2020/2021
LEZ 4 – DI NOCERA
VIRUS: GENERALITÀ E ACCENNI DI METODI DIAGNOSTICI
Data: 18/03/2021
Sbobinatore: Nicola Abategiovanni
Revisori: Luca Pelliccia, Emanuela Oliva
GENERALITÀ
Un virus è un parassita intracellulare obbligato, definito così perché un virus, senza una cellula entro cui
introdursi, non ha maniera di moltiplicarsi e di persistere, in quanto il materiale che compone il virus è
sintetizzato da una cellula precedentemente infettata. Il materiale prima accennato si compone di acidi
nucleici che portano l’informazione per sintetizzare particelle virali, insieme a un complesso di proteine che
protegge questa informazione, detto capside. Le dimensioni di un virus appartengono all’indice di grandezza
dei nanometri. In generale, si possono distinguere virus a RNA e virus a DNA. A scanso di equivoci, un virus
non può essere composto contemporaneamente da entrambi. Un altro modo per distinguere i virus è la
presenza o meno di una struttura chiamata envelope (anche detto: manto, toga, pericapside). I virus che non
presentano questa struttura vengono detti “nudi”.
CLASSIFICAZIONE
A differenza dei batteri, che si classificano attraverso una nomenclatura binomiale (genere e specie), per i
virus non c’è una tale categorizzazione, ma grossolanamente ci si riferisce a grandi categorie, dette specie
virali (adenovirus, coronavirus ecc.). Ci si interroga, in seguito, sulla struttura, sul tipo e numero di geni e sui
meccanismi di moltiplicazioni: tutte caratteristiche che distinguono i virus l’uno dall’altro, anche se esistono
delle eccezioni in cui virus classificati allo stesso modo causano patologie completamente diverse.
Questo è importante perché, in base a questo, va scelta la specifica variante contro cui sviluppare una difesa,
ad esempio attraverso la vaccinazione, perché non si potrebbero materialmente produrre e somministrare
vaccini per tutte le varianti presenti. La mutabilità, dunque, è un problema importante.
Tuttavia, un virus non può modificare la propria struttura all’infinito e in infiniti modi. Ogni specie virale ha
dei limiti strutturali, e per quanto questi possano variare, non possono mutare completamente.
Esiste un numero finito di mutazioni che una componente virale può assumere e che è utile imparare a
riconoscere.
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Microbiologia e Immunologia Federico II a. a. 2020/2021
Si può vedere il capside, formato da questi “bulloni proteici”, chiamati capsomeri. Più capsomeri si uniscono
a formare questo tegumento variamente articolato da più proteine che tutti quanti i virus hanno. Altri
presentano una struttura molto simile a questa descritta di base, ma con forma totalmente diversa. Esistono
virus che presentano una forma diversa con altri tipi di spikes; a seconda della tipologia di virus si trattano,
essi prendono un nome specifico: in figura si osserva la struttura di virus nudi, che non presentano il
pericapside.
Esistono virus “filamentosi” che assumono una struttura appunto filante, formati dalla giustapposizione di
proteine che coprono completamente l’elica presenta al suo interno.
Il contatto tra il virus e la cellula avviene attraverso un’interazione specifica tra proteine virali e proteine
cellulari, recettori a cui possono legarsi le spikes inducendo “l’attracco” del virus alla cellula. Per questo, per
un virus c’è la stretta necessita di avere dei recettori affinché possa infettare. Esiste una differenza tra virus
che interessano animali, umani e piante, perché non hanno recettori univoci per tutte le cellule: ci sono
strutture simili che possono non permettere interazioni con cellule di altre specie, che non saranno
interessate all’infezione. Quindi ogni virus ha una propria specificità. Anche i batteri sono sensibili a virus
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specifici in base ai recettori presenti sulle loro cellule. La specificità interessa anche il modo con cui i virus
penetrano all’interno di una cellula. Le cellule degli altri animali, a differenze di quelle umane, avviano un
processo di endocitosi che porta il materiale virale all’interno della cellula stessa.
- Il virus a RNA negativa non ha significato biologico, non è codogenico. Per permettere la sua
moltiplicazione dovrà portare l’RNA polimerasi, già sintetizzata, dalla vecchia cellula dalla quale è
stato prodotto, perché non potrà sintetizzarlo come fanno invece i virus a RNA +. Questa
informazione è molto importante perché ci sono molti virus che portano con sé da precedenti
infezioni molto materiale che altrimenti non potrebbero produrre nella cellula infettata. (Ad onor di
cronaca: il coronavirus produce la sua stessa polimerasi).
La C indicata in figura rappresenta il capping al 5’, caratteristico degli mRNA messaggeri, anche questo
proveniente dall’ultima cellula infettata.
I virus possono uscire dalla cellula attraverso diversi modi, non per forza tramite lisi, ma anche per esempio
la gemmazione.
DESTINI DI UN VIRUS
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METODI DIAGNOSTICI
Un altro meccanismo è l’iniezione del virus in delle cellule per poi raccogliere il prodotto della
moltiplicazione successivamente. In passato, quando non si avevano a disposizione dei meccanismi
alternativi, si utilizzava proprio questo metodo. Attualmente il virus viene iniettato in delle uova, che
rappresentano un’ottima alternativa, e si verifica il suo sviluppo. Ogni anno questo metodo viene utilizzato
con il virus dell’influenza, iniettato all’interno della “allantoic cavity” dell’uovo, attraverso un buco che viene
richiuso con delle paraffine; l’uovo viene messo a una temperatura di 37 gradi per 48 ore. L’utilizzo delle uova
come mezzo di coltura è dovuto a due motivi: in primis, le uova sono abbastanza economiche da utilizzare e
facilmente reperibili; inoltre, si è visto che virus che crescono in sospensione (nel caso il liquido amniotico
contenuto all’interno dell’uovo), generano più materiale rispetto a una cellula fissa.
Altre metodiche per visualizzare un virus sono le metodiche immunologiche. Si ricorre ad anticorpi (molecole
contenute nell’organismo che reagiscono contro molecole non self, antigeni), che vengono utilizzati per
osservare alcuni virus, attraverso una metodica che prende il nome di ELISA (Enzyme Linked Immuno Sorbent
Assay). Attraverso questo saggio si possono cercare sia antigeni che anticorpi, e a seconda di questo possiamo
avere una ELISA diretto o un ELISA indiretto.
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rilevati: per cui si ottiene il “positive test”. La colonna a destra rappresenta il cosiddetto “negative test” o
controllo negativo, dove non c’è un campione biologico che abbia la possibilità di creare legami antigene-
anticorpo.
Aggiungendo l’anticorpo secondario specifico, si viene a creare una struttura che ricorda appunto un
sandwich, da cui il nome. Ovviamente, nell’altra piastra, cioè quella del negative test, non si formerà alcuna
struttura o fluorescenza dato che non è presente il virus legato all’anticorpo primario.
ELISA INDIRETTO
WESTERN BLOTTING
La parola blotting sta semplicemente per “Trasferimento” e fa riferimento alla fase in cui si trasferisce il gel
nel quale è avvenuta la separazione per elettroforesi su un tubo dove vengono aggiunti gli anticorpi
radioattivi o leganti l’enzima. Le altre metodiche Nothern o Western Blotting differiscono per il materiale
analizzato (DNA, RNA o altro). Un’ultima metodica solo da CITARE è quella della PCR, con la quale si ottiene
l’amplificazione di una specifica sequenza, che in questo caso è di DNA Non si entra nel dettaglio di questa
metodica, oggetto di trattazione prevalentemente genetica. L’unica cosa che va presa in considerazione sono
i tempi in cui avviene la metodica (circa 2 minuti per ciclo), essendo molto veloce e produttiva, dunque
permette di ottenere un risultato considerevole e preciso in un breve tempo.