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Microbiologia e Immunologia Federico II a. a.

2020/2021

LEZ 7 – LEONARDI
RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEL LINFOCITA T CON TCR, MHC 1 E 2
Data: 24/03/2021
Sbobinatore: Salvatore Cinque
Revisore: Angelo Santoro

TCR, T-CELL RECEPTOR

Nelle lezioni precedenti si è visto che il Linfocita B riconosce l’antigene utilizzando una struttura di superficie
formata da un’immunoglobulina e due proteine associate, Ig-α e Ig-β, che servono a trasdurre il segnale
all’interno del linfocita innescando un differenziamento cellulare e formando varie cellule con funzione
effettrice, le plasmacellule, adibite alla produzione di enormi quantità di anticorpi specifici per quell’antigene.
Esistono, ovviamente, vari tipi di anticorpi con funzioni e forma leggermente diverse tra di loro (ad esempio,
le Ig-A sono dirette alle mucose, Ig-E servono per i parassiti).

Sia i linfociti T Helper (CD4) sia quelli Citotossici (CD8) riconoscono l’antigene
mediante una struttura posta sulla loro superficie cellulare, la T-cell receptor o
TCR. Essa è costituita da una catena α e da una catena β, piantate sulla superficie
cellulare formando un dominio transmembrana. Più specificamente, in maniera
molto simile alle Ig, le due catene presentano una regione costante e una
variabile. Nelle regioni variabili sono presenti delle regioni ipervariabili, le 3 CDR,
che determinano la complementarietà.

Di fatto, il TCR assomiglia al frammento Fab che rappresenta il braccio della Y


degli anticorpi: la differenza con quest’ultimi è che questo sta sulla membrana e
non presenta la porzione Fc. In realtà, quando si parla di TCR, si fa riferimento
ad una struttura più complessa formata dalle due catene α e β (esistono anche
isoforme γ e δ per splicing alternativo) che fungono da sensore dell’antigene, a
cui si aggiungono una serie di proteine accessorie dette CD3, costituite da catene
ε, δ e γ e da un omodimero di catena Z che serve a fare trasduzione del segnale
e a permettere la funzione effettrice della molecola. Questo complesso deve
essere completamente e perfettamente assemblato nonché strettamente
impacchettato sulla membrana: infatti, le catene polipeptidiche terminali delle
catene α e β si inseriscono nella membrana con amminoacidi carichi
positivamente e in correlazione CD3z che presenta amminoacidi carichi
negativamente.

In questa immagine sono presentate le


differenze tra TCR e Ig. Oltre a quelle
immediatamente osservabili nella tabella, è
importante notare che:

 L’affinità di legame del TCR è più bassa


rispetto a quella degli anticorpi. Essa
inoltre è costante nel corso della
risposta, a differenza di quella delle Ig
che varia. Difatti, all’inizio di una risposta

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si osserva un valore di circa 10-7 perché si producono maggiormente Ig di tipo M e solo in un secondo
momento si producono Ig (G, A, E a secondo dell’antigene) di altre classi con affinità diverse dalla prima;
 Non esistono forme secrete di TCR ma è sempre presente sulla membrana dei linfociti T (a differenza
delle Ig che invece possono essere secrete);
 Non esistono scambi di classi di TCR né ipermutazione somatica nei TCR che invece contraddistingue le
Ig.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DELLE CELLULE T


Non avviene alcun riconoscimento
considerando una situazione in cui l’antigene si
leghi al TCR (a differenza di quanto invece
accade con il linfocita B). Ciò è imputabile al
fatto che il TCR non riconosce l’antigene nativo
bensì una piccola sequenza amminoacidica (10
aa.) dell’intero antigene che deve
necessariamente essere associato alle molecole
del complesso maggiore di istocompatibilità.

ESPERIMENTO DI ZINKERNAGEL
Zinkernagel prese un topo di ceppo A e lo infettò con il
virus LCMV. Dopo qualche giorno fu possibile isolare da
questo campione dei linfociti T: più specificamente, il
signor Zinkernagel prelevò dei CD8 diventati specifici per
questo virus, ovvero capaci di distruggere le cellule che
presentano sulla propria superficie frammenti di LCMV.
Isolati questi linfociti antigene specifici, Zinkernagel li testò
con cellule dello stesso ceppo di topo infettate dal virus;
quello che osservo fu che le cellule morirono: in altre
parole, i linfociti T CD8 uccisero le cellule infettate dal
virus, mentre non danneggiavano quelle non infettate.
Successivamente Zinkernagel prese in cosiderazione
cellule di un altro ceppo di topo B infettate dal virus, le fece
interagire con i linfociti CD8 e scoprì che non venivano
uccise. Il motivo di ciò è che il TCR non riconosce solo
l'antigene ma anche il complesso maggiore di
istocompatibilità. Questo fenomeno è chiamato
restrizione MHC: il TCR è in grado di riconoscere un
frammento dell'antigene soltanto se questo è presentato
da molecole MHC-self. Infatti, il complesso maggiore di
istocompatibilità è quello che discrimina il self dal non self,
ovvero, ciò che determina la diversità immunologica che c'è
di fatto fra tutti gli individui e che è proprio dovuta al fatto
che ognuno di noi ha molecole del MHC che sono
leggermente diverse le une dalle altre.
Pertanto, il TCR effettua un duplice riconoscimento: verso
l'antigene e verso il complesso maggiore di
istocompatibilità.
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Il complesso maggiore di istocompatibilità


venne isolato nel topo durante gli
esperimenti di trapianto di cute.
Trapiantando un pezzo di cute di un topo
di ceppo A su un topo dello stesso ceppo,
esso attecchisce. Se invece si trapianta al
topo di ceppo A un pezzo di cute di un topo
di ceppo B, questa cute non attecchisce
perché il sistema immunitario la rigetta. In
seguito alla scoperta di questo fenomeno,
si procedette isolando dal genoma i geni
responsabili del rigetto e si identificò un
locus, che fu chiamato complesso
maggiore di compatibilità (MHC) e che
nell’uomo va sotto il nome di HLA (human leukocyte antigen), perché queste molecole sono state identificate
nei leucociti, ma si fa riferimento sempre alle stesse molecole responsabili della diversità immunologica tra
vari individui. Questi esperimenti sul complesso di istocompatibilità iniziarono durante la prima guerra
mondiale, quando c'era la necessità di sostituire la cute dei soldati che venivano bruciati in guerra a causa
dell’utilizzo di gas chimici.

Esistono due classi di complesso maggiore di istocompatibilità: le MHC di classe 1 e MHC di classe 2.

MHC DI CLASSE I
L’ MHC di classe I è costituita dalla catena polipeptidica α che si
ripiega in tre domini α1, α2 e α3. I primi due formano quello che si
chiama tasca di legame del peptide antigenico, di circa 8-10
amminoacidi. Inoltre, è presente un'altra proteina che si chiama β2-
microglobulina che ha una funzione strutturale, cioè serve a tenere
la catena α correttamente fondata nei tre domini α1, α2 e α3. L’MHC
di classe 1 è espressa da tutte le cellule nucleate dell'organismo.
Chiaramente ci sono delle eccezioni chiamate santuari immunologici
o siti di immuno-privilegio, che sono dei particolari distretti del nostro
organismo dove non devono avvenire risposte immunitarie, come
nell’utero in gravidanza, nel quale il prodotto del concepimento è per
metà non-self. La funzione delle MHC di classe I è quella di presentare peptidi antigenici ai linfociti T CD8,
quelli cioè ad attività citotossica. Pertanto, ogni cellula nucleata del nostro organismo espone ai linfociti CD8
il proprio contenuto ponendo piccoli peptidi e mostrandoli insieme alle MHC di classe I sulla propria
superficie. Le molecole dell’MHC sono estremamente polimorfe: un polimorfismo è di fatto una mutazione
nella sequenza genica che, però, poiché frequentemente distribuita nella popolazione, non viene considerata
una vera e propria mutazione ma una forma normale alternativa. Questi polimorfismi, cioè queste piccole
variazioni nella sequenza di amminoacidi, cadono nei domini α1 e α2, ovvero in quei domini che costituiscono
il sito di legame per il peptide antigenico e sul margine superiore di questo Peptide-binding cleft, che è quello
riconosciuto dal TCR. Quindi abbiamo diverse forme delle MHC di classe I che evidentemente legheranno
peptidi diversi e TCR diversi. Nell’uomo esistono tre geni per le MHC: A B e C. Del gene A esistono più di 500
varianti alleliche, del gene C più di 300, mentre del gene B si hanno oltre 1000 varianti alleliche.

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Ovviamente, si ereditano 3 copie di questi geni da ogni genitore, che essendo codominanti e tutti diversi
(perché individuo-specifici), vengono totalmente espressi.

MHC DI CLASSE II

L’MHC di classe II ha una struttura leggermente diversa perché è


costituito da una catena α e una catena β che contribuiscono alla
formazione del solito sito di legame per il peptide antigenico (20-30
aa.). Anche in tal caso si può parlare di polimorfismi per quanto
riguarda i domini α1 e β1. La classe II è espressa soltanto sulle cellule
APC ovvero quelle che fanno presentazione dell'antigene ai linfociti
CD4. Il risultato di questa presentazione dell'antigene sarà nettamente
diverso: presentando un antigene a un CD8, questo attaccherà il sito di
esposizione dell’antigene, mentre l’esposizione della Classe II al
linfocita CD4, lo attiverà e modulerà la risposta immunitaria attraverso
la sua funzione helper.

CONSEGUENZE DEL POLIMORFISMO E DELLA CO-DOMINANZA DEI GENI CHE CODIFICANO PER MHC DI
CLASSE 1 E 2

Anche i geni dell’MHC di classe II sono altamente


polimorfici e ciò significa che nella popolazione
esistono forme alleliche diverse con piccole
mutazioni. Questo di fatto significa che ogni cellula
nucleare nel nostro organismo esprime
presumibilmente 6 molecole del complesso
maggiore di istocompatibilità di classe I diverse tra
di loro. L’espressione codominante di ben 6 geni
dotati di polimorfismi ha un grande vantaggio:
ipotizzando che tutta la popolazione fosse
omozigote per i 3 geni che codificano per le
subunità di MHC, quello specifico patogeno
verrebbe inevitabilmente ucciso, ma se avvenisse
una mutazione che provocasse un cambiamento
dei peptidi antigenici, nessun membro della
popolazione avrebbe la capacità di annientarlo
perché i geni sarebbero tutti uguali e il loro
prodotto unico per quel singolo patogeno noto
inizialmente. Nel nostro caso, dato che sussistono
i polimorfismi, e quindi una varietà genetica, si
riesce a sconfiggere il patogeno perché alcune
persone presentano comunque MHC in grado di
riconoscere il peptide antigenico mutato. Infatti,
avendo due geni si ottiene una popolazione
costituita da tre diversi genotipi: omozigoti XX, gli
omozigoti YY e una certa popolazione di
eterozigoti XY. Se lo stesso microorganismo che
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non lega più X entrasse in contatto con questa popolazione morirebbero soltanto quelli omozigoti XX, mentre
sia gli omozigoti YY sia gli eterozigoti XY riuscirebbero a esporre pezzetti di questo patogeno ai CD8 e quindi
ad eliminare l'infezione. Se il patogeno formulasse anche un'altra mutazione per cui non sarà in grado di
legare né X né Y di nuovo a tutta la popolazione andrebbe incontro alla morte di tutti gli individui. Quindi, di
fatto, durante l'evoluzione, è stato stabilito un equilibrio tra un certo numero di molecole del complesso
maggiore di istocompatibilità leggermente diverse tra di loro in grado di poter legare un ampissimo spettro
di peptidi antigenici senza dover essere codificate in milioni di copie dal nostro genoma. Si rinvengono infatti,
6 geni, 3 dei quali ereditati da ogni genitore, diversi tra di loro perché sono polimorfici, co-dominanti e, per
tale motivo, sempre in grado di riconoscere un microorganismo. Infatti, l’evoluzione di MHC ha subito la
pressione dei microorganismi, tanto che se si andasse ad analizzare le MHC di popolazioni di diverse aree
geografiche si osserverebbe la prevalenza di alcuni aplotipi e la rarità di altri perché i microorganismi non
sono presenti in egual misura in tutte le aree geografiche e le pressioni evoluzionistiche in gioco sono diverse.

DIFFERENZE TRA CD4 E CD8


La presenza di CD4 o CD8 è mutualmente esclusiva.
Un linfocita T o esprime CD4 ed è funzionalmente un
linfocita helper o esprime CD8 ed è citotossico, tranne
in un caso: nel caso di un precursore linfoide T che
esprime entrambi e che nel tempo si differenzierà in
modo da esprimere CD4 o CD8.
CD4 è una proteina che stabilizza il legame tra TCR
(fattore per cui possiamo classificare un linfocita
come T) e l’MHC peptide antigenico, perché lega
domini non poliformici sul dominio β2 dell’MHC classe
II mentre CD8 lega domini non poliformici sul dominio
α3 dell’MHC di classe I.
Vicino al dominio citoplasmatico di CD4 c’è una proteina chinasi Lck che se portata vicino a CD3 fosforila i
domini ITAM nel dominio citoplasmatico di CD3z e informa il linfocita T che è avvenuto il riconoscimento di
un antigene non-self e che quindi il linfocita deve attivarsi.

COME SI GENERANO I PEPTIDI MONTATI SUGLI MHC?

I peptidi antigenici hanno allo C-terminale dei residui chiamati ‘’ancora’’ formati da leucina, valina e
isoleucina (regione idrofobica), che servono a saldare il peptide all’interno della tasca di MHC: se l’MHC non
avesse il peptide, non verrebbe portato sulla superficie delle cellule.
I peptidi inseriti a livello di MHC di classe 1 originano dal
citoplasma delle cellule. Più specificamente, essi
vengono generati dall’attivazione del proteasoma,
complesso multimolecolare proteasico, che agisce sia
con un taglio proteolitico abbastanza casuale sia in
continuazione, in riferimento, soprattutto, a proteine
ubiquitinate. Ad esempio dinanzi ad un’infezione virale,
occorre comunicare l’accaduto con maggiore efficienza
ai CD8: sotto l’influenza di alcune citochine come gli
interferoni di primo tipo si vanno a cambiare alcune
subunità proteolitiche del proteasoma, in particolare, si

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esprimono geni LMP-2, LMP-7 E MECL-1 che codificano per subunità proteolitiche del proteasoma che
producono con maggior efficienza peptidi aventi un’estremità C-ter idrofobica (isoleucina, leucina, valina) e
che sono efficientissimi per avere una risposta all’infezione virale. In realtà non cambiano solo 3 delle
subunità catalitiche del proteasoma (che in tal caso prende il nome di Immunoproteasoma) ma cambiano
anche i cappucci di quest’ultimo che regolano il turnover o la velocità con la quale le proteine vengono
tagliate, generando quindi non solo peptidi con caratteristiche chimico-fisiche differenti allo C-ter ma anche
un maggior numero di peptidi stessi.

Tali peptidi appena generati, si troveranno all’interno del


citoplasma (il proteasoma è citoplasmatico) mentre
l’MHC di classe I si trova all’interno del reticolo
endoplasmatico: bisogna quindi portare i peptidi nel RE.
Ciò viene eseguito da un eterodimero TAP1 e TAP2,
proteine transmembrana del RE aventi un dominio ABC
che consuma ATP (trasporto attivo primario). Questo
complesso trasporta nel RE indifferentemente tutti i
peptidi, ma quelli aventi al C-ter isoleucina, valina e
leucina verranno trasportati in modo più efficiente.

Il processo di trasporto avviene secondo le


seguenti modalità. La catena di una
molecola di MHC di classe I parzialmente
ripiegata resta all’interno del RE legata alla
calnexina (chaperone molecolare) fino a
che non si lega con la β-2 microglobulina,
che permette il distacco della calnexina.
Pertanto, giungeranno altre proteine per
tenere l’MHC di classe I in una
configurazione aperta in modo che il
peptide antigenico, formato nel citoplasma
e ora situato nei pressi del RE, venga
trasportato in quest’ultimo da TAP1-2 e venga legato alla tasca di MHC di classe I. In tale processo, importante
è una proteina tapasina, che lega da un lato l’MHC di classe I in una configurazione aperta e dall’altro
l’eterodimero TAP1-2 assicurandone il legame. Se il peptide si lega saldamente dentro l’MHC, tutti gli
chaperoni molecolari come la calreticulina si staccano dall’MHC, ora stabile, che viene trasportato su una
membrana all’interno di una vescicola. In caso contrario, se il peptide antigenico non si lega in modo ottimale
all’MHC, esso resta nel RE.

È importante sottolineare che nella stragrande maggioranza dei casi, il peptide antigenico è una proteina self
perché questo complesso deve sempre e necessariamente tener presente al sistema immunitario cosa è
presente nel citoplasma delle nostre cellule. Inoltre nell’organizzazione del locus genico di MHC di classe I,
oltre ad essere presenti i geni per MHC di classe I, sono presenti anche geni come LMP-2, LMP-7 (le subunità
del proteasoma), TAP-1, TAP-2 (l’eterodimero che funge da trasportatore). Ciò riflette il vantaggio che si ha
perché si può controllare la trascrizione di tutto il locus per avere una buona presentazione dell’antigene
utilizzando una sola citochina come un interferone di tipo 1 in modo che il linfocita citotossico possa uccidere
con maggiore efficienza la cellula infettata dal virus.

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Si ricorda che i virus hanno un apparato che


cerca di interferire con questo meccanismo. Ad
esempio un adenovirus può produrre una
proteina E3 che, staccando MHC di classe I dalla
tapasina, causa la dispersione dei peptidi
antigenici che non si legheranno all’MHC.
Ancora, l’herpes virus produce una proteina,
MK3, che poliubiquitina K48, TAP e MHC DI
CLASSE I in modo che tali vadano nel
proteasoma e vengano degradati. Il
Cytomegalovirus, invece, produce una proteina
ICB che si lega a TAP ad alta affinità bloccando il
trasporto dei peptidi oppure utilizza US6 che si
lega al dominio ATPasico di TA, inibendone
l’idrolisi e, di conseguenza, il trasporto.

Vi sono altri meccanismi virali di ‘ESCAPE’, ad esempio le proteine virali hanno poche lisine perché sono
proprio le lisine ad essere sottoposte alla poliubiquitazione K48 (la non-poliubiquitinazione non provoca la
digestione da parte del proteosoma). In altri casi invece viene fatta fondere la vescicola contenente l’MHC di
classe I avente il peptide virale all’interno con la membrana lisosomiale e non con la membrana cellulare in
modo che non avvenga la segnalazione al sistema immunitario della presenza del virus.

Per quanto riguarda i meccanismi di generazione dei


peptidi caricati sull’MHC di classe II, un primo
meccanismo prevede che nel RE venga sintetizzato MHC
di classe II e che contemporaneamente si abbia una
cellula APC che fagocita l’antigene implicandone la
degradagzione e la formazione di piccoli peptidi posti in
vescicole lisosomiali-endosomiali che si fonderanno con
la vescicola contenente MHC di classe II: il peptide
antigenico con maggior affinità si legherà nella tasca di
quest’ultimo. Tuttavia le cellule APC non solo esprimono
MHC di classe II ma, essendo nucleate, esprimono anche
MHC di classe I: occorre, quindi, evitare che un peptide
destinato a MHC di classe II venga caricato su classe I o
viceversa. Per ovviare a questo problema viene prodotta
una invariant chain o catena invariante che presenta
due specifiche funzioni: quella di chiudere il sito di
legame del peptide antigenico come se fosse un tappo
molecolare per il sito di legame implicando che fin
quando l’MHC di classe II si trova nel RE non possa avvenire il caricamento del peptide antigenico
inappropriato e quella di inviare un segnale alla vescicola di fondersi con l’endosoma e di non finire sulla
membrana cellulare da scarico.

Una volta fusa con la vescicola lisosomiale-endosomiale, essendo anche la catena invariante fusa con essa,
viene degradata per tutta la sua lunghezza amminoacidica ad eccezione di un piccolo tratto, chiamato CLIP,
che continua a mantenere il sito di legame del peptide antigenico occupato rappresentando un problema
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perché impedisce ai peptidi che devono essere caricati dentro all’MHC classe II di legarvisi. Per ovviare a tale
problema, intervengono altre molecole del MHC chiamate DM la cui funzione è quella di liberare CLIP dal sito
di legame. Questo distacco può avvenire perché DM presenta un’affinità di legame per il sito di legame
maggiore di quella per CLIP oppure perché DM destabilizza il legame di CLIP con il sito di legame stesso
permettendo quindi il legame con il peptide antigenico, l’indirizzamento del complesso sulla superficie delle
cellule APC e l’esposizione al linfocita CD4.

PRINCIPALI DIFFERENZE TRA LE VIE DI PROCESSAZIONE E PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE IN CLASSE 1 E 2


CLASSE I: è costituito da una catena α
e una β-2 microglobulina ed è espresso
su tutte le cellule nucleate. Serve a
presentare peptidi antigenici ai
linfociti CD8. Questi peptidi antigenici
si generano nella maggior parte dei
casi nel citoplasma per azione del
proteasoma. In particolari condizioni il
proteasoma può funzionare in
maniera più efficiente e si parla in quel
caso di immunoproteasoma. Il
passaggio di questi peptidi dal
citoplasma al reticolo, dove è presente
l’MHC di classe I neosintetizzato,
avviene per la presenza di trasportatori chiamati TAP1 e TAP2. Una volta che i peptidi sono entrati nel RE
vengono selezionati per la loro capacità di legare l’MHC di classe I: se il legame è stabile, l’MHC di classe I
viene portato sulla superficie delle cellule per la presentazione ai CD8.

CLASSE II: è formato da catena α e da una catena β ed è espresso soltanto da cellule dotate di attività di APC:
è destinato all’esposizione ai CD4. In questo caso gli antigeni, la maggior parte delle volte, provengono
dall’esterno della cellula e quindi sono prima endocitati, poi digeriti dagli enzimi lisosomiali e infine caricati
sull’MHC di classe II per la presentazione ai CD4.

VIA CANONICA DELLA PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE AI CD4 E CD8

Alcuni tipi cellulari, in particolare le cellule


dendritiche, presentano la necessità di
prendere un peptide che hanno endocitato di
origine extracellulare come un batterio che
canonicamente deve andare su classe II per
attivare CD4, ma hanno anche la necessità di
prendere parte del materiale endocitato e di
caricarlo su classe I per attivare CD8. Il
percorso che va su classe II e attiva CD4 serve
alla cellula a specificare che il peptide
endocitato è non-self. L’altro percorso serve ad
attivare CD8, il quale può uscire dall’organo
linfoide secondario, andare nel tessuto target
e uccidere cellule infettate dal peptide.
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Tale meccanismo è definito cross-presentation (presentazione crociata), il quale sta ad indicare che il
materiale endocitato, che normalmente andrebbe solo su MHC di classe II, deve necessariamente andare in
parte anche su MHC di classe I per poter attivare il CD8. Esistono 3 modelli di cross-presentation.

Nel primo modello, la cellula


dendritica semplicemente fagocita
l’antigene che viene degradato e
trasportato sulla membrana con il
corrispettivo MHC. Nel secondo
modello, si prendono in
considerazione vescicole poste nel
citoplasma delle cellule
dendritiche che funzionano come
se fossero dei veri e propri pezzetti
di RE in quanto possedendo al loro
interno SEC61 che esercita
processi di retrotraslocazione (le
proteine con correttamente
ripiegate vengono retrotraslocate
nel citoplasma grazie a SEC61 e poi
degradate dal proteasoma). Il
materiale fagocitato, dunque, si fonde con l’endosoma. Questi particolari endosomi, presenti nei dendriciti,
deputati alla cross-presentation, contengono SEC61, la quale impedisce la degradazione del materiale
endocitato e lo trasloca dalla vescicola endocitica al citoplasma. Nel citoplasma, il materiale viene degradato
e può essere o trasportato da TAP1-2 nel RE e successivamente sulla superficie cellulare (come nel primo
meccanismo) oppure essere nuovamente recuperato nella stessa vescicola (fungendo da mini-RE) che
contiene al proprio interno sia TAP1, TAP2 e l’MHC DI classe I. In tal caso, la selezione avviene in una vescicola
e non nel RE vero e proprio e se si forma un complesso stabile tra MHC DI classe I e un frammento di antigene
questo viene portato sulla superficie cellulare.

Nelle cellule normali si compie il meccanismo


di presentazione dell’antigene ma non quello
della retrotraslocazione, il quale avviene in
determinati tipi cellulari, in particolare nei
dendriciti. Nella maggior parte dei casi, le
cellule normali, grazie al meccanismo di
presentazione dell’antigene, caricano sull’
MHC peptidi self, generati da attività
proteasomica, caricati su MHC classe I ed
esposti sulla superficie cellulare. Ovviamente,
non vi è risposta perchè il sistema
immunitario non riconosce questi peptidi in quanto il linfocita che riconosce in maniera specifica l’antigene
self non esiste oppure è funzionalmente inattivo. Il linfocita funzionalmente inattivo è definito tollerante o
anergico, perché non genera la risposta del sistema immunitario.

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La teoria del sistema immunitario prevede che


durante lo sviluppo dal singolo progenitore comune
linfoide vengano originati linfociti in grado di
riconoscere indifferentemente qualunque cosa. Ad
oggi sappiamo, ad esempio, che le immunoglobuline
possono riconoscere 1011 antigeni diversi. Quindi,
vengono prodotti, per esempio, linfociti B che
esprimono sulla loro superficie ognuno una
immunoglobulina in grado di riconoscere un
determinato antigene e si hanno combinazioni fino a
1011 antigeni diversi. Durante lo sviluppo, poiché
siamo negli organi linfoidi primari i quali sono sterili
per definizione, tutti i linfociti che riconoscono
proteine self vengono eliminati (fase denominata
“delezione clonale’’ in quanto si eliminano tutti i cloni
di linfociti che riconoscono i linfociti self).
Avanzeranno da questa sottrazione solo quelli che
riconosceranno i non-self, i quali sono quelli che al
termine dello sviluppo diventeranno linfociti effettori.
Il discorso vale sia per i linfociti B che T.

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