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“L’Impero dell’illusione” risulta essere un’aspra critica nei confronti della società americana e un forte grido
di appello ai cittadini statunitensi ad aprire gli occhi. Riportando esempi di interviste, conferenze e scene di
programmi televisivi, ed utilizzando un linguaggio scorrevole ed immediato, lo scrittore riesce a trasmettere
in maniera rapida ed efficace un’immagine molto disturbante della cultura statunitense, una visione che sta
iniziando ad essere sempre più diffusa anche nel resto del mondo. Secondo Hedges la società americana si
fonderebbe sulla cosiddetta cultura delle celebrità e starebbe, perciò, diventando un luogo in cui la linea tra
realtà e finzione si farebbe sempre più sfumata. Basata sull’intrattenimento e sui pseudo-fatti, essa è la
prima società ad avere reso le proprie illusioni talmente vivide, persuasive e realistiche da rimanerci
incastrata dentro. Queste illusioni vengono, inoltre, manipolate dalle corporazioni, l’1% della popolazione
americana, la nuova “aristocrazia”: agenti pubblicitari, politici, produttori cinematografici, fotografi, ovvero
tutte quelle persone che devono soddisfare una particolare audience, noi. La cultura delle celebrità ci porta
a generare una rappresentazione della realtà plasmata dalla televisione, dai film e dalle pubblicità, che a
loro volta vengono influenzate dal pubblico, e, quindi dal mondo esterno.
Non a caso nell’introduzione Hedges pone come esempio il wrestling: una serie di incontri di lotta tra
persone, la maggior parte uomini, puramente stilizzati, che, da un lato, rispecchiano il malessere pubblico e
sfogano la voglia di vendetta e rivendicazione causata da esso, dall’altro allentano la presa dalla mondanità.
I wrestler fanno parte di gruppi (stables), sempre in guerra con altri. L’importante è vincere, la moralità non
conta. L’incontro inizia, così, a rappresentare una società sempre meno coesa e sempre più “individualista”,
basata sul culto del vittimismo e del narcisismo: abilità come manipolare gli altri, l’assenza di rimorso,
ottenere tutto e subito, sono, infatti, i capisaldi della cultura capitalistica. La nostra società è permeata,
inoltre, da una generale ansia di non venire riconosciuti, di rimanere anonimi: i wrestler affrontano dure
battaglie, come chiunque altro, ma a differenza loro, a volte le vincono pure, acquistando fama e risolvendo
così il problema dell’anonimato. Ciò che importa è l’apparenza, la compassione, l’empatia e la solidarietà
vengono viste solo come forme di debolezza.
Siamo anche considerati da Hedges come la società basata sul culto della distrazione: il nostro hobby
preferito è fare shopping. E’ così che possiamo compensare la settimana lavorativa senza pensare a ciò che,
invece, è importante, ciò che è reale. Un altro elemento fondamentale, infatti sarebbe, la mancanza di
autoconsapevolezza. Non ci sono state date le possibilità, o forse abbiamo deciso di rinunciare ad esse, di
poter convivere con la complessità e di poter distinguere l’illusione dalla realtà. La televisione, uno dei
metodi maggiormente utilizzati per poter comunicare, le serie TV e i film, ci trasmettono delle immagini e
degli slogan che finiscono poi per diventare “effettivi” anche nella realtà, o, per lo meno, importanti,
impoverendo il nostro linguaggio e rendendoci sempre più analfabeti. Nella cultura delle immagini e
dell’intrattenimento ciò che importa non è la realtà. La realtà è complicata e allo stesso tempo noiosa ed è
per questo che preferiamo rinchiuderci nel mondo dell’illusione, anche in ambito amoroso e sessuale.
Il secondo capitolo, le cui idee si sviluppano intorno all’illusione dell’amore, si apre con una disturbante
visione del mondo pornografico. Secondo Hedges il porno non girerebbe intorno al sesso, né
trasmetterebbe un’immagine veritiera di esso: l’eros, l’empatia, l’intimità e la connessione verrebbero
totalmente rimpiazzate dalla brama di potere, di controllo, dalla forza e dal dolore. Il sesso rappresentato
dalla cosiddetta pornografia “mainstream” è una sua versione estremamente ridotta e stereotipata, il cui
abuso comporta numerose conseguenze negative: come qualsiasi altra dipendenza, quella inerente alla
pornografia, causa malessere e influenza la realtà esterna dell’individuo, influenza le relazioni di intimità e
trasmette una versione sbagliata del punto di vista femminile. Riportando esempi di storie di ex
pornoattrici, lo scrittore ci porta davanti agli occhi immagini di umiliazione, violenza verbale e fisica, disturbi
da stress post-traumatico, dipendenze da sostanze stupefacenti, a dimostrazione di come, nell’industria
pornografica, l’unico compito delle attrici fosse sempre quello di soddisfare i bisogni dell’audience
maschile. Compiere scene contro la propria volontà, nel caso migliore sottoporsi a diete, nel peggiore a
lassativi e clisteri, stordirsi con qualsiasi tipo di sostanza in modo da poter lasciarsi picchiare, violentare,
insultare, sono tutte situazioni quotidiane nella vita di una pornostar.
Ciò dimostra come questo tipo di industria, e il materiale che, spesso, diffonde, siano da sempre
espressione del potere dell’uomo sulla donna. Le categorie “BDSM”, “abuse”, “humiliation”, “rape”,
iniziano ad essere sempre più popolari, e continuano a trasmettere un’immagine dell’essere umano visto
meramente come oggetto sottomesso, a cui, di conseguenza, si può fare qualsiasi cosa si voglia. La donna in
questo caso viene spogliata della sua personalità e della sua soggettività, rendendola un corpo vuoto, una
bambola gonfiabile. Questa conversione tra tortura e pornografia rifletterebbe, secondo Hedges, tre
elementi fondamentali della nostra società: mancanza di empatia, un generale ed esteso senso di crudeltà,
e un forte sentimento di seduzione verso la morte.
Nel terzo e nel quarto capitolo, invece, la critica si sposta prima verso le élite universitarie americane e poi
verso la nuova corrente della “positive pshychology”. Scuole come Harvard si starebbero cercando di
focalizzare su test standardizzati, esami di ammissione e cieca lealtà all’autorità, piuttosto che insegnare
agli studenti ad utilizzare il pensiero critico e a porsi domande. L’individualità verrebbe sempre più
scoraggiata, in favore di un finto sentimento di comunità, che comprende solo chi fa parte del cosiddetto
“inner circle”. Chi studia in queste università non viene portato a domandarsi in che modo potrebbe
migliorare il sistema, non deve esaminarlo, deve solo mantenerlo. Lo scopo, infatti, di queste scuole, è
quello di continuare ad esistere e continuare a guadagnare sempre di più, sostenendo l’attuale cultura
capitalistica e promuovendo, secondo Hedges, solo un tipo di intelligenza, quella analitica. Essendo il fine
ultimo quello di fare soldi, le capacità emozionali o creative vengono totalmente scoraggiate, la moralità e
l’autoconsapevolezza e il pensiero critico vengono abbandonati e subentra al loro posto un fedele servizio
alle corporazioni.
È proprio in queste università che si stanno iniziando a creare nuovi corsi di psicologia legati al “positive
thinking”. Portando ad esempio David Cooperrider, professore universitario e fautore di una teoria
chiamata “transformational positivity”, Hedges mostra come la psicologia positiva trasmetta un messaggio
sbagliato e come essa abbia in realtà un obiettivo molto più nascosto: eliminare la devianza, in modo da
poter promuovere il conformismo, ed esercitare, così, un controllo diretto sugli individui. La chiave
fondamentale è l’ottimismo: esso deve diventare uno stato mentale permanente. Se l’individuo è felice, o
per lo meno, appare esserlo, ciò vuol dire che anche la comunità lo è. Ed è solo all’interno di una comunità
armoniosa che tutto diventa possibile. Ciò che conta è solo la giusta attitudine e non porsi mai domande,
soprattutto sulla corporazione. Chi è triste, negativo, o scettico viene visto come un ostacolo; il dibattito e la
criticità vengono condannati come controproducenti. Il lavoratore ottimale, felice, in salute, produttivo e
poco costoso, infatti, non si deve lamentare, deve obbedire alle leggi della corporazione. Se egli non è felice
è solamente colpa sua, non della situazione che ha intorno. Ma, nel momento in cui si adotta un tipo di
pensiero positivo, potranno arrivare solo cose positive.
Secondo Hedges questo è solamente un altro escamotage mediante il quale veniamo incoraggiati a
scappare dalla realtà, troppo complessa, spaventosa e deprimente, per rifugiarci nel nostro mondo fatto di
illusioni. È un’ideologia che rende gli individui soggetti a un’esperienza perenne di sonnambulismo. La
condanna della critica sociale e del pensiero individuale e l’ostacolamento dell’autoconsapevolezza e del
ragionamento critico portano alla formazione di una massa conforme di individui che cercano a tutti i modi
di essere felici, anche quando questa costrizione porta a sentimenti di ansia, alienazione ed inadeguatezza.
Si arriva così al quinto ed ultimo capitolo, “l’illusione dell’America”, un ultimo appello disperato agli
americani. Si tratta di una serie di argomentazioni, appoggiate da dati statistici ed eventi storici, mediante
le quali Hedges cerca di mostrare come l’America appaia molto diversa dalla rappresentazione che abbiamo
nella testa e che ci stanno trasmettendo le corporazioni.
Il messaggio finale che lo scrittore tenta di trasmetterci è un segnale di allarme ed un ultimo tentativo di
farci aprire gli occhi: egli pensa che a lungo andare, a causa della discrepanza sempre maggiore tra
oligarchia e classe media lavoratrice, inizieranno a presentarsi sempre più scontri, e un conseguente
aumento della sicurezza interna. Riprendendo dei trattati sulle grandi dittature europee, Hedges mostra
come esistano delle significative somiglianze con esse e gli U.S.A.: un periodo di forte crisi economica e
politica; un forte sistema di controllo, aiutato dalle tecnologie di sorveglianza; il potere economico e
politico nelle mani di una piccola élite di persone che agiscono solo in base ai loro capricci; una popolazione
svuotata della propria soggettività e autoconsapevolezza, che cerca di rifugiarsi dalla bruttezza della realtà
esterna in un finto mondo di illusioni, ma che somiglia ogni giorno di più a quella descritta da Orwell in
1984.