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Archeologia in San Genesio*

Il pavimento di cocciopesto rosato risalente alla fase più recente della chiesa, scoperto all’inizio degli scavi, dopo la rimozione
delle moderne piastrelle. Levato tale strato, sono state rinvenute le strutture murarie e le sepolture di altre due fasi precedenti

Gli scavi archeologici sotto il pavimento della chiesa pievana di San Genesio sono stati effettuati dal 16 luglio al 16
settembre 1997 dalla Società Lombarda di Archeologia, sotto la guida della dottoressa Maria Adelaide Binaghi
direttore archeologo della Soprintendenza Archeologica della Lombardia. I lavori intrapresi per la sostituzione del
pavimento e l’istallazione di un impianto di riscaldamento a pannelli, hanno riportato alla luce:
• un piccolo sacello, ossia un’area circolare coperta da ciottoli, di epoca pagana o paleocristiana;
• la necropoli che si estendeva attorno a questa costruzione;
• la base delle murature appartenenti alle pareti della chiesa a navata unica di epoca altomedioevale, preceduta a
ovest da un nartece - un atrio destinato ai catecumeni non battezzati - e terminata a est dall’abside semicircolare;
• il crollo di questo edificio e la sua riedificazione dopo il Mille in forme gotiche;
• all’interno, diversi strati di pavimentazione in terra battuta o in cocciopesto, disseminati di sepolture.

* GRSD, M.A. BINAGHI, Dairago, 1500 anni di... Cristianesimo, “Dairago. Periodico di informazione edito dell’Amministrazione comunale”,
a. IX, n. 2 (ottobre 1997), p. 16;
G. RIGHETTO, Intervento scavo archeologico: Dairago chiesa di San Genesio. Relazione preliminare, Società Lombarda di Archeologia, 1997;
GRSD, La chiesa pievana di S. Genesio: fasi storiche e vestigia architettoniche, “Orizzonti”, a. XIV, gennaio 1998, pp. 14-19;
GRSD, Archeologia in San Genesio, Dairago 2000;
GRSD, San Genesio di Dairago chiesa madre, Dairago 2000.

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Le tipologie sepolcrali sono molto varie, secondo le diverse epoche: tombe in nuda terra, tombe di ciottoli, tombe in
lastre di pietra, tombe di mattoni a vista o intonacati. Molte strutture sono state realizzate mediante il reimpiego di
laterizi romani, come i caratteristici tegoloni piatti con due alette laterali. Purtroppo, la maggior parte delle
sepolture ritrovate nel corso degli scavi presentavano le ossa sconvolte, in quanto, fino all’inizio dell’Ottocento, era
in uso tumulare i morti all’interno delle chiese e, poiché tale pratica si è protratta per secoli, le stesse tombe furono
riutilizzate successivamente, dopo aver accantonato il primo defunto, sopra il quale ne sono stati deposti degli altri.
La chiesa medioevale fu prolungata a partire dal 1877, costruendo una nuova campata verso ponente, aggiungendo
il presbiterio con il coro e la sacrestia; l’orientamento della chiesa fu quindi rovesciato. I lavori di ampliamento
terminarono nel 1888, dopo la costruzione dell’attuale facciata, in sostituzione dell’abside originale.

Veduta d’assieme degli scavi archeologici sotto la navata di San Genesio. In primo piano s’intravede parte della costruzione
più antica: un sacello circolare di ciottoli, in cui si apre la tomba con le croci dipinte. Al centro è ricavato il sepolcro
dei sacerdoti con le sue nicchie, seguito dalla grande tomba della famiglia Casati (i “Maghi” del Camaóón); intorno si stende
il pavimento in terra battuta, disseminato di sepolture e racchiuso dalle fondamenta dell’antica chiesa pievana

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Pianta della chiesa medioevale di San Genesio con i principali ritrovamenti archeologici.
1. Sacello.
2. Sepoltura del presbitero (all’ingresso attuale).
3. Tomba con la moneta romana (davanti all’odierno fonte battesimale).
4. Sarcofago con le croci dipinte in stile longobardo.
5. Fascia inferiore dell’antica adside rivolta a oriente.
6. Base delle murature perimetrali appartenenti alla chiesa altomedioevale.
7. Resti del nartece (di fronte all’altare del Crocifisso).
8. Sarcofago ora impiegato come ossario (davanti all’attuale altare della Madonna).
9. Scheletro del “sepolto vivo”.
10. Sepolcro dei sacerdoti.
11. Sepolcro dei nobili Casati.
12. Tomba del barone Castelli (davanti alla cappella di San Giuseppe).
13. Pietre d’angolo (nel pilastro del pulpito moderno).
14. Ingresso dell’antica canonica (davanti all’altare del Sacro Cuore).

Embrice romano con la sigla Ω (omega), l’ultima lettera dell’alfabeto greco, con la quale si indicava
l’uso particolare di questi tegoloni per le tombe

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Il sacello e il presbitero
Lo scavo archeologico ha messo in luce, nell’area corrispondente all’attuale ingresso della chiesa, la base coperta da
grossi ciottoli e il cordolo legato con malta di un sacello, un piccolo spazio a pianta circolare presumibilmente
pagano, trasformato in edificio paleocristiano dopo l’evangelizzazione di Dairago, divenendo forse il primitivo
battistero della pieve. Di questa costruzione, sono stati ritrovati alcuni frammenti della pavimentazione a mosaico,
costituita da marmi tagliati in forme svariate (opus sectile): due tarsie triangolari in marmo bianco, un elemento
sagomato a guisa di colomba, pure in marmo bianco con incisioni colorate di rosso e nero
(6 cm x 11 cm). La colomba è il simbolo tradizionale dello Spirito Santo, che discende sul capo del battezzando, ma
può anche indicare l’anima del fedele defunto.
All’esterno del sacello sono state rinvenute numerose tombe coeve, che individuano un’intera area sacra; in
particolare una tomba posta in posizione privilegiata, a oriente del tempio, conteneva un’epigrafe funeraria incisa
con una punta su una lastra di laterizio (35,5 cm x 57 cm, spessa 8 cm).
L’abbreviazione PBR contenuta nell’iscrizione sembra indicare che la sepoltura era riservata a un presbiter, uno dei
preti che hanno cristianizzato il vasto territorio della pieve di Dairago.

Base del sacello a pianta circolare, coperta da ciottoli con il cordolo legato da malta

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Formella di marmo bianco (21 cm x 21 cm) con alcuni segni tipici
dell’età paleocristiana, ritrovata tra le pietre delle fondamenta,
davanti all’altare di San Giuseppe, accompagnata da vasetti
Tarsie di marmo bianco di una pavimentazione a mosaico, balsamari di vetro sottile. La piastrella mostra un disegno
il tassello a forma di colomba è privo a forma di colomba assai simile alla tarsia
del capo e di una zampa rinvenuta nell’antico sacello

Rilievo delle strutture relative


alla fase più antica della chiesa
di San Genesio (Fase 1).
Sovrintendenza Archeologica
della Lombardia, rilievo di G. Righetto

Ricostruzione della tarsia marmorea a


forma di colomba.
Le parti mancanti sono state
disegnate prendendo a modello
le tarsie del tutto identiche ritrovate
durante gli scavi archeologici
condotti sotto la basilica pievana
di San Giulio d’Orta e utilizzate
nel rivestimento dell’antica tomba
di san Giulio, un opus sectile databile
tra la fine del IV e il V secolo

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Una delle tombe più antiche, quella del presunto presbitero formata da laterizi romani e ubicata all’ingresso della chiesa attuale

Epigrafe incisa su di un laterizio, impiegato come cuscino nella sepoltura del presbitero

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La tomba romana e la tomba longobarda
Davanti all’ingresso del battistero, è situata l’unica tomba perfettamente integra rinvenuta nel corso degli scavi, una
cassa rettangolare composta da grandi lastroni di pietra scistosa con il fondo formato da tegoloni romani.
All’interno, tra i resti dello scheletro e i brandelli di stoffa dei vestiti, è stata trovata una moneta romana con il busto
di Costantino, un follis di bronzo coniato nella seconda officina di Pavia tra l’ottobre dell’anno 312 e il maggio del
313. Secondo l’usanza funebre pagana, dovrebbe trattarsi dell’obolo con cui il defunto doveva pagare Caronte, per
essere traghettato dall’una all’altra riva del fiume infernale Acheronte.
Nel primitivo sacello, di fronte all’altare, il pavimento fu squarciato per deporre un personaggio prestigioso, in una
tomba trapezoidale formata da mattoni intonacati di bianco con tre croci rosse dipinte internamente. All’estremità
più ampia del sarcofago, uno scivolo di mattoni, con al centro il cavo cefalico, reggeva il capo del defunto rivolto
verso il tabernacolo. Le croci affrescate sulle pareti, ormai ridotte all’incisione delle linee principali e a poche tracce
di colore, fanno attribuire questa importante sepoltura all’epoca dei longobardi.

I resti dello scheletro, in mezzo ai quali è stata recuperata una moneta romana, come si sono presentati
al momento dell’apertura della cassa

Sepoltura in mattoni scavata all’interno del sacello, intonacata e dipinta con tre croci di tipologia longobarda

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Croce affrescata sulla parete orientale della tomba attribuita all’epoca longobarda

La nuova croce posta sul fastigio dell’oratorio dedicato a san Luigi Gonzaga, conformata a quella rinvenuta nella tomba

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L’abside rivolta a oriente e il nartece
Ancora oggi è interamente conservata la fascia inferiore dell’abside semicircolare appartenente alla chiesa
altomedioevale di San Genesio, un edificio rivolto a oriente dove sorge il sole, in senso opposto alla costruzione
attuale. L’abside è perfettamente centrata sul sacello, poiché nel costruire il nuovo edificio sacro si è voluta
conservare la memoria di quello più antico. Durante gli scavi, alla base della muratura, formata da grossi ciottoli
provenienti dalla campagna locale, sono stati rinvenuti numerosi frammenti d’intonaco dipinto, costituenti l’ultima
testimonianza degli affreschi che ornavano la superficie interna dell’abside.
Attorno alle tombe si ergono le fondamenta della chiesa, costituite da corsi di ciottoli squadrati in corrispondenza
della superficie muraria e intonacati. Lo strato inferiore appartiene alla struttura edilizia anteriore al Mille, un
edificio a navata unica che terminava a levante con l’abside e a ponente con il nartece, raso al suolo forse a seguito
del grande terremoto che nel 1117 distrusse molti edifici di culto nella Pianura Padana. Separate da un velo di
terriccio, sono state sovrapposte le mura della chiesa gotica, formate da ciottoli intonacati, ricostruite esattamente
sullo stesso perimetro di quelle anteriori.
Il nartece, ormai superfluo, fu inglobato nella navata che si allungò verso ovest. La nuova costruzione era munita
di pilastri e di una pavimentazione in cocciopesto rosato, un’apertura nella parete nord conduceva ai locali
dell’antica canonica, della quale sono stati rilevati numerosi frammenti murari.

Frammenti d’intonaco dipinto recuperati tra le macerie dell’abside medioevale

Parte inferiore dell’antica abside, concentrica al sacello e orientata a est dove sorge il sole

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Le tombe del nartece in ciottoli e malta, originariamente coperte da una lastra di pietra

Lastre di pietra che chiudevano la tomba con la moneta di Costantino, affiancata dai due strati di mura perimetrali della chiesa,
in basso quello anteriore e sopra quello posteriore al Mille

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Rilievo delle strutture relative alla fase intermedia della chiesa di San Genesio (Fase 2) anteriore all’anno mille.
A partire dall’ingresso (in alto) si incontrava il nartece, seguito dalla breve navata e dal presbiterio (in basso).
Sovrintendenza Archeologica della Lombardia, rilievo di Motto e Cavalli

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Rilievo delle strutture concernenti la fase gotica della chiesa di San Genesio (Fase 3) descritta anche nei documenti
a partire dal Cinquecento. Il nartece è stato inglobato nella navata, munita di pilastri di rinforzo
e con una pavimentazione uniforme di cocciopesto.
Sovrintendenza Archeologica della Lombardia, rilievo di M. Motto

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L’ossario
Una tomba formata da lastroni di pietra coperta da beole era collocata inizialmente fuori della chiesa medioevale, a
ridosso delle fondamenta appartenenti alla parete meridionale; anche questa struttura fu riutilizzata in epoca tarda,
rialzandone le spallette grazie a muretti di mattoni. Allorché furono realizzate le tre cappelle settecentesche, che
ampliarono San Genesio verso mezzogiorno, fu costruito un arco di mattoni per sostenere il nuovo muro senza
gravare sulla tomba. Il suolo circostante, per secoli adibito a cimitero, è intriso di ossa; tra quelle che emergono dal
terreno, si riconoscono alcuni frammenti di cranio e di arti. Nel profondo sarcofago sono stati deposti i resti mortali
trovati nel corso degli scavi archeologici del 1997; tutto ciò che rimane di nobili, sacerdoti, ricchi e plebei, che per
oltre un millennio hanno vissuto a Dairago, ora riposa in quest’ossario che conserva le radici della comunità.

Il sarcofago originariamente scavato all’esterno della chiesa, subito dopo la sua apertura

Al centro della chiesa, una sepoltura conservava una figura inquietante,


uno scheletro cui è stato affibbiato il nomignolo di “sepolto vivo”

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Il sepolcro dei sacerdoti
Nel 1729 il prevosto Giovanni Pietro Rossi fece scavare, davanti all’antico altare maggiore, un ampio sepolcro per i
prevosti di Dairago; l’apertura superiore della cripta venne chiusa nel 1733 con una lastra di marmo recante la scritta
“Sepulcrum Sacerdotorum”. Nel locale sotterraneo, con sei nicchie semicircolari incavate nelle pareti, fu tumulato
il prevosto Rossi, morto nel 1734, seguito dai suoi successori fino alla metà dell’Ottocento. I cadaveri, seduti e
rivestiti dei paramenti sacri, erano sostenuti da assicelle che poggiavano su due ganci di ferro posti ai lati di
ciascuna nicchia. I muri e il pavimento in mattonelle del sepolcro appaiono tuttora in ottimo stato di conservazione,
mentre la volta di mattoni fu sfondata e la cripta fu colmata da macerie, durante il rifacimento ottocentesco della
chiesa; dei corpi seduti nelle nicchie, sono state rinvenute solo poche ossa e alcuni brandelli degli indumenti.

Il sepolcro dei sacerdoti con le caratteristiche nicchie

Il sepolcro dei nobili Casati


Nel mezzo della chiesa fu costruita la tomba di famiglia di Francesco Bernardino Casati, giureconsulto collegiato di
Milano ed erede del palazzo Camaóón, nonché priore della Scuola del Santissimo Sacramento di Dairago, defunto
nel 1623. Il suo sepolcro era in origine coperto da una lastra di pietra recante l’epigrafe: “DOM Sepulcrum
Bernardini Casati IUD Mli colto, et Successorum”.
Il figlio Carlo Alpinolo, condannato a morte nel 1647 in seguito a un delitto perpetrato in Dairago, fuggì dallo Stato
di Milano, donando nello stesso anno il sepolcro paterno al parente Carlo Rossi e ai suoi discendenti; questi vi fece
apporre una nuova iscrizione: “Sepulcrum Bernardini Casati, nunc vero Caroli Rubei, et successorum”. Le epigrafi
non sono state trovate nel corso degli scavi, poiché la grossa tomba di mattoni era scoperchiata e colma di macerie.

La tomba di famiglia dei nobili Casati

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Lo scheletro del barone Castelli
All’inizio degli scavi, la prima sepoltura scoperta custodiva lo scheletro integro di Carlo Castelli, sergente maggiore
della piazzaforte di Como e barone del Sacro Romano Impero col predicato di Villanova nella contea di Gradisca
d’Isonzo, deceduto il 15 marzo 1763 nella sua residenza di Dairago all’età di 81 anni. Il barone, alto un metro e 65
cm, venne sepolto davanti all’allora cappella del Rosario, vestito con l’abito della confraternita della Beata Vergine
del Carmine e il viso rivolto verso l’altare.
Dopo meno di due mesi, il 13 maggio 1763 morì anche la moglie donna Caterina Guglielma Reuscembergh all’età
di 74 anni, che trovò sepoltura davanti all’antico altare di San Giovanni Evangelista, dall’altra parte della navata,
dove effettivamente sono stati trovati i suoi resti racchiusi in una cassa lignea.

I resti del barone Carlo Castelli riesumati all’inizio dello scavo, sotto le piastrelle del pavimento moderno

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ANTICHITÀ ROMANE A DAIRAGO E DINTORNI*

1. Scavi archeologici in San Genesio del 1997: GRSD, M.A. BINAGHI, Dairago, 1500 anni di… Cristianesimo,
“Dairago”, a. IX, n. 2 (ottobre 1997), p. 16.
Ara romana dedicata a Giove: T. MOMMSEN, Corpus inscriptionum latinarum, vol. V, parte II, Inscriptiones Galliae
Cisalpinae latinae, Berlino 1877, p. 599, n. 5576; F. PONTI, I Romani e i loro precursori sulle rive del Verbano, nell'Alto
Novarese e nell'Agro Varesino, Intra 1896, p. LIV.
Ritrovamenti durante la costruzione del campanile nel 1892: M. BERTOLONE, Lombardia Romana,
Milano 1939, p. 31.
2. Ritrovamenti del Casaregio: M. BERTOLONE, Lombardia Romana, Milano 1939, p. 31.
3. Ritrovamento del 1948 in Via Carroccio.
4. Sarcofago di Villa Cortese: G. SUTERMEISTER, Le notizie archeologiche e storiche sui ritrovamenti tolti nella zona,
"Memorie della Società Arte e Storia di Legnano", n. 2 (1934), pp. 3-4; AA.VV., Otium et negotium. Aspetti della vita
quotidiana in età romana, Legnano 1993, pp. 14-15.
5. Are romane della cascina S. Bernardino: G. SUTERMEISTER, Legnano romana, Legnano 1928, pp. 25, 105-106.
6. Necropoli di Via Novara: G. SUTERMEISTER, Legnano romana, Legnano 1928, pp. 55-77.
7. Ritrovamento del maggio 1995 in località Bago.

* M. COLOMBO, L. COLOMBO, Per un’ipotesi di centuriazione romana a Borsano, in Almanacco della Famiglia Bustocca per l’anno 1998,
Busto Arsizio 1998, pp. 25 - 33.
Con il sacello scoperto durante gli scavi archeologici, bisogna mettere in relazione un’ara sacrificale di pietra con
iscrizione votiva risalente all’epoca romana, rimasta per secoli nel cimitero che affiancava la chiesa di San
Genesio, per poi finire dispersa. L’ara era stata dedicata a Giove da parte di un personaggio di nome Cassio, come
si poteva desumere dall’epigrafe:

I(ovi) O(ptimo) M(aximo)


[...] CASSIVS
[...] R [...]

Il culto di Giove, con gli epiteti ufficiali di Ottimo e Massimo, era il culto romano per eccellenza, essendo rivolto
alla somma divinità del Campidoglio, cui erano legate le fortune di Roma stessa. La gens Cassia, come scrisse
Publio Cornelio Tacito nei suoi Annales (VI 15), era “una famiglia plebea di Roma, ma antica e stimata”; numerose
epigrafi attestano inoltre che i Cassii erano assai diffusi nella Gallia Cisalpina.
Sempre nell’antico cimitero di Dairago, durante la costruzione del campanile moderno, nel 1892 vennero alla luce
diverse tombe di inumati, con corredi funebri composti di oggetti della vita quotidiana; il tutto andò poi disperso.
Un chilometro a nord-est del paese si stendono i campi coltivati del Casaregio, dove nel 1886 si rinvennero monete,
suppellettili di terracotta e ferri; pure questi ritrovamenti sono stati dispersi. Ancora nella stessa località, fino alla
metà del secolo scorso, durante l’aratura venivano trovati cocci di laterizi bruciacchiati, quasi certamente
provenienti da sepolture romane, frantumi degli embrici impiegati nelle tombe a cassa o in quelli alla
“cappuccina”. Non distante dal Casaregio, nel corso degli scavi per la costruzione di un’abitazione in Via
Carroccio, nel 1948 furono trovati analoghi frammenti di tegole.
A partire dal luogo di culto dell’antica pieve, i ritrovamenti di antichità romane sono disposti a fianco della strada
campestre che dal centro abitato conduce a Legnano, passando per la Cascinaccia e per la cascina San Bernardino;
a nord di questa via, all’altezza del Lazzaretto di Dairago, si stendono i campi del Casaregio. Più avanti, subito
dopo la Cascinaccia, a sud-est dell’incrocio con la strada che da Borsano conduce a Villa Cortese, all’inizio del
Novecento venne trovato un sarcofago di serizzo di buona fattura, databile al II secolo d. C., con l’iscrizione
funebre incisa entro una tabula ansata. L’avello di Villa Cortese, ora conservato presso il Museo Civico di Legnano,
reca la scritta in forma abbreviata “agli Dei Mani”, le anime buone dei defunti, seguita dal nome del sepolto:
Valerio Secondo Petronio. Infine, nel 1895 presso la cascina San Bernardino furono scoperte due are romane in
serizzo, oggi esposte al Museo di Legnano, una con l’iscrizione funebre e l’altra con la dedica al dio Vulcano.
Un’analoga disposizione dei ritrovamenti romani sembra ripetersi per la Strada Traversagna, che corre parallela
alla distanza di circa 1200 metri a nord della precedente, collegando direttamente Legnano al centro di Castano,
per poi proseguire fino all’alveo del Ticino. All’ingresso di Legnano, a sud di tale strada, nel 1925 fu individuata
la necropoli di Via Novara, comprendente circa duecento tombe a cremazione, con cronologia prevalente attorno
al I secolo d. C.; nel territorio di Borsano, in località Bagu, a poca distanza dall’incrocio fra la suddetta Traversagna
di Castano e la Strada Serta, nel maggio 1995 sono affiorati i frammenti di un’urna funebre, cocci di anfore e vasi
attribuiti a una sepoltura d’epoca romana, probabilmente del tipo “a cappuccina”.
Considerato che le necropoli romane sorgevano al di fuori del perimetro urbano, solitamente lungo le vie più
importanti, si può concludere che la Traversagna di Castano e la strada campestre che unisce Dairago a Legnano
dovrebbero costituire i resti di due limites, ossia due assi del reticolato centuriale di cui restano tracce apprezzabili
nella disposizione dei campi e nella viabilità in tutta la zona presa in esame. Infatti, ogni volta che nasceva una
colonia, i romani squadravano il territorio con la centuriatio, che portava alla suddivisione del suolo in lotti
(centurie) grazie all’incrocio ortogonale di due assi principali, il kardo maximus e il decumanus maximus, orientati
rispettivamente in senso nord-sud ed est-ovest. A distanze regolari dagli assi principali, erano tracciati assi minori
(limites) paralleli ai primi, in modo da ottenere una sorta di reticolato.
La centuriazione nell’Altomilanese sembra ricalcare le direzioni dei fiumi Olona e Ticino, poiché le tracce più
evidenti si stendono tra questi due corsi d’acqua per giungere a nord sino alle prime colline. Sull’altra sponda
dell’Olona analoghi segni proseguono fino a Saronno, dove inizia la centuriazione comasca di diverso
orientamento.
Le maglie del disegno pianificatorio, inclinate a Dairago di circa 25° rispetto agli assi cardinali, sono rimaste a
indicare e orientare i processi posteriori di insediamento umano, tanto che la topografia odierna ne ricalca ancora
le tracce. Questa situazione è stata determinante nel posizionamento degli edifici civili e religiosi succedutisi nel
tempo, che si sono dovuti inserire coerentemente nel tessuto urbano precedente, assumendo un orientamento
parallelo alle strade.
Gli scavi archeologici in San Genesio hanno permesso di misurare l’orientamento della chiesa altomedioevale
rispetto alle direzioni geografiche, si è quindi stimato che l’edificio sacro più antico e i successivi rifacimenti
hanno un asse deviato verso nord di 27° rispetto alla direzione est-ovest. La giacitura dell’antica chiesa pievana
s’inserisce perfettamente nel reticolato della centuriazione ed è plausibile che essa sorga su resti di edifici romani.
CON IL SOLE INVINCIBILE*
Il giorno più corto
Col progredire della Terra lungo la propria orbita, dopo il solstizio d’estate che cade il 21-22 giugno, i punti del sorgere
e del tramonto del Sole regrediscono sempre più a sud; contemporaneamente l’arco diurno percorso dall’astro sopra
l’orizzonte diviene più breve e a mezzogiorno il Sole culmina sempre più in basso nel cielo, di conseguenza le giornate
continuano ad accorciarsi mentre le notti si allungano.
Attorno al 22 dicembre, dopo aver proseguito la discesa per sei mesi, il Sole raggiunge la sua minima declinazione:
quell’istante segna il solstizio d’inverno e l’inizio dell’inverno astronomico, che dura 89 giorni fino al 21 marzo.
Per l’emisfero boreale terrestre, il Sole descrive il minimo arco diurno, si ha dunque la giornata più breve e la notte
più lunga dell’anno; in particolare a Dairago l’aurora giunge alle ore 8:03 e il tramonto alle 16:42, perciò il giorno dura
solo 8 ore e 39 minuti.
Addirittura il Sole non sorge per niente nella calotta compresa tra il polo nord e il circolo polare artico, mentre
all’equatore la notte e il giorno mantengono esattamente la medesima durata anche il 22 dicembre, come sempre.
Al momento del solstizio, ossia del “Sole stazionario”, l’astro si “ferma” nella sua discesa, per poi iniziare a risalire nel
cielo; da allora il Sole, progressivamente, aumenta l’arco apparente sopra l’orizzonte, con il conseguente aumento
della durata del giorno. Per la fine di gennaio l’alba a Dairago anticipa di 15 minuti rispetto al solstizio d’inverno e il
tramonto avviene 45 minuti dopo, così nel complesso le giornate si allungano di un’ora.

Il culto del Sole


Il Sole è la sorgente della luce, del calore e della vita. I suoi raggi raffigurano le influenze celesti, spirituali, ricevute
dalla Terra; la sua corsa diurna scandisce le ore e le variazioni della sua traiettoria nel cielo segnano i mesi, le stagioni
e gli anni. L’astro è anche un simbolo di risurrezione e d’immortalità, col suo nascere ogni mattina, il suo ascendere,
il suo declinare e il suo discendere ogni notte nel regno dei morti, per poi rinascere il giorno successivo.
È stato osservato che solo le culture superiori sono riuscite a elevarsi al livello del culto solare e si è aggiunto che
l’elemento solare è tipico di quei culti arrivati assai vicini al monoteismo. In molte civiltà il disco solare è stato
associato alla potenza regolatrice dell’universo e alla giustizia, questo spiega perché nelle antiche monarchie sacre il
Sole fosse il simbolo regale per eccellenza. Alessandro Magno (356-323 a.C.) desunse il carattere solare della sua
regalità dall’Egitto faraonico e dalla Persia mazdaica, regalità che in seguito gli imperatori romani a loro volta
rivendicarono.
All’inizio del primo secolo, Marco Verrio Flacco scrisse nel Saturnus: “se il Sole secondo l’opinione degli antichi regge
e governa tutti gli altri astri e presiede esso solo al movimento dei pianeti, e se è vero che le stelle con le loro orbite
regolano, come alcuni ritengono, l’ordine degli eventi umani, o, secondo la teoria di Plotino, lo preannunciano,
dobbiamo necessariamente considerare il Sole, in quanto governa i governatori del nostro destino, come origine di
tutto ciò che accade attorno a noi”.

Il Natale del Sole invitto


La data di nascita di Cristo non è indicata nei Vangeli, né le ricerche compiute dagli storici moderni sono riuscite ad
appurarla, la festa del Natale è quindi una data simbolica che ha le sue radici in Roma: il 25 dicembre si collega al
solstizio d’inverno e alla festa di epoca imperiale del dies natalis Solis invicti, il Natale del Sole Invitto.
Il Sol Invictus (Sole invitto, invincibile) era una divinità solare affermatasi con Aureliano (214-275 d.C.); figlio di una
sacerdotessa del Sole, l’imperatore illirico assimilò il culto della regione natia, culto che trovava riscontro anche in altre
religioni del tempo, dall’Elio greco all’Apollo romano, dal Mitra iranico all’El Gabal siriano al Bal del regno di Palmira.
Nella visione di Aureliano, la divinità realizzava nella sfera religiosa quell’unità dell’impero che egli aveva restituito
politicamente; dalla ritrovata coesione politica e spirituale dell’impero procedeva quindi l’invincibilità di Roma.
Celebrato con cerimonie e giochi, il Natale del Sole invitto era stato fissato da Aureliano al 25 dicembre, ovvero
qualche giorno dopo il solstizio invernale, quando il “nuovo Sole” era salito percettibilmente all’orizzonte. Molti
cristiani erano attirati da queste feste spettacolari e la Chiesa, preoccupata della straordinaria diffusione dei culti solari
e soprattutto dal mitraismo, che con la sua spiritualità, non dissimile dal cristianesimo, poteva frenare la diffusione
del Vangelo, dalla fine del III secolo pensò di celebrare nello stesso giorno il Natale di Cristo come vero Sole.
Nella necropoli del Vaticano, sul soffitto della tomba dei Giulii, un mosaico del III secolo rappresenta Cristo come il
dio solare Apollo, sul carro tirato dai cavalli, con la testa circonfusa dai raggi splendenti.
Non è una sovrapposizione infondata, perché i profeti dall’Antico Testamento avevano preannunciato Gesù come luce
e Sole: “allora sorgerà il Sole di Giustizia” (Malachia 4, 2); a sua volta Giovanni afferma nel Nuovo Testamento: “veniva
nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Giovanni 1, 9). Per questi motivi già nei primi secoli
l’accostamento del Sole a Cristo era abituale, come testimonia nel II secolo il filosofo cristiano Tertulliano: “altri […]
ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il Sole che sorge e
che nel giorno del Sole ci diamo alla gioia” (Ad Nationes I 13). Sicché dovette sembrare una decisione legittima quella
di celebrare la nascita di Cristo il 25 dicembre.

* L. COLOMBO, Con il Sole Invincibile, “Orizzonti”, a. XVII, gennaio 2001, pp. 22 - 28.
Il Sole sotto i tratti di “Nostro Signore Gesù Cristo” al centro di uno zodiaco del IX secolo. Cristo assunse anche il ruolo
e prese il posto del Sole in mezzo ai dodici segni, in qualità di cronocratore: signore del tempo.
Immagine tratta dal manoscritto: Scholium de Duodecim Zodiaci signis et de Ventis, Bibliothèque Nationale, Parigi

Sole di Giustizia
Il culto del Sol Invictus, che trionfò fra II e IV secolo, fu il vero antagonista del cristianesimo; la vittoria di quest’ultimo
fu simbolicamente segnata dalla fissazione della data di nascita del Cristo al giorno del solstizio d’inverno. Anche il
Solis dies, il giorno della settimana assegnato dai pagani al dio Sole, divenne il giorno del Signore: Dominica dies, la
domenica cristiana.
In un trattato latino del IV secolo, si parla della questione del solstizio invernale e del suo rapporto col giorno natale
di Cristo e, a proposito del 25 dicembre, si dice: “ma essi lo chiamano anche natale del Sole invitto. Ma che cosa è così
invitto come nostro Signore, che annientò e vinse la morte? E se quelli chiamano questo giorno il Natale del Sole, Egli
è il Sole di giustizia”. Nello stesso secolo, sant’Ambrogio scrisse “come il Sole sorge quotidianamente su tutto, così il
mistico Sole di Giustizia sorge su tutti noi, per tutti è apparso, per tutti ha sofferto, per tutti è risorto”.
Nel secolo V papa Leone Magno diede alla solennità del Natale il fondamento teologico, polemizzando con quei
cristiani che continuavano a onorare il Sole alla maniera dei pagani: “prima di entrare nella basilica di san Pietro
apostolo” scrisse nel 7° Sermone tenuto nel Natale del Signore “si rivolgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano
in onore dell’astro fulgente”.

Portina del tabernacolo nella cappella di San Giuseppe in bronzo dorato, figurante il simbolo più diffuso dell’Eucaristia:
l’ostia col trigramma JHS di san Bernardino da Siena, contornato di raggi fiammeggianti
Gli antichi cristiani pregavano verso est dove si leva il Sole e le chiese furono quindi costruite con tale orientamento;
si pensi a questo riguardo alle chiese dairaghesi della Madonna in Campagna e all’antica pievana di San Genesio,
recentemente emersa dagli scavi archeologici.
Al principio del Duecento san Francesco d’Assisi, in modo straordinariamente alto e profondo, definirà l’astro
risplendente “Messer lo frate Sole”. “Messere”, signore: come i potenti della Terra e, soprattutto, come il Signore dei
cieli, del quale Francesco disse esplicitamente che il Sole è simbolo; ma anche “fratello”, com’è fratello degli uomini il
Cristo nella comune discendenza dal Padre.
La definizione di Francesco aprì la strada a quella simbologia che si palesò soprattutto nel trigramma raggiante di san
Bernardino da Siena, questi all’inizio del XV secolo aveva l’abitudine di mostrare ai fedeli, al termine delle sue
prediche, una tavoletta su cui erano impresse in oro le lettere JHS (Jesus Hominum Salvator, Gesù redentore
dell’umanità) contornate da un cerchio di raggi fiammeggianti.

La moneta di Costantino
Nella chiesa di San Genesio di Dairago, davanti all’ingresso del battistero, è situata l’unica tomba perfettamente
integra rinvenuta nel corso degli scavi archeologici del 1997, una cassa rettangolare composta di grandi lastroni di
pietra con il letto formato da tegoloni romani.
All’interno, tra i resti dello scheletro e i brandelli di stoffa dei vestiti, era deposta una moneta romana con il busto di
Costantino (Gaius Flavius Valerius Costantinus), un follis di bronzo coniato nella seconda officina di Pavia, col diametro
di 21 mm e il peso di 4 grammi circa. Secondo l’usanza funebre pagana, dovrebbe trattarsi dell’obolo con cui il defunto
doveva pagare Caronte, per essere traghettato dall’una all’altra riva del fiume infernale Acheronte.
La moneta è databile tra l’ottobre dell’anno 312 d.C., quando la zecca di Ticinum passò sotto il controllo di Costantino
dopo la vittoria di Ponte Milvio, fino al maggio del 313 , quando Costantino e Licinio rimasero gli unici dominatori
dell’impero.
Sul dritto della moneta è ritratto il busto laureato e corazzato di Costantino, con attorno l’iscrizione CONSTANTINVS
P F AVG (Pius Felix AVGustus) e il contorno perlinato. Sul rovescio è raffigurato il Sol Invictus come un giovane dio
nudo, ornato della splendente corona di raggi, con un corto mantello (clamide) sulle spalle, mentre indica con la mano
destra il cielo e regge con la sinistra il globo, simbolo del proprio potere eterno sul mondo.
Attorno si legge l’iscrizione SOLI INVICTO COMITI: con il Sole invincibile che ci accompagna. Nell’esego compare la
lettera S (secunda), che identifica la seconda officina, seguita dalla sigla T della zecca di Ticinum (Pavia), aperta nel 274
d.C. e dotata di ben sei officine, attive soprattutto per coniare le monete necessarie a pagare l’esercito romano†.
L’effige dell’imperatore romano che concesse la libertà di culto ai cristiani, con l’editto di Milano del 313, associata
nella moneta all’immagine del Sole invincibile, di cui Cristo avrebbe presto occupato il posto, è il paradigma di quanto
sarebbe poi accaduto all’antico luogo di culto pagano di Dairago, destinato a convertirsi in chiesa madre della fede
cristiana.

La moneta di Costantino trovata nel corso degli scavi archeologici in San Genesio:
un Follis di bronzo (312 - 313 d.C.) col diametro di 21 mm e il peso di 4 grammi circa.
Sul dritto della moneta è ritratto il busto laureato e corazzato di Costantino, sul rovescio è raffigurato il Sole invitto, un
giovane dio che indica con la mano destra il cielo e regge con la sinistra il globo

† M. CHIARAVALLE, Le monete di Ticinum nella collezione di Franco Bolla, Milano 1987, pp. 2, 14, 53 - 54, tav. XVII.
PIETRE D’ANGOLO*
Lo spigolo dell’antica facciata
Uno dei motivi di maggior interesse, dello scavo archeologico effettuato in chiesa nell’estate 1997, è stato il
ritrovamento delle fondamenta appartenenti all’abside semicircolare, alle pareti laterali e alla facciata medioevale
di San Genesio, una struttura orientata in senso opposto all’edificio attuale.
In accordo con la tecnica edilizia propria del Medioevo, i frammenti architettonici venuti alla luce sotto il
pavimento della parrocchiale presentano gli spigoli rinforzati da pietre squadrate, pezzi di serizzo irregolari nella
forma e nella dimensione.
In particolare, durante il rifacimento dell’intonaco dell’attuale pilastro che sorregge il pulpito, è stata ritrovata la
parte inferiore del cantone che legava l’antica facciata al muro perimetrale meridionale, formata da blocchi di
serizzo disposti di piatto e di taglio, sopra i quali poggiano i corsi di mattoni.
Le pietre che rinforzano gli angoli dell’edificio sono i tipici reimpieghi nelle murature di materiali provenienti
dall’area sacra sottostante, sopra la quale fu eretta la chiesa alcuni secoli prima del Mille.

Pietre d’angolo appartenenti alla facciata della chiesa medioevale, inserite nel basamento del pilastro
che sorregge il pulpito, di fronte all’altare

Pietre sacre, pietra angolare e pietre vive


Accanto al compito di individuare con precisione e ricordare nel tempo il sito dell’antica facciata di San Genesio,
alle pietre d’angolo lasciate a vista nel pilastro di fronte all’altare, si è voluto attribuire un grande valore simbolico,
in sintonia con la Sacra Scrittura.
In ogni tempo, per la sua perennità e la sua apparenza informale, la pietra è apparsa agli uomini come un simbolo
del sacro: in essa traspare qualcosa delle grandi potenze organizzatrici del cosmo. Dappertutto sono state venerate
pietre sacre, uno degli esempi più grandiosi è la pietra della Ka‘ba, al centro della città santa della Mecca.
Anche la costruzione, pietra su pietra, evoca la formazione di un edificio spirituale; un’idea che trova la sua origine
in due passi del Vangelo, il primo è quello che fa di Simone figlio di Giovanni, da Gesù chiamato Kefa (roccia), la
pietra fondamentale della costruzione ecclesiale: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Matteo
16, 18). Il secondo brano evangelico è quello che riprende il testo del salmo 118: “La pietra respinta da costruttori
è diventata la pietra angolare” (Matteo 21, 42; Luca 20, 17).
Ogni membro della Chiesa è a sua volta una delle pietre che compongono le mura della casa di Dio: “Anche voi
venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (Prima lettera di Pietro 2, 5). In un
sermone sulla dedicazione della chiesa, Ugo di San Vittore (1096 ca.–1141) affermò che le pietre dell’edificio
rappresentano i fedeli inquadrati e saldi nella stabilità della fede.

* GRSD, Pietre d’angolo, “Orizzonti”, a. XVI, febbraio 2000, pp. 11 - 12.

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