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CAPITOLO 12

LO STATO DELLE ASPETTATIVE


A LUNGO TERMINE

Nel capitolo precedente abbiamo visto che il volume


dell’investimento dipende dalla relazione fra il tasso
d’interesse e la scheda dell’efficienza marginale del ca-
pitale corrispondente a diversi volumi dell’investimento
corrente, mentre l’efficienza marginale del capitale di-
pende dalla relazione fra il prezzo di offerta di un bene
capitale e il suo rendimento prospettico. In questo capi-
tolo esamineremo in maggior dettaglio alcuni dei fatto-
ri che concorrono a determinare il rendimento prospet-
tico di un bene.
Gli elementi su cui si basano le aspettative riguardo
ai rendimenti prospettici sono in parte fatti concreti che
possiamo considerare più o meno certi, e in parte eventi
futuri che possono soltanto essere previsti con maggio-
re o minore sicurezza.1 Fra i primi si possono annovera-
re la consistenza complessiva dello stock di beni capita-
li esistenti, la ripartizione di questi beni capitali fra varie
tipologie e l’entità della domanda esistente dei consuma-
tori per merci la cui produzione, se organizzata in modo
efficiente, richiede l’impiego di una quantità relativamen-
te elevata di capitali. Fra i secondi vi sono i futuri cam-
biamenti delle tipologie e della consistenza dello stock
di beni capitali, i mutamenti dei gusti dei consumatori,
l’evoluzione nel tempo della domanda effettiva nel cor-
so della vita dell’investimento considerato e le variazioni
dell’unità di salario in termini monetari che possono ve-
rificarsi nello stesso arco di tempo. Possiamo riassumere

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lo stato delle aspettative psicologiche che formano que-


sto secondo gruppo di fattori come lo “stato delle aspet-
tative a lungo termine”, distinte dalle aspettative a bre-
ve termine – esaminate nel cap. 5 –, sulla base delle quali
un produttore valuta ciò che potrà rendergli, una volta
finito, un bene che decide di cominciare a produrre oggi
utilizzando gli impianti esistenti.2

II

Sarebbe sciocco, nel formulare le nostre aspettative, at-


tribuire soverchia importanza a elementi che sono mol-
to incerti.a 3 È quindi ragionevole orientarsi soprattutto
in base ai fatti che possiamo prevedere con una certa si-
curezza, anche se magari, per la decisione che dobbia-
mo prendere, sono meno determinanti di altri su cui le
nostre conoscenze sono vaghe e insufficienti. Per questo
motivo i dati di fatto della situazione esistente influisco-
no in modo sproporzionato nella formulazione delle no-
stre aspettative a lungo termine, giacché generalmente si
tende a proiettare nel futuro la situazione esistente, mo-
dificandola solo nella misura in cui abbiamo più o meno
fondate ragioni per prevedere un cambiamento.
Lo stato delle aspettative a lungo termine, sul quale si
basano le nostre decisioni, non dipende quindi solo dal-
la più probabile fra le previsioni che possiamo formula-
re. Dipende anche dal grado di fiducia con cui facciamo
questa previsione – cioè da quanto riteniamo verosimile
che le nostre migliori previsioni si rivelino sbagliate. Se
ci attendiamo grandi cambiamenti ma siamo molto incer-
ti sulla precisa forma che questi cambiamenti assumeran-
no, allora sarà più debole la nostra fiducia.

a
Con «molto incerti» non intendo dire “molto improbabili”. Si veda
il mio Treatise on Probability, cap. 6 su The Weight of Arguments.

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Gli uomini pratici seguono con molta attenzione e mol-


ta ansia quello che chiamano lo “stato della fiducia”.4 Gli
economisti tuttavia non l’hanno mai analizzato accurata-
mente, e di norma si limitano a discuterne in termini ge-
nerali. In particolare non è stato mai detto con chiarezza
che la sua importanza nei problemi economici dipende
dal fatto che esercita una significativa influenza sulla sche-
da dell’efficienza marginale del capitale. Quest’ultima e lo
stato della fiducia non sono due fattori che influenzano
separatamente il tasso d’investimento. L’importanza dello
stato della fiducia risiede nel fatto che è uno dei principa-
li fattori che determinano la scheda dell’efficienza margi-
nale del capitale, la quale non è altro che la scheda della
domanda d’investimento.
Ma non vi è molto che si possa dire a priori sullo sta-
to della fiducia. Le nostre conclusioni in proposito non
possono che essere il frutto dell’osservazione concreta dei
mercati e della psicologia del mondo degli affari. Questa
è la ragione per cui la digressione che segue si colloca su
un diverso livello di astrazione rispetto a buona parte di
questo libro.
Per comodità di esposizione, nella disamina dello sta-
to della fiducia che svilupperemo partiremo dall’ipotesi
che non vi siano variazioni del tasso d’interesse; e nel cor-
so delle sezioni seguenti faremo come se le variazioni del
valore degli investimenti siano dovute esclusivamente a
mutamenti delle aspettative dei loro rendimenti prospet-
tici e non a variazioni dei tassi d’interesse ai quali tali ren-
dimenti vengono capitalizzati. È facile, peraltro, sovrap-
porre gli effetti delle variazioni del tasso d’interesse agli
effetti dei mutamenti dello stato della fiducia.

III

Il fatto saliente è l’estrema precarietà delle conoscen-


ze su cui dobbiamo basare le nostre valutazioni dei ren-

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dimenti prospettici. La nostra conoscenza dei fattori che


concorreranno a determinare il rendimento di un inve-
stimento di qui a qualche anno è in genere molto limi-
tata, e spesso irrilevante. Per dire con franchezza le cose
come stanno, dobbiamo riconoscere che le conoscenze
su cui possiamo basare la stima del rendimento fra dieci
anni di una ferrovia, di una miniera di rame, di una fab-
brica di tessuti, di un brevetto in campo sanitario, di un
transatlantico o di un edificio londinese nella City sono
molto limitate, e a volte nulle. Ma questo vale anche per
una stima a cinque anni. Di fatto, coloro che si cimenta-
no seriamente in queste stime sono spesso una minoran-
za così esigua che i loro comportamenti non hanno alcu-
na incidenza sull’andamento del mercato.
In passato, quando la proprietà delle imprese face-
va prevalentemente capo a coloro che le avevano avvia-
te, ai loro sodali e ai loro soci, l’investimento dipendeva
dal fatto che vi fosse un numero sufficiente di persone
dal temperamento ottimista e dinamico che si gettavano
negli affari per scelta di vita, senza fare realmente asse-
gnamento su un calcolo preciso delle prospettive di pro-
fitto. Gli affari erano in parte delle lotterie, quantunque
l’esito finale fosse ampiamente determinato dal fatto che
i manager avessero doti di talento e di carattere supe-
riori o inferiori alla media. Alcuni sarebbero falliti, altri
avrebbero avuto successo. Ma anche a cose fatte, nessu-
no avrebbe potuto dire con certezza se i risultati media-
mente ottenuti in rapporto alle somme investite erano
stati maggiori, uguali o inferiori al tasso d’interesse cor-
rente, sebbene sia probabile che, se si esclude lo sfrutta-
mento delle risorse naturali e i monopoli, i risultati medi
effettivi degli investimenti si siano rivelati deludenti ri-
spetto alle speranze che li avevano suscitati. Gli uomini
d’affari si cimentano in un gioco che è un misto di abili-
tà e fortuna, i cui risultati medi per i giocatori non sono
noti a coloro che vi prendono parte. Se la natura uma-

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na non fosse attratta dall’idea di sfidare la sorte o non


avesse il gusto di costruire (indipendentemente dal pro-
fitto) una fabbrica, una ferrovia, una miniera o una fat-
toria, il freddo calcolo di per sé non produrrebbe certo
cospicui investimenti.
Nel modello tradizionale di impresa privata le decisio-
ni di investimento erano tuttavia largamente irrevocabi-
li, non solo per la collettività nel suo insieme, ma anche
per il singolo. Mentre con la separazione fra proprietà e
gestione oggi predominante,5 e con lo sviluppo di mer-
cati finanziari organizzati, è entrato in gioco un nuovo
fattore di grande importanza, che talvolta facilita l’inve-
stimento, ma che può anche aumentare pericolosamente
l’instabilità del sistema. In assenza di mercati finanziari
dei titoli, non ha senso procedere a un riesame frequen-
te del valore di un investimento in cui ci siamo impegna-
ti. La Borsa invece procede quotidianamente a una stima
del valore di molti investimenti, e questo riesame offre al
singolo (anche se non alla collettività nel suo insieme) la
frequente opportunità di riconsiderare la propria posizio-
ne. È come se un agricoltore, consultato il barometro la
mattina dopo la prima colazione, fra le 10 e le 11 potes-
se decidere di rimuovere dal settore agricolo il suo capi-
tale, per poi valutare se ritornarvi magari qualche giorno
dopo. Ma il quotidiano riesame del valore degli investi-
menti da parte della Borsa, benché abbia lo scopo prima-
rio di facilitare il trasferimento dei vecchi investimenti da
un individuo all’altro, finisce inevitabilmente per esercita-
re un’influenza decisiva sull’ammontare degli investimen-
ti correnti. Non ha senso, infatti, dare vita a una nuova
impresa se questo comporta un costo maggiore rispetto
all’acquisto sul mercato di un’impresa già esistente con
caratteristiche analoghe, mentre vi può essere un incen-
tivo a spendere per un nuovo progetto anche una som-
ma che può sembrare sproporzionata se l’impresa cui fa
capo può essere quotata in Borsa, dando luogo a profitti

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immediati.a Certe categorie di investimenti sono dunque


governate dalle aspettative medie degli operatori di Bor-
sa – rivelate dai prezzi delle azioni – piuttosto che dal-
le pure aspettative dell’imprenditore di professione.b Ma
come avvengono, in pratica, queste importanti revisioni
giorno per giorno, o addirittura ora per ora, del valore
degli investimenti in essere?

IV

In pratica si è tacitamente convenuto di ricorrere gene-


ralmente a quella che, in realtà, è una “convenzione”. L’es-
senza di questa convenzione – anche se naturalmente la
cosa non è proprio così semplice – consiste nell’ipotizzare
che l’attuale stato di cose si prolungherà indefinitamente
nel futuro, a meno che non vi siano specifiche ragioni per
attendersi un cambiamento. Ciò non significa credere ve-
ramente che le condizioni oggi esistenti possano prolun-
garsi indefinitamente nel futuro.6 Per consolidata esperien-
za, sappiamo che questo è estremamente improbabile. È

a
Nel mio Treatise on Money (vol. II, p. 195) ho sottolineato che
quando le azioni di una società hanno quotazioni molto alte, così
che si possono raccogliere ulteriori capitali emettendo nuove azioni
a condizioni favorevoli, si ha lo stesso effetto che si otterrebbe se la
società potesse prendere a prestito a un tasso d’interesse più basso.
Potrei ora descrivere una situazione di questo genere dicendo che
una quotazione elevata delle azioni esistenti dà luogo a un aumen-
to dell’efficienza marginale del corrispondente bene capitale, e ha
quindi lo stesso effetto di una riduzione del tasso d’interesse (dato
che l’investimento dipende da un raffronto tra l’efficienza margina-
le del capitale e il tasso d’interesse).
b
Questo, ovviamente, non si applica a quelle categorie di imprese
che non sono facilmente vendibili sul mercato o alle quali non cor-
rispondono puntualmente titoli negoziabili. Un tempo le imprese
che rientravano in questa tipologia erano molto numerose. Ma la
loro importanza, in rapporto all’entità complessiva dei nuovi inve-
stimenti, si sta riducendo rapidamente.

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molto raro che i risultati effettivi di un investimento cor-


rispondano, nel corso di un lungo periodo di tempo, alle
attese iniziali. Né possiamo spiegare su basi razionali il no-
stro comportamento argomentando che per una persona in
condizioni di ignoranza la probabilità di errore in un sen-
so è uguale a quella di errore nel senso opposto, di modo
che l’aspettativa media sarebbe basata, da un punto di vi-
sta attuariale, sull’uguaglianza delle probabilità. Si può fa-
cilmente dimostrare che l’ipotesi di probabilità aritmetica-
mente uguali basate su uno stato di ignoranza conduce a
conclusioni assurde. In realtà ciò che stiamo ipotizzando
è che la valutazione corrente di mercato, comunque vi si
sia pervenuti, è l’unica stima corretta a cui si può giungere
sulla base delle nostre conoscenze dei fatti che influiran-
no sul rendimento dell’investimento, e che questa stima
cambierà solo in proporzione ai cambiamenti che inter-
verranno in questa conoscenza, benché, da un punto di
vista filosofico, non possa essere in assoluto l’unica cor-
retta, dal momento che le nostre attuali conoscenze non
offrono una base sufficiente per il calcolo di un’aspettati-
va matematica. In realtà nelle valutazioni di mercato rien-
trano considerazioni di ogni genere che non hanno nulla
a che fare con i rendimenti prospettici dell’investimento.
Nondimeno, finché possiamo fare assegnamento sul fatto
che la convenzione non venga meno, questo metodo con-
venzionale di calcolo è compatibile con una sostanziale
continuità e stabilità degli affari.
Infatti, se esistono mercati organizzati per la negozia-
zione di titoli di investimento, e se possiamo fare assegna-
mento sul fatto che la convenzione non venga meno, un
investitore potrà legittimamente trarre incoraggiamento
dal pensiero che l’unico rischio che corre è che le circo-
stanze possano davvero subire, in un futuro molto prossi-
mo, un cambiamento sulla cui eventualità egli stesso può
cercare di formarsi un’opinione, e che comunque proba-
bilmente non sarà molto marcato. Supponendo infatti che

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Capitolo 12 177

la convenzione resti valida, questi sono gli unici cambia-


menti che possono influire sul valore del suo investimen-
to, e quindi non deve certo perdere il sonno solo perché
non ha idea di ciò che il suo investimento potrà valere fra
dieci anni. Così per il singolo investitore l’investimento
diventa ragionevolmente “sicuro” nel breve periodo, e
dunque per una successione di brevi periodi più o meno
numerosi, se può confidare con una certa sicurezza che
la convenzione non venga meno, e che quindi sia per lui
possibile rivedere le proprie valutazioni e modificare il
proprio investimento prima che siano intervenuti cambia-
menti eccessivi. In questo modo investimenti che per la
collettività sono “fissi” divengono “liquidi” per il singolo.
Sono certo che lo sviluppo dei nostri principali merca-
ti finanziari sia avvenuto secondo una modalità di questo
tipo. Ma nello stesso tempo non ci si può sorprendere che
una convenzione così arbitraria, se la si guarda con obietti-
vità, abbia molti punti deboli. Ed è alla sua precarietà che
va imputata una parte non piccola dei nostri attuali pro-
blemi nel garantire un sufficiente volume di investimenti.

Possiamo menzionare brevemente alcuni dei fattori che


accentuano questa precarietà.
1. Per effetto del graduale aumento, nell’investimento ag-
gregato della collettività, della quota di titoli azionari pos-
seduti da persone che non hanno responsabilità diret-
te di gestione né hanno una specifica conoscenza delle
condizioni attuali o delle prospettive dell’affare in que-
stione, è molto diminuito il peso della conoscenza del-
la realtà nella valutazione degli investimenti da parte di
coloro che ne sono titolari o che valutano se divenirlo.
2. Le fluttuazioni quotidiane dei profitti degli investimen-
ti esistenti, pur essendo ovviamente fenomeni effimeri
scarsamente significativi, tendono ad avere un’influenza

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178 Teoria generale

eccessiva – e per certi versi assurda – sugli andamenti


del mercato. Si dice per esempio che le quotazioni delle
azioni delle società americane che producono ghiaccio
tendano ad aumentare in estate, quando vi è un effetto
stagionale sui loro profitti, rispetto all’inverno, quan-
do il ghiaccio non si vende. Un giorno festivo può far
lievitare di molti milioni di sterline il valore di merca-
to delle ferrovie britanniche.
3. Una valutazione convenzionale che è il risultato della psi-
cologia collettiva di un gran numero di persone scarsa-
mente informate è soggetta, in assenza di convinzioni ra-
dicate che possano assicurarle la stabilità, a cambiamenti
violenti per via delle improvvise oscillazioni di opinione
dovute a fattori che in realtà contano poco dal punto di
vista delle prospettive di rendimento di un investimen-
to. In particolare, in condizioni anomale, quando appare
meno plausibile del solito l’ipotesi che la situazione cor-
rente possa prolungarsi indefinitamente in futuro, anche
se non vi sono elementi specifici che consentano di pre-
vedere quale sarà effettivamente il cambiamento, il mer-
cato andrà soggetto a ondate irrazionali di ottimismo e
di pessimismo, legittimate però dal fatto che non esisto-
no le basi per una ragionevole previsione del futuro.
4. Ma vi è un aspetto, in particolare, che merita la nostra
attenzione. Si sarebbe potuto ritenere che la concor-
renza fra operatori professionali esperti, dotati di cono-
scenze e di capacità di giudizio ben maggiori di quelle
dell’investitore medio, possa correggere gli sbanda-
menti tipici di una persona scarsamente informata ab-
bandonata a sé stessa. Avviene invece che le energie e
l’abilità dell’investitore e dello speculatore professio-
nale vengano impiegate in tutt’altro modo. La mag-
gior parte di loro, infatti, non si sforza di formulare
le migliori previsioni a lungo termine circa il probabi-
le rendimento di un investimento nel corso dell’intera
sua vita; cerca invece di prevedere i cambiamenti del-

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Capitolo 12 179

la base convenzionale di valutazione degli investimenti


un momento prima che lo faccia il vasto pubblico. Non
si domandano quindi quanto valga davvero un investi-
mento per una persona che lo acquisti per conservarlo
“per sempre”,7 ma quanto il mercato, sotto l’influen-
za della psicologia di massa,8 lo valuterà fra tre mesi o
fra un anno. Né si può dire che questo comportamen-
to sia frutto di un atteggiamento sbagliato. È l’inevita-
bile risultato di un mercato finanziario organizzato nel
modo in cui si è detto. Non è ragionevole infatti paga-
re 25 per un investimento il cui rendimento prospetti-
co giustificherebbe un valore di 30, se sei altresì con-
vinto che fra tre mesi il mercato lo valuterà 20.
Dunque l’investitore professionale è costretto a cercare
di scoprire in anticipo quelle notizie o quegli imminen-
ti cambiamenti di atmosfera da cui si sa per esperienza
che la psicologia collettiva del mercato è più fortemente
influenzata. Questo è l’inevitabile risultato di mercati fi-
nanziari organizzati in vista della cosiddetta “liquidità”.
Sicuramente nessuno fra i precetti della finanza ortodos-
sa è più antisociale del feticcio della liquidità: la dottrina
secondo la quale è una virtù positiva, per gli organismi
che si occupano di investimenti, concentrare le proprie
risorse nel possesso di titoli “liquidi”. Questa dottrina di-
mentica che per la collettività nel suo insieme la liquidi-
tà dell’investimento è qualcosa che non esiste. Lo scopo
sociale di un investimento fatto da un esperto dovrebbe
essere quello di sconfiggere le forze oscure del tempo e
dell’ignoranza che avviluppano il nostro futuro. Oggi in-
vece l’effettivo, privato scopo degli investitori più abili è
quello di “battere sul tempo il colpo di pistola”,9 come
dicono gli americani, di mettere nel sacco la gente e di
rifilare ad altri la moneta cattiva o svalutata.
Questa gara di astuzia fra chi meglio indovina le basi di
quella che sarà la valutazione convenzionale fra qual-
che mese, piuttosto che il rendimento prospettico di

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180 Teoria generale

un investimento in un lungo arco di tempo, non richie-


de neppure un pubblico di gonzi che cadano nelle fau-
ci di professionisti senza scrupoli. Il gioco può essere
condotto tra professionisti. E non è neppure necessario
che vi sia qualcuno che persista nel credere, ingenua-
mente, che la base convenzionale di valutazione abbia
una qualche validità a lungo termine. Perché quello di
cui si tratta è, per così dire, un gioco come Snap,10 o
l’uomo nero, o le sedie musicali – un gioco in cui vin-
ce chi grida «Snap!» né troppo presto né troppo tar-
di, o chi è riuscito a rifilare l’uomo nero al vicino pri-
ma della fine del gioco, o che riesce ad assicurarsi una
sedia nel momento in cui la musica cessa. Sono giochi
che possono essere giocati con gusto e con piacere, an-
che se tutti i partecipanti sanno bene che è in circola-
zione l’uomo nero, o che alcuni giocatori, quando la
musica cesserà, resteranno senza sedia.
Oppure, per ricorrere a una metafora leggermente di-
versa, l’investimento professionale può essere parago-
nato a uno di quei concorsi indetti dai giornali nei quali
si devono scegliere i sei volti più belli fra cento fotogra-
fie, e in cui il premio va al concorrente che si avvicina
di più alla media delle preferenze di tutti i concorrenti,
cosicché ciascuno dei partecipanti non deve scegliere i
volti che ritiene più belli, ma quelli che possano piacere
di più agli altri concorrenti, i quali affrontano il proble-
ma esattamente nello stesso modo. Non si tratta quindi
di scegliere quelli che, sforzandosi di esprimere un giu-
dizio molto meditato, appaiono come i volti effettiva-
mente più belli, e neppure quelli che l’opinione media
ritiene davvero i più belli. Siamo giunti a un giudizio
di terzo grado, in cui applichiamo la nostra intelligen-
za nel prevedere che cosa l’opinione media riterrà pos-
sa essere l’opinione media. E credo che vi siano perso-
ne che si spingono a un quarto, quinto grado e oltre.
Il lettore potrebbe obiettare che una persona esperta,

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Capitolo 12 181

capace di rimanere impassibile di fronte al gioco domi-


nante, che continui ad acquistare titoli di investimento
sulla base delle più accurate previsioni a lungo termi-
ne, otterrà sicuramente lauti profitti a spese degli altri
giocatori. Gli si può rispondere, in primo luogo, che
esistono certamente persone serie con queste caratte-
ristiche, e che vi è una notevole differenza se nel mer-
cato queste persone hanno un’influenza predominan-
te rispetto ai giocatori d’azzardo. Ma dobbiamo anche
aggiungere che vi sono molti fattori che mettono a re-
pentaglio il predominio di questo tipo di persone nei
moderni mercati finanziari. Un investimento basato su
autentiche aspettative a lungo termine oggi è talmente
difficile da risultare quasi impraticabile. Chi ci prova
vive certamente giorni molto più faticosi e corre rischi
maggiori rispetto a chi cerca di capire meglio della mas-
sa il modo in cui la massa si comporterà, e, a parità di
intelligenza, può incorrere in errori molto più disastro-
si. L’esperienza non offre alcuna chiara dimostrazione
che una politica di investimenti socialmente vantaggio-
sa coincida con quella più proficua. Ci vuole maggiore
intelligenza per sconfiggere le forze del tempo e dell’i-
gnoranza che non per “battere sul tempo il colpo di pi-
stola”. E poi la vita è troppo breve, ed è nella natura
umana il desiderio di ottenere in fretta dei risultati; c’è
un gusto particolare nel far soldi rapidamente, e i gua-
dagni più lontani nel tempo sono scontati dall’uomo
medio a un tasso molto alto. Il gioco dell’investimento
professionale è insopportabilmente noioso e spossante
per chi sia del tutto sprovvisto dell’istinto del giocato-
re d’azzardo; mentre chi ne è dotato deve pagare il giu-
sto scotto per questa propensione. Inoltre un investito-
re che si proponga di ignorare le fluttuazioni di breve
periodo dei mercati deve disporre, per operare con si-
curezza, di maggiori risorse, e deve evitare, se non del
tutto almeno in gran parte, di ricorrere a capitali pre-

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182 Teoria generale

si a prestito – ulteriore motivo per un rendimento più


alto, a parità di intelligenza e di risorse, per chi prati-
ca il gioco. Infine è l’investitore a lungo termine – os-
sia quello che più promuove il pubblico interesse – a
rischiare in pratica di finire sotto il fuoco delle critiche
in tutti i casi in cui i capitali da investire siano ammini-
strati da comitati o consigli di amministrazione o istitu-
ti bancari.a Questo perché per forza di cose il suo com-
portamento tende ad apparire, agli occhi dell’opinione
comune, come un comportamento eccentrico, anticon-
venzionale e sostanzialmente avventato. Se ha succes-
so, questo non fa che confermare la convinzione gene-
rale circa la sua avventatezza, ma se nel breve periodo
non ha successo, il che è molto probabile, per lui non vi
sarà pietà. La saggezza mondana insegna che, per la re-
putazione, è meglio fallire in modo convenzionale piut-
tosto che avere successo in modo anticonvenzionale.
5. Finora ci siamo riferiti essenzialmente allo stato della
fiducia dello speculatore o dell’investitore con intenti
speculativi, e può sembrare che da parte nostra sia stata
fatta tacitamente l’ipotesi che se egli è soddisfatto circa
le prospettive future può disporre di una quantità illimi-
tata di denaro al tasso d’interesse corrente. Le cose ov-
viamente non stanno così. Dobbiamo quindi tener con-
to dell’altra faccia dello stato della fiducia, vale a dire la
fiducia delle istituzioni creditizie nei confronti di colo-
ro che desiderano prendere a prestito dei fondi, a volte
definito come “stato del credito”. Un collasso dei prez-
zi delle azioni, con riflessi disastrosi sull’efficienza mar-

a
La pratica, generalmente considerata prudente, da parte dei fon-
di di investimento o delle compagnie di assicurazione di procedere
a frequenti valutazioni non solo del rendimento del capitale investi-
to, ma anche del valore capitale di mercato dell’investimento stesso
può contribuire a focalizzare troppo l’attenzione sulle fluttuazioni
a breve termine di questi valori.

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Capitolo 12 183

ginale del capitale, può essere dovuto sia all’indeboli-


mento della fiducia degli operatori sia all’indebolimento
dello stato del credito. Ma mentre l’indebolimento di
uno di questi due fattori è sufficiente a provocare un
collasso, la ripresa richiede che entrambi migliorino. Se
infatti una flessione del credito è sufficiente a determi-
nare il crollo del mercato, un suo rafforzamento, ben-
ché condizione necessaria per la ripresa, non è condi-
zione sufficiente.

VI

Queste considerazioni non dovrebbero essere estranee


al campo degli interessi dell’economista. Ma devono es-
sere ricondotte alla loro giusta prospettiva. Se mi è con-
sentito adoperare il termine “speculazione” per l’attività
che consiste nel prevedere la psicologia del mercato, e il
termine “intraprendenza” per l’attività che consiste nel
prevedere il rendimento prospettico dei beni capitali nel
corso della loro vita, non è sempre vero che la specula-
zione predomini sull’intraprendenza. Nondimeno, quanto
più è perfezionata l’organizzazione dei mercati finanzia-
ri, tanto più aumenta il rischio che la speculazione pre-
valga sull’intraprendenza. In uno dei più grandi mercati
di investimento del mondo, cioè a New York, l’influen-
za della speculazione (nel senso suddetto) è enorme. An-
che al di fuori del campo della finanza, gli americani ten-
dono a essere eccessivamente interessati alla scoperta di
ciò che l’opinione comune pensa che sia l’opinione co-
mune; e questa debolezza nazionale trova la sua nemesi
nel mercato azionario. È raro, si dice, che un americano
investa – come ancora fanno molti inglesi – “per il reddi-
to”, ed è difficile che sia disposto a fare un investimento
se non coltiva la speranza di un aumento del valore ca-
pitale. Questo è semplicemente un altro modo per dire
che l’americano, quando fa un investimento, confida non

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184 Teoria generale

tanto nel rendimento prospettico quanto in un cambia-


mento favorevole della base convenzionale di valutazio-
ne dell’investimento stesso. Egli è cioè uno speculatore
nel senso suddetto. Gli speculatori possono non essere
dannosi se sono come bolle di superficie nel flusso con-
tinuo dell’intraprendenza. Ma il problema diventa serio
se è l’intraprendenza a diventare una bolla di superficie
nel vortice della speculazione. Quando lo sviluppo del
capitale di un Paese diviene un sottoprodotto dell’attivi-
tà di una casa da gioco, c’è qualcosa che non va. I risul-
tati di Wall Street, se la si considera come un’istituzione
la cui funzione sociale è quella di indirizzare gli investi-
menti verso gli sbocchi più convenienti in termini di ren-
dimenti futuri, non possono certo essere additati come
uno dei grandi trionfi del capitalismo del laissez-faire –
il che non sorprende, se ho ragione nel pensare che i mi-
gliori cervelli di Wall Street di fatto sono stati indirizzati
verso un altro obiettivo.
Queste tendenze sono la conseguenza pressoché inevi-
tabile del successo che abbiamo ottenuto nell’organizzare
mercati di investimento “liquidi”. In genere si è concor-
di nel ritenere che, a beneficio del pubblico interesse, le
case da gioco dovrebbero essere poco accessibili e molto
costose. E forse lo stesso vale per le Borse-valori. Il fatto
che i mali della Borsa di Londra siano minori di quelli di
Wall Street può essere dovuto non tanto alle differenze di
carattere fra i due Paesi11 quanto al fatto che per l’inglese
medio Throgmorton Street è, in paragone a Wall Street
per l’americano medio, inaccessibile e molto costosa.12
Il “margine” dell’agente di cambio, le alte commissioni
di negoziazione e la pesante imposta sulle transazioni da
versare al fisco che gravano sulle operazioni alla Borsa di
Londra diminuiscono la liquidità del mercato (benché la
pratica delle liquidazioni quindicinali vada esattamen-
te nel senso opposto)13 abbastanza da escludere buona

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Capitolo 12 185

parte delle transazioni tipiche di Wall Street.a Negli Sta-


ti Uniti, volendo attenuare il predominio della specula-
zione rispetto all’intraprendenza, la riforma più utile sa-
rebbe l’introduzione di un consistente prelievo fiscale su
tutte le transazioni di Borsa.
Lo spettacolo dei moderni mercati finanziari a volte mi
ha portato alla conclusione che rendere permanente e in-
dissolubile come il matrimonio l’acquisto di un investi-
mento, salvo che in caso di morte o di altra grave circo-
stanza, potrebbe essere un utile rimedio per i nostri mali
contemporanei. Questo obbligherebbe infatti l’investito-
re a concentrare l’attenzione sulle prospettive a lungo ter-
mine e solo su di esse. Ma una più attenta considerazione
di questo espediente ci pone di fronte a un dilemma, per-
ché spesso la liquidità dei mercati di investimento facilita
(anche se talvolta può avere l’effetto opposto) la realizza-
zione di nuovi investimenti. Giacché il fatto che il singolo
investitore si compiaccia che il suo impegno è “liquido”
(anche se questo non può essere vero per tutti gli investi-
tori nel loro insieme) tiene calmi i suoi nervi e lo rende
assai più disponibile ad assumersi dei rischi. Se i singo-
li acquisti di titoli di investimento venissero resi illiquidi,
questo potrebbe costituire un serio impedimento ai nuo-
vi investimenti, in quanto esistono modi alternativi in cui
gli individui possono impiegare i propri risparmi. Que-
sto è il dilemma. Dal momento che il singolo ha la possi-
bilità di impiegare la propria ricchezza o tesaurizzando o
prestando denaro, l’alternativa di acquistare beni capitali
reali può essere resa abbastanza attraente (specialmente
per chi non abbia gestione diretta dei beni capitali e ne

a
Si dice che quando Wall Street è effervescente almeno la metà degli
acquisti e delle vendite di titoli è effettuata con l’intenzione da par-
te dello speculatore di rivenderli o riacquistarli nel corso della stessa
giornata. Questo spesso è vero anche per le Borse-merci.

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186 Teoria generale

sappia pochissimo) solo organizzando mercati nei qua-


li queste attività possano essere facilmente monetizzate.
L’unica cura radicale per le crisi di fiducia che affliggo-
no la vita economica del mondo moderno sarebbe quella
di non consentire al singolo altra alternativa se non quel-
la di consumare il suo reddito o di ordinare la produzione
di quegli specifici beni capitali che, seppur sulla base di
elementi di giudizio precari, gli sembrano il più promet-
tente tra gli investimenti per lui disponibili. Potrebbe ac-
cadere che nei momenti in cui fosse assalito più del solito
da dubbi sul futuro sia indotto a volgersi verso il consu-
mo e a rinunciare a nuovi investimenti. Ma questo evite-
rebbe le ripercussioni disastrose, cumulative e ad ampio
spettro che derivano dalla possibilità, nel momento in cui
viene assalito dai dubbi, di non spendere il proprio red-
dito né in un modo né nell’altro.
Coloro che hanno sottolineato i pericoli sociali della te-
saurizzazione della moneta hanno di certo avuto in men-
te qualcosa di questo tipo. Hanno trascurato tuttavia la
possibilità che il fenomeno si verifichi senza alcuna varia-
zione – o almeno senza una variazione significativa – nel-
la tesaurizzazione della moneta.14

VII

Anche a prescindere dall’instabilità dovuta alla specula-


zione, vi è un’instabilità legata al fatto, caratteristico della
natura umana, che una parte considerevole di ciò che fac-
ciamo dipende più da un ottimismo spontaneo che da una
aspettativa matematica, sia esso di carattere morale, edo-
nistico o economico. La maggior parte delle nostre deci-
sioni di compiere un’azione le cui conseguenze non si po-
tranno valutare pienamente che a distanza di molto tempo
probabilmente può essere presa solo come effetto di ani-
mal spirits15 – di un bisogno spontaneo di agire piuttosto
che di non agire, e non come il risultato di una media pon-

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Capitolo 12 187

derata di benefici quantitativi moltiplicati per le rispettive


probabilità quantitative. Solo a sé stessa l’intraprendenza
economica può dare a intendere di essere mossa principal-
mente da ciò che è scritto nei prospetti azionari, per quan-
to onesti e sinceri. Essa si basa su un calcolo dei futuri be-
nefici non molto più preciso di quello di una spedizione al
Polo Sud. Se dunque gli animal spirits si affievoliscono e
viene meno l’ottimismo spontaneo, lasciandoci con la sola
aspettativa matematica su cui fare assegnamento, l’intra-
prendenza si affievolirà e morirà – sebbene il timore delle
future perdite possa non avere maggiore fondamento di
quanto ne avessero in precedenza le speranze di guadagno.
È giusto dire che l’intraprendenza, il cui fondamento
è costituito da speranze rivolte al futuro, va certamente a
vantaggio della collettività nel suo insieme. Ma l’iniziati-
va individuale potrà dare risultati adeguati solo se il calco-
lo razionale è integrato e corroborato dagli animal spirits,
così che quel timore di perdere tutto da cui spesso sono
sopraffatti i pionieri, come indubbiamente l’esperienza in-
segna a loro e a noi, venga messo da parte allo stesso modo
in cui un uomo sano mette da parte l’idea della morte.
Questo purtroppo significa non solo che le crisi e le de-
pressioni tendono a essere più accentuate, ma che la pro-
sperità economica dipende in misura eccessiva dal fatto
che l’atmosfera politica e sociale sia congeniale all’uomo
d’affari medio. Se la paura di un governo laburista o quel-
la di un New Deal scoraggia l’intraprendenza,16 questo
non dipende da un calcolo razionale, né è il frutto di un
complotto a fini politici: è semplicemente la conseguen-
za dello sconvolgimento del delicato equilibrio dell’otti-
mismo spontaneo. Nel valutare le prospettive dell’inve-
stimento dobbiamo quindi prestare attenzione ai nervi e
agli isterismi e magari anche ai problemi di digestione e
alle reazioni alle condizioni climatiche di coloro da cui in
gran parte dipende l’attività spontanea.
Ma questo non deve indurre alla conclusione che tutto

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188 Teoria generale

dipenda da ondate psicologiche irrazionali. Al contrario,


spesso lo stato delle aspettative a lungo termine è stabi-
le, e anche quando non lo è gli altri fattori tenderanno a
esercitare un effetto stabilizzante. Stiamo semplicemente
ricordando a noi stessi che le decisioni umane riguardanti
il futuro, sia esso personale o politico o economico, non
possono fondarsi su una rigorosa aspettativa matematica
perché mancano le basi per un calcolo del genere, e che
è il nostro innato stimolo all’azione a far girare il mondo,
con la nostra parte razionale che sceglie fra le alternative
meglio che può, facendo calcoli laddove è possibile, ma
spesso trovando come motivazione un capriccio, un sen-
timento o il caso.

VIII

Vi sono poi alcuni importanti fattori che in qualche mi-


sura mitigano in pratica gli effetti della nostra ignoranza
riguardo al futuro. In virtù del meccanismo dell’interesse
composto, unito alla probabilità dell’obsolescenza con il
passare del tempo, vi sono molti casi di investimenti indi-
viduali sul cui rendimento prospettico pesano soprattut-
to i rendimenti che si registreranno in un futuro relativa-
mente vicino.17 Per gli immobili, che rappresentano la più
importante categoria di investimenti a lunghissimo termi-
ne, spesso il rischio può essere trasferito dall’investitore
al locatario, o quantomeno ripartito fra i due, mediante
contratti a lungo termine, in quanto per il locatario i van-
taggi della continuità e della sicurezza di poter disporre
dell’immobile possono controbilanciare il rischio. Nel caso
dei servizi di pubblica utilità, che rappresentano un’al-
tra importante categoria di investimenti a lungo termine,
una parte importante del rendimento prospettico è prati-
camente garantita dai privilegi del monopolio di cui essi
sono titolari e dal diritto di fissare le tariffe in modo da
ottenere un margine prefissato di guadagno. Infine stan-

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Capitolo 12 189

no assumendo una importanza crescente gli investimenti


direttamente effettuati dalle autorità pubbliche, o di cui
esse assumono il rischio. Nell’effettuare tali investimen-
ti le autorità pubbliche sono spesso mosse da una valuta-
zione presuntiva dei benefici sociali che in prospettiva ne
deriveranno, indipendentemente da quale possa esserne,
entro ampi margini, il rendimento commerciale, e senza
preoccuparsi di accertare che il rendimento matematico
atteso sia almeno pari al tasso d’interesse corrente – anche
se il tasso d’interesse che l’ente pubblico dovrà corrispon-
dere potrà avere un rilievo decisivo nel determinare la di-
mensione dell’investimento in cui l’ente potrà impegnarsi.
Dunque, dopo avere dato tutto il peso che merita all’im-
portanza dell’influenza dei mutamenti di breve periodo
nello stato delle aspettative a lungo termine come fatto-
re distinto dalle variazioni del tasso d’interesse, possiamo
legittimamente tornare a considerare il tasso d’interesse
come il fattore che in ogni caso esercita, in circostanze
normali, una notevole – anche se non decisiva – influen-
za sul tasso d’investimento. Ma solo l’esperienza può dire
in quale misura la gestione del tasso d’interesse è in grado
di esercitare uno stimolo tale da assicurare continuativa-
mente il volume appropriato di investimenti.
Per parte mia, sono ormai piuttosto scettico sulla pos-
sibilità che, da sola, una politica monetaria intesa a in-
fluenzare il tasso d’interesse possa avere successo. Mi
aspetto che lo Stato, il quale è in grado di calcolare l’effi-
cienza marginale dei beni capitali basandosi su una visio-
ne di lungo periodo e tenendo conto dei benefici sociali
di carattere generale, assuma una responsabilità crescen-
te nell’organizzazione diretta degli investimenti. Questo
perché appare probabile che le fluttuazioni nelle valuta-
zioni di mercato dell’efficienza marginale di varie catego-
rie di beni capitali, calcolata in base ai princìpi sopra de-
scritti, siano troppo ampie per poter essere compensate
da qualsiasi praticabile variazione del tasso d’interesse.

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