno stato all’altro (congiunzione o
disgiunzione), per quanto possa risultare complessa nella sua realizzazione
discorsiva di superficie. In quest’ottica, la narratività è la versione dinamica e
umanizzata del reticolo di relazioni possibili, statiche, che fondano un testo
significante. La narratività è quindi una forma generale del senso, presente anche
in testi non-letterari: essa è indipendente dalla sostanza espressiva in cui si
manifesta.
17
senso sono di ordine statico, acronico, non dinamico. Soltanto salendo al livello
superiore, il terzo, quello delle strutture discorsive, troviamo la temporalizzazione
come elemento della sintassi che ordina i testi. Mentre la semantica discorsiva si
basa sulla tematizzazione e sulla figurativizzazione, la sintassi discorsiva
(discorsivizzazione) comprende le operazioni di spazializzazione,
temporalizzazione e attorializzazione. Cioè, è soltanto alla fine, al livello di
superficie testuale, che si può parlare di temporalità, nel momento in cui le
strutture narrative si realizzano – nel testo-racconto – in attori-personaggi, luoghi
e tempi. In quest’ottica la dimensione della temporalità è vista soltanto come un
finale effetto di senso, determinato dalla realizzazione di specifici contenuti
logico-semantici che non hanno proprietà temporali: come dire, si può articolare
lo stesso racconto discorsivizzandolo, al livello di organizzazione temporale, in
forma diversa.
Quello che Greimas [1976] dirà sul tempo, nel corso della sua analisi del
racconto di Maupassant, sarà una conferma di questa impostazione strutturalista.
Infatti, secondo quest’ottica, l’articolazione temporale su cui si basa la
rappresentazione del tempo nella storia raccontata, ovvero prima/durante/dopo,
non è altro che il ‘rivestimento temporale’ dei termini dell’articolazione logica,
acronica, anteriorità/concomitanza/posteriorità. Inoltre, il paradigma aspettuale
che rende conto della processualità delle trasformazioni narrative, duratività vs
puntualità, poggia sulla “nuova categoria temporale” permanenza vs incidenza,
/continuo/ vs /discontinuo/
18
2. Ricoeur, comprendere il tempo
Per arricchire il valore della lettura (che, come tutti i valori, è un valore di
differenza) in questa esposizione sugli sviluppi dell’approccio semiotico al tempo,
abbiamo deciso di esporre, per grandi linee generali, la densa riflessione che Paul
Ricoeur, negli anni ottanta, ha dedicato al rapporto fra tempo e racconto. La
prospettiva dalla quale il filosofo ermeneuta ha studiato il valore dei testi letterari,
infatti, si può considerare diametralmente opposta a quella semiotica di Greimas.
Nei suoi tre volumi di “Tempo e racconto” [Ricoeur 1983, 1984, 1985], egli dà un
esempio di ciò che l’ermeneutica intende con l’espressione “spiegare per
comprendere meglio”. Per lui, infatti, le spiegazioni della razionalità semiotica,
servono da intermediarie per comprendere in che modo la proprietà significativa,
costitutiva, del racconto sia di tipo temporale.
In comune con Greimas, dunque, c’è l’idea di base che il racconto è ciò che
dà senso al tempo; con un’unica differenza fondamentale dal punto di vista
teorico. Infatti, se per l’autore del “Maupassant”, il tempo non è altro che un
effetto di senso che interviene nella fase conclusiva del processo generativo, per
Ricoeur la temporalità è invece la proprietà fondante il senso vero del racconto.
Nell’ottica dell’ermeneuta francese, cioè, l’elemento semanticamente innovativo
del racconto è la capacità di comunicare la dimensione umana del tempo. La
proprietà genetica del racconto non è, alla maniera strutturalista, costituita da un
tipo di razionalità combinatoria operante sulla base di strutture acroniche. Il tipo di
razionalità che fonda il vero senso del racconto, è un “principio selettivo che
stabilisce la differenza tra teoria dell’azione e teoria del racconto” 16, ciò che viene
definito come “sintesi dell’eterogeneo”, o “intelligenza narrativa”, una proprietà la
cui massima importanza risiede nella sua natura dialettica.
Questa visione, acquista tutta la sua valenza, nel momento in cui sottolineiamo
che il tempo è il tema filosofico che regola, dall’inizio alla fine, l’opera di
Ricoeur, come sottolinea l’ordine dei termini nel titolo. Pertanto, tutte le
riflessioni sulle proprietà genetiche del racconto, si collocano alla luce di questa
impostazione del problema.
Infatti, nel suo imponente trittico, Ricoeur parla del rapporto fra tempo e
racconto alla luce di un’opposizione irrisolvibile, sul piano speculativo filosofico,
fra una temporalità di tipo oggettivo (cosmologica) e una interiore
(fenomenologica).
Dopo aver esposto il modo in cui, Aristotele e Kant risolvono la spiegazione del
tempo, secondo una visione oggettiva, mentre Agostino e Husserl comunicano la
loro idea di tempo unicamente come vissuto interiore, Ricoeur mette in mostra i
‘residui’ che, ciascuna delle due visioni opposte, si trascina dal rigetto dell’altra.
Non che egli abbia una alternativa filosofica da presentare. Infatti, per quel che
16
[Ricoeur 1985, pag 78]
19
riguarda la questione del tempo, la risoluzione delle aporie filosofiche ha sempre
condotto alla creazione di altre aporie. Si tratta di una questione irrisolvibile da
questo punto di vista.
20
proprietà della configurazione narrativa risiede nel suo essere dialettico: nel
racconto si affiancano la dimensione sequenziale (cronologica, sintagmatica) e la
dimensione configurante (sistemica, unità temporale). Per questo egli parla del
racconto come di una “totalità successiva o una successione totale”. Pertanto,
Ricoeur non rigetta ‘in toto’ gli studi derivati dalla semantica strutturale; egli dice,
invece, che l’importanza della razionalità di tipo strutturale si colloca a un grado
intermedio, nella descrizione delle proprietà genetiche dell’intrigo, di configurare
l’esperienza temporale (contraddittoria) dell’uomo. Infatti:
Alla fine della sua lunga trattazione che, oltre l’aporetica temporale, sviluppa
anche le diverse caratteristiche tra racconto storico e racconto di finzione, uniti
dalla stessa capacità di configurare l’esperienza umana (una, del mondo reale
passato, l’altra, del mondo immaginario), Ricoeur [1985] afferma che lo stesso
concetto di identità è un concetto di tipo narrativo 17: noi siamo la nostra storia,
così come la nostra storia è l’unico modo di comunicare il tempo che ci ha
costituiti.
17
Cfr. capitolo 3 par. 3.6, la costruzione dell’identità del Soggetto Yu Tsun nel racconto di Borges, Il giardino dei
sentieri che si biforcano.
21
Nel caso di Greimas, l’ermeneuta prende di mira l’acronia della struttura
profonda raffigurata nel quadrato semiotico. Per dimostrare l’impossibilità di
escludere la dimensione temporale dalle fondamenta teoriche della narratività, egli
mette alla prova il concetto di equivalenza logica fra i vari livelli di profondità,
implicata nel concetto stesso di generatività del senso. In questa lettura
progressiva dei vari passaggi di livello, fino ad arrivare al livello superficiale del
discorso (in cui finalmente compare il tempo), Ricoeur denuncia il carattere
teleologico dell’intera teoria che vuole dimostrare la narratività senza la
temporalità, ovvero: si vuole dimostrare in che modo si arrivi alla temporalità del
livello di superficie, occultandone la presenza al livello profondo. Egli fa notare
come non sia possibile ipotizzare un incremento di senso tra i livelli logicamente
equivalenti, escludendo integrazioni che attingono, di volta in volta, ad elementi
della fenomenologia dell’azione umana, fondata su un tipo di intelligenza
narrativa già formata (mimesis I) che è di tipo temporale. Allora, se non ci sono
integrazioni significative, la matrice temporale sarà presente già dal basso.
A tal proposito, nel nostro resoconto sulla semiotica narrativa 18, abbiamo
accennato al fatto che, nel passaggio dalle relazioni alle operazioni, Greimas non
faccia mistero di considerare la struttura nell’ipotesi di un suo ‘uso’, da parte di un
soggetto. E infatti, come nota Francesco Marsciani [2000], le strutture tentano di
esplicitare le condizioni di libertà, per la pratica narrativa del raccontare e del
capire i testi. A proposito di quella che chiama ‘la critica esterna’ di Ricoeur,
sull’illusione della generatività dalle forme semiotiche immanenti alla narratività
dei testi, Marsciani dice:
22
Per quel che riguarda, invece, il problema dell’equivalenza tra i livelli, quella che
Marsciani chiama la ‘critica interna’, la semiotica fa appello a operazioni di
conversione, la cui necessità è stata postulata da Greimas, che dovrebbero rendere
conto dell’incremento di senso e, insieme, salvare la logicità della gerarchia. Non
si può negare, comunque, che Ricoeur sia riuscito a far emergere problemi teorici
di una certa consistenza, all’interno della semiotica strutturale. Ma, come fa notare
lo stesso Marsciani,
23
4. Enunciazione e tempo
Abbiamo visto, dunque, in che modo il tempo sia stato considerato nei diversi
studi di Greimas e di Ricoeur. Seppure le due ‘scuole’, nella questione che
riguarda il tempo dal punto di vista del racconto, possono sembrare
complementari per il tipo di approccio allo stesso oggetto di studio 19, i rispettivi
risultati si trovano in posizioni diametralmente opposte. Per il padre della
semiotica narrativa, il tempo è un effetto di senso che si manifesta al livello
superficiale delle forme figurative del discorso e fa parte della cosiddetta illusione
referenziale (la realtà extra-linguistica); mentre per Ricoeur è proprio il tempo a
fondare la possibilità della narrazione – e la narrazione è il modo umano di
intendere il tempo – soprattutto grazie al ruolo di mediazione che il potere
configurante dialettico dell’intrigo svolge, nella rifigurazione dell’esperienza
temporale operata dal lettore reale delle opere.
Eppure, questi due approcci – lo avevamo anticipato – si caratterizzano proprio
per la loro massima distanza, e abbiamo ritenuto di dover renderne conto, per dare
un’idea della lontananza significativa che è possibile riscontrare in merito al
problema.
19
Si diceva, fatti, che per entrambe il racconto dà senso al tempo, ma per ragioni opposte.
24
Adesso, dopo aver evocato separatamente i due ‘ordini di motivi’, siamo pronti a
render conto degli sviluppi teorici riguardo il tempo, che sono stati resi possibili
grazie alla capacità di una scoperta, di tipo operativo-linguistico, di risvegliare una
tradizione speculativa, rimasta a lungo sopita nei meandri della struttura. Si
arriverà alla costruzione di una fenomenologia del tempo, in chiave linguistica.
A me sembra invece che scoprire strutture immanenti alle forme significhi anche
mettersi in condizione di identificare le convenzioni che l’uso ha fissato a poco a
poco, sedimentate, strutturate ed erette a regole implicite. Queste convenzioni
danno forma alle attese del lettore garantendo, al di là del sistema stesso della
lingua, la prevedibilità del contenuto, nonché le ipotesi e le inferenze della lettura.
Pur così intese, le strutture devono essere anch’esse ricondotte al soggetto, ma
dipenderanno allora da una sorta di enunciazione indebolita [...] la fraseologia, le
espressioni convenzionali, gli stereotipi, questi blocchi prefabbricati e
“previncolanti” di discorso danno prova alla superficie del testo del carattere
impersonale dell’enunciazione. Bertrand [2000, pag 22]
Nella sua esposizione sulla storia dei rapporti fra semiotica greimasiana e
problematica enunciativa, Bertrand [2000] mette in risalto un lento ma progressivo
20
[Bertrand 2000, pag 67]
21
Cfr. paragrafo 4.4
25
avvicinamento. Egli stesso non può fare a meno di notare, in che modo la
questione dell’esercizio del discorso, la sua obbligata connessione con il problema
dell’uso, attraversi l’intera opera di Greimas. Nonostante ciò, la duplice critica
della semiotica all’ontologia della realtà extra-testuale e allo psicologismo dei
soggetti implicati nei testi, ha portato allo sforzo quasi innaturale di allontanare
certe innegabili questioni attinenti alla materia.
È soltanto a partire da una circospetta emarginazione del soggetto
dell’enunciazione, nella metà degli anni Sessanta, che si è proceduto alla sua
reintegrazione, fino alla collocazione nella peculiare dimensione fenomenologica
della dottrina.
Infatti, dopo aver liquidato la questione in termini di presupposizione logica
dell’enunciato, dunque poco pertinente all’analisi, verso la fine degli anni Settanta
si è dato un ruolo molto importante all’enunciazione: essa veniva definita come
istanza di mediazione, che funge da interfaccia – nel percorso generativo del senso
– tra il livello profondo e quello di superficie. Si può vedere in questo tipo di
lettura, una sorta di primo riconoscimento del valore che la prassi linguistica
riveste nel processo di significazione. Gli stessi concetti di prassi e di processo,
sono proprio quelli che condurranno alla rivalutazione della temporalità in abito
semiotico, fino ad arrivare agli ultimi sviluppi sui “regimi semiotici della
temporalità”, che esporremo più avanti nel capitolo22.
Dunque, a partire dal valore della messa in discorso, Bertrand [2000] passa in
rassegna l’importanza dell’enunciazione, all’interno della problematica dialettica
fra sedimentazione e innovazione delle strutture significanti. Non bisogna, infatti,
dimenticare che il senso si dà sempre come prodotto culturale della prassi
collettiva. Ma questo è un modo come un altro, per riferirci in che modo, il
fenomeno dell’enunciazione, sia strettamente legato a quella differenza fra langue
e parole che la semiotica ha ereditato dagli studi della linguistica strutturale di
Saussurre. Come per magia, dunque il cerchio sembra essersi chiuso: dal pericolo
di crisi dell’oggettivazione del testo, alla sua giustificazione strutturale,
l’enunciazione è stata reintegrata.
Pertanto, questo reinserimento nella linea degli studi greimasiani, attraverso lo
studio delle operazioni di debrayage ed embrayage, ha permesso di considerare la
dimensione “ante-predicativa” in cui si forma il discorso. L’apertura a questa
prima ‘dimensione’ del senso, di conseguenza, ha prodotto le basi per i successivi
sviluppi che sarebbero stati coltivati da diversi studiosi negli anni seguenti. Ma
restiamo all’enunciazione.
Il meccanismo si basa su due tipi di operazioni. Grazie a un’operazione di
proiezione (debrayage) sul testo, l’enunciatore, “in occasione dell’evento di
linguaggio”, si fa carico di una particolare rappresentazione del mondo, costituita
dalla figurativizzazione di un soggetto, in un tempo e in uno spazio (“C’era una
volta in un paese una principessa...”) che sono ‘altri da lui’. Al contempo, però, è
proprio a partire da queste proiezioni esterne, che è possibile anche rintracciare,
22
Cfr. paragrafo 5
26
nel discorso, una serie di categorie deittiche che rimandino al soggetto dell’atto di
parole, un “io”, situato in un “qui” e in un “ora”, spazio e tempo dell’enunciazione
(embrayage attanziale, spaziale, temporale). Questi ultimi differiscono
logicamente dal soggetto, dallo spazio e dal tempo dell’enunciato (non-io, non-
qui, non-ora), frutto della messa in discorso, per opera del debrayage. Secondo
questa visione del fenomeno enunciativo, nonostante l’embrayage indichi una
dimensione anteriore nell’ordine della produzione discorsiva, è soltanto grazie al
debrayage discorsivo iniziale che diventa possibile risalire, in un secondo tempo,
all’ ‘io’.
27
manifeste o nascoste – occupate dai soggetti della comunicazione nel gioco delle
rispettive strategie. Se la loro competenza è definita da un armamentario modale, la
relazione tra soggetti è assimilabile alle interazioni fra ruoli attanziali: destinante e
destinatario della comunicazione possono, a giusto titolo, essere analizzati in
termini semio-narrativi. [Bertrand 2000, pag 64]
In questo momento, però, il discorso rende conto della netta linea di demarcazione
tra le due correnti, della semiotica e della pragmatica degli atti linguistici. Ma è
proprio in questo interstizio dell’enunciazione, che i percorsi delle due materie
risultano affini e, anzi, complementari. Infatti, se la prima rifiuta una teoria del
riferimento extra-linguistico, per cui non si può condurre un’analisi a partire
dall’attività del soggetto enunciante, la seconda, invece, giustifica la pertinenza di
studio sul soggetto, proprio in base alla logica di presupposizione e implicazione,
invocata dagli stessi fedeli al solo oggetto-enunciato.
Dunque, un po’ come si era visto prima, nella citazione di Marsciani 25, il quale
parlava della sintesi epistemologica propria della semiotica (“atteggiamento
ipotetico-deduttivo”), considerando unitamente i due approcci al fenomeno
dell’enunciazione, si ha la possibilità di studiare il discorso a partire dall’atto della
sua realizzazione, ponendo al centro delle proprie indagini, il soggetto,
inscindibile dal suo atto di linguaggio.
25
Cfr. paragrafo 3.2
26
Cfr. paragrafo 1.2
27
Cfr. paragrafo 4.1
28
semiotica enunciativa di Coquet, quello che abbiamo indicato invece col termine
di debrayage attanziale. In altre parole, la possibilità stessa di pervenire un tipo di
soggetto all’interno dell’enunciato, presuppone l’operazione volontaria di distacco
di questo attante-soggetto, a partire da una dimensione ante-predicativa, in cui un
non-soggetto ‘decide’ di proiettarsi nell’enunciato, manifestando la sua volontà e
possibilità di dire ‘io’. Il non-soggetto, dunque, è “l’attante puramente funzionale,
la cui attività è la predicazione priva di qualunque assunzione del suo atto, ossia la
predicazione irriflessa28”.
28
[Bertrand 2000, pag 67]. Più avanti, nella trattazione della semiotica delle passioni, Bertrand riprende il discorso
sulle radici fenomenologiche dell’identità enunciativa e riallaccia la funzionalità definente il non-soggetto, alla
stessa caratteristica peculiare del soggetto passionale. Per questo motivo egli dice: “Il soggetto patemico non può
prescindere dal suo essere intrinseco a se stesso: è inserito, anzi fagocitato, dagli imperativi sensibili del corpo
proprio, “parte opaca” del suo essere-nel-mondo. Il corpo è dunque l’istanza del non-soggetto. Quest’analisi è
confermata dalle affermazioni sul divenire, tempo continuo della presenza, la cui esperienza è ricondotta all’anti-
soggetto proprio attraverso la mediazione del corpo”. [Bertrand 2000, pag 228-229]
29
Designando il secondo attante, come l’oggetto-identità, Coquet [1997] indica
quell’aspetto secondo cui il soggetto è definibile per l’enunciato stesso, in quanto
oggetto implicato da qualunque atto di discorso. Il terzo attante, infine,
rappresenta, nella visione narrativa dell’enunciazione, il ruolo del Destinante di
tutti i soggetti degli atti di produzione discorsiva. Quest’ultimo attante è quello
che gode di un potere assoluto, altrimenti detto “trascendente”, in grado di
prendere in carico la valenza comune, su cui si garantiscono i diversi valori di
verità, negoziati per mezzo dei discorsi fra i singoli soggetti; ivi compreso il
valore di verità sul tempo dell’enunciazione.
Per capire meglio di cosa si tratta, dobbiamo fare un breve passo indietro, e
approfondire la concezione formale delle operazioni di enunciazione temporale,
per poi riassumere in che modo Coquet ha reintrodotto una fenomenologia
discorsiva del tempo.
Ora, dato che il terzo attante, si differenzia da tutti gli altri, in quanto istanza
d’autorità per il suo potere veridittivo nei confronti della stessa operazione di
enunciazione, allora, il suo tipo di tempo, deve essere quello che permette di
concepire la costante presenza del rapporto fra soggetto ed enunciato. Abbiamo,
allora, bisogno di pensare a un tipo di tempo cronico, discontinuo, che faccia da
sfondo significativo per la realizzazione discorsiva dei soggetti della continua
presenza. Ma dal punto di vista della logica presuppositiva (che, abbiamo visto,
regola l’instaurazione del Destinante trascendente), il tempo del terzo attante, che
rappresenta il divenire irrevocabile, è subordinato rispetto al tempo del primo
attante, che invece rappresenta la presenza-al-mondo. Infatti, se nella
rappresentazione ideale dei vari tempi verbali, si può parlare di un immaginario
tempo discontinuo – trascendente rispetto al tempo della realizzazione discorsiva
– è solo grazie al presente della presenza che esso è pensato nell’articolazione
31
tripartita con, al centro, il presente. In altre parole, allo stesso modo in cui
l’embrayage pur sembrando anteriore al debrayage, dipendeva logicamente dal
secondo29, così adesso, nonostante il divenire del tempo cronico sembri anteriore
alle varie produzioni discorsive sempre presenti, esso non è altro che il frutto di
una proiezione storica del tempo del terzo attante. La coerenza del tempo cronico
dipende, cioè, dal tempo linguistico della presenza.
32
semplice metodologia per la spiegazione di numerosi fenomeni del campo
dell’esperienza culturale. Il rischio paventato dall’autore del Nome della Rosa, era
proprio quello di confondere l’uso che si può fare della forma immanente
nell’esercizio ermeneutico dei testi, con la più pericolosa deriva di uno
strutturalismo ontologico.
Sulla stessa linea di lucida critica, troviamo anche il filosofo francese Gilles
Deleuze [1973] il quale, in un saggio intitolato Da che cosa si riconosce lo
strutturalismo?, esprime un parere abbastanza disilluso sulla fede strutturale che
rigetta l’extra-testo, tanto da dire che “il vero soggetto è la struttura: il
differenziale e il singolare, i rapporti differenziali e i punti singoli, la
determinazione reciproca e la determinazione completa”.
In merito al rapporto col tempo, il filosofo ha cercato di dare una visione
dinamica, sintagmatica e diacronica della struttura. Egli, infatti, parla di un tempo
interno alla struttura, inteso come tempo di attualizzazione della “molteplicità di
coesistenza virtuale” profonda. Anche lui, dunque, ha richiamato l’attenzione alla
dimensione processuale della significazione.
33
Una considerazione simile del tempo, inteso nella sua ritmicità, è stata
ultimamente rielaborata da Marrone [2003] all’interno della sua analisi sulla
trasposizione, in forma di fiction, delle avventure del commissario Montalbano,
dai romanzi di Andrea Camilleri. In questo lavoro, infatti, il tempo viene
considerato come un vero e proprio “oggetto di valore da conservare o da
conquistare”, ed esso stesso è parte fondante di uno stile di vita dei soggetti. Così,
si può parlare di agogie, in quanto ritmi di esistenza costitutivi delle identità, nella
raffigurazione del livello discorsivo:
Laddove la Durata riguarda, come abbiamo visto, il ritmo complessivo dei film
(costituito nella relazione fra espressione filmica e contenuti narrativi) i fenomeni di
agogia riguardano il solo piano del contenuto. Si tratta di una temporalità, appunto,
nel senso musicale del termine, come quando si dice che un brano di musica è un
“adagio”, un “presto” o un “fortissimo” etc., e che è presente come una sorta di
ritmica interna alla semantica del racconto. [...] In generale i programmi di azione
dei vari personaggi sembrano essere caratterizzati da due diverse dimensioni
agoniche. Da una parte c’è chi, come Montalbano, Zito e pochi altri, tende ad essere
lento, [...] Da un’altra parte c’è invece chi, rispettando appunto le apparenze, tende
ad esser rapido [...]. [Marrone 2003, pag 66]
È pur vero, però, che soltanto negli ultimi tempi si è deciso di affrontare a
viso aperto la questione del tempo, per cercare di dare delle risposte organiche a
un problema che non è mai stato visto come peculiare della semiotica. Ed è con
questo spirito corale che, nel corso di un seminario durato un anno, il problema
della relazione tra tempo e discorso è stato affrontato da numerosi esponenti della
materia. Gli esiti di queste “riflessioni pratiche” e “pratiche riflessive” sono stati
raccolti in una pubblicazione uscita a fine novembre 2006, dal titolo Régimes
sémiotiques de la temporalité. In quel che resta di questo capitolo, allora, vedremo
32
Vedi paragrafo 3.2
34
su che basi teoriche è possibile pensare, in modo organico, semioticamente, al
tempo. Cosa ancora più importante, vedremo in che termini si definisce
l’originalità di tale approccio, che mantiene simultaneamente le due prospettive –
teorico-filosofica e linguistico-descrittiva – all’interno della vasta gamma delle
discipline “proprietarie” del tempo. Per l’esposizione che segue, faremo
riferimento all’introduzione, redatta da Denis Bertrand e Jacques Fontanille che,
insieme, hanno diretto i lavori di questo lungo seminario, e ne espongono per linee
generali i principali risultati.
La precisazione, allora, era obbligatoria. Ecco che in che modo, viene superato
l’impasse: sulla linea della sintesi epistemologica della semiotica, la questione del
tempo, sarà affrontata nell’ordine di una comparazione tra le varie
rappresentazioni filosofiche. In tale maniera ci si libera della costrizione
linguistica che ancorava ogni tipo di discorso possibile, alla semplice visione
derivata dai tempi verbali. Allo stesso tempo, il riferimento al tipo di approccio
comparativo usato dall’ermeneutica ricoeuriana, è automatico. E infatti subito
dopo, gli autori si ricollegano alla imponente opera, Tempo e racconto, per
evidenziare la necessità di una prospettiva del confronto, data la complessità e la
contraddittorietà delle concezioni del tempo che, nella storia della filosofia, hanno
comportato elementi e posizioni incompatibili: anche dette “aporie temporali”.
L’evidente filo di collegamento, tra l’aporetica di Ricoeur e una semiotica del
tempo, passa anche per un manifesto apprezzamento degli autori, circa il valore
33
Tutte le traduzioni in italiano che compariranno nelle citazioni dal libro, Régimes sémiotiques de la temporalté,
sono mie.
35
delle pratiche narrative, nell’offrire esemplari descrizioni della dialettica tra
‘tempo soggettivo’ e tempo ‘oggettivo’. In quest’ottica, la creatività culturale è
vista come un chiaro punto di riferimento per l’esplorazione delle varie figure e
regimi temporali. E, infatti, non mancano tra gli studi raccolti nel libro,
considerazioni sulle rappresentazioni del tempo nella narrativa: dalla Recherche di
Proust34 alle Illusioni parallele di Balzac35, fino al Dottor Pascal di Zola36.
È proprio sulla base della differenza, evidenziata da Ricoeur, tra le due grandi
tendenze nella storia filosofica in merito al problema del tempo, che gli autori
dell’introduzione teorica allo studio sui regimi temporali, pongono una prima
ripartizione, come possibile fondamento epistemologico di una semiotica del
tempo: la distinzione maggiore, il cui orizzonte è di natura ontologica, tra i due
grandi regimi temporali di “tempo dell’esistenza” e “tempo dell’esperienza”.
Vediamo adesso, in che modo, la semiotica riesce a sfruttare la sintesi che gli è
propria, applicando le proprie acquisizioni sulla fenomenologia dell’enunciazione,
per una lettura personale delle rappresentazioni classiche di questo problema di
natura ontologica. La differenza tra regime semiotico dell’esistenza e regime
semiotico dell’esperienza, infatti, deriverà tutta da una lettura di tipo enunciativo
che riuscirà a mediare il contrasto fra essere eterno e umano divenire. Scrivono gli
autori:
34
Saggio di Anne Simon sul possesso del tempo del corpo femminile in Proust.
35
Saggio di Jacques Fontanille sui diversi valori dell’istante che, nella figura dell’immediatezza, riconfigura tre
diversi e successivi regimi temporali.
36
Saggio di Adeline Wrona sull’ultimo romanzo di Zola e sul rapporto fra generi e regimi temporali.
37
Traduzione mia.
36
Ma, attenzione: non bisogna cadere nel rischio di considerare il tempo come
sola proprietà della Esistenza. Infatti, è questo il presupposto che ha portato le
varie concezioni filosofiche all’aporetica temporale, esposta da Ricoeur;
quest’ultimo modo di vedere, corrisponderebbe a una lettura puramente formale
dell’enunciazione ontologica. Abbiamo visto in che modo, invece, si possa
considerare in termini fenomenologici il processo enunciativo. In altre parole, la
possibilità di pensare alla temporalità, come il prodotto di un debrayage
ontologico, comporta la logica presupposizione che questo tempo faccia parte
dell’intero processo enunciazionale, e dunque anche dell’orizzonte ontologico di
provenienza. Il tempo diventa allora una dimensione autonoma del processo,
modulata in maniera differente, a seconda che si consideri il debrayage o il
corrispettivo embrayage ontologico.
38
Cfr. paragrafo 4.4, la dialettica interna fra non-soggetto e soggetto, in Coquet.
39
[Bertrand – Fontanille 2006, pag 4]
40
Ibidem
37
sensibile, e della presenza immediata al mondo; il che implica un embrayage
ontologico. Questa alternativa può essere riassunta nella tabella seguente:
41
Traduzione mia
42
Ibidem
38
Dopo aver delineato le basi generali di una tale semiotica, l’introduzione ai
Régimes, prosegue immediatamente con una serie di esempi. Si fa una trascrizione
semiotica della riflessione di Platone sulla impronta – cioè memoria – vista come
“figura” a due facce: dalla parte dell’esperienza al presente, essa è pensata in
quanto sovrapposizione tra l’immagine del passato e la stessa traccia presente;
dalla parte dell’esistenza, essa proietta per presupposizione le possibili cause
passate della sua presenza, pensabili sotto forma di percorso narrativo e figurativo.
Altro esempio è l’occasione, un’altra figura del tempo, che viene considerata
secondo i due punti di vista. In una prima ottica, la si guarda come parte
d’esperienza: sotto questo regime, si sottolinea la presa percettiva delle indefinite
interazioni e intersezioni della ragnatela di percorsi, e la coscienza della loro
coincidenza con la posizione dell’osservatore. Nell’altra chiave di lettura, intesa
cioè come parte d’esistenza, si considererà la riconfigurazione della convergenza
tra il percorso dell’osservatore con le intersezioni attuali, o, inversamente, lo
sguardo di insieme che precede l’inserimento di una situazione nella determinata
griglia di percorsi.
mediante una riflessione sulle “condizioni ultime di intelligibilità” della disciplina, che derivano dagli stessi
39
risiede anche nella semiosi stessa che, riunendo piano dell’espressione e del
contenuto, sintetizza i regimi temporali, superando la loro eterogeneità e le loro
incompatibilità. Infatti, la capacità della lettura semiotica di riunire i due diversi
regimi temporali dell’occasione, vista come “la parte in un tutto” e come “una
parte del tutto”, è la stessa che permette all’intrigo – nella epistemologia
dell’evento storico – di riunire “entro una totalità intelligibile”, spiegazione storica
e comprensione narrativa degli eventi.
Riassumendo, dunque, la sintesi dell’eterogeneo è operata, per Ricoeur, dal
racconto (storico o di finzione) il quale permette di risolvere le aporie del tempo;
secondo l’impostazione teorica appena presentata, invece, è la semiosi stessa che
“avrà il potere di sintetizzare i regimi temporali” in un unico processo di pratica e
teoria del tempo.
Una breve esposizione analitica, in questo senso, della concezione del tempo in
Agostino e in Heidegger, permette agli studiosi far emergere i vari grimaldelli
elencati sopra, per l’individuazione della dialettica fra i regimi. Facendo poi un
confronto, dei risultati ottenuti, emergono due visioni complementari. Infatti, da
principi delle configurazioni narrative, le quali si radicano nella temporalità caratteristica del mondo dell’azione.
44
Traduzione mia.
40
un lato, Agostino costruisce la sua fenomenologia temporale e approda
all’elaborazione dell’esperienza del triplice presente, sulla base di una non-
esistenza; dall’altro lato, Heidegger nega il valore dell’esperienza, tesa e
angosciante, dell’esserci, a partire da un’idea di vero Essere (“esistenza”)
presupposto. Da questo confronto, seppure le concezioni approdano a
rappresentazioni opposte dei tempi di esistenza ed esperienza, nei due casi, “la
rete concettuale rimane tuttavia la stessa: passioni, posizioni d’enunciazione, atti
di linguaggio, immagini cognitive e figure-segni”.
Una seconda parte è dedicata, invece, alle dinamiche tensive fra i due tipi di
tempo, oggettivo e soggettivo, dell’esistenza e dell’esperienza, che generano le
figure di un “terzo tempo” che può essere il risultato di modulazioni diverse che
45
Traduzione mia.
41
risolvono questa tensione. Per esempio, si può parlare del regimi differenti che
sottostanno alle rappresentazioni del tempo calendario, del tempo liturgico, del
tempo della storia, del tempo del mito. Naturalmente, nulla toglie la possibilità di
analizzare i passaggi di entrata e uscita da questi tipi di tempo, i passaggi da un
regime temporale all’altro e le mediazioni prodotte dalla costruzione di diverse
forme di mediazione.
42
costruzione di un modello che espliciterà le proprietà e le regole interne di questa
generazione proliferante di regimi temporali. [Bertrand – Fontanille 2006, pag 26]
CAPITOLO II
TEORIA DEL TEMPO IN BORGES
43
1. Un tremulo ed esigente problema46
Dopo aver esposto le posizioni teoriche e pratiche della semiotica in merito alla
questione del tempo, in questo capitolo, esporremo la particolare e malleabile idea
del tempo che affiora dai racconti di Jorge Luis Borges. Tuttavia, cercare un punto
di partenza per l’esposizione della sua teoria a riguardo, non può che provocare un
certo impaccio: egli stesso, infatti, ammette – all’inizio della Nuova confutazione
del tempo – di non prestare fede alle proprie argomentazioni.
Tra i vari aforismi inseriti all’inizio del suo Aut-Aut, Kierkegaard47 ne scrisse uno
che recita: “Ciò che i filosofi dicono della realtà, è così deludente come la scritta
che si legge da un antiquario: qui si stira – e se si ritorna col proprio vestito per
farlo stirare, si resta buggerati. Era una scritta in vendita!”.
Ebbene, questo detto sembra non valere per Borges. Il suo unico ‘vestito’,
infatti, è sempre stata la letteratura, e la filosofia – o meglio – le suggestioni che
da essa ricavava continuamente, hanno contribuito in grande misura alla
sistematica dei suoi scritti48. Ecco perché, nonostante la sua dichiarata disillusione,
l’autore non si risparmia – in termini di pagine e di fatica intellettuale – nella
dimostrazione del carattere illusorio del tempo. Credere a un letterato, in questo
caso, significa allora comprendere quale aspetto del suo discorso, dichiaratamente
plastificato, egli ricopra di valore. E l’unico interesse per un artista, non può che
essere di carattere estetico. La contraddizione, allora, smette di essere tale, nel
momento in cui consideriamo che Borges era, prima di tutto, un produttore di
finzioni, ma anche un uomo che ‘pensava con il testo’. Sarebbe, allora,
interessante vedere in che modo le architetture fantastiche dei suoi racconti, che
giocano a spezzare in vari modi la ‘freccia’ orientata del tempo, riescono a
conciliarsi con la sua dichiarata consapevolezza della successione temporale
irrevocabile, arrivando a costruire un’estetica del paradosso49 temporale.
44
Borges – attraverso i suoi artifici strutturali – la ‘penserà’ come lui [Eco 1989] 50,
confermando o smentendo, al livello semantico profondo, il sistema filosofico che
egli sviluppa nella Confutazione e che, confessa, “appare in un certo modo in tutti
i miei scritti”. In questo capitolo, dunque, prendendo come riferimento
quest’ultimo e definitivo saggio, daremo contezza di quella dell’idea di non-
tempo, che appare come il fondamento teorico delle varie fantasie elaborate da
Borges nei suoi racconti.
una revisione del primo. Deliberatamente, non ho fatto dei due un solo articolo,
perché credo che la lettura di due testi analoghi possa facilitare la comprensione di
una materia indocile. [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 1070]
Del resto, il solo fatto che la raccolta di inquisizioni si intitoli “Altre”, presuppone
l’esistenza di altre, scritte prima: infatti, è così. Nel 1925 la raccolta
“Inquisizioni”51 finì per essere ripudiata dall’autore per l’eccessiva sofisticatezza
barocca dello stile con cui erano state redatte. Come disse una volta Alberto
Hidalgo52, poi confermato dal diretto interessato, Borges aveva l’abitudine di
“scrivere la stessa pagina due volte con variazioni minime”; anche se, alla fine, lo
scrittore sembrava giudicare le seconde versioni “quasi echi spenti e involontari,
sogliono essere inferiori alle prime53”.
Nel nostro caso, allora, ci rivolgiamo con interesse alla prima raccolta, per rendere
conto di una delle grandi passioni di Borges, che lo fecero avvicinare alla
filosofia: i paradossi, le antinomie della matematica e della logica di Zenone. Fu
sicuramente suo padre, Jorge Guillermo, avvocato, insegnante di psicologia e
professore di inglese, a contagiargli questo interesse, proprio come accadde per
l’altra passione, di cui ci occuperemo in seguito: l’idealismo. Come racconta lo
scrittore Fernando Savater54:
50
Cfr. cap. 3, paragrafo 1.2
51
[Inquisizioni, Finzioni Editrice, Torino 1994]
52
Scrittore e poeta peruviano, autore di Voces de colores, vissuto a Buenos Aires (1897 – 1967)
53
[J. L. Borges - Tutte le opere volume II 1985, pag 5]
54
[Borges, Editori Laterza, trad. it Bari 2003]
45
quell’età, davvero non riveste alcun interesse è proprio il prestigio degli antichi
saggi). [Fernando Savater 2003, pag 20]
È assurdo immaginare che la freccia non sia esistita durante il periodo fra i momenti
in cui X l’ha persa di vista e l’ha ritrovata.
È logico pensare che essa sia esistita – anche se in un certo modo segreto, di
comprensione vietata agli uomini – in tutti i momenti di questo periodo.
Per chiarire in che termini questo, che non sembra affatto un paradosso (infatti la
sua conclusione non sembra contraddire le premesse) venga invece presentato
come tale, bisognerà utilizzare la chiave di lettura della filosofia idealista, che
nella Confutazione, sarà la premessa teorica della dimostrazione del non-tempo.
Ma questo aspetto lo presenteremo più avanti55. Per motivi di esposizione, allora,
lasciamo in sospeso le condizioni di intelligibilità di questo enigma, e continuiamo
a testimoniare la passione dello scrittore per le antinomie logiche. Passiamo in
rassegna le riflessioni di Borges sul paradosso di Zenone, che gli fu mostrato dal
padre, inserite nei saggi La perpetua corsa di Achille e la tartaruga e
Metempsicosi della tartaruga56. Lo scrittore argentino, li inserisce nella raccolta
“Discussione”, del 1932, quasi dieci anni dopo le prime “Inquisizioni”.
Tali stimoli egli li definì “immediati e accessibili incanti delle matematiche, che
perfino un semplice uomo di lettere può capire, o immaginare di capire 57”. Proprio
su di essi, tra gli altri, egli costruirà in seguito gran parte delle sue fantasie su
infinito, tempo e realtà (motivi dominanti nella sua opera), tanto che Piergiorgio
Odifreddi58 ha avanzato la definizione di “letteratura del paradosso”, per
caratterizzare la produzione borgesiana. Ecco il paradosso di Achille:
55
Cfr. paragrafo 3.4
56
Entrambi i saggi sono inseriti in Discussione [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 379 e pag 393]
57
[J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 424]
58
Matematico, redattore di due saggi su Borges, Scandali della ragione e Labirinti dello spirito, da me reperiti sul
web.
46
Tenendo a precisare che, di questo passo, anche i corridori diminuiscono di statura
(“per la diminuzione mirabile a cui li costringe l’occupazione di posti
microscopici”), l’autore sottolinea l’unica condizione in grado di minacciare
l’indistruttibilità dell’assurda dialettica zenoniana:
Cosa vuol dire tutto ciò? Significa che l’esposizione dell’eleate, non risulta più
paradossale, ovvero inconcepibile, nel momento in cui si accetta il mondo reale
come percezione illusoria, che cambia a seconda del punto di vista
dell’osservatore. Infatti, per lui, il paradosso appena esposto
È un attentato non solo alla realtà dello spazio, bensì a quella più invulnerabile e
sottile del tempo. Aggiungo che l’esistenza di un corpo fisico, la permanenza
immobile, lo scorrere di una sera della vita, si allarmano di avventura per colpa sua.
Quella decomposizione, accade mediante la sola parola infinito, parola (e poi
concetto) di spavento che abbiamo generato temerariamente e che una volta
ammessa in un pensiero, esplode e lo uccide. [J. L. Borges - Tutte le opere volume I
1984, pag 385]
Ecco che, allora, Borges ha trovato il linguaggio, non solo per confermare le tesi
idealistiche, ma per andare anche oltre, come farà nella Confutazione. Infatti, egli
negherà, non solo la dimensione assoluta dello spazio, ma perfino la consistenza
di un tempo, costituito dalla successione dei diversi istanti di percezione. Lo
scrittore, cioè, trova nella logica del paradosso, un grimaldello retorico per poter
affermare l’irrealtà dell’universo, considerato come referente autonomo rispetto
alle sensazioni soggettive, proprio come fecero gli idealisti.
Allo stesso tempo, si iniziano a definire anche le basi della sua estetica
letteraria, in conclusione dell’altro saggio, Metempsicosi della tartaruga. Infatti,
non appena si riconosce l’irrealtà del mondo fuori dalle proprie percezioni
soggettive, si è liberi di sviluppare su questa base ogni tipo di fantasia, in termini
realistici. Ma l’architettura fantastica messa in piedi, avrà sempre bisogno di un
accenno al fatto che si tratti proprio di un sogno irreale, pena l’insignificanza della
visione, il cui valore estetico è generato dalla frizione enunciata tra realtà e
finzione: la qualità che la definisce sta proprio nel suo essere non-vera per quanto
sembri-vera. Dunque, in Metempsicosi, ecco che egli afferma la necessità di
seminare nelle fantasie irreali, delle tracce che denuncino il carattere aleatorio
della stessa unica realtà percepita:
47
L’arte – sempre – richiede irrealtà visibili. [...] Ammettiamo ciò che tutti gli
idealisti ammettono: il carattere allucinatorio del mondo. Facciamo ciò che nessun
idealista ha fatto: cerchiamo delle irrealtà in grado di confermare tale carattere. Le
troveremo, credo, nelle antinomie di Kant e nella dialettica di Zenone. [J. L. Borges
- Tutte le opere volume I 1984, pag 399]
Noi (la indivisa divinità che opera in noi) abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo
sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo; ma
abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità, per
sapere che è finto. [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 399]
48
versione della realtà, Storia dell’eternità, La dottrina dei cicli, Il tempo circolare,
Il tempo e J.W. Dunne e La creazione e P.H. Glosse. In ciascuno di questi testi, lo
scrittore argentino ragiona sul tempo, dai due punti di vista possibili: punto di
vista dell’eternità, punto di vista del tempo. Allora, prima di affrontare la ‘tesi
definitiva’ della Confutazione, fornirò un breve resoconto per ciascuno di essi.
Come mai non ho intuito che l’eternità, anelata con amore da tanti poeti, è uno
splendido artificio che ci libera, seppure fugacemente, dall’intollerabile oppressione
del successivo? [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 521]
49
Dopo aver affermato l’impossibilità di determinare la direzione del tempo (“che
esso scorra dal passato verso il futuro è la credenza illogica quanto la credenza
contraria [...] e ugualmente impossibile da verificare”), egli illustra con sveltezza
ironizzante il concetto di eternità secondo i platonici: il primo modello di eternità,
che riversa nel tempo una sua immagine, “un’eternità che è più povera del
mondo”.
Il secondo modello è quello cristiano di Sant’Agostino (“la nostra eternità”), il
quale non presenta altra spiegazione che il suo essere conseguenza dell’idea
dogmatica della Trinità, il cui “ordine” venne dato dal “vescovo Ireneo”. Dopo
aver esposto “in ordine cronologico, il dibattuto e curiale sviluppo dell’eternità”,
l’autore inizia ad introdurre una serie di citazioni letterarie, da Santayana a
Lucrezio, per poi ritornare a Sant’Agostino che parla del triplice presente,
riferendosi alla rimembranza di una poesia. In quei diversi tempi inclusi in un
tempo solo interno all’uomo, Borges vede un rivestimento di eternità alle nostre
passioni nel ricordo, intenerito dalla lontananza nel tempo, e ‘umanizzando’
Agostino, rende ‘letteratura’ il problema dicendo che un modello unanime
dell’eternità è la nostalgia: “Lo stile del desiderio è l’eternità”.
61
Stessa miseria per cui si sente disgraziato alla fine della Confutazione.
62
Cfr. in merito, cap. 3, paragrafo 22.2
50
scrittore argentino si rifà alla dottrina dell’Eterno ritorno dell’uguale cui,
ironicamente, dice di essere “solito ritornare eternamente”. Non manca di riportare
anche chi sconfessò questa teoria come, per esempio, lo stesso Agostino: se la
storia si dovesse ripetere si dovrebbe pensare che “il Verbo muoia come un
saltimbanco sulla croce, in altrettanti infiniti spettacoli”.
All’inizio della Dottrina, Borges riporta l’argomentazione tipica del tempo ciclico,
partendo dalla finitezza del numero degli atomi e delle loro combinazioni, finendo
per riversare le stesse conseguenze all’insieme della vita umana. La cosa
interessante, però, è che più avanti lo scrittore confuterà la dottrina dei cicli per
quel che riguarda il mondo fisico (usando la seconda legge della termodinamica63),
riservando all’esperienze individuali l’esclusività della condanna al ritorno.
51
da Chateaubriand – sulle impossibili coordinate temporali della Creazione e del
Giudizio universale. Infatti, postulando che “qualunque istante è conseguenza del
suo stato nell’istante precedente” (dalla Logica di John Stuart Mills), si ammette
la possibilità di una successione causale di stati infinita nel futuro, fino
all’interruzione del Giudizio di Dio. In questo modo, logicamente, la catastrofe
divina interromperebbe una serie di un infinito futuro già scritto, ma non che non
si verificherà, come diremmo noi, ‘virtuale’. Allo stesso modo, Gosse pensò a un
infinito passato ipotetico, che è diventato reale soltanto a partire dalla Creazione.
“Un passato ipotetico, naturalmente, ma minuzioso e fatale” che – suscitando gli
entusiasmi di Borges – esistendo nominalmente per quanto irreale, riduce
“involontariamente all’assurdo la creatio ex nihilo”, dimostrando indirettamente,
allo stesso tempo, che l’universo è eterno. Un altro esempio del potere lampante
della retorica del paradosso.
All’inizio Borges dice di negare fede alla stessa confutazione che però
“appare in un certo modo in tutti i miei libri”. Partendo dall’idealismo elabora una
teoria propria per negare che esista il tempo. Il grande impegno personale che
mette nell’argomentare questa sua tesi, in realtà, è proporzionale allo sforzo che
servirebbe per crederci. Infatti, alla fine, il tutto risuona come una ricercata
giustificazione filosofica che stia a fondamento dei suoi racconti fantastici sul
tempo. Racconti (e giustificazione filosofica) che invece fungono soltanto da
“consolazione segreta” alla crudele irrevocabilità del destino. L’inquisizione
termina con una serie di aforismi paradossali che descrivono proprio ciò che dà il
tormento a Borges e che lo fa sentire un disgraziato: la vissuta consapevolezza del
paradosso temporale.
64
Cfr. paragrafo 1.1
52
3.1 Prologo
Fin dalla seconda frase, Borges denuncia l’artificiosità del contenuto del
saggio. Rivela, in prima istanza, che si tratta di una “reductio ad absurdum” e poi,
come se non bastasse per sottolinearne la mancanza di valore, aggiunge che egli
applicherà la sua retorica paradossale a un “sistema tramontato”. In tal modo, la
verosimiglianza della vacuità delle proprie argomentazioni, diventa vera, tanto da
fargli confessare che si tratta di un “debole artificio di un argentino perso nella
metafisica”. Un artificio, ma un artificio vero. Nel prologo si fa anche riferimento
all’antico paradosso della freccia di Zenone. In tal modo egli ci dà l’aggancio per
riportare alla luce una questione lasciata in sospeso precedentemente 65: in che
termini il paradosso di Borges può essere considerato tale. A questo torneremo
alla fine dell’esposizione66.
Che una confutazione del tempo, infine, venga definita “nuova”, non può far
altro che confermare la logica dell’assurdo che sta alla base di tutto il saggio. Non
di meno, l’autore – consapevolmente – decide di lasciare questa “burla”, ad
ulteriore prova del fatto che “non esagero l’importanza di questi giuochi verbali”.
53
L’esposizione parte da alcune affermazioni di Berkley, il cui merito risiede negli
argomenti che portò a sostegno delle ipotesi idealiste. Per fare una summa delle
citazioni inserite da Borges – sia nel primo che nel secondo articolo – questa è la
sua idea:
Parlare dell’esistenza assoluta delle cose inanimate, senza relazione con fatto che
esse siano o no percepite, è per me insensato [...] Non nego che la mente sia capace
di immaginare idee; nego che gli oggetti possano esistere fuori della mente. [...] [Il
tempo] è la successione di idee che fluisce uniformemente e di cui tutti gli esseri
partecipano. [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 1073 – 1074]
Come afferma l’autore, risulta semplice capire questa dottrina; quello che è
difficile, “è pensare dentro i suoi limiti”. Per dare un saggio delle trappole che
riserva un tale ragionamento, Borges cita errori illustri. Prima di tutti quella che,
secondo lui, sarebbe stata una negligente derivazione di Schopenhauer, dalle tesi
idealiste: egli, infatti, ammette la differenza tra “il mondo che è nella testa” e “il
mondo che è fuori dalla testa”. Altro esempio di interpretazione “perversa”, la si
riscontra in Herbert Spencer, il quale deriva che la coscienza, secondo gli idealisti,
dovrebbe essere infinita nello spazio: ma Berkley, negò lo spazio assoluto.
Del resto, pensare dentro i limiti di una concezione idealista, senza incorrere
in errori teorici, non è possibile se non diventando ‘più idealista degli idealisti’.
Proprio in questo sta la strategia di Borges. Infatti, mentre Schopenhauer e
Spencer, avevano fatto derivare dall’idealismo ipotesi contrarie alle premesse, lo
scrittore argentino sarà ben lieto, invece, di esasperare queste acquisizioni in
merito al tempo.
Ma prima di farlo, egli cita – come esempio di teoria che non contraddice Berkley
– il pensiero di Hume sulla disgregazione della coscienza. Infatti, Hume “lo
scettico” ha in comune con lo scrittore argentino il fatto di esasperare certe ipotesi
idealiste. Se Berkley negando lo spazio assoluto affermò comunque l’esistenza
continua degli oggetti, Hume negò anche questa. Se Berkley affermò l’identità
personale, Hume la negò in nome di “una collezione o fascio di percezioni, che si
succedono l’una all’altra con inconcepibile rapidità”68.
Risultato, da cui parte Borges: nessuno spazio se non quello percepibile, nessuna
identità personale, poiché tutti siamo costituiti da fasci di percezioni.
per Berkley, è la “successione di idee che fluisce uniformemente e di cui tutti gli
esseri partecipano” (Principles of Human Knowledge, 98); per Hume, “una
successione di momenti indivisibili” (op. cit., I, 2, 2). [...] Berkley usò quegli
argomenti [dell’idealismo] contro la nozione di materia; Hume li applicò alla
68
[J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 1074]
54
coscienza; il mio proposito è applicarli al tempo. [J. L. Borges - Tutte le opere
volume I 1984, pag 1074 - 1082]
L’ultimo passo che fa Borges, prima di esporre la sua tesi personale, è un atto di
cura nei confronti del suo lettore. Infatti, prima di negare il tempo, egli tiene a
precisare che tutto ciò di cui si è parlato finora non è altro che
55
Dunque, sulla linea di Berkley che negò la materia, ma senza più riferirsi al non-
soggetto di Hume che negò lo spirito, ecco che Borges nega “quell’altra continuità
che è il tempo [il quale non] esisterà fuori da ogni istante presente”. Infatti, come
per l’idealismo, l’ammissione di realtà esterne a quelle della percezione, non è
altro che “una vana duplicazione, [così anche] la fissazione cronologica di un
fatto, di qualunque fatto del mondo, è estranea ad esso, ed esteriore”.
A questo punto, paradosso vuole, che si dubiti anche della stessa negazione
del tempo. La logica consequenziale con cui si è arrivati a questa conclusione,
infatti, implica necessariamente il carattere ambiguo di tale proposito. Più che
parlare di una negazione del tempo, si può parlare di una affermazione
dell’eternità, ovvero: non è possibile neanche parlare di solo presente di
percezione, giacché
72
Cfr. paragrafo 1.1
56
Abbiamo detto all’inizio73 che i due articoli inseriti nel saggio presentano la
stessa organizzazione, la stessa struttura: 1) premesse idealiste, 2) estreme
conseguenze paradossali per negare il tempo, 3) conclusione redatta nella vera
filosofia borgesiana: la letteratura.
Nel precedente paragrafo, abbiamo esposto i primi due stadi dell’argomentazione,
attraverso una lettura parallela dei due articoli. Si è visto in che modo lo scrittore
faccia collassare il sistema idealistico, in base a un’argomentazione piuttosto
teleologica. Ma, abbiamo anche appena sottolineato che tale carattere finalistico,
in realtà, comporta l’impossibilità stessa di dare un fondamento a ciò che si è
appena detto. L’ultima possibile negazione del tempo, in termini di linguaggio,
corrisponde alla negazione di passato e futuro: non si può eliminare il solo
presente di percezione per una dimostrazione del non-tempo, ma non lo si può
neanche lasciare incontaminato, poiché esso stesso porta su di sé il retaggio della
successione.
In questo paragrafo, allora, ci occuperemo di studiare l’ultima fase
dell’argomentazione, cui viene lasciato il compito di terminare la stesura di
entrambi gli articoli: le conclusioni letterarie, tramite le quali Borges configura,
con il linguaggio a lui consono, l’unica realtà concepibile che non sia
contraddittoria con il concetto di tempo negato: l’eternità. Come vedremo anche
nel prossimo capitolo74, la chiave per potere affermare la veridicità dell’eternità
sarà il soggetto che la percepisce.
Alla fine del primo articolo, dopo aver evidenziato che un solo termine
ripetuto basta ad eliminare la serie temporale, viene usato il concetto per
dichiarare che “non esiste pluralità: [...] Le clamorose catastrofi generali – incendi,
guerre, epidemie – sono un solo dolore, illusoriamente moltiplicato in molti
specchi”. Questa conseguenza estrema, che conduce all’eliminazione della
differenza tra eventi di ordine diverso, sarà la base di intelligibilità di quella che
chiameremo “la retorica del finto dualismo”75. Due momenti percettivi uguali (in
questo caso causanti un solo dolore), allora, sono lo stesso momento, e non due
diversi momenti posti in una serie. È questo principio che regola il motivo centrale
del racconto Sentirsi in morte.
Quest’ultimo, infatti, è il resoconto di un’esperienza vissuta da Borges, proprio
durante uno di quei momenti di ripetitività, che erano alla base del pensiero
sull’eterno. La trama l’abbiamo riassunta precedentemente76.
Quello di raccontare un’esperienza vissuta, allora, resta l’unico modo per
concludere una riflessione dimostrativa del non-tempo, e per comunicare
razionalmente un concetto che sfugge all’”indole successiva” del linguaggio,
incapace di “ragionare l’eterno, l’intemporale”. Infatti, la successione temporale,
mentre è facilmente confutabile sul piano sensibile, è inseparabile dal piano
73
Cfr. paragrafo 3.2
74
Cfr. cap. 3 paragrafo 29
75
Cfr. cap. 3, paragrafi 19.2 e 21.1
76
Cfr. paragrafo 2.2
57
intellettuale: per il concetto e per l’incatenamento della coscienza sottoposta al
principio di ragione, essa esiste:
Questa realtà “di ferro”, indiscutibile, che con i racconti ‘si piega ma non si
spezza’, si basa infatti sul dominio della successione. In questa confutazione del
tempo, Borges è ormai costretto a fare la sua unica diretta ammissione di sconfitta:
ciò che ha scritto – adesso e in altre occasioni – è soltanto il tentativo auto-
consolatorio (negare l’universo astronomico) di un disperato (il cui tempo scorre e
passa).
77
Citazione di Schopenhauer [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 1088]
58
temporale di cui si è occupato Ricoeur.78 E, come ricordiamo bene, quest’ultimo
era proprio lo stesso che attribuiva al racconto, all’opera, il potere di circoscrivere
l’aporia in una “totalità successiva”, senza risolverla, ma mettendola in scena.
Dopo una tale ammissione di sconfitta, allora, al poeta non resta altro che
rifugiarsi nelle maglie di un linguaggio che sia indiretto, che abbia una profondità
maggiore di significazione. Un linguaggio che senza risolvere riesce, comunque, a
dar contezza di questo problema, a metterlo in scena. Un linguaggio che contenga
una cosa indicibile direttamente. Questo è il regno della metafora, il cui significato
non indica un oggetto (che sia reale o filosofico) ma una impressione. Il
significato della metafora che leggiamo è proprio la sensazione che ricaviamo da
questo strano modo di accostare le parole. In questo caso bisogna accostare il
tempo e l’eternità, la nostra coscienza soggettiva e il nostro stesso scadere nel
divenire. Ecco allora l’inevitabile fine poetica, metaforica, di questa fallita
confutazione filosofica, che riunisce teoria del tempo e teoria del soggetto:
1) Il tempo interiore. Il tempo siamo noi che agiamo su noi stessi. Uno che è
occupato ad agire sulla propria persona, uno che dirige la propria azione verso se
stesso, esclude – tra le altre varie azioni possibili – anche ogni altra azione rispetto
alla categoria spaziale; resta immobile, o meglio, annulla lo spazio e non fa un
passo in avanti, non si muove veramente (La penultima versione della realtà).
Questa immobilità fisica mima il nostro spirito eterno, il tempo interiore,
immobile.
78
Cfr. cap. 1, paragrafo 2
79
Cfr. cap. 3, paragrafo 29.1 e 29.3
59
2) Il tempo cronologico. Il risultato di questa immobilità, di questa azione su
noi stessi è, paradossalmente, una mobilità non voluta. L’altro effetto è, infatti,
quello di essere trasportati in una successione che è “la sostanza di cui siamo
fatti”, è la nostra realtà, come dice la premessa. E noi non possiamo che vivere le
varie sensazioni provocate da questo nostro agire su noi stessi, andando avanti
mentre stiamo fermi. Infatti, la tautologia nascosta nelle prime due frasi, per cui il
tempo è la sostanza di cui siamo fatti e questa stessa ci trascina, evoca l’immagine
di esseri ‘posseduti’ da una forza che ci trascina.
Tutto quanto detto prima, allora, diventa la conferma della “burla” contenuta
nel titolo stesso della Confutazione, in quanto essa non confuta proprio nulla. In
tutta l’inquisizione, infatti, Borges ammette che, per consolarsi, tutti i suoi
racconti (sul tempo naturalmente) giocano a negare il tempo, il tempo che passa. Il
titolo Nuova confutazione del tempo, dunque, significa semplicemente: Un altro
mio racconto. Nell’aggettivo “nuova” si respira tutta quella ironia tipica del
disilluso. Lo scritto, infatti, è nuovo sicuramente dal punto di vista quantitativo (è
un’altra cosa scritta da Borges), e sarebbe nuovo anche dal punto di vista
qualitativo contenutistico (infatti è l’unica volta che l’autore parla direttamente di
una tematica sviluppata da lui stesso, e che le altre volte ha trattato indirettamente
mediante i racconti, o mediante commenti personali a libri di altri). Ma a fronte di
queste due apparenti novità, il testo non fa altro che sviluppare il solito tema
letterario della negazione del tempo.
60
sua arte migliore si fonda sul fatto che egli legge in modo insolito, decentrato [...]
Borges opera un sottile cambiamento di prospettiva – come quello che propone alla
fine di Pierre Menard – che non disdegna di leggere opere di filosofia come se
appartenessero al genere fantastico o le opere di Agatha Christie come se fossero
state scritte da san Tommaso d’Aquino. [Savater 2003, pag 64]
A mio giudizio, lo studio migliore e più esaustivo sul tema è quello di Juan Nuňo,
intitolato La filosofia de Borges. L’autore si propone un lucido percorso attraverso i
principali temi metafisici che intrigarono Borges – l’infinitezza dei mondi, gli
archetipi platonici, l’io illusorio, i paradossi del tempo... – nei testi di prosa
maggiormente conosciuti. Malgrado il titolo del libro, Nuňo sostiene la tesi che
Borges sia carente di una sua filosofia e che s’interessi unicamente alle idee più
salienti coniate da altri per ragioni ludiche o estetiche. [Savater 2003, pag 64]
Come abbiamo detto noi, allora, conferma Nuňo. L’autentico piacere che deriva
dalla lettura dei suoi testi, effettivamente, si perderebbe se dovessimo fissarci
eccessivamente sulle relative tematiche metafisiche su cui essi lavorano. Come
80
Cfr. Sentirsi in morte [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 543 e 1081]
81
Cfr. cap. 3, paragrafo 16.1
61
dice Nuňo, “il contenitore vale più dei temi”. Ma in fondo, in questa dichiarazione
del distacco ironico di Borges, nei confronti delle verità filosofiche, non possiamo
che riscontrare la profonda comprensione dello scrittore argentino della stessa
tradizione filosofica.
Infatti, le risposte alle questioni filosofiche (davanti alle quali sicuramente il
tempo ci colloca) non risolvono completamente gli interrogativi, soddisfacendo la
nostra sete di soggetti di conoscenza, ma ci coinvolgono in quanto persone che
vivono dentro queste questioni. E il gioco di bilanciere che cerchiamo di
mantenere nell’accrescimento del sapere, finisce farci addentrare sempre più nel
dubbio, nell’utilizzazione di linguaggi sempre più complessi, piuttosto che
nell’uscire fuori di esso, attraverso domande su ciò che siamo.
In quest’ottica, allora, ben vengano i racconti e le poesie di Borges, in quanto
espressione del contrasto fra
62
5. Racconti fantastici
Un breve sguardo d’insieme ai vari racconti che parlano del tempo, in effetti,
confermerebbe questa architettura paradossale del non-tempo, come risultato delle
suggestioni letterarie proposteci da Borges.
Per esempio che nella vita di un uomo ci siano le vite di tutti; il fascino per il tema
dell’eterno ritorno (Il Tempo circolare); che in un punto dell’universo ci siano
tutti gli altri punti (spazio) e visti da tutte le angolazioni (tempo) (L’Aleph); che
l’infinita biblioteca di Babele possa essere contenuta in un solo normalissimo e
qualunque libro; che l’attimo prima di morire possa durare un anno intero (Il
miracolo segreto)82; che un libro solo sia un invisibile labirinto di tempo in cui
sono racchiuse tutte le ramificazioni dei possibili passati e dei futuri successivi (Il
giardino dei sentieri che si biforcano); che si possa incontrare nello stesso luogo
(in una panchina davanti a un fiume, cioè incontrare se stesso davanti alla
metafora più nota del tempo) un io passato (L’altro)83 e nessuno dei due sa chi è
che si illude di stare facendo questa esperienza; e molti altri ancora84.
82
Il miracolo segreto (Artifici, pag 739 vol I). Uno scrittore condannato a morte riesce ad ottenere, per un miracolo
di Dio, che il tempo tra lo sparo e l’arrivo della pallottola duri un anno. In questo anno riesce a ultimare, nella sua
mente nei più minimi dettagli, la sua tragedia inconclusa che gli avrebbe permesso di esistere “come autore dei
Nemici” e di non essere soltanto una delle infinite ripetizioni di Dio. Il protagonista muore il giorno fissato all’ora
fissata, subito dopo aver trovato l’ultimo aggettivo per la sua opera.
83
L’altro (Il libro di sabbia, pag 563 vol II). Viaggio nel tempo. Borges incontra da vecchio se stesso da giovane.
Dopo vari argomenti i due discutono su chi sia reale e chi un’illusione.
84
- L’altra morte (L’Aleph, pag 822 vol I ). Sulla irrevocabilità o meno del passato. “Dio può far sì che non sia
stato ciò che è stato”. Per un miracolo, “preparato” dallo stesso protagonista, la sua morte da codardo nel 1946 si
trasforma in una morte da valoroso nel 1906. Il racconto narra delle incoerenze nel passaggio da una storia all’altra
nelle diverse memorie delle persone che la ricordano. Il narratore crede che la vera morte del protagonista sia stata
nel 1946 ma, per un miracolo si annulla tutta la sua vita fino al 1946 da codardo (ovvero le conseguenze della sua
codardia) e lui, per gli altri, muore effettivamente nel 1906. Alla fine il narratore ammette la possibilità che lo
stesso suo racconto, dato nel presente dell’enunciazione per ‘fatto reale’, possa in futuro essere creduto un racconto
di fantasia.
- Utopia di un uomo che è stanco (Il libro di sabbia, pag 625 vol II). Viaggio nel tempo. Un uomo viaggia nel
futuro e torna a casa con un “quadro che qualcuno dipingerà, fra migliaia di anni, con materiali oggi sparsi sul
pianeta”.
- 25 agosto 1983 (Tre racconti, pag 1121 vol II). Viaggio nel tempo. Borges incontra a 61 anni se stesso a 84 nel
giorno del suo suicidio. “L’importante è accertare se c’è un solo uomo che sogna o due che si sognano”. “La verità
è che siamo due e che siamo uno”.
63
Sapendo, da quanto detto sopra, che lo scrittore era consapevole della falsità di ciò
che scriveva85, l’analisi semiotica potrebbe cercare le tracce di questa enunciata
consapevolezza e trovare alla fine dei risultati contrastanti con quanto delineato
paradossalmente nella Confutazione. Queste ipotetiche tracce potrebbero trovarsi
in qualche meccanismo testuale che si colloca segretamente a un livello semantico
più profondo. Se così fosse, potremmo dare ragione di quel contrasto che si crea,
tra quanto dicono di fantastico i racconti al livello testuale-figurativo, e lo sforzo
del narratore stesso nel farli apparire verosimili. In questo caso, saremmo noi a
scovare l’artificiosità superficialmente confermata nel Giardino, dando magari un
contributo in più e maggior credito all’estetica borgesiana delle irrealtà visibili.
A questo riguardo, sarà utile un’analisi attenta al regime testuale della veridizione,
ovvero alle marche cui il testo assegna il compito di indicare la sua verità.
Per far questo, utilizzeremo il metodo cosiddetto ‘classico’ dell’analisi strutturale,
ispirandoci al modello delineato da Greimas [1976] nella sua analisi di un
racconto di Maupassant. Riteniamo, infatti, che l’uso ermeneutico della struttura
in questo caso specifico, sia la chiave di volta per un particolare tipo
d’interpretazione di un racconto, la cui organizzazione narrativa appare, già in
superficie, abbastanza caotica.
CAPITOLO III
ANALISI DEL TESTO
64
Il testo di Borges che qui prendo in analisi, Il giardino dei sentieri che si
biforcano, chiude la raccolta omonima data alle stampe nel 1941. Soltanto
successivamente, infatti, ad essa si è aggiunta l’altra raccolta, Artifici, del 1944, e
insieme sono state riunite sotto il nome di Finzioni.
Sottolineiamo fin dall’inizio un dato che, per ragioni di esposizione, mi limito a
riportare brevemente ma la cui pertinenza verrà confermata in seguito, mediante
l’analisi che ne svelerà alla guida un’intenzionalità di fondo. Sembra, cioè, che
Borges scriva iniziando dalla fine e finendo con l’inizio; fenomeno o tecnica
narrativa che, prima della sua conferma analitica, mi sia concesso indicare
provvisoriamente con il nome di “spettro della ciclicità”.
Il racconto in questione, infatti, chiude questa prima raccolta di finzioni ma, non di
meno, le apre anche tutte. La sua prima apparizione si situa proprio in apertura
all’intera raccolta, con una breve indicazione posta fuori dal testo, dunque, ma che
ad esso rinvia il lettore. Borges, nella premessa, inizia ad esporre i vari racconti
partendo proprio dall’ultimo. L’autore parla subito del Giardino:
Gli otto scritti di questa raccolta non hanno bisogno di chiarimenti importanti.
L’ottavo (Il giardino dei sentieri che si biforcano) è poliziesco: i lettori assisteranno
all’esecuzione e a tutti i preliminari di un delitto il cui scopo non ignorano, ma che
non comprenderanno, mi sembra, fino all’ultimo paragrafo. Gli altri... [J. L. Borges
- Tutte le opere volume I 1984, pag 621]
In realtà, se è nell’ultimo paragrafo che si scopre il perché del delitto, è appena nel
penultimo che si capisce di aver avuto a che fare con la preparazione di un delitto.
Il delitto, dunque, c’è nel testo; non è, però, della sua ‘presenza’ che si riempie la
narrazione.
Entriamo adesso nel merito di questo chiarimento sul racconto, che ci permette di
annotare due aspetti che precedono l’analisi ma, allo stesso tempo, la
predispongono.
65
di poliziesco si parli. Per assolvere a questo compito, ci riferiremo alla
suddivisione di Yves Reuter [Reuter 1998] che nel suo saggio, Il romanzo
poliziesco, individua tre “correnti principali” di questo genere, enigma, noir e
suspence, cercando di stabilire a quale delle tre appartenga il Giardino: quale sia,
cioè, la caratteristica predominante che, per il suo autore, lo farebbe appartenere al
poliziesco.
Dal confronto escludiamo, in primo luogo, l’opzione enigma in base al fatto che
nel nostro racconto chi commette il delitto è noto fin dall’inizio ma, soprattutto, in
base al fatto che il delitto compare alla fine e non all’inizio, non è esso l’evento
scatenante (nel senso di già compiuto) che mette in moto il racconto; di
conseguenza, manca una “storia dell’indagine” che si unisce con la “storia del
delitto” alla fine del racconto; e manca infine quel carattere di razionalità
‘enigmistica’ che domina invece nei romanzi-enigma, il gioco del mettere insieme
i vari dati, i vari indizi (tra i numerosi esempi citabili spiccano sir Arthur Conan
Doyle con il suo Sherlock Holmes, i 25 polizieschi di Agatha Christie inventrice
dell’ispettore Poirot e di miss Marple, oppure le oltre 50 avventure pubblicate
negli Stati Uniti da Ellery Queen).
Oltre alla centralità dell’azione, nel saggio si citano come caratteristiche principali
del noir il rischio e la morte considerati come sempre possibili per tutti (buoni e
cattivi), le descrizioni che aumentano il realismo, la varietà degli universi e degli
strati sociali implicati, e la capacità dei personaggi di evolversi e trasformarsi nel
corso della storia. Infine, nel saggio si cita anche l’autorevole Todorov che, ne La
tipologia del romanzo poliziesco [1977]87 sottolinea la centralità “dell’ambiente
rappresentato, dei personaggi e dei loro atteggiamenti particolari; in altre parole la
sua caratteristica costitutiva è tematica” [Todorov 1977, pag 14].
Non mi sembra, tuttavia, che il Giardino sviluppi qualcuna delle tematiche tipiche
di questo particolare sotto-genere del poliziesco: nessun caso di torbide relazioni
tra personaggi, niente scontri fisici, niente affreschi di una società allo sbando,
nessuna sordida ambientazione, nessun pessimismo di fondo; nessun ‘umore
nero’, insomma. Ma ciò che più interessa in questa sede riguarda delle annotazioni
che Reuter inserisce nel suo saggio in riferimento alle modalità di
rappresentazione dello spazio e del tempo:
87
Apparso in Poetica della prosa, Milano, Bompiani, 1977
66
Il mondo del noir, contrariamente a quello del romanzo-enigma, è
fondamentalmente aperto. Spazialmente da una parte: sono frequenti spostamenti,
inseguimenti e viaggi. Temporalmente dall’altra: la storia del libro può durare molto
tempo in confronto alla storia sociale a anche ‘fare ritorno’ dopo anni. [Reuter
1998, pag 50]
Effettivamente, già nel secondo paragrafo del Giardino veniamo a conoscenza del
pericolo di arresto e di morte che incombe sul dottore cinese, spia dei tedeschi,
che è anche il narratore della vicenda. Il suspance, inoltre, ha sostanzialmente
fondato la sua fortuna sulla tensione che si riesce a creare nel lettore, tensione che
si fonda su un gioco di saperi contrastanti: condizione per cui si percepisca il
senso di una continua minaccia, presupposto dal quale si crea la ‘sospensione’, è
che il lettore ne sappia quanto il narratore e più degli altri personaggi, dice Reuter.
La caratteristica forma “frammentaria” che hanno certi suspance fatti di molti
capitoli brevi, rispecchia infatti quel continuo andirivieni tra i vari punti di vista
parziali dei personaggi al quale solo il lettore assiste, formandosi a sua volta un
sapere completo sulla storia.
Ma la vera posta in gioco, per Reuter, è la trasformazione psicologica dei
personaggi che alla fine della storia riescono a superare “blocchi psicologici
ereditati dall’infanzia” [Reuter 1998, pag 63]. Spesso chiamati “romanzi della
vittima”, i suspence prescrivono che quest’ultima rischi la vita per tutto il libro,
ma spesso indicano anche la vittima come personaggio in parte responsabile della
situazione di pericolo costante in cui si trova – riallacciandosi qui al tema del
problema psicologico irrisolto – tanto che Reuter dice:
67
dall’incontro tra i protagonisti dell’avventura e il nuovo futuro reso possibile dalla
soluzione dei problemi psicologici iniziali. L’ordine ritrovato – non in contestazione
con il precedente – è quello dei valori familiari, affettivi, intimi .88 [Reuter 1998,
pag 67]
E qual è l’unico incontro vero che avviene tra i personaggi del Giardino? Non di
certo quello fra il dottore cinese e il capitano Madden che, non appena entra in
contatto con Yu Tsun, lo arresta. È invece esattamente quello fra il dottore cinese
e Albert, al termine del quale, come segno di un avvenuto reale scambio
comunicativo, notiamo il protagonista profondamente riconoscente per la
‘rivalutazione scientifica’ (Albert è un sinologo) dell’intera opera dell’antenato,
dunque dell’intera sua stirpe, ivi compreso lui stesso:
“In tutti (i tempi),” articolai non senza un tremito “io gradisco e venero la sua
ricostituzione del giardino di Ts’ui Pên.” [J. L. Borges – Tutte le opere 1984, pag
701]
Non lo feci, no, per la Germania. Nulla mi importa d’un paese barbaro, che m’ha
obbligato alla condizione abietta di spia. [...] Lo feci, perché sentivo che il Capo
teneva a vili quelli della mia razza – gli antenati innumeri che confluiscono in me.
Volevo provargli che un giallo poteva salvare i suoi eserciti. [J. L. Borges – Tutte le
opere 1984, pag 692]
Quello che Reuter chiama ‘problema psicologico iniziale’ viene rappresentato qui
da questa voglia di ‘rivincita valoriale’. Assumendosi il ruolo di rappresentante
dell’intera sua razza, espansione del proprio nucleo familiare di appartenenza, il
dottore cinese si caccia in questa avventura trasformandola in una dimostrazione
di valore. Il suo ‘problema’, insomma, il motore dell’azione, sembra appartenere a
una dimensione di tipo passionale, tematizzata attraverso la messa in scena del
tentativo di ristabilire la dignità della propria stirpe. Ma come potrebbe mai, il
protagonista, riuscire nel suo intento finché egli stesso giudica insensata l’opera
del proprio antenato che “confluisce” in lui? Ecco allora che l’incontro con Albert
diventa fondamentale.
Per riallacciarci al nostro tema principale, quello del tempo, basta riportare
alcune osservazioni di Reuter, sempre in merito al suspance:
88
Corsivo mio.
89
Corsivo dell’autore.
68
e ancora, citando Lombard,
Il tempo è l’assassino più grande di tutti, e non viene mai punito. [Reuter 1998, pag
61]
oppure,
Capiamo allora perché nei romanzi troviamo continui richiami alla brevità del
tempo e perché sia così ricorrente il tema dell’orologio, dell’orario. [Reuter 1998,
pag 61]
Vi è una figura contemporanea che riunisce tutte le relazioni possibili tra romanzo
poliziesco e letteratura che abbiamo tracciato: si tratta di Jorge Luis Borges. Nel
1933 ha scritto una serie di racconti dedicati a celebri criminali; poi ha scritto a
quattro mani con Adolfo Bioy Casares vari racconti che sono parodie del poliziesco,
i più noti dei quali sono raccolti in Sei problemi per don Isidro Parodi, del 1942.
Isidro Parodi è un personaggio che risolve gli enigmi senza lasciare la prigione dove
deve scontare un’ingiusta condanna a ventun’anni. Ma Borges ha scritto anche
saggi critici, prefazioni e ha tenuto conferenze sul poliziesco e sulle sue virtù
formali. [Reuter 1998, pag 78 - 79]
Abbiamo dunque fatto affidamento a Yves Reuter per quel che riguarda il mondo
del poliziesco. Lo abbiamo, infine, apprezzato per aver fatto rientrare Borges tra le
figure da lui indicate come autori rappresentativi di racconti polizieschi.
Ma allora, come mai non viene citato, tra questi, anche Il giardino dei
sentieri che si biforcano? Forse non si tratta di un poliziesco, come invece
suggerisce Borges, oppure il racconto è semplicemente sfuggito allo scandaglio di
Reuter? La mia risposta è un’altra e si colloca nel mezzo tra le due opzioni
considerate. Nel dire, cioè, che si tratta di un poliziesco, Borges ha voluto
indicare, attraverso la specifica del racconto-suspence, proprio ciò che Reuter ha
messo in corsivo nel suo saggio: “Il tempo è un attore essenziale del dramma in
corso”. Dunque, non per il fatto che nel racconto avvenga un delitto (pretesto
addotto invece da Borges) ma per il fatto che protagonista del testo sia quel tipo di
temporalità tensiva caratteristica del poliziesco, noi accettiamo di considerare Il
giardino dei sentieri che si biforcano come racconto appartenente a questo genere.
69
(Non intendo affermare che “dove c’è tensione, c’è poliziesco”. È ovvio che, dal
romanzo d’amore al thriller, il testo produca una certa tensione nel lettore, legata
alle aspettative create dalla storia e più o meno rispettate nel prosieguo della
vicenda. Ma quello di cui si parla qui è il tempo inteso come mezzo essenziale
della drammatizzazione, continuamente richiamato nella diegesi col suo
contrassegno di brevità e, di conseguenza, spesso anche tematizzato attraverso
l’apparire di orologi, orari e, in generale, calcoli fatti dagli stessi protagonisti sul
poco tempo che resta loro).
Nel nostro tempo, nel nostro secolo, lo scrittore [...] si rende conto che pensa e fa
delle dichiarazioni sul mondo non attraverso le vicende e i personaggi, ma
attraverso la forma del proprio scritto, le strutture stilistiche e narrative, le strutture
profonde. [...] Ma Wilson, nel Castello di Axel, in un saggio su Joyce è il primo che
venga a dirci: “badate che, per capire Joyce, il problema non è quello di sapere la
vicenda. Per capire Joyce, il problema è di capire che, attraverso il monologo
interiore, le cadenze stilistiche particolari, la strutturazione in 18 episodi
dell’Ulysses, Joyce ci sta rappresentando il mondo nello stesso modo in cui l’ha
visto Einstein”. [...] Il concetto odierno che il testo pensi – il concetto stesso
attraverso cui Wilson si avvicina a Joyce – è che certe volte il lettore ne sappia di
più dell’autore. Se il testo mette in scena un nodo e un’ambiguità, lo studiarla, il
90
Il testo ne sa di più, apparso in Nuove Effemeridi n. 6 1989, II, Palermo. Il piccolo saggio citato è la trascrizione
dell’intervento tenuto da Umberto Eco il 12 dicembre 1988 presso la facoltà di Ingegneria di Palermo per il ciclo di
seminari “Il testo che pensa. Pratiche di scrittura e forme letterarie”, organizzato dal Circolo semiologico siciliano.
70
dipanarla, il trovarla dichiarata in diversi livelli del testo, dal dialogo alle strutture
narrative profonde, è compito dell’interpretazione [...] è vero che il testo pensa, ma
non all’infinito: il testo pensa, ma non dice qualsiasi cosa può venire in mente al
suo lettore. [...] Credo si possano porre delle restrizioni a questo pensiero infinito
del testo. [...] Quindi, il testo pensa, ma non all’infinito. Però il testo pensa anche
quando l’autore non aveva pensato; si fanno metafore inconsce. [...] il testo pensa
nei suoi artifici strutturali.
L’analisi strutturale del testo, allora, si muoverà nell’ottica di una precisa verifica:
è vero che il testo di Borges la ‘pensa’ come lui riguardo questa concezione del
tempo? E in che modo?
Il suggerimento sul corretto metodo di analisi, che abbiamo derivato dalla stessa
annotazione di Borges – di considerare la fine come cartina di tornasole per la
verifica delle ipotesi iniziali – si colloca sulla stessa linea delle affermazioni di
Eco che abbiamo riportato. Infatti, considerare il testo “dalla fine all’inizio”,
rappresenta sicuramente uno strumento per limitare le “infinità di letture
possibili”: la controprova circa l’esattezza del particolare pensiero ritrovato nel
testo, da parte del lettore, può essere bene giocata sulla conferma delle ipotesi
iniziali, a partire dall’esame dei confini della sua struttura (sequenza iniziale –
sequenza finale). Prendendo spunto, allora, dalla distinzione tra i due diversi
regimi semiotici della temporalità, descritti da Bertrand [2006], potremo definire
questo tipo di analisi strutturale “classica”, come un’indagine volta alla scoperta
del particolare regime semiotico della esistenza: in che modo Borges rappresenta
la struttura del tempo, intesa come proiezione delle sua articolazioni significanti.
Non sarà più un mistero dopo una prima lettura, che una delle suggestioni
principali proposte dal racconto sia quella di considerare un libro, o meglio, la
struttura che racchiude l’universo narrato dentro il libro e – perché no – dentro
qualsiasi testo, come un giardino. Sembrerebbe allora accettabile, seguendo
l’ipotesi stessa suggerita dall’autore, parlare della struttura del testo, almeno di
questo testo, come di uno spazio-giardino ben delimitato e che – come ogni spazio
chiuso – mette in scena una prima opposizione semantica: inglobante vs inglobato.
Ma, preparando il terreno a un passaggio di prospettiva, e per rafforzare la
pertinenza di questa operazione, faccio ricorso ancora ad Eco [1979] 91 e alle sue
famose “passeggiate inferenziali” lungo i sentieri interni al testo proposte nella sua
trattazione sull’attività del Lettore. Arriviamo così a interrogare la vera e propria
configurazione del giardino, evocata fin dal titolo, che ci permette invece di
considerare un secondo tipo di approccio, rivolto stavolta all’indagine sul regime
temporale dell’esperienza.
Le novità degli ultimi sviluppi teorici sulla temporalità, esposte nel primo
capitolo, permettono infatti di andare oltre la sola pratica di analisi di cui sopra, e
91
Lector in fabula, Milano, Bompiani.
71
adottare invece una semiotica che segua la direzione di una lettura normalmente
orientata dall’inizio alla fine del racconto, seguendo le trasformazioni pertinenti
alla dimensione passionale.
Il nostro Giardino in effetti è uno dei più famosi racconti fantastici di Borges che
‘parla’ del tempo. Ma di quale tempo si parla? In che modo se ne parla? La
semiotica del tempo sdoppia l’interlocutore al quale si rivolgono entrambe le
domande, domandandosi a sua volta: chi ce ne parla, il testo stesso, o le figure che
troviamo enunciate nel testo? Muovendosi, come abbiamo osservato nel primo
capitolo, sullo sfondo dei rapporti a doppio senso tra espressione e contenuto, tra
esistenza ed esperienza, la ricerca può dunque interpellare: 1) il particolare regime
temporale dell’esistenza, ed è quello che si propone la nostra analisi, o 2) il
particolare regime temporale dell’esperienza che da questo testo e in questo testo
vengono ricomposti, grazie all’analisi, nella somma delle figure-icone temporali
che li combinano.
72
compiuto dal protagonista del racconto (nel quale il lettore è chiamato ad
immedesimarsi) che arrivi a descrivere come il testo ‘dice’ quel particolare tempo.
Il passaggio da un’ottica analitica all’altra avverrebbe grazie alla considerazione
del giardino, inteso come struttura esito di una proiezione esistenziale nel testo,
ma anche campo di esperienza nella pratica dell’attraversamento dello stesso.
92
“Paesaggio, esperienza ed esistenza”, Semiotiche n. 1, Ananke, 2003.
93
“Approcci semiotici alla configurazione del giardino”, pubblicato in rete il 7 gennaio 2005 sul sito della Aiss.
73
del protagonista-osservatore, il modo in cui determina il proprio senso. Sulla base,
dunque, di questa proiezione di simulacri dei percorsi possibili e sui relativi effetti
di senso prodotti (generati da strutture polemiche, valoriali, cognitive), studieremo
come le strategie enunciazionali presentano il giardino all’enunciatario e il tipo di
“icone” temporali che i risultati di questa analisi faranno emergere.
74
riferimento cadrà sulla versione tradotta in italiano da Livio Bacchi Wilcock per la
Rizzoli Editore [1976] che rispetta maggiormente il “dispositivo grafico” 97, e non
solo98, del testo originale in lingua spagnola che abbiamo preso come riferimento
per il confronto tra i due italiani99.
Avendo deciso di sfruttare le fantasie enunciate nel testo non come l’ostacolo
da superare al livello di superficie, ma come termine di paragone da verificare o
confutare mediante l’analisi stessa, premetto una breve considerazione generale
sull’approccio semiotico alla spazialità, in modo da poter meglio chiarire le
premesse, e le conseguenze, di questo tipo di confronto.
Vari studi semiotici sulla spazialità100 hanno ampiamente dimostrato come il senso
dello spazio si dia, come per ogni fenomeno semantico, per differenza: gli spazi,
cioè, istituiscono divieti e impongono alle persone modi di comportarsi attraverso
l’istituzione di soglie ben precise di demarcazione del territorio. Da questa
assunzione deriva la categoria generale che organizza il senso dello spazio, ovvero
quella inglobante vs inglobato, che si genera automaticamente in base ai confini
che delimitano ogni spazio. La fantasia del labirinto, enunciata nel Giardino,
lavora proprio su questo principio di condizionamento strutturale per restituire
l’impressione caotica di una linearità temporale spezzata, di un non-tempo, ovvero
di un tempo che perde il suo senso solito di estensione.
Il labirinto, infatti, è uno spazio particolare, diverso da tutti gli altri, perché simula
dei percorsi (sensati) attraverso l’immissione di finte soglie, quando in realtà il
percorso sensato è uno solo: quello che permette di arrivare al centro oppure di
attraversarlo interamente. Il fatto che il testo proponga a livello enunciato (anche)
una teoria sul tempo, mediante una trasposizione di significati che concernono lo
spazio del labirinto, implica una considerazione di questo spazio che guarda
maggiormente alle regole del suo ‘funzionamento’ interno, piuttosto che
all’effettiva eventualità dell’attraversarlo, di uscirne. Cioè, nel testo non si parla
del giardino come di un labirinto per il fatto che si ha il problema di uscirne, ma
volto, perché la luce mi accecava” (Bacchi Wilcock). Questo confronto mette in gioco l’importante differenza che
c’è tra sottolineare la non raggiungibilità visiva del volto di Albert, piuttosto che l’effetto illuminante che l’incontro
ha sul protagonista (la luce prefigura quella rivalutazione interpretativa sull’opera dell’antenato che per il dottore
cinese, dunque, smette di essere “insensata”). Inoltre, a pagina 696 dei Meridiani, non si capisce perché Lucentini
traduca “justicia” con “ingiustizia” anziché con “giustizia” (Bacchi Wilcock).
97
Dove, ad esempio, Lucentini sceglie di trasformare la scelta del narratore di scrivere “Las 1001 Noches” in “Le
Mille e una notte” in corsivo, Bacchi Wilcock lascia l’indicazione numerica in cifre non in corsivo come
nell’originale.
98
Oltre alla questione dei corsivi, altro esempio della maggiore fedeltà di Bacchi Wilcock sta nella diversa resa
dell’espressione “...cada vez que un ombre se enfrenta con diversas alternativas, opta por una y elimina las otras; en
la del casi inextricable Ts’ui Pên, opta – simultaneamente – por todas. Crea, asì, diversos porvenires, diversos
tiempos, que también, proliferan y se bifurcan”; Lucentini, a differenza di Bacchi Wilcock, trasforma, a pagina 698
dei Meridiani, i verbi attivi “opta” e “crea” negli impersonali “si opta” e “si crea”, indebolendo così l’idea di una
generazione delle biforcazioni ad opera del/dei soggetti. Altro indebolimento, stavolta sul piano passionale,
Lucentini lo provoca sostituendo, all’espressione “mi sangre”, “un uomo del mio sangue” a pagina 699 (in Bacchi
Wilcock, rimane invece “il mio sangue”).
99
Dal sito internet literatura.us (data consultazione 30 – 03 – 07)
100
Cfr., tra gli altri, Marrone [2001]
75
perché si vuol esporre una particolare concezione del tempo accostandogli la
peculiarità interna a questo tipo di spazio: il suo essere fintamente diviso. A
questo proposito, infatti, vedremo come l’unica realtà di valore, nella concezione
labirintica del tempo, sia quella presente: secondo questa visione, passato e futuro
non sono termini che significano il tempo per mezzo della differenza che,
generalmente, è possibile istituire fra loro101.
Se, infatti, ciò che generalmente dà senso allo spazio sono divisioni dello
stesso che condizionano i nostri percorsi, attraverso muri costrittori, il labirinto
non possiede invece nessuna vera divisione. Basti pensare alla sottile differenza
che corre tra il concetto di separare e dividere: in un labirinto, cioè, i veri sentieri
tracciano sì dei percorsi netti che talvolta conducono a dei vicoli ciechi, a dei muri
divisori; ma questa divisione tra due spazi – se si guarda alla struttura – in realtà
non esiste, poiché i due spazi che sembrano divisi dal muro sono collegati fra loro
da un altro percorso: non ci sono vere soglie o porte, nel labirinto, esiste solo una
separazione temporanea, parziale, tra spazi tutti appartenenti allo stesso luogo.
Cioè, la vera demarcazione, la soglia, il divieto che questo particolare spazio mette
in gioco è tra il labirinto stesso e quello che c’è fuori di esso. La categoria
profonda che attiene alla dimensione della spazialità e che contribuisce a fondarne
il senso, ovvero quella sopra citata inglobante vs inglobato, non si applica dunque
all’interno del labirinto, ma semmai sussiste tra esso e il fuori. Manca così un
criterio importante che dia senso all’interno di questo spazio; emerge, invece,
come peculiare di questa struttura, la capacità di generare un effetto di disordine e
perdita di certezze riguardo il senso (inteso come orientamento del percorso)
‘giusto’ cui affidarsi.
Dunque, se nel labirinto non ci sono vere soglie divisorie tra i vari spazi
ritagliati al suo interno, allora sarà sempre possibile tornare indietro e fare una
scelta di percorso diversa: cioè a dire, io posso sempre tornare a quello che è stato
il mio passato rispetto al presente conseguito dalla scelta che ho fatto. Tutte le
varie possibilità sono, cioè, inglobate in questo “unico tutto chiuso” in cui ci si
trova e, di conseguenza, la segmentazione del testo dovrà essere considerata come
una proposta di applicazione di soglie che ne generino il senso102. Non solo.
Nell’ottica del testo come labirinto, non è detto neanche che la fine del racconto
(ovvero la sua soglia con l’esterno) corrisponda realmente alla fine del testo, al
suo confine, alla via d’uscita verso il ‘mondo fuori’ 103. Potrebbe invece rivelarsi
un sentiero già percorso, magari il sentiero in cui ci si è svegliati accorgendosi di
trovarsi dentro il labirinto. Ecco che torna lo “spettro della ciclicità”. Questa
101
Cfr. paragrafo 19
102
Lo stesso Greimas [1976] nelle osservazioni finali sottolinea il valore di “proposta” del metodo di lettura
semiotica, “condotta con metodo sia induttivo sia interpretativo”. Greimas, infatti, non nega l’importanza della
“competenza ricettiva del lettore, capace di generare, con l’aiuto di operazioni semiotiche che caratterizzano il suo
fare interpretativo, nuove isotopie figurative a partire da una nuova isotopia posta esplicitamente dall’enunciatore”
[Greimas 1976, pag 221].
103
Cfr. paragrafo 29
76
importante precisazione teorica è di fondamentale importanza per la nostra
segmentazione che permetterà di costruire la mappa del Giardino ‘visto dall’alto’.
Cfr. per esempio la struttura a forma di chiasmo che, nel paragrafo 5.5 ci indica, già sul piano dell’espressione,
104
77
‘luogo’ narrativo ma anche in un altro, dispositivi che sono sempre gli stessi e
quindi ‘fermi’ rispetto al continuo ‘spostamento’ dei sentieri105.
Dopo una prima lettura lineare del Giardino non sembra, infatti, facile dire con
certezza di cosa parli il racconto; sembra più che altro, che si abbia a che fare con
diverse storie: quella della verità sul libro di Hart (poi rimasta inconclusa), quella
della spia cinese con la sua missione, quella dell’antenato cinese e del libro sul
tempo. È questa impressione lasciata dal testo che deve essere risolta mettendo in
ordine l’apparente disorganicità che lo contraddistingue.
105
Si vedrà, in proposito, l’uso dei puntini di sospensione, o degli stessi termini usati in parti diverse e lontane del
testo.
106
Cfr. in seguito il caso di Yu Tsun: Soggetto della deposizione, e Destinante dell’opera dell’antenato.
78
Ricchi, anzi meglio, forti dell’importante eredità saussuriana riguardo al
principio ormai assodato che la significazione si dà per differenza, non potevo nel
mio lavoro ignorare un circostanza particolarmente curiosa che ho casualmente
riscontrato nel reperimento del testo:
Queste sono tre versioni della prima frase con cui inizia il Giardino, la prima in
lingua originale mentre le altre secondo due diverse traduzioni italiane, discordanti
– come si può ben vedere – solo in merito all’elemento numerico. Ritenendo la
comparazione essere il motore e la chiave di un’analisi semiotica, finalizzata alla
scoperta di elementi contrari o simili in relazione tra loro e generanti i valori dei
segni presi in esame, non reputo centrale la questione sull’intenzionalità o meno
che può star dietro a queste tre diverse versioni numeriche (242, 252, 272).
L’attenzione ricadrà invece sul significato, appunto, che emerge dal confronto tra
le singole occorrenze.
Il dato di fatto, davanti al quale ci ritroviamo, e cioè la differenza del numero a tre
cifre che indica la pagina del libro dello storico Hart, ostenta quello che esiterei a
chiamare “errore di traduzione”. Da Hjelmslev [1968], infatti, abbiamo imparato
che le diverse lingue ritagliano la stessa materia con forme diverse producendo,
così, sostanze differenti; proprio questo spiegherebbe gli inevitabili vari gap di
traduzione che si riscontrano nel passaggio da una lingua a un’altra. Ma nel nostro
caso, la questione delle forme diverse non si lascia applicare automaticamente per
spiegare le diverse occorrenze nelle due traduzioni italiane dal testo originale (che
differisce, a sua volta, da entrambe). La discrepanza si riscontra sia nella
trasposizione da spagnolo a italiano, sia nelle varie rese della stessa lingua
italiana. Ma, cosa ancora più importante, la diversità delle sostanze non può essere
giustificata, in questo caso, da una diversità delle forme adoperate. Il sistema
numerico, infatti, è lo stesso (quello dei numeri arabi), ma ogni versione del testo
smentisce l’altra.
Si tratta di una duplice distrazione casuale dei due diversi traduttori italiani,
oppure di un fatto voluto? In entrambi i casi, non cambierebbe il risultato
principale di questa scoperta: la significatività, quindi l’importanza interpretativa,
del tema del numero. Infatti, l’ipotesi che si tratti di un atto volontario (del/i
traduttore/i oppure organizzato dall’autore stesso, vivente nel periodo della
pubblicazione delle ‘versioni alternative’) non farebbe semplicemente altro che
avvalorare la nostra tesi. D’altro canto, pensare a queste differenze come puro
esito del caso, dovuto a una distrazione del/i traduttore/i, avrebbe forse
ripercussioni maggiormente suggestive, ma che svilirebbero il lavoro di analisi (la
distrazione dei nostri traduttori farebbe, precisamente, il verso alla “magica
distrazione del copista” de “Le 1001 Notte” – scritto proprio in cifre nel testo
79
originale – evocata dal narratore del Giardino, la quale dà inizio alla circolarità-
infinità dello stesso libro arabo).
Del resto, sappiamo come il testo detti le sue regole di lettura sin dall’inizio:
dunque, come non accorgersi della massiccia frequenza di numeri che occupa
tutto il primo paragrafo del racconto? La pagina è 2...2, le divisioni sono tredici,
ad appoggiarle millequattrocento pezzi d’artiglieria, l’attacco era deciso per il 24
luglio 1916, ritardato poi al 29 e, infine, mancano le due pagine iniziali della
deposizione. E inoltre, come si potrebbe giudicare casuale l’immissione di cifre
numeriche in un testo letterario scritto da uno dei monumenti della letteratura del
Novecento? Il dato, dunque, è sicuramente significativo. Se poi, in conclusione,
ragioniamo anche sul piccolo mistero (volontarietà o no) che ruota attorno al
primo numero che inaugura il racconto, ci accorgiamo che, per quanto possa
variare l’entità da esso rappresentata, l’inizio e la fine del numero coincidono in
tutti i casi, richiamando ancora l’ormai famoso “spettro della ciclicità” (come
anche abbiamo sottolineato sopra, la raccolta inizia con una nota sul racconto col
quale termina anche); e il numero in questione è proprio quello che, utilizzando la
forma del linguaggio aritmetico arabo e non più la forma di una lingua ‘naturale’,
indica la biforcazione: il 2 e, con esso, il tema del 2.
Ritornando ora alla nostra segmentazione, ecco che possiamo dunque considerare
l’isotopia del numero come un criterio valido per l’individuazione della prima
sequenza.
PREMESSA ALL’ANALISI
Data la complessa struttura di enunciazione che sta alla base della narrazione del
Giardino, ritengo utile fissare, fin da subito, tutti i vari livelli di produzione del
discorso, rispettivi enunciatori e relativi enunciatari. Essi sono distribuiti su tre
livelli e, nonostante la loro presenza verrà scoperta nel corso dell’analisi, è bene
fissare una bussola alla quale si può sempre ritornare, nel momento in cui ci si
dovesse perdere in qualche “Sentiero”107.
80
verrà chiamato “primo narratore” o “enunciatore impersonale” o “primo
enunciatore” o “enunciatore anonimo”. Il suo rispettivo enunciatario, è costruito in
base al volere-sapere la verità sul ritardo delle truppe britanniche, tramite la lettura
della deposizione di Yu Tsun. Chi legge, dunque, l’intero Giardino, è il
destinatario di questa sorta di saggio di revisionismo storico – come abbiamo
deciso di rappresentarlo –, prodotto dall’enunciatore impersonale per inficiare la
verità di Hart. Nella seconda sequenza, apparirà un misterioso editore con una
nota, riguardo un fatto narrato nella deposizione. Ebbene, questo editore si colloca
allo stesso livello del primo narratore impersonale, poiché anch’egli usa lo stile
oggettivo di scrittura e figurativamente è l’editore di questo saggio, che interviene
per fare una precisazione a-posteriori su un’affermazione inserita nella
deposizione. Schematicamente, il I livello d’enunciazione è:
81
3. I – IL SENTIERO DI PARTENZA
Inizia il racconto. In base alla divisione del testo data dall’autore, si è scelto di
racchiudere nella prima sequenza tutto il primo paragrafo, tanto più che alla fine
di esso Borges ha voluto inserire anche uno spazio, una riga di testo vuota che lo
separa dal resto del racconto. Come ‘collante’ dell’intero ritaglio, abbiamo già
sottolineato l’importanza del tema del numero, che comporta diverse
82
considerazioni sulla forma del linguaggio usato per raccontare. Adesso è venuto il
momento di entrare nel merito dell’analisi vera e propria.
Per l’esposizione dei vari passaggi, soprattutto in questa sequenza iniziale, verrà
usata come filo conduttore la problematica della segmentazione. Ma è necessario
precisare fin da ora che si tratta soltanto della scelta di un metodo argomentativo;
cioè, la suddivisione del testo non verrà messa realmente in discussione (essendo
l’unico dato stabilito all’inizio di ogni sequenza), in quanto – lo abbiamo detto
sopra – si basa su disgiunzioni discorsive che lavorano sul piano dell’espressione.
Sarà semplicemente il punto di partenza, l’ancoraggio dal quale partirà l’analisi
dei contenuti che ad essa si relazionano. Tutti gli elementi dell’analisi che
verranno esposti emergeranno, dunque, gradualmente come contenuto della
segmentazione, come l’altra faccia del testo significante. La nostra graduale
scoperta dei contenuti passerà, talvolta, per un tipo di ragionamento dell’assurdo
che ‘metta alla prova’ la segmentazione del testo, riscontrata sul piano
dell’espressione e tramite indicazioni dello stesso autore. Non si tratta, per
l’ultima volta, di scoprire la giusta segmentazione: stiamo iniziando invece
l’analisi.
Ecco, a proposito, che una prima occhiata alle possibili disgiunzioni attoriali
non si rivelerebbe in grado di confermare questa partizione della prima sequenza.
Distinguere i vari attori coinvolti, per quel che riguarda la loro quantità o
specificandone le varie identità, non sembra rivelarsi significativa giustificazione
contenutistica della segmentazione: sia qui che nella successiva sequenza, infatti,
appaiono un numero vario di soggetti, come anche lo stesso Yu Tsun che è
implicato sia qui che nel prosieguo del racconto.
A pagina 252 della Storia della Guerra europea di Liddel Hart si legge che...
83
coordinate individuate si generano per opposizione altrettanti universi categoriali
di riferimento che fungono da ‘basi di ancoraggio’ del racconto: uno riguardante
la spazialità, l’altro riguardante la temporalità.
/pagina/ vs /pagina-inglobante/.
Come per tutte le deissi di riferimento spaziale, infatti, anche al nostro caso si
lascia applicare la categoria inglobato vs inglobante108. Se ci chiediamo, però,
quale possa essere lo spazio che riesca a inglobare la pagina, con tutto ciò che essa
ospita al suo interno, potremo meglio definire il termine contrario che abbiamo
indicato come /pagina-inglobante/. Ora, dato che la pagina rappresenta lo spazio
proprio delle parole, della scrittura in generale, il regno del pensiero (di qualunque
tipo) fissato nelle due facce di un foglio di carta 109, come termine ad esso contrario
si deve cercare di individuare uno spazio che riesca a inglobare i diversi ‘tipi di
carta’ che si possono radunare usando il termine /pagina/, e cioè manoscritto,
quaderno, libro, giornale, lettera, ect. Ma rispetto a tutto ciò, non si trova nessun
luogo che, negando il primo termine, riesca ad inglobare tutto il paradigma nelle
sue declinazioni possibili, se non lo stesso concetto di /mondo/. A tale scopo,
infatti, il termine /mondo/110, senza che esso accenni in qualche modo a una
referenzialità di tipo extratestuale, sembra il più adatto (in quanto il solo
contenente tutte le biblioteche di libri, le edicole di giornali, le librerie delle case, i
cassetti di lettere, etc.) intendendo con esso abbracciare invece il regno dove
accadono gli avvenimenti reali, il regno dell’azione e del materico sfuggente
contrapposto, appunto, al regno dell’astrazione e del pensiero fissato.
L’opposizione, allora, diventa:
/pagina/ vs /mondo/
84
sopra, la categoria inglobato vs inglobante si dava tra l’intero labirinto e ciò che
sta fuori di esso. Cosicché, si possono fin d’ora raggruppare i vari termini, in base
alla loro “appartenenza” alla stessa categoria spaziale:
Inglobato Inglobante
giardino-labirinto mondo esterno
pagina-foglio di carta mondo esterno
Come si può notare dalla lettura dell’intero racconto, queste tre posizioni verranno
‘occupate’ tutte, ma in ordine inverso: abbiamo visto, si inizia con la posizione
“dopo”, poi immediatamente si passa alla posizione “durante” e, infine si arriverà
al /prima-della-guerra/ (con la storia dell’antenato di Yu Tsun). Mi preme fare
notare brevemente il fatto che quest’ultima posizione verrà ‘riempita’ solo in
seguito: torneremo su questo dato più avanti112. Vorrei, comunque, sottolineare
adesso il fatto che (a prescindere dal discorso della ciclicità) il progressivo
movimento all’indietro nel tempo che si innesca a partire dalla Storia di Hart non
è importante in quanto indicatore della natura ulteriore [Genette 1972, pag 267]
del tempo della narrazione, caratteristica della stragrande maggioranza dei
racconti, che si dà cioè ‘a fatti compiuti’. Il dato sarebbe scontato. Quello che si
preme di rimarcare qui è il fatto che sia il testo stesso ad affermare, e mettere in
scena, questo fenomeno e a proporre questo meccanismo connaturato a un certo
tipo di narrazione; come per voler fare rientrare nella capacità mimetica che i
racconti di finzione esercitano sul reale, persino l’atto stesso della narrazione,
della consultazione di libri e della lettura ma, più in particolare, il momento stesso
di ingresso in questo mondo di carta, separato dal mondo reale.
85
della ciclicità”): partendo da un “dopo” e arrivando a un “prima”. Ma la cosa più
interessante è che questo ritorno sui propri passi arriva solo fino alla posizione
“durante”, invece che chiudersi idealmente nella posizione di partenza, “dopo”:
86
primi scorci di analisi: è come se al testo non interessasse schierare subito anche la
dimensione del “prima”, una volta fissata l’opposizione tra un “dopo” e un
“durante” che, come sappiamo da Greimas [1976], costituiscono la
figurativizzazioni superficiali sotto cui si articola la fondamentale categoria
temporale /permanenza/ vs /incidenza/. Partendo, infatti, dall’articolazione
prima/durante/dopo Greimas [1976, pag 60 - 62], deriva che essa non è altro che
la ri-proposizione, in veste temporale, della categoria di relazioni logiche
/anteriorità/ vs /concomitanza/ vs /posteriorità, le quali – a loro volta – si
“combinano e articolano” con la precedente categoria temporale fondamentale.
88
doppio debrayage, si spiega – come detto sopra – proprio facendo riferimento
all’inglobamento dell’oscillazione, nell’intero primo livello enunciazionale.
114
Cfr. paragrafo 23
89
Avendo considerato, come primo segmento (1.a.α), la prima parte della frase
iniziale, prendiamo ora in considerazione l’altra parte che va da (1.b.β) a (2.b.η),
studiandola come una seconda micro-sequenza intercalata, separata dal primo
segmento per mezzo della proposizione relativa “che” (la quale, appunto, mette in
relazione due distinti enunciati). Una volta entrati in questo universo ‘secondo’,
dunque, ci si accorge di aver già a che fare con la prima delle diverse storie che si
trovano nel Giardino:
90
denominato embrayage, dato che con esso di designa l’operazione inversa a quella
compiuta mediante debrayage (vedi sopra).
Divisioni Britanniche
Linea Serre-Montauban117
Avendo come riferimento il periodo della prima guerra mondiale, situare i diversi
soggetti protagonisti di questo racconto nella loro relazione polemica non
dovrebbe essere difficile. Ecco, infatti, che alle Divisioni (soggetto collettivo)
corrisponde lo uno stato riferito dal termine “britanniche” e che le inserisce dalla
parte degli Alleati. Alla Linea nemica (soggetto collettivo), invece, contro la quale
esse decidono l’offensiva, corrisponde il termine “Serre-Montauban”, che indica
lo spazio fra due cittadine situate nel territorio dell’Impero tedesco: questo stato,
dunque, indica chiaramente la contrapposizione tra questo soggetto e quello di
prima. Ecco, dunque, che si può rendere l’articolazione di questo universo
polemico attraverso l’istituzione di un quadrato semiotico, che renda conto
dell’organizzazione figurativa di questo universo, che appartiene al secondo
livello di enunciazione, e delle possibili relazioni logiche interne ad esso:
/Inglese/ vs /Tedesco/
116
Non posso non annotare un’ulteriore eccesso della libertà di Lucentini nel tradurre. Dove il testo originale dice:
“Las lluvias torrenciales (anota el capitàn Lidell Hart) provocaron esa demora – nada significativa, por cierto”,
Lucentini elimina drasticamente l’intera espressione inserita dopo il trattino “per nulla significativo, di certo”;
ovvero elimina per intero un segno testuale originale, nonché un’ulteriore espressione di presenza intercalata del
primo universo narrativo.
117
Cfr. Appendice
91
I termini che stanno in basso nel quadrato, rappresentano i termini contraddittori
generati dalla categoria emersa dal testo e ne completano il valore topologico.
92
viene calcolato come una differenza tra l’orario effettivo ‘di arrivo’ e l’orario
previsto per l’arrivo. Semioticamente, come abbiamo visto per il discorso dei
numeri, se il significato logico-profondo sta nella differenza e la differenza – in
questo caso – sta nell’indicazione dei giorni (29 – 24 = 5 giorni di ritardo), allora
l’orizzonte comune che fonda il valore di entrambi i termini (la valenza) e
permette di metterli in relazione è proprio il tempo cronologico. Così, mentre
prima sembrava che le piogge rappresentassero davvero una sorta di antagonista
che impediva al Soggetto di congiungersi con il valore dell’oggetto, mediante il
ritardo, in realtà esse gli hanno permesso di cogliere il vero valore dell’oggetto
/data/, che era l’oggetto del suo volere. Le piogge, allora, possono essere
riconosciute nella qualità del ruolo di aiutante, invece di rappresentare
l’antagonista o anti-soggetto che contrasta il Soggetto.
Ma torniamo a quest’ultimo. Egli, dunque, si è congiunto con un oggetto dello
stesso valore (tempo) cui il volere iniziale era orientato, riuscendo a portare a
termine l’offensiva in territorio tedesco: dunque abbiamo scovato anche il luogo
del raggiungimento dell’oggetto di valore finale: uno spazio che può essere
rappresentato dal termine /tedesco/. Allora, sempre tenendo presente lo schema
narrativo canonico a quattro tappe, possiamo dire che /tedesco/ segna il luogo
della performanza, in cui il Soggetto si congiunge definitivamente con l’oggetto di
valore. Ora, se teniamo in considerazione il primo quadrato come riferimento
logico organizzatore dello spazio di questo secondo universo debraiato, per
presupposizione si apprende come lo spazio /non-inglese/ debba essere quello
della competenza, mentre il /non-tedesco/ quello della sanzione119. Verifichiamo
questi due dati.
119
Sono consapevole della non equivalenza semantica fra i termini di un quadrato semiotico e le fasi dello schema
narrativo. Infatti essi sono strumenti semiotici diversi che simboleggiano diversi tipi di relazioni semantiche,
espresse tra i vari termini, e tra le varie fasi. La mia intenzione è quella di considerare i termini del quadrato come
riferimenti topologici, che guidino alla differenziazione delle fasi, secondo una relazione di corrispondenza non
semantica.
93
assimilata sembra essere quella del sapere-aspettare, ovvero essere consapevoli
che il proprio oggetto finale si trova dopo, cioè comprenderne la natura (valenza)
temporale. Questa competenza dunque è di tipo cognitivo, dato che riguarda un
sapere, e si pone come necessaria per il completamento del fare pragmatico. Finite
le piogge, e avendo saputo che lo stesso valore si trova ugualmente in “dopo”, si
può affermare che non esiste nessuna differenza di valore tra un oggetto (che
indica il tempo) situato in un prima o in un dopo. Lo stesso valore temporale è
investito nelle diverse estreme posizioni dell’articolazione del tempo che,
automaticamente, perdono la loro significatività relazionale, poiché non c’è
nessuna differenza di valore tra prima/durante/dopo120.
A questo punto si può passare allo spazio tedesco ritrovando un altro oggetto che
contenga il valore medesimo di prima. La differenza tra il momento del contratto e
questo della performanza e, insieme, la conferma dell’evoluzione del mini-
racconto, si ha nell’analisi del modo semiotico di esistenza dell’oggetto: all’inizio
(contratto) l’oggetto è virtualizzato, mediante l’istituzione del volere raggiungerlo;
poi (competenza) l’oggetto viene attualizzato tramite un fare cognitivo che mette
in un campo la modalità del sapere sul valore e un primo tipo di relazione con
l’oggetto; adesso, invece, l’azione (performanza) in /tedesco/, e poi la definitiva
sanzione in /non-tedesco/, realizzeranno appieno la sua esistenza.
120
A conferma di ciò, il testo originale presenta un inciso messo fra trattini, al termine della seconda frase, e che
Lucentini incredibilmente taglia dalla propria traduzione: “Las lluvias torrenciales (anota el capitan Liddell Hart)
provocaron esa demora – nada significativa, por cierto”. Fortunatamente abbiamo Bacchi Wilcock che riporta
l’inciso “per nulla significativo di certo”. Ecco, dunque, che questa ulteriore indicazione si rivela fondamentale per
appurare la validità della nostra interpretazione.
94
prima non avevamo considerato, per dare la priorità all’analisi degli altri elementi
della storia. In questo enunciato, adesso, vengono definiti due tipi di relazione: la
prima, significata dal termine “capitano”, afferma il ruolo – pertinente all’universo
‘secondo’ in guerra – di Destinante individuale delle divisioni. Questa prima
indicazione riguarda allora il rapporto fra Destinante e Soggetto, riconoscendone i
rispettivi ruoli e il momento della sanzione. Ma, se con questo dato capiamo di
aver a che fare col momento della sanzione, è l’indicazione di nazionalità
significata dal nome del capitano che ci indica il luogo in cui essa avviene: luogo
in cui l’oggetto è riconosciuto nella sua piena costituzione e il soggetto viene
sancito come trasformato. Avendo lasciato il progresso del racconto nella
posizione /tedesco/, dove possiamo spostarci adesso se non in /non-tedesco/, per
esprimere l’inglesità del nuovo stato? Lo stesso Hart, che si trova ad essere
destinante manipolatore in quanto capitano è anche destinante giudice finale
competente nel sancire l’avvenuta congiunzione di soggetto /divisioni/ e
oggetto /data/, in quanto storico che riporta, posteriormente rispetto agli eventi,
l’avvenuto assalto nel 29 luglio. Aggiornando il quadrato, insieme con le scoperte
sulle tappe narrative di questa micro-sequenza intercalata nella prima, si ha che:
/Inglese/ vs /Tedesco/
contratto performanza
(voler-fare) (fare-dopo)
95
semantico opposto per riuscire a determinare l’anti-soggetto o, quanto meno, il
suo mandante, cioè un anti-Destinante. Cosa è che le piogge rappresentano se non
un fenomeno naturale meteorologico che, nella gamma dei quattro elementi,
appartiene all’acqua. Quindi si ha che: il valore dei valori /tempo/, come
cronologia insignificante (dunque non-tempo), è stato compreso (sapere) grazie
all’intervento di una figura dell’acqua che appartiene alla dimensione
metereologica. Il caso particolare di acqua, cioè la pioggia, non si colloca nel suo
spazio tipico, che è uno spazio sottostante, ma in uno spazio sovrastante; seppure
l’indicazione “torrenziale”, oltre ad esprimere un sema iterativo, significa anche
l’aderenza subitanea allo spazio d’origine sottostante.
Sfruttando l’analisi di Greimas [1976] ipotizziamo adesso un quadrato degli
elementi, indicando tra parentesi le loro denominazioni manifestate nel Giardino,
il relativo spazio pertinente nella categoria alto vs basso e, tra le barre, i valori
assiologici investiti:
piogge
96
Nel nostro caso, in cui non abbiamo focalizzato l’attenzione sui soggetti ma
sull’oggetto e sui luoghi in cui cambiava la modalità della sua esistenza semiotica,
potremmo definire questo racconto come la Storia di un Oggetto, inteso come
luogo che accoglie il valore /tempo/ [Bertrand 2000].
Si tratta di quello che sopra abbiamo chiamato segmento (3.a.θ). Dopo aver
accennato all’embrayage spaziale segnato dal termine “deposizione”, cerchiamo di
rintracciare possibili indicazioni riguardo la dimensione temporale di questo
ritorno. Avevamo indicato come tempo peculiare di questo universo-pagina, il
dopo rispetto al periodo di riferimento ‘guerra’. Effettivamente, nel momento in
cui il testo parla della “seguente” deposizione, la mette in relazione di presenza
rispetto al tempo in cui viene citata la Storia di Liddel Hart, potremmo dire: si
trova nella stessa scrivania del narratore impersonale. Se diamo, però, uno sguardo
ai tempi verbali che si riferiscono al contenuto della pagina, notiamo che si tratta
di participi passati che confermano, automaticamente, la posteriorità in cui si trova
il soggetto grammaticale rispetto agli eventi narrati nella deposizione. Siamo
dunque in un dopo.
Ma si tratta di un dopo la guerra? Assolutamente no. Quello che viene detto alla
fine della frase, quando si parla del “caso” su cui si getta la luce, ci indica anzi la
concomitanza rispetto ai giorni del racconto intercalato. Inoltre, dalla lettura
dell’intero Giardino, si evince che l’unico nesso possibile tra il ritardo dell’attacco
inglese e il fatto che il dottore cinese sia riuscito a comunicare ai tedeschi il luogo
in cui sono appostate le artiglierie britanniche, sta nel bombardamento tedesco di
cui il protagonista apprende notizia tramite il giornale che legge in prigione, il
quale riporta le notizie “di ieri”:
121
Vedi paragrafo 3.1
97
Questa osservazione, circa la concomitanza degli eventi della storia del ritardo e
del dottore cinese, viene confermata dunque alla fine del Giardino, quando
apprendiamo della condanna a morte del protagonista.
Diciamo allora che, se guardando alla dimensione spaziale (/pagina/) si poteva
pensare a un ritorno al primo universo narrativo, un’analisi del tempo della
deposizione ci rivela invece una doppia appartenenza: quella relativa al tempo
dell’enunciazione (il tempo proprio al primo narratore) – significata dal termine
“deposizione” – e quella relativa al tempo dell’enunciato (ciò che è scritto nella
deposizione) – significata dai tempi verbali che si riferiscono agli eventi narrati in
essa. Lo spazio è lo stesso di quello della pagina di Liddell Hart, ma il tempo si
può definire come un “doppio durante”: come un /durante/, rispetto al tempo
fissato all’inizio del testo; ma si può definire /durante/ anche rispetto al tempo
debraiato nel micro-racconto del ritardo. Abbiamo che:
Aver chiarito i livelli dei vari debrayage temporali presenti nel testo, ci
permette di fare una considerazione. Analizzando questa terza frase, si aveva
l’impressione di essere tornati all’universo della pagina instaurato all’inizio, di
aver a che fare con un embrayage spaziale. Ma se si guarda a quale tempo
appartiene la deposizione (quando è stata scritta, che tipo di tempo esprime), in
realtà siamo rimasti nel secondo universo debraiato, quindi non si è avuto un
ritorno al tempo primo, ma soprattutto, guardando all’intero schema: il medesimo
universo /pagina/ (considerando anche il racconto sull’antenato e sul suo libro
fatto da Albert) si sposta progressivamente indietro nel tempo, durante le
operazioni di enunciazione. Ci troviamo in uno stesso luogo /pagina/, ma questo
luogo appartiene a un tempo diverso (sempre più indietro) rispetto all’orizzonte
comune della prima guerra mondiale, fissato all’inizio. La pagina, che è il luogo
tipico della narrazione e della scrittura, è anche il solo luogo di passaggio in cui
può avvenire un cambio di tempo. Ecco che allora ritorna il tema del doppio,
attraverso la doppia faccia della deposizione. Quest’ultima, da una parte, guarda al
tempo del primo livello da cui “deriva” e, dall’altra, appartiene al tempo del
livello successivo tramite ciò che riferisce, in cui si rende evidente la sua natura di
98
racconto ulteriore, la sua natura di “cosa scritta”, per mezzo delle significative
digressioni del narratore Yu Tsun che riferiscono l’ ”adesso” del momento in cui
scrive.
In questo senso, la pagina è vista come una specie di macchina del tempo e
l’uomo reale, che invece vive nel /mondo/, non può che rassegnarsi ad esistere in
una sola dimensione temporale che non permette salti all’indietro. Ed è proprio
questo ad assillare Borges alla fine di Nuova confutazione del tempo.
Allo stesso modo, dal meccanismo enunciazionale del testo, ricaviamo l’idea
che c’è una /pagina/ “in ogni tempo” e che essa dà la possibilità alla narrazione di
proiettare (debraiare) infiniti altri tempi; e questa suggestione è quella
rappresentata nella fantasia del “libro infinito” scritto dall’antenato di Yu Tsun,
che mette in scena tutte le diverse possibilità di sviluppo di una vicenda. Un
esempio che si può avvicinare molto al libro scritto dall’antenato, lo troviamo nei
cosiddetti libri-games o libri interattivi, in cui il lettore può scegliere il percorso
dell’eroe del romanzo, le cui vicende sfoceranno in esiti diversi, contenuti nelle
pagine del libro, a seconda delle scelte fatte 122. In questo senso, i libri-games e
quello dell’antenato, negano la corrispondenza fra linearità del tempo raccontato e
linearità della lettura. Ammettono quindi, come possibile, la coesistenza nello
stesso libro di più versioni della stessa storia e, di conseguenza, di avvenimenti
diversi che accadono allo stesso personaggio, nello stessa geografia narrata, e
nella stessa linea di tempo in cui sono ordinati i fatti (prima/durante/dopo): queste
stranezze possono essere spiegate, soltanto ammettendo l’esistenza di “tempi
paralleli” in cui accadono cose diverse nello stesso mondo raccontato. Per
affermare il senso che tiene unite tutte le pagine dei libri-games, cioè, bisogna
abbandonare la linearità del testo come caratteristica che, attraverso la lettura,
permette di situare tutti gli eventi raccontati nella stessa “freccia di tempo”: anche
nei libri “normali” sono possibili vari salti di tempo (flash-back o flash-forward),
ma questi sono solo temporanei rispetto alla fine del libro, perché possono essere
ricostruiti come facenti parte della stessa linea prima/durante/dopo; mentre nei
libri con sentieri che si biforcano, ci sono salti di tempo che non permettono più di
ricollegare i fatti ivi narrati con quelli che si trovano in altre pagine del libro.
Si guardi a questo esempio, tratto da Il castello di tenebra di J.H Brennan . Al termine del paragrafo 3 in cui la
122
vicenda può andare in due modi diversi si trova scritto: “Hai intenzione di andare senza protestare? Vai al 4. Se
invece preferisci fare resistenza, scappare, scalciare, gridare o simili, vai al 5”.
Oppure, a pagina 61, il paragrafo 14 inizia così: “ Sei morto stecchito. Finito. Spacciato. Traccia un bel bordo nero
per ricordartene in futuro. È possibile che ti ritrovi di nuovo qui fra non molto...”. In questo caso l’eroe (le cui
scelte vengono fatte dal lettore, in quest’ottica di interattività) è morto a pagina 61, ma vivo a pagina 62, nel
paragrafo 15 successivo che, infatti, recita: “Arrivato al centro del cortile, cadi come una pera in una botola, ben
mimetizzata e ricoperta di terra battuta, che ti si apre improvvisamente davanti. Vai al 36”.
99
Dopo aver fatto queste precisazioni sul tempo, ricavate da un’analisi dei
livelli enunciazionali del testo, proseguiamo con la lettura del segmento (3.a.θ)
che si trova esattamente a metà tra il primo e il secondo universo – come se ci
trovassimo tra un sentiero e un altro, proprio nella linea di siepe che li separa (e
prima abbiamo detto che l’analisi strutturale doveva stare attenta alle linee che
segnavano i sentieri del giardino-labirinto). Quello che ci troviamo davanti a
questo punto è un nuovo tipo di soggetto. Volendolo classificare col metodo usato
precedentemente per inglesi e tedeschi, si ha:
La posizione da assegnare all’ultimo attore del racconto si rivela, subito, affare più
complesso. Mentre, infatti, nei primi due casi la designazione del fronte di
appartenenza, cioè dello stato dei soggetti, viene trasmessa semplicemente
attraverso un solo termine, nel caso del Dottore il testo utilizza ben quattro
termini. In più, questi quattro termini non richiamano elementi indicatori sempre
della stessa nazionalità, dello stesso stato. Letti nell’ordine in cui appaiono nel
testo, essi indicano rispettivamente: Cinese, Inglese, Tedesco, Cinese. Se
guardiamo, al quadrato degli stati appena fissato, ci si accorge che collocare
questo soggetto in uno stato ben preciso è quasi impossibile, per due ordini di
motivi. Il primo è il fatto, cui accennavo sopra, che esso viene definito da una
pluralità di termini invece che da uno solo; il secondo motivo sta nel suo
appartenere per ben due ‘volte’ a uno stato non contemplato nel quadrato. Per
chiarirci le idee, proviamo ad analizzare più a fondo i significati strutturali che
emergono dal modo in cui il testo mette in relazione questi stati differenti.
Il nome stesso del Dottore funge da primo indicatore di stato – Cinese – dal quale
si parte e che si sta cercando di definire. L’espressione che collega questo primo
termine al successivo è:
ex professore di
in cui, la particella “ex” indica uno stato antecedente a quello attuale, un “essere
prima” che convoca logicamente l’intera articolazione prima/durante/dopo di cui
si parlava sopra; articolazione temporale sulla quale si ‘distendono’ tutti i racconti.
Ecco allora che ci si presenta la prima differenza tra questo stato e gli altri due
(inglese e tedesco): l’identità cinese è un’identità narrativa, ovvero uno stato che,
a differenza dei primi due, si definisce per la sua costituzione naturale di tipo
processuale. Ci accorgiamo, effettivamente, che l’analisi dello status del Dottore,
attraverso le sole indicazioni testuali, rivela in realtà l’istituzione di un racconto a
se stante che sta sotto questa banale ‘descrizione curricolare’: un racconto che
emerge dall’articolazione strutturale di questo segmento. Di fatto, dopo aver
individuato – attraverso la particella “ex” – il riferimento a uno stato antecedente,
ci viene detto subito di che tipo di soggetto si tratta. Il lessema professore
100
convoca, infatti, un universo semantico ben preciso che fa riferimento a una
competenza del soggetto relativa al sapere. La preposizione “di”, invece, riferisce
informazioni relative all’oggetto del sapere; nel nostro caso, in cui i termini
/inglese/ e /tedesco/ rappresentano gli spazi relativi ai fronti contrapposti, la
preposizione ci dice dove collocare allora il soggetto del sapere. Riassumendo:
siamo davanti a un soggetto del sapere ma, è bene ricordarlo, un sapere che è
riferito a un “prima” e che “ora” non c’è più:
Prima
soggetto cinese ∩ oggetto del sapere
Il testo continua:
alla Hochschule di
in cui, incontriamo l’uso del corsivo, associato alla parola tedesca che significa
“Università” o “Accademia”. Ma iniziamo dalla preposizione di luogo. Se, infatti,
la particella “ex” ci aveva indicato un’azione che, rispetto al presente testuale, si
qualifica narrativamente come un ‘abbandono’ (disgiunzione) della posizione
/inglese/, adesso ci troveremmo davanti all’esito di questo abbandono. Detto in
termini di racconto: c’era prima in /inglese/ un soggetto di sapere che ora non è
più in /inglese/ e il cui sapere, presumibilmente, è stato negato. Il nostro quadrato,
a proposito di questo passaggio, ci indica la posizione /non-inglese/. Eppure, senza
bisogno di ricorrere al quadrato, la risposta riguardo il punto in cui si trova il
soggetto, è data proprio dalla parola tedesca che segue l’indicazione di luogo. Ma
ecco che l’anomalia prende corpo.
Dato che, anche in questo caso, il paradigma semantico cui appartiene Hochschule
indica specificamente un luogo del sapere, guardando alla modalità investita, si
direbbe quasi che il nostro Dottore non si sia mosso dalla prima posizione; eppure
abbiamo ben visto l’appartenenza a una dimensione di anteriorità dello stato di
sapere, /inglese/, e che non può coincidere con quella attuale. Allo stesso tempo,
viene automatico dire che ci siamo spostati nella posizione /tedesco/, e non –
come detto prima – in /non-inglese/. Come stanno allora le cose? Ci troviamo sul
termine contraddittorio del quadrato, o siamo già approdati al termine contrario,
saltando un passaggio logico? E poi, se ci siamo sicuramente spostati da /inglese/,
come abbiamo fatto a ‘portarci dietro’ il sapere?
101
3.7 La doppia faccia della lingua
Ecco che il testo ci viene in aiuto. Infatti, non abbiamo ancora fatto i conti
con l’uso del corsivo che l’autore ha scelto per vestire questa parola. In effetti, a
differenza di prima, ciò che adesso indicherebbe, attraverso la parola Hochschule,
la posizione /tedesco/ nel quadrato non ci viene veicolato dal significato della
parola ma dalla lingua in cui è espresso questo significato. Ed è questa sottile
differenza, che il testo ci segnala attraverso un cambio di dispositivo grafico, che
bisogna approfondire per poterne così dedurre l’importanza. Per dirla in termini
accademici, l’indicazione della posizione diversa, rispetto alla posizione /inglese/,
passa per un cambio di forma della lingua: l’immissione di una forma diversa
rispetto a quella con cui è ritagliato l’intero testo, e per la quale si fa passare il
senso. Questo particolare dispositivo, presente in un racconto del genere fantastico
(genere che presuppone la volontà di farsi capire dal maggior numero possibile di
lettori, compresi quelli che non abbiano competenze specifiche riguardo lingue
straniere) ne sconvolge invece le possibilità di lettura...
È arrivato allora il momento di dirlo: siamo proprio davanti a un caso di
convergenza di sentieri. Una convergenza di sentieri che chiude idealmente la
biforcazione della prima frase in due livelli enunciazionali; una convergenza che
infatti si situa nel segmento (3.a.θ) in cui si stabilisce, lo abbiamo detto sopra,
anche il ritorno al primo livello enunciazionale e che segna la fine della micro-
sequenza intercalata. Se, però, la prima biforcazione faceva perno sulla proprietà
intrinseca all’attività narrativa – quella di instaurare, cioè, universi altri – questa
convergenza chiama all’appello la profondità di ricchezza connaturata al
linguaggio umano stesso. La chiave, infatti, ci è data da una singola parola, la
parola tedesca Hochschule. Ecco, di seguito, come stanno le cose.
ex professore d’inglese,
alla Hochschule,
/Inglese/ vs /Tedesco/
(prima)
(durante)
103
l’analisi dell’identità cinese. Resta, infatti, l’ultima fase definente l’essere cinese,
rappresentata nel testo da:
di Tsingtao.
Con quest’ultima parte della caratterizzazione dello status cinese (che ricordiamo
mantenere la modalità del sapere), si chiude il cerchio, e il percorso del Dottore lo
riporta finalmente nella posizione dalla quale era partito, “in Cina” per così dire.
Ma una cosa è cambiata. Stavolta infatti sappiamo cosa significa “essere cinese”.
All’inizio, la ‘cinesità’ era stata presa per fede, come dato di partenza sconosciuto
ancora da analizzare; anzi, era proprio questa incognita a mettere in moto l’intero
percorso a quattro stadi. Il fatto, invece, che alla fine appaia un termine cinese dai
connotati simili al primo, conferma che l’essere cinese racchiude in sé l’intero
percorso il quale, a sua volta, è la definizione di uno stato: lo stato del nostro
Soggetto.
Se analizziamo le implicazioni relazionali che derivano dalla proposizione “di” e
dalla sua posizione rispetto al tutto il percorso sin qui esaminato, si capirà il valore
della predicazione “Tsingtao” cui la preposizione di riferisce. Messa alla fine del
percorso narrativo che indica l’identità cinese, l’appartenenza significata dal “di”
arriva a comprendere tutto ciò che precede, ovvero i significati investiti nelle
singole tappe. Inoltre, passando all’analisi di “Tsingtao”, la posizione di questo
termine a chiusura del percorso – chiusura segnata dalla ‘soglia’ che delimita
l’inciso tra virgole (“Yu Tsun, ex professore d’inglese alla Hochschule di
Tsingtao, ...) – indica che l’identità del Dottore cinese diventa completa soltanto in
questo stadio, dunque in questo dopo presupposto dal precedente durante
dell’articolazione temporale. Ora, dato che il termine “Tsingtao” al quale si
rivolge l’operazione implicante possesso, è proprio il nome di un posto – e di un
posto della Cina – ecco che sorprendentemente viene ribadita la questione di cui ci
stavamo occupando: definire lo stato del /cinese/. Ma per il fatto che nel nostro
quadrato-universo manca un termine che indichi il posto di un cinese, c’è solo
un’unica cosa che resta possibile fare, a partire dalla posizione /tedesco/ in cui ci
trovavamo fino a questo momento, ovvero: per affermare l’essere cinese si può
solo negare lo stato in cui ci si trova. In questo modo si vede come l’ultima tappa
del percorso coincida anche con l’ultimo stato non ancora visitato dal Dottore,
quello di /non-tedesco/. A questo stato possiamo attribuire il marchio temporale
del dopo, sulla base di due motivi. Il primo si ricava dalla precedente analisi, e
fonda la sua pertinenza sull’articolazione temporale instaurata all’inizio.
Un’importante risultato è allora quello di avere scoperto che l’essere del cinese
ospita in sé, come significativa, l’intera articolazione del tempo123.
Adottando una prospettiva globale sul Giardino, si capisce come sia l’intero testo
a confermare la negazione dell’essere tedesco come la vera missione del Dottore,
il risultato finale a cui egli vuole arrivare124. Egli stesso afferma di voler ribadire al
123
Al contrario della Storia dell’Oggetto dove l’articolazione temporale perde significatività (cfr. paragrafo 3.4.2)
124
Questa altra fase la riportiamo sul quadrato completo nel paragrafo 3.10
104
Capo tedesco il valore dell’intera stirpe cinese. Come riportato nel nostro
paragrafo iniziale:
Non lo feci, no, per la Germania. Nulla mi importa d’un paese barbaro, che m’ha
obbligato alla condizione abietta di spia. [...] Lo feci, perché sentivo che il Capo
teneva a vili quelli della mia razza – gli antenati innumeri che confluiscono in me.
Volevo provargli che un giallo poteva salvare i suoi eserciti. [J. L. Borges – Tutte le
opere 1984, pag 692]
Se pensiamo che questo percorso, che noi abbiamo definito come una
narrazione che ci ha portato a determinare l’essere cinese, è costituito da quattro
tappe (schematizzabili dalle denominazioni figurative: cinese, non-inglese,
tedesco, cinese) possiamo provare a verificare un tipo di parallelismo tra queste
tappe e le fasi canoniche dello schema narrativo desunto dalla semiotica a partire
dagli studi di Vladimir Propp [1928] sulle fiabe russe, illustrato, tra gli altri, anche
in Bertrand [2000, pag 186]:
105
della sintassi narrativa – di tipo logico – l’enunciato narrativo (EN) inteso quale
relazione tra due attanti126 (di due tipi: “enunciati di stato” che mettono in
relazione un soggetto e un oggetto di valore, “enunciati del fare” che trasformano i
primi). L’operazione sintattica elementare che lega i vari enunciati (di stato e del
fare) permettendo di articolare un racconto minimo, è il programma narrativo
(PN), il quale – attraverso congiunzione e disgiunzione – garantisce la
trasformazione di un enunciato di stato in un altro enunciato di stato per mezzo di
un enunciato del fare; la complessità dei racconti concreti implica il
raggiungimento di questa trasformazione (PN di base), attraverso vari programmi
intermedi, detti PN d’uso. Ritornando allo schema narrativo diviso in quattro
tappe, osserviamo come il primo e l’ultimo stadio mettono in relazione gli stessi
due attanti, Soggetto e Destinante nei momenti del contratto e della sanzione.
Ponendo, infine, il parallelo tra programma narrativo a quattro tappe e schema
canonico a tre enunciati, il primo diventa:
Manipolazione (EN di stato) → Azione (EN del fare) → Sanzione (EN di stato).
Questo schema finale si applica alla storia del cinese, e conferma che si tratta del
racconto di un Soggetto, in quanto incentrato su un voler-essere e non su un voler-
fare: il momento della manipolazione è il voler-essere cinese, e costituisce la
virtualizzazione dell’oggetto di valore in quanto incarnazione del valore ricercato
per l’essere finale; l’azione (competenza, la quale mette in relazione il soggetto
con l’oggetto + performanza, la quale mette in relazione il soggetto e l’anti-
soggetto), attualizza e realizza l’oggetto di valore figurativizzandolo nel fare
cinese che è l’oggetto dell’intera deposizione; la sanzione, infine, è il
riconoscimento in ‘territorio’ /non-tedesco/ del valore col quale il soggetto si è
congiunto: l’essere cinese.
Allora, mentre prima abbiamo avuto a che fare con la costruzione dell’Oggetto,
senza che gli elementi in gioco ci permettessero di definire un soggetto reale,
adesso abbiamo assistito alla costruzione solida di un soggetto che:
Il concetto di attante si differenzia da quello di attore, in quanto definito esclusivamente dalla relazione che lo
126
oppone a un altro attante; trattandosi di termini logici e rifacendoci alla strutturazione delle categorie logico-
semantiche, si crea così il modello attanziale di Greimas sulla base delle relazioni tra: Soggetto/Oggetto,
Destinante/Destinatario, Aiutante/Opponente.
106
in cui l’Oggetto è stato virtualizzato secondo la sua valenza a-temporale, il
Soggetto secondo la sua definizione narrativa nell’articolazione temporale.
107
dichiarazione delle tematiche principali, quelle che verranno investite di valore nel
racconto e che d’ora in poi saranno la guida della nostra analisi.
/Inglese/ vs /Tedesco/
(prima)
(durante)
Permanenza Incidenza
Si può provare adesso a specificare i connotati dei singoli termini della categoria
temporale mettendoli in relazione alla temporalità significata dalla nostra analisi
della prima sequenza di testo, secondo un’equivalenza di tipo semantico e
seguendo l’indicazione di Greimas [1976]:
/permanenza/ vs /incidenza/,
108
In base alla maniera in cui il Giardino articola figurativamente sul quadrato le tre
diverse posizioni temporali sulle quali si proietta il “tempo del racconto”,
abbiamo:
Permanenza Incidenza
(prima)
(durante)
MORTE
Permanenza Incidenza
(Passato) (Presente)
(Futuro)
Non incidenza Non permanenza
VITA
109
sempre-presente129. Al contrario, il termine Vita non presenta alcuna
significazione specifica in merito al tempo che consenta di attribuirle una
posizione preferita tra le due deissi; infatti, come abbiamo già detto, essa si
distende a partire da un presente, verso un futuro ‘in avanti’, verso un passato
‘all’indietro’.
MORTE
129
Queste ragioni verranno in seguito ribadite e approfondite nel corso dell’analisi.
130
Cfr. Cap. 1, paragrafo 5.4
110
Permanenza Incidenza
(Passato) (Presente)
ESISTENZA ESPERIENZA
(Futuro)
Non incidenza Non permanenza
VITA
In queste tre azioni ritroviamo tutto ciò che abbiamo detto prima, ma più
specificamente, ritroviamo la continua lotta tra due modi diversi di trattare la
questione dell’identità (Soggetto) e del tempo (Valore dell’oggetto). Infatti, presi
insieme, i verbi indicano una distensione nel tempo che riguarda sia il soggetto
che l’oggetto; ma questa distensione non possiamo ritrovarla nell’analisi delle
singole declinazioni, che troviamo al participio passato, un modo che indica la
puntualità dell’azione e quindi la sua non-distensione. Inoltre, riguardo
all’oggetto: esso è significato dai primi due verbi che indicano un’azione rivolta al
contenuto della deposizione, che rende conto del suo Oggetto; ed è un oggetto in
sé contraddittorio, per i motivi appena detti. Infatti se, per capire la natura di
questo Oggetto, teniamo conto dei due verbi insieme, allora vediamo messa in
scena una minima processualità temporale, un’articolazione distesa nel tempo; se,
invece, guardiamo alla forma del verbo, ci accorgiamo di avere a che fare con due
puntualità che non sono in relazione tra loro, anzi, vengono divise dal testo
mediante la virgola, e ci costringono a considerare la temporalità espressa come
fatto unico e unitario. Questa contraddittorietà intrinseca all’oggetto conferma,
come questione centrale da affrontare il problema della valenza investita in esso,
problema che viene prima dell’individuazione stessa dell’oggetto. Solo dopo aver
capito quale sia il ‘vero’ valore, possiamo andare alla ricerca di oggetti che lo
contengano.
Ma torniamo alla nostra analisi dei verbi. La congiunzione “e” ci parla infatti
di una relazione: quella del Soggetto con l’Oggetto contraddittorio. L’ultima
azione, quella di firmare, è infatti un’attestazione riguardante l’esistenza di un
Soggetto che si relaziona (“e”) con l’Oggetto. In questo caso del Giardino,
l’ordine di presentazione dei due temi è anch’esso fondamentale. Infatti, se si
stabilisce come prioritario (si mette prima in questione) il problema del tempo e
della sua reale essenza (verità), rispetto a quello dell’identità (dell’essere del
soggetto), allora si afferma che la definizione dell’identità è in funzione del
particolare valore creduto-vero riguardo al tempo. Come dire, se il tempo è
considerato nella sua puntualità, cioè come monade indivisibile e statica, l’essere
del soggetto sarà definito in un certo modo rispetto al tempo; se, invece, si
considera-vero un tempo processuale, la cui freccia è orientata irreversibilmente e
distesa nell’articolazione /passato/presente/futuro, allora la definizione
dell’identità sarà diversa (si presuppone opposta alla prima): l’essere del soggetto
si definisce in base alla ‘faccia’ del tempo che viene di volta in volta creduta vera
tra le due possibili. Sarebbe allora interessante, nell’ottica di questo confronto fra
Ricoeur e la semiotica, riscontrare nel nostro testo questo particolare tipo di
relazione funzionale tra soggetto e tempo.
131
Traduzione mia.
112
Se infatti, stabilita la ‘verità’ del testo sul tempo, il ‘vero’ essere del soggetto
si fondasse su una temporalità di tipo opposto, allora l’analisi semiotica
arriverebbe a dimostrare come l’aporia filosofica sul tempo venga risolta – in
quanto contenuta – nella relazione tra soggetto e tempo che esprime insieme le
due ‘facce’ del Tempo. Se, infine, i due termini di questa relazione (Soggetto e
Oggetto) li si trovasse figurati nel Giardino, rispettivamente, in una persona (cosa
ovvia) e in un racconto132, allora la teoria riscontrata nel testo tramite l’analisi
semiotica convergerebbe appieno con alcuni risultati della teoria ricoeuriana:
verrebbe, infatti, affermata quella soluzione dell’aporia del tempo, secondo cui il
lettore si appropria (entra in relazione profonda) del mondo dell’opera che
dispiega a proprio modo la temporalità. Ricoeur attribuisce, infine, come frutto di
questa relazione una temporalità ‘nuova’, che egli chiama “tempo umano”: il
tempo, cioè, diventa tempo umano, nella misura in cui:
113
del testo fin qui eseguita. Avendo, infatti, considerato questo paragrafo come il
momento del contratto fra enunciatore ed enunciatario, in merito a ciò di cui
“varrà la pena” parlare nel testo, ed essendo terminata questa parte relativa al
contratto, il racconto deve proseguire con la fase successiva che riguarda la
competenza, ovvero l’acquisizione di un sapere da parte del Soggetto del fare
cognitivo (stiamo parlando del lettore, enunciatario costruito dal testo), in merito
all’Oggetto doppio di indagine (Tempo e identità). Ma nel momento in cui il
Giardino prosegue con la messa in scena di un altro racconto, narrato da un altro
enunciatore in prima persona, in un altro tempo (durante la guerra) e in un altro
spazio (mondo – Inghilterra), al testo occorreva ricordare che il vero racconto,
quello che stiamo leggendo noi attraverso la semiotica, è già iniziato. Così, ecco
che mancano pagine.
D’ora in poi, allora, terremo presente nell’analisi del Giardino come un tutto
strutturato, la distinzione tra Storia dell’Oggetto e della sua valenza, da una parte,
e Storia del Soggetto nell’affermazione del suo essere, dall’altra. Come bussola
del cammino, saranno le singole quattro fasi dello schema narrativo – di cui
abbiamo individuato il rispettivo posto specifico nell’universo organizzato
figurativamente dalle nazionalità – a guidarci nell’individuazione delle diverse
tappe della costituzione dell’Oggetto e del Soggetto.
4. II - IL SENTIERO DI MADDEN
114
... e riappesi il ricevitore. Immediatamente dopo, riconobbi la voce
che aveva risposto in tedesco. Era quella del capitano Richard
Madden. Il fatto che Madden si trovasse nell'appartamento di
Viktor Runeberg significava la fine dei nostri affanni e anche - ma
questo pareva molto secondario, o almeno doveva parermi tale -
delle nostre vite. Significava che Runeberg era stato arrestato, o
assassinato.* Prima che declinasse il sole di quel giorno, io avrei
certo subìto la stessa sorte. Madden era implacabile. O meglio:
era costretto a essere implacabile. Irlandese agli ordini
dell'Inghilterra
uomo accusato di tepidezza e forse di tradimento, come non
avrebbe profittato e gioito di questo miracoloso favore: la cattura,
forse la morte, di due agenti dell'Impero tedesco? (Salii nella mia
stanza...)
115
Questo fatto, testimoniato dal cambio di prospettiva che guida la narrazione degli
avvenimenti, si spiega come volontà di dare realismo al racconto secondo, di
“farlo esistere” indipendentemente. Quella indipendenza che viene sottolineata
anche dal rigo vuoto: un rigo incolmabile perché gioca su una differenza di tipo
paradigmatico, nel campo dell’enunciazione. Schematicamente:
Per prima cosa, possiamo essere sicuri che sia stato il dottore a fare la
telefonata e non il capitano. Infatti, viene detto che la voce di Madden “aveva
risposto al telefono”. E il fatto che il dottore riconosce Madden solo dopo la
chiamata, significa che mentre parlavano non si era accorto di nulla e, prima di
appendere il ricevitore, ha avuto il tempo di riferire il motivo della chiamata fatta
al suo collega spia, qualunque esso sia stato. Allora c’è stato un dialogo.
Di cosa avranno parlato? Potremmo pensare che il dottore cinese volesse
comunicare a Runeberg il segreto di cui era in possesso. Ma è sufficiente
continuare la lettura per escludere questa prima ipotesi: infatti, in seguito, lo stesso
Yu Tsun dice di Madden:
Nel mezzo del mio odio e del mio terrore [...] pensai che quel guerriero tumultuoso
e indubbiamente felice non sospettava che io possedessi il Segreto: il nome del
luogo preciso in cui erano postate le artiglierie del XI Parco britannico sull’Ancre.
[J. L. Borges – Tutte le opere 1984, pag 691]
116
E cosa ha potuto dire, allora, il dottore a Madden, credendolo Runeberg? Non di
certo ha comunicato il segreto: neanche nel momento di terrore, infatti, riuscirà a
temere che l’avversario abbia indovinato il suo segreto; anzi, magari questa è
l’unica sicurezza che lo conforta. Sappiamo però che il dottore teme fortemente,
anzi è sicuro, di essere raggiunto: è verosimile, dunque che egli abbia detto dove
si trova. Ma un’altra informazione deve essergli sfuggita nella conversazione:
quella relativa alla propria identità. Egli ha fatto capire chi è. Altrimenti, riferendo
esclusivamente il luogo in cui si trovava, cosa poteva importare alla spia inglese il
fatto di raggiungerlo, se non si trattava di un nemico? Allora, dobbiamo
indovinare che cosa ha detto a Madden per svelare la propria identità.
Pensando di parlare con Runeberg, possiamo supporre che egli abbia detto
una cosa del tipo: “Sono io, Yu Tsun”. Oppure, nel caso in cui abbia detto
semplicemente “Sono io”, possiamo accettare che Madden gli abbia chiesto in
tedesco di identificarsi meglio e il cinese abbia detto il suo nome: abbiamo capito,
infatti, che c’è stato un minimo di dialogo. Ma, semplicemente davanti a un nome
cinese, la spia irlandese al servizio degli inglesi non avrebbe potuto mai pensare si
trattasse di un agente al servizio dei tedeschi. Quindi, questa ipotesi non è
sufficiente.
Ammettendo, dunque, che il dottore abbia detto il suo nome (o che non lo abbia
detto) e Madden lo abbia fatto continuare, egli avrà poi seguitato a parlare,
comunicando la “parte della chiamata” che ha fatto poi capire al capitano chi c’era
veramente all’altro capo del telefono.
117
Ecco, dunque, quello che si può ipotizzare sulle due pagine mancanti. Quello
che succede dopo, invece, è tutto scritto:
Prendiamo adesso in considerazione queste due frasi iniziali separandole dal resto
della sequenza, in quanto esse riferiscono quello che è successo nella storia,
mentre il seguito fa parte delle congetture del protagonista in merito all’accaduto.
Inglese vs Tedesco
Se la guerra non ci fosse, infatti, nessuno dei due parlerebbe quella lingua. Ma
guardiamo, ancor di più, ai singoli termini indicatori di nazionalità che appaiono
in queste due frasi iniziali: “tedesco” e “Richard Madden”. Dopo aver considerato
‘cosa significa’ la relazione tra i due in base al comune linguaggio tedesco usato,
118
prendiamo in esame i segni che vengono attribuiti rispettivamente ai singoli
soggetti.
[...] ma questo pareva molto secondario, o almeno doveva parermi tale. [...] Prima
che declinasse il sole di quel giorno, io avrei certo subito la stessa sorte.
...arrestato, o assassinato.
121
Madden comporterebbe per Yu Tsun, insieme la fine degli affanni, ovvero il
termine della fatica fatta per portare a buon esito il proprio obiettivo, ma allo
stesso tempo la Morte. Trasposto in base ai risultati del precedente capitolo
sarebbe: una volta che sei riuscito ad affermare il vero valore del tuo essere (hai
finito di affannarti), muori. Ma anche viceversa: muori quando riesci ad affermare
il vero valore del tuo essere. La relazione sintagmatica di congiunzione, infatti,
unisce i due termini della relazione secondo un rapporto di compresenza (“e
anche”) e non di causalità e conseguenza. Questa considerazione non farebbe che
asserire il luogo comune, secondo cui sapremo veramente chi siamo stati,
scopriremo il vero senso della nostra vita disseminata in vari pezzi, soltanto nel
momento supremo della Morte.
122
affanni e della vita, per Runeberg, Madden può significare solo una delle due
opzioni. Ma questa differenza fra i due rapporti a cosa conduce? Conduce alla
precisazione inserita nella straniante nota dell’editore, o meglio: è con questa
consapevolezza che leggiamo la nota dell’editore, inserita proprio a questo punto.
Adesso abbiamo bisogno che qualcuno ci dica, tra queste due possibilità opposte
che il narratore Yu Tsun prospetta, qual è quella che si adatta alle intenzioni di
Madden.
Infatti, abbiamo visto come la seconda frase del primo segmento, non riporta
l’ottica del personaggio ma quella del narratore. Ma quest’ultimo è pur sempre un
narratore di tipo soggettivo, è sempre Yu Tsun che in quanto personaggio della
storia, neanche da narratore, alla fine di essa, è in grado di entrare “nella mente di
altri personaggi” per capirne le vere intenzioni135. Un narratore, cioè, che si
colloca dal punto di vista di un personaggio della storia, se vuole mantenere la
verosimiglianza dei fatti narrati, non può uscire da questo per raccontare il
“mondo interiore” di un altro, sempre che nel corso della storia non gli venga
riferito dall’altro personaggio in questione 136. Per questo è necessaria la
precisazione di un narratore “imparziale” onniscente che ci parli delle intenzioni
di Madden, mettendoci in grado di scegliere una delle due alternative (arresto o
morte) poste da Yu Tsun sul possibile significato di un incontro tra Runeberg e il
capitano.
E cosa rivela la nota? Essa ci dimostra che la “volontà” di Madden non è quella di
uccidere Runeberg, essendo egli qualificato esclusivamente come
123
volere, che rispecchia il contratto che egli ha fissato con il proprio Destinante, e
che rappresenta lo scopo che cerca di raggiungere nella storia. Quale sia questo
scopo, lo vedremo più avanti, nell’analisi dell’ultima parte di questa sequenza. Ci
aspettiamo che la scoperta del vero volere di Madden, ci fornirà la risposta
definitiva circa le ragioni del diverso “atteggiamento” che il testo assegna al
capitano nei confronti delle due spie dei tedeschi. Sapremo, cioè, il vero motivo
per cui Madden e Yu Tsun sono nemici in una guerra che non gli appartiene.
[...] ma questo pareva molto secondario, o almeno doveva parermi tale. [...] Prima
che declinasse il sole di quel giorno, io avrei certo subito la stessa sorte.
124
avevamo indicato col ruolo di aiutante nella Storia dell’Oggetto. Le piogge,
elemento acquatico, avevano permesso di conoscere il vero valore del tempo
inscritto nella data: un valore che è uguale sia nella posizione /24 luglio/ che in /29
luglio/. Dunque, un valore che non cambia con lo scorrere del tempo; il vero
valore del tempo che viene affermato non sta nel suo “scorrere”, nel suo essere
lineare, ma nell’essere sempre presente in diversi luoghi temporali.
Adesso l’enunciato sul Sole appare però nella Storia del Soggetto, e deriva da una
considerazione dello stesso:
Prima che declinasse il sole di quel giorno, io avrei certo subito la stessa sorte.
Sole : fuoco : luce : alto : vita : sapere (ma incapacità di comprensione totale138)
137
Vedi paragrafo 1.1, ultimi riferimenti cronologici.
138
L’elemento del disturbo nel sapere sarà chiarito nel prosieguo dell’analisi, cfr. paragrafo 14 in poi.
125
proposito, nel caso di Yu Tsun. Quello che segue ci aiuterà. Infatti si continua a
parlare di lui:
Madden era implacabile. O meglio: era costretto a essere implacabile. Irlandese agli
ordini dell'Inghilterra, uomo accusato di tepidezza e forse di tradimento, come non
avrebbe profittato e gioito di questo miracoloso favore: la cattura, forse la morte, di
due agenti dell’Impero tedesco?
Come abbiamo visto nella prima sequenza, nella presentazione del dottore
cinese, anche in questo caso, per raccontare “chi è” Madden, non ci si accontenta
di usare un unico termine (che sia inglese, tedesco, irlandese o cinese) e basta.
Anche in questo caso dietro l’identità di Madden c’è una storia. La storia dell’anti-
Soggetto.
Precisiamo, all’inizio di questo esame, chi sia in questo momento a parlare, se il
personaggio Yu Tsun o il narratore. In base all’assenza di particolari riferimenti al
soggetto inscritto nella storia, attribuiamo tutto il segmento al narratore. Infatti, sia
nella frase che precede il segmento, sia in quella che lo segue, notiamo i segni di
un’attività riferita al personaggio protagonista degli eventi: nella frase prima, l’uso
dell’espressione “io avrei certo subito la stessa sorte”, tramite l’uso della prima
persona, indica il pensiero durante l’azione, ovvero nel momento in cui Yu Tsun
non sapeva di fare una considerazione sbagliata (egli non viene raggiunto prima
del declino del sole). Nella frase che segue, e fa parte della sequenza successiva,
compare di nuovo il riferimento all’azione del personaggio, con il verbo alla prima
persona e il ritorno al resoconto dei fatti. Adesso, invece ci troviamo in mezzo;
parla il narratore, l’istanza produttrice di questa narrazione 139. Per questo possiamo
essere sicuri della veridicità delle affermazioni riportate, senza il rischio di
qualunque vizio di soggettività. Allo stesso tempo, è sempre lo stesso Soggetto
che racconta, e lo fa in un tempo che è subito dopo i fatti raccontati, quindi: la
descrizione è vera, nel senso di oggettivamente vera per il testo, non si può
definire “supposizione” da verificare; ma la descrizione rappresenta comunque il
“Madden” per Yu Tsun. Si colloca quindi in continuità con l’analisi del paragrafo
4.3.
Si parte con una semplice definizione di stato che appare lontana dal nostro
l’orizzonte delle nazionalità. Madden è definito per la sua “implacabilità”.
L’essere implacabile è una definizione che si adatta a definire un soggetto
nell’orizzonte delle azioni; nell’orizzonte di un fare. Ecco allora che viene a galla
un primo contrasto profondo tra Madden e Yu Tsun. Se quest’ultimo è stato
definito prima come un soggetto del sapere (essendo professore), al capitano viene
invece attribuito un predicato che riguarda il fare: Madden è un uomo d’azione, un
soggetto del fare. Tenendo questo come punto di riferimento, però, il testo si
accorge di non essere stato preciso e ci tiene ad aggiungere un’importantissima
139
Non per il fatto che l’enunciato è reso alla terza persona, ma per l’evidente inutilità dell’informazione auto-
riferita nel corso degli eventi. Si tratta qui di una descrizione dell’anti-Soggetto che il narratore della deposizione
Yu Tsun, inserisce per informare chi legge.
126
precisazione, che riguarda la modalità: egli è “costretto” a un fare che merita la
definizione di implacabile. Rispetto al suo stato, allora, ciò che si rileva qui è la
sua definizione secondo la modalità del dovere fare, unito alla marca affettiva
dell’implacabilità. In particolare, il termine di costrizione suggerisce, in più, il
contrasto tra un volere-essere e un fare effettivo contrario. Per capire cosa riguarda
queste modalità, ecco che si ritorna alla nostra chiave di lettura. Chi è che lo
costringe?
127
come non avrebbe egli approfittato e gioito di questo miracoloso favore: la cattura,
forse la morte di due agenti dell’Impero tedesco?140
Facendo attenzione alla cifra stilistica, ci accorgiamo che avviene la stessa cosa
successa in precedenza. Prima, infatti, il narratore aveva parlato dal punto di vista
di Yu Tsun, mostrando il suo atteggiamento nei confronti dei valori tedeschi,
improntato all’allontanamento da essi (disforia). Adesso avviene la stessa cosa con
Madden. Solo che, in questo caso, una vera differenza la si coglie: sembra che il
capitano irlandese ci tenga proprio al giudizio degli inglesi e relative imposizioni.
Leggendo anzi il testo in lingua originale e l’altra traduzione italiana, si percepisce
in più il suo desiderio di congiungersi quasi fisicamente con gli inglesi. Non
sembra, dunque, che egli sia interessato ad affermare il suo /essere-irlandese/, e
d’altro canto – se continuiamo di poco la lettura – egli è detto “tumultuoso”,
aggettivo che indica l’opposto di un soggetto che non vuole fare. Sembra, allora,
che Madden sia più interessato a farsi accettare dagli inglesi come uno di loro,
tanto che per far questo è disposto a negare il suo essere-irlandese e il suo non-
voler-essere soggetto del fare.
A questo punto possiamo capire per quali ragioni profonde Madden provi per
Yu Tsun un ostilità che “va sul personale”. Possiamo spiegarci quell’ostilità
particolare che avevamo potuto solo registrare confrontandola con il diverso
atteggiamento riservato a Runeberg. Quest’ultimo, infatti, essendo tedesco in una
guerra tedesca, non aveva nessuna motivazione di tipo “esistenziale” nel suo
essere in guerra. Runeberg, come si suole dire, faceva solo il suo mestiere,
assecondando i voleri della propria nazione. Runeberg non ci pensa neanche a
140
Nel testo in lingua originale l’euforia che indica, come favorevole al capitano, la cattura dei tedeschi è ancora
maggiore e specifica un rapporto più diretto con gli inglesi. Non si parla, infatti, di “profittare e gioire” (che sono
azioni riferite a un occasione in generale), ma di “brazar y agradecer”, ovvero, “abbracciare e ringraziare”
(entrambi questi verbi richiamano la presenza di qualcuno da abbracciare e ringraziare) (traduzione di Bacchi
Wilcock).
128
voler dimostrare qualcosa. Fondamentalmente di altra natura è il motivo per cui il
dottore e il capitano sono nemici sul fronte di una guerra che non gli appartiene.
Nessuno potrebbe dire che siano stati costretti. Adesso, però, conosciamo le
rispettive motivazioni di questi Soggetti. Mentre la spia tedesca vuole affermare se
stesso (il proprio valore), il capitano Madden vuole negare il suo essere. Ecco
perché, avendo indicato Yu Tsun come il Soggetto di questa storia, possiamo
nominare Madden l’anti-Soggetto logico: il capitano vuole affermare il contrario
di quello cui preme sostenere invece al dottore cinese. Per questo Yu Tsun “va
ammazzato”141, mentre Runeberg no.
129
Ugualmente, ci si potrebbe chiedere dove sia finita la Storia dell’Oggetto-
Tempo, e il suo momento di competenza, ovvero il luogo in cui si fissa un sapere
vero sull’Oggetto, attualizzandolo. Ecco fissato il passaggio per la prossima
sequenza.
Dopo aver seguito attentamente gli sviluppi della Storia del Soggetto, ecco
che ci troviamo immersi in una profonda riflessione sul tempo, che è poi il valore
di riferimento del nostro Oggetto, la cui valenza abbiamo visto virtualizzato nella
prima sequenza, che deve essere ancora attualizzato. Dobbiamo capire, cioè, in
che modo questo Oggetto che rappresenta il valore tempo, sia latore di una
temporalità di tipo statico che afferma il valore di un eterno e solo presente, e non
rappresenti invece una temporalità distesa e articolata. In ogni caso, il fatto che in
questa parte si faccia un discorso sul tempo, è segnale che ci stiamo spostando
dalla Storia del Soggetto a quella dell’Oggetto. Ma procediamo con ordine.
130
Prima di riferirci qualunque altra cosa, il testo ci segnala un cambio di spazio,
ma non solo. Fa parte della stessa prima frase, infatti, anche una precisazione sulla
posizione in cui si mette il soggetto. Analizzeremo adesso il significato che
assumono per noi queste coordinate riferite allo spazio e al Soggetto, in base alle
ipotesi esposte nei precedenti paragrafi. Prenderemo in esame, per adesso, come
un intero segmento le prime due frasi che contengono lo spostamento e la
descrizione del paesaggio; esse costituiscono, infatti, i preliminari della riflessione
sul tempo.
Lo spostamento, dal basso verso l’alto, è segnato dal verbo “salii”. Dal modo
del verbo, passato remoto, deduciamo innanzitutto che il testo riferisce un’azione
compiuta dal personaggio, durante la storia. È bene tenere presente questa
indicazione. Infatti, nell’ordine della differenza che abbiamo sottolineato fra
personaggio e narratore Yu Tsun avevamo ricavato che: il primo ‘si trova’ negli
enunciati a lui riferiti di eventi che accadono nel corso della storia (azioni,
pensieri, descrizioni, sensazioni); l’altro lo ricaviamo da enunciati che non sono
per forza attribuiti al personaggio, durante la storia, ma che ‘parlano’ di altri
personaggi o fanno riflessioni che appartengono al tempo in cui la storia è
terminata e Yu Tsun la scrive, diventando narratore e, conseguentemente, istanza
ultima responsabile della verità inscritta nella deposizione, la verità per questo
testo raggiunta alla fine della storia. Questa precisazione è fondamentale per
capire a quale ‘tappa’ del racconto appartiene un determinato enunciato, se al suo
inizio, se al suo svolgersi, oppure se ci troviamo già ad eventi conclusi, cioè alla
fine. In questo caso, abbiamo detto di trovarci nel mezzo degli eventi della storia,
che vengono riferiti dal punto di vista dello Yu Tsun che non ha ancora terminato
il suo percorso narrativo.
131
Questi elementi di continuità, però, non bastano a garantire l’appartenenza delle
due sequenze a un unico frammento: il perché lo abbiamo spiegato all’inizio del
paragrafo. Possiamo, comunque, accogliere in questo senso l’obiezione che Yu
Tsun fa... a se stesso, giudicando assurda la propria azione.
/alto/ (sapere del soggetto) + /orizzontale/ (il cui riferimento è ancora ignoto)
Passando alla frase successiva, Yu Tsun, una volta steso sul letto, guarda
dietro la finestra e vede due cose:
132
un attimo alla nostra storia, siamo in possesso di un elemento preciso che ci dice
la stagione di riferimento. Abbiamo, in precedenza, sottolineato la concomitanza
temporale tra racconto di Yu Tsun e racconto del ritardo: questi due racconti, cioè,
narrano fatti avvenuti nello stesso periodo, che è il periodo della prima guerra
mondiale. Ma un ulteriore precisazione, nel racconto del ritardo, ci riportava la
data precisa, ovvero il mese preciso: siamo a luglio. Concomitanza vuole, dunque,
che si sia a luglio anche nella storia raccontata da Yu Tsun. Da questo dato
ricaviamo un informazione essenziale: il sole è obnubilato, non per il fatto che
siano le sei del pomeriggio, ma perché significa che nel cielo ci dev’essere
qualche nuvola. Alle sei di un pomeriggio estivo di luglio, non si pensa neanche
che già stia arrivando la sera; si è ancora in pieno giorno. L’informazione che
passa attraverso l’uso della figura sole, allora, non riguarda il sole in sé, in quanto
oggetto di luce, ma riguarda esso in quanto elemento che subisce un’azione da
parte di un altro elemento: le nuvole. Ecco che notiamo, adesso, un’evidente
continuità che ci ha portato dal sole della precedente sequenza, alle nuvole, e che
non può far prevedere, di rimando, altro che l’elemento “pioggia”. Parafrasando,
“si prevede pioggia”.
Ecco perché, come ho già detto, non ci troviamo proprio davanti a una novità.
Le piogge, infatti, le avevamo incontrate nella prima sequenza come aiutante, nel
momento necessario per l’acquisizione di un vero sapere sull’Oggetto-tempo
investito di ugual valore nonostante le date diverse. In questo caso, allora, è
necessario che il testo confermi il nostro risultato indicando anche l’orario: sono le
sei. L’orario, infatti, ci fa escludere un sole che è già scomparso, e ci indica
l’oggetto investito del valore tempo, esattamente come prima questo oggetto era
rappresentato dalla data. Prima ci trovavamo in presenza di piogge, adesso siamo
in presenza di nuvole. Questo dato non è irrilevante. Le nuvole, infatti, si
posizionano come passaggio obbligato che porta dal sole alla pioggia; la nuvole
sono uno spazio intermedio fra sole e pioggia. Questa previsione di pioggia, segna
la gradualità del passaggio di Storia che avviene in questa sequenza, contenendo
in sé due riferimenti paralleli: uno, alla Storia del Soggetto (in quanto si tratta di
una percezione visiva di Yu Tsun, il cui sole viene oscurato), l’altro riferimento, a
quella dell’Oggetto (in quanto il contenuto della visione rimanda al sapere
sull’oggetto-tempo, le cui nuvole sono segno del prossimo cambio di Storia).
133
quello proprio di Yu Tsun. Cosicché, anche l’orario segna il passaggio tra un tipo
di tempo preciso e un tipo di tempo indistinto.
Per quel che riguarda il riferimento particolare alla Storia del Soggetto,
notiamo che questo cambio di tempo si costituisce come prefigurazione
dell’irreversibile cammino del protagonista verso la propria morte. Se, infatti,
sappiamo che il dottore non morirà di certo prima che il sole declini, è anche vero
che il congiungimento con Madden avverrà la notte di quello stesso giorno. A
seguito dell’attribuzione sicura del valore /vita/ che abbiamo dato prima alla figura
del sole, in questo caso l’obnubilamento indica un passaggio graduale verso una
negazione del sole e della vita. Trasponendo su un quadrato semiotico questa
figura del sole (che, in quanto astro della luce del giorno, evoca l’opposto astro del
buio della notte) come indicatore di vita, e il suo relativo oscuramento –
diminuzione di luce – come prefigurazione di una prossima morte, avremo che,
per il Soggetto (nella pagina seguente):
Sole Luna
/vita/ /morte/
Alba Tramonto
/non-morte/ /non-vita/
134
di orizzontalità (“mi stesi sullo stretto letto”), sempre riferita a Yu Tsun.
L’autorizzazione per fare questo confronto sta nel fatto che le due frasi hanno,
ognuna al suo interno, il riferimento a una traccia di /alto/ (“salii” e “tetti”). Nella
prima frase avevamo:
diventa
Da questo confronto si ricava che, dal punto di vita del personaggio Yu Tsun, ogni
espressione di orizzontalità indica un momento in cui si parla dell’oggetto e il
protagonista accresce il suo sapere su di esso. In altri termini, deduciamo da questi
risultati, che la categoria /orizzontale/ vs /verticale/, riferita a Yu Tsun, è usata per
indicare o negare un momento di competenza (cioè di sapere) del Soggetto in
merito al tempo.
135
E qual è, finalmente, il valore che Yu Tsun attribuisce al tempo? Lo vediamo
adesso, nel momento in cui il dottore mette da parte, in una certa misura, la sua
Storia – nel senso di storia delle sue azioni – e si distende sul letto iniziando a
pensare, astraendosi dalla realtà che lo circonda e pensando al tempo, in rapporto a
se stesso. Quello che viene espresso nelle righe seguenti è, in sostanza, il grande
stupore del dottore, l’incredulità, davanti allo scorrere del tempo. Vediamo come
lo esprime, iniziando da questo frammento:
Mi parve incredibile che questo giorno senza premonizioni né simboli fosse quello
della mia morte implacabile. Con tutto questo: che mio padre era morto; con tutto
questo: che ero stato bambino nel simmetrico giardino di Hai Feng: io, ora, stavo
per morire?
Non trovando premonizioni della sua morte, non trovando un modo per cui il
suo ragionamento potrebbe confermare la sua morte adesso, il protagonista –
incredulo – si mette a fare un resoconto dei fatti passati che, al contrario,
dimostrerebbero l’impossibilità che si verifichi adesso la fine della sua vita 142. E
questi fatti che argomenterebbero la negazione della sua morte adesso, sono: la
morte del padre, la sua infanzia nel giardino simmetrico. Come avvenuto in
precedenza, proviamo adesso a misurare un parallelismo di termini, che si
riscontra tra la prima e la seconda frase di questo segmento. Prima si parla di
premonizioni e simboli, poi si parla di morte del padre e giardino simmetrico.
142
Nella versione originale, tradotta più letteralmente da Bacchi Wilcock, si legge: “Nonostante mio padre fosse
morto, nonostante l’essere stato bambino nel simmetrico giardino di Hai Feng, io, sarei dovuto adesso morire?”.
L’espressione chiarifica il senso del “con tutto questo” e, in più, restituisce l’idea di costrizione alla morte che
grava su Yu Tsun, idea abolita in Lucentini. Il dottore cinese sente su di sé il peso di una costrizione, cioè
l’imposizione di un dovere; tra l’altro, l’ordine in cui è strutturata la fine della frase fa sembrare più significante il
problema del morire adesso che quello del dover-morire in generale. Ed, effettivamente, il protagonista non è uno
che vuole sfuggire alla morte, ma uno che vuole affermare il valore della sua razza, e poi potrebbe anche accettare
la morte, secondaria rispetto al vero obiettivo.
136
Applicando questo tipo di lettura degli eventi e della loro credibilità (suggerita
dallo stesso Soggetto), la morte del padre sarebbe la “premonizione”, mentre lui
che era stato bambino nel simmetrico giardino sarebbe il “simbolo”; premonizione
e simbolo, entrambi, del fatto che lui non può morire adesso. Ma, come è evidente,
una morte passata non significa che tu non muoia e, ugualmente, l’essere stato
bambino in un posto non è segno di immunità dalla morte. Guardiamo allora alle
specifiche di questa premonizione e di quel simbolo. La specifica della prima,
consiste nel fatto che a morire viene indicato il padre. La specifica del simbolo
dice che il posto è un giardino simmetrico. La spiegazione della sua immunità
dalla morte risiederebbe, allora, in quello che rappresentano questi due termini per
il Soggetto.
Il valore negante morte, della premonizione, sta nel fatto che a morire sia il
padre. Ma che differenza c’è tra il padre e qualunque altro uomo? Il fatto che si
tratta della morte del suo più stretto predecessore, nella linea della generazione. In
questo senso, il tipo di ragionamento fatto sarebbe: “È morto mio padre, non
posso morire io”. Ma perché se è morto il primo non può morire il secondo? Su
che base, cioè, egli può dire “io non sarò il prossimo”? La prossima persona a
morire dopo il padre, infatti, potrebbe essere chiunque; anche un passante per la
strada. L’isotopia che regge il nesso causale, la troviamo esclusivamente sul piano
della discendenza, ovvero: la linea per la quale passa la consequenzialità che regge
la premonizione, si fonda su un fatto di generazione. Soltanto pensando alla linea
genealogica, il dottore (per legge naturale) sarebbe stato il prossimo a morire.
Ecco, allora, che si ripresenta il valore della propria stirpe, posta adesso come
terreno comune per la verifica effettiva di morte. Questo basterebbe, se dovessimo
fermarci a un’analisi del soggetto preso singolarmente.
Ma siccome il protagonista si dice di non poter morire proprio adesso, dobbiamo
tenere in considerazione il dato scoperto ora, e metterlo in relazione con l’universo
in cui è calato in questo momento il personaggio. Nel nostro caso, in cui le
relazioni fra soggetti (che siano tra Yu Tsun e suo padre, o tra Yu Tsun e un altro
qualunque dei personaggi del racconto) sono esaminate tramite la lente delle
nazionalità, la morte del padre significa sostanzialmente la morte di un essere-
cinese, proprio come Yu Tsun. Ma non “proprio”, in questo momento. Come dire:
posso morire sensatamente (secondo premonizione) soltanto nel momento in cui è
confermata la mia appartenenza alla stessa razza di mio padre. E questa
appartenenza dev’essere confermata dai tedeschi in quanto destinanti sociali di Yu
Tsun. Ma questo non è ancora avvenuto: infatti, il personaggio non ha ancora
portato a termine la sua missione: affermare il valore del suo essere-cinese. Per
questo è incredibile che egli muoia proprio ora.
Il tempo nella premonizione. Ricordo che il dottore cinese fa qui riferimento a una
morte precedente, avvenuta nel passato, proprio perché egli crede che il passato
137
sia un luogo di senso. A conferma ulteriore del tempo relazionato al Soggetto,
come di una linea orientata lungo l’articolazione prima/durante/dopo. Il valore del
tempo che qui si afferma, in ogni caso, segue dalla considerazione che il valore
del passato sia indiscusso e si riveli necessario sia per confermare, piuttosto che
per negare, sotto forma di previsione, un avvenimento che nel presente non ha
senso. (ricordo, infatti, che la morte non è accettata nel presente e non in
generale).
Simmetrico Labirintico
138
Si direbbe, quindi, che il dottore aspetta ancora di congiungersi con un
giardino non simmetrico, un giardino – per noi, occidentali – normale, un giardino
come un altro.
Il tempo nel simbolo. Per quel che riguarda le marche di una posizione temporale
riferita al giardino simmetrico, notiamo il segno dell’ “infanzia”. Questa
indicazione, sembra dunque congruente con l’esame della temporalità nella
premonizione, che afferma il valore del passato. Il valore del simbolo del giardino,
infatti, è istituito in un tempo passato, e adesso viene invocato come valore di
verità da opporre davanti alla minaccia di morte imminente.
Restando sempre ‘nella mente’ del personaggio Yu Tsun, che pensa alla
situazione contingente in cui si trova rispetto alla storia, esaminiamo il passaggio
successivo della sua riflessione. Un passaggio separato da ciò che lo precede, per
mezzo di quel “poi”. Prenderò in considerazione, quindi, come segmento unico
soltanto la frase:
Poi riflettei che ogni cosa, a ognuno, accade precisamente, precisamente ora.
139
particolare punto di vista soggettivo, scelto dal narratore Yu Tsun per raccontare
la storia, e che sfrutta l’ambiguità della lingua.
Adesso, come alla fine del precedente paragrafo, ci troviamo di fronte una
particolare struttura frastica: il chiasmo. Vediamo di fare un resoconto delle
significazioni che abbiamo potuto scorgere implicate in questa particolare
disposizione di termini semanticamente equivalenti. Ritornando allo schema di
sopra, abbiamo visto come, attraverso la struttura a forma di chiasmo, venga
segnata una differenza ben netta circa il tempo della storia al quale i termini
equivalenti appartengono. Cioè, mentre “morte” e “arresto” si riferiscono a una
situazione concomitante rispetto all’azione del personaggio che viene raccontata,
gli altri due termini si riferiscono – sempre al personaggio – ma a una situazione
precedente rispetto agli eventi che si raccontano. Un’altra particolarità di quella
struttura è che i termini mediani che, idealmente, costituiscono le due linee della
cesura temporale, sono identici (“morte”), ma riferiti a due tempi diversi.
140
accaduti. In questo senso, il personaggio si rassicura sull’affidabilità del suo
ragionamento predittivo, che si basa su una lettura di eventi distinti nel tempo.
Dunque, abbiamo visto come, nello stesso enunciato, il testo abbia passato la
parola, dal personaggio al narratore. Vediamo adesso, cosa quest’ultimo afferma
riguardo al tempo. Ricordo che il narratore di una storia, in quanto istanza di
produzione del discorso, indipendentemente dal tipo di persona delegata nel
racconto (in forma impersonale o soggettivamente inscritto nella vicenda, o per
mezzo di un personaggio secondario osservatore degli eventi), si può definire
come il rappresentante della verità espressa nel testo. Ecco, infine, completato il
passaggio dalla Storia del Soggetto a quella dell’Oggetto-tempo, non secondo il
punto di vista del Soggetto, ma secondo la verità contenuta nel Giardino.
143
La correttezza analitica in merito a questa attribuzione dell’ora, al narratore Yu Tsun, verrà approfondita nel
paragrafo 18.1.
144
La precisazione in merito a quale posteriorità venga espressa da questo “ora”, svelerà la giusta attribuzione di cui
si parla nella nota precedente.
141
Secoli e secoli, e solo nel presente accadono i fatti; innumerevoli uomini nell’aria,
sulla terra e sul mare, e tutto ciò che realmente accade, accade a me...
Nel solo presente accadono i fatti, tutti, tutto ciò che accade realmente (tutto
ciò che si realizza, compreso il vero valore dell’Oggetto-tempo). A proposito,
ricordo che la realizzazione è uno dei modi di esistenza semiotica dell’Oggetto di
valore, l’ultimo. E ricordo anche che, questo modo, si concretizza solo nel
momento della performanza e della sanzione finale. Come giustificare la sua
presenza, allora, nel momento della competenza – quello in cui ci troviamo ora? Il
modo di esistenza dell’Oggetto dovrebbe essere, in questa fase, quello
dell’attualizzazione, mediante un sapere su di esso. E così è. Se si sta bene attenti
al contenuto dell’enunciato, infatti, possiamo dire che l’oggetto indicante tempo
non è racchiuso in nessuna figura precisa. Quindi è vero che qui l’oggetto è
soltanto evocato da un discorso che introduce un sapere riguardo il suo vero
valore. Un valore che riguarda solo il presente, e che nega l’intera articolazione.
142
Soggetto che si risveglia dalle riflessioni sul tempo. Vediamo, allora come il
Tempo vede il soggetto.
Se abbiamo stabilito che “l’uomo di fuoco” 146 è l’unico valido dal punto di
vista del Tempo (come il tempo articolato era l’unico valido dal punto di vista del
Soggetto), possiamo stabilire anche quale sia l’anti-soggetto che neghi il vero
valore del Tempo-solo-presente, all’interno della Storia dell’Oggetto (come il
tempo solo-presente potrebbe essere definito l’anti-oggetto all’interno della Storia
del Soggetto). Non è poi così difficile costruirlo per contrasto. Le divisioni
britanniche sono: un soggetto collettivo dalla parte inglese, appoggiate dalla figura
del fuoco. Il contrario è rappresentato da: un soggetto individuale dalla parte dei
tedeschi, appoggiato da tutte le altre figure dei restanti tre elementi. Unico
individuo dalla parte dei tedeschi presente nel testo è il dottore cinese. Resta da
confermare la sua euforia per i segni dell’Acqua, dell’Aria e della Terra147.
146
E con esso le altre denominazioni sole:alto:luce, cfr. paragrafo 4.4.1
147
Vedremo dei riscontri nei paragrafi 6.5 e 16
143
sebbene separato da una virgola, e segna la fine di questa incursione della Storia
dell’Oggetto. Le ultime parole sono:
144
Il momento della riflessione di Yu Tsun sul tempo e sulla morte è spezzato.
Neanche chiuso a chiave dentro la sua stanza, il dottore cinese riesce a distrarsi a
lungo dal pericolo incombente numero uno: Madden lo raggiungerà a breve. Il
nemico, infatti, riesce ad invadere anche l’intimità profonda della meditazione,
entrando sotto forma di ricordo, nelle maglie del pensiero. Questo dato, del resto,
sottolinea il fatto che ci troviamo ancora ad esaminare i pensieri del protagonista.
Ricordo, infatti, che egli si trova ancora disteso sul letto a riflettere.
In questa nuova sequenza, allora, riappare il capitano non-inglese che mancava
nella riflessione sul tempo, e che così la incornicia all’interno della fase narrativa
in cui sono in gioco i saperi (ovvero la competenza: essa, infatti, l’abbiamo
collocata sotto il termine /non-inglese/ del quadrato costruito nell’analisi del
“Sentiero di partenza”). Non è ancora arrivato il momento dell’azione
(performanza, in /tedesco/).
Ma, oltre alle informazioni aggiuntive sull’anti-Soggetto (che segnano
definitivamente il ritorno del testo alla Storia del Soggetto), in questa sezione è
presentato anche il Segreto di cui il protagonista è in possesso, e che si rivela
necessario presupposto per il raggiungimento del suo obiettivo. Il fatto che, alla
fine, egli uccida Albert (dimostrando il proprio valore per aver, così, comunicato il
segreto) è dovuto, infatti, esclusivamente alla conoscenza del nome della città che
i tedeschi avrebbero dovuto bombardare: Albert.
Il possesso del segreto, allora, è condizione indispensabile (oggetto di valore
d’uso) perché egli possa congiungersi con l’oggetto di valore finale e raggiungere
la sanzione finale (riconoscimento del proprio valore da parte del Capo che legge
il giornale e bombarda il parco di artiglieria britannico148). Schematicamente:
/non-tedesco/ sanzione (riconoscimento della trasformazione del Soggetto – cioè del valore
dell’essere-cinese – in seguito alla congiunzione con l’oggetto finale) = giornali letti nella
prigione confermano il bombardamento tedesco149.
148
Confrontando le due diverse traduzioni in italiano, si nota come Bacchi Wilcock scriva: “Il nome della precisa
località del nuovo parco di artiglieria britannico sopra l’Ancre”, senza far riferimento a nessun “XI Parco
britannico”. La versione in lingua originale che ho preso come riferimento per il confronto delle due italiane,
riporta la stessa dicitura di Bacchi Wilcock. Non potendo accettare che Lucentini si sia spinto nella totale
invenzione di alcuni elementi, nemmeno minimamente deducibili dal testo in spagnolo che ho io, ritengo
maggiormente probabile che egli abbia tradotto un altro testo del Giardino in lingua originale, di cui io non sono
potuto entrare in possesso anche dopo ripetute ricerche nella mia città e in altre.
149
In merito a questa sanzione, che adesso lasciamo indicata così per motivi di esposizione, rimando alla sua
corretta definizione nel paragrafo 29. Ricordo, inoltre, di avere già sottolineato che la corrispondenza, tra fasi
narrative e termini del quadrato delle nazionalità, non riguarda la relazione fra termini e la relazione fra le fasi dello
schema narrativo. Cfr. paragrafo 3.4.2, nota.
145
Infine, in questa sequenza, viene presentato un limite del Soggetto:
l’insufficienza di qualunque mezzo fisico personale che sia in grado di comunicare
il nome della città da bombardare. Entra in campo, così, tutta una problematica
relativa all’oggetto d’uso (nome segreto della città): il protagonista è in possesso
dell’oggetto d’uso, ma non sa come usarlo e, finché sarà così, quest’oggetto non
avrà alcun valore. Il nome segreto non potrà avere nessun valore (né d’uso, né
finale) fino a quando non si capirà come si possa gridare talmente forte da farsi
sentire fino in Germania. Dato che l’intera sequenza è attribuibile al protagonista
dell’azione raccontata, possiamo dire di trovarci all’interno della “Storia del
Soggetto”, nel momento in cui entra in scena il problema dell’oggetto di valore
d’uso.
146
mostrato il tempo dal punto di vista del Soggetto, nel precedente “Sentiero del
tempo”, potremmo aspettarci – a riguardo – che il punto di vista dell’anti-Soggetto
sul tempo sia il contrario di quello del protagonista. Come essi, infatti, sono
logicamente opposti nel volere affermare o negare rispettivamente il proprio
essere cinese e irlandese, dovrebbero esserlo anche rispetto a questo tema. Se il
testo, cioè, ha usato comprendere nella definizione del soggetto, una particolare
immagine del tempo (successivo e articolato) a lui associata, ciò dovrebbe valere
anche per la caratterizzazione dell’attante a lui opposto. Il ricorso alla figura del
cavallo segna allora il terreno di confronto fra due opposte visioni del tempo e, in
particolare, dovrebbe portare qui all’indicazione di un tempo sempre presente.
Ecco, allora, che il volto cavallino indica l’essere di Madden (che nega la propria
irlandesità, al contrario di Yu Tsun che cerca di affermare la propria cinesità) sotto
l’egida del tempo presente. Se il volto, ovvero la parte del corpo che più serve ad
identificare una persona, ricorda quello di un cavallo, allora su questo cavallo si
trova unicamente un tempo che ha valore in quanto indica “presente”. Se, infatti,
ci si sposta nel prima o nel dopo, non ha più nessun valore l’espressione che lega
tempo e cavallo.
Questo legame forte tra il capitano irlandese e il “solo presente”, nel momento in
cui irrompe nei pensieri sul tempo del Soggetto, non può avere altro effetto che
quello di cancellarli violentemente: abolire quelle che, rispetto all’ “ottica
temporale” di Madden, sono soltanto divagazioni di poco valore (poiché
esprimono il valore del passato).
147
La frase successiva segna un passaggio di interesse, dal capitano al segreto di
cui il dottore cinese è in possesso. Per la diversità di informazioni contenute in una
sola frase, considereremo come segmenti distinti: la parte che arricchisce
ulteriormente la caratterizzazione di Madden, quella che riferisce un pensiero del
narratore Yu Tsun messo tra parentesi, e infine quella che parla del segreto. Ecco
il primo frammento:
Nel mezzo del mio odio e del mio terrore [...] pensai che quel guerriero tumultuoso
e indubbiamente felice non sospettava che io possedessi il Segreto [...]
(ora non m'importa di parlare di terrore: ora che ho beffato Richard Madden, ora
che la mia gola anela la corda)
Per capire quale sia il motivo per cui Yu Tsun, alla fine del racconto, non
teme più Madden, bisogna considerare tutti gli elementi che insieme definiscono
questo diverso “ora”. L’indicazione temporale è, infatti, ripetuta per ogni nuova
informazione contenuta nella parentesi. Contemporaneamente il dottore, alla fine,
ha: superato il timore, beffato Madden, e desidera la morte per impiccagione.
Il fatto che il protagonista, addirittura, desideri la morte, conferma che il terrore
verso Madden non era legato all’evenienza di morire, ma all’ipotesi di non riuscire
ad affermare il valore dell’essere cinese, qualora egli fosse stato raggiunto prima
del tempo. L’unico timore poteva essere dovuto a un fallimento della sua vera
149
missione. Quindi, sappiamo ora che, alla fine, Yu Tsun è riuscito nel suo vero
intento. Il timore non importa più, non è più pertinente. Anche se non ci fosse
l’indicazione di un desiderio di morire, questa affermazione ci dice che comunque
il morire non verrebbe affrontato come motivo di vero terrore.
Sempre da questa parentesi temporale, ci viene confermato il fatto che Madden
non riesca nemmeno a penetrare la mente del dottore, i suoi veri desideri: il fatto
di averlo beffato indica che, mentre il capitano crede di aver bloccato il
protagonista, in realtà, non è riuscito a impedirne il raggiungimento del suo scopo.
Ciò non toglie che anche Madden sia riuscito nel suo intento. Sappiamo, infatti,
che gli obiettivi dei due Soggetti, risultano alla fine realizzati entrambi: il cinese
vuole affermare il valore della propria identità, mentre l’irlandese vuole farsi
accettare dagli inglesi, e alla fine ci riesce, catturando Yu Tsun, avendo già
eliminato Runeberg. Presumibilmente, dunque, si potrebbe dire che dal suo punto
di vista, il capitano pensi di aver lui beffato la spia dei tedeschi.
Il dato più interessante, però, è questo forte desiderio di morire. Perché alla
fine Yu Tsun “anela” la propria morte? La morte sembra vista quasi come
necessaria. Ma perché necessaria, se il proprio scopo è stato già raggiunto? Se si
guarda al precedente “Sentiero”, si può abbozzare una prima risposta. Avevamo
infatti osservato come, nel progressivo rassicurasi sul proprio destino di morte, lo
Yu Tsun cui era stata assegnata la morte come evento accettabile era quello della
fine del racconto, il narratore che adesso dice “ora”. Se ciò che aveva fatto
superare al personaggio il terrore e l’incredulità della sua morte in quel momento,
secondo il suo ragionamento preciso e vero, era il fatto di vedersi morto alla fine
della sua impresa, ora egli non può che accettare di buon grado il suo destino,
visto come necessaria conseguenza per la precisione del ‘meccanismo’ secondo
cui – per lui – accadono tutte le cose sensate, credibili. Nel “Sentiero del tempo”,
infatti, si era fatto riferimento al tipo di ragionamento predittivo, cui si rifà il
dottore, per decifrare la credibilità della sua morte in quel momento, e degli eventi
della vita in generale. In base ad esso, è possibile trovare nel passato segni che
preconizzano gli eventi successivi che, quindi, possono essere definiti sensati e
accettati. Avevamo visto come, indagando nel proprio passato fino all’infanzia, il
personaggio non era riuscito a trovare alcun tipo di segno della sua morte
imminente. Mancavano premonizioni e simboli. Pertanto, se in questo inciso che
rappresenta il dopo del personaggio, egli desidera fortemente la morte, crede
fortemente in essa150 come giusto suggello della sua impresa, significa che questi
segni premonitori e simboli si devono essere concretizzati tra il momento di
incredulità e quello della fine della sua missione, cui si riferisce questo “ora” del
narratore. Queste premonizioni e simboli, allora, saranno eventi riscontrabili corso
del racconto. Per le stesse ragioni, il protagonista sembra essere, in una certa
misura inconscia, consapevole di dovere produrli nel corso delle sue peripezie.
Vedremo in seguito, il suo atteggiamento riguardo la propria morte.
Dal Vocabolario Treccani, Anelare: “Aspirare ardentemente a qualche cosa: anelare alla gloria; anelava di
150
poter tramandare ai posteri il suo nome; meno comune, transitivo: anelare il martirio.
150
6.4 Il Segreto: come trasformare un nome in un segno vero
Passiamo ora all’ultimo frammento di frase, in cui viene definito quello che
prima abbiamo chiamato oggetto di valore d’uso: il segreto. Senza di esso non
sarebbe possibile per il protagonista raggiungere il vero scopo. Per completezza
d’analisi, aggiungiamo a questo segmento, il riferimento al segreto che appare
anche a fine sequenza. Il segreto è un nome:
il nome del luogo preciso in cui erano postate le artiglierie del XI Parco britannico
sull'Ancre. [...] Se la mia bocca, prima che una palla la fracassasse, avesse potuto
gridare questo nome in modo che l’udissero in Germania...
Ancora prima di esaminare il contenuto del segreto e di capire che problemi abbia
il protagonista nell’avvalersene per i propri scopi, dobbiamo necessariamente
soffermarci su un dato: questo segreto, che noi continuiamo a scrivere con
l’iniziale minuscola, il testo lo eleva al rango superiore di Segreto, con la “S”
maiuscola, quasi volesse indicare tutto ciò che è segreto, l’essere segreto, la
segretezza in sé.
151
Cfr. paragrafo 3.11
151
E questo è il quadrato della veridizione:
/verità/
Essere Apparire
/segreto/ /menzogna/
Non-apparire Non-essere
/falsità/
L’istituzione dei gradi di veridizione, messi tra le barre, è fondata sulle relazioni
tra i termini essere e apparire, che cambiano in base alle operazioni logiche di
affermazione e negazione degli stessi termini del quadrato. Nel particolare caso
del Giardino, il Segreto indica la coincidenza fra il non-apparire e l’essere che è
associata alla conoscenza del nome Albert da parte di Yu Tsun. Come viene detto
da Bertrand, nella citazione sopra, proviamo ora a considerare la segretezza di
questo sapere sul nome come meccanismo narrativo a sé: questo segreto, infatti,
ha senso poiché alla fine verrà rivelato dal protagonista, al Capo dello spionaggio
tedesco. La narrazione messa in moto da questo contrasto di saperi (tra la spia
Dottore che sa e il suo capo tedesco che non sa), non è altro che la storia di come
questo nome che per adesso è segreto, diventi alla fine un segno vero per il Capo
tedesco; ma, attenzione, sempre un segno segreto per gli altri, poiché la
comunicazione avviene sempre nel codice delle spie tedesche. I passaggi necessari
per far sì che questo /segreto/ venga condiviso, comportano l’occupazione degli
altri termini del quadrato e il ritorno al /segreto/. Schematicamente, il percorso del
nome e del suo regime veridittivo, si può segnare in questo modo:
Questo schema segna le tappe di una vera e propria “storia del nome Albert”.
Infatti, per affermarne l’apparire, bisognerà temporaneamente negarne l’essere:
per negare l’essere di questo nome che è il nome di un luogo, bisognerà negare il
luogo, cosicché il nome scompaia temporaneamente, non essendoci, né apparendo
come nome del luogo. La seconda tappa riguarderà invece l’apparire del nome
Albert, insieme all’essere precedentemente negato (menzogna). A quel punto però
il ricevente, al quale apparirà il segno accanto al nome della sua spia segreta,
reputerà falso (seconda falsità) questo apparire del nome Albert come nome di una
persona: il Capo, infatti, sa ciò che gli altri non sanno, ovvero, che il problema di
Yu Tsun è di indicare il nome di un luogo 152. L’ultima operazione consisterà
nell’affermare nuovamente l’essere del nome Albert in quanto nome del luogo,
riportandolo di nuovo in /segreto/. In questa complessa comunicazione tra spie, si
vede come il contatto fra mittente e ricevente avviene nel regno della /menzogna/;
152
“Il Capo ha decifrato l’enigma. Sapeva che il mio problema era di indicare (attraverso lo strepitio della guerra) la
città che si chiama Albert”.
152
il codice segreto, condiviso, permette solo a loro di poter comprendere quello che
appare, ma non è come appare. Il segno costruito dal dottore cinese, allora, non è
costituito solo dall’apparire del nome Albert sul giornale, ma dall’apparire di
questo nome accanto al suo. Il segno segreto è l’insieme dei due nomi.
153
codice
|
mittente → messaggio → ricevente
|
canale
|
contesto
155
Cfr. paragrafo 5.6
155
Il problema contingente per Yu Tsun, come dicevamo, è quello di
comunicare il suo messaggio in Germania, luogo del ricevente. Scopriamo nel
prossimo “Sentiero” di chi si tratta.
7.2 Il Capo
156
Dato che adesso, dalle prime due frasi, si è riconosciuta la persona a cui il
segreto deve essere rivelato, annotiamo una serie di considerazioni che seguitano
lo studio di questo problema. In particolare, si era detto che per assicurare una
buona riuscita della comunicazione, i soggetti che si scambiano il messaggio
hanno bisogno di condividere lo stesso codice e lo stesso canale. Se, infatti,
entrambi il protagonista e il suo Capo, parlano e sentono, la possibile trasmissione
del segreto era resa impossibile dall’eccessiva ampiezza del canale (aria). Adesso,
però, sappiamo che la condivisione deve avvenire in base alla disponibilità di
canali e codici offerta da questo nuovo personaggio. Dato che il testo inserisce in
una sola frase, numerose informazioni, noi la divideremo in segmenti singoli da
esaminare.
157
La descrizione del superiore di Yu Tsun continua sullo stesso leit motiv
rancoroso. Stavolta, l’insofferenza del protagonista è legata al fatto che, mentre
egli si trova immerso in pericoli mortali per fare un servizio alla Germania,
intricato in una rete di saperi segreti e identità nascoste, il Capo non sa nulla di più
che la posizione in cui si trovano le sue spie. La frase non lascia presupporre una
ricerca di informazioni in più per conoscere ulteriori dettagli sui due agenti
segreti, suggerendo invece un disinteresse riguardo gli uomini in territorio
straniero. Ma ecco che si rincara la dose:
invano s’aspettavano notizie nostre nell’arido ufficio berlinese dov’egli era seduto,
Alla fine della descrizione, emerge l’unico elemento che si rivelerà utile al
protagonista per trovare il modo di comunicare il messaggio. Che sia per passare il
tempo in una situazione che non gli piace, o che si tratti di un preciso intento di
informarsi su tutte le cose sempre (“infinitamente”), una cosa è sicura: il superiore
di Yu Tsun, per definizione, legge giornali. Per di più, trovandosi alla guida di un
ufficio di spionaggio, il Capo avrà a disposizione della lettura, oltre i giornali
tedeschi, soprattutto i giornali della parte avversa, per poter accrescere la
conoscenza di ciò che succede nel fronte opposto.
Il Capo, dunque, manifesta esclusivamente un tipo di azione, che ne rivela la
modalità del voler-sapere. Il dato modale conferma, così, la complementarità tra i
due personaggi: uno, la spia, che vuole-far-sapere, l’altro, il Capo, che vuole-
sapere. Questa modalità che riguarda un fare cognitivo è ciò che accomuna il
Soggetto con il non-Destinante, ed è, insieme alle descrizioni che precedono,
158
un’ulteriore conferma del suo disinteresse nei confronti del turbinio pragmatico
della guerra.
D’altro canto, il fatto che il Capo legga sempre giornali offre al protagonista
almeno una chance di comunicare il segreto. Questo dato, infatti, fa diventare
pertinente un altro codice (sempre verbale, ma segreto) e un altro canale, oltre
quello della voce e dell’aria: il codice della scrittura e il canale dei giornali.
Nonostante rimanga misterioso, quasi fino alla fine, l’escamotage usato da Yu
Tsun per comunicare il segreto, questo minimo di informazione doveva essere
data dal testo, e all’inizio, per poter poi lasciarla ‘dimenticata’ fino al suo recupero
nel finale per il colpo di scena. Ma questa competenza relativa all’ordine delle
informazioni da dare in un resoconto che susciti interesse, è propria del sapere del
narratore. Per questo, la sequenza è affidata al narratore che la inserisce in un
breve spazio in mezzo al racconto del personaggio. Quest’ultimo, avendo
riconosciuto l’inutilità della propria voce per comunicare il messaggio, la usa
marcatamente adesso per parlare a se stesso, idealmente, a quel se stesso
narratore: forse, per dirgli che il racconto deve proseguire. Nella prossima
sequenza156.
159
sempre “oggi”. Il tempo per cui si fa il giornale, per cui il giornale esiste, è sempre
quello del presente. Questa relazione valoriale, infatti, supera il valore della
testimonianza che i giornali, chiusi in un archivio, possono offrire: questo valore
appartiene costitutivamente alle scienze storiche. Altrimenti, non si spiegherebbe
perché “bisogna fare il giornale ogni giorno”, eternando il tempo proprio del
giornale, in un infinito presente. Per questo, chi legge il quotidiano, lo “legge
infinitamente”, cioè, lo sta sempre leggendo.
Considerata questa sequenza dal punto di vista della Storia del Soggetto,
però, non possiamo dire di trovarci in uno spazio che indica /tedesco/. Anzi, il
problema è proprio la distanza che separa il protagonista da questo spazio. Questo
dato indica il fatto che, nella struttura della Storia del Soggetto, che resta l’unica
valida per stabilire in quale fase narrativa dello schema ci si trova 159, non si è
ancora passati alla fase, indicata dal termine /tedesco/, della performanza, che
riguarda l’azione di Yu Tsun e il suo congiungimento con l’oggetto di valore
finale, nonché il momento di realizzazione del vero Oggetto-tempo. Per quanto
riguarda, dunque, la Storia dell’Oggetto, dovremo aspettare di vedere un momento
/tedesco/ che metta in scena la fase narrativa corrispettiva, inserito al livello
enunciato nel racconto delle azioni del personaggio. Vedremo anche come più
avanti, l’analisi spiegherà anche perché non è possibile che questo momento
corrisponda alla fase di Storia dell’Oggetto in cui esso si realizza160.
160
pallottola. Assurdamente la impugnai e la soppesai per farmi
coraggio. Pensai vagamente che un colpo di pistola può udirsi da
molto lontano. In dieci minuti il mio piano era pronto. La guida
telefonica mi dette il nome dell'unica persona capace di
trasmettere la notizia: viveva in un sobborgo di Fenton, a meno di
mezz'ora di treno.
L’intera sezione si separa dal prosieguo del racconto, per la netta cesura
segnata dalla suddivisione in paragrafi, operata dello stesso autore, che introduce
un ulteriore discorso del narratore, bloccando così il resoconto delle azioni del
protagonista.
161
8.2 Messa in scena per qualcuno
Il dottore cinese ha appena proclamato l’inutilità del gridare, per farsi sentire
in Germania. In ogni caso egli, prima di deporre quella che finora sembra essere la
sua unica arma, non rinuncia a sparare l’ultimo, inutile, colpo: parla, comunque, a
voce alta. Come si può facilmente notare dalla lettura dell’intero testo, questa è
l’unica volta che, in un momento di solitudine di Yu Tsun, non si dice che egli
“parla a se stesso” (come farà davanti allo specchio, prima di andare alla stazione,
sul treno dopo aver visto Madden, etc.). Se il testo, unicamente in questo caso,
riporta esattamente l’espressione: “Dissi a voce alta”, invece che “Mi dissi”, senza
ulteriori specificazioni riguardo l’indirizzo cui si rivolge la parola, dovremmo
quanto meno registrare il fatto che il possibile interlocutore non è presente sulla
scena. Questa non-presenza materiale evoca, per contro, la presenza di un
ascoltatore implicato dal discorso, ma che non appartiene all’universo in cui esso
viene prodotto. Tanto più che il parlare ad alta voce sottolinea la volontà di farsi
sentire (da qualcuno), la volontà di marcare bene le parole per farsi capire.
Possiamo allora, agevolmente, accostare a questa immagine, quella dei monologhi
teatrali, in cui si dicono delle cose a se stessi, solo per farle sapere al pubblico, il
quale non è nell’azione scenica, ma assiste oltre l’invisibile quarta parete. Anche
gli attori, infatti, parlano ad alta voce, facendo uso del diaframma per amplificare
la portata (forzare, dunque il canale dell’aria) delle proprie battute. Abbiamo già
notato161 come, sarebbe pertinente indicare lo spettatore invisibile di questo “dire a
voce alta”, nella persona del narratore che ha finito di delineare un ritratto del
problema che lui ha con il Capo odioso. Messa in scena per il narratore, si
potrebbe dire.
Ma la recita non finisce qui. La perfezione che il protagonista, solo nella sua
stanza chiusa a chiave, impiega per alzarsi dal letto, sembra essere dedicata a un
altro spettatore: il nemico irlandese, Madden. Anzi, è proprio il dottore cinese che
lo dichiara, denunciando allo stesso tempo l’inconsapevolezza sul reale motivo del
proprio comportamento: “Come se Madden stesse già spiandomi”. Sapendo cioè
che questo è impossibile, Yu Tsun fa comunque i gesti necessari per non produrre
alcun rumore nell’alzarsi dal letto.
In una certa misura, in fondo, possiamo anche capire perché “è vero” che il
capitano lo stia spiando. Infatti, abbiamo visto come il testo descriva l’essere
dell’anti-Soggetto come espressione umana dell’essere del sempre-presente,
dell’istante contro la durata. In un’ottica puramente semantico-strutturale, si può
dire allora che Madden c’è sempre, almeno nell’istante in cui si pensa a lui,
almeno quando il suo nome appare nel testo. Messa in scena per Madden, dunque.
161
Cfr. paragrafo 7.5
162
Ma che bisogno ha di produrre una prova “che può essere mostrata” 162? Di quale
spettatore si tratta, in questo caso, è difficile saperlo. Lui stesso resta sul vago,
parlando di “qualcosa” che lo persuade, addirittura, a compiere questo movimento.
Del resto, si può star certi che anche in questo caso, il protagonista non sta
compiendo un gesto utile a se stesso. Infatti, alla fine, in tasca trova esattamente
quello che già sapeva esserci. E lo precisa ancor prima di fare la lista. In fondo,
non possiamo pensare neanche che egli voglia provare al suo nemico le sue scarse
risorse; quindi, non lo fa per Madden. Forse, invece, confermare al proprio Capo
lo svantaggio della situazione di partenza, potrebbe far risaltare l’ipotetica riuscita
finale della missione e l’esaltazione ulteriore del proprio valore. Messa in scena
per il proprio Capo, verrebbe da dire.
Ma non possiamo affermare con certezza, in questo caso come nel primo, a
chi siano indirizzati veramente i movimenti del dottore cinese. Quello di cui
possiamo essere certi è che il protagonista si sente in presenza di soggetti che egli
stesso non vede: sono invisibili. La lettura delle frasi, inserite in questo contesto
pseudo-teatrale, lascia aperta ogni possibile ricerca dei vari spettatori invisibili,
destinatari dei gesti quasi inconsci operati dal personaggio. In ultima istanza,
quello che emerge è questo dato: Yu Tsun sa di non essere osservato, ma compie
dei gesti, di cui egli conosce già l’esito, per comunicarli a qualcuno che lo osserva.
Alla fine, concludiamo questa osservazione richiamando all’attenzione un termine
che, da solo, potrebbe riunire in sé le varie figure del fruitore invisibile di queste
performance: lo stesso lettore del Giardino. Questo passaggio interpretativo
poggia sul fatto che, essendo sicuri che non c’è nessuno a spiare il dottore cinese
nel suo spazio di /mondo/, la sensatezza delle azioni compiute può essere salvata
semplicemente per mezzo di un trasferimento di tali comportamenti in uno spazio
diverso: lo spazio della finzione prodotta per qualcuno. E la /pagina/ si definisce
anche come spazio della finzione.
163
studiare il modo in cui essa evoca lo spazio del supermercato; ma se questa lista
dovesse proseguire, senza soluzione di continuità, con i nomi di una serie di
prodotti che non si trovano nel supermercato, significherebbe che essa implica il
trasferimento verso un altro spazio. Esaminiamo la lista che abbiamo di fronte:
Nella descrizione di tutta questa serie di oggetti che, ricordo, sono stati nominati
per l’accrescimento del sapere di qualcun altro diverso da Yu Tsun, si può notare
come soltanto un elemento semantico si ripeta due volte, e di seguito: il termine
“taccuino” e il termine “lettera”, entrambi rappresentanti dello spazio /pagina/. In
più, notiamo come, sia il termine che precede il “taccuino”, sia quello che lo
segue, possono essere considerati semanticamente equivalenti: Runeberg è una
spia, il passaporto falso indica un’identità segreta, stavolta riferita a Yu Tsun. In
questa struttura riconosciamo la forma del chiasmo, usata dal testo per esprimere
un cambiamento di temporalità tra ciò che è messo prima e ciò che e messo dopo
il termine simile. Infatti, abbiamo:
163
Vedi versione in lingua originale, tradotta in italiano da Bacchi Wilcock. Cfr. paragrafo 3.4.1 nota.
164
Vedi paragrafo 20
164
agente segreto nell’appartamento, /pagina/, /pagina/, agente segreto nel passaporto
Per capire meglio tutto questo, bisogna spiegare un fatto importante. C’è
un’evidente differenza fra l’intervento del narratore, che indica un tempo futuro,
in questo “Sentiero” e l’intervento fatto precedentemente nel “Sentiero” del
tempo. La differenza è tutta basata sul meccanismo dell’enunciazione che regola
l’appartenenza di un determinato enunciato a un determinato tempo. Infatti,
mentre nel caso delle riflessioni fatte dal protagonista sul suo letto, c’era stata una
vera e propria sovrapposizione enunciazionale nell’introduzione del tempo futuro,
nel caso della lista l’intromissione è molto più discreta, circoscritta nettamente
dentro l’enunciato.
Nel caso precedente, cioè, il tempo diverso (quello del narratore) è stato immesso
nello stesso atto di enunciazione attribuito al protagonista (e al suo tempo
presente), senza alcun dispositivo grafico sul piano dell’espressione che potesse
denunciarne l’ingerenza. Siamo stati noi ad individuare un cambio enunciazionale,
grazie al rinvenimento di una forma ricorrente nella disposizione dei singoli
termini. Se le cose stanno così, si capisce anche come è necessario che questo
scambio avvenga all’interno dello stesso enunciato. Anche la semplice divisione
segnata manifestamente da un punto che separa due frasi può, infatti,
compromettere il valore di questa sovrapposizione, che sfrutta le ambiguità
dell’atto linguistico nell’indicare il tempo, per attribuire gli enunciati prodotti a
tempi diversi (dire: “ora”).
A titolo d’esempio, possiamo pensare a un messaggio audio registrato dalla stessa
persona, quindi, con la stessa voce identica. La differenza di cui si sta parlando
qui, è la stessa che si avrebbe nel caso in cui la registrazione del messaggio, che
contiene un’unica frase, avvenisse in due tempi diversi, per cui: in un determinato
tempo, si registra una prima parte; in un tempo successivo, si registra la
continuazione della stessa frase. In questo caso, sarebbe quasi impossibile
determinare la differenza temporale fra le due parti dell’unico messaggio
registrato dalla stessa voce. Eppure, sappiamo che questa differenza esiste e,
nell’attribuzione dei tempi alle istanze enuncianti, è una differenza significativa
per l’analisi narrativa. Nella lingua scritta, un grimaldello utile per carpire questi
cambiamenti, sta in un’attenta osservazione dei fenomeni legati
all’enunciazione165.
Proprio per il fatto che il cambio di tempo, nella terza sequenza, era avvenuto
al livello enunciazionale, senza evidenti cesure nel discorso enunciato, era anche
necessario chiudere il ‘frammento futuro’ con lo stesso meccanismo formale con il
quale si era aperto, sempre al livello di enunciazione.
165
“ciò che realmente accade, accade a me”.
166
Ritornando ora all’esame di questa parte del racconto, nel caso della lista
degli oggetti in tasca a Yu Tsun, l’intrusione del narratore appartenente a un altro
tempo, non mira a distaccare i termini a destra della /pagina/ dal loro ambito di
appartenenza al presente del protagonista, che è rappresentato nell’enunciato
prodotto dal narratore. L’ingerenza di un’istanza produttrice di discorso
appartenente al futuro è, infatti, chiaramente circoscritta con precisione, grazie ai
netti confini divisori rappresentati dalle parentesi. Ciò sta ad indicare la non
invasività del narratore – che comunque interviene per sottolineare l’importanza di
un dato passaggio – nei confronti del discorso del protagonista, che non si vuole
privare del diritto di proprietà sugli oggetti della lista. Se, infatti, questi oggetti
appartenessero costitutivamente, cioè per enunciazione, al futuro (come dire, se
fossero anch’essi tra parentesi) essi non potrebbero più definirsi “premonizioni”.
Questa importante precisazione indica, al livello esemplare, i diversi gradi del
legame che esiste tra tempo e linguaggio, in base a un’analisi della messa in
discorso.
167
Albert, infatti, il Capo capisce che la spia gli sta indicando la città da bombardare.
Siamo, dunque in presenza di un Soggetto che appartenendo allo spazio /mondo/
si trasferisce infine nello spazio /pagina/, che costituisce il cosiddetto spazio
eterotopico [Greimas, 1976] in cui avviene il riconoscimento, e l’iniziale
contratto. Rispetto a questa suddivisione di spazi, il Giardino è suddiviso in
questo modo:
In Le rovine circolari tutto è irreale. [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984,
pag 621]
168
dal /mondo/ alla /pagina/ e sfruttarlo per risolvere il problema di comunicazione
del segreto. Se l’essere-spia, indicato nel termine “Runeberg”, era rappresentato
nello spazio dell’appartamento, cioè nel /mondo/, il termine che compare di
seguito al secondo sema della /pagina/ (la lettera), indica lo stesso essere-spia
riferito a Yu Tsun ma, stavolta, rappresentato in un altro spazio della /pagina/: il
passaporto. Dalla spia Runeberg che è nell’appartamento, alla spia cinese che è
nel passaporto, per mezzo del tramite della lettera170.
Ora, per quale altro soggetto, Yu Tsun è una spia? Ma per il suo Capo che aspetta
notizie, leggendo giornali. Allora, la possibilità di considerare questo spazio come
un luogo in cui egli stesso può esistere in quanto spia, e farsi così riconoscere dal
Capo, gli fa intuire di aver trovato un altro canale condiviso da entrambi, mittente
e ricevente della comunicazione, impossibile da fare per mezzo della voce: il suo
superiore, infatti, è perennemente congiunto con un tipo di spazio della /pagina/,
“sfoglia infinitamente giornali”. Ma a differenza dell’universo segnato col termine
/mondo/ (in cui gli esseri sono dei luoghi concreti, delle persone fisiche), nello
spazio della /pagina/, invece, l’essere sensato delle cose (persone o luoghi che
siano) è misurato dalla loro semplice comparsa sottoforma di nomi, senza che
un’ulteriore verifica ‘sul campo’ possa confermare o negare se il vero essere
indicato nel nome, si riferisca a un luogo o a una persona. Il codice della scrittura
permette, cioè, di sfruttare le diverse possibilità di lettura di uno stesso nome,
salvando la segretezza dell’informazione. In questo senso, essa rappresenta un
mezzo per indicare le cose, senza che si possa mai escludere l’apertura ad altre
possibili interpretazioni del suo senso. Avendo trovato il giusto canale, e il giusto
codice segreto (la scrittura del nome), il protagonista non deve comunque
dimenticare che, affinché il nome segreto venga rivelato, e sia vero per il suo
Capo, il passo successivo da fare è quello di negare l’essere, il suo essere nome di
un luogo.
170
Cfr. paragrafo 20
169
Ma ecco che in poco tempo (in dieci minuti) egli ha già pronto un piano. Cosa è
successo ‘nella sua mente’? Dopo essersi svuotato le tasche, il dottore cinese si
impossessa dell’arma da fuoco, definendo “assurdo” il suo fare. Ricordiamo,
infatti, che l’arma non è un oggetto per il quale questo ex-professore manifesta
euforia: è uno strumento della guerra, delle divisioni britanniche, ‘appartiene’ agli
inglesi e ai vari personaggi di azione, e non di pensiero, come lui. Nonostante
questo, egli la tiene in mano per farsi coraggio. Se la sua voce ha una scarsa
portata, un colpo di pistola invece è capace di arrivare più lontano. Ma, mentre la
voce indica il nome, dicendolo, la pistola può solo indicare, “sparando” il nome: e
questa è un’affermazione assurda. Non si può certo sparare a un luogo, la città
Albert. Si può solo sparare alle persone. Per questo non bisogna più considerare la
pertinenza del nome, in quanto nome di un luogo, ma in quanto nome di una
persona. L’essere del nome che apparirà al Capo, sarà il nome di una persona che
Yu Tsun avrà raggiunto. Ecco come viene prodotto il primo passaggio sul
quadrato di veridizione: negazione dell’essere del nome segreto (-e + -a), di cui
si affermerà l’apparire in seguito, ‘creando’ la notizia della morte di Albert.
Ma il problema che sorge adesso, è che bisogna “sparare a una persona dentro una
/pagina/”, unico canale condiviso dal Capo che aspetta notizie dalle sue spie. Yu
Tsun si rivolge allora all’unico oggetto della /pagina/, a disposizione, che
contenga nomi di persone da indicare con il colpo di pistola:
voce : nome di luogo (nel /mondo/) = proiettile : nome di persona (nella /pagina/)
Se questa persona, indicata nell’elenco in mezzo alle altre persone (cioè, non
apparendo in primo piano rispetto alle altre), vive nel /mondo/, per trasferirla
manifestamente in una /pagina/, bisognerà ucciderla.
170
Ma non è ancora arrivato il momento di poter seguire Yu Tsun, all’inizio
della sua impresa. Il testo, infatti, sceglie di sospendere il corso dell’azione,
inserendo un intervento del narratore che, “a cose fatte”, vuol togliere ogni
possibile interpretazione scorretta circa le ragioni del suo operato.
- ma questo pareva molto secondario, o almeno doveva parermi tale (riferito alla
sua morte); (Storia del Soggetto)
Ora non mi importa di parlare di terrore: ora che ho beffato Richard Madden,
ora che la mia gola anela la corda; (Storia del Soggetto)
171
...e che non distrussi (la lettera); (Storia del Soggetto)
Codardo-vile codardo-non-vile
172
Non-codardo-non-vile non-codardo-vile
173
Questo dato, dimostra sempre l’avversione della spia per tutto ciò che concerne la
guerra, ma ridimensiona certe affermazioni che potevano anche sfociare in un
ritratto, eccessivamente forzato, di uno che entra in guerra perché non ha
nient’altro da fare. Egli è stato costretto, ma questa costrizione “materiale”, non
corrisponde in alcun modo a un tipo di costrizione mentale: egli reputa,
comunque, barbari i tedeschi. La sua battaglia personale, infatti, è tutta giocata
nell’ambito del sapere, del giudizio di valore legato a una sfera non pragmatica.
Del resto, se si pensa alla forte carica passionale con cui Yu Tsun palesa di voler
dimostrare il valore del suo essere-cinese, non si può non pensare che egli non
avrebbe preferito di essere reclutato come soldato. Infatti, la sua particolare
condizione lo obbliga a vivere nel segreto, spazio in cui il proprio essere, le
proprie qualità, non possono essere riconosciute da nessuno, in quanto non appare.
Abbiamo visto, precedentemente attraverso il quadrato della veridizione,
l’impossibilità di arrivare ad affermare una piena /verità/, partendo da una
posizione di /segreto/. Se egli, invece, fosse stato messo a combattere sul campo,
nonostante la propria codardia, avrebbe comunque avuto la possibilità di
dimostrare il proprio valore in battaglia. Ma la battaglia delle spie è qualcosa che
non si vede, e qualunque successo non potrà mai essere rivelato veramente. Ecco
allora uno dei motivi per cui egli si deve rivolgere al suo Capo, che è un tedesco,
unico referente esterno valido per vedere riconosciuto il proprio valore.
E anche per questo, il testo alla fine non mette in scena una chiara sanzione
positiva dal parte del Capo. Se questa sanzione c’è stata, infatti, si è svolta
anch’essa nel /segreto/. Ed ecco perché la condizione di spia è definita “abietta”,
termine che indica uno degli stati peggiori, fra tutti quelli negativi. Germania
odiata doppiamente, dunque: una volta per averlo costretto alla guerra, un’altra per
averlo costretto a vivere nel segreto.
Per dimostrare come la razza tedesca non sia affatto superiore a quella cinese,
per far vedere invece quanto sia improprio ricorrere al contrassegno razziale, per
stabilire il valore di qualcuno, Yu Tsun ricorre a un paragone quasi provocante.
Egli, infatti, chiama in causa “il nemico”, per fare un esempio che dimostri
l’eguaglianza fra le genti quando di tratta di dover dare giudizi. Il narratore, alla
fine della sua avventura, può dire di conoscere “un uomo d’Inghilterra” che per lui
“non è meno di Goethe”. Confrontando il giudizio sull’intera Germania, barbara, e
su questa misteriosa persona di cui egli ha fatto conoscenza, si mette subito in
evidenza il pensiero del dottore cinese che, lo ricordiamo, era un professore
d’inglese prima di essere stato costretto a diventare spia.
Il paragone con Goethe si colloca, perfettamente, nella linea tematica valutativa
basata sul tema della cultura e dell’istruzione, che avevamo precedentemente
individuato. In quanto massimo esponente della cultura tedesca, Goethe
rappresenta il massimo dell’apprezzamento e della stima, per il protagonista, il cui
termine di confronto rimane il popolo tedesco. Infatti, anche ammesso che i
174
tedeschi siano il popolo migliore, egli ha conosciuto un inglese, un loro nemico,
che non è meno della più valente personalità tedesca nel campo del sapere. E
quest’uomo, non era neanche il capitano di un qualche reparto belligerante: era un
uomo modesto.
175
il termine complesso, summa dei due contrari; proprio come il termine Morte è il
termine-sintesi che abbiamo posizionato nel quadrato del tempo: unione con
Albert, dunque, significherebbe, quanto meno, “presagio di morte”. Non per
niente, Yu Tsun è condannato alla forca.
Non parlai con lui più di un'ora, ma durante un'ora fu Goethe... [J. L. Borges – Tutte
le opere 1984, pag 692]
(...dei vasai di Persia) ... Stephen Albert mi osservava, sorridente. [J. L. Borges –
Tutte le opere 1984, pag 696]
172
Vedi paragrafo 8.5
176
La convergenza di sentieri, dunque, è stata rinvenuta grazie a un segno testuale
(puntini di sospensione), che ha consentito di mostrare due cose. Rispetto alla
questione del tempo, essa ha rappresentato il passaggio dal tempo del narratore al
tempo del protagonista, quindi, un passaggio indietro nel tempo, secondo la
linearità della lettura del testo. Rispetto alla forma del perno su cui è stata operata
la convergenza, abbiamo visto come si faccia uso del rapporto fra enunciazione ed
enunciato, forza centrifuga da cui scaturisce la produzione di ogni discorso.
Per capire meglio le implicazioni dello stretto rapporto con gli antenati che
Yu Tsun enuncia in questa sezione, si richiede una precisazione che
commissioniamo nuovamente al dizionario Treccani. I significati del termine
“confluire” riportano tutti il tema della soluzione di due entità separate:
(1) Unirsi, mescolare le proprie acque, di due fiumi; o di un fiume che si versa in un
altro.
(2) Di strade, condutture e simili, incontrarsi, sboccare insieme in un punto.
(3) Affluire insieme, giungere e unirsi di più elementi in uno stesso luogo o per uno
stesso fine; in senso più astratto, convergere di idee, di dottrine, d’opinioni, o di
correnti e di gruppi politici, o anche (in letteratura, nelle arti figurative, in musica)
di temi, di motivi, e simili.
177
Tsun intrattiene con i propri antenati, di cui vuole dimostrare il valore, cioè in cui
crede, passa attraverso un termine che racchiude in sé tutti gli elementi tranne
l’unico elemento del Fuoco, che infatti il testo riserva al nemico /inglese/ (e questo
conferma ulteriormente come il Soggetto sia unito agli elementi disforici
presentati nella Storia dell’Oggetto173).
Ma, andando avanti nel nostro esame, con la terza definizione, vediamo che il
dizionario parla di un luogo della confluenza, che nel Giardino è segnato dallo
stesso Soggetto. Inoltre, parla di un “affluire insieme [...] per uno stesso fine”.
173
Cfr. paragrafo 5
178
Allora, sapendo che Yu Tsun rappresenta il luogo in cui si trovano i suoi antenati,
se pensiamo ora al suo vero scopo, confessato in questa sequenza, ci accorgiamo
di una equivalenza: affermare il valore del proprio essere coincide con l’affermare
il valore dei propri predecessori o, per la corrispondenza appena rilevata: coincide
con l’essere l’affermazione vivente del valore, che i propri antenati hanno asserito
circa il loro essere. Questa visione è molto presente in numerosi scritti di Borges,
il quale, alle volte, pensava di essere la reincarnazione del suo bisnonno. Lo stesso
concetto sta alla base di altrettante poesie, scritte in vari periodi. Per citarne
alcune, ricordo I Borges174 da “L’artefice” (1960), Al figlio175 da “L’altro, lo
stesso” (1964), Adamo è la tua cenere176 da “Storia della notte” (1977).
174
I Borges (traduzione di Francesco Tentori Montalto)
179
Ora, questa situazione di coincidenza implica che sia impossibile riuscire
nell’impresa, nell’eventualità in cui, anche uno solo di questi avi non venga
considerato ugualmente degno di stima da parte di Yu Tsun: in questo caso,
infatti, è come se si parlasse di come egli valuta se stesso. Questo imprevisto,
però, rappresenta proprio la situazione in cui si trova attualmente il protagonista.
Ancora prima di incontrare Albert, infatti, egli si ricorda ‘per caso’ di un suo
progenitore che – secondo lui:
rinunziò al potere temporale per scrivere un romanzo che fosse ancora più popoloso
del Hung Lu Meng, e per costruire un labirinto in cui ogni uomo si perdesse. [J. L.
Borges – Tutte le opere 1984, pag 694]
“Un labirinto minimo...” [J. L. Borges – Tutte le opere 1984, pag 697]
In altri termini, ecco svelato perché è necessario che, tra l’arrivo da Albert e il suo
assassinio, il Giardino occupi ben cinque pagine per spiegare la storia del libro
insensato. Infatti, non appena la spia capisce con certezza di essere di fronte alla
sua vittima, nulla gli vieta di sparargli in qualsiasi momento; invece, egli ha
bisogno di superare questo gap che, al momento, annulla come fosse una diga, la
confluenza tra lui e i suoi antenati.
In questo senso, allora, siamo di fronte al vero vincolo che il testo impone al
protagonista: se egli, che è insieme, congiunto e punto di congiunzione con tutti i
quello di ieri. La notte lo ha sciupato.
Il delicato tempo ci modella.
Che gioia essere l’acqua invulnerabile
che scorre nell’immagine di Eraclito
o l’intricato fuoco, però adesso (segue)
in questo lungo giorno che non passa,
mi sento duraturo e derelitto.
180
suoi antenati, vorrà dimostrare il valore della sua razza, dovrà prima superare
questo argine di insensatezza che, per suo stesso convincimento, vige sul romanzo
del bisnonno. In altre parole, stando alla ‘regola di coalescenza’, è come se egli,
giudicando illusoria tutta l’opera di Ts’ui Pen, si auto-costituisse come Soggetto di
poco valore. Il vero oggetto di valore finale del Soggetto è l’interpretazione
sensata del romanzo dell’antenato.
Soggetto = Yu Tsun;
Oggetto di valore d’uso = nome Albert;
Oggetto di valore finale = interpretazione sensata del romanzo dell’antenato;
Sanzione finale = valore dell’essere cinese.
Dopo questo esame, allora, possiamo dire che, nonostante l’intera sequenza fosse
prodotta dal narratore, questo “Sentiero” è dedicato interamente al Soggetto e alla
spiegazione degli elementi narrativi della sua Storia. Una vicenda, che dopo questi
necessari chiarimenti, può continuare nella prossima sequenza, con le azioni
dirette della spia che, adesso, sa di dover andare a Fenton.
Se si confronta l’inizio di questo “Sentiero” con l’inizio del VI, non ci si può
non accorgere del fatto che, in sostanza si dicono le stesse cose, ma con una
differenza. In questo caso, infatti, la consapevolezza di dover sfuggire al capitano
non è più pronunciata ad alta voce, ma semplicemente richiamata come
promemoria per la ripresa della cronaca delle azioni. Il parallelismo tra queste due
modi di indicare la stessa situazione, ci conferma il dato che avevamo riscontrato
in precedenza, ovvero: avendo già detto qualcosa ad alta voce, in modo tale che
qualcuno lo potesse sentire, è inutile adesso che Yu Tsun ripeta ad alta voce la
stessa cosa. Egli si è già espresso nei confronti di quegli interlocutori invisibili di
cui ‘sentiva’ la presenza. In questo senso, il protagonista, avendo ormai
comunicato a quei ‘fantasmi’ la sua condizione di fuggiasco, può benissimo
adesso congedarsi da loro. E, in effetti, in questo paragrafo notiamo un certo
‘ritorno alla realtà’, che il testo sottolinea mettendo in scena questi parallelismi.
182
Ma è anche vero che si sta, comunque, parlando di un essere sempre-presente, e
che il testo ha fatto apparire nel suo enunciato, dandogli la possibilità di essere lì
“da un momento all’altro”. Per questo motivo è bene mantenere la stessa cautela
di prima: evitare qualunque tipo di frastuono nel vestirsi. Ecco perché, nonostante
il dottore cinese sia consapevole dell’assenza del suo nemico, cerca ancora di non
fare rumore.
Tutti gli altri fantasmi possono essere andati via, ma Madden è meglio non
pensarlo neanche, rischiando così una sua implacabile irruzione.
Per prima cosa, mettendo in rapporto la figura nello specchio con i vari
‘fantasmi’ presenti nella stanza del dottore cinese, possiamo in modo pertinente
riflettere sulla caratteristica dell’inconsistenza che accomuna queste figure. Uno
spettatore invisibile, infatti, non per questo ha minore concretezza di un riflesso
allo specchio, nonostante quest’ultimo possa essere visto. Il parallelo, in questo
caso, ci farebbe meglio comprendere come questa azione possa essere interpretata
alla stessa stregua delle varie “messe in scena”, rivolte prima al narratore, poi al
nemico, e infine al Capo, tutte figure per le quali lui è pertinente soltanto come
spia dei tedeschi177. Stavolta, il dottore cinese – dopo essersi congedato dai suoi
fantasmi – sta facendo una cosa nei confronti di ‘se stesso’, del suo fantasma; di
177
Il narratore Yu Tsun che ha parlato direttamente nel “Sentiero del Capo”, infatti, ha considerato il protagonista
soltanto in merito al problema di dover rendere conto al suo superiore dell’ufficio spionaggio a Berlino. In questo
senso, in quella sequenza, perfino il narratore non ha considerato il protagonista della vicenda come un cinese.
183
quel suo riflesso che appartiene alla stessa dimensione incorporea, cui
appartengono, nella stanza, quelli che lo considerano in quanto spia.
Se dovessimo però interrogarci in merito alla natura dell’altro sé, quello nello
specchio, verso cui il protagonista rivolge l’estremo saluto, un elemento rivelatore
lo si può riscontrare da un’analisi della relazione prossemica che intercorre fra
questi ‘due’ soggetti. Infatti, il destinatario dell’addio è posizionato esattamente
davanti a chi pronuncia questo commiato di morte. Ciò che affiora da questa
osservazione rivela, dunque, il fatto che in questo momento, il protagonista sta
considerando morto ciò che in relazione a lui sta davanti, allo Yu Tsun che ha
davanti, ovvero: quello che compirà le azioni da qui in avanti. Davanti a sé, nel
prosieguo dell’avventura, questo Yu Tsun fantasma (che esiste in quanto spia)
sarà morto, non esisterà più.
punto più alto : steso su stretto letto di ferro = punto più basso : seduto sul divano lungo e basso
185
dall’enunciatore impersonale del primo paragrafo – vuol fare passare,
sottolineando questo gesto allo specchio. La morte finta, insomma, sarebbe il
modo con cui il Soggetto comunica al lettore segreto del Giardino, la condizione
indispensabile per affermare il proprio essere. Sappiamo, infatti, che egli in
seguito dirà di vedere “con i miei occhi d’uomo già morto”. Schematicamente,
questo è il parallelismo tra i due livelli di storia (quella del personaggio Yu Tsun e
il suo Capo; e quella del narratore Yu Tsun, insieme al primo enunciatore
impersonale, e il lettore del Giardino):
Ciò che permette di paragonare il nome del luogo, indicato nel giornale (/pagina/),
con questo addio allo specchio, che invece sembrerebbe situato nel /mondo/
dell’azione del personaggio, è proprio quel passaggio di spazio che abbiamo
rinvenuto nell’esame della lista degli oggetti nella tasca. In quel momento, infatti,
abbiamo visto come la forma del chiasmo indicava il passaggio dell’essere spia,
dal /mondo/ alla /pagina/; passaggio che avveniva nel presente del personaggio, lo
stesso che adesso si sta dicendo addio allo specchio. Il dato fondamentale (che ci
risulta da un parallelo tra il primo livello di enunciazione del Giardino e il
secondo) per il proseguimento della Storia del Soggetto, allora è questo: Yu Tsun
ha detto addio alla propria identità di spia. E questa segreta verità, viene
comunicata all’enunciatario del Giardino (che con lui condivide il suo vero
obiettivo), soltanto dopo aver sottolineato la sua appartenenza all’universo
/pagina/, che è quello significato nel primo paragrafo dal termine “deposizione”,
che è un oggetto prodotto per essere letto.
186
È come se Borges non volesse per nulla cancellare il luogo comune, ma
semplicemente, volesse fare scomparire, rientrare, la pesante verità in esso
contenuta, trasformando il ‘luogo’ due volte: da comune (cioè di tutti), a suo
personale, esprimendo così il forte grado di consapevolezza che egli aveva
riguardo la realtà della morte; e da verità manifesta, quasi scontata, a verità
segreta, esprimendo così la necessità di nascondere, primariamente a se stesso, la
spaventosa rivelazione da cui egli difficilmente poteva distogliere la mente: il
problema dell’essere che ha una durata e una fine.
187
operazioni di deposizione (sic!), del feretro, devono avvenire con la più tranquilla
e distesa accuratezza, sempre penosa per chi sta a guardare.
Abbiamo appena visto come, nel suo primo approccio alla stazione, il dottore
cinese abbia manifestato la volontà di scendere prima dell’entrata centrale. Questo
dato, che precedentemente abbiamo pensato come figurativizzazione testuale della
disforia nei confronti del contrassegno temporale dell’anti-Soggetto, viene
confermato adesso da una sorta di completamento al motivo della stazione. In
188
questa altra relazione di Yu Tsun con la “stazione” di arrivo, infatti, egli decide di
comprare un biglietto che lo porti oltre, cioè dopo Ashgrove. Allora, dopo aver
evocato tramite questa figura (della stazione) il rapporto con Madden e la sua
temporalità, avendo detto di voler scendere prima, adesso il protagonista compra
un biglietto per la stazione dopo la sua di destinazione. Schematicamente:
Ma segniamo adesso anche l’importanza in sé del calcolo sugli orari, fatto dal
dottore cinese, per fissare un’annotazione che verrà ripresa nel prosieguo della
storia. Il treno che prende lui parte alle 20:50. Il treno successivo parte, invece,
alle 21:30. Una differenza tra i due di 40 minuti. Ammesso, dunque, che il
capitano prenda il prossimo treno, il vantaggio del protagonista è di questa portata,
come verrà ribadito in seguito dallo stesso narratore.
alcuni contadini, una donna in lutto, un giovane che leggeva con fervore gli Annali
di Tacito, un soldato ferito e felice.
190
particolare libri di un’epoca antica, non recente; e per finire, la felicità che suscita
una battaglia finita.
Un uomo che riconobbi corse invano fino al termine della banchina. Era il capitano
Madden.
179
Vedi paragrafo 5.3.1
180
Cfr. paragrafo 10.3
191
Si tratta proprio del capitano. Come avvenne all’inizio, nel primo contatto diretto
che Yu Tsun ha avuto per telefono, il testo adopera adesso lo stesso verbo del
“riconoscere” per indicare questo secondo contatto, più ravvicinato. Dopo, cioè,
l’intermezzo della visione, ed essendosi congedato dai suoi vari fantasmi, ecco che
il dottore cinese vede dal vetro del suo vagone, il nemico sopraggiungere. Se
consideriamo l’espressione usata prima, al momento del riconoscimento dopo la
telefonata, e la confrontiamo anche con il finale riconoscimento di Madden nel
giardino di Albert, ci accorgiamo che anche qui il testo mette in atto una sorta di
regola: mai dire subito il nome di Madden, in caso di congiungimento, che sia
uditivo, visivo o, infine, fisico. Notiamo, nel primo caso:
Immediatamente dopo, riconobbi la voce che aveva risposto in tedesco. Era quella
del capitano Madden. [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 690]
Il caso del riconoscimento visivo, lo abbiamo segnato poco sopra. Nel caso del
finale incontro, invece:
Nel giardino giallo e nero c'era un solo uomo; ma quest'uomo era forte come una
statua; ma quest'uomo avanzava per il sentiero ed era il capitano Richard Madden.
[J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 701]
192
fino al termine della banchina. Questi due termini, che abbiamo messo in corsivo,
riproducono appieno marche dell’aspetto puntuale della /terminatività/, che non
possono essere attribuite all’anti-Soggetto, in quanto egli è l’esclusiva espressione
del sempre-presente, che indica solo /iteratività/.
Ecco, infatti, che subito dopo, nella prossima sequenza, il protagonista passa
all’altro estremo della definizione del termine “annichilamento”, al senso figurato
che indica l’euforia mistica legata al momento supremo. Sarà da questa debolezza
181
Sia nella versione di Lucentini, sia in quella di Bacchi Wilcock.
193
che, nel prossimo “Sentiero del coraggio”, Yu Tsun trarrà forze che non lo
abbandoneranno.
“Abietto”: spregevole, ignobile, vile. [Vocabolario della lingua italiana, pag 12]
194
Avevamo anche fissato un quadrato dei passaggi necessari per arrivare a negare
questa viltà, pur mantenendo la codardia di fondo che, alla fine di ogni peripezia,
Yu Tsun confessa comunque come propria caratteristica. In particolare, avevamo
visto come, alla fine, egli si voglia dimostrare codardo-non vile, partendo dalla
posizione, presupposta dal Capo, di codardo-vile. Mettendo ora in rapporto le
espressioni che segnalano la felicità del dottore cinese, ci accorgiamo di come,
lentamente, questa viltà stia scomparendo: se, all’inizio di questo “Sentiero”,
infatti, la felicità è quasi vile, alla fine essa è solo codarda, difetto ammesso dallo
stesso Yu Tsun come appartenente alla propria identità, quindi vera rispetto
all’essere del Soggetto. Ma più che di difetto, in questo caso sembra che si possa
parlare, addirittura, di requisito. Poiché, infatti, non è la sola felicità che gli dà
coraggio, ma la “codarda felicità”. Prenderemo in considerazione questo dato alla
fine del “Sentiero”. Intanto, abbiamo registrato qui, una diminuzione di viltà, una
quasi-viltà nel suo essere felice. Infatti, avendo vinto il primo assalto, la figura del
protagonista ne esce come non più codardo: nello scontro, seppur fortunosamente,
è stato il primo a riportare la vittoria.
195
Notiamo, inoltre, come anche in questa sede venga ribadito, per inciso del
narratore, il vantaggio di tempo ottenuto grazie agli orari dei treni. Anche se noi
non avessimo fatto in precedenza il calcolo del vantaggio che il protagonista ha
ottenuto, questo dato viene ora fornito dallo stesso. Ma se nella nostra precedente
annotazione, la cosa importante era tenere a mente il dato quantitativo dei 40
minuti, per il prosieguo della vicenda, adesso Yu Tsun vuole sottolineare il dato
qualitativo che sta sotto questa, relativamente scarsa, posizione favorevole. Cioè,
più piccolo è il vantaggio e meno meritata è la sorte, più grande è la felicità. Alla
fine della frase, infatti, egli ci tiene a ribadire che si tratta di un “favore del caso”.
Questa annotazione del testo, rafforza quell’opinione secondo cui, meno si è
fautori di una propria vittoria grazie al coraggio, più si è felici per il favore
ottenuto dal caso, altro nome per indicare destino, futuro. Di conseguenza, la
codardia potrebbe essere qui intesa come una caratteristica che consente di mettere
alla prova il destino, il futuro, e verificare se questo si rivela favorevole oppure
avverso.
Il discorso continua sulla falsa riga della vittoria presente, che viene subito
rivalutata come non-minima, ma grande. In questo caso, possiamo notare
l’accuratezza stilistica di Borges nel riproporre, in piccola parte, quella sorta di
schizofrenia che avevamo notato nei confronti della lettera che, all’inizio, Yu
Tsun aveva deciso di distruggere, cosa che poi non fece. A differenza di
quell’occasione, adesso viene enunciato tutto il processo del cambiamento
d’opinione del personaggio che sta pensando. E questo cambiamento d’opinione
sarà prezioso per farci capire un’importante connessione narrativa.
196
In questa considerazione sul vantaggio datogli dall’orario dei treni, infatti,
possiamo riscontrare un altro importante parallelo che tiene insieme il racconto del
ritardo delle divisioni britanniche, dovuto alla pioggia secondo Hart, e il racconto
contenuto nella deposizione del dottore cinese. In quest’occasione il protagonista
sta rimarcando il fatto che, senza questo minimo ritardo, egli sarebbe potuto
morire, oppure essere arrestato già alla stazione. Ma, se così fosse stato, egli non
avrebbe potuto comunicare al Capo il nome della città da bombardare e, di
conseguenza, tutta la deposizione non avrebbe avuto alcun valore nell’illuminare
il caso descritto nel libro di Hart. Riassumendo: senza questo ritardo minimo, non
si sarebbe potuto spiegare veramente quell’altro ritardo minimo nell’attacco
inglese alla linea Serre-Montauban, che nell’ottica di Hart era “per nulla
significativo, di certo” 182. In questo momento, il testo ci svela la reale connessione
tra la prima e la seconda storia del Giardino, che inizialmente sembravano slegate.
La vittoria del protagonista, insomma, non è minima, poiché “senza il prezioso
intervallo” egli sarebbe già stato in carcere, oppure morto, non potendo così
arrivare a uccidere Albert.
Ma, attenzione: l’espressione “in carcere, oppure morto”, è la stessa che, nel
momento successivo alla telefonata, il testo attribuiva a Runeberg nel
rappresentare il suo rapporto logico strutturale con Madden. Avevamo detto che,
invece, per Yu Tsun non era previsto dal testo, strutturalmente, il privilegio
dell’opzione tra questi due esiti nell’incontro col nemico. Per il dottore cinese,
infatti, il congiungimento con Madden deve significare per forza entrambe le cose.
E la prova di questa verità è ipotizzata in questo punto del racconto. La riflessione
che il protagonista fa sul treno, cioè, dimostra per l’ultima volta che, se si
arrivasse a un punto per cui, anche per lui, Madden significasse “arresto, oppure
morte”, egli non potrebbe più portare a termine la sua missione, spiegando così il
vero motivo del ritardo annotato da Hart. In questa sequenza, sappiamo
definitivamente che: “senza il prezioso intervallo”, il dottore sarebbe finito “in
carcere, oppure morto”, non potendo arrivare da Albert e risolvere il mistero del
ritardo.
Invece, per l’ultima volta, il destino del dottore cinese deve essere rappresentato
dalla combinazione delle due fatalità: “arresto e anche morte”, come osservato
nella seconda sequenza. E questa è anche la giustificazione che, al livello di
struttura del testo, spiega perché mai, alla fine e soltanto alla fine, Yu Tsun
desideri così tanto la propria morte: essa è necessaria per la quadratura del cerchio
che ordina i ritardi misteriosi.
Ricordo che nella versione in lingua originale, e nella traduzione di Bacchi Wilcock, è riportato un inciso
182
197
narratore. L’ultimo pensiero di questa sequenza sul “coraggio”, infatti, non viene
rivelato se non dopo un commento a se stesso, e alla propria raffinatezza di
elaborazione concettuale. Del resto, quest’ultima ben si accompagna alla
precisione con cui, secondo Yu Tsun, accadono le cose; tanto precisamente, così
da poterle persino prevedere, come abbiamo visto, e vedere realizzate alla fine.
E dopo aver assistito alla prova della sua efficacia predittiva, ci si può ‘solo
fidare’, quando il dottore cinese afferma che la prova della riuscita della sua
avventura gli è data dalla stessa “felicità codarda”. In questo atteggiamento,
scorgiamo, infatti, una sorta di cieco affidamento che il protagonista confessa nei
confronti del proprio destino. Esibendo un’espressione degna dei più profondi
spiriti religiosi, quasi cristianamente, Yu Tsun dichiara di trarre forza dalla propria
debolezza. Una forza che non lo avrebbe più abbandonato, precisa; e si
presuppone che questa, sia la stessa forza che accompagna alla fine il suo
desiderio di morte. Da martire. Questa felicità regalata dal caso, questo destino
che trascina un codardo in fondo a una missione “arrischiata”, la cui esecuzione è
“terribile” perché va contro ogni morale comune (uccidere un innocente per
indicare un luogo), ebbene, questa euforia ricalca i tratti di una fede. La stessa
convinzione, con la quale egli proclama quella che sembra una “religione del
futuro”, come dire un culto universale. A dimostrazione di ciò, il fatto che tutte le
religioni, in fondo, non sono altro che racconti preveggenti sulla futura salvezza
dell’uomo, nella vita terrena, nella morte e dopo la morte, ai quali ci si può
affidare – nel senso di consegnarsi più che di fidarsi – oppure no.
In questo caso, infatti, abbiamo visto come “portare a buon fine l’avventura”,
significhi per il dottore cinese anche l’andare incontro alla propria morte,
annichilandosi nel proprio destino. Come scrive Borges, nel componimento Morti
di Buenos Aires183, negli unici versi messi in corsivo, che riportano “la sentenza di
destino più definitiva”:
198
morto registravano il fluire di quel giorno che forse era l'ultimo, e
la diffusione della notte. Il treno correva dolcemente, tra i frassini.
Si fermò quasi in mezzo alla campagna. Nessuno gridò il nome
della stazione. "Ashgrove?" chiesi a dei ragazzetti sulla banchina.
"Ashgrove" risposero. Scesi.
Stavolta la continuità della narrazione viaggia sul tema della predizione, proprio
come prima sfruttava l’ambivalenza degli effetti dell’annichilimento. La palese
differenza, però, si evince dalla diversa istanza di produzione del discorso: adesso,
infatti, è il narratore Yu Tsun a parlare, nel suo presente. Dunque la preveggenza
che si riversa in questo “Sentiero” non riguarda più gli avvenimenti del Giardino,
che già sono arrivati al termine, ma riguarda il futuro degli uomini in generale.
Quasi a voler prolungare quel motivo pseudo-religioso, il dottore cinese adesso,
forte della sua esperienza di vita, si lancia in una sorta di profezia ultima, mentre
aspetta di morire.
199
l’unicità, la gestalt, della visione che assale colui che è in preda all’estasi
profetica. E in questo momento, il messaggio sul futuro riguarda l’intera umanità.
Nel suo dire “uomo”, infatti, il narratore intende la totalità delle persone nel
mondo. Soltanto andando avanti, nella lettura della seconda frase, si potrà capire
meglio a quale tipo di uomo è indirizzato l’oracolo.
Implacabile: che non si può o non si vuole placare, quindi accanito e simili:
odio implacabile; nemico implacabile.
200
Irrevocabile: che non può essere revocato, cioè, propriamente, richiamato,
fatto tornare indietro, e quindi, per estensione, annullato, modificato o disdetto.
Letteralmente, che non ritorna più, che è definitivamente passato.
Dal confronto tra le due definizioni, emerge una principale differenza. Mentre
l’implacabilità segna un tipo del non-finire-mai, l’altro termine basa il proprio
senso sulla predicazione opposta: la ragione per cui si definisce qualcosa come
“irrevocabile”, sta nel fatto che essa è ormai compiuta, quindi finita. In termini di
categorie logiche si tratta della stessa opposizione tra /continuo/ vs /discontinuo/
che, come sappiamo da Greimas [1976, pag 61], è la categoria “che serve da
universale nell’interpretazione del ‘mondo naturale’ fenomenico”, alla quale, a sua
volta, si accompagna l’altra categoria /permanenza/ vs /incidenza/ che l’autore del
Maupassant definisce come “l’adattamento al tempo” della prima. Da questa
breve ricognizione teorica, allora, deduciamo la profonda opposizione logica tra
Madden e Yu Tsun, riguardo al tempo che, in termini aspettuali, viene riproposta
rispettivamente dalla differenza tra semi iterativi e puntuali (che siano, questi
ultimi incoativi o terminativi).
201
base di una storia della cultura occidentale, riguardo le attese del lettore circa una
fine sensata delle opere, egli mette in relazione il mito escatologico della Bibbia
con la teoria aristotelica dell’intrigo, e studia l’evoluzione parallela di entrambe,
confrontandola con la storia della composizione letteraria. In questa
comparazione, Kermode evidenzia come – fino a un certo punto della storia –
l’Apocalisse abbia potuto rappresentare e giustificare, insieme, la “fine del
mondo” (dei soggetti) e la “fine del libro” (poetica), come unico criterio guida di
tutte le composizioni, sul piano della loro chiusura e del paradigma di
concordanza da cui, grazie a una chiara fine della “peripeteia”, esse ricavano il
loro senso unitario184.
202
dell’oscurità. Questo conferma che, se in parte egli ha già gli occhi di un morto, in
verità si trova in una situazione di non-vita.
Il treno blocca la sua corsa, in mezzo alla campagna. Immesso in questo stato
di euforia e di forza, tratta dalla propria debolezza, il protagonista ‘sente’ di essere
arrivato alla propria fermata, nonostante nessuno dica il nome della stazione.
Esattamente, il testo non riferisce un “dire” il nome della stazione, ma un
“gridare”: non c’è nessuno che grida. Come Yu Tsun aveva pensato di fare, cosa
che si dimostrava inutile, per trasmettere il nome della città da bombardare, così
adesso è inutile che qualcuno gli gridi il nome della città in cui si trova la
soluzione dei suoi problemi. Essendo lui che, alla fine risolve il problema
dell’indicare il nome della città, tramite la morte di qualcuno, egli ha anche il
compito di informarsi sul nome della stazione. Chiede a dei ragazzi di campagna
(figurati poco prima dai contadini che il narratore ricorda) e loro gli confermano la
“sensazione”. Così, scende. Così, scendiamo noi, al prossimo “Sentiero”.
203
Come non ricordare, adesso, che alla stazione il dottore cinese aveva detto di
andare “al villaggio di Ashgrove”: espressione che lascia aperta l’interpretazione
come nome di luogo, oppure come villaggio in cui abita un tizio che di cognome
fa Ashgrove.
Anche in questo caso, per quel che riguarda la segmentazione del testo, la
sequenza è chiaramente circoscritta dalla divisione in paragrafi operata
dall’autore. Potremmo soltanto aggiungere che essa è racchiusa dalle due
operazioni di “discesa”: dal treno e lungo il viottolo di campagna.
204
14.1 L’oscurità che avvolge il Caso
Dopo una prima apparizione, all’inizio del Giardino, ecco che ritorna il tema
della luce. Nel primo paragrafo del testo, abbiamo visto come il discorso sulla
verità, venga rappresentato attraverso la metafora del gioco di luce. La luce-verità
è ciò che illumina il mistero del ritardo, ma questa luce è “insospettata” poiché è
una luce segreta, una luce che ‘non si vede’. In quest’occasione, il motivo viene
riproposto, e ci accorgiamo subito di come nel testo venga precisato chi o cosa,
nella scena della banchina, è illuminato, e chi o cosa, invece, non lo è.
Come per magia, questi autoctoni chiedono, soltanto a titolo di conferma, ciò
che già sanno. Com’è possibile spiegare questo dato, in termini non ‘fideisti’, ma
tramite l’analisi formale? La spiegazione l’abbiamo, in parte, anticipata prima.
Abbiamo visto, infatti, come, attraverso il collante dell’isotopia discorsiva del
‘nome segreto di luogo gridato’, nella domanda del Soggetto (“Ashgrove?”) non
era specificato se si trattasse di un luogo o di una persona. La domanda riguardava
semplicemente un nome. Ora, attraverso una “retrolettura” [Greimas 1976, pag
169], siamo in grado di risolvere questa ambiguità testuale. Infatti, dalla rilettura
del testo, sappiamo che l’isotopia del ‘nome segreto gridato’ funziona solo nel
caso in cui muoia una persona che porta quel nome. Dall’esame della luminaria
che avvolge questa scena, sappiamo anche che i ragazzi ci sono ma non appaiono
a Yu Tsun: cioè, essi sono in una posizione di segreto. E per chi sta per nel
/segreto/ un nome di luogo comunicato (nella risposta: “Ashgrove”) implica una
persona morta che potava questo stesso nome.
205
Appena sceso dal treno, però, Yu Tsun si fa vedere, grazie alla lampada, e questo
è il segno dell’ulteriore sapere che, per indicazione del testo, i ragazzi acquistano
nei suoi confronti: essi, cioè, rispetto a quando hanno dato la risposta, sanno
adesso a quale nome di persona-luogo, si riferisca il protagonista: ad Albert. Così
gli forniscono l’informazione di cui ha bisogno. Ecco come le regole logiche
interne al racconto hanno compiuto il miracolo, in cui il dottore cinese ha avuto
semplicemente “fede”. Schematicamente:
206
Per ringraziare i giovani dell’informazione, Yu Tsun dà loro tutto quello che
gli rimane in termini monetari. Sottolineiamo l’uso del verbo gettare, riferito al
gesto compiuto nei confronti dei ragazzi, come ulteriore rappresentazione della
distanza che c’è fra di loro; una distanza, che figura la differenza individuata
prima, in ordine al regime veridittivo. Egli non può dar loro in mano la moneta,
poiché ‘non ci arriva’, in termini formali. Con l’inserimento della precisazione del
narratore (“l’ultima”) si aggiunge un altro elemento che segna comunque l’affinità
esistente tra il dottore e questi soggetti misteriosi. Infatti, i significati di questo
gesto, uniti alla precisazione del narratore, possono significare insieme: la
gratitudine espressa, mediante la consegna di tutti i soldi che rimangono;
un’ulteriore fase nel processo che condurrà il Soggetto a trovare il proprio vero
essere, segnata da un distacco dalle ‘cose materiali’, le ‘cose di questo mondo’; in
merito all’euforia che lega tutti i personaggi sulla banchina, l’indicazione tra
parentesi rivela anche la condivisione di una marca di terminatività, la stessa che
non è ‘servita’ a Madden nella corsa sulla banchina dell’altra stazione. In questo
senso, il confronto tra il capitano Madden e la sua disforia nei confronti di un
segno di terminatività sulla prima banchina, e l’euforia dei ragazzi nei confronti
della stesso tipo di aspettualità figurata dalla moneta, suggerisce anche la
differenza che c’è tra Madden e i ragazzi in merito al rapporto col tempo. Infatti,
essendo questi ultimi ‘pacificati’ temporalmente con il Soggetto (riconoscendo
cioè, anche loro, il valore del passato e del futuro), proprio per questo motivo –
come vedremo – attraverso loro il testo getta una sorta di ponte con il passato di
Yu Tsun, tramite l’indicazione di come arrivare da Albert, che gli farà ricordare
l’antenato e il suo sapere sui labirinti.
Subito dopo aver visto il protagonista nell’atto di scendere dal treno, il testo
ripropone un’altra discesa: quella dai gradini di pietra. L’indicazione del materiale
con cui sono fatti i gradini, non può che riaffermare quella caratteristica di viaggio
figurato nell’oltretomba, tramite un richiamo alla rocciosità delle lapidi; ma
l’indicazione riguarda anche un’ulteriore conferma che il Soggetto si è ormai
sbarazzato di tutti quei fantasmi che lo circondavano, impedendogli di compiere la
propria missione: primo fra tutti, il proprio fantasma, di cui ora la pietra
simboleggia la tomba.
188
Vedi paragrafi 5.4.1 e 5.4.2
207
merito al congiungimento con un simbolo del giardino, che fosse capace di fargli
accettare come credibile la morte, secondo il suo preciso ragionamento predittivo.
Mettendo in relazione quello che finora è successo al dottore cinese con questo
problema dei segni premonitori, ci accorgiamo di essere già in possesso di qualche
elemento a riguardo. Infatti, nell’esame della morte allo specchio, di questa prima
morte avvenuta, possiamo adesso evincere una premonizione della propria morte,
che dunque, ‘prende il posto’ di quella del padre che il protagonista apponeva
come obiezione alla credibilità della sua imminente. Una morte di cui, ora, la
pietra del gradino che scende rappresenta il luogo della tomba.
Per quel che riguarda, invece, il simbolo del giardino simmetrico, in questa
sequenza si inizia a intravedere un elemento che richiama l’immagine in
questione: un giardino è fatto di sentieri. E il sentiero che Yu Tsun si appresta a
percorrere è “solitario”. Questo aggettivo, oltre al fatto che non c’è nessun altra
persona, sta a sottolineare anche l’unicità del sentiero: un solo sentiero è
pertinente, quello che continua sempre a sinistra. In più, i “crocicchi” successivi,
di cui parlano i ragazzi, non permettono più di pensare che qualche sorta di
simmetria possa essere assegnata a questo luogo di campagna. Siamo nel
momento, dunque, in cui il Soggetto si sta per congiungere con quel tipo di
giardino normale che, nel quadrato189, è la negazione della simmetria con cui Yu
Tsun era congiunto nell’infanzia, nonché la via per affermare in seguito la propria
congiunzione con un tipo di giardino labirintico. Ma non è ancora enunciato alcun
tipo di giardino. Questa indicazione, dunque, può essere interpretata come la
semplice anticipazione di un prossimo vero congiungimento con un giardino
normale190.
208
non fermarsi mai, dato che il pericolo di fermarsi è sempre in agguato. Infatti, lo
attende il momento in cui si congiungerà con delle fantasie che nascono da un
passato cinese, così lontano dal suo presente, che nemmeno lui era nato. Vedremo
l’effetto vertiginoso che sortirà da questo incontro.
Infine, il richiamo all’astro della morte 192 che lo accompagna, nella stessa sua
posizione bassa, è segno premonitore del suo andare incontro a un’ulteriore
momento di congiunzione con un tipo di morte. La luna, infatti, è bassa in quanto
sta nascendo ora, dopo il tramonto ed è circolare proprio come la forma di un
tamburo: la stessa forma che avrà la lanterna di Albert. Ma perché mai il sinologo
dovrebbe rappresentare in un certo senso la morte? La risposta la si trova all’inizio
di questa stessa sequenza. Abbiamo visto, infatti, come per i ragazzi che stavano
nel /segreto/, il nome di luogo e anche di persona morta, che interessava al dottore
cinese era quello di Albert.
209
isolata dalla città, dove si conoscono tutti, la scena che abbiamo finito di studiare,
sembra svilupparsi su un ritratto stereotipo ben preciso.
E il morto, l’incredibile?
La sua realtà è sotto fiori diversi da lui
e la sua mortale ospitalità ci darà
un altro ricordo per il tempo
e sentenziose strade del Sud per meritarle lentamente
e brezza oscura sulla fronte che ritorna
e la notte che dal più grande dolore ci libera:
la prolissità del reale193.
193
A cura di Domenico Porzio e Hado Lyra
211
Yu Tsun si addentra nel sentiero che lo porterà da Albert, lì dove comprenderà il
vero senso dell’opera del suo antenato, che attualmente – lo vedremo alla fine –
egli giudica illusoria. La scelta di includere in un’unica sequenza una parte di testo
piuttosto variegata, può essere compresa se si evidenziano le grandi linee della sua
organizzazione interna.
Infatti, come essa inizia mediante un riferimento a Madden, così alla fine, è ancora
la figura del capitano ad essere implicata nella definizione di “uomo inseguito”.
Inoltre, guardando l’interno della sezione, si può facilmente notare una
suddivisione in tre grandi segmenti, in cui il primo e l’ultimo sono separati da un
intervento del narratore che introduce, per il lettore della deposizione, la storia di
Ts’ui Pen.
Ancora, come si vede, la separazione fra i tre frammenti di testo viene giustificata
da una ben precisa ricorrenza del termine “labirinto/i”, che funge da perno su cui
avviene il cambio di esposizione. Nel passaggio che segna il ponte con l’enunciato
del narratore, la parola è al plurale, nella ripresa del protagonista “sotto gli alberi”,
invece è al singolare, poiché a quel punto sarà solo uno, il labirinto di cui si
parlerà fino alla fine.
Infine, anche le marche che segnano il lento movimento di Yu Tsun, permettono
di distinguere tra l’incedere lungo il sentiero “sinistro” sulla terra battuta,
inaugurato nella precedente sequenza, e quel suo essere fermo a meditare sotto gli
alberi i cui rami si confondono, dopo il segmento inframmezzato.
Come abbiamo detto nel precedete “Sentiero”, anche per un Soggetto che
affermi il valore di passato e futuro, è possibile vivere il presente nella distensione
di un’esperienza intensa. Il problema sorge, però, nel momento in cui egli misura
l’istante di un pensiero, separato dal resto della situazione che si sta vivendo
lentamente. Allora sì, che si può tornare a temere l’implacabilità del capitano
Madden, paladino del sempre-presente, e nemico di ogni difensore dell’essere se
stessi. Ma anche questa vicinanza con un segno abbastanza marcato di non-vita (la
luna bassa e circolare), non può far altro che ricordargli la personificazione della
morte che, per lui, il destino ha scelto di incarnare nell’irlandese tumultuoso. E
inoltre, la disfunzione timica appena rilevata, nei confronti di due segni dello
stesso elemento, contribuisce a destabilizzare la fiducia del protagonista.
Ma, quasi con la stessa immediatezza con cui era apparso, il timore scompare.
Adesso, infatti, il dottore cinese è forte di quell’energia che ha tratto dal suo
affidarsi al destino: lo stesso Caso benevolo che gli ha fatto incontrare i ragazzetti
sulla banchina. E sono stati loro, riconoscendo in lui un uomo assuefatto al
segreto, e credente in quell’articolazione temporale per il quale lo stesso destino
esiste, a rivelargli il metodo di mantenere la sinistra, per non perdersi. Quegli
angeli nascosti nell’ombra, che tutto sapevano di lui, non avrebbero di certo
aiutato il capitano, se anche fosse arrivato insieme a lui. Madden non avrebbe
potuto riconoscere il linguaggio del segreto, e farsi riconoscere dai ragazzi; egli,
212
inoltre, non può ravvisare la verità di nessun futuro già scritto, non sarebbe stato
in grado di ascoltare il loro consiglio, per arrivare da Albert. Questa è la
spiegazione, parafrasata, di tutti i motivi formali, per cui noi siamo disposti ad
accordare a Yu Tsun, la sua comprensione dell’impossibilità di questo timore.
Infatti, se egli pensa che non è possibile, semplicemente, ed effettivamente, perché
aveva calcolato un vantaggio di quaranta minuti, noi sappiamo perché sia
strutturalmente impossibile la presenza di Madden in questo momento.
Infatti, subito dopo essersi ‘reso conto’ del congiungimento con un segno
dell’anti-Soggetto, senza il minimo preavviso, scompare dal testo il personaggio
che cammina in mezzo alla campagna e, come per assicurarsi il tempo che egli si
riprende, attacca il suo discorso il narratore, restando in argomento. Impossibile
non accorgersi, allora, di come la ripresa dell’azione raccontata, che vede il
protagonista in una posizione di essere-dominato da un elemento inglese (“sotto
alberi inglesi”), evoca una sorta di svenimento improvviso, che il narratore è come
se avesse preferito non inserire nel suo resoconto.
213
15.3 Il narratore glissa su un’altra storia
L’intero intervento del narratore nel testo, si distende su due sole frasi, ma
articolate. Per continuare l’analisi, dunque, ci fermeremo ogni qualvolta sorgerà
un elemento nuovo da circoscrivere. Come è successo nella prima sequenza, ci si
accorge facilmente che, in questo breve inciso, emerge un’intera storia che ha un
inizio e una fine. Il parallelo con la storia del ritardo, che per noi ha rappresentato
l’inizio della Storia dell’Oggetto-tempo, si fissa automaticamente. Possiamo,
dunque, dedurre che questo intervento contribuisca anche all’avanzamento di fase
del discorso sulla vera valenza del Tempo. In base, cioè, al punto in cui avevamo
lasciato quest’altra Storia, dovremmo trovarci davanti al momento della
realizzazione dell’Oggetto-tempo194. Ma non è così, poiché, come vedremo, il
narratore sta parlando al posto del Soggetto; esporrà, cioè, un punto di vista che
ormai non è più il suo, in merito al labirinto dell’antenato. La Storia dell’Oggetto,
deve ancora sapere aspettare: un’attesa che terminerà con il discorso di Albert.
194
Vedi paragrafo 7.6
214
dimostrazione del fatto che il vero Oggetto-tempo, non è implicato nel discorso
attuale.
Il Soggetto è rappresentato da Ts’ui Pen il quale, a seguito di un nuovo volere
(contratto), lascia lo spazio eterotopico proprio di un governatore, per
congiungersi con il suo doppio oggetto di valore (romanzo e labirinto). Tredici
anni (di competenza) ci vollero per scrivere (performanza) il romanzo e
congiungersi con uno solo degli oggetti finali, nello stesso momento in cui, la
congiunzione con un misterioso anti-Soggetto, lo fa morire e, chi aveva il compito
di sanzionare il suo fare, decreta la sua missione come un fallimento. Attenzione,
però, al fatto che il racconto termina con questo generico “era insensato” che non
specifica chi opera la sanzione.
Per far luce sull’importante figura del Destinante, che non appare
manifestamente in questa storia, si può ricorrere all’ormai nota ‘regola di
coalescenza’195. Infatti, il narratore parla di un libero volere di Ts’ui Pen; come
non fosse stato convinto da nessuno. Infatti è così. Ma nell’ottica di quel
particolare legame che vige tra le generazioni passate e future, potremmo
immaginare la figura del destinante manipolatore come incarnata nei predecessori
dell’ex governatore (o da egli stesso è uguale), quella del destinante giudicatore –
che appare nel momento della sanzione finale – impersonata dai successori del
Soggetto che viene improvvisamente ucciso. E uno di questi sanzionatori, altri
non è che il nostro Yu Tsun che al momento, abbiamo detto, ha il problema di
superare questo gap interpretativo sul romanzo di Ts’ui Pen, che non gli permette
di affermare il proprio valore. Sarà il nuovo e strano battesimo di Albert, che
appena vedrà il protagonista lo chiamerà col nome di un console cinese, a sancire
come Destinante giudice il dottore cinese 196. Infatti, il luogo proprio del console e
lo stesso che si addice a un governatore, quello stesso spazio eterotopico che
l’antenato aveva lasciato in seguito al nuovo volere. Lo spazio in cui avviene
anche la sanzione sull’operato dell’antenato.
Ma, come mai, visto il fatto che adesso parla il narratore (che ha superato il
problema, grazie ad Albert), se ne parla come di un’opera insensata? La coerenza
del tutto, come dicevamo prima, emerge dall’esame stilistico con cui è raccontata
la storia.
215
neutralizzato dalla “radura centrale”, facendo così apparire dentro la storia
raccontata, il problema sui labirinti.
Ritornando, ora, al parallelo tra la storia del ritardo e questa, inserita nella
deposizione, si vede come vengono convergono le due Storie principali del
Giardino. Questa storia dell’antenato, inglobata brevemente in questa sequenza, e
poi sviluppata nella giusta interpretazione di Albert, servirà da chiave di lettura
sulla giusta interpretazione da dare alla storia del ritardo di Liddel Hart, anch’essa
inglobata nella prima sequenza, che non era stata però sviluppata, ma liquidata
con la scusa delle piogge. In questo modo la deposizione ha il compito di far luce
sul caso del ritardo, sul quel problema di tempo. Cioè, da questo parallelo si vede
come vengono intrecciate la Storia del vero Essere e del vero Tempo: attraverso la
scoperta del vero Essere si illumina la realtà del vero Tempo.
216
vacillare, in precedenza. Come abbiamo appena finito di dire, riguardo alle
informazioni dateci dal narratore, il sapere sull’inesistenza del labirinto è legato al
fatto che nessuno lo ha visto. Ora, dato che il Soggetto appartiene egli stesso a
questo stato del non apparire ma essere, possiamo capire come mai egli provi
attrazione per questo labirinto, che non è mai apparso. Ed ecco come l’intervento
del narratore è servito per invocare nel testo una caratteristica che fosse euforica
per il protagonista, nonostante si trattasse sempre di un sapere sui labirinti.
Schematicamente:
Ecco perché, da qui fino alla fine della sequenza, il protagonista dedica tanto
spazio all’immaginazione di questo nuovo oggetto segreto. Nelle diverse
raffigurazioni che Yu Tsun cerca di crearsi, riscontriamo il tentativo di
concretizzare quel legame virtuale, verso il quale egli è indirizzato dallo stato di
euforia. Ecco, allora, che il dottore cinese cerca di associare il labirinto alle varie
figure che rappresentano ciò che è associato al suo stato:
“inviolato e perfetto sulla cima segreta di una montagna” : non essere raggiunto
(da Madden) e chiuso in segreto nella stanza in alto in cui è salito, legame con
Terra
“subacqueo, cancellato dalle risaie” : legame con Acqua che fluisce come il tempo
che scorre e gli antenati confluenti, segreto come i ragazzi-contadini
“non già di chioschi ottagonali e di sentieri che voltano” : disforia per il centro del
labirinto (i chioschi sono la figura di quel Padiglione centrale in cui si rifugiò
Ts’ui Pen, come dirà Albert)
“di fiumi e di province e di regni...” : ancora Acqua e due segni che riconducono
all’antenato governatore.
217
Ecco dunque che, alla fine, non potendo provare l’esistenza di questo
labirinto segreto che non appare, Yu Tsun deve arrendersi, e credere che la
distanza tra lui e il labirinto sia indice di una non esistenza dello stesso. Tutte le
fantasie vengono giudicate illusioni, ovvero falsità: dall’essere e non apparire, al
non essere e non apparire. Non si è riusciti a congiungersi con una ipotetica verità
segreta del labirinto di Ts’ui Pen, poiché non si è raggiunto lo stato veridittivo
della /menzogna/ che permette il dialogo fra due spazi di /segreto/. Graficamente:
/verità/
Essere Apparire
/segreto/ /menzogna/
“labirinto
perduto”
Non-apparire Non-essere
/falsità/
“immagini
illusorie”
219
se non avesse avuto il consiglio dei ragazzi; infatti ha scordato il destino e i suoi
relativi angeli. Ma ecco che, a un certo punto, percepisce una misteriosa musica
che, nel suo andirivieni, sembra condurlo fuori da questo momentaneo stato di
assenza. In questa sorta di ripresa, infine, il dottore cinese riesce a pensare
nuovamente alle fantasie di Ts’ui Pen e ribadirne il giudizio di assurdità: “non si
può essere nemico di un paese”, di quell’Hung Lu Meng che viene nominato nella
precedente sequenza (non per niente evidenziato nel testo dal corsivo, usato come
promemoria per questo riferimento successivo nascosto). In più, poco prima, egli
accetta il fatto che si possa essere nemico di altri uomini, ma non di “ogni” uomo,
tanto da volerli fare perdere nel proprio labirinto. È in questo modo che egli
interpreta il valore di giustizia che pesa sulla morte di Ts’ui Pen, il senso della fine
dell’antenato: la fine di questi progetti malvagi.
199
Vedi paragrafo 13
220
Come abbiamo visto alla fine del “Sentiero” precedente, le immagini illusorie
provocate dal tentativo di dare un senso al labirinto, conducono il protagonista in
un tempo che non gli appartiene, tanto che egli non sa dire per quanto sia stato in
preda alla percezione. Si tratta, infatti, di un tempo che non riesce a precisare, che
non riesce ad inserire nella sua personale articolazione di passato/presente/futuro,
poiché, infatti, essa è temporaneamente in black-out.
Facendo, così, riferimento a una perdita di se stesso in un indistinto e puro stato di
“percezione corporea ma senza corpo”, il Soggetto vive un’esperienza sensoriale
di abbandono al circostante cosmico, una sorta di percezione puramente passiva. E
la modalità di questo rapporto, ci viene descritta dal suo sguardo incorporeo.
“Così anche il declivio” entra in lui eliminando “ogni possibilità di fatica”, di
resistenza a questo inghiottimento nella spirale del solo presente indeterminato. La
sera, che gli è diventata intima, perché entrata dentro, non ha più fine: c’è sempre,
senza possibilità di scandirne le fasi, in precedenti e successive.
In questa trance dentro un tempo che non è più il suo, la campagna vivente lo
conduce sempre più giù (“il sentiero scendeva”), senza permettergli di reagire,
poiché Yu Tsun è stato privato del tempo che organizza la sua soggettività.
È il momento in cui alla sintesi temporale articolata, propria della soggettività di
Yu Tsun, si sostituisce quella più ampia, ferma e non articolata dell’intero cosmo
immobile, che “opera” in lui. Come se il protagonista ‘diventasse’ mondo:
l’espressione “percettore astratto del mondo”, infatti, annulla automaticamente
mediante ossimoro i primi due termini, e lascia l’oggetto-mondo come unico ente
propriocettivo. Lo spazio circostante della campagna diventa qualcosa di “vago”,
perché difficilmente distinguibile dal suo nuovo corpo, ma soprattutto “vivente” in
lui. L’astro della morte e i resti della non-vita che agiscono in lui, rappresentano
questo canone inverso che si è ormai innescato, tra il destino compiuto
dell’antenato e il proprio stato di non-vita; stavolta, però compresenti nel suo
corpo astratto.
221
causa della perdita delle coordinate temporali, è ben esposta nello studio di
Merleau-Ponty [1965], in merito al rapporto dialettico fra tempo e corpo:
La sintesi percettiva è per noi una sintesi temporale, la soggettività, al livello della
percezione, non è altro che la temporalità: ciò ci permette di lasciare al soggetto
della percezione la sua opacità e la sua storicità. [...] In ogni movimento di
fissazione, il mio corpo riunisce un presente, un passato e un avvenire, secerne del
tempo, o meglio, diviene quel luogo della natura in cui, per la prima volta, anziché
spingersi vicendevolmente nell’essere, gli accadimenti proiettano attorno al
presente un duplice orizzonte di passato e di avvenire e ricevono un orientamento
storico. [...] Il mio corpo prende possesso del tempo, fa esistere un passato e un
avvenire per un presente, non è una cosa, fa il tempo anziché subirlo. [Merleau-
Ponty, 1965]
A questo punto, una nuova figura fa il suo ingresso inaspettato nella scena,
definendosi come altra presenza rispetto a Yu Tsun, che è ancora in preda al
cosmo immobile. E il protagonista la nota, destandosi dallo stato di trance, poiché
essa interrompe l’esecuzione di quel canone inverso nato dalla sua relazione
intima con il mondo, che lo teneva bloccato. Si tratta, infatti, di un’altra musica
che l’udito del dottore cinese non riesce a possedere completamente, ma di cui
percepisce i toni espressivi, sufficienti a tirarlo fuori dalla sua labirintite di tempo
indifferenziato. Le caratteristiche enunciate di questa musica sono quelle
222
dell’incisività e dell’imprendibilità, il suo segnale, però, è disturbato da “foglie e
distanza”:
Una musica acuta e come sillabica s'avvicinava e s'allontanava nel va e vieni del
vento, appannata di foglie e di distanza.
Sappiamo già che si tratta della musica cinese che proviene dalla casa di Albert, in
cui egli riconoscerà il valore del suo antenato. Ma è ancora troppo presto, per
questo riconoscimento. Per adesso, i due aggettivi che definiscono quello che
sente Yu Tsun di questa musica, bastano a rappresentare il modo in cui essa lo
salva dalla perdizione. Si tratta di un segno la cui espressione appuntita riesce a
perforare la bolla di cosmo che costringe il protagonista a non percepire alcun
cambiamento temporale. Per questo è necessario che sia la musica a risvegliarlo:
poiché nel tipo di linguaggio musicale, il piano dell’espressione e quello del
contenuto sono quasi inscindibili, e l’uno parla dell’altro. Questa indissolubilità
rompe l’altro legame forte che si è creato tra Soggetto e cosmo, invadendolo con
la cifra della scansione ritmica. E questo è il secondo attributo che Yu Tsun può
dare alla musica che sente. Egli non riesce a udire alcuna melodia, ma riesce
comunque ad aggrapparsi alla scansione delle battute che reggono qualsiasi
armonia. Basta questo sapere questo tempo musicale sillabico, per riportarlo alla
sua verità di tempo orientato e scisso in un’articolazione tripartita. Il tempo della
musica riporta il Soggetto al tempo della sua vita. Ecco come la musica gli ha
salvato la vita.
Dai termini che sono inseriti nel testo per descrivere metaforicamente il fare
di questo oggetto-musica che si muove, si possono dedurre informazioni più
precise sui significati ad esso associati in questa parte del racconto. Anzitutto,
un’analisi dello stile della frase che fa sembrare soggetto questo oggetto e gli fa
compiere l’andirivieni, ci indica che il vero soggetto non è la musica, ma il vento.
È il vento (segno dell’Aria, euforico per il Soggetto) che la trascina e decide di
farla avvicinare o allontanare da Yu Tsun, in una sorta di ripetuto tentativo di
sfondamento della gabbia che lo trattiene. Inoltre, quel fare sillabico, oltre alla
fondamentale proprietà che abbiamo evidenziato, richiama anche l’idea di un
qualcuno che parla, “con lenta precisione”; cioè, esattamente come farà Albert al
momento della lettura dimostrativa di un capitolo del romanzo dell’antenato. In
questo senso, il fare sillabico della musica è premonizione del momento di
accrescimento del vero sapere di Yu Tsun, nei confronti del labirinto che, adesso,
in mezzo alla campagna, non può giudicare sensato. E infatti egli intuisce soltanto
l’espressione sillabica, non il contenuto della musica, che fra poco pure
riconoscerà come cinese.
224
potente strumento della /pagina/ che gli permetterà di compiere la sua missione, e
che l’antenato ha osato legare in modo insensato; “giardini”, come quello
simmetrico della sua infanzia e che Ts’ui Pen voleva sostituire con un labirinto,
figura che rappresenta il termine opposto nel quadrato dei giardini 200; “corsi
d’acqua”, simbolo di un altro elemento congiunto con il protagonista e che
rappresenta lo scorrere del tempo; “tramonti”, momento di non-vita che
rappresenta Yu Tsun in persona.
In base a tutte queste obiezioni, il senso della fine di Ts’ui Pen (ucciso per
mano straniera), quella giustizia del destino in cui il protagonista ha fede, risiede
proprio nell’interruzione di tutti questi progetti malvagi. In questa valutazione
finale, egli ha trovato la conferma del primo grado di giudizio sull’opera del suo
predecessore, che aveva assegnato alla /falsità/.
200
Vedi paragrafo 5.4.2
225
trova dietro: come avevamo visto in precedenza201, infatti, questo termine della
categoria /basso/ vs /alto/, dato che il protagonista si trova sempre in /basso/ indica
una incapacità di comprensione, come era successo per i rami all’inizio della
campagna.
Di conseguenza, al dottore cinese non resta che “decifrare” lo spazio dietro l’alto
cancello e scorgere quello che gli sembra un viale e qualcosa come un padiglione.
Se il sentiero che, oltre il cancello, diventa viale, rappresenta una sorta di invito a
proseguire, il padiglione indica la presenza di qualcuno, in quanto rifugio in
mezzo alla campagna.
226
posizione esattamente al bivio: tra la rappresentazione enunciata di un tipo di
tempo solo presente, e quella di un tempo articolato e scandito nelle sue fasi
distinte. Come abbiamo detto all’inizio, questo tema sta alla base di una delle due
Storie principali del Giardino: la storia dell’Oggetto. La finezza stilistica di
Borges, però, ha portato questa rappresentazione in seno all’altra Storia del
Soggetto. In questo modo la prima è contenuta nella seconda.
Vedremo come, più avanti, si realizzerà l’operazione inversa: nella Storia
enunciata dell’Oggetto, verranno enunciati entrambi i tipi di Soggetto in
discussione: uno che affermerà il suo essere non-temporale 202, un altro che
affermerà un essere temporale203.
227
vedere non è poi molto: semplicemente delle luci, delle forme di oggetti. Sente,
però, la voce dell’uomo che gli viene incontro, parlare sul tappeto di musica
cinese; ma il suo volto è impossibile da vedere. Dopo un breve scambio di battute
cordiali in lingua cinese, che contribuisce ad impressionare il protagonista, che
quasi si dimentica di essere in mezzo alla campagna inglese, assistiamo
all’ingresso dei due personaggi all’interno di quel padiglione da cui proveniva la
musica fidata. Segue una breve descrizione che definisce il nuovo spazio, in cui si
sposta il racconto.
228
antistante. Se, infatti, la luce arriva a tratti, questo non è causato dalle sbarre del
cancello, ma dai tronchi di alberi. Quest’ultimi rappresentano un segno della Terra
verso il quale, abbiamo visto204, Yu Tsun manifesta un’ambigua timia. A conferma
di ciò, ci viene segnalato che talvolta i tronchi rigano la luce, talvolta la annullano
completamente. Nonostante questo, la fonte di luce è in generale ben visibile dal
dottore cinese che, anzi riesce a capirne il materiale, la forma e il colore.
Complessivamente, il riconoscimento delle varie caratteristiche di questo oggetto,
si abbina alla curiosa presenza della musica, nell’evocare un’atmosfera cinese.
Effettivamente, questo tipo di lampada, ricorda proprio quelle della cultura
orientale. Ma, anche prese singolarmente, le proprietà della fonte di luce, ci
dicono qualcosa. Infatti, il suo essere fatto di carta costituisce rinvio semantico
allo spazio della /pagina/, il suo essere rotondo come i tamburi e dello stesso
colore della luna, segnala una ricostruzione perfetta della stessa luna che il
Soggetto ha descritto al momento dell’ingresso nel sentiero sinistro: il rinvio, in
questo caso, si aggancia al termine /morte/ per il Soggetto, nel quadrato degli
astri205. Facendo una sorta di parafrasi di questi simboli messi insieme dalla figura
della lanterna, si può riscontrare una premonizione di ciò che riguarderà questo
sapere nuovo che il Soggetto si appresta a ricevere: la conoscenza che gli verrà
impartita, verterà su un qualcosa inserito in una /pagina/, e su un fatto legato alla
propria morte. Come sappiamo già, si sta parlando della corretta interpretazione
del libro di Ts’ui Pen, e del sapere legato alla sua morte che lo aspetterà al varco,
appena finirà l’acquisizione del senso della /pagina/, per mezzo di Madden che lo
farà condannare alla forca. L’unione di questi elementi ci comunica il senso di
paralisi che il protagonista vive in questo momento: un altro segno che lo riporta
in Cina, ma che insieme comunica un senso disforico di allontanamento. Tanto più
che, l’uomo che la porta è in /alto/, e questo toglie ogni possibilità a Yu Tsun di
poter comprendere qualcosa su questo personaggio, sempre che quest’ultimo non
lo voglia. La puntualizzazione di questo dato, ci viene offerta dallo stesso
Soggetto che dice di non poter vedere il volto dell’individuo, il quale resta
nell’ombra.
Esattamente, come era successo con i ragazzi sulla banchina della stazione di
Ashgrove, l’avanzare fino a lui con la lampada in mano, di quest’uomo che egli
non vede, permette al testo di riproporre lo stesso squilibrio di saperi: lo
sconosciuto è colui che possiede un sapere vero sul Soggetto, mentre quest’ultimo
che non vede (ombra), né arriva (/alto/) all’uomo, può solo adottare un
atteggiamento di accoglienza nei confronti delle cose che gli verranno dette.
Infatti, come è successo con i ragazzetti, che sapevano dove egli si stesse recando,
anche in questo caso sembra che il dottore cinese non abbia nessun segreto per
l’interlocutore. E, malgrado verranno dette delle cose che Yu Tsun non può
accettare, perché palesemente non vere, lo si vedrà tacere, come tacque durante
l’incontro con gli angeli. Certo, stavolta il protagonista è tenuto a stare al gioco
dell’uomo che dovrà uccidere, perché egli non si insospettisca vedendosi
204
Vedi paragrafo 14.5
205
Vedi paragrafo 5.3.1
229
contraddire; ma da certe reazioni interiori, inaspettate per lo stesso Yu Tsun, si
noterà come una sorta di guida interiore, una specie di fede, che si aggiunge al
semplice gioco delle parti, conducendolo alla fine alla scoperta di se stesso-
antenato.
Ultimo evento straordinario, dopo aver aperto il cancello, l’uomo alto parla
nella sua lingua cinese. Questa nuova scoperta, si aggiunge agli altri due elementi,
musica e lampada, che indicano figurativamente un progressivo congiungimento
del Soggetto con oggetti e saperi che appartengono al suo vero essere-cinese. In
effetti, se facciamo riferimento al linguaggio spaziale figurato con cui il testo sta
costruendo questo viaggio nell’oltretomba, sempre più giù (intrapreso dal
Soggetto dopo la morte della sua falsa identità), ci accorgiamo di come ogni cosa,
dopo il suo congiungimento con la musica, sembra indicarci che questo viaggio lo
ha condotto direttamente in Cina.
206
Per ulteriori delucidazioni su questo argomento, cfr. paragrafo 18.1
230
Fatta questa importante precisazione, iniziamo l’analisi del primo impatto
dialogico tra i due. Fin da subito, non si potrà non notare l’atteggiamento benevolo
del personaggio verso cui pende la bilancia del sapere: quello che è il primo a
parlare.
Basta soltanto la prima parola della prima frase di Albert, per estrapolare la prima
e unica dichiarazione di supremazia conoscitiva nei confronti di Yu Tsun. Dopo
aver detto “vedo”, il sinologo si rivolge al cinese con la massima riverenza. Lui
che può vedere l’espressione nel volto di Yu Tsun, illuminata dalla lampada,
attribuisce subito una certa magnanimità al suo interlocutore cinese, come non
fosse degno di tale incontro. Notiamo, infatti, come l’uomo nell’ombra costruisce
il suo enunciatario. Dopo averlo posto a un piano sociale superiore al suo,
l’enunciatore lo appella con il nome che non è il vero nome dell’interlocutore che
ha davanti. Dopo aver terminato la frase sullo stesso tono di umile ringraziamento,
eccolo sfruttare un artificio retorico per obbligare Yu Tsun a fare ciò che, invece,
vuole lui. Eliminando ogni ombra di dubbio – lui che può – costruisce il volere del
Soggetto: volere vedere il giardino. Naturalmente, come all’inizio della frase, il
verbo vedere indica un sapere. Tanto che il messaggio nascosto nella domanda, in
realtà, corrisponde a questa imposizione: “Lei vuole acquisire un sapere sul
giardino”. Anche il fatto che Albert dimostri di conoscerlo, ma gli dia comunque
del “lei” indica tutto il rispetto che crede di dovere a Yu Tsun e che, di
conseguenza lo trasforma in enunciatario di alto rango. Allora, la maggiore
conoscenza, per essere più precisi, il sapere integrale che il testo ha dato al
sinologo sul dottore cinese, è accompagnato da questo tipo di eloquenza
ossequiosa, come fosse un tentativo di dissimulare la sua posizione cognitiva
dominante.
231
protagonista, quasi in balia dell’onniscente sconosciuto, emette fiato in modo
quasi involontario, allo stesso modo in cui una bottiglia di champagne espelle
schiuma subito dopo che qualcuno ne ha cavato il tappo. Inconsapevole della
sicurezza con cui pronuncia quel nome tanto temuto, tanto causa di disturbi, egli
pronuncia il nome: Ts’ui Pen. Albert continua la sua messa in scena, esibendo un
finto stupore, e inserendo un primo apprezzamento sull’antenato. Appurato che si
tratta proprio del bisnipote, lo fa entrare.
232
rappresenta tutto il senso contenuto nelle parole; purtroppo, questa paladina del
senso scritto non fu mai stampata. Esattamente all’opposto il libro dell’antenato,
un’opera senza senso, è stato dato alle stampe a causa del monaco taoista che
insistette per la pubblicazione208. In più, l’autore di questi tomi rappresenta ‘la luce
in persona’ e, in quanto di luce si tratta, il massimo del sapere sensato. Di certo,
vedere questi tomi nella biblioteca dell’uomo /alto/, contribuisce a creare una certa
buona disposizione nei suoi confronti. Nonostante non si possa sapere qualcosa su
di lui, che egli non voglia, dagli oggetti con cui è congiunto qualcosa di euforico
emerge comunque.
Altro segno rassicurante, è la scoperta finale della fonte della musica che lo
ha redento quando era preda del non-tempo. Il grammofono che continua a girare,
di cui mai verrà enunciata l’interruzione, è congiunto con un simbolo di
risurrezione dalle proprie ceneri: la fenice. Dalle proprie ceneri di spia tedesca
morta, Yu Tsun resusciterà nel suo vero essere, nel suo valore di cinese.
esattamente come, nel caso ricordato ora dal narratore in merito al valore artistico,
gli stranieri di Persia sono stati presi come modello di valore rispetto all’arte
cinese, familiare al narratore. La perfetta congruenza di paragoni, permette di
sovrapporre quei puntini di sospensione che seguivano la parola “Goethe”, nel
“Sentiero della confessione”, e posizionarli al posto di questi che seguono la
208
Vedi prossimo paragrafo.
233
parola “Persia”. L’operazione viene condotta, in tutti e due i casi, dall’istanza di
produzione della deposizione, in quanto garante della verità testuale. Ci
accorgiamo allora di come, avvenuto questo riconoscimento, immediatamente
dopo, il testo ‘battezzi’ Albert con il nome di Goethe, all’interno del resoconto
delle azioni del protagonista. Come Albert aveva battezzato l’enunciatario Yu
Tsun, all’interno dei suoi enunciati, così adesso, l’enunciatario della deposizione –
costruito dal narratore, produttore di questo discorso – ha assistito al battesimo di
Albert, entrato a pieno titolo come /tedesco/, nella comunità dei migliori
esponenti. Chi parlerà d’ora in poi, saranno, il console cinese e Goethe in persona.
234
Dopo aver fatto una ricognizione degli oggetti nella biblioteca di Albert, grazie ai
quali il Soggetto acquista maggiore fiducia, euforia, nei confronti di quest’uomo
/alto/ i cui veri pensieri egli è incapace di penetrare, ecco che il neo-Goethe viene
descritto attraverso i suoi occhi. Comprendiamo meglio dal ritratto fatto da Yu
Tsun, la sua disposizione nei confronti del sinologo. Dopo una breve, ma precisa,
puntualizzazione sulle posizioni in cui si collocano gli interlocutori, inizia il primo
vero scambio di opinioni, in merito all’antenato Ts’ui Pen, in cui non si potrà fare
a meno di notare il diverso modo di raccontare la sua storia, da parte di Albert,
rispetto a come l’avevamo appresa dal dottore cinese.
Anche in questo caso, si può notare come la forma del chiasmo segni un
passaggio: quello degli enunciatori e dello spazio di parola (lungo o breve) che
viene loro concesso.
235
data da una precisazione del narratore, il cui intervento è circoscritto tra parentesi
all’interno di un enunciato appartenente al protagonista. Infatti, la descrizione del
sinologo ci viene data per voce del protagonista che lo ha davanti a sé. Ma, ecco
che in questo caso, il narratore vuole appropriarsi di un’osservazione che il
Soggetto della storia aveva già fatto, riguardo l’altezza dell’uomo. Anche per il
narratore, Albert è /alto/. In questo modo, sapendo noi che il dato /alto/
simboleggia un’incapacità di comprensione totale della mente di chi è in /alto/,
questa ingerenza del narratore è inserita nel testo per comunicarci una cosa ben
precisa: lo stesso sapere del narratore Yu Tsun non arriva al livello di Albert. Il
discorso si spiega facilmente.
Come abbiamo notato nel “Sentiero della confessione”, in cui è il narratore a
parlare, Albert era stato definito “Goethe”, ovvero, uno dei più grandi narratori del
popolo tedesco. In questo modo, il testo salva la veridicità di questo squilibrio di
saperi, enunciato adesso, tra il semplice narratore di una deposizione (il cui
processo di produzione è stato descritto, costruendo tutta la complessità legata
all’elaborazione: dettata, riletta e poi firmata), e il sapere del più grande creatore
di storie che si possa pensare all’interno del Giardino. Ma perché, al testo serviva
mantenere questo paradossale stato delle cose?
236
In questo senso, il testo fa vedere come la parola “ora” costituisca quel ‘buco
nero’, capace di dare contezza del regime temporale dell’Esperienza in un’unica
operazione di embrayage ontologico, per quanto forte possa essere la resistenza
della proiezione esistenziale, raffigurata nei plurimi livelli di debrayage, che si
possono accumulare nelle maglie del testo.
237
non capisce (come l’ebbe nei ragazzi misteriosi), gli basta per riconciliarsi con il
suo stesso “sangue”211. Il protagonista, cioè, si fiderà della valutazione di Albert,
senza mai riuscire ad entrare nel merito della discussione. Infatti, dopo questa
sequenza lo vedremo per lo più in silenzio ad ascoltare.
Bacchi Wilcock : ”il mio sangue”, fedele alla versione in lingua originale che abbiamo preso come riferimento.
238
essere di spalle al soggetto-destinatario, indicandogli la direzione del suo fare. E
di spalle ad Albert c’è una finestra sulla campagna vivente, ostile al Soggetto, e un
orologio circolare che per il Soggetto non può indicare alcun orario.
Sulla scorta di questa osservazione, andando indietro alla lettura del “Sentiero
del tempo”, si noterà che le stesse raffigurazioni riguardanti il cosmo, in questa
sequenza, sono spazializzate figurativamente davanti a Yu Tsun, cioè contro: egli
vede “dietro la finestra” poiché ci sta davanti e, sempre davanti a sé, lo spettacolo
dell’astro oscurato non gli permette di indicare l’ora precisa (dal sole egli intuisce
all’incirca le sei del pomeriggio), come invece potrebbe avvenire grazie a un
orologio di cui, però, si riesce a comprendere l’orario. In più, confrontando
l’attuale posizione di lungo e /basso/, notiamo la stessa ricorrenza del termine
logico /orizzontale/ che nella stessa III sequenza aveva indicato il sapere del
Soggetto in merito al tempo. Soltanto che, in questo caso, la posizione /basso/
segnala l’opposto spazio disforico di confusione dei saperi segnato da /alto/.
A dimostrazione dell’incomprensione del Soggetto nei confronti dell’orologio
/alto/ di Albert, contribuisce immediatamente un calcolo di orario sbagliato. Egli,
infatti, pensa che il suo inseguitore non possa arrivare prima di un’ora. Ma questo
calcolo è manifestamente errato: non per niente avevamo più volte sottolineato,
come anche il testo ha fatto, il vantaggio di 40 minuti che ha acquisito il
protagonista su Madden. È palesemente errato, dunque, questo calcolo di tempo,
fatto da Yu Tsun dopo aver visto l’orologio incomprensibile di Albert.
In ogni caso, prima che il testo faccia parlare il sinologo, il Soggetto ribadisce la
sua unione, ormai indissolubile dopo la prova qualificante 212, con la fede nel
tempo articolato, che gli fa credere in un destino già esistente che lo aspetta in
posizione /futuro/. Riassumendo schematicamente, le posizioni assunte dai due
soggetti:
212
Vedi paragrafo 16
213
Vedi paragrafo 15.3
239
Infatti, alla fine del racconto della deposizione, lo Yu Tsun narratore può dire di
considerare sensata l’opera di Ts’ui Pen, soltanto grazie a un atto di fiducia nei
confronti di Albert. Abbiamo visto poco sopra, che questo è il massimo cui
possono arrivare gli sforzi di comprensione del Soggetto – che sia personaggio o
narratore della deposizione. Per questo motivo, nonostante il narratore Yu Tsun,
dopo l’incontro con Albert, abbia capito che il romanzo dell’antenato ha un
qualche valore, egli, nell’inciso del “Sentiero dei labirinti”, ne descrive la storia
con un atteggiamento disforico, costruendo l’immagine dell’avo come uno che
abbia intenzioni malvagie. Ciò, infatti, dimostra che il dottore cinese, alla fine,
non ha veramente capito in cosa consista questo valore, che pure è disposto a
credere per fede: ed è normale, poiché questo valore consiste nel riconoscere un
tempo in cui succede tutto, un sempre-presente, in cui passato e futuro si
confondono e si sovrappongono.
240
(come dirà modestamente di aver fatto Albert) potrebbe anche celare un qualche
significato. Inoltre, parlando della morte dell’antenato, il sinologo non fa alcun
riferimento a un tipo di morte violenta, poiché bisogna allontanare Ts’ui Pen
dall’universo in continuo conflitto tra stranieri, com’è quello della guerra;
universo al quale, invece, si rifà la descrizione della morte del progenitore, fatta da
Yu Tsun narratore.
Continuando ad esporre il destino delle opere “soltanto” caotiche, ecco che
avviene una sorta di rovesciamento delle parti. Infatti, dopo aver evocato il
Soggetto all’interno del suo discorso, tramite la figura degli eredi, il sinologo
restringe la sfera familiare – in cui è ugualmente compreso il protagonista – e la
associa a un segno /inglese/ del Fuoco. A questo punto, entra in scena un nuovo
personaggio, dalle caratteristiche tanto somiglianti al passato di sacerdote
missionario che abbiamo conosciuto su Albert, che verrebbe quasi da associarlo a
lui. E l’operato che viene attribuito a questo nemico del Fuoco /inglese/ è proprio
quello di salvare il romanzo dalle fiamme e farlo pubblicare.
Davanti a tutti gli elementi nuovi, introdotti dal sinologo nella storia e nella
figura dell’antenato, l’unico argomento sul quale Yu Tsun controbatte riguarda la
figura del monaco. Questo implica che egli abbia accettato, in qualche modo, tutte
le rivalutazioni fatte rispetto al ritratto proposto prima. Infatti, anche se quel
ritratto è da collocare posteriormente all’incontro con Albert, e manifesta
un’opinione che il Soggetto aveva durante la storia e anche dopo, la cosa
importante per la buona riuscita del colloquio appena iniziato è che egli accantoni
per poco tempo tutta la disforia che conserva dentro di sé quando pensa a Ts’ui
Pen.
Infine, come era successo nel primo scambio di battute, fuori in giardino, è
ancora una volta Yu Tsun ad evocare la presenza del Labirinto. Senza che Albert
241
ne avesse parlato, infatti, egli informa dell’esistenza di un’altra opera. Ma a questo
punto viene interrotto dal sinologo, che rappresenta la ‘volontà testuale’ di non
voler più fare cadere il Soggetto in preda all’indeterminatezza temporale.
In questo senso, al protagonista, che prima dei puntini di sospensione, in
campagna, immaginava i fiumi, le province e i regni 215 abbracciati dal Labirinto,
questa volta non viene data la possibilità di passare ‘dall’immagine al pensiero’ e
ricadere in quello stato in cui dimentica il proprio destino.
242
sorgeva nel centro di un giardino forse intricato; il fatto può aver
suggerito agli uomini l'idea di un labirinto fisico. Ts'ui Pen mori;
nessuno, nelle vaste terre che erano state sue, trovò il labirinto;
fu la confusione del romanzo a suggerirmi che il labirinto fosse il
romanzo stesso. Due circostanze mi dettero la retta soluzione del
problema. Una: la curiosa leggenda secondo cui Ts'ui Pen s'era
proposto un labirinto che fosse strettamente infinito. L'altra: una
frase in una lettera che scoprii”.
243
con lo scrittoio stesso. Di qui, il secondo tentativo di Yu Tsun di esprimere un
giudizio che, da negativo, si sta per trasformare in ridicolizzante (quindi,
comunque, meno disforico): “un labirinto minimo...”, se pensiamo che io lo avevo
scambiato addirittura con l’intero cosmo in espansione, avrebbe continuato il
protagonista, svenendo, subito dopo. Ma non è più il momento di esitare. Albert
prende la parola in modo deciso e inizia la prima apologia del libro insensato.
Per prima cosa, il sinologo ci avverte che sta per parlare di un simbolo. Nel
momento in cui, dunque, il Soggetto avrà modo di congiungersi con questo
simbolo del giardino labirintico, sarà completato quel dovuto itinerario lungo i
simboli del giardino che gli farà credere possibile la sua morte 219. Il dato, infatti,
costituisce a sé una prima parte della risposta di Albert. Finché il protagonista
avesse dovuto credere di dover incontrare un labirinto vero e proprio, non sarebbe
mai stato messo in grado di accettare la fine della propria vita. In questo sta il
valore formale della correzione con cui il sinologo esordisce. Ma in questo modo,
egli porta il discorso dal visibile, concreto e, dunque, frazionabile, fino
all’invisibile e, dunque, astratto incontrollabile e immune da qualunque
operazione di spartizione. Così, torna il tema dell’incorporeità di cui tanta fatica
era stata fatta dal Soggetto per sbarazzarsi: come ben sappiamo, egli ha eliminato
tutti i suoi fantasmi, compreso quello di se stesso, il più pericoloso.
A fronte di questa evocazione disforica, dunque, torna l’uomo modesto che c’è in
Albert. Il sinologo, infatti, si umilia al rango di “barbaro”, lo stesso attributo che
Yu Tsun ha trasferito, dopo i fatti raccontati – e quindi anche dopo questo incontro
–, all’intero paese della Germania, subito prima di parlare del modesto “uomo
d’Inghilterra”. In seguito a questa ostentazione di umiltà, Albert rincara la dose di
elementi attrattivi per il Soggetto, prima di dovergli impartire un altro sapere
disforico. Facendo riferimento alla reale distanza di tempo (“cent’anni”), alla
precisione necessaria per lo studio (“particolari”), egli però azzarda la sua prima
ipotesi: libro e labirinto sono una sola cosa. Nella costruzione di questa intera
argomentazione, vediamo messa in scena tutt’un’intelligibilità che è fortemente
legata al tipo di temporalità sempre-presente indistinto, della cui espressione
Albert si farà carico. Il constante annullamento delle differenze, nell’espressione
di unico oggetto, o in versioni contraddittorie dello stesso contenuto dell’oggetto,
porta sempre allo stesso risultato: annullamento del significato reso mediante
rapporti, strutturati sulla base di differenze paradigmatiche220.
219
Vedi paragrafo 5.4.2
220
Cfr. paragrafo 21.1, la retorica del finto dualismo.
244
date (24 luglio e 29 luglio), non risultava affatto significativa, in merito all’attacco
britannico, ovvero ciò che dava valore particolare a quelle date.
In seguito, per non ‘perdere’ Yu Tsun lungo la strada della dimostrazione, il
sinologo dissimula l’originalità della sua scoperta, enunciando un’ipotesi che
giustifichi in modo razionale, per contrasto, l’audacia dell’affermazione
sull’unicità di oggetti. Quindi viene messa in scena una rappresentazione del
luogo in cui fu creata quest’opera, che permette di legittimare formalmente, in
realtà di ribadire cose già dette, perché il Soggetto non avrebbe mai potuto
comprendere l’opera. Essa, infatti, proviene dallo stesso luogo che, al solo
pensarci, lo ha fatto scomparire la prima volta nella campagna: il centro di un
giardino (=labirinto) intricato. Come nemico numero uno di ogni marca della
/medianità/, Yu Tsun non sarebbe mai riuscito ad accostarsi a quel luogo per
capire.
245
considerazione; essa è anche definita “curiosa”, quasi a volerne significare tutto il
potere di attrazione che suscita nello studioso, e teoricamente nell’enunciatario del
suo discorso.
A dispetto di tutto questo, più avanti, come ora abbiamo sottolineato il fatto che la
soluzione gli arriva sempre da un dato unico, capiremo perché la circostanza utile
per farsi ‘seguire’ da Yu Tsun è solo “una frase in una lettera che scoprii”. Albert
si alza e la va a prendere.
Questo è il breve “Sentiero della lettera”, quella seconda circostanza che permette
ad Albert di capire il senso del romanzo dell’antenato, dopo che egli ha
infruttuosamente riflettuto sulla leggenda del libro infinito. Prima di enunciarne il
contenuto, il protagonista ci descrive tutto il preambolo, che riguarda lo
spostamento del sinologo verso lo scrittoio, che egli prima aveva scambiato per il
Labirinto stesso, le condizioni in cui si trova la /pagina/ e l’atteggiamento con cui
si relaziona alla lettera.
Dopo aver parlato della lettera che ha riferito di aver trovato, il sinologo si
alza. Lo avevamo visto sedere insieme al dottore cinese, l’uno davanti all’altro,
nelle rispettive posizioni che indicano i differenti tipi di destinanti, cui i soggetti
sono assegnati. L’esame posizionale si era avvalso anche dell’aiuto di Greimas
[1976], per l’interpretazione dei significati figurati con linguaggio spaziale. In
questa sequenza però, succede qualcosa che cambia questo equilibrio di relazione.
Infatti, mentre prima, il fatto di avere alle spalle una figura del cosmo e una figura
del tempo circolare, segnalava la direzione del fare di Albert in senso contrario a
quella del protagonista (essi erano di fronte), adesso il sinologo diventa il
246
soggetto-destinatario del giudizio di Yu Tsun223. Rispetto alla schematizzazione
che avevamo ricavato prima224, le posizioni adesso sono queste:
Lo scrittoio che prima era laccato e d’avorio, poiché in esso Albert aveva
indicato il Labirinto di simboli, adesso è dorato e nero. Adesso, dunque: il
giardino labirintico, visto con gli occhi di Yu Tsun, è dorato e nero. Come si può
notare le coppie di termini stanno rispettivamente in relazione opposta: se la lacca
rappresenta un qualcosa di artefatto, l’oro invece è il colore proprio di un tipo di
oggetto (tante volte si dice placcato, per dire finto oro, cioè appare ma non è oro);
come anche, l’avorio è un materiale il cui colore proprio è il bianco, al contrario
dello scrittoio descritto qui, che è di colore nero.
La lettera che, nel discorso di Albert, conteneva la frase decisiva per la
dimostrazione del tempo sempre-presente, adesso è diventata un foglio: tutto ciò,
per indicare il suo valore in quanto oggetto fisico, più che la relazione al contenuto
che è in esso. Infatti, il Soggetto non capirà cosa c’è scritto su.
Con questo in mano, torna il sinologo, e tutta la descrizione che ce ne fa Yu Tsun
esprime elementi a lui euforici, ma che non si riferiscono al contenuto della frase:
l’idea di precisione, ordine, e raziocinio, espressa dal foglio a quadretti. La
storicità che è in esso, quindi un tipo di tempo passato, che ora non c’è più, è
segnata invece dalla precisazione sul colore: prima era un foglio rosso vivo, come
il fuoco e come il sangue, che per Yu Tsun sono segni del nemico /inglese/, adesso
invece è dello stesso colore della Cina, come ricorda la “grande giara dell’epoca
rosa” che il Soggetto ricorda di aver visto nella biblioteca di Albert.
Per finire, vediamo il dottore cinese compiere il suo primo atto di affermazione
del valore di Ts’ui Pen, che riguarda sempre un’arte della precisione (la
calligrafia), elemento massimamente euforico225, per il Soggetto: l’arte della
precisione di ‘come vengono scritte le cose’, e non di ciò che esse significano.
223
Vedi più avanti paragrafo 23.4
224
Vedi paragrafo 18.2
225
Cfr. paragrafo 18.3
247
Riassumendo: la lettera che prima era dentro uno scrittoio laccato e d’avorio,
rappresentante un Labirinto di simboli e che ora è d’oro e nero, adesso è diventata
un foglio che esprime i significati del ragionamento numerico per fare calcoli
precisi, segna un evidente scorrere del tempo, ed è ricoperto da una fine scrittura
di valore estetico. Ma, se nei confronti della fisicità dell’oggetto, Yu Tsun ha
riscontrato motivo di euforia, nei confronti del suo contenuto, manifesterà un
atteggiamento ben più interdetto, il quale sarà comunque indice di progressivo
accostamento all’universo – per lui – assurdo rappresentato nel libro di Ts’ui Pen.
Lascio ai diversi futuri (non a tutti) il mio giardino dei sentieri che si biforcano
Purtroppo, l’esame del contenuto della lettera, deve ancora aspettare; rimando ad
essa nel seguito dell’analisi di questa sequenza. Infatti, dobbiamo ancora
esaminare attentamente il tipo di segno complesso che abbiamo davanti, in base
alle acquisizioni significanti che l’analisi ci ha consegnato, e prendendo come
riferimento il punto di vista del protagonista.
248
/ \ / \
spazio utopico229 spazio paratopico volere dimostrare riconoscimento
/ \ il proprio valore da parte di Yu Tsun
(non) apparire della sapere sensata e un tempo-labirinto e del narratore-Yu Tsun
parola tempo l’opera di Yu Tsun
Secondo questo schema, e ciò che abbiamo già esaminato, l’instaurazione del
volere è stata enunciata, nel “Sentiero dei labirinti”, in quanto campagna e spazio
di /mondo/, il cui cambio di spazio fisico è stato riferito dal sinologo
(trasferimento al padiglione della Limpida Solitudine). Ancora, nel “Sentiero dei
labirinti”, abbiamo visto come il destinante sanzionatore dell’opera di Ts’ui Pen
sarebbe dovuto essere un suo discendente, in questo caso Yu Tsun, che è stato
elevato da Albert alla carica di console, permettendogli così di raggiungere lo
stesso livello del progenitore. Ora, il fatto che Albert, che fino a un attimo prima
rappresentava il senso dell’opera dell’avo, dia le spalle al Soggetto, ripropone nel
linguaggio figurato spaziale, questo rapporto fra Yu Tsun e Ts’ui Pen: come se il
sinologo fosse il rappresentate fisico dell’antenato che deve essere sanzionato dal
Soggetto, poiché – Albert – latore dello stesso sapere.
In questa fase, Yu Tsun legge ciò che lasciò scritto l’antenato, e di cui ci
occuperemo fra poco, ma vedremo che non si tratta di una vera e propria
comunicazione. Per la vera congiunzione tra i due, nello spazio della /pagina/,
dovrebbe succedere ciò che succede al Capo, di “decifrare l’enigma”. Ma questo
non può ancora avvenire. Infatti, la differenza tra i due casi è chiara: mentre il
Capo sa quale è il problema del Soggetto, dunque può decifrare il senso del nome
apparso sul giornale, ancora Yu Tsun non sa quale sia stato il problema di Ts’ui
Pen. Dunque, egli non può neanche decifrare alcunché in modo esatto. Questo
dato, gli verrà fornito solo in seguito, da Albert, tramite l’esempio dell’indovinello
(= enigma) sulla scacchiera230.
Come si nota dallo schema, si vede la perfetta complementarità fra le storie dei
due Soggetti cinesi confluenti. Oltre al fatto che si scambino il valore degli spazi
che organizzano lo schema narrativo, si evidenzia come necessario per riuscire
nell’impresa, il riconoscimento valoriale dell’espressione di un tempo contrario al
proprio. Nella storia di Yu Tsun, egli deve riconoscere sensata l’opera di Ts’ui
Pen e lo farà nel /mondo/, ovvero nel padiglione di Albert (spazio paratopico) 231,
anche se per un’ottusa fede nel sinologo; nella storia di Ts’ui Pen, invece,
l’antenato deve riconoscere sensata l’opera, cioè la missione, di Yu Tsun, e lo farà
nella /pagina/, ovvero nella citazione diretta del racconto dell’esercito, destinato
alla vittoria232, ribadendolo in seguito – in veste di protagonista – nella
manifestazione di gratitudine rivolta ad Albert. Solo dopo aver reciprocamente
considerato la possibilità di senso nell’opposta marca temporale del parente, i due
229
Cfr. paragrafo 26.4
230
Cfr. paragrafo 26
231
Vedi paragrafo 8
232
Vedi più avanti al paragrafo 23.4 e 23.5
249
potranno completare la confluenza, ed essere riconosciuti dai rispettivi
sanzionatori.
Mettendo questo percorso, in parallelo con quello del Soggetto, notiamo delle
corrispondenze. Infatti, nel caso di Yu Tsun, avevamo:
Il confronto con il percorso che porta ad affermare l’essere cinese 234 – quindi
all’affermazione di un tempo articolato –, ci guida alla lettura della storia che
porta ad affermare l’essere della lettera, che rappresenta, insieme al libro caotico,
l’essere del tempo sempre-presente. Infatti, se all’inizio, il termine “lettera” è
apparso come circostanza che ha fatto capire ad Albert il senso del Labirinto di
simboli di Ts’ui Pen – dunque “cinese” –, adesso invece, essa è diventata foglio,
nel momento in cui Albert – “inglese” – l’ha data al protagonista.
Successivamente, quando diventerà autografo, Albert dirà di averla ricevuta lì da
Oxford (negazione di uno spazio inglese: /non-inglese/). Come sappiamo, nel
momento in cui è il sinologo che sta argomentando la dimostrazione del valore
dell’opera di Ts’ui Pen, egli è Goethe. Quindi l’autografo è arrivato nelle mani di
Goethe, cioè /tedesco/. Infine, per voce dello stesso dottore cinese, la lettera
ridiverrà tale, in seguito all’apprezzamento che Yu Tsun ha manifestato per la
“ricostituzione del giardino di Ts’ui Pen”, quindi nuovamente “cinese”235.
Schematicamente, il confronto fra essere-cinese ed essere-lettera, si riassume in
questo modo:
233
Lo dirà nella dichiarazione posteriore, da narratore.
234
Vedi paragrafo 3.6
235
Cfr. avanti, “Il sentiero del non-tempo”.
250
ELEMENTI ESSERE CINESE ESSERE LETTERA
/Inglese/ vs /Tedesco/
ex-professore
prima Hochscule
durante
↑ ↑
/Non Tedesco/ /Non Inglese/
(1) Yu Tsun; Tsingtao
dopo
Invece, il quadrato che dimostra il percorso della lettera che contiene il tempo-
sempre presente, segue le tappe:
/Inglese/ vs /Tedesco/
foglio lettera
↑ ↑
/Non Tedesco/ /Non Inglese/
(1) lettera autografo
Come si vede, partendo entrambi i segni cinesi, dal termine /non-tedesco/, nel caso
dell’essere cinese, l’affermazione del valore toccava le diverse tappe del percorso
logico, rispettando l’articolazione del tempo e inserendo la ‘cinesità’ nella deissi
positiva di passato e futuro. Inoltre, dal quadrato risulta come l’affermazione
dell’Essere del Soggetto, sia rappresentata dalla concomitanza di inizio e fine del
percorso: spettro della ciclicità.
Invece, nel caso della lettera cinese, sempre partendo dal termine /non-tedesco/,
l’affermazione del valore tocca le diverse tappe del percorso logico, collocando la
stessa lettera cinese in entrambe le deissi del quadrato del tempo.
236
Vedi paragrafo 3.10
251
Infatti, la lettera è stata nominata da Albert all’inizio, come indispensabile per la
soluzione del romanzo di Ts’ui Pen (/non-tedesco/); in seguito, il sinologo che, dal
punto di vista del personaggio, è ancora un /inglese/, gli ha passato il foglio;
ancora, dalla diretta voce del sinologo, che sta argomentando il senso dell’opera,
sappiamo che l’autografo è arrivato da Oxford (negando così un luogo /inglese/),
dunque /non-inglese/; infine, l’oggetto ricompare, stavolta, nominato da Yu Tsun,
poco dopo una precisazione sul tempo che segue la logica degli infiniti futuri: a
quel punto, Albert è diventato Goethe anche per il protagonista, poiché ha finito di
dire tutto ciò che fece pensare a Yu Tsun di avere a che fare col più grande
tedesco. Dunque, rievocando la lettera in una richiesta al /tedesco/, chiedendogli
di congiungercisi, essa sarà in /tedesco/. Lo stesso oggetto, come si vede dal
quadrato, appartiene sia alla deissi del presente, sia a quella di passato e futuro.
Lascio ai diversi futuri (non a tutti) il mio giardino dei sentieri che si biforcano.
252
futuro. La sicurezza su un futuro che è già fissato, come sappiamo, è il fulcro della
‘religione’ di Yu Tsun, nella cui credenza è implicata la relativa concezione
dell’unica linea di passato che lo lega ai progenitori. La frase che stiamo
esaminando, in effetti, entra nel merito di uno soltanto dei termini
dell’articolazione temporale che costituisce il Soggetto e, se non lo nega, però, lo
moltiplica. Schematicamente:
futuro
passato→ presente futuro
futuro
Dopo questa prima visione del contenuto della lettera, è inevitabile non
riscontrare un parallelo con quel fare schizofrenico che avevamo notato nel
“Sentiero del piano”, riguardo una lettera, il cui contenuto resta sconosciuto.
Come ricordiamo, mentre il protagonista della vicenda riporta soltanto la volontà
immediata di distruggerla, il narratore – che pure è lui stesso al termine
dell’avventura – tiene a precisare che così non fece. Questa stessa oscillazione
timica, l’abbiamo riscontrata appena adesso, in merito agli opposti atteggiamenti
di attrazione-repulsione nei confronti, rispettivamente dell’oggetto e del contenuto
“lettera”. Se pensassimo che le due lontane informazioni si potessero completare a
vicenda, ne ricaveremmo che quella lettera che egli si trova in tasca è la lettera
dell’antenato; non appena egli la rivede, nella rivisita delle tasche, ci comunica la
decisione immediata che in quest’altra parte del racconto si giustificherebbe dalla
conoscenza del suo contenuto.
D’altro canto, l’inciso tra parentesi che indica, tramite la voce del narratore Yu
Tsun, il fatto importante che egli non distrusse la lettera, indicherebbe la
consapevolezza del valore del contenuto alla fine dell’avventura, contenuto che
pure non si comprende profondamente.
Ma queste sono soltanto ipotesi, elementi sparsi nel testo, che condurrebbero in
dei vicoli ciechi, un tipo di interpretazione eccessivamente ostinata nell’inglobare
a forza elementi che sono definiti per metà. In quel caso la verità del testo
verrebbe violata sulla scorta di supposizioni troppo forzate.
253
In quest’osservazione ritroviamo l’importante avvertenza, valida per chiunque si
inoltra nell’analisi formale, circa il limite rischioso in cui ci si può spingere
nell’affermare cose che il testo non afferma.
Dopo aver dato in mano la lettera, verso il cui foglio Yu Tsun dimostra euforia,
verso il cui contenuto dimostra disforia, Albert continua nell’esposizione della sua
ricerca del senso del libro di Ts’ui Pen. Per rispettare l’ordine in cui egli aveva
introdotto le due circostanze, dunque, espone tutte le suggestioni derivategli dalla
conoscenza della leggenda sul libro infinito. Alla fine, come si vedrà, nessuna di
queste si rivela utile per il raggiungimento di un risultato.
Ciò che risulta vincente, ai fini della comprensione dell’opera, è proprio il
contenuto della lettera che il protagonista non è riuscito a intendere. Dopo aver
enunciato la vera ‘teoria della biforcazione’, Albert inizia la parte dimostrativa
della teoria, che ho scelto di assegnare alla successiva sequenza.
254
prosieguo del discorso, uno stesso riferimento alla lettura dell’opera, circoscrive la
sequenza seguente, essendo inserito alla fine di questo “Sentiero” e anche alla fine
del prossimo.
237
Cfr. paragrafo 19.2
255
Il sinologo, nell’introdurre la sua idea, e quindi un possibile modo per farsi
‘seguire’ dal suo ascoltatore, parla di pagine che, se prese singolarmente,
potrebbero anche essere accettate da Yu Tsun: la prima e l’ultima. Il ragionamento
impossibile inizia subito dopo. Infatti, Albert parla di indeterminatezza temporale,
quella stessa trappola in cui era stato condotto il Soggetto in mezzo alla campagna
e che lo aveva fatto entrare in balia del cosmo. Come se non bastasse, l’oratore
introduce persino una marca della ‘medianità’, facendone comunque, cautela
nell’uso. Nel senso che, stavolta, questo massimo segno disforico è congiunto a un
tipo di /pagina/, oggetto che, in questo caso, svolge quasi la funzione dei sali che
si usano per non fare svenire le persone. Un esempio concreto, insomma, è quello
che ci vuole. Parliamo delle Mille e una notte.
Come si nota fin dal titoletto del paragrafo, il nostro tentativo di lettura del
segno “Mille e una notte” e di tutto ciò che ad esso si relaziona, mira a una ripresa
della scelta grafica operata nel testo in lingua originale, che abbiamo preso come
riferimento, e che si ritrova uguale nella versione di Bacchi Wilcock.
Infatti, dopo aver enunciato il termine “centrale”, Albert inizia raccontare di una
storia da cui non si riesce più ad uscire, in cui si rimane incastrati nella stessa
“notte”, all’infinito. Tale descrizione si può applicare facilmente come resoconto
di quel tempo indeterminato in cui era caduto il protagonista, definitosi
“percettore astratto del mondo”.
A questo punto, si potrebbe anche affermare che il testo, nella versione di Bacchi
Wilcock, mostra più rispetto nei confronti della ‘medianite’ di Yu Tsun. Infatti,
l’inserzione della cifra numerica per segnare il titolo dell’opera sconcertante, dal
punto di vista del Soggetto, contribuisce in minima parte a restituirgli, almeno,
quel senso di precisione e di calcolo cui farlo sostenere, per tentare di evitargli lo
svenimento. Allo stesso modo, il numero in cifre ci permette di notare una
struttura identica a quella che avevamo usato per descrivere il rapporto di Yu Tsun
con il mondo, in quel momento di perdizione nella campagna.
In quel caso, in cui il cosmo si era impossessato del Soggetto (“aveva operato
in lui”), avevamo notato il suo progressivo precipitare in basso senza alcuna
possibilità di controllo: si è fatto cenno, infatti, alla strana e palese vicinanza di
due termini che reiterano l’atto di scendere (“declivio” e “scendeva”). Ancora
prima di introdurre l’analisi della musica che lo salva, in quanto entità estranea
alla natura, capace di dissolvere quel legame rovinoso con il cosmo, si era
utilizzata un’altra figura riguardante una forma musicale: il canone inverso.
Questa particolare forma di scrittura musicale, è quella che permette alla
composizione di essere suonata, sia dall’inizio alla fine, sia dalla fine all’inizio.
L’utilità di questa struttura stava nella capacità di rappresentare quel tipo di
rapporto circolare fra i due termini messi in relazione tra loro, per cui risultasse
evidente l’impossibilità di deviare dal circolo; tranne nel caso, che si è verificato,
256
in cui un elemento esterno giungesse ad aprire una tangente, permettendo di uscire
dal cerchio.
Ebbene, la forma linguistica corrispondente al musicale canone inverso, è quella
che si riscontra nei termini palindromi: caratteristica per cui, letta in senso inverso,
sia da sinistra sia da destra, la parola rimane identica.
Trasponendo, dunque, in cifre, la proprietà che rende circolari, termini e musiche,
il testo prende in considerazione quella particolare /pagina/ che in sé – fin dal
titolo – nega strutturalmente un tipo di successione orientata, qual è quella tipica
concepita in seno alla concezione del tempo articolato.
257
retorica, il ruolo di destinante che il Soggetto si trova a ricoprire in questo
momento nei confronti dell’antenato Ts’ui Pen. Dopo aver enunciato una serie di
segni attrattori per l’interlocutore cinese, Albert, si unisce idealmente a lui,
manifestando espressamente la propria attrazione nei confronti di queste
congetture. Ma tutto questo viene fatto soltanto per unirsi al dottore cinese, un
attimo prima di dovere rinunciare a tale curiosa leggenda.
258
intelligibile agli occhi del Soggetto sia dal lato del passato che dal lato del futuro.
Come visto nel precedente “Sentiero”, infatti, la semi aforia del Soggetto, era
derivata dall’idea della moltiplicazione dei futuri, senza che alcun riferimento
venisse fatto sul passato. Riassumendo, la linea di collegamento che permette
ancora a Yu Tsun di accettare questo discorso sul filo del rasoio, si basa sulla
figurazione di un sapere, in merito a un oggetto che il discorso ha lasciato in
un'unica /posteriorità/, e che arriva dal passato, non si sa da quale tipo di soggetto
collettivo (“mi fecero avere”).
L’unica ipotesi da fare in merito, potrebbe permettere di identificare questo tipo di
soggetto collettivo, come una forma di ‘angeli del passato’ che mandano un aiuto
al protagonista; proprio come i ragazzi della stazione, emissari del destino, lo
avevano aiutato riguardo il suo futuro. L’ipotesi non può trovare conferma,
dunque, resta tale.
259
In tutte le opere narrative, ogni volta che s'è di fronte a diverse
alternative ci si decide per una e si eliminano le altre: in quella del
quasi inestricabile Ts'ui Pen, ci si decide - simultaneamente - per
tutte. Si creano così, diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta
proliferano e si biforcano. Di qui le contraddizioni del romanzo.
Fang - diciamo - ha un segreto; uno sconosciuto batte alla sua
porta; Fang decide di ucciderlo. Naturalmente, vi sono vari
scioglimenti possibili: Fang può uccidere l'intruso, l'intruso può
uccidere Fang, entrambi possono salvarsi, entrambi possono
restare uccisi, eccetera. Nell'opera di Ts'ui Pen, questi scioglimenti
vi sono tutti; e ognuno è il punto di partenza di altre biforcazioni.
Talvolta i sentieri di questo labirinto convergono: per esempio. lei
arriva in questa casa ma in uno dei passati possibili lei è mio
amico, in un altro è mio nemico. Se si rassegna alla mia pronuncia
incurabile, leggeremo qualche pagina."
Questa sequenza costituisce la prima parte della realizzazione del vero Oggetto-
tempo. Albert, dopo aver accennato brevemente a una storia contenuta nel libro
arabo, adesso, per fare un esempio, si inventa un racconto che, stavolta sarà più
dettagliato del precedente accenno. E sembra che egli prenda di mira un tizio, che
ha molto in comune con Yu Tsun. Come se non bastasse, per completare la
dimostrazione, prende come esempio la stessa situazione vissuta da loro.
260
Seguendo tale corollario, il sinologo inglese-tedesco, nella fase della concreta
dimostrazione di un esempio di ciò che comporta questa tesi, inizia con una
premessa finalizzata alla de-classificazione dell’opera dell’antenato.
L’argomentazione di Albert parte da una netta divisione, mirata ad annullare lo
stesso oggetto di cui parla. Egli, infatti, mette da una parte “tutte le opere
narrative”241, quale sembra essere quella dell’antenato. A questo tipo di opere, cioè
alle opere, egli riconosce il legame tra una scelta e il suo esito, collocato, sulla
stessa linea di tempo, in relazione unica di /posteriorità/ con il momento della
scelta. Il significato di questa affermazione, però, non sarebbe completo, se il
sinologo non enunciasse anche ‘l’altro lato del segno’, ovvero: il termine della
categoria che, opponendosi al primo, ne costruisce il senso, per relazione di
differenza. Infatti, dopo aver detto della scelta di un alternativa e dell’unica
conseguenza sulla linea di tempo, Albert, enuncia la conseguenza ‘in negativo’ di
questa operazione: “si eliminano tutte le altre”. In questo modo, il senso
dell’intera frase è generato dalla contrarietà fra il termine /affermare/ e il
termine /negare/. Ha senso dire che io affermo un’alternativa, nel momento in cui
questa operazione implica la negazione di tutte le altre: il contrario della retorica
del finto dualismo.
Infine, nell’uso della forma impersonale, “ci si decide; si eliminano; si creano”,
ritroviamo esattamente la stessa ‘voce’ dell’enunciatore impersonale, apparso nel
primo paragrafo, e unico garante della verità sull’Oggetto-tempo nel Giardino.
Questo dato costituisce ulteriore riscontro circa l’esattezza dei risultati già messi
in evidenza.
Passando all’esposizione della particolarità che c’è “in quella” di Ts’ui Pen,
si usa lo stesso senso della parola scegliere, affermando anche che non c’è scarto
che vi corrisponda. Insieme, cioè, si decide una strada ma non si eliminano le
altre: perfetta negazione di senso. Da apprezzare, l’appellativo di “quasi
inestricabile”: infatti, il secondo termine evoca numerosi oggetti da differenziare,
da districare, quando in realtà il primo “quasi” cela la non appartenenza del
soggetto al massimo significato che implica l’operazione di disgiunzione. Quel
“quasi”, dipende, infatti, dalla ‘simulazione di trama’ che il romanzo
contraddittorio non riesce a chiudere in una fine (infinite linee di futuro); e
neanche ad iniziare dallo stesso punto (infinite linee di passato), come vedremo fra
poco. Ergo: non si può parlare né di opera narrativa, né di trama, né di libro. Di
qui il fatto che Albert, prima di fare l’esempio di Fang, non potrà dire “è questo è
il senso del libro”. Dovrà invece confermare lui stesso “di qui le contraddizioni
del romanzo”. Quella lenta operazione di rivalutazione che avevamo visto
condurre dal caos, alla contraddizione, si è fermata prima del dovuto. Non si dice
che il libro ha un senso; infatti, niente può essere detto, o scritto, che possa
241
Nella versione di Bacchi Wilcock, la classificazione è ancora più generale: “In tutte le opere di immaginazione”.
261
significare il termine opposto, rispetto al termine senso. Il senso, che sia esso del
tempo, o dell’essere, al livello razionale può solo essere contraddetto, mai
contrariato. Il concetto di “anti-senso”, non può essere reso attraverso nessun
termine del linguaggio razionale. È impossibile completare l’articolazione dei
rapporti logici che organizzano il concetto di senso, come termine di una categoria
semica binaria, nel tentativo di trovare un termine razionale che gli si opponga. Il
termine contrario, in semiotica, è ciò che si potrebbe intendere per “Materia”, la
cui entità indica il massimo grado di astrazione, impossibile da esprimere se non
attraverso l’unione delle forme. Ciò che Borges, all’interno di Nuova confutazione
del tempo, definisce
Da qui, il ricorso al concetto della biforcazione, come concetto limite per poter
rendere sensati, attraverso la forma della lingua, di qualsiasi lingua, concetti limite
come quelli di Essere e Tempo. E la biforcazione principale, che permette di
rappresentare il massimo grado di senso del termine “tempo” e del termine
“essere” (affermandoli e poi negandoli, ma mai affermando i loro contrari),
rappresenta proprio questo limite logico, della sola possibilità nella relazione di
contraddizione. L’Essere e il Tempo possono soltanto essere contraddetti, mai
contrariati, se non tramite un’immagine che mantenga figurata la sola
presupposizione del termine contrario: cosa che succede per il Giardino.
E infatti non viene mai enunciata la reale presenza del libro di Ts’ui Pen,
come di oggetto, in mano a qualcuno o posato su un tavolo, durante l’azione. Lo
stesso Albert, nell’indicarlo davanti al Soggetto, finisce per indicare uno scrittoio.
Gli altri personaggi, che sia la famiglia, che sia Yu Tsun in persona, si trovano ad
avere a che fare con “manoscritti” vari, o con giudizi la cui attribuzione è della
massima impersonalità: “il suo romanzo era insensato”, non si sa per chi. Perfino
l’antenato è sempre descritto come uno che ha intenzione di scrivere un libro del
genere. Soltanto Albert può parlare di una sua congiunzione reale con il romanzo,
ma ne parla al passato, quando dice di aver riletto “tutta l’opera”, perché sia
mantenuta la verosimiglianza delle sue affermazioni. Quando, fra poco, i due
leggeranno qualche pagina del romanzo, non verrà mai enunciata l’operazione di
prendere il libro, o di averlo in mano; quanto a Yu Tsun, egli parlerà della lettura
dello stesso capitolo, che infatti non avrà lo stesso esito dell’esempio che fa
Albert, su sua libera invenzione. Non si troverà mai enunciato, come “scritto” nel
libro, un episodio che confermi tutto ciò, riguardo la diversità dei futuri e dei
passati243.
242
Cfr. anche capitolo 2, paragrafo 2.2
243
Come si vedrà nel prossimo paragrafo, l’esercito vince comunque: non ha due futuri.
262
Tornando al discorso di Albert, arriviamo all’esempio che egli si inventa, sul
momento, per dimostrare ciò che ha appena rivelato. Come si nota, l’esempio non
è preso dal libro. La storia che concepisce il sinologo, guarda caso, ricalca le orme
dell’avventura che finora ha condotto il Soggetto al padiglione in mezzo alla
campagna. Infatti, il protagonista è un individuo dal nome presumibilmente cinese
(Fang), che ha un segreto, proprio come Yu Tsun ha il Segreto. A questo punto,
l’immaginazione di Albert, accorcia l’intera storia del protagonista, e arriva subito
al punto: l’incontro con il nemico. Come si vede dall’impostazione del racconto-
esempio, Fang è dentro una stanza finché non bussa alla porta il ‘suo Madden’. In
questa raffigurazione vediamo così realizzato il timore di Yu Tsun sull’arrivo di
Madden, quando era nella stanza. In quel caso, abbiamo visto che non era
possibile, poiché non c’erano i segni del passato che facevano rendere sensata
questa evenienza in quel momento.
Ma in questa storia, di Fang, non c’è bisogno di premonizioni, non esistendo il
valore del passato per il presente. Dunque, lo sconosciuto batte alla sua porta.
Fang, che è il contrario del nostro Soggetto, decide di fare il contrario di ciò che
pensa di fare Yu Tsun: uccidere il suo Madden. Albert, dopo aver elencato i vari
scioglimenti – dei quali nemmeno uno corrisponde alla fine della deposizione –,
dichiara che nel libro dell’antenato, cioè se questa storia fosse nel libro di Ts’ui
Pen, “ci sono tutti”.
In questo modo, il sinologo enuncia concretamente, come propria del libro, la
teoria che si oppone alla fede nel futuro, propria del Soggetto. Albert ha fatto un
esempio concreto di ciò che abbiamo, schematicamente, rappresentato così:
futuro
passato→ presente futuro
futuro
263
Infatti, Albert parla di “passati possibili” ed enuncia le uniche due ipotesi
possibili, nel caso della loro relazione: essi possono essere amici, oppure nemici.
Si noti, come in questo caso, la rappresentazione del presente non subisca nessuna
modifica, rispetto a ciò che solitamente si intende con “presente”, nell’esempio di
due persone che si incontrano: cioè, è ovvio che l’incontro derivi da una
convergenza di percorsi in unico luogo. Del resto, anche il precedente caso sui
diversi futuri, partiva da un presente che era già dato, come normalmente esso si
dà come stato delle cose. Infatti, è solo nel presente che accadono le cose.
Dunque, da quest’idea dei diversi passati, diversi futuri, ma solito presente, lo
schema di sopra diventa:
passato futuro
passato presente futuro
passato futuro
Mettendo insieme i due esempi, quello di Fang e quello palese dello stesso
Yu Tsun, ci si accorge di come si è fatta la Storia di un non-Soggetto, legato a un
non-tempo, ovvero sempre presente, in base allo schema sopra. La scoperta
conferma anche il fatto che per avere un senso, questa storia è stata costruita, nelle
due diverse tappe, sulla sua contrapposizione allo stesso tipo di Soggetto: Yu
Tsun, il quale rappresenta l’affermazione dell’esistenza del tempo articolato su
un’unica freccia orientata.
Infatti, tramite l’esempio di Fang, che correva parallelo e contrario alla storia del
Soggetto che vuole affermare la propria identità, Albert ha delineato la prima parte
della Storia di un non-Soggetto, ovvero: come sarebbe stata la deposizione se, al
posto di essere la deposizione di Yu Tsun, fosse stata quella del sempre-presente
Madden, che non vuole affermare il proprio essere, dunque vuole restare un non-
Soggetto. Ma l’esempio riguardava solo i futuri diversi.
A negare anche l’esistenza di un unico passato, cosa che scardinerebbe la ‘regola
della confluenza’ della linea genealogica, in cui massimamente crede il Soggetto,
è intervenuto l’esempio sullo stesso Yu Tsun. Dati questi due elementi, le due
storie sono perfettamente sovrapponibili, poiché riferite allo stesso tipo di Identità,
figurata nel Soggetto Yu Tsun, legata al tempo ‘normale’. Per questo i due esempi
costituiscono, insieme, le due tappe di un’unica storia: quella che mira a negare
qualunque soggetto che fonda il suo essere ponendosi sulla stessa freccia orientata
del tempo. È la storia dell’affermazione di un non-io che galleggia in un non-
tempo.
Ma si tratta pur sempre di una affermazione fatta per esempi.
Per questo motivo, la fine di questa sequenza segna soltanto la prima parte
della vera realizzazione dell’Oggetto-tempo, nella fase /tedesco/. La seconda parte
consisterà nella esplicita dichiarazione, da parte del sinologo, del romanzo
264
dell’antenato come un “enorme indovinello, o parabola, il cui tema è il tempo”.
Infatti, entrambe le parti della realizzazione vengono enunciate interamente da
Albert, negli unici due momenti in cui nell’enunciato appaiono gli unici
riferimenti a un tipo di congiunzione reale tra un personaggio e il libro. 244
Sappiamo perché essa non può essere riferita a Yu Tsun, né da protagonista, né da
narratore.
In più essa è enunciata nel corso della storia del Soggetto che si colloca sotto
il termine /tedesco/, poiché il dottore cinese è in presenza di Goethe, quindi
rispetta le condizioni che avevamo posto in precedenza, sulla corretta
individuazione della fase narrativa.245
Il suo volto, nel cerchio vivido del lume, era indubbiamente quello
d'un uomo anziano, ma con qualcosa d'infrangibile e anche
d'immortale. Lesse con lenta precisione due versioni di uno stesso
capitolo epico. Nella prima, un esercito marcia alla battaglia
attraverso una montagna deserta; l'orrore delle pietre e
dell'ombra gli fa disprezzare la vita, onde ottiene facilmente la
vittoria; nella seconda. lo stesso esercito attraversa un palazzo in
cui é in corso una festa; la risplendente battaglia gli pare una
continuazione della festa, onde ottiene la vittoria. Io ascoltavo con
rispettosa venerazione queste antiche finzioni, forse meno
ammirevoli del fatto che le avesse ideate un uomo del mio
sangue, e che me le restituisse un uomo d'un impero remoto, nel
corso d'una disperata avventura, in un'isola occidentale. Ricordo le
parole finali, ripetute in entrambe le versioni come per un
comando segreto: "Così combatterono gli eroi, tranquillo e
ammirevole il cuore, violenta la spada, rassegnati a uccidere o a
morire".
Albert propone di “leggere qualche pagina”, ma queste pagine non sono scritte
direttamente nel testo. Esse, invece, vengono riassunte dal Soggetto che, non
potendole comprendere – per definizione –, nel riportarle da narratore (al termine
dei fatti della deposizione di cui è stato protagonista), racconta la storia di un
unico destino già scritto: quello della vittoria dell’esercito. L’unico frammento che
viene citato direttamente dal libro dell’antenato, passa per un enunciato dello
stesso narratore Yu Tsun, che dice di ricordarsi le parole finali.
265
23.1 L’immortale
246
Cfr. anche la traduzione di Bacchi Wilcock del momento dell’incontro fra i due personaggi, in cui Albert apre il
cancello con la lampada in mano: “Non vidi il suo viso, perché la luce mi accecava”.
247
Cfr. paragrafo 4.4.1 e 14.5
266
Era, ci dice, un uomo consunto e terroso, grigio d’occhi e di barba, dai tratti
singolarmente vaghi. [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag 773]
248
Lo avevamo visto nel caso di Madden, nel caso del passaporto falso, nel caso dei ragazzi ad Ashgrove e
nell’ultimo caso di Albert, oltre, ovviamente, nel caso in cui Yu Tsun si dice addio allo specchio.
249
Cfr. paragrafo 16.2
267
“Due versioni di uno stesso capitolo epico”. Ciò che questo enunciato
implica, è già rivelatore del tipo di comprensione-incomprensione che Yu Tsun ha
acquisito dopo la spiegazione di Albert: ciò che di solito si intende, con
l’espressione “prendere fischi per fiaschi”. Non poteva, del resto, essere altrimenti
Infatti, nella concezione dell’opera di Ts’ui Pen, esposta dal sinologo, è lo stesso
punto di partenza che, nel situare un orizzonte di scelta, generava entrambi gli
opposti – o più – risvolti della vicenda che seguiva la scelta (biforcazione). Invece,
nell’espressione che introduce il resoconto del capitolo fatto dal protagonista,
l’idea che ne definisce il senso è quello della convergenza: sono due versioni, che
fanno parte di uno stesso capitolo. Si sta dicendo, cioè, che le versioni possono
essere anche infinite, ma il capitolo è sempre lo stesso. Perché? Ma per il semplice
fatto che – come vedremo – l’esito delle versioni è lo stesso: dunque, in base
all’intelligibilità di Yu Tsun, secondo cui, la fine di una storia – il suo destino –
non si può cambiare ed è essa a restituirne il pieno significato, il risultato che si
ottiene dall’analisi di questa espressione è il contrario della confusione. Infatti, si è
evocato un segno dell’ordine che regge i libri: la loro organizzazione in capitoli,
singoli e ben distinti l’uno dall’altro. Nel caso in cui Yu Tsun avesse capito
veramente il senso del romanzo di Ts’ui Pen, egli avrebbe dovuto dire: “due
capitoli generati dello stesso fatto”.
In questo modo, il Soggetto, ancor prima di riferirci il contenuto del capitolo,
mediante la presentazione che ce ne fa (“due versioni di uno stesso capitolo”), ha
ribadito l’unica realtà condivisibile tra la concezione di Ts’ui Pen e la sua: la
realtà del presente, figurata dal caso della convergenza.
La definizione di presente, resa in termini logici nel rapporto fra tempo del
narratore (come istanza di enunciazione, non come persona reale) e tempo di una
storia da lui raccontata, è proprio quella indicata dal termine /concomitanza/ 250: fra
il punto di riferimento dell’articolazione temporale, che proietta passato e futuro,
nel tempo della storia, e l’articolazione temporale generata per presupposizione
dalle marche di presenza dell’enunciatore che sta raccontando. Definita da
Greimas [1976] come /concomitanza/ fra le deissi dei sistemi dell’adesso e
dell’allora. Ecco perché Tu s’ui Pen e Yu Tsun hanno questa marca in comune.
Infatti, sono entrambi narratori: il primo del “giardino dei sentieri che si
biforcano”, il secondo della “deposizione”.
268
voce, data la presenza dell’ospite, cosa che non è necessaria per una corretta
ermeneutica dell’opera. Ed ecco scoperto, anche, a cosa si riferisca Yu Tsun
quando sottolinea la “lenta precisione” della lettura: si sta parlando del tipico
problema di ‘azzeccare’ gli accenti. Il ritmo di lettura di Albert, diventa dunque il
sostegno analitico con cui Yu Tsun esamina e riporta il contenuto del capitolo, da
narratore. Con quest’ultima precisazione evidenziamo un cambio di attribuzione
enunciativa: a fare il resoconto dei capitoli è il narratore Yu Tsun, infatti, il
protagonista in quel momento era da Albert a sentire la scansione dei versi epici.
esercito in battaglia → disforia per il territorio deserto e per l’ombra e per la vita → vittoria,
la seconda:
passato
passato presente →futuro (negazione del primo esempio di Albert)
passato
251
Vedi paragrafo 15
252
Cfr. paragrafo 15.3
270
Riassumiamo. Partendo dallo stesso presente di convergenza e in forza del potere
orientante della scansione ritmica – riferitoci nell’enunciato del protagonista –, la
semplice osservazione sulla identità degli esiti della battaglia – nel riassunto
ottuso del narratore –, ha permesso di negare i “diversi futuri”; mentre l’analisi
della corrispondenza di fasi, tra storia degli eserciti e storia della deposizione, ha
sancito il risanamento dei “passati possibili”. Il fatto che lo stesso narratore Yu
Tsun, al termine della sua missione che gli permetterà di dimostrare il valore del
suo essere, dimostri ancora di non avere compreso profondamente un discorso che
nega il tempo, dimostra proprio la necessità della marca temporale articolata,
come condizione costitutiva della sua vera Identità.
271
un riferimento ad Albert: “un uomo di un impero remoto”. Con quest’altra
precisazione, viene sottolineato che, a generare “venerazione” sia anche un
secondo dato, considerato insieme al primo: oltre al fatto che si tratta di “un uomo
del mio sangue”, infatti, è stato fondamentale – per il narratore Yu Tsun – anche il
fatto che “le finzioni” gli venissero proposte da un uomo che egli associa
ugualmente a una marca del passato, “remoto”. Questo dato trova un riscontro nel
momento in cui si precisava il cambio di posizione di Albert: di spalle a Yu
Tsun254. In quell’occasione si notava, infatti, come il sinologo ‘diventasse’ il
destinatario della sanzione di Yu Tsun, in quanto rappresentante fisico
dell’antenato – poiché latore del sapere di Ts’ui Pen. E infatti, dopo
quell’indicazione precisa riguardo le spalle voltate, il testo non ha più enunciato il
corrispettivo girarsi del sinologo verso il protagonista: questa informazione resta,
naturalmente, presupposta.
In più, dal confronto tra “un uomo di un impero remoto” e “in un’isola
occidentale”, sembra proprio che l’uomo in questione non venga associato al
suddetto Occidente. Questo evoca per contrapposizione uno dei termini che
comunemente vengono accostati ad “Oriente”, per indicarlo: estremo. La
contiguità semantica, sul piano aspettuale (terminativo), dei due termini “estremo”
e “remoto”, istituisce dunque un’attribuzione per isotopia di questo termine
all’uomo in questione, che – essendo già ‘investito di passato’ – diventa in questa
maniera più teso verso l’Oriente che verso l’Occidente. Si rinsalda così la
funzione di delega, da Ts’ui Pen ad Albert, proprio nel momento della prima
sanzione, ad opera del narratore.
254
Vedi paragrafo 20.1
272
erano “rassegnati” (termine che indica accettazione verso un termine disforico).
La finezza stilistica con cui vengono resi i contenuti della rassegnazione, riguardo
al modo paradigmatico della loro relazione, ci svela la menzogna che sta sotto
questa finta scelta fra uccisione e morte. L’illusione sta nel proporre il rapporto fra
“uccidere” e “morire” in un tipo di relazione escludente. Infatti, la prima scelta
riguarda un fare, un’azione, la seconda riguarda uno stato, un essere: per questo i
due termini non possono stare tra loro in relazione escludente, paradigmatica,
come invece vengono impropriamente fissati nella frase. E questo è lo schermo
sotto cui si cela il comando.
I due termini (“uccidere”, “morire”) che, in realtà, non si escludono, possono
essere considerati in relazione sintagmatica, prima un fare e poi il conseguente
essere, nello stesso ordine di successione in cui sono disposti. L’isotopia
semantica che garantisce coesione alla relazione orientata fra i termini, si basa
sulla categoria vita vs morte. In entrambi i casi, infatti, le due rassegnazioni –
prese singolarmente – implicano l’assenza, di uno dei due termini della categoria:
io uccido => vivo; io muoio => muoio. Vediamolo attraverso un esame.
Schematicamente, dunque, il comando segreto di cui parla il narratore Yu Tsun,
che ha terminato la sua avventura, riguarda due azioni:
273
coalescenza per via dell’articolazione) che ha la ‘personalità’ tale da poter inviare
comandi al Soggetto nel presente.
Schematicamente, trasponendo l’articolazione in base al Soggetto e al suo tipo di
relazione con i termini /passato/ e /futuro/, che ne concretizzano la realtà, si ha:
Abbiamo ribadito, dunque, quale sia la relazione tra tempo ed essere, intesa
come condizione necessaria per affermare il vero Essere rappresentato nel
Giardino, cioè nella Storia del Soggetto. Non dobbiamo però dimenticare che
quest’acquisizione è stata generata da osservazioni del narratore Yu Tsun, il quale
ha già compiuto tutte le azioni del protagonista, cui stiamo ancora assistendo nel
corso della deposizione. Vedremo, nelle sequenze successive, come abbia fatto il
Soggetto ad acquisire questa consapevolezza.
255
Cfr. paragrafo 20.3
256
Cfr. paragrafo 29
257
Vedi paragrafo 16.4
274
Allo stesso modo, in questo “Sentiero”, si è realizzata l’operazione inversa.
Nella Storia enunciata dell’Oggetto a-temporale, è stato enunciato un tipo di
Soggetto tramite il quale, il testo ha affermato una temporalità articolata: grazie
alla storia degli eserciti, e alla citazione diretta dell’ultima frase del capitolo.
Ovviamente, questa ‘forzatura’ del vero Oggetto-tempo, è stata causata dall’ottusa
lettura del Soggetto che ne ha riversato i suoi contenuti temporali. Proprio come,
nel “Sentiero della biforcazione”, la distonia temporale del Soggetto era causata
dalle immagini, nate in seguito alla considerazione del labirinto di tempo, espressa
nel libro di Ts’ui Pen.
Considerando assente, dal punto di vista del protagonista, il resoconto del capitolo
di Ts’ui Pen, ricordiamo che questa sequenza descrive proprio lo stato interiore,
causato in Yu Tsun, dopo aver sentito Albert ‘sillabare’ cose semi-comprensibili.
Egli, nonostante l’ottusa comprensione, ha comunque percepito
inconsapevolmente il comando dell’antenato. Dunque, sente un’agitazione
intorno: la prefigurazione di morte necessaria, che ha assorbito inconsciamente
dall’ultima frase del capitolo (così come la interpreterà nella deposizione), gli fa
sentire un “intangibile pullulare” dentro e fuori di lui.
275
Ma stavolta le cose sono diverse. Come si nota all’inizio della sequenza, il
protagonista, nel dire “sentii intorno a me e in me”, esprime la consapevolezza
della differenza tra il suo corpo e il mondo circostante. Anzi, ancor di più, il suo
corpo è proprio ciò che ne determina la differenza. Da ciò, si deduce che questa è
un situazione profondamente diversa rispetto a quella derivata dalle immagini
illusorie. Egli adesso, sente massimamente il proprio corpo come soglia fra il suo
tempo interiore, articolato, e il non-tempo in cui fluttua il cosmo, intorno a lui. È
la preveggenza percettiva della morte, della sua prossima unione con la a-
temporalità del cosmo; diversa da ciò che è successo nella campagna, poiché in
quel caso egli ha fatto una vera e propria esperienza della dimensione della morte,
si era “sentito in morte”. Qui si parla solo di prefigurazione.
È anche vero, però, che egli ha percepito qualcosa nel suo “corpo oscuro”, in
seguito a questo ascolto: quello che – nella deposizione – chiamerà un “comando
segreto”. Il dottore cinese, cioè, ha sentito in quel momento che un canale di
comunicazione con Ts’ui Pen era stato aperto. Il sintomo del pullulare che egli
denuncia, manifesta appieno il forte fluire dell’antenato, da fuori a dentro il suo
corpo, come nel caso di un tombino che sia stato finalmente sturato. Egli però non
potrà mai sapere di più, sul suo corpo, che questo vago formicolio. Infatti, se
potesse spiegare come mai sia riuscito ad accogliere l’opera di Ts’ui Pen, vorrebbe
dire che egli è in grado di riconoscere l’ottusità del suo ascolto, cioè il non aver
inteso realmente il significato.
276
Dunque, in questa situazione, in cui il protagonista non ha ancora
razionalizzato nella deposizione scritta, quest’”agitazione più intima”, che poi
definirà “comando segreto”, egli si trova a vivere ciò che viene chiamato in
semiotica col nome di “presa estetica”, o estesia: momento in cui
Come abbiamo detto all’inizio si tratta solo della prefigurazione, e non della
sua morte vera e propria, per questo egli non perde completamente il senso del
tempo, come era successo in campagna. Infatti, mentre per il suo “sentirsi in
277
morte” prima di arrivare da Albert, aveva parlato di un “tempo indeterminato”,
adesso egli dice: “Da quell’istante”, cioè, è in grado di fissare l’inizio preciso della
sensazione-premonizione.
Nota. Si può ricavare una piccola regola, che riguarda solo il linguaggio di
Borges e solo nel Giardino e in Nuova confutazione del tempo. Da questo
confronto fra la prefigurazione e il “sentirsi in morte”, si deduce che, per parlare
della complessità della Morte come momento di unione dei due tipi di tempi,
l’autore fa riferimento a un pullulare preveggente; per parlare dell’esperienza della
dimensione della morte vera e propria, direi, del post-morte, egli parla di tempo
indeterminato e di “percezione astratta del mondo”, che ci riconduce al tipo di
temporalità sempre-presente, affermata nel vero Oggetto-tempo: l’eternità, che si
può collocare nella deissi negativa del nostro quadrato del tempo258.
Albert proseguì:
"Non credo che il suo illustre antenato giudicasse oziose queste
varianti. Non giudico inverosimile che sacrificasse tredici anni
dell'infinita esecuzione d'un esperimento retorico. Nel suo paese, il
romanzo è un genere subalterno: a quel tempo era un genere
disprezzato. Ts'ui Pen fu romanziere geniale, ma fu anche un
uomo di lettere che non si considerò, indubbiamente, semplice
romanziere. La testimonianza dei suoi contemporanei proclama - e
bene le conferma la sua vita - le sue tendenze metafisiche,
mistiche. La controversia filosofica ha gran parte nel suo romanzo.
So che, di tutti i problemi, nessuno l'inquietò né lo travagliò più
dell'abissale problema del tempo. Ebbene, questo è l'unico
problema di cui non sia mai questione nelle pagine del Giardino.
La stessa parola che significa tempo non vi ricorre mai, in nessun
caso. Come spiega lei questa volontaria omissione?"
Proposi varie soluzioni, tutte insufficienti. Le discutemmo. (Alla
fine, Stephen Albert mi disse: ...)
278
l’ultimo tassello del mosaico al suo ottuso interlocutore. Ma quest’ultimo, neanche
stavolta, si smentisce.
Dopo essere passato dagli esempi personali alla vera e propria lettura delle
pagine, nel suo continuo tentativo retorico persuasivo, Albert continua la
costruzione del suo enunciatario, passando all’argomento “valore del letterato”. In
questa esposizione, il sinologo costruisce la contrapposizione tra Ts’ui Pen e il
resto del suo paese, sulla base del rapporto generico con la cultura del romanzo.
Naturalmente, l’operazione è finalizzata a rappresentare, all’interno del problema,
una prima figura in cui si possa collocare anche l’interlocutore da convincere, Yu
Tsun. Il risultato che ne ricaverà sarà duplice. Infatti, mentre la figura
dell’antenato risulta quella di un eroe che combatte contro i pregiudizi di un intero
paese, d’altro canto, non bisogna dimenticare che il dottore cinese è anch’egli un
uomo del sapere, in quanto ex professore. Dunque, grazie a questa impostazione,
il sinologo può isolare Ts’ui Pen dal resto della Cina, rendendolo una figura
pietosa, e allo stesso tempo, dare a Yu Tsun l’occasione per interessarsi al tema in
questione, facendolo avvicinare sempre più a un giudizio positivo.
259
L’espressione sul giudizio diretto di Albert è resa più chiara nella versione di Bacchi Wilcock che, fedele alla
versione in lingua originale che abbiamo noi per il confronto, riporta: “Non mi sembra verosimile che abbia
sacrificato tredici anni all’infinita esecuzione di un gioco retorico”.
279
una relazione polemica tra i due. Albert è ancora il delegato di Ts’ui Pen, che deve
essere sanzionato dal protagonista.
280
cose diverse rispetto a quelle riferite in parafrasi dal Soggetto, narratore della
deposizione.
Dopo questo riferimento al romanzo, e dopo aver detto che Ts’ui Pen “fu
romanziere geniale”, il sinologo ripiega su un altro aspetto della questione, come
si fosse accorto della gaffe appena fatta riguardo un elemento disforico per
l’interlocutore. Infatti, nella stessa frase, compare subito il forte disgiuntivo logico
“ma”, a separare il primo argomento dal secondo: l’antenato come uomo di lettere,
in generale. Ancora, nella stessa frase si usa addirittura l’avverbio
“indubbiamente” per tentare di cancellare la definizione di romanziere semplice,
ovvero: come lo intendono tutti, vale a dire Yu Tsun e l’intero paese.
Per adesso, invece, si introduce l’altro tema, più caro al protagonista: il tema
del “problema da risolvere”. Sappiamo, infatti, che anche lui ne ha uno da
risolvere: comunicare il Segreto. E sappiamo già qual è il suo piano: trasformare il
nome che appare sul giornale nella risoluzione del suo problema, grazie al codice
segreto in comune con il Capo.
281
Siamo arrivati al punto esatto in cui, dopo aver affermato le caratteristiche del
libro, tramite esempi, operando una prima realizzazione del vero Oggetto del
Giardino, Albert inizierà a fornire a Yu Tsun il suo oggetto di valore finale:
l’interpretazione sensata del libro dell’antenato. Allo stesso tempo, il sinologo
avrà provveduto alla seconda parte di realizzazione dell’Oggetto-tempo. Come è
possibile che si verifichino contemporaneamente le due cose?
Le progressioni delle due Storie principali del Giardino (del Soggetto e
dell’Oggetto-Tempo), viaggeranno parallele grazie a un’ambiguità formale: Yu
Tsun si concentrerà sul valore di risoluzione dell’interpretazione, mentre Albert
avrà dichiarato manifestamente il tema del tempo e la concezione particolare che
viene rappresentata dall’”infaticabile romanzo”.
Dunque, in questa fine di sequenza, si introduce il problema che Ts’ui Pen doveva
risolvere, e che tanto appassionerà Yu Tsun, da fargli by-passare il contenuto e la
stessa modalità di risoluzione del problema.
25.6 L’anti-nome
282
Ma prima di farlo, Albert, propone la questione al vaglio del protagonista. Gli
chiede come mai non sia presente, né sottoforma di argomento, né in quanto
parola, l’ossessione principale dell’antenato. Nella formulazione della domanda, il
sinologo ribadisce perfino che si tratta di un caso di “volontarietà”; Ts’ui Pen,
tanto ossessionato da tempo, non ne ha mai parlato, apposta. E il romanzo ospita
la “controversia filosofica”.
Se riflettiamo un attimo, la risposta risulta già ovvia da quel “ebbene” che indica
la relazione tra premessa e risultato dello studio delle occorrenze (content-
analysis), e quell’indicazione di volontarietà che chiude la domanda rivolta a Yu
Tsun. Cioè, avendo: 1) massimo chiodo fisso = tempo 2) “Ebbene” 3) nessuna
occorrenza, 4) volontaria => regola dell’omissione del nome (come vedremo nel
prossimo “Sentiero”).
260
Vedremo infatti come, nel momento in cui Albert parlerà di scacchiera, Yu Tsun sarà in grado di rispondere
(cfr. paragrafo 26.3).
283
“Ebbene, questo è uno dei problemi di cui non sia questione nelle
parole del Giardino. La stessa parola che significa tempo, vi ricorre
anche.”
Ritornando alla verità del testo: come il Soggetto non ha inteso il contenuto
del capitolo letto da Albert, alla fine non comprenderà neanche questa regola
dell’omissione, congiunta con il problema del tempo: la regola che abbiamo
chiamato dell’ ”anti-nome”. Infatti, per trasmettere la visione di un “non-tempo”,
c’è bisogno di non nominare mai quella parola: proprio l’esatto contrario della
regola del Soggetto per risolvere il problema della comunicazione del nome
segreto.
284
“Non in tutti” mormorò con un sorriso. “Il tempo si biforca
perpetuamente verso innumerevoli futuri. In uno di questi io sono
suo nemico”.
La sequenza si separa dal prosieguo del testo, per mezzo di una cesura di
paragrafo già presente nella sua divisione ‘naturale’. Inoltre, essa ingloba tutto
l’ultimo discorso del sinologo, che si può considerare concluso, soltanto dopo
l’aggiuntiva correzione che egli rivolge al Soggetto, mormorando. Anche
osservando l’ordine dei turni di parola, è Albert che inizia ed è lui che segna la
chiusura di questo “Sentiero”.
Allo stesso tempo, il tema della scacchiera, evoca l’immagine comune della
“partita a scacchi con la morte”. Questo ultimo dato, unito all’assegnazione dei
261
Cfr. sequenza XVI
285
colori bianco e nero attribuiti a Yu Tsun e Ts’ui Pen, completa il quadro figurato
della loro relazione contrastante, in base alle opposte temporalità che il testo ha
attribuito loro. Al Soggetto viene ‘assegnato’ il colore bianco, a colui che afferma
il tempo opposto proprio dell’anti-Soggetto Madden (sempre-presente262,
rappresentate “fine degli affanni e della vita”), il colore nero, colore del cosmo. La
Morte, figurata in quanto ‘giocatore’, perde così quel valore di esperienza
unificatrice delle due temporalità, che ci ha guidato nel posizionarla come termine
complesso del quadrato del tempo, e assume in sé il significato dello stato di
morte, cioè il post-morte, tutto quello che c’è dall’altro lato della vita (scacchiera)
e del tempo di vita (del Soggetto) scandito in fasi di passato e futuro: l’eternità del
cosmo: quella stessa dimensione di cui il Soggetto era caduto preda (subendone
l’operazione263) per un tempo indeterminato, ‘sentendosi in morte”, e non
sentendosi di morire, la cui prefigurazione è affidata invece all’”agitazione
inaccessibile, più intima”.
Dall’altro lato della scacchiera, senza il minimo preavviso (come poteva accadere
per i personaggi, tramite i puntini di sospensione), ecco che riappare in tutta la sua
evidenza, lo stesso termine che aveva segnato il passaggio di tempo
enunciazionale, nella forma del chiasmo “accade precisamente, precisamente ora”,
della III sequenza264. Come si ricorda, in quell’occasione si è visto che il testo
sfrutta la forma del chiasmo per il passaggio dalla Storia del Soggetto a quella
dell’Oggetto-tempo, per cui: ‘un’ “precisamente” apparteneva al Soggetto,
l’’altro’ “precisamente” apparteneva all’Oggetto. Abbiamo così potuto
circoscrivere in quella sequenza (grazie alla chiusura di un altro chiasmo), il modo
di attualizzare l’Oggetto-tempo e la sua vera valenza, rispetto alle considerazioni
del Soggetto che derivavano da una concezione opposta. In seguito265, abbiamo
anche scoperto che la giusta attribuzione di tutti gli enunciati relativi alla Storia
dell’Oggetto-tempo, deve essere indirizzata all’istanza impersonale di produzione
del discorso che, dopo essersi manifestata nel “Sentiero di partenza”, si fa carico
262
Cfr. “solo nel presente accadono i fatti”, “Sentiero del Tempo”.
263
Cfr l’espressione testuale “operarono in me”.
264
Cfr. paragrafo 5.5 e 5.6
265
Vedi paragrafo 18.1
286
delle produzioni discorsive di Albert, inserite ampiamente in mezzo alla
deposizione del Soggetto266.
Riportiamo ora l’intero contenuto dell’attualizzazione del vero Tempo, e l’inizio –
in questa parte del Giardino – della sua definitiva realizzazione nel romanzo
dell’antenato:
287
gioco di scacchi, l’altra – formale – riguarda l’uso dello stesso termine
“precisamente” che, nel “Sentiero del Tempo”, aveva costituito il perno del
passaggio dal Soggetto all’Oggetto, reso attraverso il chiasmo. Il passaggio si è
concretizzato anche stavolta, e Albert può liberamente divulgare tutta la verità sul
giardino dell’antenato. Alla fine, vedremo che cosa Yu Tsun avrà recepito
dall’ultimo discorso del sinologo.
Anche allo stesso Albert, il testo non può attribuire un’espressione che
indichi la piena e totale ricostituzione dell’opera di Ts’ui Pen; sarebbe come dire
che essa ha un senso finito. Allorché il sinologo deve per forza precisare: “ho
ristabilito, o creduto di ristabilire, l’ordine primitivo”. Ma la precisazione, messa
per inciso e legata al resto tramite paradigma “o”, non deve essere intesa come
269
Vedi paragrafo 25.6
270
Cfr. paragrafo 8.5 e paragrafo 20.3
271
Cfr. paragrafo 6.4
288
insicurezza del sinologo sulla sua operazione di riordino. Infatti, senza che egli
voglia manifestare un dubbio sulla riuscita della sua operazione, la precisazione
interviene anzi per rafforzare il concetto, alla base del libro di Ts’ui Pen:
ristabilire o credere di ristabilire, è la stessa cosa, poiché le infinite varianti
generano infiniti modi di riordino, e non esiste più paradigma che generi rapporti
di esclusione per generare un senso logico. È ormai passato il tempo della retorica
del finto dualismo.
Per la stessa ragione, “Il giardino dei sentieri che si biforcano è un’immagine
incompleta, ma non falsa”. Infatti, l’incompletezza segna l’impossibilità, che
avevamo denunciato prima272, dell’affermare il termine contraddittorio di “senso”,
inteso in termini razionali e comunicabili.
Negare il tempo è due negazioni: negare la successione dei termini di una serie,
negare il sincronismo dei termini di due serie. [...] Contrariamente a quanto afferma
Schopenhauer nella sua tavola di verità fondamentali (Welt als Wille und
Vorstellung, II, 4), ogni frazione di tempo non riempie simultaneamente lo spazio
intero, il tempo non è ubiquo. (Naturalmente a questo punto dell’argomento lo
spazio ha cessato di esistere). [J. L. Borges - Tutte le opere volume I 1984, pag
1087]
Continua Albert, dicendo invece, ciò in cui credeva l’antenato: “infinite serie di
tempo, una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli.
Questa trama di tempi che s’accostano, si biforcano, si tagliano o s’ignorano per
secoli, comprende tutte le possibilità”. E continua Borges, nella Confutazione,
derivando da Bradley, dopo avere superato Schopenhauer:
272
Cfr. paragrafo 22.2
289
linguaggio della finzione narrativa, Borges anticipa la concezione che riprenderà
nell’inquisizione, redatta in stile saggistico.
[Yu Tsun]
273
Cfr. paragrafi 26.5 e 27.3
290
passato
passato presente → futuro
passato
Egli, infatti, nella sua risposta unifica in se stesso, che “gradisce e venera”, ogni
molteplice futuro significato nel discorso di Albert, la cui concezione, lo
ricordiamo, era questa:
passato futuro
passato presente futuro
passato futuro
Ebbene, Albert non può soprassedere all’errore del dottore cinese, e provvede
immediatamente a correggerlo, con lo stesso sorriso con cui guardò l’interlocutore
un attimo prima di sedersi a discutere. Un’espressione che, unita all’indicazione
del mormorio, può ricordare tanto il famoso sorriso accennato della “Gioconda”:
quell’ambiguità espressiva impenetrabile, per cui, non pochi critici dell’arte si
sono chiesti più volte “cosa starà mai pensando”. E questo ritratto, denuncia di
incomprensione, è collocato dal narratore Yu Tsun proprio dopo la correzione del
sinologo sull’unicità del futuro, quindi del tempo. Se si guarda anche alla struttura
in cui sono articolati gli enunciati del breve scambio tra i due interlocutori, si vede
il perfetto parallelismo tra visioni contraddittorie:
274
cfr. paragrafi 22.4 e 26.4
291
Passato → 1) amico 1) nemico
Futuro → 1) nemico
Non avere parole per ringraziare significa, comunque, ringraziare. Tutto ciò
serve per dire che, nonostante il Soggetto non capisca appieno quello che Albert è
costretto a ripetergli, l’apprezzamento per la “ricostituzione” dell’opera
dell’antenato, comporta automaticamente la sua rivalutazione su Ts’ui Pen.
Quest’ultima, unita al primo segno di apprezzamento, tramite lo stesso vocabolo
“venerazione” usato dal narratore Yu Tsun276, istituisce la compiutezza della fase
in cui il Soggetto sanziona il proprio antenato.
275
Vedi paragrafo 27
276
Cfr. paragrafo 23.4
292
Come già successo dopo l’ascolto del “comando segreto”, Yu Tsun avverte
nuovamente quel pullulare che, ricordiamo, era stato subito dopo precisato come
“agitazione più inaccessibile, intima”. Si trattava della prefigurazione percettiva
della sua morte. Il resto della descrizione contenuta in questa sequenza, però,
contribuisce a chiarire la differenza tra le due esperienze simili. Infatti, qui si fa
nuovamente riferimento all’umidità del sentiero a zig-zag che conduce dentro il
padiglione, e che stavolta sembra essersi trasformato in un giardino-labirinto:
l’ultimo simbolo, nel ragionamento predittivo sulla sua morte, con cui egli si
doveva congiungere perché la sua morte fosse sensata, e non gli paresse più
“incredibile”. A causa della rievocazione di Albert – attraverso il tema della loro
amicizia/inimicizia – del labirinto di Ts’ui Pen, il Soggetto ritorna a percepire i
‘fantasmi’, come gli era successo prima di scendere dalla sua stanza. È proprio
l’anti-Soggetto a farlo rinvenire da questo delirio visionario, cosicché Yu Tsun
può riunire l’ultima linea temporale, lasciata ‘aperta’ da Albert.
Come già anticipato, il pullulare che sente Yu Tsun, dopo aver ascoltato la
dovuta correzione di Albert, presenta caratteristiche diverse rispetto alla
sensazione provata prima. Se, infatti, dopo aver sentito il comando segreto, il
Soggetto aveva percepito la prefigurazione dell’uccisione di Albert e della sua
dovuta condanna alla forca, adesso egli sta vivendo una sorta di ritorno allo stato
di indeterminatezza subito in mezzo alla campagna, dopo essere caduto in preda
alle immagini possibili del labirinto di Ts’ui Pen. Infatti, a differenza del primo
pullulare, egli adesso non è più ‘protetto’ da quella consapevolezza degli eserciti
“finalmente coalescenti” nell’unico futuro di vittoria, poiché Albert ha mantenuto
la molteplicità dei tempi, per mezzo dell’isotopia della loro amicizia: essa ha
lasciato i vari passati possibili ‘aperti’, e liberi di convergere nel presente. Ecco,
dunque, che il protagonista è assalito ‘da dietro’ e lasciato libero di cadere nella
trance labirintica, a seguito della conferma delle fantasie di Ts’ui Pen. Riportiamo
ora lo schema della temporalità disturbata di Yu Tsun, in seguito al passato
‘lasciato aperto’:
[Yu Tsun]
passato
passato presente → futuro
passato
293
27.2 Congiunzione con il simbolo del giardino-labirinto
277
Cfr. paragrafo 20.1
278
Cfr. paragrafo 17.4
279
Cfr. paragrafo 5.4.2 e 17.4.
294
Proprio nel momento in cui Yu Tsun sta cadendo in questo incubo da
allucinazioni su tempi paralleli, come era già successo in precedenza, il capitano
Madden infrange anche adesso le percezioni dovute ai pensieri sul tempo. La
prima volta, nel “Sentiero del nome”280, il nemico aveva interrotto le
“divagazioni” sul tempo del protagonista; per essere più precisi, il testo aveva
fatto riapparire il capitano, subito dopo l’attualizzazione del vero Oggetto-tempo.
Così anche adesso, il capitano appare – in carne e ossa, realizzato – subito dopo la
realizzazione del vero tempo.
Dal labirinto che rappresenta i vari passati di Yu Tsun, esce il capitano c