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Aristotele: riassunto.

La Logica
LA LOGICA O ANALITICA
La logica per Aristotele non è una scienza ma il carattere di una disciplina
specifica. Esprime piuttosto il procedimento dimostrativo, di cui le scienze si
avvalgono. Il termine designa la dottrina del ragionamento rigoroso, detto
anche sillogismo. Il termine logica è probabilmente introdotto con gli stoici.
Aristotele usava invece il termine analitica. La parola Organon fu introdotta
da Alessandro di Afrodisia e letteralmente significa strumento di ricerca. A.
riflette sull’inferenza: date una o più premesse si giunga a una conclusione.
Perché ci sia un’inferenza valida questa può avvenire per induzione o
deduzione.

RAPPORTI TRA LOGICA E METAFISICA:


Le ricerche di logica in Aristotele si sono consolidate insieme a quelle
di metafisica. La logica ha come oggetto la struttura della scienza in
generale, che è infatti la stessa struttura dell’essere. Ecco perché tra
metafisica e logica v’è un rapporto necessario. L’ORGANON è l’insieme dei
testi che si occupano di logica. In particolare la logica:

1. del concetto/significato del termine è trattata nelle Categorie


2. delle proposizione nel testo Sull’interpretazione
3. del ragionamento o sillogismo negli Analitici primi e secondi.

I CONCETTI:
I Concetti sono gli oggetti (elementi semplici) del nostro discorso. Secondo
Aristotele (in ciò fedele a Platone) i concetti possono venir ordinati secondo
il genere e la specie. La specie è un concetto che ospita un maggior numero
di caratteristiche. Comprende, tuttavia, un minor numero
di individui (elementi sotto di esso). Il genere è contenuto dentro la specie.
Della specie dunque si dice che ha maggiore comprensione e minore
estensione rispetto al genere. Possiamo immaginare quindi di ordinare
l’essere in genere e specie troviamo in una piramide. Alla sommità porremmo
le Categorie (generi supremi dell’essere), alla base la specie
infima. Quest’ultima è detta anche individuo o sostanza prima, ed è in
parole semplici cosa singola, concreta. La sostanza prima (es. Giuditta) è
prima perché più vicina all’essere particolare. Dal punto di vista ontologico è
ciò che non può esistere in altro. Dal punto di vista logico è ciò che non si
predica di altro. Le sostanze seconde sono invece le specie e i generi entro
cui rientrano logicamente le sostanze prime. Per Aristotele soltanto le
sostanze prime sono sostanze in senso proprio, unione di forma e materia.

LE PROPOSIZIONI:
L’unione dei concetti secondo lo schema soggetto-predicato è
la proposizione. Può anche essere definita espressione verbale dei giudizi.
Per Aristotele la combinazioni di termini da luogo a enunciati apofantici, detti
anche asserzioni. Non prende quindi in considerazione altri tipi di enunciati
come le promesse, le preghiere etc. etc. Le proposizioni vengono distinte
innanzitutto per qualità: in affermative (l’attribuire qualcosa a qualcos’altro)
e negative (il separare qualcosa da qualcos’altro). Vengono altre sì distinte
per quantità universali, particolari e singolari, a seconda che il soggetto
della proposizione è appunto universale (es. “tutti gli uomini), particolare
(“alcuni uomini”) o singolare (“Giuditta”). I rapporti fra i diversi tipi di
proposizioni analizzati da Aristotele, vengono schematizzati dai filosofi
medievali nel quadrato logico.
Le proposizioni contrarie sono entrambe universali una affermativa e una
negativa quantitativamente identiche, ma qualitativamente
diverse. Non possono essere entrambe vere anche se possono essere
entrambe false (come nel caso dell’esempio fatto). Contraddittorie sono due
proposizioni che differiscono quantitativamente (universali e particolari)
e qualitativamente. Le due proposizioni escludendosi a vicenda devono
essere per forza una vera e l’altra falsa. Sub-contrarie sono le
proposizioni entrambe particolari anch’esse come
le contrarie quantitativamente identiche e qualitativamente differenti e
possono essere entrambe vere o entrambe false. Infine le sub-alterne sono
le proposizioni quantitativamente identiche
ma qualitativamente differenti. Stanno in un rapporto che è detto di
implicazione, dalla verità dell’universale deriva quella della proposizione
particolare, mentre non è vero il contrario.
IL SILLOGISMO:
Negli analitici primi Aristotele mostra la struttura dei
ragionamenti, concatenazioni di proposizioni. Quando semplicemente
affermiamo o neghiamo qualcosa intorno a qualcos’altro, stiamo esprimendo
qualcosa (proposizioni). Il ragionamento è invece un legare le proposizioni tra
loro in modo consequenziale. Il ragionamento si ha nei nessi fra le varie
proposizioni. E’ dunque “un discorso in cui poste talune cose (premesse)
segue necessariamente qualcos’altro (conclusioni) per il semplice fatto che
quelle cose sono state poste”. L’insieme delle premesse e le conclusioni che
derivano da esse è detto sillogismo, che è per Aristotele la forma del
ragionamento corretto.

SILOGISMO: date due premesse, segue necessariamente una conclusione.

La struttura del sillogismo:


Premessa maggiore:

Ogni animale (termine medio) è MORTALE (termine maggiore).

Premessa minore: Ogni uomo (termine minore) è un animale.

Conclusione: Ogni uomo è MORTALE .

Il sillogismo-tipo è una concatenazione di tre proposizioni. Le prime due


sono premesse (maggior e e minore) l’ultima, la conclusione. Nel sillogismo
si hanno poi tre termini (minore, medio e maggiore) che stanno per la
diversa estensione che i concetti esprimono. Il termine medio lega tra di loro
gli estremi (minore e maggiore) del sillogismo. Aristotele partendo da esempi
concreti arriva a formulare i diversi tipi di sillogismo (dette figure del sillogismo)
attraverso l’enunciazione delle loro strutture formali del tipo. (Es.: Se A
inerisce a B e B inerisce a C allora è necessario che A inerisca ad ogni C). Le
caratteristiche fondamentali del sillogismo sono il suo carattere mediato e il
suo carattere di necessita. Fondamentale è il ruolo giocato dal termine medio,
che nel sillogismo rappresenta la ragione che rende possibile la conclusione
(l’unione degli estremi opposti). La conclusione
scaturisce necessariamente dalle premesse. Ciò significa che il
ragionamento ha carattere i necessità e rappresenta la prova delle verità che
intendo dimostrare (approccio deduttivo).

IL PROBLEMA DELLE PREMESSE:


Aristotele è ben consapevole che la validità del sillogismo non coincide con
la sua verità. Se una delle due premesse infatti è falsa, sarà falsa anche la
conclusione. Questo anche se il sillogismo risulta formalmente corretto. Il
sillogismo scientifico è quello che conduce a
ragionamenti veri. Le premesse nel sillogismo scientifico sono
sono vere, prime, necessarie ,immediate, più note della
conclusione, anteriori ad essa e causa di essa. Serve a presentare le
conoscenze già acquisite, non presentarne nuove.

E’ necessario capire come si ottengono le premesse. Questo punto è controverso.


Sicuramente premesse vere sono quelle che fondano il ragionamento
(principio di non contraddizione, terzo escluso etc. etc.). Esse sono
però assiomi che non necessitano di vere e proprio dimostrazioni. Premesse
sono pure i principi propri di ogni scienza (essi sono propriamente le
definizioni). Le definizioni si ottengo enunciando di un dato concetto il genere
prossimo e la differenza specifica. La frase “l’uomo è un animale” sarà pertanto
sempre vera. Se le premesse si ottengono da definizioni. Ma come si
ottengono i rapporti tra genere e specie? La risposta è attraverso l’induzione.

Un procedimento grazie al quale dal particolare si ricava l’universale.


L’induzione empirica è però sempre imperfetta, perché per essere perfetta
dovrebbe contemplare tutti i casi particolari. Dal fatto che ho visto qualche
uomo bianco, potrei per esempio indurre per errore che tutti gli uomini sono
bianchi. Ecco perché Aristotele affianca ad essa l’intuizione razionale.
L’intuizione è la facoltà di cogliere immediatamente l’universale. Le verità
assolute non si inducono dal particolare, ma si intuiscono. L’esperienza
permette l’attivazione dell’intuizione. In questa visione permangono residui
della teoria meieutica di Platone.
LA DIALETTICA:
Il sillogismo è la forma di ragionamento che ha per oggetto il necessario.
La dialettica è invece una forma di ragionamento che partendo da
premesse possibili arriva a conclusioni possibili. Essa viene analizzata
nei Topici. Forma d’arte in cui si usa la dialettica e per esempio la Retorica.
Aristotele comune riconosce nella dialettica una ragionamento debole. I
suoi risultati hanno la possibilità di convincere, ma non di dimostrare.
Vengono invece confutati i ragionamenti eristici, ovvero quei ragionamenti le
cui premesse non sono né necessarie, né probabili, ma solo apparentemente
probabili.

Sillogismo scientifico: che ha come fine la conoscenza vera della realtà.

Sillogismo dialettico: muove da premesse generalmente ammesse, non


obbligatoriamente vere ma probabili, degne di fede. Serve per imporsi nella
discussione.

Sillogismo eristico: parte da premesse fallaci e giunge a conclusioni solo


apparentemente valide.

IL PROBLEMA DEI PRINCIPI PRIMI:


Qualsiasi dimostrazione prende via da premesse indimostrabili e
immediatamente evidenti. Esitono tre principi anapodittici a fondamento
della logica, che sono comuni a tutto sapere:

Il principio di identità;
Il principio di non contraddizione;

Il principio del terzo escluso;

Secondo Aristotele non si ha conoscenza innata dei principi primi: essi


possono essere appresi tramitte l’induzione o il sillogismo dialettico. Nel
primo caso, per garantire l’universalità, l’induzione che deriva
dall’osservazione del mondo sensibile, deve essere sostenuta dall’intelletto,
che costituisce una forma di conoscenza intuitiva superiore a quella fornita
dalla scienza. Nel caso del sillogismo dialettico, il punto di partenza è
costituito dalle opinioni autorevoli dei filosofi attorno a un determinato
principio, che sono messe alla prova per stabilire quale corrisponda alla
verità.
EPICUREISMO:
L’epicureismo si afferma con la morte di Alessandro Magno, che inaugura
l’Ellenismo. Il suo impero viene frazionato in una quantità di regni minori.
Ogni regno aspira all’egemonia. L’asse geopolitico viene spostato ad oriente.
Occorre adesso unire la cultura greca con quella orientale (koiné). In questo
contesto il ruolo delle polis greche viene notevolmente ridimensionato.
Anche il ruolo del cittadino greco e dell’uomo di cultura subisce la stessa
fine.
Il cosmopolitismo alessandrino produce perciò un individualismo. Produce
il distacco dalla vita politica della città. Una nuova ricerca di senso si riversa
anche in filosofia. I pensatori non sentono più l’esigenza di rivolgersi alla vita
pubblica o alla somma conoscenza delle cose. Tipico è piuttosto il
ripiegamento su se stessi e il piano problematico dell’esistenza. Diventano
fondamentali questioni di tipo etico, sula felicità, sul dolore, la virtù, ecc.
Atteggiamento comune sarà poi intendere la virtù e la felicità come distacco
dal mondo. La filosofia diventa allora una sorta di terapia dell’anima, una
filosofia di vita.

La scuola di Epicuro
Come le altre scuole formava un'associazione di carattere religioso. La
divinità al quale fu associata fu lo stesso fondatore della scuola. Alla scuola
potevano partecipare tutti anche le donne, giacché essa era fondata sulla
solidarietà e sull’amicizia dei suoi membri. Nessuno dei discepoli apportò
modifiche alla dottrina epicurea, che si mantenne fedele per tutta la sua
durata.

Epicuro vede nella filosofia la via per raggiungere la felicità, intesa come
liberazione dalle passioni. Essa è uno strumento che serve a risolvere
questioni esistenziale (cura dell’anima). È un farmaco per l’anima
(“quadruplice farmaco”). Serve a
• Liberare l’uomo dal timore per gli dei, dimostrando che essi per la loro
natura beata non si occupano delle faccende umane.
• Liberare l’uomo dal timore della morte, dimostrando che essa non è
nulla per l’uomo. “”Quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la
morte non ci siamo noi”.
• Dimostrare qual’è la corretta via che conduce al piacere
• Dimostrare la brevità e la provvisorietà del dolore.

L’epicureismo divide la filosofia in tre parti: canonica (legata con la fisica, tanto
da costituirne quasi una sezione di essa) fisica ed etica.

LA CANONICA
La logica o teoria della conoscenza vengono definiti canonica. Questo
perché Epicuro era interessato a fornire un criterio di verità per la
conoscenza (Canone per l’appunto). Criterio di verità sono: le sensazioni, le
anticipazioni, le emozioni.

La sensazione è prodotta dal flusso di atomi che si staccano dalla superficie


delle cose. Questo flusso produce immagini (eidola), da queste immagini
derivano le sensazioni. Dalle sensazioni derivano le rappresentazioni
fantastiche, che risultano dalla combinazioni di due o più sensazioni

Dalle osservazioni ripetute e conservate nella memoria derivano le


anticipazioni. I concetti servono ad anticipare la percezioni degli oggetti. Se
si dice uomo, noi richiamo alla mente attraverso la memoria la percezione
dell’immagine sensibile.

Il terzo criterio di verità è l’emozione, cioè il piacere, che costituisce la norma


per la condotta pratica della vita. Non è perciò un criterio logico, ma un criterio
pratico esistenziale.

LA FISICA
Come succedeva per la logica anche per la fisica l’epicureismo ricalca le
dottrine democritee sull’atomo.
La dottrina epicurea è perciò fortemente materialistica. Esclude la presenza
nel mondo di ogni anima o “principio” spirituale.

Essa è anche meccanicistica. Esclude qualsiasi finalismo. Spiega inoltre le


cose che sono attraverso il semplice movimento (casuale).

Epicuro afferma che tutto ciò che esiste è corpo, perché solo il corpo può
agire e subire. Di incorporeo viene riconosciuto solo il vuoto, in quanto è ciò
che permette ai corpi di muoversi. Ogni corpo per Epicuro è composto da
corpuscoli indivisibili (atomi). Gli atomi si muovono nel vuoto infinito dove si
urtano e si combinano tra loro. Il loro movimento è casuale, non obbedisce
ad alcun ordine provvidenziale, o finalistico, ma alle sole leggi della fisica.
Dato poi Che Epicuro ammette solo il movimento verticale, per spiegare
l’incontro degli atomi tra di loro, viene elaborata la teoria del clinamen
(deviazione casuale del movimento in linea retta).

Il rapporto con la religione


L’epicureismo in questo suo materialismo estremo, ammette tuttavia
l’esistenza degli dei. Poiché gli uomini hanno l’immagine della divinità, essa
deve esistere. Gli dei hanno la forma umana che è la più perfetta, si
intrattengono tra di loro in amicizia e occupano gli spazi vuoti fra mondo e
mondo. Ma non si curano né del mondo, né nell’uomo. Perciò il rispetto che
l’uomo deve al Dio non deve essere quello che deriva dal timore, ma quello
proprio della venerazione per la loro eccellenza.

L’anima è anch’essa corporea, composta da minuscole particelle che sono


diffuse in tutto il corpo. Tali particelle sono più sottili e rotonde delle altre e
perciò più mobili. Con la morte le particelle dell’anima si separano tra loro
annullando ogni possibilità di sensazione.
L’ETICA NELL’EPICUREISMO
Lo scopo della filosofia è etico, poiché il suo obbiettivo consiste nel
raggiungimento della felicità. La filosofia ha una funzione medicinale che
può aiutare l’uomo con il quadrifarmaco che cura i 4 mali principali:

• Paura della morte: consiste nella perdita della sensibilità quindi non
dobbiamo avere paura di qualcosa che non sentiamo
• Paura di non raggiungere il piacere e la felicità: il piacere non è
altro che equilibro interiore e soddisfacimento dei bisogni primari
• Paura degli dei: I dei non appartengono alla nostra dimensione quindi
non hanno motivi di fare affari nostri.
• Paura del male: Mali brevi: finisce con la fine del dolore e è di breve
durata. Mali lunghi: finisce con la fine della vita/perdita di sensibilità.

La felicità per l’epicureismo consiste nel piacere. Il piacere costituisce il


criterio di scelta. Esistono due tipi di piacere: stabile (come privazione del
dolore), e in movimento (che consiste nella gioia e nella letizia). La felicità
deriva da una completa privazione del dolore e quindi risiede nel piacere
stabile. Si definisce inoltre come atarassia (assenza di turbamento) e
aponia (assenza di dolore).

Il piacere per Epicuro è la pura e semplice distruzione del dolore. Questo


carattere negativo del piacere induce alla limitazione e alla privazione dei
piaceri vani, mentre solo i desideri e i bisogni necessari vanno appagati e
soddisfati.

Il calcolo dei piaceri consiste dunque nel rinunciare ai piaceri da cui si trae
un dolore maggiore e nel sopportare i dolori da cui deriva un piacere
maggiore. Le virtù e in particolare la saggezza, strumento per il
discernimento dei piaceri, si costituiscono come condizioni fondamentali per
il raggiungimento della felicità. Il bene è dunque strettamente legato al
piacere sensibile.

L’ esaltazione dell’amicizia e il rifiuto della politica:


L’amicizia per l’epicureismo è nata dall’utile ma costituisce di per se un bene
di cui gli uomini no possono privarsi. L’esaltazione della saggezza è invece
conforme alla linea epicurea del pensiero. Caratteristico è invece il rifiuto della
politica, in quanto essa è utile e vantaggiosa per l’utile ed il bene sociale, ma
fonte di turbamento nella vita del singolo e fonte di allontanamento dal
piacere.
STOICISMO:
Lo Stoicismo: la Storia
Il fondatore e i discepoli:
Il fondatore dello stoicismo fu Zenone di Cizio in Cipro vissuto verosimilmente
dal 336 263. Intorno al 300 a. C. Discepoli di Zenone furono Cleante, Crisippo
e Diogene.

Il nome Stoicismo:
La filosofia prende il suo nome dalla scuola fondata da Zenone portico dipinto
che in greco si dice Stoà poikilé, dove egli impartiva le sue lezioni e da cui
deriva il termine stoicismo (da stoà=portico).

La storia dello stoicismo viene divisa in 3 periodi: Stoicismo antico; stoicismo


medio; nuovo stoicismo anche conosciuto come stoicismo romano.

Il fine generale della filosofia:


Gli stoici cercano non già la conoscenza, ma la felicità che ritengono si possa
ottenere solo per mezzo della virtù. Egli però ritengono che per raggiungere
la virtù sia necessaria la scienza. Restano dunque nel solco tipico della
filosofia greca che sovrapponeva la dimensione logica, gnoseologica etica ed
estetica. Il fondatore stesso dello stoicismo, Zenone, riteneva indispensabile
la scienza per la condotta di vita. Egli, pur non riconoscendole un valore
autonomo, la includeva tra le condizioni fondamentale per la virtù. Il fine
della filosofia è raggiungere la sapienza. Questa è intensa come esercizio
della virtù. La virtù sono per gli stoici la naturale, la morale, la razionale,
anche la filosofia si dividerà in tre parti: la logica, la fisica e l’etica.
LA LOGICA
Era già stato Aristotele a dedicare alla Logica una spazio autonomo
all’interno della Filosofia. Ricordiamo come per lui questa fosse prima della
scienza, quale suo strumento, ma non scienza essa stessa. Per Aristotele
infatti la Logica non aggiungeva nulla di nuovo al sapere, ma era la condizione
di quello stesso sapere (il ragionamento). Si poneva con un suo spazio
autonomo e comprendeva la gnoseologia e la dialettica e la retorica.

L’autoevidenza come principio di realtà


Per logica nello stoicismo è intesa non solo come le regole formali del
pensiero, ma anche come i costrutti del linguaggio con i quali i pensieri
vengono espressi. Oggetto della logica quindi sono proprio i lògoi, ossia i
ragionamenti espressi in forma di proposizioni (lektà). I principi della logica
non sono dimostrabili in senso pieno. Sono piuttosto auto-evidenti.
Quest’ultima caratteristica è testimoniata dall’assenso che immediatamente
diamo nel rappresentarceli. Il principio di non contraddizione per esempio è
auto-evidente, riconosciuto immediatamente come tale.

Il sillogismo ipotetico
Ricordiamo che scienza per Aristotele era lo studio delle cause e dei principi
primi. Che il ragionamento scientifico era quello che partiva da premesse
vere e deduceva conclusioni altrettanto vere (sillogismo). Le premesse erano
poi originate dall’intuizione. Quest’ultima veniva richiamata alla memoria
dall’esperienza, ma non era essa stessa di origine empirica. In Aristotele
sopravvive dunque l’innatismo. Lo Stoicismo elabora invece un sistema più
complesso e diremmo anche più “moderno” di conoscenza. Introducendo
forme logiche nuove (ragionamento ipotetico-deduttico) anticipatrici del
metodo sperimentale tipico della scienza moderna. Da all’esperienza un
ruolo di contenuto materiale della conoscenza.

I momenti della conoscenza nello Stoicismo


Quest’ultima in particolare è determinata da
• un momento attivo, heghemonikòn. Consiste nelle anticipazioni
mentali. Previsioni basate su conoscenze già acquisite, ma in grado di
avere un ruolo di guida
• un momento uno passivo, hypàrchon, che è appunto il semplice dato
sensibile.

Guardando all’esperienza ipotizzo che determinati eventi non siano casuali,


per voi verificare l’ipotesi con l’esperienza. Vedremo che tale approccio e
fondato sulla struttura logica del “SE/ALLORA”, introdotta proprio dallo
stoicismo.

Per Zenone di Cizio l’evidenza-assenso riguardava unicamente la coscienza


interiore di sé stessi o autocoscienza. Con Cleante essa diventa comprensiva
anche della realtà esterna. Perché il Lògos è comune tanto al pensiero quanto
all’essere. Intuiamo in modo autoevidente tanto i principi del ragionamento
la logica, quanto quelli dell’essere.

Differenza tra deduzione e ragionamento ipotetico-


deduttivo
A partire dall’evidenza catalettica, che garantisce la corrispondenza con la
realtà, si struttura quindi la dialettica stoica. Quest’ultima, come anticipato
comporta un ampliamento di indagine del sillogismo aristotelico. Adesso
viene ora inteso in un senso non solo deduttivo, ma anche ipotetico. Nel
sillogismo Aristotelico vale la seguente concatenazione logica: “Tutti i corpi
luminosi produco luce, il sole è un corpo luminoso, il sole produce luce”.
Questo è un tipico esempio di ragionamento deduttivo. La conclusione è
infatti tratta dalle premesse e prescinde esperienza.

Nel ragionamento ipotetico invece vale la seguente concatenazione logica:


“Se è giorno c’è luce. E’ giorno, dunque c’è luce”. Una o più premesse
(lèmmata) (giorno e luce) vengono legate ad una premessa addizionale (il
fatto che adesso sia giorno) tratta dall’esperienza. Si giunge dunque a delle
conclusioni (epiphorá) che non sono interamente frutto del ragionamento
stesso, ma che hanno bisogno di essere corroborate dall’esperienza.
L’affermazione sarà vera infatti solo se effettivamente è giorno (ipotesi di
partenza). Mentre ricordiamo che nel primo caso la conclusione è sempre
vera, se sono vere le premesse.

Schema dei modelli di sillogismi nello stoicismo


• Proposizione condizionale: SE => “Se è giorno, c’è luce”
• Proposizione sub-condizionale: POICHÉ => “Poiché è giorno, c’è luce”
• Proposizione congiuntiva: E = > “Si è fatto giorno e c’è luce”
• Proposizione disgiuntiva: O (esclusiva) => “O è giorno, o è notte”

Tutti questi sono esempi di ragionamento che non sono sempre veri, ma che
come detto poc’anzi hanno bisogno dell’esperienza per essere verificati o
falsificati. Mediante lo studio dei connettori logici, gli Stoici hanno dato vita
altrimenti conosciuta come logica proposizionale.

Il linguaggio in cui si esprime questa logica tuttavia non era per gli Stoici
qualcosa di convenzionale. Doveva rispondere al più alto compito dell’uomo.
Questo consisteva nella contemplazione della verità, abbracciandola nella
sua totalità. Scopo finale della gnoseologia stoica era infatti quello di
rappresentarsi il corretto articolarsi del Lògos nel mondo. Era di coglierne
cioè la struttura razionale, in vista dell’agire virtuoso (katòrthoma).
LA FISICA
Il concetto fondamentale della fisica stoica è quello di un ordine immutabile,
razione, perfetto e necessario che governa tutte le cose. Ordine che è
identificato con Dio stesso, che è in tutte le cose. Questa visione è definita
panteismo: Dio in tutte le cose e non fuori da esse. Alle quatto cause di
Aristotele gli stoici sostituiscono due principi: principio attivo e principio
passivo. Il principio passivo è la sostanza spoglia di qualità, cioè la materia,
il principio attivo è la ragione/logos divino. La razionalità intrinseca a tutte le
cose, la loro piena realtà: Dio che agendo la materia produce gli esseri
singoli.

Tutto è corpo (materialismo)


Tuttavia alla distinzione tra passivo e attivo, non corrisponde quella tra
corporeo e incorporeo: solo il corpo esiste. In questo senso sono sostenitori
di un materialismo radicale. Corporea è dunque l’anima, corpo la voce, e
infine corpo è anche il bene come le emozioni e i vizi. I stoici ammettono solo
quattro generi di cose incorporee: il significato, il vuoto, il luogo e il tempo.

Tutto è animato (ilozoismo)


Esiste solo ciò che agisce o subisce un’azione.

Tutto e Dio (panteismo):


Neanche Dio dunque è incorporeo. E’ inteso quale ragione cosmica e causa di
tutto. E’ identificato dunque con il fuoco. E’ inteso però come soffio vitale e
ragione seminale (Logos spermatikòs). Dio rappresenta come già detto la
razionalità che è all’origine di tutte le cose e che contiene in sé i principi
generativi di tutte le cose. Come succede con il DNA, che esprime un codice
valido per tutti gli esseri viventi, che contiene in nuce l’intera complessità della
vita, così è il logos per gli Stoici: fiamma di vita che permea il tutto. Come le
parti di un essere vitale si sviluppano dal seme così ogni parte dell’universo
nasce dal suo proprio seme razionale o ragione seminale.
Tutto è ordine e finalità (finalismo):
La vita del mondo ha un ciclo. Quando, dopo un lungo periodo di tempo
(grande anno), gli astri tornano allo stesso segno e nella posizione in cui
erano al principio, accadrà una conflagrazione e una distruzione di tutti gli
esseri. Da seguirà di nuovo la formazione dello stesso ordine cosmico. E
questo ciclo si ripeterà in eterno. L’idea di una circolarità nello sviluppo del
tempo è tipica del mondo greco. L’idea di un “eterno ritorno” è la convinzione
che ogni istante si ripeterà esattamente identico all’infinito.

L’universo implode e ri-esplode infinite volte e ogni molecola, ogni frammento


di vita si ridispone esattamente allo stesso modo. Tutti gli eventi si
ripropongono identici allora stessi, infinite volte. Sulla base di questo ordine
rigoroso ogni fatto segue a un altro ed è necessariamente determinato da esso
come dalla sua causa (nulla avviene per caso). Questa catena non si può
spezzare come non si può spezzare l’ordine razionale del mondo. Esprime la
potenza inesorabile del destino, che è poi lo stesso Logos che permea tutte
le cose.

Tutto è bene (ottimismo metafisico):


Ciò che all’uomo appare come destino inevitabile per Dio è provvidenza.
Ogni cosa ha un suo fine razionale, ogni cosa è inserita in questo ordine
perfetto. Destino, provvidenza e ragione si identificano dunque fra loro e
a loro volta con Dio.

L’ETICA
Precetto fondamentale dell’etica stoica
Per lo stoico ogni essere tende ad attuare o conservare l’ordine perfetto
delle cose. Ciò avviene nell’uomo attraverso due forze che sono l’istinto e la
ragione. L’istinto condiviso con gli animali è lo spirito di conservazione. La
ragione è l’accordo dell’uomo con sé stesso e con la natura. Il precetto
fondamentale dell’etica è agganciare la razionalità del tutto, vivere in accordo
con se stessi e in conformità con gli eventi naturali.
Il Dovere
Vivere secondo natura, significa assecondare l’ordine razionale impresso dal
Dio, che si presenta all’uomo come destino ineluttabile o provvidenza.
L’azione che si conforma a quest’ordine è il dovere. L’etica stoica è dunque
un’etica del dovere (deontica). La prima che incontriamo nel mondo greco.
Se però il dovere è conformità alla razionalità che è nelle cose, soltanto il
sapiente è in grado di cogliere ciò che è giusto in quanto conforme al proprio
dovere. Sopravvive solo in parte l’intellettualismo etico di Socrate.

Il bene e la virtù
Una singola azione compiuta in conformità al proprio dovere non è ancora
segno di una condotta conforme al bene (una rondine non fa primavera). Il
bene è la disposizione uniforme e constante. E‘ un esercizio, un’educazione,
o habitus. Il bene non è un’azione, ma uno stile di vita.

La virtù come consapevole uniformità al dovere è pratica cui può accedere


attraverso l’esercizio. Tra la virtù e il vizio non vi sono vie di mezzo. Solo la
virtù come piena realizzazione è il sommo bene. Vi sono poi cose che sono
semplicemente indifferenti (la salute, il piacere, la bellezza, la ricchezza etc.
etc.) e infine cose che pur non essendo bene sono degne di essere scelte (che
hanno valore).

Teoria delle emozioni e apatia nello Stoicismo


Esistono per lo stoico quattro emozioni, che sono 1) la brama per ciò che si
vorrebbe avere la 2) letizia per ciò che si ha e poi 3) il timore per il mali futuri
e 4) l’afflizione per quelli presenti. Dalle prime tre emozioni il sapiente ricava
tre stati d’animo la 1) volontà, la 2) gioia e la 3) preoccupazione). Mentre 4)
l’afflizione è uno stato d’animo che appartiene solo allo stolto. Non esistono
mali di cui ci si debba dolere visto che tutte le cose che accadono sono frutto
di un progetto divinino e dunque un bene. La stoltezza consiste
nell’ignoranza, nel non saper cogliere la connessione del tutto in tutto ciò che
accade. La condizione cui il sapiente deve conformarsi per raggiungere la virtù
è dunque l’apatia, ovvero l’indifferenza rispetto a qualunque emozione.

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