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Microbiologia e Immunologia Federico II a. a.

2020/2021

LEZ 1 – LEONARDI
INTRODUZIONE, IMMUNITÀ DI GREGGE; IMMUNITÀ INNATA E IMMUNITÀ ADATTATIVA
Data: 08/03/2021
Sbobinatore: Flavia Carucci
Revisori: Miriana Secondo, Emanuela Oliva

INTRODUZIONE
Da un punto di vista storico l’immunologia si fa risalire a Tucidide, vissuto nel 500 a.C.
Nel V capitolo della “Guerra del Peloponneso” Tucidide descrisse la prima caratteristica e la più importante
del sistema immunitario: la memoria immunologica. Egli, infatti, osservò che durante un’epidemia (che si
pensava fosse la peste in base alle descrizioni di Tucidide; in realtà, in seguito alla scoperta di una fossa
comune risalente a quell’epoca, con l’analisi di frammenti di DNA estratta dalla polpa dentale di questi
cadaveri e via PCR, è stato amplificato rRNA di Salmonella Typhi, quindi quella che si pensava fosse peste
probabilmente era un’epidemia di tifo) chi riusciva a guarire non si ammalava per la seconda volta della
stessa, descrivendo per la prima volta una delle caratteristiche più importanti del sistema immunitario: la
memoria immunologica.

La moderna immunologia invece si fa risalire a Edward Jenner, vissuto tra 1700 e 1800, in un’epoca florida
per il vaiolo, causa di circa 400000 morti all’anno in Europa. Jenner, medico inglese di Berkley, osservò che
chi si ammalava della forma bovina del vaiolo, cow pox, non si ammalava o, quantomeno, soffriva di una
forma molto lieve del vaiolo umano. In realtà l’osservazione di Jenner era nuova ma non del tutto poiché,
all’epoca, c’era già una sorta di vaccinazione (variolizzazione) tipica della medicina cinese. Essa consisteva nel
prelevare delle pustole da un malato di vaiolo umano, farle seccare, ridurle in polvere e inalarle per via nasale
e questo sembrava dare una certa protezione. Tuttavia, in oltre il 10% dei casi le persone sviluppavano
comunque la malattia, quindi anziché immunizzarsi si ammalavano e morivano. Per questo motivo la
variolizzazione non ebbe successo in Europa, dato che portava all’infezione di un numero molto elevato di
soggetti. Jenner ebbe l’idea di inoculare la forma bovina di vaiolo in un bambino e successivamente
inoculargli la forma umana del vaiolo, convinto che in questo modo non si sviluppasse quest’ultima; era molto
fiducioso, tanto da considerare l’idea di usare suo figlio per questo esperimento (ma la moglie rifiutò e al
posto del figlio la cavia fu il figlio del giardiniere). Il figlio del giardiniere sopravvisse all’esperimento e Jenner
scrisse un articolo che mandò alla Royal Society che, interessata, gli propose di ampliare il suo campione.
Dato che esisteva anche un’altra variante del vaiolo, quella equina, Jenner inoculò in un altro bambino questa
variante e successivamente quella umana. Stavolta l’esito fu la morte del bambino in quanto la variante
equina non dà alcuna protezione dal vaiolo umano.
Jenner quindi scoprì le vaccinazioni: la capacità di indurre
memoria immunologica, ossia il poter rispondere in maniera
più agevole, rapida ed efficiente in seguito al secondo contatto
con l’antigene. Dunque, simulando un’infezione, tramite un
organismo non patogeno o utilizzando frammenti
dell’antigene, si può indurre una risposta immunitaria
specifica che permetterà di rispondere con efficienza,
impedendo al soggetto di ammalarsi o di contrarre una forma
grave della malattia (svilupperebbe una forma non letale).

Analizzando l’andamento delle malattie infettive in epoca pre- e post-vaccinale si può notare come le
vaccinazioni siano state una vera e propria rivoluzione: infatti il vaiolo è stato debellato, così come la
poliomelite. La potabilizzazione dell’acqua, le vaccinazioni e le terapie antibiotiche sono state le tre grandi
rivoluzioni che hanno portato all’allungamento dell’aspettativa di vita dell’uomo. Nonostante la grandissima
rivoluzione apportata dalle vaccinazioni al giorno d’oggi c’è il famoso movimento No Vax nato “grazie a”
Wakefield nel 1998. Wakefield pubblicò sul Lancet, una rivista medica inglese molto importante, spiegando
di aver osservato che, in seguito alla somministrazione del vaccino trivalente (morbillo, parotite e rosolia) in
8 bambini su 12 ci fosse l’insorgenza di quella che lui chiamava colite autistica, un’iperplasia dei linfonodi
ileali, una colite non specifica e di deficit nello sviluppo della comunicazione (autismo).

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Quest’affermazione seminò panico nella comunità medica data la ormai notevole diffusione dei vaccini
trivalenti in milioni di bambini. Nonostante statisticamente n=12 fosse molto piccolo, l’editore della rivista
pubblicò comunque lo studio di Wakefield perché, nel caso in cui si fosse rivelato vero, avrebbe
rappresentato un enorme problema. Siccome la trivalente fu introdotta nel 1988, si presero in considerazione
bambini nati prima del 1988 e altri nati dopo (che quindi avevano ricevuto la vaccinazione) per verificare se
ci fosse effettivamente una differenza nell’induzione dello spettro autistico, perché se l’ipotesi di Wakefield
fosse stata vera ci sarebbe dovuto essere un incremento esponenziale dell’autismo dopo il 1988. Analizzando
i registri delle vaccinazioni, non si trovò alcuna correlazione tra introduzione della vaccinazione trivalente e
aumento dei casi di autismo. L’anno dopo fu pubblicato lo stesso paper con un campione ancora più grande
di bambini confermando l’assenza di correlazione tra il vaccino e l’autismo.

In Giappone, contemporaneamente, fu condotto un altro


tipo di esperimento: furono interrotte le vaccinazioni
trivalenti, quindi si sarebbe dovuto osservare, negli anni
successivi, un calo dell’insorgenza dell’autismo. Questo
non accadde. L’insorgenza di autismo, anche in assenza
di vaccinazione, non cambiò. Di fatto, quindi, nessuno
riuscì a riprodurre l’osservazione fatta da Wakefield. A
questo punto la rivista richiese i dati utilizzati da
Wakefield e si scoprì che questi erano alterati e che tutto
lo studio condotto fosse falso. Il pericolo di indurre
l’autismo in milioni di bambini era stato scongiurato, ma
l’evento provocò inevitabilmente danni in quanto causò
una diminuzione delle vaccinazioni e un consequenziale aumento del numero di casi di morbillo.
Ebbe inizio quindi il movimento dei No Vax. Si noti nella tabella come i casi di morbillo pre-Wakefield fossero
davvero minimi a differenza dell’epoca successiva al paper, in cui sono stati registrati più di 2000 casi, e
ancora oggi i casi continuano ad aumentare causando anche decessi (8 in Italia nel 2018).

IMMUNITÀ DI GREGGE
L’immunità di gregge (Herd Immunity) è un modello matematico
definito come la resistenza di una determinata malattia infettiva di
una parte della popolazione che non è immune a quella malattia
rispetto alla percentuale della popolazione vaccinata. Nella figura le
persone in blu sono sane non immunizzate, le rosse sono quelle
malate. Nel primo pannello si osserva come la possibilità per un
microrganismo di saltare da un soggetto malato ad uno non
immunizzato sia estremamente semplice, quindi la quasi totalità della
popolazione può essere infettata. Osservando il terzo pannello si vede
che se ci sono persone immunizzate (gialle), perché già vaccinate o
perché hanno già contratto la malattia, queste, grazie alla memoria
immunologica, sono resistenti alla malattia, per cui le possibilità che il
microrganismo salti da una persona malata ad una persona non
immunizzata sono estremamente ridotte. Dunque, nel caso in cui un
soggetto sia impossibilitato a sviluppare l’immunità (perché magari immunodeficiente e quindi non può
vaccinarsi) la sopravvivenza di questa persona, la capacità di non infettarsi, dipende dalla percentuali di
persone immunizzate.
La Herd immunity dipende da due fattori:
 Dalla trasmissibilità (quanto infettante è il microrganismo); perché se il microrganismo ha scarsa
capacità di infettare l’uomo, la percentuale di popolazione che deve essere immune è molto più
bassa;
 Dalla densità della popolazione: in luoghi in cui la densità di popolazione è estremamente alta
l’immunità deve essere quasi totale per sviluppare l’immunità di gregge.

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IMMUNITÀ
Il sistema immunitario viene scolasticamente diviso in due grosse braccia: immunità innata e immunità
adattativa o specifica.

L’immunità innata è costituita dalle barriere epiteliali e dalle barriere mucose, quindi dalla continuità
dell’epitelio, da cellule dotate di attività fagocitaria (come granulociti, macrofagi, monociti), da un sistema
di proteine sieriche circolanti, il sistema del complemento, caratterizzato da proteine prodotte dal fegato
che si trovano in tutti i fluidi biologici e si attivano con un meccanismo a cascata. L’immunità innata non è
specifica, non è dotata di memoria e non è potenziata da successivi contatti con lo stesso antigene, è
aspecifica.

L’immunità adattativa o specifica è quella caratterizzata dai linfociti. Ci sono due classi di linfociti: i linfociti
B, che sono quelli che producono gli anticorpi, il gold standard dell’immunità, sono infatti il prodotto migliore
che il sistema immunitario può produrre; i linfociti T che a loro volta vengono suddivisi in CD4 helper e CD8
citotossici. I linfociti CD4 coordinano la risposta immunitaria, quindi aiutano tutte le altre cellule a rispondere
in maniera appropriata ad un determinato antigene; i linfociti CD8 sono quelli responsabili dell’uccisione di
cellule infettate.
L’immunità adattativa viene anche detta specifica perché i linfociti sono specifici per un determinato
antigene: ogni linfocita riconosce in maniera specifica un solo determinato antigene e manterrà questa
specificità antigenica per tutta la sua vita, indipendentemente che sia un linfocita T o B.

Il nostro sistema immunitario nell’immediato si


basa sull’immunità innata, in attesa che si sviluppi
un’immunità specifica. Questi due sistemi quindi
non sono indipendenti, ma comunicano, tanto che
l’immunità innata influenza profondamente
l’attività dell’immunità specifica e viceversa. Le
cellule del sistema immunitario vengono prodotte
negli organi linfoidi primari, midollo osseo e timo.
Gli organi linfoidi secondari, ovvero linfa,
linfonodi, milza e tessuto linfoide associato alle
mucose (MALT, GALT, ecc), sono la sede della
risposta immunitaria. Le cellule circolanti quindi
vengono prodotte nel midollo osseo e originano
dalla cellula staminale ematopoietica, detta
anche cellula CD34+, che è quella che viene
trapiantata nel trapianto di midollo. Questa dà
origine ad un progenitore comune mieloide (da
cui originano i megacariociti -da cui a loro volta
vengono originate le piastrine-, i globuli rossi, i
macrofagi, i mastociti e le cellule dendriti) e un
progenitore comune linfoide (da cui originano linfociti T, linfociti B e cellule NK).
Le cellule CD34+ possono essere isolate o dal midollo osseo o dal sangue periferico e possono essere
eventualmente manipolate e iniettate nel ricevente per ricostituire una normale attività ematopoietica
midollare.

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