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L'esame di coscienza
Presentazione
Il termine esame di coscienza sembra sparito dal vocabolario
corrente della spiritualità contemporanea. Anche se non mancano
riferimenti nei Dizionari e nei Manuali di spiritualità, si ha l'im-
pressione che, come altre pratiche ascetiche, per alcuni "moralistiche",
sia andato a finire nel cassetto delle cose smarrite... in attesa di una
riscoperta.
Eppure, ancora oggi, l'esame di coscienza appartiene ad una
delle parti integranti della celebrazione della penitenza sacramentale,
e si raccomanda, pur nella sua brevità, nel momento dell'atto
penitenziale all'inizio della celebrazione eucaristica e della compieta
alla fine della giornata.
Una breve consultazione del Catechismo della Chiesa cattolica
rimette in valore questa prassi, normale nella legislazione di molte
famiglie religiose, consigliata dai direttori spirituali, vissuta in modo
particolare nell'ambito degli esercizi spirituali. Il n. 1435 la propone
accanto alla revisione di vita e alla correzione fraterna come
quotidiano esercizio di conversione.
L'ermeneutica del sospetto porta a rilevare subito che la
scomparsa dell'esame di coscienza, come prassi ascetica, come
esercizio spirituale proficuo, ha come radice ultima una certa paura di
confrontarsi con se stessi, di rientrare nella verità della propria
coscienza, di mettere ordine nella propria vita. Davvero, le solite
accuse di formalismo e moralismo che rimuovono tranquillamente la
sapienza secolare di quello che si chiama, forse in maniera restrittiva,
esame di coscienza, non reggono alla doverosa autocritica. Infatti,
militano in suo favore: il richiamo alla coscienza, come santuario della
persona ed altare della propria libertà; l'esempio evangelico che, nella
figura del figlio prodigo, ci esorta a rientrare dentro di noi; il doveroso
atteggiamento di essere veri e di camminare nella verità, davanti a Dio,
davanti agli altri e davanti a noi stessi... Sono tutte ragioni che rimet-
tono di nuovo al centro della vita spirituale la saggezza di una prassi
che ha certamente bisogno di essere ripensata nei presupposti
dottrinali e nei punti di riferimento di una rinnovata spiritualità; ma è
sempre un esercizio ascetico necessario, anche se bisognoso di una
nuova e concreta "mista- gogia", che eviti la superficialità del
narcisismo di chi si contempla nel proprio specchio e l'ansietà che
conduce allo scrupolo, per diventare un momento forte di preghiera;
un'opportunità di conversione positiva. E necessario che diventi un
esercizio che porti il sigillo trinitario: momento di ascolto delle
mozioni dello Spirito, di confronto con il volto di Cristo maestro e
giudice, misericordioso e verace, di esperienza di filiazione nella ri-
cerca amorevole della volontà del Padre.
3
Che poi vi sia bisogno di un ritorno ad un esame di coscienza,
di una lucida discesa nel cuore con il lume della ragione e della grazia
scrutatrice dello Spirito risulta evidente. Talvolta si tratterà di un
momento breve, eppure intenso, dello scendere nelle profondità della
propria coscienza vitale; talvolta sarà la responsabile e attenta prepara-
zione alla confessione sacramentale... Qualche volta richiederà un
minuzioso e sereno confronto con il Maestro interiore, come quando
si tratta di fare delle scelte nella vita o di intraprendere un cammino di
ulteriore conversione, dopo momenti di smarrimento, di prove, di
grazie che segnano un "kairòs" della propria esistenza. Spesso si
tratterà di rimettere ordine nella vita e mettere la vita in ordine,
secondo il disegno di Dio.
Ma per questo occorre una buona teologia, una buona
spiritualità ed una opportuna prassi rinnovata che faccia risplendere
come un gioiello ritrovato e ripulito l'esame di coscienza. E quanto ci
offre p. Marko Ivan Rupnik con questo libro agile e completo,
moderno e pratico, capace di ridimensionare in lunghezza e larghezza,
in altezza e profondità l'esame di coscienza.
I principi teologici della prima parte spaziano in una teologia
con molteplici e suggestive considerazioni tratte dalla compagnia e
dall'amicizia di santi e di sapienti della tradizione cristiana di Oriente
e di Occidente. Agostino ci esorta all'esercizio della memoria,
Massimo il Confessore alla contemplazione dell'immagine che noi
siamo, tesi alla perfetta somiglianza, Atanasio ci avverte sull'azione
dello Spirito che ci attira verso il Padre e il Figlio... Scintille di
sapienza di autori antichi e moderni, poeti e sapienti, invitano alla
gioia di conoscersi in Dio e di riacquistare così la vera sapienza del
cuore. Tante scintille di spiritualità fanno risplendere il vero gioiello
che è la coscienza dell'essere in Dio e per Dio, con un invito all'esame,
cioè alla considerazione serena e gioiosa, positiva e propositiva del
progetto di Dio su di noi.
La seconda parte del libro declina bene il ritrovato valore
dell'esame di coscienza con alcune esigenze fondamentali della
spiritualità. Basta proporre l'esame come preghiera e contemplazione
e tutto cambia, perché si compie con Dio e davanti a Dio, per Lui ed
avendo Lui come magnifico, misericordioso e saggio esaminatore
della nostra esperienza, nella attesa dell'ultimo definitivo giudizio,
quando saremo giudicati sull'amore (san Giovanni della Croce). E
bello sentire che l'esame di coscienza serve per "rivivificare il vis-
suto", espressione pleonastica ma che richiama l'attenzione sul
bisogno di essere vivi e non morti, lasciarsi vivificare e non languire,
mediante la consapevolezza di noi stessi, rivitalizzati dalla fede, la
speranza e l'amore. E un modo di mettere in luce il bisogno di
personalizzare la fede e la vita, in un mondo di cadaveri e di maschere;
è un esercizio tanto necessario oggi, in una società e in una comunità
ecclesiale, dove abbiamo bisogno di essere "consapevolmente
cristiani" fin dalle più intime fibre del nostro essere. E ciò che p.
Rupnik chiama "la conscientizzazione della vita di Dio"... Un altro
cardine della spiritualità è rivisitare l'esame di coscienza come
esercizio del discernimento, quello che noi facciamo alla luce della
Parola di Dio e della vita in Dio, ma anche quello che Dio fa in noi
quando "sottoponendoci alla prova" ci rende "dòkimoi", provati,
passati per il discernimento spirituale, per la prova o il discernimento
divino; è l'azione di un Dio che conosce la nostra verità e la verifica,
la sottopone alla verifica e apre strade nuove nella nostra esperienza
spirituale. Teresa di Gesù, rivolgendosi a Dio nelle terze mansioni del
Castello interiore, le mansioni della prova, lo invoca con queste parole
che sembrano ricordare l'inizio del salmo 138: «Provaci, tu, Signore,
che conosci le verità, affinché ci conosciamo» (Castello interiore,
terze mansioni, cap. 2, n. 9, secondo il testo originale spagnolo). Ma
come si potrà arrivare alla verifica di quello che Dio compie in noi, se
non siamo consapevoli del suo passaggio salvifico di purificazione e
di illuminazione nella nostra vita? Ed ecco di nuovo l'importanza di
un esame che ci aiuta a scrutare e scoprire il passaggio di Dio nella
nostra esperienza.
Nella terza parte del libro si trova una breve mistagogia
dell'esame di coscienza. Mi piace parlare di mistagogia, in quanto
pedagogia del mistero, perché le brevi tappe indicate sono chiaramente
come gradini della discesa nel proprio cuore, con una guida
eccezionale: lo Spirito Santo. Così s'impara di nuovo, cioè come una
realtà della novità dello Spirito, il cammino che conduce alla verità, al
discernimento, alle scelte, alla crescita delle virtù, alla crescente
fedeltà del cammino spirituale cristiano...
Ecco quindi il valore di un libro che rimette in luce un aspetto
tradizionale della vita spirituale, ma con la sapienza dello scriba del
Vangelo, che dal suo tesoro sa tirare fuori cose antiche, come la
sapienza dell'ascesi, e cose nuove, come la perenne saggezza del
Vangelo nell'oggi della Chiesa. In realtà si tratta di un esercizio della
vita spirituale, cioè della vita secondo lo Spirito. Spirito che "scruta"
tutto, anche le profondità di Dio (cf lCor 2,10). Spirito Santo «luce
5
beatissima che invade i cuori dei fedeli» (Sequenza di Pentecoste),
«sorgente che irrora i discepoli con la sua luce» (Ufficio bizantino
dell'orthros della Pentecoste).
p. Jesús Castellano Cervera ocd.
Roma, Teresianum Pentecoste 2002
Introduzione
In un suo famoso articolo, già nel 1972 padre Aschenbrenner
constatava una crisi generale un po' in tutta la Chiesa per quanto
riguarda la pratica dell'esame di coscienza.1 Una crisi in gran parte
causata dall'esagerato moralismo e legalismo che accompagnavano
questo esercizio e dalla sua quasi esclusiva pratica finalizzata alla con-
fessione. Esercitato così, l'esame di coscienza finiva spesso per avere
come effetti collaterali scrupolosità, depressione, scoraggiamento,
1
George Aschenbrenner, "Consciousness Examen", apparso in Review for
Religious, 31 (1972), pp. 14-21, in cui l'autore presenta l'esame di coscienza sotto
l'approccio della coscientizzazione della vita divina in noi e come esercizio pratico
della vita spirituale e del discernimento, soprattutto per i religiosi.
Oltre a questo articolo, non esistono negli ultimi anni molte trattazioni
dedicate specificamente all'esame di coscienza. Da segnalare comunque la voce
"Examen de con- science" in Dictionnaire de Spiritualité, IV, Paris 1961, coli. 1789-
1838, che fa una "storia" dell'esame. Ne rintraccia pratiche affini nell'antichità e nelle
religioni non cristiane, intendendo l'esame di coscienza in questo caso come sinonimo
di momenti di attenzione alla vita interiore e all'introspezione. Passa poi in rassegna
che cosa è l'interrogazione della coscienza nella Bibbia, vedendo quindi la differenza
rispetto alla pratica pagana nel non essere un ripiegamento dell'anima su se stessa, ma
un qualcosa che apre alla dimensione relazionale con Dio, un dialogo nel quale il
fedele prova la sua conformità non alla ragione naturale di cui scopre in sé la legge,
ma ad un comando di Dio. Nei Padri si unisce la pratica stoica dell'esame a questa
dimensione relazionale, sviluppando la disciplina ascetica della vigilanza del cuore,
dell'attenzione ai pensieri e della lotta contro i vizi, che in termini moderni si potrebbe
chiamare "esame particolare". Nel medioevo, oltre alla sua pratica come esercizio
spirituale all'interno soprattutto della vita monastica, l'esame di coscienza viene legato
alla confessione sacramentale, come ritorno del penitente sul suo passato per vedere
dove ha mancato, come dimostrano i libri penitenziali. Ma è soprattutto nel XV e XVI
secolo (Devotio moderna, sant'Ignazio di Loyola...) che si sviluppa un insegnamento
organico sull'esame di coscienza. Per sant'Ignazio di Loyola è così importante che
nelle Costituzioni (n. 261) lo propone come pratica quotidiana dei gesuiti, oltre che
inserirlo negli Esercizi spirituali (n. 43). I punti che propone Ignazio in fondo non
sono altro che una riproposta dell'antica memoria Dei, condizione per sottostare
all'azione della grazia e cooperare al massimo con l'azione di Dio in noi. Come
complemento a questa voce, ved. anche "Examen particu- lier", sempre in
Dictionnaire de Spiritualité, IV, Paris 1961, coli. 1838-1849.
Per il periodo successivo al Concilio, oltre all'articolo di Aschenbrenner, da consultare
la voce "Esame di coscienza" (di J. Castellano) in Dizionario del Concilio Ecumenico
Vaticano li, Roma 1969, col. 1109, dedicata ad illustrare che cosa dice il Concilio su
questo, specificamente la PO, la trattazione di A. Cappelletti e M. Caprioli in
Dizionario Enciclopedico di Spiritualità (cur. E. Anelili), 2a ed., Roma 1990, pp. 903-
907, che si rifa ampiamente al Dictionnaire de Spiritualité; e "Examination of
Conscience" (di B. Baynham), in The New Dictionary of Catholic Spirituality (ed. M.
Downey), Collegeville, Mi. 1993, pp. 364-365.
7
approdando in alcuni casi ad un'ansia psicologica. E quando, come
reazione a pendolo, ad una spiritualità prevalentemente moralistica e
volontarista è seguita un'onda di riscoperta della psicologia che ha
quasi rimpiazzato la vita spirituale e si è presentata come una sorta di
spiritualità secolarizzata, l'esame di coscienza, sulla stessa onda di
reazione, è stato sostituito da esercizi prevalentemente psicologici di
auto-osservazione e di "igiene interiore". Oggi che si sta esaurendo
anche questa moda, i formatori, i pastori, e soprattutto i fedeli sentono
il bisogno di riscoprire le vie, i mezzi, gli strumenti per aiutarsi nella
maturazione spirituale, per sostenere il cammino della crescita
spirituale, per poter vivere da redenti nel mondo attuale portando a
termine la vocazione che Dio affida a ciascuno per il bene della Chiesa
e degli uomini. Ecco così che si pone di nuovo la questione dell'esame
di coscienza. Se alle ultime generazioni è stato proposto un esame di
coscienza spesso sganciato da una visione organica della vita
spirituale e dall'impianto teologico-an- tropologico che le fa da
sfondo, non possiamo con ciò chiudere il discorso su una pratica spiri-
tuale che è presente fin dagli inizi della fede cristiana e di cui si sono
occupati i più grandi maestri della vita spirituale.
Per questo motivo—dal momento che un gioiello risalta in tutto
il suo splendore quando è debitamente incastonato—ho dedicato gran
parte del libro allo sfondo teologico e spirituale in cui situare
correttamente l'esame di coscienza.
Anche se oggi tutti subiamo la tentazione di un pragmatismo
tecnico, del know how, e forse vorremmo andare subito a vedere come
si fa l'esercizio concretamente, invito il lettore a soffermarsi per tutto
il tempo necessario sulla prima parte del libro, perché l'esame di
coscienza sarà compreso e praticato rettamente solo se sarà parte or-
ganica di quella visione in cui si dischiudono i suoi fondamenti
teologici.
Proprio percorrendo il testo così come è proposto,2 il lettore
potrà avvicinare in un modo spontaneo l'esame di coscienza come
Ricordando, ci si esamina
9
non mi veniva presentata proprio quella che
cercavo. Se non avessi avuto il ricordo di quella
cosa, qualunque essa fosse, non l'avrei ritrovata
perché non avrei potuto riconoscerla anche se mi
fosse stata presentata. E accade sempre così, tutte
le volte che perdiamo, cerchiamo e troviamo
qualcosa.
Se una cosa, per esempio un corpo visibile,
scompare ai nostri occhi, ma non dalla nostra
memoria, la sua immagine si conserva dentro di
noi e così la cerchiamo finché non la vediamo di
nuovo e trovatala la riconosciamo grazie
all'immagine che ne portiamo dentro; non
potremo dire di aver trovato l'oggetto perduto se
non lo riconoscessimo, né di riconoscerlo se non
lo ricordassimo: era, infatti, scomparso alla
nostra vista, ma conservato nella memoria»
(Agostino, Confessioni, X, 18).
11
riferimento. Creato a immagine di Dio, non può fare a meno di riferirsi
al Prototipo, all'Originale di cui egli è l'immagine. Per natura, l'uomo
alza il suo sguardo costantemente verso una sorta di modello. Ora, se
questo punto di riferimento è costituito da Cristo, Figlio di Dio, nel
quale noi siamo creati, è una cosa. Ma se assumiamo come modello
una realtà illusoria, immaginaria, è un'altra. Se noi, immagine di Dio,
orientiamo noi stessi, la nostra intelligenza, il nostro sguardo, il nostro
spirito, verso Cristo, allora sperimentiamo la nostra storia come una
storia del־.
l'amore di Dio che in ogni istante è capace di trasformare e
trasfigurare il nostro vissuto. C'è allora una reciprocità, un dialogo, in
cui l'uomo non si trova mai da solo. Qualsiasi cosa ci possa accadere,
qualsiasi peccato possiamo commettere, ci troviamo di fronte ad un
gesto ancora più straordinario di Cristo nel redimerci. Noi
sperimentiamo l'originale a cui ci rifacciamo certamente come
modello—quindi anche come legge—ma inscindibilmente unito al
Volto misericordioso di Cristo, alla incessante apertura della
misericordia di Dio. Infatti non si può parlare di un vero e proprio
modello, dal momento che si tratta di una Persona vivente, di un
organismo dell'amore, dunque di una realtà assolutamente dinamica
che lascia da parte ogni fossilizzazione, ogni idea fissa, statica,
oggettivante, che ci renderebbe un oggetto. Poiché il Prototipo è un
organismo vivente, la Persona assoluta in senso teologico, è evidente
che anche l'uomo—sua immagine—non è una realtà statica,
decifrabile solo ad un livello di comprensione delle forme.
L'immagine non è cioè un'impronta formale, uno schema da assumere,
ma è anch'essa un organismo vivente, una persona creata nella par-
tecipazione allo stesso Amore che costituisce la vita divina.
L'immagine è allora una realtà personale in comunione con il suo
Prototipo, luogo di manifestazione del Prototipo, della sua azione
creatrice e redentrice. Pertanto l'immagine ha in sé il dinamismo di
una sempre più piena adesione al Prototipo. Questo vuol dire che
nell'immagine la manifestazione del Prototipo è la realizzazione
dell'immagine stessa.
Se invece l'uomo, che per costituzione rimanda all'immagine, fa
riferimento a dei modelli astratti, che sono un codice di leggi, o sono
riferiti a delle divinità amorfe, enigmatiche, fluide, esposte a potenze
impersonali, magari cosmiche, allora oscillerà sempre tra un
servilismo legalista verso questi modelli-concetti che sperimenterà
prima o poi sempre come camicie di forza, e un libertinismo
soggettivista teso a sbizzarrire la propria passionalità, a sfogare la
propria voglia di autoaffermarsi. E noi uomini sperimentiamo pre-
sunzione e superbia quando corrispondiamo al modello e depressione
totale, una sorta di dannazione davanti ad una implacabile legge
universale, ogni volta che siamo incapaci di viverla. O inventiamo dei
compromessi che giustificano il nostro stato, o accettiamo che la
nostra vita sia un campo di battaglia di forze impersonali tra bene e
male. Come è il prototipo, tale è l'immagine: se ci creiamo un ideale
da soli, comprenderemo noi stessi in riferimento a quello. Se il
prototipo è cioè una realtà astratta, considereremo noi stessi in termini
astratti. Se il prototipo è concepito come un ideale formale,
cercheremo di progettare noi stessi nell'ottica di questo ideale. Tale
meccanismo è un modo di imprigionarci, di renderci schiavi, anche
quando si decide di vivere senza alcun riferimento, prescindendo da
ogni ideale o valore, perché sempre, in quanto immagine, si vive in
relazione alla realtà che assumiamo come interlocutore esistenziale.
Questo atteggiamento di crearsi punti di riferimento che
fondamentalmente sono espressione del proprio egoismo è anche
influsso del tentatore. I santi Padri non esitavano a parlare dell'angelo
decaduto, cioè del diavolo, del nemico della natura umana. Infatti nel
nostro contesto il discorso sulla caduta degli angeli è illuminante. Gli
angeli sono creati come messaggeri tra Dio e gli uomini,
costitutivamente orientati al loro Creatore, a cui servono per il bene
degli uomini. Nel suo non serviam, l'angelo decaduto diventa ribelle a
Dio, non è più suo messaggero, non porta la benedizione all'uomo, ma,
fatto comunque costituzionalmente per relazionarsi, si offre all'uomo
come modello di autorealizzazione, come epicentro di tutto, libero da
ogni servizio, gonfio di egoismo. Diventa modelli del liberarsi da Dio,
del non far riferimento a Lui, del non confluire a Dio, ma a se stessi.
Infatti la tentazione di ogni altro riferimento che non sia al Dio trino,
al Dio vivente, è sempre una illusione. Una illusione di relazionarsi,
di offrirsi, di sacrificarsi che di regola, alla fine, si rivela sempre la
mera affermazione di una oscura, devastante forza dell'egoismo
ribelle.
Andiamo adesso a vedere passo per passo come è possibile, da
un punto di vista teologico, che la persona possa esaminarsi nei
pensieri, nei sentimenti, nell'agire quotidiano, nelle sue scelte facendo
leva su un esercizio della memoria come lo descrive sant'Agostino. In
questo modo si intuisce subito che esaminarsi non è un atto isolato che
si compie con la nostra ragione prevalentemente etica davanti a
13
modelli di comportamento, di ragionamento, di agire, che ci sono stati
imposti o che apprendiamo in modo teorico. Ma è immediatamente
chiaro che l'esame è una preghiera, un atto che avviene all'interno di
un rapporto serrato dove l'esperienza dell'amore, della redenzione,
della verità di vita sono il fondamento attivo che continuamente
approfondiamo e portiamo ad una coscientizzazione sempre più piena.
L'esame di coscienza è un incontro reale con Dio in Gesù, che fa sì
che ci possiamo vedere davanti a Lui, con Lui e con gli altri. Si intuisce
così anche che l'esaminarsi, come direbbe Cankar, «nella cameretta
più nascosta del cuore», ha la sua dimensione sociale ed ecclesiale.
15
Anzi. L'uomo, come tale, si trasforma in un oggetto. Tutto diviene
reificato, morto. Si perde il volto, si dimenticano i tratti del volto, gli
sguardi, le mani. Il peccato è oblio, e l'oblio è il fiume che inghiottisce
i morti, che fa sparire^ che porta via definitivamente. Senza un
rapporto di unità e allo stesso tempo di distanza rispetto a ciò che si
vuole conoscere, non si può rettamente conoscere. Il peccato porta
infatti alla ignoranza (agnosia), alla non conoscenza e addirittura alla
impossibilità di conoscere.
17
dell'umanità. Addossandosi le colpe di tutti, pacifica tutti e ci fa
scoprire che è abbattuto il muro di divisione e che d'improvviso si può
vedere l'altro come fratello (cf Ef 2,14-18). Assumendo il peccato
degli uomini, Cristo muore, giacché la morte è il salario del peccato,
la sua carne viene penetrata dalla morte. Ma poiché è il Figlio di Dio
e il Padre lo genera e lo ama eternamente, la relazione eterna del Padre
verso suo Figlio brucia la morte, distrugge la notte con la luce
inaccessibile, e fa sorgere il Figlio dalla morte. In questo modo, in
Cristo, sorge il vero uomo liberato dal potere della morte, in cui cioè
il peccato non può avere più un potere definitivo. Anzi, viene sconfitto
il tentatore e si afferma la vera immagine di Dio come amore e la vera
immagine dell'uomo, anche questi in qualche modo amore di Dio.
Cristo Figlio di Dio, salvatore del mondo, vero Dio e vero uomo,
morto e risorto, è quell'immagine che fa sì che l'uomo si possa rico-
noscere perché si ricorda di come veramente è.
Con la redenzione si viene riabilitati a vivere la propria verità,
che è quella di persone create ad immagine del Dio trino, del Dio delle
relazioni libere, fedeli, cioè del Dio dell'Amore. Queste relazioni non
sono qualcosa di teorico, astratto, ma concreto, personale e storico.
Cristo ricrea l'uomo nuovo aprendogli la possibilità di amare, essendo
Egli stesso l'amore attraverso cui l'uomo entra di nuovo nel mondo
delle relazioni. E Cristo quell'Amore del Padre che ci raggiunge,
quell'Amore stesso attraverso il quale siamo in grado di amare e di
uscire da noi stessi. E Cristo l'oggettività di ogni amore tra l'uomo e
Dio e tra gli uomini fra di loro. Noi ci incamminiamo verso Dio su
quel ponte, grazie a quella relazione che Dio stesso ha instaurato con
noi dandoci il suo Figlio che nella sua estasi ci ha raggiunto ed è
rimasto con noi. E perciò a noi in Cristo è ridata una sana relazionalità.
Tale relazionalità costituisce il principio e l'ambito della conoscenza
di sé e degli altri e, tanto più, di Dio.
La redenzione è pertanto una realtà così realistica, concreta e
personale che diventa l'inizio oggettivo e allo stesso tempo personale
di una memoria indimenticabile.
19
Il rapporto con gli altri include e passa attraverso la propria natura. In
questo modo, l'amore tra le persone è, sì, una relazione intersoggettiva,
ma include quella dimensione oggettiva costituita dalla natura. Per
questo motivo la persona può essere vista come una realtà relazionale
complessa, non semplicemente intersoggettiva. La relazione intesa in
questo senso non può dunque essere riducibile alla semplice
intersoggettività, proprio perché appartiene alla realtà della persona
che in se stessa include anche quel principio di oggettività rap-
presentato dalla sua natura. Ma la relazione intesa in questo modo non
può essere riducibile neppure al semplice mondo psicologico, dal
momento che nel suo nucleo fondante c'è una realtà teologica e
dunque, evidentemente, spirituale. La relazionalità è pertanto fondata
nel mondo trinitario. Ogni tentativo di racchiudere le relazioni solo in
un'analisi socio-psicologica è pertanto un riduzionismo che inganna e
impedisce la vera comprensione delle relazioni stesse, e dunque anche
dell'uomo e della società. Anzi, un tale approccio arriva spesso ad una
lettura della relazionalità che difficilmente può dischiudersi al vero
fondamento delle relazioni che è il mondo trinitario.
Se consideriamo l'uomo come immagine di Dio, vediamo che
l'artefice della comunicazione della vita divina alla creatura, Colui che
fa partecipare la persona creata alla natura di Dio è lo Spirito Santo. E
lo Spirito che scende per primo, che vive in questo senso la sua kenosi.
Lo Spirito inabita la creatura rendendola proprio con questo atto
persona, perché innesta in lei il principio dell'agape costituito dalla
partecipazione a Dio Padre. Lo Spirito Santo produce nella nuova
creatura, nella sua anima—che è esattamente questa sfera personale
dell'essere umano—la sua immagine, che è l'immagine del Figlio.
Sappiamo
come nella simbologia cristiana "immagine" significhi la
presenza reale e attiva del Figlio. E siccome il Figlio è a sua volta
immagine del Padre (cf Col 1,15), anche il Padre si rende presente.
L'uomo, persona creata, riceve così, nel suo essere persona, una
incisione trinitaria. Lo Spirito Santo rende dunque partecipe l'uomo
della vita di Dio, lo unisce alla vita divina dischiudendogli l'Amore
che esiste tra le Persone trinitarie. Lo Spirito coinvolge così l'uomo
nell'Amore trinitario. Possiamo dire pertanto che la persona umana è
creata ad immagine di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e che la sua
essenza è allo stesso tempo la relazione del Dio trino che la crea, la
vivifica, la salva, la santifica, e insieme l'accoglienza di questa sua
verità, il vivere anche lei la stessa realtà delle relazioni e dell'amore.
Lo Spirito Santo ci unisce al nuovo Adamo, nel quale si
ritrova il vecchio trasfigurato
21
bruciato dall'amore del Padre, di modo che può splendere trasfigurato,
reso filiale, rivelato come la vera, perfetta immagine di Dio Padre.
23
Dio, ricordando, fa vivere e si fa presente nella vita
Nel suo muovere con la carità ogni uomo verso Cristo per essere
figli nel Figlio, lo Spirito Santo svela e ricorda continuamente ad ogni
uomo che cosa vuol dire essere figli. E lo Spirito che attraverso il suo
comunicarci la vita di Dio, la salvezza di Cristo, rende concreta
rimmagine della nostra identità. Partecipandoci fin dalla creazione
l'impronta filiale e poi rendendo propria a ciascuno la redenzione
operata da Cristo, lo Spirito Santo vivifica continuamente in noi questa
realtà dell'immagine, che diventa così un ricordo spirituale di ciò che
è la nostra verità. Tramite la carità comunicataci, tramite la parteci-
pazione divina, lo Spirito fa emergere in noi quei ricordi reali ed
efficaci che costituiscono la nostra memoria spirituale. Egli fa sì che
l'uomo si ricordi di ciò che sta diventando, di ciò che è chiamato ad
essere. La memoria spirituale mette davanti ai nostri occhi interiori,
come meta del nostro divenire e del nostro compimento, ciò che nella
pasqua di Cristo è già stato realizzato per ciascuno di noi. Tale
memoria spirituale a noi comunicata ha un carattere creaturale, che
dunque si trova al confine tra il mondo dello spirito e il mondo della
psiche, ma nel mondo di Dio la memoria personale delle tre Persone
divine è un atto assoluto, di pensiero e di creazione. In Dio il ricordo
coincide con l'amore che Egli ha per la realtà ricordata. La memoria
di Dio è pertanto la sua presenza, la sua relazione fedele. Nella rivela-
zione biblica, infatti, la memoria di Dio si rivela come una azione
permanente, costante, della fedeltà di Dio nei confronti del ricordato.
La memoria di Dio è una sorta di divina alleanza, è l'in- crollabilità del
suo "essere con": è l'Emmanuele, Dio-con il ricordato (cf Sai 111,5).
Anche la memoria umana non vorrebbe farsi sfuggire la vita
25
progresso, non accetta il cambiamento, né formale né sostanziale delle
persone. La nostalgia fossilizza. Tant'è vero che tutti abbiamo fatto
esperienza di avere nostalgia di una persona e di provare poi un'amara
delusione quando la si incontra e non è come si ricordava e come la si
attendeva, mostrando in questo modo come eravamo più attaccati
all'idea che ne avevamo che ad un reale rapporto con lei. La nostalgia
è una malattia perché è sclerosi della memoria. E questa sclerosi è
causata dallo scisma tra il principio agapico della carità, dell'amore per
le persone, e la nostra tendenza a reificare tutto, a trasformare tutto in
cose, oggetti, idee, sensazioni da possedere. Lo scisma causato dal
peccato è portato avanti da una mentalità di peccato. Questa tendenza
si vede anche nella nostalgia che fa coincidere in un modo simbiotico
i volti alle cose, le persone agli oggetti, le relazioni con le persone ai
sentimenti e alle idee, ma non sulla base della carità, quindi non sulla
base di un principio agapico pasquale.
Anche sotto l'aspetto morale, una memoria fossilizzante, una
razionalità nostalgica coinvolge la volontà delle persone in un modo
sbagliato, perché ci fa prefiggere modelli a cui dobbiamo conformarci
per essere perfetti, di quella perfezione perduta che va riconquistata.
E un modo sclerotico, per il semplice fatto che è artificiale, cioè è
sganciato dalla vita, e infatti finisce senza sapori, cioè senza felicità.
Porta a sacrificarsi, a rinunciare, a formarsi, a educarsi, ma senza giun-
gere anche ad assaporare la vita, a gustare il senso della crescita. Anzi,
può accadere facilmente che questa perfezione sia sganciata
dall'amore, e dunque rispecchi la frantumazione di un'unità illusoria,
mai raggiunta. Cioè, semplicemente, sia un dettaglio dichiarato come
totalità. Questo processo sfocia in una sorta di ideologizzazione della
memoria e in una razionalità che fa procedere la conoscenza su ricordi
non vivi, ma ideali, pensati, costruiti, dunque in ultima analisi su ri-
cordi che non sono memoria.
27
dalla schiavitù del peccato. La liturgia nutre con la sua sapienza
ecclesiale i ricordi della nostra memoria spirituale, quella memoria che
si rende aperta ali'anamnesis, alla memoria eterna. Nella liturgia la
memoria nutre ed è nutrita da tutta la complessità spirituale della
Chiesa, cioè dalla Parola di Dio, dai simboli, dai dogmi, dai concetti,
dalle metafore, dai sensi e dalle immagini spirituali, dalla carità
praticata... Così la memoria della salvezza, la memoria di Cristo vero
Dio e vero uomo, depositata in queste realtà della Chiesa, vivifica
continuamente la nostra partecipazione in Lui all'amore del Padre. La
memoria è la partecipazione. E l'efficacia della partecipazione al dono
di Dio. Per questo motivo è una realtà trasformante, sia della nostra
mentalità—a causa dei ricordi reali che correggono continuamente il
nostro ricordo, in modo da poter sempre più correttamente riconoscere
ciò che è di Cristo e ciò che non gli appartiene, ciò che è la nostra
identità di figli nel Figlio e ciò che se ne distanzia—, sia del nostro
stile di vita, del nostro agire morale, perché ci nutre costantemente con
il ricordo della pasqua come unica via di realizzazione per l'uomo. Una
realizzazione che non avviene in un modo astratto e isolato, ma
all'interno di un rapporto con il Cristo pasquale che a noi è comunicato
dallo Spirito Santo.
29
della persona ferita perché non vive nell'estasi verso gli altri, ma come
epicentro egoista. E una sete di appagamento incolmabile, una voglia
di affermarsi che non può essere placata. Non si conosce più il confine,
perché ogni cosa che all'inizio dà piacere, soddisfazione, con il tempo
porta alla noia o addirittura all'amarezza. L'uomo si disperde in tutte
le cose che ha accumulato per salvarsi. Ammucchia le cose, come il
figlio prodigo, per gestirle secondo la propria volontà, per goderne, e
alla fine, paradossalmente, queste stesse cose che gli dovevano
procurare soddisfazione lo rendono schiavo. Si ritrova così sbriciolato
nei suoi molteplici desideri sempre più inquieti, agitati, insaziabili. È
questo il demone che si chiama legione, perché è moltitudine (cf Me
5,9), perché è la disgregazione, perché illude che ogni dettaglio, se
soddisfatto, possa assorbire la moltitudine e placare la voglia di essere.
E una vera illusione demoniaca. L'uomo è in preda agli scismi, alle
separazioni, alla frantumazione, all'impossibilità di comprendersi
come totalità. E guarda se stesso nello specchio frantumato con un
dolore, con una sofferenza che è già un morire.
La felicità è racchiusa nell'unità, perché l'unità è la garanzia
della vita. Solo in un'unione che non esclude nessuno è garantita la
vita. Appena una parte è esclusa, cioè è spinta nell'isolamento, dove
cova rancore e aggressività, prima ο poi diventa una minaccia per tutti,
quindi anche per sé. La vera garanzia della vita è la comunione di tutti,
senza esclusione di nessuno. Una comunione che tiene conto di tutti,
che interpella tutti, e che allo stesso tempo non fa violenza, non
costringe a mutilarsi per essere insieme, ma affermando tutti riesce ad
affermare ciascuno. Solo questa è una vita rassicurata, una vita che
prospera e che la persona sperimenta come felicità. Noi scopriamo
questo criterio anzitutto al nostro interno, ancor prima che a livello
sociale: viviamo la nostra identità, la nostra verità, troviamo la serenità
e la pace solo se viviamo l'unità di noi stessi, se abbiamo uno sguardo
su di noi con il quale riusciamo a vederci integralmente.
31
persona. Si tratta di entrare nell'ottica dell'amore, di pensarsi,
comprendersi e progredire con intelligenza d'amore. Allora si cresce
nell'integrazione. Ma qui si nasconde spesso una trappola: l'uomo non
può amarsi da solo, non riesce a darsi l'amore da solo. Si tratta allora
di scoprirsi amati. L'amore è una sorpresa, altrimenti non è amore.
L'amore non si può forzare. Non possiamo costringere gli altri ad
amarci. L'amore, l'abbiamo visto, è un dono dello Spirito Santo. E la
realizzazione dell'amore in noi, della ricapitolazione di tutto l'uomo
nell'amore, è la redenzione compiuta da Cristo e a noi comunicata
nello Spirito. Perciò, per vedersi nella verità, bisogna guardarsi con gli
occhi dello Spirito Santo, che poi è lo sguardo di Cristo Salvatore, è la
misericordia di Dio. Per vedersi nella realtà e nella verità, bisogna
chiederlo allo Spirito Santo. E Lui ci riporterà a Cristo, che è l'unico a
poterci dire come ci vede, perché ci guarda in modo tale da non esitare
a dare la propria vita per recuperarci alla vita.
33
La Sapienza divina è quella realtà intelligibile e viva che
permette all'uomo di sviluppare un modo di pensare e un'intelligenza
che opera con criteri e con categorie vitali. Infatti, un ragionamento,
un pensiero sviluppato a partire dalla Sapienza opera con concetti e
nozioni impregnati di vita. Perciò non viene creato semplicemente un
sistema di pensiero, e si evita così il rischio dell'ideologia. Un pensare
a partire dai presupposti della Sapienza divina crea un organismo di
concetti, di nozioni, di idee, che è un organismo vivo. La Sapienza
divina è un dono, è una carità di Dio verso gli uomini, è un gesto di
pedagogia del Signore pieno della sua tenerezza per noi per
proteggerci dagli astrattismi, ma che ci offre la possibilità di pensare
il mistero dell'uomo, il mistero della vita, il mistero della storia, il
mistero stesso di Dio in modo sapienziale, cioè sempre unito alla vita,
quella vita che rimane, che non muore. E un modo di pensare che
impedisce lo sviluppo di teorie astratte sull'uomo, sulla sua
intelligenza, sulla sua anima, sulla sua psiche, sulla storia, sul cosmo
e anche su Dio. Le teorie infatti si sviluppano spesso a partire dai
concetti, dalle idee, dalle tesi sganciate dalla vita, o almeno che non
tengono conto della vita nella sua globalità, soprattutto della vita
personale che contiene il mistero della relazionalità libera. Le teorie
partono frequentemente da una volontà di dominio che vuole cercare
di impadronirsi dei misteri. Sono pertanto facilmente frutto di una ra-
zionalità passionale, sensuale, possessiva, vittima dell'illusione, della
tentazione del serpente in Gen 3. Finiscono così per inquadrare la vita,
per imprigionarla, per isolarla, fino a diventare più importanti della
vita stessa, soprattutto della vita delle persone. Perciò vivono un
continuo scontro con l'amore degli uomini, con la loro libertà e con gli
eventi della storia. E siccome producono metodologie ferree, applicate
meccanicamente, arrivano a schiavizzare l'uomo perché non succeda
niente che contraddica la loro impostazione. Il pensiero passionale, il
pensiero cioè che stabilisce un connubio della ragione e della passione,
permette una cultura possessiva, con tendenza al dominio. Spesso una
tale attitudine si camuffa dietro approcci astratti, quasi per far
sembrare che le nozioni astratte non possano essere passionali né
trattate in modo passionale, quasi per garantire un distacco nel
ragionamento, per mostrare che si evita la possessività. Ma, di fatto,
tutti i sistemi di pensiero che partono da presupposti astratti, teorici,
evidentemente prima o poi diventano una tecnica che arriva addirittura
a determinare quel capovolgimento per cui la tecnologia stessa si tra-
sforma in sistema di pensiero. In un mondo di tecnocrazie, di
diffusione massiccia di nuove tecnologie, si è in grado di arrivare a
dominare l'uomo perché corrisponda alla visione che la tecnolo- già
favorisce, fino ad intervenire su di lui in modo così radicale da fare
l'uomo "nuovo", agendo sulla natura umana. Non c'è dubbio che
questo è il nostro futuro. E sembra poco fruttuoso contrapporsi con
delle teorie "umanistiche", etiche, morali, o semplicemente con degli
interventi sul piano giuridico. Con l'impostazione attuale del mondo,
guidata dagli interessi economici e finanziari, che con grande maestria
fanno leva sulla passionalità dell'uomo, sui suoi desideri di
autoaffermazione e di ricerca del piacevole, è impossibile con-
trapporre con efficacia un sistema di pensiero basato unicamente su
un'alternativa di valori etico- morali. Più efficace forse potrebbe essere
sviluppare una maniera di pensare che parta da una base sapienziale,
per ragionare organicamente, facendo emergere un'intelligenza che, se
sviluppa nozioni e concetti, lo fa a partire dalla vita e in un contesto di
relazioni, in un ambito comunitario, caratterizzato da un preciso stile
di vita. Occorre promuovere una cultura del pensare, del riflettere e
del creare non sganciata dall'amore. Solo così avrà forse un possibile
esito positivo l'opporsi a questo enorme sviluppo patologico della
razionalità tecnocratica che ormai è un rischio per l'uomo, emergendo
in mezzo ad essa con un pensiero ed uno stile di vita unitario, che per
questo motivo è bello, gioioso, e dunque può anche attirare,
affascinare. Senza un principio della bellezza intesa come unità
spirituale, come un mondo, un pensiero, una realtà penetrata
dall'amore—dunque da una vita di comunione—non si può
salvaguardare il futuro dell'uomo.
35
La Sapienza divina è quel tessuto della bellezza dove la verità
si rivela come amore e l'amore non è un imperativo etico, un sogno
idealistico o romantico, ma una realtà realizzata su un volto preciso
che è quello di Cristo, vero Dio e vero uomo. E nella Sapienza divina
che l'uomo può contemplare e accedere ai tratti della verità percepiti
come bellezza che attira, che affascina, proprio perché si dischiude un
infinito tessuto di rapporti e corrispondenze. Nella Sapienza divina, in
questa bellezza affascinante che ci si rende vicina, che ci attira e ci si
rivela, noi possiamo contemplare l'unità di tutto in Cristo, e in Lui
contemplare l'unità di noi stessi. E nella pasqua che Cristo recupera
tutto dell'Adamo vecchio e lo rivela come luce e bellezza, cioè nella
totalità costituita dal nuovo Adamo. Nella pasqua tutte le notti, le
mancanze, le assenze, i vuoti, tutto ciò che è stato vissuto sulla base di
un principio di autoaffermazione—cioè nella menzogna, nell'illusione
e nella morte—viene rivisitato, illuminato, pulito, rivestito, assunto da
Cristo, Dio uomo. Tutto ciò che sanguinava adesso brilla come la neve
al sole, tutto ciò che era scarlatto adesso traluce di un biancore che
nessun lavandaio può riprodurre. Nel sacrificio pasquale si realizza la
bellezza nel vero senso del termine, cioè nell'amore che Cristo realizza
con la sua pasqua si attua l'unità del mondo in sé e con Dio. La Sa-
pienza che porta alla vita nella bellezza è la Sapienza del triduo
pasquale.
Dove troviamo questa Sapienza? La Sapienza divina è
quell'ambito personale della compagnia di Dio che è con Dio sin dai
primordi della creazione del mondo (cf Sap 9,9; Pr 3,19). Quando Dio
crea l'universo, la Sapienza già era con Lui e Lui creava con essa (cf
Pr 8,27). E un aspetto affascinante, dialogico, personale di Dio. Un
aspetto per un verso gioioso, di allegria, di festa. E dall'altro lato è un
aspetto agapico, di amore, di esuberanza di Dio, della sua voglia di
donare. Ha la caratteristica della gioia divina che invita, che organizza
banchetti, dove avviene l'incontro (cf Pr 8,30-31; 9,2). E una vicinanza
di Dio, una sorta di stanza di Dio, di sua abitazione così condizionata
da chi vi abita che ogni cosa ricorda quella Persona, ogni dettaglio ha
un nesso diretto con l'Abitante illustre. E una compagnia di Dio intel-
ligibile, capace di presentare e presentarsi nelle forme dell'architetto
privilegiato (cf Pr 8,30), è l'artista che trova il suo senso nel creare
attrattiva, che coinvolge tutti i sensi e tutta l'intelligenza della creatura.
La Sapienza divina è dunque una realtà a due registri: da un lato
appartiene a Dio
e, come dice la Scrittura, fa parte del mondo increato (cf Pr
8,23); dall'altro, poiché è l'espressione dell'esuberanza dell'amore di
Dio, Dio fa sì che essa riceva una forma e una dimensione crea- turale
(cf Pr 8,24). Fa compagnia a Dio che crea e pervade tutto ciò che Dio
crea. In questo senso, la Sapienza divina nel mondo creaturale diventa
accessibilità al mondo di Dio, al suo pensiero, al suo progetto di
creazione. Si può allora dire che la Sapienza custodisce in sé
1'"originale" della creazione, la memoria di come il mondo creato è
uscito dalle mani del Creatore. La Sapienza increata—ambito della
comunicazione tra le Persone divine, ambito dell'Amore delle Persone
trinitarie—proprio per questa sua verità ha come sua caratteristica
fondamentale la comunicazione. E infatti la Sapienza si comunica nel
creato e, nel registro della creaturalità, essa riveste il creato del fascino
dell'amore, della comunicabilità e dunque della bellezza.
37
sovrannaturale. Esse sono chiamate a comunicare
nello stesso bene della vita divina, ricevendone il
principio da qualcun altro: fatto nel quale è
permesso vedere un riflesso della vita divina
stessa, che è dono di una Persona ad un altra» (Y.-
M. Congar; La Tradition et les traditions, II, Paris
1963, p. 19).
39
Creatore e Salvatore e il cuore è l'organo in grado di comprendere e contemplare
questa immagine, di pensare questi ricordi, di fissarli. Nella Sapienza divina è
celata la memoria che comunica all'intelligenza del cuore quei ricordi spirituali
che diventano i criteri di riconoscimento di ciò che veramente giova alla vita
perché lo Spirito Santo possa realizzare in noi la figliolanza nel Figlio di Dio.
Solo nello sguardo unitario di cui è capace il cuore noi possiamo accogliere le
immagini della memoria, i ricordi di come siamo secondo la vocazione divina.
A questo senso dell'unità dell'organismo vivo, dell'amore, a questo senso del
cuore e della sapienza che favorisce, custodisce e realizza la vera vita degli
uomini, si può anche dare il nome di "coscienza", quella voce vigilante che si
fa sentire ogni volta che viviamo qualcosa che riguarda queste realtà. Questo
senso dell'amore come la realtà più personale e allo stesso tempo universale è
l'unità interiore che si esprime nella e attraverso l'unicità della coscienza,
dell'"io" personale.
Proviamo a sintetizzare: solo l'amore è veramente comunicabile e
intelligibile, e solo l'amore del Dio trino è la vita eterna, dove le relazioni non
si troncano, rimangono. Lo Spirito Santo all'ora della creazione ci comunica
quest'amore, che ci inabita come santa carità, come luce. In questo amore è
celato il mistero della nostra unità di persone e della nostra felicità. Il peccato
distrugge la persona, pervertendo l'amore in un egoismo esasperato, ma la
redenzione di Cristo risana, ricrea l'uomo nuovo e lo Spirito Santo ci rende
partecipi di questa salvezza facendoci vivere come figli nel Figlio. Nel suo
amore verso gli uomini, Dio ci dischiude i suoi misteri grazie alla sua Sapienza
che può comunicarci la conoscenza e la vita nello stesso atto. Nella Chiesa si
custodisce la santa memoria, la Sapienza dell'uomo redento che vive in Cristo.
L'uomo cresce contemplando con il cuore, organo dell'unità, la sua vera
immagine custodita dalla Sapienza divina nella Chiesa e comunicataci tramite
lo Spirito Santo che ci fa dono di questo amore. Con l'intelligenza del cuore noi
possiamo attingere alla memoria per avere i criteri per discernere che cosa giova
e che cosa ostacola l'essere veramente figli nel Figlio e il vivere da redenti nel
cammino della storia.
Quando allora la persona fa l'esame di coscienza, compie un atto di
preghiera in cui, invocando lo Spirito Santo, attivando l'intelligenza del cuore,
lo sguardo d'insieme, contempla il proprio vissuto—i gesti, gli atti, i pensieri, i
sentimenti, il volere, le sue relazioni—sullo sfondo della memoria e dei ricordi
precisi di come Cristo lo vede nel suo amore pasquale. Succede allora che—
come all'inizio ci diceva sant'Agostino nel brano riportato—la persona discerna
dicendo: no, non è questo, neanche questo, ma questo sì, questo coincide,
combacia, fa parte di me. Con l'esame, la persona scopre anche i vuoti, le man-
canze, cioè la vita vissuta in assenza di Dio. Vede i peccati. Nella preghiera
dell'esame ha allora la possibilità di rivisitare questi momenti dolorosi di buio e
di ritrovarli nell'amore salvifico di Cristo. La memoria della pasqua del Signore,
del suo amore folle per noi, muove il cuore alla supplica, al pentimento,
all'invocare la salvezza, al chiamare il nome del Signore. E la persona può così
ritrovare redento ciò che, umilmente, nel pentimento, offre a Cristo come non
redento. E quando le cose sono gravi e hanno un certo peso nella nostra adesione
a Cristo e in ciò che da Lui siamo chiamati ad essere, proprio nell'esaminarsi si
avverte il bisogno della Chiesa come luogo del perdono sacramentale.
Tutto quanto detto ci dischiude un'ulteriore visione del battesimo. Nel
battesimo, immersi nella vita di Cristo per lo Spirito Santo, è compiuta una
radicale identificazione di noi con Cristo, tanto che la nostra vita si ritrova nella
sua e Cristo già ci vede redenti. E se il vecchio Adamo ancora deperisce e cura
le ferite della carne di risurrezione del suo corpo corruttibile, è perché il dato
empirico, fenomenico, non corrisponde ancora alla realtà vera. Si apre così il
cammino della divinizzazione, un'"ascetica dell'amore" dove noi ci
divinizziamo nella misura in cui, immergendoci nella memoria del battesimo,
sempre più ci configuriamo alla nostra identità custodita dalla Sapienza di Dio.
41
che sono immagini concrete di noi stessi raccolte nella memoria della Sapienza
di Dio in Cristo. E siccome il Cristo sapienziale vive nella Chiesa, l'esame di
coscienza, benché possa sembrare una cosa intimista, attinge sempre alla
Chiesa, alla sua sapienza e alla sua santità. Infatti l'esame di coscienza si fa a
causa dell'amore, di quella santa carità che ci spinge ad essere sempre più
ecclesiali, cioè sempre più trinitari, in modo che l'umanità sia più pienamente
immagine di Dio. Ogni ascesi cristiana trova il suo senso nell'ecclesialità e il
suo fondamento nella Trinità. Non esiste un cammino di perfezionamento di se
stessi, se questo perfezionamento non significa un sempre maggiore
inserimento nell'organismo universale della Chiesa, della comunità. E la
dimensione ecclesiale, relazionale, l'ambito della dinamica che porta alla
perfezione.
Proprio perché il suo organo è il cuore—dunque ci si muove nelle
categorie della carità, della libera adesione, della convivenza, del saper rela-
zionarsi—, nella conversazione con il Signore si arriva spontaneamente ad
ammettere i peccati, le assenze, le illusioni. Il cuore infatti ci mantiene ! nella
relazione e la relazione confluisce sempre al volto. Ed è solo"di fronte al volto
che si percepisce il peccato nel modo giusto: un peccato che allora provoca il
pentimento, il pianto, la domanda di perdono, il rinnovo dell'impegno, del voto,
dell'alleanza. Davanti ad un elenco di leggi e di precetti, davanti a modelli e
forme di perfezione, l'uomo non è invitato al pentimento, alla conversione, alla
commozione d'amore perché graziato. Ci si muove allora su tutto un altro
livello, che evidentemente non può essere collocato all'interno
dell'impostazione teologica sopra esplicitata. Qui c'è una conversazione di
gratitudine, di ringraziamento, che spesso ci porta a dire delle parole belle, dolci,
al proprio Signore, a parlare bene di Lui a Lui stesso. Si finisce quindi come si
comincia, ma con un sempre più radicale riconoscimento di Dio, dandogli la
precedenza, la priorità, tutto il peso, l'onore, la gloria che gli conviene.
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come lo abbiamo descritto, cioè sullo sfondo della pasqua di Cristo, nella quale
avviene anche la mia personale salvezza, non solo la salvezza in senso generale.
E lì, su un principio di connaturalità con la pasqua, la memoria spirituale
riconosce o rifiuta come proprie le realtà che si rivisitano.
Rivivificare il vissuto
Quando, su questo sfondo della pasqua, scopro che ci sono degli atti,
degli atteggiamenti, dei pensieri che non erano stati vissuti con il Signore, che
non avevano un carattere pasquale, ma che erano stati vissuti nella distrazione,
nell'agitazione, o persino nell'autoaffermazione, nella posses- sività,
nell'egoismo, che cosa devo fare?
Abbiamo visto nella prima parte che c'è un passaggio, una continuità, tra
la memoria umana e l'eterna anamnesis di Dio, tra il semplice ricordo e il ricordo
efficace del Signore che rende presenti le cose ricordate. Capita di aver vissuto
dei momenti o degli atteggiamenti, delle occupazioni, senza una conscia
relazione con il Signore, senza aver accolto e curato la sua presenza, senza
essersi consegnati all'amore, piuttosto siamo rimasti da soli, secondo i nostri
criteri spesso non purificati, le nostre motivazioni non limpide, con la filautia
che penetra tutto... Sappiamo che quel vissuto è destinato a morire, a entrare
nella dimenticanza, a sparire. Si può trattare anche di £ una cosa lodata da tutti,
ma se non è stata fatta e vissuta nell'amore, nella presenza dello Spirito che dà
la vita, alla fine non ne resterà traccia, giacché solo l'amore rimane (cf ICor
13,8). Ma Dio guarda tutto con amore e segue con una infinita filantropia, con
una alleanza assolutamente fedele ogni persona creata a sua immagine. E nella
sua kenosis pasquale, nel suo Figlio, raggiunge e raccoglie tutto. Allora, in
questo senso, c'è anche una memoria di tutto ciò che abbiamo vissuto.
Nell'esame di coscienza, in questa preghiera particolare, ci è permesso chiedere
di entrare in questa memoria per recuperare il nostro vissuto, se in quel
momento lo ripassiamo aprendolo al Signore, narrandoglielo,
raccontandoglielo, indicandoglielo, offrendolo a Lui. Tutto ciò che non è stato
offerto, nell'esame di coscienza ci è data la possibilità di offrirlo.
Si può capire questo ancora meglio se ci ricordiamo l'episodio della
risurrezione di Lazzaro. Cristo ama Lazzaro, perciò si incammina verso Betania
per visitarlo. Ma quando arriva, Lazzaro è morto e Marta, la sorella di Lazzaro,
dice a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma
anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». E Gesù
le risponde: «Tuo fratello risusciterà... Io sono la risurrezione e la vita; chi crede
in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno»
(Gv 11,21-23.25). Questo significa che la presenza di Cristo è la vita, che tutto
ciò che è vissuto in relazione a Lui vive. Ma se accade che si viva in assenza del
Signore, ci è data la possibilità che succeda come a Lazzaro: benché fosse
morto, la relazione con il Signore lo ha risuscitato. Anche se le cose sono morte,
come dice il Signore, vivranno se sono con Lui, se lo si accoglie, se gliele si
affidano. Allora, nell'esame di coscienza, scoprendo delle cose morte, delle
assenze nell'amore, le apriamo al Signore consciamente, le raccontiamo a Lui,
perché Lui nella pasqua ci ha raggiunti, come ha raggiunto Lazzaro nella tomba.
In Gv 11, Cristo chiama Lazzaro fuori dalla tomba, ma il capitolo finisce con la
decisione dei sommi sacerdoti e dei farisei di uccidere Cristo, e nel capitolo
seguente Lui si incammina verso Gerusalemme dove morirà. Lazzaro esce
allora fuori dalla tomba perché Cristo vi entra. Non c'è buio, morte, notte così
fitta, peccati così orribili dove il Signore non sia già penetrato e da dove aspetta
che noi ripassiamo per aprire queste realtà a Lui. E in questa apertura a Lui, in
questo incontro, Lui ci comunica il suo sguardo e come vede questa realtà. Ecco
che la nostra memoria si arricchisce con dei ricordi della salvezza. Noi abbiamo
certe memorie degli episodi vissuti che, quando scopriamo come Cristo si
ricorda di loro, le nostre non tengono, vengono scartate. La sua memoria non è
fossilizzante, ma trasformatrice. L'amore trasfigura. Questo porta all'autentica
commozione religiosa, senza la quale, infatti, la fede diventa sterile, asciutta,
ridotta a mera esteriorità. E il cuore con la sapienza ecclesiale conosce meglio
di ogni altro giudice, come direbbe Cankar, quale cosa è il peccato per cui
bisogna inginocchiarsi nel sacramento della riconciliazione.
E solo la misericordia di Dio che ci muove ad una conversione giusta. Il
cambiamento durevole nel tempo è quello che facciamo spinti e attratti
dall'amore di Dio. Noi rimaniamo scossi quando, benché peccatori, benché
colpevoli di una determinata cosa, ci scopriamo amati da Dio così tanto che
Cristo è salito sulla croce anche per la nostra redenzione. La sorpresa di scoprirsi
amati è la più forte e radicale decisione di rinunciare al male e di abbracciare
una vita di virtù. Scoprirsi amati commuove, porta al pentimento, a riconoscere
il peccato, a confessarlo e a domandare perdono. Ed è l'amore con il quale il
Signore mi raggiunge la forza con cui mi difenderò in futuro dal peccato. La
volontà di migliorare, di non peccare più, la decisione di rinunciare al peccato
sarà efficace in modo sano solo se è fondata sull'amore nel quale mi sorprendo,
alle volte addirittura in lacrime. Scoprire il proprio peccato di fronte al volto del
Signore o addirittura avere la grazia di vederlo in Lui che l'assume, porta al
pentimento, e il pentimento ci fa stringere con più forza al Signore e alla Chiesa,
cioè alla comunità. Il pentimento fa tornare a casa. Mentre scoprire la propria
inadeguatezza davanti ad una legge—non davanti al volto dell'Autore della
legge—fa appesantire con la colpa, che porta ad isolarsi, a fuggire. Il senso di
colpa infatti danneggia, corrode.
In questo modo si può comprendere anche un altro elemento a cui
contribuisce questa particolare preghiera: l'esame di coscienza ci aiuta a co-
gliere le situazioni favorevoli alla vita spirituale e quelle invece che la
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ostacolano, che diventano occasioni di peccato, di tentazione. Ci permette così
di evitarle e di mettere in atto una vera e propria strategia spirituale.
Il discernimento
L'esame di coscienza così inteso fa parte dell'arte della custodia del cuore,
l'arte di aver cura della salvezza. E poiché è soprattutto un esercizio di
spiritualizzazione della memoria in un ambito sapienziale, cioè nel cuore, a cui
tutto l'uomo partecipa, è una familiarizzazione con il Signore, con la sua pasqua,
una memorizzazione del sapore e del gusto del suo amore sperimentato nella
salvezza. E chiaro allora che un esame di coscienza nel senso vero, spirituale, è
possibile solo grazie a quel momento fondante, a quell'evento con cui comincia
la parabola cristiana, cioè l'esperienza del perdono, della rinascita, della
salvezza. E per questo motivo che ci si osserva e si esamina se stessi sempre
nella chiave della salvezza vissuta. Su questo sfondo, l'esame di coscienza è
anche un primo ambito di discernimento. Nell'esame si fa attenzione ai pensieri
nuovi che ci vengono, soprattutto a quelli che ritornano più spesso, ai più
insistenti, come anche agli stati d'animo, ai sentimenti più espliciti, più forti, più
ripetitivi, alle persone che si incontrano e attraverso le quali ci giungono delle
ispirazioni. L'esame di coscienza è l'ambito di preghiera in cui io osservo ed
esamino queste cose. Conviene individuare ^ qualche pensiero, sentimento o
ispirazione, e portarlo con sé per più giorni, tornarvi durante ogni esame di
coscienza. E siccome in ogni esame di coscienza si cerca di vedersi con lo
Spirito Santo, con l'amore di Dio, con i ricordi reali della pasqua della nostra
salvezza, può succedere che questi pensieri si sentano in imbarazzo in questo
contesto. E infatti può accadere che spariscano. Il che significa che non erano
spirituali. Ma può anche succedere che alcuni rimangano. Stanno lì, umili,
sempre più luminosi, più familiari. Allora è da considerarli sul serio, da metterli
alla prova realmente, da isolarli e pian piano farli oggetto di una preghiera per
il discernimento, come descritta in II discernimento, voi. 1 (Roma 2000), pp.
67-76.
Ma un preliminare del discernimento avviene in un primo esercizio della
memoria, come in quella descrizione iniziale di sant'Agostino con cui siamo
partiti. Più ci si familiarizza con il Signore, con la sua pasqua, più si consolida
il sapore del suo amore, più la memoria è ripopolata da immagini concrete di
come Cristo ci vede e suggerisce all'intelligenza del cuore quali cose accettare,
quali lasciare, a quali non badare, quali fuggire, quali osservare... Per le persone
che hanno una vita spirituale ordinata, l'esame di coscienza offre importanti
spunti per il colloquio spirituale con il padre o la madre spirituale.
Spesso, nei colloqui spirituali, le persone si occupano del loro passato e
si inciampano nelle vie nebbiose della psiche, cercando spiegazioni e motivi a
tanti fenomeni, invece di occuparsi del loro divenire che coinvolge esattamente
tutto ciò che la persona è. A prima vista potrebbe sembrare che l'esame di
coscienza sia una preghiera nella quale ci si occupa esclusivamente del passato.
Ma siccome si tratta di esaminare i pensieri e i sentimenti, i progetti, le
ispirazioni, le intuizioni, in realtà è una preghiera con la quale si costruisce il
divenire della persona. In questo senso, l'esame di coscienza è più vicino ad una
medicina preventiva che ad un farmaco che guarisce il passato. Proprio sulla
base di questo esercizio, si raccoglie il contenuto che portiamo nei colloqui
spirituali per essere aiutati nel discernimento, fino a quando da soli r^on si
avverte più il rischio dell'inganno e dell'illusione. C'è infatti uno stretto legame
tra esame di coscienza, colloquio spirituale e confessione. Senza averne cura e
senza essere iniziati ad una sana prassi dell'esame di coscienza, i colloqui
spirituali scadono facilmente in pura consulenza psicologica, una cura della
psiche dal punto di vista della psicologia. Si può parlare della fede e di realtà
religiose, ma in ogni caso racchiusi nella psicologia. Non è facile arrivare ad un
colloquio che abbia per oggetto lo spirito, l'intendersi con Dio, l'adesione a Lui.
Tant'è vero che spesso anche i consigli che si ricevono sono riconducibili ad un
esercizio psichico, talvolta con sottolineature nel campo intellettuale, talvolta in
quello della volontà, ma che comunque riguardano una sorta di "igiene della
vita interiore" che ancora non può essere identificata con la vita nello Spirito
Santo. Proprio per questo motivo molti colloqui assumono spesso un carattere
terapeutico. Possono essere di estrema utilità e importanza, ma non sono ancora
colloqui spirituali.
E, a causa di un esame di coscienza non praticato o non fatto per bene,
anche la confessione diventa spesso un problema: o la persona non sa che cosa
confessare, o non sa perché confessarsi ad un sacerdote, oppure, se la
confessione è caricata troppo di un peso pedagogico, didattico— cioè è
indirizzata ad un miglioramento della vita—abbandona la confessione dopo
averla frequentata senza aver sperimentato alcun miglioramento. Un esame di
coscienza ridotto alla preparazione alla confessione ci fa anche individuare
alcuni peccati, ma non porta a quella relazione autentica personale verso Dio,
Signore e Salvatore. Dunque avviene spesso senza un reale pentimento,
limitandosi ad essere un mero elenco di imperfezioni, confessate per sentirsi più
a posto, o per alleggerire il peso psicologico della insoddisfazione, comunque
non con quell'atteggiamento penitente che ci porta a chiedere perdono a motivo
della relazione con Dio per la santificazione della nostra vita.
L'esame di coscienza che si apre alla paternità spirituale è una scuola
privilegiata per il discernimento, per acquistare lo stato orante che è il vero
ambito del discernere. Così cresce anche nella Chiesa un'attenzione al nuovo,
alla pentecoste perenne. L'esame di coscienza è un esercizio che nel piccolo
contribuisce a quella grande arte di discernere che è certamente l'ambito più
appropriato per sentire la voce dello Spirito che crea oggi, che suggerisce novità
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per l'oggi, che è la fecondità oggi. Dove "novità" non significa semplicemente
trovare forme e formule nuove, o fare cose nuove. L'esame di coscienza si
muove in un ambito sapienziale, dunque il nuovo riguarda soprattutto la
sapienza, la vita, quindi l'espressione del contenuto. Il "nuovo" sta soprattutto
nel vedere noi stessi e ciò che ci accade o che accade nella storia in una luce
nuova. Ogni cosa, se non è vista nella luce giusta, può apparire falsa, sbagliata,
estranea. La luce giusta fa accettare e amare realtà che magari poco prima, viste
in modo vecchio, venivano da noi combattute. E la luce giusta è esattamente
quella dello Spirito Santo che attraverso tale esercizio ci disponiamo ad ac-
cogliere.
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preziose agli occhi di Dio, tanto che Lui si è dato nelle loro mani. Questa è la
coscienza che l'esame accresce. Alle volte si può sfruttare l'esame anche per co-
scientizzare maggiormente alcune dimensioni della fede, del nostro
comportamento, del nostro agire. E si può protrarre per alcune settimane l'e-
saminarsi su qualche punto particolare dove la nostra coscienza di essere di
Cristo non è ancora consolidata, acquisita. Spesso è questa la dimensione che ci
può aiutare anche a prepararci alla confessione, perché la vera presa di
coscienza dell'amore di Dio avviene di sicuro nel perdono. E ci prepariamo
proprio contemplando l'amore folle di Dio per noi e, insieme, quella nostra
realtà che ancora si ostina e resiste all'amore, in modo che evidenziando il
peccato o la resistenza si susciti anche il pentimento necessario per una
riconciliazione sacramentale.
L'esame particolare
Quando si osserva un fiume, si vede che nel suo letto ci sono alcune pietre
lisce, pulite, che per questo possono sentire come scorre l'acqua su di sé. Ma ce
ne sono altre coperte di muschio e di fango, e che dunque con questo ostacolano
il fluire dell'acqua che scivola su di loro. Occorre allora andare a pulirle, in
modo che, libere dal fango, possano sentire lo scorrere dell'acqua. Lo stesso è
per l'esame di coscienza. In questa sempre maggiore presa di coscienza della
relazione vivificante con Dio, si scopre che ci sono certe zone in noi che
resistono di più, dove l'uomo vecchio si fa più facilmente sentire e si afferma
ancora. Oppure si è consci che la nostra memoria spirituale non può riconoscere
certi atteggiamenti che assumiamo come appartenenti alla nostra identità di
redenti, e tuttavia tali atteggiamenti ci chiamano ad accettare la salvezza anche
lì, ad accettarli su Cristo, a vederli in Lui, ad offrirli in modo che possano servire
all'amore ed essere spossessati dalla nostra filautia. Spesso si tratta di veri e
propri vizi, o di abitudini che rimangono in noi anche dopo il perdono, nate e
sostenute da una mentalità di peccato che continua ad agire in noi. Infatti spesso
ci è chiesto soprattutto un lavoro sulla mentalità, sul nostro modo di pensare. A
questo proposito i maestri spirituali suggerivano il cosiddetto "esame
particolare": dall'esame generale pian piano isoliamo una di queste zone non
penetrate ancora dall'amore, dallo Spirito Santo, e la poniamo sotto
osservazione per un periodo prolungato, esaminandoci su di essa con maggior
cura, con una premura maggiore, aprendo quella realtà ogni giorno al Signore,
in modo che pian piano divenga quasi il motivo principale del colloquio con
Lui, proprio perché ne parliamo così spesso. Di per sé stiamo osservando una
cosa negativa, ma parlandone frequentemente con il Signore, offrendogliela
così spesso, quella realtà negativa diventa il motivo del nostro stringersi a Lui,
del nostro chiamarlo, invocarlo, della coscientizzazione del nostro rapporto con
Lui. Forse anche dopo molto tempo non riusciremo a cambiare, ma siccome
quella realtà è ormai totalmente coinvolta nella preghiera, nelle umiliazioni
spirituali, nelle invocazioni, nelle lacrime, diventa una realtà spirituale, giacché
spirituale è tutto ciò che nell'azione dello Spirito Santo ci parla di Dio, ci orienta
a Lui, ci relaziona a Lui, ci rende simili a Cristo. Può darsi che alcune realtà non
si riescano a cambiare, neanche lungo gli anni. Ma se sono oggetto di questo
esame spirituale e rimangono causa di un rapporto serrato con Dio, succede che
perdono il veleno, come un serpente che rimane tale, ma è reso innocuo. Allora
gli altri se ne accorgono. La lotta spirituale giova sempre a tutti. E comunque
per noi cristiani la perfezione non consiste nel raggiungere una forma im-
peccabile, ma nel mistero pasquale, nel quale si consumano le sofferenze, i
dolori a causa dell'amore. Quanto uno soffre a causa di un qualche aspetto della
sua personalità o dei suoi atteggiamenti è nascosto nel mistero della pasquale la
portata del mistero di questa sofferenza celato nella pasqua è qualcosa che
conosce solo Dio. Costa molto convivere con i difetti, con le mancanze, con i
vizi, con le passioni, da cui non riusciamo a liberarci. La vera lotta spirituale—
che è un'arte della quale fa parte anche l'esame di coscienza e soprattutto l'esame
particolare—è un mistero dell'amore, e l'amore si realizza nella maniera del
triduo pasquale. A noi tocca stare lì, non ritirarsi, esaminarsi, chiedere,
supplicare, ritentare, riprovare. Ma il vero peso della salvezza e la vera portata
della grazia li scopriremo solo alla fine, quando il Signore verrà verso di noi in
un modo del tutto unico e sorprendente. E ci verrà incontro insieme ai fratelli e
alle sorelle che forse abbiamo ferito con le nostre zone oscure che, malgrado
abbiamo combattuto tanto, non siamo mai riusciti a sradicare, soffrendo anche
per il dolore delle persone che ci sono vicine. Ma il mistero dell'amore in cui
affonda ogni seria ascesi probabilmente ci farà una sorpresa quando vedremo
questi stessi fratelli e sorelle venirci incontro senza considerare il male ricevuto,
perché il Signore nella trasfigurazione lo ha trasformato anche per loro.
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Ponendo attenzione all'invocazione dello Spirito Santo, faccio scendere
con Lui la mia attenzione nel cuore. Cerco nel silenzio di raccogliermi nel cuore,
chiedendo allo Spirito di farmi cogliere il pensiero nel cuore, di poter pensare
con l'intelligenza del cuore, della carità. Entrare in questa dimensione del cuore
significa fare un atto di fede, di amore verso Dio, perché lo glorifico, lo
riconosco come mio Signore e mio Salvatore.
Sempre stretto nella preghiera allo Spirito Santo, attingo nel ricordo
spirituale, per vedermi come mi vede il Signore che mi ama così tanto che, per
farmi libero dal potere delle tenebre e della morte, si è offerto per me alle offese
del peccato, alla violenza, alla morte. Tutto questo perché io potessi
contemplare il suo volto di infinita bontà, di indescrivibile misericordia, per
vedere come tutto ciò che è da Lui assunto e penetrato dal suo amore sta
diventando una realtà bella, luminosa. Facendo memoria della redenzione in
Cristo e della manifestazione della gloria di Dio in Lui per me, rinnovo il grande
senso della mia vita. Senso che mi si presenta concretamente nei ricordi della
mia salvezza, realizzata in Cristo, spiegata nella sua Parola, nelle sue immagini,
che sono anche quelle dei santi, e offertami dalla Chiesa. Senso della vita che
può essere, ad esempio, espresso nel mio essere discepolo di Cristo, che resta
con Cristo sotto la croce e che per primo raggiunge la tomba vuota al mattino;
o che può essere racchiuso in una parola del Signore come, ad esempio,
«chiunque mi vuol servire, mi segua», ecc. Il grande senso è comunque incluso
nel rimanere con il Signore in un modo personale.
Stando nel cuore con lo Spirito Santo, ricordando la salvezza delPumanità
e mia in questa umanità, sullo sfondo di questi ricordi, percorro la giornata o
una sua parte. Posso intraprendere diverse strade: quella delle relazioni verso di
sé, le cose, le persone, Dio, il tempo; oppure gli incontri con le persone, il lavoro
svoltoci pensieri più significativi, più forti, più inquieti, i sentimenti più intensi,
come anche i desideri, le aspirazioni, i progetti... Mentre mi guardo in tutte
queste situazioni, con tutti questi stati e atteggiamenti, in un clima di preghiera
continuo a domandare al Signore, di cui faccio memoria spirituale, se questo
corrisponde a ciò che contemplo nella sua memoria, se questo è ciò che il
Signore vede quando guarda me. Giova molto, contemplando il mio grande
senso della vita, cioè la mia vocazione esplicitata nella redenzione, domandare
al Signore dove mi portano le cose che vivo, gli atteggiamenti che ho assunto
durante il giorno, dove conducono questi atti, incontri, pensieri... E la memoria
suggerisce subito alla ragione se queste realtà confluiscono in ciò che è la mia
verità o cominciano a fuorviarla, ad annebbiarla, creando tensioni, disordini,
separazioni. Comincio a ringraziare il Signore per tutto ciò che in qualche modo
mi ricorda di Lui e che vedo accrescere la mia identità, quella contemplata poco
prima nel grande senso della mia vita. Scoprendo le cose che non rientrano in
questo grande senso, le realtà che non sono state vissute in relazione con il
Signore, le riprendo ancora una volta e gliele racconto. Mentre gli espongo, se
necessario in dettaglio, quello che è accaduto, come mi sono sentito, come i
discepoli di Em- maus, lo contemplo nella sua massima rivelazione, che è quella
del triduo pasquale, perché in quell'evento Lui si rende più vicino ad ogni si-
tuazione umana e penetra con il suo amore ogni peccato ed ogni notte. E con la
potenza dello Spirito Santo vedo ora risorgere queste realtà proprio perché le
sto aprendo al Signore, che con la sua presenza le risuscita e le trasfigura. Mi
pento, domando perdono, rinnovo l'alleanza e, se necessario, decido di
confessarmi.
Se ho notato qualche pensiero nuovo, significativo, me lo ricordo, lo
raccomando particolarmente al Signore e glielo offro. E per alcuni giorni, a
questo punto dell'esame, mi soffermo su questo pensiero, domandando al
Signore come lo vede Lui, e ricordandomi sempre della mia identità, della mia
vocazione, del grande senso della mia vita, in modo che la memoria pian piano
guidi l'intelligenza nel capire se è da accettare, da considerare o no.
Considero ciò che ho messo sotto osservazione come esame particolare.
Mi soffermo cioè per un po' di tempo, quanto è necessario, per vedere quella
realtà su cui ho scelto per un periodo di porre particolare attenzione nella mia
lotta spirituale e nella mia maturazione. Se, ad esempio, ho messo sotto
osservazione la mia irascibilità, allora percorro la giornata con una attenzione
speciale a questo aspetto e, trovando dei momenti in cui è scattata la rabbia,
cerco dettagliatamente di spiegarli al Signore, chiedendo allo Spirito di
imprimere fortemente nella mia memoria lo sguardo del Signore mio Salvatore,
per ricordarmi sempre come Lui mi vede riguardo a questa irascibilità. Se la
cosa va avanti per tanto tempo, giova molto parlarne al Signore allargando la
problematica, per vedere quali mie realtà questa irascibilità implica, coinvolge.
Può giovare al riguardo il colloquio con il padre o la madre spirituale, qualche
lettura spirituale, qualche penitenza appropriata. Per quanto tempo? Fino a
quando non sento che questa realtà diventa impregnata del ricordo di Dio e che
l'irascibilità perde sempre più il veleno dell'egoismo, dell'autoaffermazione,
nocivo per le relazioni. Anche qui, a seconda della realtà che sto osservando, va
considerata l'eventuale necessità della confessione. Concludo con gratitudine,
ringraziando per la misericordia e la pazienza del Signore e dei fratelli e
chiedendo la luce, la grazia e l'amore.
Finisco chiedendo allo Spirito Santo di mantenermi in questo spirito di
intimità con il Signore e di conservarmi nel guardarmi con il cuore, per avere lo
sguardo giusto anche verso gli altri e verso il mondo.
NB: È evidente che, alla mattina, appena svegli, conviene subito orientare
la nostra attenzione al Signore, facendo la sua memoria, raccogliendoci nel
cuore, invocando lo Spirito Santo. Molto della giornata del cristiano dipende
dai primi istanti dopo il risveglio. Perciò conviene abituarsi a percorrere come
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un piccolo esercizio i primi punti dell'esame di coscienza, che sono i punti del
raccoglimento e dell'acquisizione dell'ottica giusta con la quale affrontare la
vita.
E consigliabile inoltre fare l'esame di coscienza prima di andare a letto,
come anche a metà giornata. Molti maestri spirituali ponevano una grande
attenzione al come si conclude la giornata, a come ci si corica. Gli ultimi
pensieri, gli ultimi sentimenti, le ultime immagini che ci accompagnano prima
di andare a riposare hanno una certa importanza per il nostro spirito durante la
notte. Come nell'esame di coscienza si rivisitano con il Signore le immagini più
forti, i sentimenti più violenti e più ambigui della giornata, in modo che non
abbiano più il veleno, così conviene non agitare la nostra coscienza negli ultimi
momenti prima di chiudere gli occhi.
I maestri spirituali, inoltre, consigliavano di fare frequentemente l'esame
di coscienza durante il giorno. Va da sé allora che l'esame di coscienza non può
prendere troppo tempo. Non è una preghiera lunga, è piuttosto il momento di
una forte coscienza di sé in Dio e di Dio nella propria vita. L'esame di coscienza
non è un esercizio scrupoloso, è piuttosto un'esperienza felice della redenzione,
dove si impara quel sano realismo che ci fa smitizzare i perfezionismi
moralistici, volontaristici, o psicologici, perché sperimentiamo la continua
grazia della trasformazione del nostro vissuto sul principio della morte e della
risurrezione di Cristo. Un esame di coscienza fatto in questo modo porta a ciò
che stava tanto a cuore a Dostoevskij, cioè essere liberi con Dio, sentirsi liberi
nella relazione con Lui in modo da poter vivere la libertà dei figli. E nel tempo
in cui viviamo la questione della libertà rimane in tutta la sua problematicità.
Possiamo tuttavia essere sicuri che se il mondo vedrà dei cristiani liberi perché
vivono nell'amore—di cui la libertà è l'elemento costitutivo—, questa è
quell'immagine di bellezza reale che affascina, che attira. Solo dei figli liberi
possono presentare e testimoniare la vera immagine del Padre.
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Ma c'è un altro modo che si potrebbe consigliare alle persone che non
sono battezzate e anche a coloro che, magari battezzati, si sono allontanati dalla
fede, dalla vita della Chiesa, da un rapporto vivo con il Signore, oppure che non
l'hanno ancora potuto vivere.
Abbiamo visto nel primo capitolo come ci sia una dimensione creaturale
della Sapienza. Nel film "Andrej Rublëv", Tarkovskij racconta la storia di un
ragazzo, figlio orfano di un maestro fonditore di campane, che riesce da solo a
fondere una campana senza che il padre gli abbia trasmesso l'arte per farlo. Il
padre gli aveva comunicato la passione e il ragazzo, avendo visto che la
campana si fonde colando il metallo fuso nella forma scavata nella terra, segue
l'intuizione forte che la terra stessa gli rivelerà il mistero di come fondere la
campana. C'è una memoria, c'è una sapienza che ha penetrato tutto il creato,
come dice sopra sant'Atanasio. C'è solo da ascoltarla, da instaurare un rapporto
reale, dialogico con la terra, e la terra ci parlerà. Noi sappiamo che tutto il creato
porta in sé nascosto il codice del Logos nel quale e per mezzo del quale è stato
creato (cf Col 1,16). Questo codice dice che nel creato è incisa la direzione,
l'orientamento, verso cui il creato vive il suo vero senso e significato. E un
codice che si dischiude a coloro che si pongono davanti al mondo in un
atteggiamento contemplativo. Quando allora una persona cerca di entrare
nell'ottica della carità, acquista quell'atteggiamento contemplativo che le
permette di scoprire il senso delle cose. Ma esiste anche una sapienza che si
concentra nella memoria degli uomini e che per noi confluisce soprattutto nella
Chiesa. E proprio questo il momento principale, quello della memoria
dell'umanità, cioè della Chiesa. Io posso risalire alla memoria che si rivelerà
come mia—quella vitale, quella efficace— proprio attraverso la memoria degli
altri. Io posso essere iniziato alla Sapienza aprendomi alla sapienza degli altri.
«Lo Spirito è la memoria viva della Chiesa» (CCC 1099). La Tradizione della
Chiesa non è un libro morto, non è la stratificazione di documenti d'archivio,
ma è la Sapienza organica che confluisce nel Cristo vivente. Gabriel Bunge ha
cercato un padre spirituale e lo ha trovato in Evagrio Pontico, morto più di 1500
anni prima. E Bunge, con Evagrio, diventa uno dei grandi padri spirituali di
oggi. Quella carità che lo Spirito Santo ha immesso in noi nell'ora della
creazione si fa sentire talvolta attraverso il fascino e l'attrazione che suscitano
in noi alcune realtà o persone spirituali, pure vissute in un lontano passato o a
grande distanza da noi. Cominciando a seguire questa attrazione, si può
instaurare un vero e proprio dialogo e, risalendo la memoria degli altri, giungere
alla soglia della propria memoria spirituale, cioè alla soglia dell'incontro con
Colui che ha plasmato la memoria spirituale della persona che io ho seguito. Un
tale risalire verso la conoscenza sulla base della memoria degli altri e della loro
sapienza, se è fatto in modo corretto, si contraddistingue per la gradualità della
crescita organica, per l'umiltà rispettosa, soprattutto nei giudizi su di sé e sugli
altri e per un sano movimento di incarnazione nella vita concreta, quotidiana.
Un cammino sapienziale evita inoltre i facili entusiasmi, il bruciare le tappe e
l'inorgoglirsi dei passi fatti.
Liberandoci dalle categorie troppo sociologiz- zanti nel comprendere la
Chiesa, troviamo proprio nella dimensione dell'ecclesialità l'ambito in cui ogni
persona può attingere alla sapienza e alla vita spirituale. L'ecclesialità abbraccia
il creato, la tradizione, il magistero, la comunità cristiana vivente. Chi non ha
un'esperienza personale della salvezza, ma la percepisce nelle persone che vivo-
no attorno a lui, può cominciare a "frequentare" il loro mondo, ad acquistare
quell'atteggiamento contemplativo senza pregiudizi, ma di constatazione, che lo
porterà ad intrecciare le relazioni con queste persone, con la Chiesa. Nella
comunità ecclesiale si celebra la liturgia, dove il mondo intero è ordinato alla
Chiesa, cosmo risuscitato con Cristo e sussistente in Lui: ecco l'ambito già
aperto in cui ciascuno può cominciare a seguire i fili di una trama già tessuta,
realmente esistente, spirituale, della quale si sentirà sempre più parte integrante.
La Chiesa in questo senso è la vera espressione di una fede nel Dio trino Amore,
il Dio della libera adesione che stabilisce il rapporto tra uomo e Dio nelle
categorie dell'amore e della relazione libera. La Chiesa è l'ambito della fede, del
discernimento e della libertà dei figli.
Tenendo conto di questo, una persona può cominciare a prendersi in
esame, ad esaminare il suo vissuto, tenendo conto della salvezza e del-
l'immagine dell'umanità negli occhi di Dio misericordioso, perché altri la
contemplano, ne partecipano, la conoscono. Questa persona cioè fa l'esame di
coscienza tenendo lo sguardo fisso sull'umanità redenta che altri le hanno
comunicato. Si esamina con l'apertura del cuore verso quella misericordia di
Dio che i santi hanno sperimentato. Ripercorre la sua giornata, la sua vita, nell'a-
pertura alla grazia trasformatrice del perdono che in altri ha visto e incontrato.
In questo modo comincia ad agire con il cuore, cioè con una mentalità
relazionale di carità, impastando la sua intelligenza nella contemplazione e nella
carità. E considerando gli altri, considerando la loro sapienza, arriva a sfiorare
un organismo vivente capace di autorivelazione, di comunicazione e di
coinvolgimento. Quell'organismo che è esso stesso all'origine di questo
movimento della persona e che suscita in lei la carità proprio tramite il fascino,
l'attrazione, il mistero, la bellezza, tutte categorie unite alla vita, al vissuto, alla
Sapienza.
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