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Dopo la caduta dell’ordinamento fascista, i contratti collettivi i contratti collettivi corporativi sono
stati sostituiti da quelli di diritto comune che non hanno più valore di atti normativi ma natura negoziale, e
nonostante abbiano efficacia limitata tra le parti di tutti gli atti di autonomia privata, estendono i loro effetti
anche al di là del loro ambito di applicazione soggettivo e sono comunque inderogabili dalla volontà delle
parti del contratto individuale.
La giurisprudenza ha sempre svolto una funzione suppletiva rispetto al legislatore, ed è quindi
considerata alla stregua di una fonte del diritto del lavoro.
Normativa internazionale in materia di lavoro Organizzazione internazionale del lavoro della
quale fanno parte gli Stati membri dell’ONU, svolge un’attività normativa in materia di lavoro attraverso
emanazione di raccomandazioni e la predisposizione di progetti di convenzioni. I suoi atti in materia di
diritti sindacali, di tutela antidiscriminatoria, eguaglianza tra lavoratori ecc. hanno avuto un’influenza
relativa sull’evoluzione del diritto del lavoro italiano.
Influenza penetrate l’ha avuta invece la normativa comunitaria. Dopo l’Atto Unico Europeo e il
Trattato di Maastricht è riconosciuta all’UE una competenza crescente e autonomia in materia di lavoro ed
è previsto un coinvolgimento crescente delle parti sociali nei processi di formazione delle norme
comunitarie. È assente un sistema compiuto di regole del diritto del lavoro europeo e ci sono varie
divergenze sulle tecniche di regolazione tra coloro che privilegiano l’assetto di un’Europa sociale fondato su
un sistema di regole rigide e vincolanti e coloro che auspicano il rafforzamento di soft law. Tra gli obiettivi
del Trattato dell’UE c’è la promozione di un elevato livello di occupazione; l’art 151 indica come obiettivi
della politica sociale comunitaria il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, promozione
dell’occupazione, protezione sociale adeguata, dialogo sociale = avanzamento delle fonti comunitarie in
materia sociale. L’occupazione e la tutela del lavoro sono diventati valori fondanti della Comunità.
Gli atti emanati dall’UE dispiegano efficacia nell’ordinamento degli stati membri in diversa guisa. In
particolare, i regolamenti, contenenti precetti generali e astratti, tendono a uniformare le legislazioni
nazionali, mentre le decisioni sono riferite a situazioni specifiche; entrambi sono applicabili direttamente
nei confronti degli stati e degli individui e prevalgono su norme di diritto interno eventualmente difformi. Le
direttive invece devono essere recepite in atti interni dei Paesi membri; nel caso in cui lo Stato non
provveda ad attuare la direttiva nei termini stabiliti, il privato cittadino ha diritto a risarcimento da parte
dello Stato.
Norme costituzionali in materia di lavoro già nel primo articolo viene riconosciuto al lavoro un
valore fondante della Repubblica e garantito un sistema di tutele. Nel 2001 ci sono state alcune modifiche
tra cui la sostituzione dell’art. 117. Il nuovo testo, in materia di ripartizione delle materie tra Stato e
Regioni, elenca tassativamente le materie soggette alla legislazione statale, includendovi l’ordinamento
civile; si può ritenere ragionevolmente che tra i rapporti privatisi possono includere sicuramente la
disciplina del rapporto individuale di lavoro e il diritto sindacale nella sua dimensione privata. Legislazione
regionale affida alla legislazione concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro tutti i
provvedimenti diretti a promuovere l’occupazione.
La disciplina del 1924 ha introdotto il diritto sindacale in azienda riconoscendo ad esso una serie di
diritti e prerogative e ha innovato sensibilmente la disciplina codicistica del rapporto di lavoro.
Usi distinzione tra usi normativi e usi aziendali, che sono usi negoziali. Quest’ultimi si
concretano nella concessione generalizzata di trattamenti non previsti da altre fonti e quindi integrano il
contenuto del contratto individuale, potendo questo essere modificato solo con il consenso del lavoratore
che ne è il destinatario. Secondo una recente giurisprudenza, gli usi aziendali farebbero sorgere in capo ai
datori di lavoro un obbligo unilaterale di carattere collettivo produttivo di effetti giuridici sui singoli rapporti
individuali di lavoro.
Fonti del rapporto di lavoro sono il contratto individuale, il contratto collettivo e la legge. Le ultime
due assolvono a una funzione di integrazione , specificazione e miglioramento delle tutele previste dalla
legge. Per il contratto individuale esiste limitazione dello spazio, ma in ogni caso al lavoratore viene
riconosciuta la libertà do accettare o rifiutare la proposta di assunzione del datore.
I trattamenti più favorevoli pattuiti a livello individuale prevalgono sulle clausole del contratto
collettivo.
I trattamenti collettivi possono essere invece modificati anche in senso peggiorativo da un contratto
di livello inferiore(contratto aziendale rispetto al contratto nazionale).
Il contratto collettivo non può prevedere trattamenti meno favorevoli rispetto a quelli previsti dalla
legge salvo che essa lo consenta; numerose disposizioni legislative hanno attribuito ai contratti collettivi una
funzione integrativa o di completamento del dettato legislativo.
DIRITTO SINDACALE
ORIGINI E BASI DEL DIRITTO SINDACALE ITALIANO
La connessione tra attività sindacale e prestazione di lavoro si realizza storicamente sul piano della
fabbrica di tipo fordista. La fabbrica è il luogo dove si costituiscono i primi rapporti di lavoro tra gli operai e
il padrone e gli interessi comuni degli operai favorisce la formazione delle prime coalizioni per ottenere
migliori condizioni lavorative, andando contro interesse del padrone e arrivando così ai primi scioperi
conclusi con la stipulazione dei primi accordi collettivi, denominati concordati di tariffa.
Le prime coalizioni occasionali si sono formate con un duplice scopo : escludere la concorrenza tra
gli appartenenti al gruppo e neutralizzare il diverso e minore potere contrattuale che l’operaio come
singolo ha di fronte al datore di lavoro. Avevano inoltre anche lo scopo di migliorare la retribuzione.
L’eliminazione della concorrenza al ribasso tra i lavoratori non può prescindere dal’inderogabilità
del contratto collettivo. La prevalenza di quest’ultimo su quello individuale resta di tipo obbligatorio e non
reale.
Il concordato di tariffa inoltre ha un’efficacia soggettiva limitata agli appartenenti alle coalizioni
stipulanti secondo i principi generali in tema di efficacia del contratto. Ma sia le coalizioni che lo sciopero
sono strumenti deboli e precari a difesa dei lavoratori. Lo sciopero rimane però una forma di
inadempimento contrattuale e quindi possibile causa di licenziamento.
Verso la fine dell’800 le coalizioni tendono a trasformarsi in veri e propri sindacati, associazioni di
lavoratori che operano in un determinato ramo di industria. Il sindacato assume la forma giuridica
dell’associazione quindi, ma si contraddistingue dalle altre forme perché è portatore di interesse collettivo
e non solo comune. Questo interesse collettivo è individuato di volta in volta dallo stesso sindacato. I
sindacati sono associazioni volontarie di lavoratori dipendenti in cui gli stessi lavoratori decidono
volontariamente di subordinare i loro interessi individuale all’interesse del gruppo.
Con la diffusione dei concordati di tariffa è istituita la magistratura dei probiviri, che decide le
controversie di lavoro secondo equità. Questa magistratura predispose una serie di massime, di tutela degli
interessi dei lavoratori che costituiscono una sorta di disciplina applicabile a tutti i casi simili.
Per la prima volta venne istituita nel 1906 da un accordo sindacale tra Fiom e la fabbrica di
automobili ITALA la Commissione interna, organismo non associativo interno alla fabbrica, di tutela dei
lavoratori.
Le prime forme di regolazione dei diritti e degli obblighi dei lavoratori hanno avuto quindi origine
nel contratto individuale e collettivo.
Nel periodo liberale vi fu una forte resistenza agli interventi legislativi, soprattutto perché non vi era
consentita la formazione di istituzioni intermedie tra individuo e Stato. Solo con la promulgazione del
codice penale Zanardelli venne depenalizzato lo sciopero che perciò si configura come atto penalmente
lecito e tuttavia sul piano civile resta un inadempimento.
Nello stesso periodo intervengono le prime leggi di tutela del lavoro; nel 1892 nasce la prima
centrale sindacale confederale, la CGIL di ispirazione socialista. Nel 1912 è sancito il principio del suffragio
universale limitato ai soli uomini, qualche anno più tardi viene realizzato un primo abbozzo di legge
sull’impiego privato e nel 1923 è approvata la legge sull’orario di lavoro.
Nello stato liberale quindi, nel primo periodo vige un regime di sostanziale intolleranza nei
confronti dei fenomeni sindacali, mentre il periodo successivo (fino all’avvento del fascismo) è
contrassegnato da un regime di relativa tolleranza e di liceità penale dello sciopero.
Con l’avvento del fascismo tutte le libertà vennero limitate.
L’ordinamento corporativo fu istituito con la l. 563/1926, che riconosceva formalmente la libertà
sindacale, perché consentiva la costituzione di più sindacati, legittimava però il governo ad attribuire
personalità giuridica di diritto pubblico ad un solo sindacato a condizione che raggruppasse il 10% della
categoria di riferimento., categoria determinata dallo stesso governo autoritativamente; il sindacato
riconosciuto aveva la rappresentanza legale di tutti gli appartenenti alla categoria iscritti e non iscritti al
sindacato.
Alla fase sindacale seguì la creazione delle corporazioni, enti di diritto pubblico che riunivano al
proprio interno le associazioni sindacali contrapposte e provvedevano, sotto controllo governativo, ad una
regolamentazione dell’attività economica. Esse emettevano ordinanze corporative.
Il contratto collettivo corporativo stipulato dalle contrapposte associazioni sindacali di categoria
riconosciute aveva efficacia erga omnes. Le norme corporative erano considerate fonte di diritto dal Codice
civile del 1942. Il contratto collettivo era inderogabile in peius dalle pattuizioni individuali e aveva anche
una funzione uniformante (le clausole potevano essere modificate da quelle del contratto individuale a
condizione che contenessero speciali condizioni più favorevoli).
I conflitti non potevano essere risolti attraverso l’autotutela perché lo sciopero e la serrata erano
considerati delitti contro l’economia pubblica , ma dovevano essere composti da una speciale magistratura
del lavoro composta da magistrati ed esperti che giudicavano secondo equità. Le sentenze corporative
avevano efficacia nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria e non solo nei confronti degli iscritti.
L’ordinamento corporativo fu soppresso nel 1943 quando fu siglato il primo accordo sindacale che
ricostruiva l’istituto della commissione interna. Vennero mantenute in vigore le norme contenute nei
contratti collettivi salvo successive modifiche.
Con la Costituzione del 1948 nasce lo Stato sociale che riconosce spazio alle società intermedie,
come i partiti, i sindacati. L’art. 39 stabilisce il principio di libertà sindacale come libertà tipica rispetto a
quella associativa; esso inoltre è considerato il fondamento dell’autonomia collettiva di diritto comune tra
libere e contrapposte organizzazioni sindacali di lavoratori e datori di lavoro.
L’ar. 40 Cost. ha introdotto lo sciopero., che non è più un inadempimento ma determina la
sospensione di entrambe le obbligazioni: quella di lavorare e quella retributiva.
Anni 50 – dibattito sull’opportunità o meno di continuare a utilizzare le categorie pubblicistiche o
privatistiche per interpretare il nuovo diritto sindacale. Prevalse la ricostruzione privatistica di Francesco
Santoro Passarelli, che in quel momento costituì un’efficace barriera alle tendenze neocorporative e che
corrispose in modo soddisfacente ai bisogni e alle aspettative di autoregolazione delle grandi centrali
sindacali preoccupate di difendere la loro autonomia. Ebbe quindi scarso seguito la tesi di Calamandrei,
della titolarità collettiva del diritto di sciopero.
Negli anni 60 un ruolo importante ebbe anche la teoria dell’ordinamento intersindacale di Gino
Giugni che integrò quella privatistica e chiarì le peculiarità e le dinamiche interne dei rapporti sindacali.
Attualmente si è riacceso il dibattito sulla natura del contratto collettivo e sulla possibile
collocazione di questo nel sistema delle fonti di diritto. La dottrina pubblicistica sostiene da tempo la natura
del contratto collettivo di diritto comune e la possibilità di inquadrarlo tra le fonti del diritto. Questa tesi
viene argomentata sulla base del principio di effettività e del tasso di osservanza e di accettazione del
contratto collettivo, nonché sull’opinio iuris volta a fondare l’obbligatorietà della sua applicazione anche ai
non iscritti alle associazioni stipulanti. Tale tesi però è contestata da quella privatistica che ribadisce la
natura privata degli interessi collettivi destinati a prevalere su quelli individuali ed osserva come la
previsione di sanzioni ed incentivi di una disciplina sindacale presupponga l’efficacia limitata del contratto
collettivo.
Interesse collettivo si distingue secondo la dottrina privatistica da quello comune perché il primo
è un interesse che supera e trascende quelli individuali e perché è indivisibile. Il limite di questa
ricostruzione sta nell’avere ipostatizzato questo interesse e avere ad esso riconosciuto un valore
ontologico. L’interesse è collettivo se tale lo considera il gruppo.
L’interesse collettivo prevale su quelli individuali, quindi il contratto collettivo prevale su quello
individuale e le clausole del primo non possono essere derogate in peius dalle clausole del secondo, in caso
contrario sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, mentre prevalgono sul contratto
collettivo solo quelle del contratto individuale che sono più favorevoli .
Accanto all’autonomia privata individuale il nostro ordinamento riconosce spazio all’autonomia
privata collettiva diretta a regolare non già interessi individuali degli appartenenti all’organizzazione
sindacale ma l’interesse collettivo degli stessi. L’autonomia collettiva però non ricava la sua legittimazione
dall’autonomia dei singoli che volontariamente subordinano i loro interessi a quello del gruppo ma
direttamente dall’art. 39 cost, che sancisce la libertà di organizzazione sindacale.
Attualmente il diritto sindacale repubblicano è contrassegnato oltre che dal principio di autonomia
privata collettiva, anche da quello dell’effettività sindacale.
Nel nostro ordinamento l’attività sindacale come lo sciopero è delimitata da una frontiera mobile
che estende o restringe il proprio territorio in ragione di rappresentatività del sindacato in un determinato
momento e contesto. Storicamente il sindacato è stato negoziatore di contratti e perciò l’attività negoziale
rientra tra i compiti del sindacato e costituisce attività sindacale. Quest’ultima non si esaurisce nella
proclamazione degli scioperi e nella stipulazione dei contratti però, ogni altra attività può essere
considerata sindacale se il sindacato ha il consenso e quindi la forza di farla valere come tale.
Dopo la caduta dell’ordinamento corporativo, solo lo sciopero economico o per fini contrattuali era
considerato legittimo e solo successivamente è stato considerato tale lo sciopero di imposizione politico-
economica (contro il Governo). Nessuno ha messo in discussione lo sciopero dei magistrati anche se ci
sono dubbi sulla legittimità di questo perché la magistratura è uno dei poteri sovrani.
Nel diritto sindacale quindi è rilevante il principio di effettività dell’attività sindacale, in base al
quale il sindacato esercita un potere di fatto cui è connessa una responsabilità politica e non giuridica su
materie che le organizzazioni sindacali riescono ad acquisire in un determinato momento e contesto
storico.
Nel sistema sindacale repubblicano il sindacato è configurato come associazione privata non
riconosciuta mentre la categoria non preesiste al sindacato ma è determinata dalle parti e quindi è un
posterius rispetto al sindacato. E di solito indica l’attività merceologica assunta dalle parti come parametro
per determinare l’ambito di applicazione del contratto collettivo rispetto ad una medesima categoria
intesa come attività merceologica possono esistere una pluralità di sindacati (di categoria).
Il pluralismo sindacale italiano ha diverse origini, prima delle quali la natura ideologica. La Cgil, dopo
l’entrata in vigore della Costituzione si è scissa in Cisl e Uil. Il sindacalismo autonomo nel pubblico impiego
ha dato nascita alla Cobas. Il sindacalismo italiano è di tipo competitivo, persegue quindi obiettivi non
soltanto contrattuali ma anche di carattere sociale.
In Italia i sindacati confederali hanno preferito mantenere la loro identità e non hanno mai operato
in concreto. La Cisl ha la propensione a valorizzare il sindacato di associazione quindi gli iscritti mentre la
Cigl il movimento e cioè i lavoratori indipendentemente dalla loro iscrizione; nel 1972 è stato stipulato un
atto federativo tra Cgil, Cisl e Uil che individuava nei consigli di fabbrica l’istanza sindacale di base delle tre
confederazioni . Negli ultimi anni però ci sono stati diversi conflitti tra i sindacati fino ad arrivare a forme di
contrattazione separata a livello nazionale, con la stipula di un secondo contratto nazionale di categoria dei
metalmeccanici nel 2009 siglato solo dalla FimCisl e Uilm e non anche dalla Fiom Cigl e solo di recente
sembrano essere stati superati i contrasti.
L’art. 46 cost. prevede la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda. È una norma
totalmente inattuata.
Le relazioni sindacali in Italia sono state e sono conflittuali. Esiste una profonda differenza tra
cogestione, ossia partecipazione del sindacato negli organi di amministrazione della società e la
concentrazione nella quale tutte le parti conservano comunque i loro ruoli in attività che talvolta sono
giuridicamente vincolanti e l’informazione e la consultazione che non contraddicono il ruolo antagonista
della parte sindacale.
Dopo gli anni 80 si è diffusa la pratica dei diritti di informazione e consultazione del sindacato. Il loro
riconoscimento consente al sindacato di conoscere preventivamente nella fase dell’informazione le scelte
imprenditoriali e di condizionarle o attraverso il ricorso allo sciopero o avviando con il datore di lavoro una
fase di consultazione che può concludersi con accordi sindacali. Questi diritti hanno avuto un notevole
riconoscimento e sviluppo nella normativa europea sia con riferimento ai contratti aziendali europei, sia
alla disciplina della consultazione nella fase che precede la contrattazione a livello europeo.
LA LIBERTA’ SINDACALE
Il diritto sindacale si fonda sul principio della libertà di organizzazione sindacale.
Fonti internazionali importanti sono le convenzioni Oil n. 87 e 98, intitolate rispettivamente alla
libertà sindacale e al diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva. Nella prima si stabilisce che i
lavoratori e i datori di lavoro senza alcuna distinzione hanno diritto a costituire, senza autorizzazione
preventiva da parte dello Stato, organizzazioni sindacali che non possono essere sciolte da provvedimenti
autoritativi; nella seconda viene stabilito che i lavoratori hanno diritto di essere garantiti contro qualsiasi
discriminazione con la quale il datore di lavoro tenti di compromettere la libertà sindacale.
In ambito europeo i diritti del lavoro hanno trovato progressivo riconoscimento negli ultimi atti
normativi dell’UE. I diritti riconosciuti della Carta dei diritto fondamentali, così come quelli dei Trattati non
possono essere intaccati dalla legislazione nazionale.
Tra le fonti interne la principale è la Costituzione che nell’art. 39 sancisce il diritto della libertà di
organizzazione sindacale. Esso riconosce ad ogni cittadino lavoratore il diritto di svolgere attività sindacale e
di costituire o aderire a strutture sindacali ; ai sindacati viene riconosciuto il diritto di organizzarsi con
strutture che hanno diversa forma giuridica, associativa e non associativa e secondo criteri di aggregazione
diversi. La libertà sindacale rileva come libertà dell’organizzazione sindacale e ha una dimensione
individuale e una collettiva.
L’art. 39 riconosce ai sindacati il potere di regolare da sé i propri interessi attraverso la stipula di
contratti collettivi con il singolo datore di lavoro o con la contrapposta associazione di datori di lavoro.
Un terzo profilo della libertà sindacale è la libertà di inquadramento, determinata dagli stessi
sindacati (categoria merceologica utilizzata come parametro per determinare il contratto collettivo da
applicare).
La libertà sindacale vieta al datore di lavoro di compiere atti idonei a limitare l’esercizio della libertà
sindacale dei lavoratori alle sue dipendenze e all’interno del singolo rapporto di lavoro essa tutela i
lavoratori contro le discriminazioni per ragioni sindacali da parte del datore di lavoro.
Statuto dei lavoratori rileva distinzione tra libertà e attività sindacale. L’art. 14 garantisce a tutti i
lavoratori il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività all’interno dei luoghi di
lavoro.
Differenza tra attività e atto sindacale: la prima è una sequenza di atti temporalmente collegati alla
realizzazione di un obiettivo o di un risultato, mentre il secondo individua un segmento dell’attività ma può
anche rappresentare il risultato dell’attività medesima.
Nel nostro ordinamento la garanzia della libertà sindacale si estende anche al lavoratore che non
aderisce ad alcuna organizzazione sindacale e che non esercita alcuna attività sindacale. Sono titolari della
libertà sindacale anche i lavoratori subordinati e i loro sindacati mentre si pone il problema della titolarità
di tale libertà in capo ai lavoratori autonomi per due ragioni : non omogeneità degli interessi perseguiti
dagli stessi lavoratori autonomi e per la scarsa propensione degli stessi a organizzarsi sindacalmente.
Ai dipendenti pubblici è ormai riconosciuta sia la titolarità della libertà sindacale che l’esercizio del
diritto di sciopero. Ci sono alcune limitazioni però nei confronti dei militari e degli appartenenti alla polizia. I
primi non possono costituire associazioni sindacali o aderire ad altre associazioni sindacali e esercitare
diritto di sciopero, militari di leva però possono rimanere iscritti nelle associazioni senza svolgere attività
sindacale mentre sono in servizio. Essi hanno comunque organi rappresentativi. Per quanto riguarda gli
appartenenti alla polizia di Stato essi possono costituire sindacati, ma non possono unirsi in più ampie
organizzazioni sindacali e non possono esercitare diritto di sciopero.
Il principio della libertà sindacale è riferibile anche all’imprenditore e alle associazioni degli
imprenditori.
A livello aziendale il datore di lavoro tratta le condizioni di lavoro dei proprio dipendenti
direttamente con il sindacato dei lavoratori e soddisfa un interesse tipicamente individuale che è quello al
profitto. I singoli lavoratori debbono necessariamente riunirsi in un gruppo per concludere un contratto
collettivo e solo con la stipula di questo è soddisfatto da parte loro l’interesse collettivo.
SEZIONE II
I grandi sindacati in Italia hanno una struttura confederale, sono cioè associazioni intercategoriali
che riuniscono a livello nazionale i rispettivi sindacati nazionali delle diverse categorie merceologiche.
I sindacati di categoria riuniscono i lavoratori per ramo di industria prendendo come riferimento
organizzativo lo specifico settore produttivo in cui l’impresa opera. In tal modo quindi il sindacato organizza
i lavoratori per categoria merceologica , a prescindere dai diversi mestieri e all’interno di ogni categoria
possono essere presenti più sindacati .
Nel sistema corporativo la categoria preesisteva al sindacato, nel sistema attuale il sindacato
preesiste alla categoria. I sindacati nazionali delle diverse categorie riuniscono al proprio interno sindacati
regionali e questi a loro volta riuniscono quelli provinciali.
Esiste anche una struttura intercategoriale territoriale che riunisce i sindacati provinciali di diverse
categorie merceologiche in ambito provinciale.
Il sindacato di mestiere tipico delle prime forme di associazionismo operaio ha come punto di
riferimento l’attività lavorativa prestata dai singoli lavoratori. Il mestiere è stato il primo criterio di
aggregazione del sindacato.
Il ramo di industria invece è un criterio di aggregazione che soddisfa solidarietà più ampie poiché
raggruppa tutti i lavoratori di un determinato settore produttivo a prescindere dalle mansioni.
In Italia il sindacato esterno all’azienda ha avuto una struttura essenzialmente confederale e la
struttura aziendale si forma su base elettorale, rappresentando tutti i lavoratori dell’azienda. La
commissione interna rappresenta l’espressione più antica di questo tipo di rappresentanza; essa era un
organismo sindacale di matrice aziendale costituito da un determinato numero di seggi commisurato al
numero dei dipendenti dell’azienda. I seggi erano ripartiti tra le liste in misura proporzionale ai voti
conseguiti. Nel periodo autunno caldo 1968-1969 la commissione interna non fu più in grado di raccogliere
forte domanda di partecipazione dei lavoratori ed emersero due linee di politica sindacale: la prima (Cisl)
favorevole a mantenere anche all’interno dell’azienda una struttura sindacale associativa e la seconda
(Cgil), sosteneva l’apertura dei sindacato anche nei confronti dei lavoratori non iscritti. Tali tipi di struttura
sindacale, che sostituirono la commissione interna erano i delegati e il consiglio dei delegati o di fabbrica. Il
delegato rappresentava non tutti i dipendenti di un’azienda ma soltanto i lavoratori di un determinato
gruppo omogeneo. Esso non doveva essere necessariamente iscritto al sindacato e l’insieme dei delegati
dei reparti di un’azienda costituivano il consiglio dei delegati.
Rappresentanze sindacali aziendali art. 19 l. 300/1970: rappresentanze sindacali in azienda
possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni
sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva. La forma
giuridica delle r.s.a. non è regolata dall’art 19. Inoltre un’unica r.s.a può far capo a una pluralità di sindacati
esterni.
L’iniziativa dei lavoratori deve essere effettiva e può essere, o preventiva, o può risolversi
nell’approvazione o condivisione da parte dei dipendenti delle unità produttive interessate dalle scelte
dell’organismo aziendale. L’autonomia collettiva può stabilire requisiti minimi per la valida costituzione
delle r.s.a. In mancanza di tali indicazioni numeriche la Corte di Cassazione propende per la valida
costituzione della r.s.a anche da parte di un solo lavoratore. Tuttavia la rappresentanza sindacale deve
operare nell’ambito del sindacato .
L’unità produttiva deve essere individuata in ogni sede, stabilimento, filiale o ufficio o reparto
autonomo che occupi più di 15 dipendenti o anche un numero inferiore ma a condizione che l’impresa
occupi complessivamente più di 15 dipendenti nell’ambito dello stesso Comune.
L’accordo interconfederale del 1993 ha istituito le rappresentanze sindacali unitarie. Esso stabilisce
che le organizzazioni sindacali firmatarie o che vi aderiscano successivamente acquistano il diritto di
promuovere la costituzione delle Rappresentanze sindacali unitarie nonché il diritto a partecipare alle
elezioni, rinunciando formalmente all’istituzione di proprie rappresentanze sindacali. Questa struttura si
distingue dal consiglio dei delegati perché anzitutto l’accordo ha accolto il principio della rappresentanza
proporzionale ma ha previsto un correttivo introducendo rappresentatività bilanciata. Infatti 2/3 dei seggi
devono essere ripartiti fra varie liste sindacali in proporzione al numero dei voti conseguiti da ciascuna lista
e il terzo residuo è assegnato obbligatoriamente alle liste presentate dai sindacati firmatari dell’accordo
interconfederale e del CCNL applicato nell’azienda e alla sua copertura mediante elezione o designazione in
proporzione ai voti ricevuti. Questa disposizione serve a tutelare le ragioni del sindacato associazione. Le
elezioni sono valide se ad esse partecipa il 50% più uno dei lavoratori dell’azienda aventi diritto, tuttavia a
seconda della questione da discutere il quorum può essere modificato.
La durata del mandato è triennale e non sono consentite proroghe. All’accordo possono aderire
organizzazioni non affiliate alle confederazioni che hanno sottoscritto l’accordo all’origine e l’adesione
costituisce titolo per partecipare alle elezioni presentando una propria lista a condizione che abbiano
sottoscritto il contratto collettivo nazionale.
Le r.s.u. succedono alle r.s.a. nella titolarità dei diritti, permessi e libertà sindacali del titolo II dello
St. lav. e nella titolarità dei poteri e delle funzioni.
I sindacati firmatari riservano a se una parte dei diritti sindacali al fine di essere presenti in azienda
direttamente e non solo attraverso le r.s.u. per quanto attiene il diritto di indire l’assemblea dei lavoratori
durante l’orario di lavoro per 3 delle 10 ore annue retribuite spettante a ogni lavoratore; diritto ai permessi
non retribuiti e al diritto di affissione.
Esistono due clausole nel contratto interconfederale. La prima prevede la riserva che indica la
volontà dei sindacati firmatari di conservare a se medesimi una quota di diritti sindacali.
Differenze tra r.s.a. e r.s.u. diversa composizione= r.s.a. hanno dirigenti nominati dalle
organizzazioni sindacali mentre le r.s.u. sono eletti dai lavoratori nella misura dei 2/3. Il mandato elettorale
non è assimilabile al mandato associativo; quest’ultimo evoca e suppone la rappresentanza dei dirigenti
della r.s.a. al sindacato, mentre il mandato elettorale evoca rappresentanza politica e istituisce un
collegamento tra componente eletto e lavoratori iscritti e non iscritti.
Natura della r.s.u.= collegiale. I componenti delle r.s.u. e non già la r.s.u., subentrano ai dirigenti
delle r.s.a. nella titolarità dei diritti, permessi e libertà sindacali.
Possono essere costituite rappresentanze sindacali aziendali nell’ambito delle associazioni sindacali
che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva. La sottoscrizione di un
contratto collettivo anche solo aziendale abilita il sindacato ad essere ambito di riferimento per la
costituzione di una r.s.a.
Il testo originario dell’art. 19 l. 300/1970 prevedeva che le r.s.a potevano essere costituite ad
iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale e delle associazioni sindacali firmatarie dei contratti
collettivi nazionali o provinciali.
Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle aziende fino a 15 dipendenti è di norma
eletto direttamente dai lavoratori al loro interno; in quelle con numero di dipendenti maggiore di 15 egli
deve essere eletto all’interno delle rappresentanze sindacali in azienda. Il contratto collettivo stabilisce il
numero e le modalità di elezione, le funzioni e la retribuzione. Il rappresentante per la sicurezza ha diritto a
ricevere una formazione adeguata, elabora misure idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei
lavoratori, riceve dalle aziende documentazione necessaria riguardante i rischi. Egli non può subire alcun
pregiudizio per lo svolgimento delle sue funzioni e gode delle stesse tutele riconosciute alle rappresentanze
sindacali aziendali.
SEZIONE IV
Art. 14 St. lavoratori riconosce a tutti i lavoratori il diritto di svolgere attività sindacale nei luoghi di
lavoro mentre l’art. 19 individua i soggetti sindacali ai quali sono riconosciuti dalle norme successive dello
Statuto una serie di diritti che contribuiscono a rendere effettivo l’esercizio dell’attività sindacale sia dei
lavoratori che dei sindacati che abbiano certi requisiti. L’esercizio di questi diritti mette in risalto la
distinzione concettuale che intercorre tra libertà e attività sindacale; può esistere la prima e non anche la
seconda. I confini della liceità penale dell’attività sindacale coincidono con quelli indicati dalla Corte
Costituzionale a proposito dello sciopero politico.
Legittimate ad indire l’assemblea sul luogo di lavoro sono le r.s.a. anche nella forma del consiglio di
fabbrica e le r.s.u. costituite presso le aziende in cui trova applicazione l’accordo interconfederale del 1993.
Viene stabilito un termine minimo di preavviso, il cui mancato rispetto autorizza il datore di lavoro ad
opporsi allo svolgimento dell’assemblea senza intercorrere in sanzioni. L’assemblea può essere generale o
settoriale e può essere indetta congiuntamente o disgiuntamente dalle r.s.a. con l’obbligo di indicare al
datore di lavoro l’ordine del giorno, che deve riguardare materie di interesse sindacale e del lavoro.
L’assemblea può svolgersi fuori o durante l’orario di lavoro, ma in quest’ultimo caso ciascun lavoratore ha
diritto a un limite massimo di 10 ore annue retribuite.
La legittimazione ad indire l’assemblea spetta alle r.s.a. o alle r.s.u., quale soggetto collegiale che
pertanto decide a maggioranza. Il sindacato che ha stipulato il contratto collettivo nazionale può indire
assemblee nei limiti di tre ore annue. Il datore di lavoro ha l’obbligo di consentirne lo svolgimento
all’interno dell’azienda e di mettere a disposizione un locale con i servizi necessari e inoltre, con il preavviso
necessario, egli deve consentire l’accesso anche ai dirigenti del sindacato esterno che ha costituito la r.s.a.
Il referendum può essere indetto dalle r.s.a. solo congiuntamente e su materie di interesse
sindacale e del lavoro e dovrà svolgersi fuori dall’orario di lavoro. Questo è uno strumento di consultazione
dei lavoratori e non ha valore vincolante.
Una forma di garanzia particolarmente efficace è costituita dai permessi retribuiti e non retribuiti.
Essi spettano, in ragione al numero dei dipendenti dell’azienda, ai dirigenti delle r.s.a. che sono considerati
tali in quanto nominati secondo le procedure previste dallo statuto della struttura sindacale. Il diritto ai
permessi è potestativo e il suo esercizio determina la sospensione dell’obbligazione lavorativa. Il datore di
lavoro non può sindacare l’uso dei permessi. Questi vengono riconosciuti ai dirigenti nazionali e provinciali
dei sindacati maggiormente rappresentativi per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti o
l’aspettativa non retribuita per la durata del mandato.
In assenza di limiti stabiliti dal contratto collettivo spetta al giudice quantificare l’entità dei permessi
utilizzando come parametro di riferimento gli usi.
Beneficiari dei permessi sono i dirigenti appositamente indicati dalle r.s.a. i quali mantengono il
diritto a usufruire per la durata dell’incarico salvo che intervenga la destituzione da parte
dell’organizzazione sindacale nel cui ambito si è costituita la r.s.a. Tale destituzione non ha effetto nei
confronti dei componenti eletti nella r.s.u., quindi tali lavoratori non decadono dal godimento dei diritti
collegati alla qualifica.
L’art. 25 riconosce alle r.s.a. il diritto di affiggere comunicati testi e pubblicazioni di interesse
sindacale e del lavoro. Il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre per ciascuna r.s.a., all’interno dell’unità
produttiva, appositi spazi e bacheche destinati a questo scopo. Egli non ha il potere di sindacare il
contenuto di questi comunicati e nemmeno di rimuoverli.
Nelle aziende con più di 200 dipendenti il datore di lavoro ha l’obbligo di mettere a disposizione
delle r.s.a. un locale destinato all’esercizio della loro attività. Quando invece l’azienda ha meno di 200
dipendenti, il datore deve mettere a disposizione un locale ogni volta le r.s.a. lo richiedano.
La raccolta di contributi e l’opera di proselitismo sono i diritti riconosciuti dall’art. 26 St. lav. ai
lavoratori e alle loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro senza pregiudizio del normale
svolgimento dell’attività aziendale. In questo caso i diritti non sono riconosciuti solo alle r.s.a. e r.s.u. ma a
tutte le organizzazioni sindacali senza compromettere il normale svolgimento dell’attività aziendale da
intendersi in concreto con riferimento alla singola azienda e non in astratto. Il secondo e terzo comma
dell’art. 26 sono stati abrogati con il referendum del 1995 e questo ha eliminato l’obbligo per il datore di
lavoro di effettuare la trattenuta nella busta paga corrispondente al contributo sindacale dovuto dal
lavoratore al sindacato cui è iscritto. Obbligo che è diventato negoziale per i datori di lavoro che abbiano
sottoscritto i contratti collettivi che continuano a prevedere questa modalità. Le Sezioni Unite hanno
qualificato la cessione della retribuzione per il pagamento dei contributi sindacali come cessione del credito
del lavoratore.
Diritti di informazione e consultazione il riconoscimento di tali diritti consente al sindacato di
conoscere preventivamente nella fase dell’informazione le scelte imprenditoriali e di condizionarle o
attraverso ricorso allo sciopero o avviando con il datore di lavoro una fase di consultazione che può
concludersi con accordi sindacali diretti a comporre in via negoziale eventuali ricadute economiche
giuridiche e sociali sui rapporti di lavoro derivanti dalle scelte imprenditoriali. L’esercizio di questi diritti non
attribuisce un potere di controllo al sindacato ne tanto meno un potere di veto. Essi erano stati creati
originariamente dalla contrattazione collettiva, successivamente però sono stati regolati anche dalla legge.
La qualificazione come condotta antisindacale dell’inosservanza da parte del datore di lavoro della
procedura di informazione e consultazione sindacale e la conseguente irrogazione della sanzione hanno
una duplice conseguenza: da un lato lasciano notevole spazio all’intervento del giudice ( che si ripercuote
sull’attività sindacale), dall’altro impongono all’interprete di definire il contenuto della sanzione.
Lo statuto del lavoratori prevede un particolare apparato di tutela per i dirigenti delle
rappresentanze sindacali al fine di assicurare lo svolgimento della loro attività sindacale e garantirli contro
eventuali ritorsioni del datore di lavoro. Questa tutela si concreta in una protezione specifica contro i
licenziamenti e contro i trasferimenti e vale per un periodo di un anno successivo alla cessione dell’incarico.
Sono beneficiari tutti coloro che hanno diritto ad usufruire dei permessi sindacali e che possono essere
qualificati come dirigenti sindacali. I soggetti tutelati possono essere trasferiti da un’unità produttiva ad
un’altra solo previo nulla osta delle associazioni sindacali cui appartengono; senza nulla osta nell’ambito
della stessa unità produttiva.
Viene prevista una particolare procedura cautelare per la reintegrazione nel posto di lavoro. Può
infatti essere immediata quando elementi di prova portati dal datore di lavoro davanti al giudice siano
irrilevanti o insufficienti e il datore che non procede alla reintegrazione va in contro ad una sanzione.
CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Il contratto collettivo è il risultato della contrattazione collettiva. Questa, pur manifestandosi
periodicamente con il rinnovo dei contratti, è in realtà un processo continuo quindi realizza un progressivo
adattamento delle condizioni economiche e normative dei lavoratori al contesto produttivo e alle sue
esigenze economiche e organizzative e tende alla realizzazione del principio di uguaglianza.
Le procedure di stipulazione del contratto nazionale non sono regolate da norme di legge, ma dagli
stessi contratti.
Il protocollo interconfederale del 1993 prevede meccanismi di raffreddamento volti a prevenire
azioni dirette durante le trattative, garantendo ai lavoratori uno specifico emolumento (indennità di
vacanza contrattuale) al prolungarsi delle stesse oltre i limiti. In caso di mancato rinnovo del contratto
collettivo sono spesso proclamati scioperi e può intervenire la mediazione di un soggetto pubblico. Ogni
fase di mediazione non risulta formalizzata ossia non è regolata ne da norme ne dallo stesso protocollo.
Le trattative si chiudono con la sottoscrizione dell’ipotesi di accordo, il cui testo sintetizza le
reciproche concessioni che le parti inevitabilmente si fanno durante la negoziazione. L’ipotesi di accordo
non coincide mai con la piattaforma rivendicativa sulla quale si è iniziato a trattare. Prima della stipulazione
del contratto, le ipotesi di accordo sono sottoposte all’approvazione dei lavoratori tramite assemblee
oppure referendum, approvazione che ha più valore politico che giuridico.
Possono sorgere problemi quando più associazioni sindacali si dichiarano rappresentative di una
stessa categoria o quando sussista un dissenso tra associazioni sindacali sull’ambito di applicazione del
contratto collettivo.
La contrattazione collettiva si atteggia diversamente a seconda dei mutevoli contesti socio
economici in cui si colloca. L’evoluzione dei contratti collettivi è contrassegnata da fasi alterne di
centralizzazione e di decentramento contrattuale. La stessa contrattazione decentrata ha assunto diverse
funzioni: da contrattazione acquisitiva, in periodi di espansione economica si è evoluta in contrattazione
ablativa, finalizzata al contrario a introdurre condizioni peggiorative, in periodi di recessione.
Con la caduta dell’ordinamento corporativo nasce in Italia un sistema improntato all’autonomia
delle relazioni sindacali incentrato su un solo livello di contrattazione = nazionale. Le confederazioni non
sono competenti a stipulare contratti nazionali ma gli accordi interconfederali hanno perciò un ambito
intercategoriale. Questi ultimi si distinguono dai contratti nazionali perché non regolano il contenuto dei
rapporti di lavoro ma i singoli istituti o materie che interessano tutte le categorie merceologiche. Mentre
sono le federazioni nazionali di categoria le strutture legittimate a stipulare contratti nazionali che
disciplinano i minimi di trattamento economico e normativo e le relazioni sindacali tra i soggetti stipulanti.
Negli anni 60 le categorie dei sindacati metalmeccanici firmarono un accordo che stabiliva i principi
del nuovo sistema contrattuale articolato su due livelli denominato di contrattazione articolata poi recepito
dai diversi contratti nazionali di categoria. La contrattazione aziendale, in un periodo di boom economico,
era essenzialmente acquisitiva, volta a introdurre trattamenti migliorativi. I miglioramenti introdotti dalla
contrattazione aziendale venivano generalmente riproposti nei successivi rinnovi e finivano per essere
estesi ad un’ampia fascia di lavoratori.
Il contratto nazionale determinava le materie e gli istituti regolati dagli altri livelli contrattuali. Gli
agenti contrattuali del livello territoriale erano di regola i sindacati provinciali ossia sindacati esterni
all’azienda, per l’inesistenza all’epoca di strutture sindacali interne e perché la commissione interna non
aveva competenza contrattuale.
La contrattazione articolata fu importante dal punto di vista del principio di decentramento. Gli
imprenditori non accentrarono passivamente la contrattazione articolata ma ottennero quale contropartita
la sottoscrizione da parte dei sindacati delle clausole di pace sindacale, finalizzate a non promuovere azioni
o rivendicazioni intese a modificare, integrare, innovare quanto già accordato ai vari livelli di contrattazione
nel periodo che intercorreva tra un rinnovo e l’altro. Gli imprenditori con queste clausole di pace sindacale
quantificavano preventivamente il costo del lavoro per l’intera vigenza del contratto.
Sul finire degli anni 60 iniziarono iniziative spontanee di lotta sindacale dei lavoratori attraverso la
costituzione di comitati unitari di base (CUB) = organizzazioni di lavoratori che senza mediazione delle
strutture sindacali avanzavano nuove rivendicazioni. La protesta dei lavoratori era diretta non solo contro
la controparte imprenditoriale ma anche contro il burocratismo e il verticismo delle organizzazioni
sindacali.
Il contratto dei metalmeccanici del 1969 chiuse l’autunno sindacale caldo e decretò anche la fine
della contrattazione articolata, non conservando le competenze della contrattazione aziendale e
delineando un sistema nuovamente centralizzato. Alla contrattazione articolata si sostituì la contrattazione
non vincolata: un sistema di relazioni sindacali articolato ancora su due livelli nazionale e decentrato ma
non più coordinati tra di loro. Conseguentemente il contratto aziendale finiva per regolare di nuovo tutte le
materie già disciplinate dal contratto nazionale.
Il periodo di recessione economica determinato anche dalla prima crisi petrolifera determinò un
aumento considerevole dei prezzi e un conseguente aumento salariale. Il meccanismo di contingenza fu
considerato responsabile dell’aumento dell’inflazione e del valore nominale dei salari, tanto che l’accordo
interconfederale del 1976 sterilizzò la contingenza dalla base di calcolo dell’indennità di anzianità. Con
l’accentuarsi della crisi il contratto aziendale cominciò a introdurre clausole peggiorative rispetto a quelle
del contratto nazionale.
Negli anni 80 ci fu il primo protocollo triangolare che aprì la stagione della concertazione.
Accordo interconfederale 1993 delinea nuovamente un sistema di contrattazione collettiva
articolato in due livelli, quello nazionale(centrale) e quello territoriale e/o aziendale (decentrato) . Il
contratto collettivo aveva durata quadriennale per la parte economica e biennale per quella retributiva.
L’aumento delle retribuzioni in sede di rinnovo biennale era collegato al tasso di inflazione programmata. Il
contratto decentrato doveva intervenire su materie e istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli regolati
dal contratto di primo livello. Le trattative dovevano aprirsi 3 mesi prima della scadenza del contratto.
Accordo interconfederale 2011 conferma la formalizzazione dei due livelli di contrattazione,
nazionale e aziendale. Questo è stato in seguito integrato con una nota volta ad esprimere l’intenzione
delle parti di attuare compiutamente l’accordo interconfederale. Le principali aree di intervento
dell’accordo erano la rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione nazionale(1), la struttura della
contrattazione collettiva e le competenze della contrattazione di secondo livello(2 e 3), l’efficacia generale
del contratto collettivo aziendale, distinguendo a seconda che questo sia stipulato dalle rsu(4) o rsa(5), gli
effetti delle clausole di tregua sindacale(6) e la possibilità del contratto aziendale di modificare in senso
peggiorativo le regolamentazioni contenute nel contratto nazionale (7).
La prima clausola stabilisce che i requisiti di rappresentatività ai fini dell’ammissione alle trattative
per il contratto nazionale prevedendo un meccanismo di misurazione matematica della soglia di
rappresentatività richiesta. Sono prospettabili due interpretazioni: prima, la fissazione della soglia di
rappresentatività minima indica soltanto la legittimazione reciproca che le parti firmatarie intendono
riconoscersi ma non implica alcun obbligo a negoziare con i soggetti rappresentativi; la seconda, la
fissazione di una soglia minima di rappresentatività potrebbe fondare un vero e proprio diritto dei soggetti
rappresentativi a essere convocati al tavolo delle trattative, ferma restando la necessità di procedere
all’attuazione di quanto previsto dallo stesso accordo per misurare la rappresentatività di ciascuna
organizzazione sindacale.
In caso di mancata convocazione si tratta con quali strumenti si possa far valere in giudizio. Non è
utilizzabile l’art. 28 perché esso reprime la condotta antisindacale del datore di lavoro; si potrebbe pensare
invece all’art 700 cpc al fine di ottenere un provvedimento d’urgenza.,
La contrattazione aziendale si esercita per le materie delegate dal contratto nazionale e dalla legge.
La delega presuppone che la materia non sia regolata da contratto nazionale o dalla legge e debba essere
regolata dal contratto aziendale. Si deve ritenere pertanto che la contrattazione aziendale non possa
riproporre questioni che siano già state negoziate in altri livelli di contrattazione. In assenza di una delega
espressa a disciplinare una determinata materia, il contratto aziendale non potrà dettare alcuna
regolamentazione.
L’accordo del 2011 realizza un equilibrio tra le confederazioni storiche con riferimento ai soggetti
legittimati a stipulare il contratto aziendale.
La legittimazione a stipulare il contratto aziendale è riconosciuta alle rsu o rsa e in entrambi i casi
può avere efficacia generale. Nel caso di stipulazione da parte delle r.s.u. il contratto è efficace nei confronti
di tutto il personale e vincola tutte le associazioni sindacali firmatarie dell’accordo interconfederale e
approvate dalla maggioranza dei componenti della r.su. stessa.
Quando l’accordo stabilisce l’efficacia per tutto il personale in forza non può che vincolare in realtà i
soli lavoratori iscritti alle associazioni sindacali espressione delle confederazioni firmatarie. Detta efficacia è
stabilita da un atto negoziale e non da un atto normativo.
Il riferimento al criterio della maggioranza conferma la natura di organo collegiale delle r.s.u. .
Laddove le r.s.u. non fossero presenti, resta fermo il potere delle r.s.a. . Anche il contratto aziendale
stipulato dalle r.s.a. può avere la medesima efficacia generale se le r.s.a. che lo sottoscrivono aggregano la
maggioranza delle deleghe conferite dai lavoratori dell’azienda. È possibile verificare effettivamente il
consenso che l’accordo incontra tra i lavoratori attraverso la promozione di un referendum volto a spingere
l’intesa. L’equilibrio raggiunto dell’accordo interconfederale sta nell’aver bilanciato la competenza
negoziale delle r.s.a. con lo strumento del referendum.
Le clausole di tregua sindacale disciplinano le modalità di sciopero. Secondo un’autorevole dottrina
il dovere di pace sindacale sarebbe un effetto naturale del contratto collettivo e le clausole di tregua
potrebbero vincolare non solo i soggetti collettivi ma anche i singoli lavoratori. Secondo un’altra opinione le
clausole di tregua impegnerebbero i soli soggetti sindacali a non proclamare lo sciopero nell’arco di vigenza
del contratto collettivo ma senza vincolare i singoli lavoratori, che resterebbero liberi di esercitare il diritto
di sciopero anche in assenza di proclamazione. Il protocollo del 1993 aveva previsto in occasione del
rinnovo del contratto collettivo un periodo di raffreddamento durante il quale le parti si impegnano a non
assumere iniziative unilaterali ne a procedere ad azioni dirette tre mesi prima e un mese dopo la scadenza
del contratto (il protocollo vincolava le parti collettive e non i singoli lavoratori). Anche l’accordo del 2011
esclude espressamente l’efficacia nei confronti dei singoli lavoratori delle clausole di tregua sindacale
finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva.
L’inadempimento della clausola di tregua obbligherebbe il sindacato al risarcimento del danno nei
confronti della controparte, ma di fatto la difficoltà di determinare i danni risarcibili e di quantificarli non
consente una concreta possibilità di tutela risarcitoria. Dovrebbero essere le stesse clausole di tregua a
prevedere sanzioni alternative nei confronti dei soggetti sindacali responsabili della loro violazione, ma
sono pressoché inesistenti nel settore industriale.
L’accordo interconfederale regola anche le condizioni alle quali in contratto aziendale può
modificare quanto previsto dal contratto nazionale, laddove il riferimento alle modifiche deve essere inteso
in senso peggiorativo. L’accordo interconfederale distingue la disciplina a regime da quella transitoria. A
regime, i contratti aziendali possono prevedere deroghe alla regolamentazioni contenute nei contratti
nazionali nei limiti e secondo procedure previste dagli stessi contratti nazionali.
Differenza tra delega e deroga la delega attribuisce al contratto aziendale la competenza a
regolare una materia che il contratto nazionale rinuncia a disciplinare o detta solo una regolamentazione di
principio destinata ad essere attuata e integrata da quella di dettaglio affidata al contratto aziendale. Tra le
due regolamentazioni, quella nazionale e quella aziendale non c’è nessun conflitto. In caso di deroga
invece, il contratto aziendale interviene a regolare una materia stabilendo condizioni peggiorative rispetto a
quella già prevista dal contratto nazionale (si verifica concorso/conflitto tra discipline pattizie i cui criteri di
risoluzione sono però già predeterminati dal contratto nazionale).
In mancanza di un’espressa previsione del contratto nazionale, il contratto aziendale non sembra
legittimato a intervenire in senso peggiorativo.
La seconda parte della clausola 7, in via transitoria, infatti, prende in considerazione l’ipotesi in cui
la possibilità per il contratto aziendale di prevedere deroghe peggiorative non sia ancora prevista dai
contratti nazionali, in attesa dei rinnovi degli stessi deroghe peggiorative ammesse solo con riferimento
agli istituti del contratto nazionale che disciplinano determinate materie seppure molto ampie ai soli fini di
gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi.
Nel 2011 la FIAT è uscita dal sistema confindustriale e non risulta ulteriormente vincolata ad alcun
accordo interconfederale e ha pertanto dato vita ad una propria contrattazione. Infatti esiste oggi un suo
contratto collettivo specifico di lavoro di primo livello, che garantisce ai lavoratori alcuni aumenti retributivi,
ma richiede nel contempo sacrifici. Inoltre la FIAT ha assunto diverso atteggiamento nei confronti
dell’accordo del 2011 con riferimento alle clausole di tregua sindacale e la responsabilità per il loro
inadempimento; sono previste anche sanzioni disciplinari nei confronti dei singoli lavoratori in caso di
violazione delle clausole di tregua. Dette clausole inciderebbero in realtà su comportamenti illeciti o di
inadempimento dei singoli lavoratori, senza riguardare l’esercizio del diritto di sciopero.
Esistono dubbi sulla qualificazione del contratto FIAT come contratto di primo livello (categoria)
il contratto di categoria infatti deve trascendere la singola azienda per quanto importante sul territorio
nazionale; è importante perché assicura condizioni uguali a tutti i lavoratori presenti nello stesso settore
merceologico. Questo contratto essendo l’unico applicato dalla FIAT, la mancata sottoscrizione della Cgil
esclude automaticamente la Fiom dalla possibilità di riconoscere proprie r.s.a. all’interno dell’azienda.
Il protocollo non sottoscritto dalla Fiom introduce modifiche al contratto nazionale principalmente
in materia di orario di lavoro e maggiorazioni retributive per il lavoro straordinario, notturno e festivo.
L’art. 8 d.l.n. 138/2011 ha due effetti peculiari : efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati
e la possibilità di derogare non solo ai contratti nazionali ma anche a norme di legge. La legge lascia alle
parti l’iniziativa in ordine all’effettiva stipulazione di questi particolari contratti aziendali e la disposizione
non ha avuto pressoché attuazione. L’efficacia erga omnes dei contratti ex art. 8 è una vera e propria
efficacia generale perché è stabilita da un atto normativo, gli effetti quindi si producono nei confronti di
tutti i lavoratori interessanti indipendentemente da ogni altra circostanza. L’art. 8 individua direttamente le
materie sulle quali i contratti di prossimità sono abilitati ad intervenire con efficacia generale e/o
derogatoria. Su queste materie si può intervenire a prescindere da eventuali deleghe da parte dei contratti
negoziali.
L’efficacia derogatoria dei contratti ex art 8 si spinge fino alle norme di legge. questa mette in
discussione l’impianto generale del diritto del lavoro fondato sulla inderogabilità della norma a tutela del
contraente debole.
L’accordo del 2011 scardina il tradizionale rapporto tra rappresentatività e contrattazione
anteponendo la prima alla seconda. La rappresentatività dipende dalla contrattazione: l’aver partecipato
alle trattative era uno degli indici della maggiore rappresentatività, mentre al livello aziendale l’aver
stipulato un contratto collettivo è l’unico requisito per costituire una r.s.a.
LO SCIOPERO
L’art. 40 cost. riconosce il diritto di sciopero e rinvia alla legge ordinaria la regolamentazione delle
sue modalità d’esercizio.
Esistono tre ordini di problemi:
- Qualificazione dello sciopero e la determinazione delle finalità lecite
- Titolarità dei diritti di sciopero privilegiata titolarità individuale rispetto a quella collettiva
- Modalità di esercizio dello sciopero
Le norme del codice penale sardo sancivano il divieto di coalizione e consideravano reato lo
sciopero come la serrata.
Nel codice penale del 1889 invece lo sciopero cessa di essere considerato un reato ma resta un
illecito civile (inadempimento = tale da giustificare il licenziamento).
Il codice penale Rocco del 1930 ha sanzionato penalmente ogni forma di sciopero e di serrata.
Oltre allo sciopero per fini contrattuale, ossia quello diretto contro il o i datori di lavoro al fine di
ottenere la modifica delle condizioni di lavoro stabilite nel contratto collettivo, è sanzionato anche lo
sciopero per fini non contrattuali, ossia per fine politico o per costringere la pubblica autorità a emettere od
omettere un provvedimento ovvero a influire sulle deliberazioni di essa o sciopero di protesta o di
solidarietà, nonché la serrata dei piccoli imprenditori senza dipendenti, in seguito qualificata come
sciopero. Anche lo sciopero dei pubblici dipendenti era sanzionato da vari articoli.
La molteplicità delle finalità di sciopero ha introdotto un’interpretazione creatrice della dottrina e
della Corte costituzionale per l’individuazione di quelle legittime.
Una delle prime dottrine postcostituzionali aveva definito lo sciopero come astensione concertata
dal lavoro per la tutela di un interesse economico professionale. In base a questa definizione fu qualificato
come diritto soltanto lo sciopero per fini contrattuali mentre furono escluse dall’area della tutela le altre
forme di sciopero. Con la promulgazione della Costituzione lo sciopero fu elevato a rango di diritto
costituzionale e fu qualificato dalla dottrina più risalente come diritto potestativo. Secondo tale
ricostruzione l’esercizio del diritto potestativo legittima il lavoratore a sospendere la sua obbligazione e
colloca il datore di lavoro in una posizione di soggezione in cui non può evitare l’esercizio del diritto di
sciopero.
Due effetti: consolidamento della tesi della titolarità individuale del diritto di sciopero e a scindere
la titolarità dall’esercizio necessariamente collettivo dello stesso diritto e individuando il soggetto passivo
del diritto di sciopero esclusivamente nel datore di lavoro portò a considerare legittimi soltanto gli scioperi
contro di lui.
Lo sciopero successivamente fu qualificato come diritto assoluto della persona. Questa
affermazione ha conseguito due obiettivi : ha individuato nello sciopero un mezzo per la realizzazione del
principio di uguaglianza sostanziale e ha rafforzato la inscindibilità del binomio titolarità individuale -
esercizio collettivo del diritto di sciopero favorendo in questo modo l’accantonamento della tesi della
titolarità collettiva dello sciopero.
Nella fattispecie prevista dall’art. 40 viene ricompreso non solo lo sciopero per fini contrattuali,
economico ma anche quello di imposizione politico economica = sciopero effettuato per rivendicazioni nei
confronti dei pubblici poteri rispetto a beni che non sono nella disponibilità dei datori di lavoro ma che
tuttavia trovano riconoscimento e tutela nella disciplina dei rapporti economici. Sono considerati scioperi di
imposizione politico economica lo sciopero per la riforma sanitaria, fiscale, occupazione ecc. il datore di
lavoro subisce lo sciopero e quindi il relativo danno, pur non avendo nessuna responsabilità e nessun modo
per evitarlo.
La legittimità dello sciopero di imposizione politico economica costituisce un indice inequivocabile
della natura dello sciopero come diritto riconosciuto dall’ordinamento ai lavoratori per la realizzazione del
principio di uguaglianza sostanziale.
La corte successivamente ha affermato anche la legittimità dello sciopero politico in senso stretto o
puro (contro gli atti di governo). Questo è uno strumento tipicamente democratico che consente al
lavoratore un’attiva partecipazione alla vita nazionale.
L’esercizio del diritto di sciopero produce la sospensione del rapporto di lavoro mentre l’esercizio
della libertà di sciopero, pur legittima, deve essere considerata una forma di inadempimento del prestatore
di lavoro e in quanto tale legittima il datore a prendere provvedimenti.
Lo sciopero politico, pur non essendo qualificato come diritto, è pur sempre una forma di esercizio
di attività sindacale.
Lo sciopero di solidarietà è legittimo ogni qualvolta sussista un collegamento tra gli interessi
economici del gruppo che si astiene e le pretese di un altro gruppo già in sciopero.
La distinzione tra titolarità individuale e esercizio collettivo può sollevare qualche perplessità
perché lo sciopero può essere attuato solo per la difesa di un interesse collettivo. Il soggetto collettivo è il
solo legittimato a concludere per i lavoratori il contratto collettivo, parimenti dovrebbe essere il soggetto
collettivo a valutare l’opportunità di esercitare il diritto di sciopero.
La titolarità collettiva del diritto di sciopero presuppone che la proclamazione sia un requisito di
legittimità dell’esercizio di tale diritto. Viceversa, la titolarità individuale del diritto di sciopero non
riconosce alcuna rilevanza alla proclamazione dello sciopero ai fini della legittimità dell’astensione dal
lavoro e impone di considerare il diritto di sciopero come indisponibile.
Titolari del diritto di sciopero sono in primo luogo tutti i lavoratori subordinati in senso tecnico con
le eccezioni dei militari, del personale della pubblica sicurezza, dei marittimi nel periodo di navigazione,
mentre la legge pone limiti nei confronti degli addetti agli impianti nucleari. La titolarità del diritto è stata
riconosciuta anche ai lavoratori autonomi parasubordinati in quanto soggetti contrattualmente deboli nei
confronti del committente e piccoli imprenditori che non abbiano alle proprie dipendenze lavoratori
subordinati.
Quanto ai liberi professionisti, la corte costituzionale, ha escluso che l’astensione dal lavoro sia
qualificabile come sciopero in senso tecnico e ha considerato tutte le azioni collettive svolte ai fini di
protesta , rivendicazione o pressione , come manifestazione della libertà di associazione.
Secondo un’autorevole dottrina la titolarità del diritto di sciopero dovrebbe essere negata ai
magistrati in quanto investiti di una funzione sovrana.
Tra le forme anomale di sciopero ci sono lo sciopero selvaggio o improvviso attuato senza
preavviso, lo sciopero a singhiozzo e lo sciopero a scacchiera.
Il primo tipo ormai non è più considerato illegittimo, ma il preavviso è obbligatorio nei servizi
pubblici obbligatori. Lo sciopero a singhiozzo è quello intermittente, esercitato alternando periodi di lavoro
a periodi di pause, mentre quando non è attuato da tutto il personale insieme ma dai reparti in vari
momenti abbiamo lo sciopero a scacchiera.
Lo sciopero attuato con queste modalità arreca all’azienda un danno maggiore di quello inferto con
quello tradizionale e fu considerato illegittimo fino al 1980. Per stabilire se lo sciopero è legittimo non si
deve avere riguardo alla maggiore o minore entità del danno provocato alla produzione ma si deve avere
riguardo al danno arrecato alle persone e agli impianti e cioè alla produttività. In sostanza ai fini della
legittimità – illegittimità dello sciopero, la giurisprudenza abbandona come criterio distintivo quello
quantitativo dell’entità del danno e accoglie quello qualitativo.
Se la prestazione offerta dal prestatore di lavoro non arreca alcuna utilità al datore di lavoro questi
è legittimato a rifiutarla.
Si dicono di tregua sindacale le clausole volte a regolare le modalità di esercizio di sciopero nel
periodo di vigenza del contratto collettivo. Secondo una parte della dottrina tali clausole sarebbero
addirittura pleonastiche perché dalla stipulazione di un contratto collettivo deriverebbe un implicito dovere
di pace sindacale. Lo sciopero non potrebbe essere legittimamente proclamato se non quando sia scaduto il
contratto collettivo o quando vi sia una notevole modificazione dello stato di fatto al momento della
stipulazione. Altri autori contrastano questo assunto e rilevano che lo sciopero può essere esercitato anche
prima della scadenza del contratto collettivo. Mentre altra dottrina sostiene che le modalità di esercizio di
sciopero possono essere regolate da clausole espresse dal contratto collettivo, clausole introdotte negli
anni ’60 e considerate rientranti nella parte obbligatoria.
Responsabilità per eventuale violazione della clausola di tregua inadempimento obbligherebbe il
sindacato al risarcimento del danno nei confronti della controparte ma di fatto la difficoltà di determinare i
danni risarcibili e di quantificarli non consente una concreta possibilità di tutela risarcitoria.
LA SERRATA
Consiste nella chiusura, totale o parziale, dei luoghi di lavoro da parte del datore di lavoro e nella
conseguente sospensione dell’attività lavorativa Il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione pur non
effettuando la prestazione lavorativa perché l’impossibilità di lavorare è dovuta al datore.
La serrata non è un diritto di rango costituzionale come lo sciopero. Si deve accertare se sia una
libertà di fatto C. Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 502 c.p. sia nella parte che
incriminava il reato di sciopero per fini contrattuali sia nella parte che incriminava il reato di serrata per fini
contrattuali; per la parte relativa alla serrata la Corte afferma che questa costituiva comunque una
manifestazione del principio di libertà sindacale garantito dall’art. 39 cost e pertanto non poteva essere
considerato comportamento penalmente perseguibile.
Lo sciopero è riconosciuto come un diritto, secondo art. 40 cost., regolato direttamente dalla legge;
la serrata, non è riconosciuta dal punto di vista costituzionale ma si presenta come un atto penalmente non
vietato.
Forme di serrata:
- Offensiva = tendente a conseguire una modificazione in danno dei lavoratori di condizioni
preesistenti
- Difensiva = diretta a scoraggiare iniziative dei lavoratori intese a conseguire condizioni più
favorevoli
- Di ritorsione = come reazione ai modi di conduzione della lotta sindacale da parte dei lavoratori.
La serrata per protesta e la serrata di solidarietà sono ancora considerate reati.
Serrata per fini contrattuali sul piano civile integra un inadempimento (mora del creditore).
Quando l’imprenditore ricorre alla serrata cessa di cooperare all’adempimento dell’obbligazione del
lavoratore, gli effetti si concretano nel risarcimento del danno derivante dalla mora credendi dello stesso
imprenditore che serra l’azienda. Il risarcimento del danno sarebbe commisurato alle retribuzioni non
corrisposte al lavoratore e tale risarcimento non tollera alcuna detrazione relativa a quanto il lavoratore
abbia percepito lavorando altrove. Un secondo orientamento invece sostiene che l’obbligazione retributiva
permane pur in presenza della situazione di mora credendi dell’imprenditore che serra l’azienda, con la
conseguenza che le retribuzioni sono dovute come corrispettivo dell’obbligazione lavorativa e non come
misura del risarcimento del danno.
È consentito all’imprenditore di rifiutare legittimamente la prestazione di lavoratori non scioperanti
quando questa non sia proficuamente utilizzabile in concreto.
Serrata di ritorsione = risposta a uno sciopero articolato costituisce motivo legittimo che esclude la
mora la sospensione dell’attività produttiva può essere civilmente lecita e cioè non impone al datore di
lavoro l’obbligo del risarcimento del danno e quindi la corresponsione delle retribuzioni corrispondenti
soltanto in caso di sciopero a singhiozzo (prestazione offerta parziale o comunque diversa da quella
pattuita) o di sciopero a scacchiera (astensione di gruppi di lavoratori di diversi reparti in momenti vari).
L’esclusione della mora non si verifica se lo sciopero a singhiozzo o a scacchiera non determina una
situazione di oggettiva impossibilità o effettiva inutilità della prestazione lavoro. L’onere della prova grava
sul datore di lavoro.
La serrata può rilevare come comportamento antisindacale, qualora l’azione del datore impedisca
l’esercizio di diritti sindacali e in genere l’esercizio dell’attività sindacale. Il giudice, in caso di accettata
condotta antisindacale ordina la sospensione della serrata e la rimozione degli effetti.
RAPPORTI DI LAVORO
Il lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato non è più referente esclusivo della disciplina
legale del diritto del lavoro.
Si sono ormai diffusi rapporti di lavoro non subordinati in varia origine e natura.
Il rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, pur continuando a rimanere dal
punto di vista statistico il rapporto più diffuso, è ormai contornato da una serie di rapporti di lavoro che
sono subordinati ma temporanei e flessibili e anche da rapporti autonomi o associativi.
Nel corso del tempo la disciplina del lavoro subordinato a tempo indeterminato è stata oggetto di
un irrigidimento progressivo delle tutele in materia di licenziamento del lavoratore con tre leggi: 604/1966,
art. 18 St. lavoratori e 108/1990 sui licenziamenti individuali. Disposizioni queste che hanno introdotto
l’obbligo per il datore di lavoro della motivazione del licenziamento e hanno previsto sanzioni (risarcimento
o riassunzione) in caso di licenziamento ingiustificato – fino a 15 dipendenti e sanzione della reintegrazione
nel posto di lavoro –datori con più di 15 dipendenti.
L’intervento del Governo Monti, attraverso l. 92/2012 persegue l’obiettivo di ridurre la rigidità
dell’apparato sanzionatorio contro il licenziamento ingiustificato nelle imprese rientranti nel campo di
applicazione dell’art. 18 St. lavoratori.
Le ragioni della crisi del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato devono
essere individuate nelle cause che hanno determinato la rilevante trasformazione della realtà industriale
del Paese in cui è nato e sviluppato il lavoro subordinato, avvertendo che si tratta di un processo di
trasformazione non ancora assestato.
Ragioni di carattere strutturale e internazionale nell’evoluzione del diritto del lavoro:
1. Internazionalizzazione dei mercati
2. Progresso tecnologico e mutamento nell’organizzazione dell’impresa
3. Mutamento della figura del lavoratore
4. Processo di integrazione europea
IL LAVORO SUBORDINATO
LE ORIGINI DEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
Codice civile 1865 non regolava contratto di lavoro. Art. 1570 prendeva in considerazione il
contratto di locazione delle opere per cui una parte si obbliga a fare per l’altra una cosa mediante la
pattuita mercede l’attività di lavoro veniva inquadrata nella locazione e veniva distinta la locatio
operarum dalla locatio operis.
Il lavoro umano assume negli ordinamenti due forme: subordinato(dipendente) e
autonomo(prestazione d’opera).
Locatio operarum = contratto di locazione delle opere; il prestatore di lavoro mette a disposizione
del datore le proprie energie.
Locatio operis= contratto di locazione d’opera; oggetto è il compimento di un’opera e perciò
adempimento istantaneo – nel momento in cui l’opera è compiuta è anche consegnata.
Con la nascita della grande industria in Italia la tutela assicurata dal codice civile attraverso il
contratto di locazione delle opere, al lavoro degli operai di fabbrica risultò progressivamente inadeguata e
insufficiente. Nacquero le c.d. leggi sociali come la legge sugli infortuni sul lavoro del 1898, sulle donne e
fanciulli del 1902 che erano interventi settoriali che miravano a assicurare garanzie minime al lavoro di
fabbrica.
Un’altra forma di tutela agli operai delle fabbriche fu garantita dalla legge istitutiva dei collegi dei
probiviri chiamati a risolvere secondo equità le controversie che insorgevano tra industriali e operai.
Nel 1901 Barassi (fondatore del diritto del lavoro in Italia) aveva considerato nella subordinazione
del locator operarum il tratto identificativo della locatio operarum.
Gli indici di riconoscimento della subordinazione costituiti dall’assunzione del rischio e
dall’accentramento della gestione da parte del conductor operarum non consentivano di considerare la
stessa subordinazione come dato di qualificazione giuridica dell’obbligazione lavorativa.
Il diritto del lavoro in quanto diritto speciale prende atto che la locatio operarum è un’astrazione.
Meriti e limiti dell’elaborazione di Barassi Merito è stato quello di trasformare il vincolo di
dipendenza personale in vincolo di dipendenza funzionale, collegato all’esecuzione della prestazione
lavorativa e non alla persona. Il limite è stato quello di non prendere atto che lo schema della locazione, se
riferito allo svolgimento del lavoro, mal si presta a separare l’attività dalla persona del lavoratore, con il
rischio di considerare quest’ultimo come oggetto.
Accanto alla tutela assicurata al lavoro in fabbrica dalle leggi sociali e dalla giurisprudenza
probivirale fu diffusa anche l’applicazione delle norme raccolte dalle Camere di commercio che offrivano
alle parti un contratto tipo o un regolamento parziale che non aveva valore legale.
Non esistevano clausole tipo predisposte dalle Camere di commercio e comunque variavano da
zona a zona, che non eliminavano l’esigenza di un intervento legislativo anche perché la disciplina del
rapporto rimaneva pur sempre affidata all’autonomia privata individuale.
Nel 1923 fu emanato un decreto che regolamentava l’orario di lavoro per operai e impiegati delle
aziende industriali o commerciali mentre l’anno successivo la legge sull’impiego privato che regolava il
lavoro intellettuale con esclusione del lavoro manuale. Nella legge non compare ancora la nozione di
subordinazione come dato di qualificazione dell’obbligazione di lavorare dell’impiegato mentre con la
formula “il contratto d’impiego privato è quello per una società o un privato, gestori di un’azienda,
assumono al servizio dell’azienda stessa, attività professionale dell’altro contraente” viene confermato che
l’oggetto del contratto è costituito dall’attività professionale e viene affermata la rilevanza giuridica del
contratto di impiego privato con l’azienda.
CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO NELL’IMPRESA A TEMPO
PIENO ED INDETERMINATO
Art. 2094 c.c. definisce prestatore di lavoro subordinato. Questo articolo non ha disconosciuto
l’origine contrattuale del rapporto e la natura del contratto a prestazioni corrispettive, quando la norma
precisa che è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione.
L’art. 2094 ha introdotto la nozione di subordinazione identificandola nella collaborazione del
prestatore di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore quest’ultimo ha il potere di
determinare al momento di costituzione del rapporto, di modificare unilateralmente in corso di rapporto le
modalità di esecuzione della prestazione di lavoro affinché la collaborazione alle dipendenze dello stesso
imprenditore sia idonea a soddisfare l’interesse di quest’ultimo.
Il contratto di lavoro subordinato consente al datore di pianificare e coordinare, attraverso
l’esercizio del potere direttivo, la prestazione di lavoro dedotta in contratto con le prestazioni rese da altri
lavoratori in altrettanti contratti di lavoro.
Il coordinamento di uno o più contratti di lavoro con gli altri fattori della produzione consente
all’imprenditore di realizzare il risultato produttivo, che non entra però nel contenuto del singolo contratto
individuale di lavoro e tale risultato pur rimanendo estraneo all’oggetto dell’obbligazione assunta dal
lavoratore diviene punto di riferimento per la determinazione del modo di essere della prestazione dovuta.
L’obbligo di collaborazione del lavoratore distingue il contratto di lavoro da altri contratti di
scambio.
Non risulta completamente decisiva la soggezione del prestatore di lavoro alle direttive del datore;
anche in determinate ipotesi di lavoro autonomo continuativo è agevole riscontrare lo stesso margine di
autonomia non solo nell’esecuzione, ma anche nell’organizzazione della prestazione lavorativa.
La subordinazione non è stata esclusa quando l’artista restando soggetto alle direttive
dell’imprenditore sul piano organizzativo si sia riservato il potere di controllo sulla sceneggiatura.
La giurisprudenza è molto oscillante sulla qualificazione autonoma o subordinata dell’attività di
insegnamento nella scuola privata considerata autonoma la prestazione del docente che si sia obbligato
a tenere un numero minimo di lezioni mentre è subordinato il rapporto che si svolge con modalità tali da
comportare l’inoperosità dell’insegnante per alcune ore presso la scuola e l’inosservanza di un orario di
lavoro predisposto dall’organizzazione scolastica.
Sebbene il riconoscimento delle direttive non sia sempre decisivo, esso resta comunque il criterio
distintivo principale tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.
La distinzione tra obbligazione di mezzi o di attività, in base alla quale l’obbligato si impegna a
svolgere un’attività di lavoro, e l’obbligazione di risultato, in base alla quale l’obbligato si impegna a
svolgere un’attività qualificata come risultato, non sembra idonea a distinguere lavoro subordinato da
quello autonomo.
Quando il lavoratore sia a disposizione dell’impresa, anche se la prestazione era richiesta al
bisogno, il rapporto di lavoro è subordinato.
Il rischio ricade di norma sul lavoratore autonomo e non su quello subordinato.
La subordinazione socio – economica non può essere considerata elemento identificativo della
subordinazione e distintivo del lavoro subordinato rispetto al lavoro autonomo perché nel nostro
ordinamento i rapporti di lavoro non sono necessariamente subordinati.
L’esecuzione della prestazione nel lavoro autonomi non sarebbe necessariamente personale,
mentre lo è nel lavoro subordinato. Anche nelle ipotesi in cui il prestatore d’opera si avvale di opera di terzi
si distingue adempimento diretto del terzo dall’adempimento a mezzo di terzi.
In caso di contrasto tra la dichiarazione e il comportamento delle parti, prevale quest’ultimo ai fini
della qualificazione del rapporto di lavoro subordinato.
Metodo tipologico il tipo normativo non individua un tipo legale determinato, ma solo alcune
caratteristiche di un tipo legale, sicché l’applicazione del metodo tipologico consente al giudice di non
sussumere la fattispecie concreta in quella astratta ma di ricondurre la prima al tipo normativo.
Disponibilità del tipo da parte del legislatore = compete al legislatore definire e regolare i tipi che
sono denominati legali. La corte ha negato ripetutamente che il legislatore possa disporre del tipo di lavoro
subordinato.
Art 34-35 Cost. sono riferibili esclusivamente al lavoro subordinato. L’ultimo prevedere l’impegno
della Repubblica a tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e quindi smentisce interpretazione
limitativa.
Art. 36 Cost. non impedisce al legislatore ordinario di determinare una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del lavoro eseguito ovvero non impedisce ad un ordinamento
economico collettivo di determinare i minimi di trattamento economico.
Art. 37 cost. stabilisce parità di trattamento tra uomo e donna e il diritto dei minori, a parità di
lavoro, alla parità di retribuzione e perciò prevede e regola diritti che possono essere fatti valere anche al di
fuori del lavoro subordinato.
Art. 39 -40 Cost. norme riferite alla rappresentanza sindacale dei lavoratori e al diritto di
sciopero.
SEZIONE II – TUTELA DELL’INTEGRITA’ PSICO – FISICA E DELLA PERSONALITA’ MORALE DEL LAVORATORE
Art. 2087 c.c. –tutela l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, proteggendo la persona
nello svolgimento della prestazione lavorativa.
Art. 32 cost. salute = fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività
Art. 35 cost. la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e tra sicurezza e
organizzazione di lavoro c’è nesso diretto (libertà di iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con
l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e dignità umana)
L’art. 2087 istituisce l’obbligo di sicurezza da adempiersi attraverso una serie di comportamenti
positivi volti ad assicurare che l’attività produttiva si eserciti senza pregiudizi per la vita e la salute psico –
fisica del lavoratore. Tre parametri di misurazione : particolarità del lavoro, esperienza e tecnica. Il primo è
riferito all’obbligo di adeguare le cautele ai rischi specifici che l’attività produttiva esercitata dal datore può
presentare; il riferimento all’esperienza attiene a valutazioni basate sull’efficacia dei comportamenti già
messi in campo e sui sinistri concretamente verificatisi mentre il riferimento alla tecnica impone al datore
di adottare tutti gli accorgimenti progressivamente acquisiti dal patrimonio tecnico – scientifico e
normalmente utilizzati nel settore di riferimento. Questi tre parametri operano in combinato disposto e
rendono elastico l’obbligo di sicurezza.
La violazione dell’obbligo si concreta sia nell’omissione di misure tassativamente previste dalla
legge sia nell’omissione di misure di prevenzione con riferimento tanto alle caratteristiche oggettive
dell’attività di lavoro quanto a quelle soggettive del singolo lavoratore.
La responsabilità civile che incombe sul datore di lavoro ex. art. 2087 ha natura contrattuale.
Discendono diverse conseguenze : la prima = possibilità per il datore di rifiutare di svolgere la prestazione
(eccezione di inadempimento) ; seconda = agevolazione probatoria; onere di prova del danno, della nocività
dell’ambiente di lavoro e nesso causale tra essi; prescrizione decennale.
La responsabilità del datore di lavoro, basata anche sul dovere di controllo e di vigilanza del rispetto
delle prescrizioni di sicurezza, non è esclusa dal concorso del lavoratore, a meno che la condotta dello
stesso sia abnorme, divenendo unico elemento causale del fatto.
Sicurezza sul lavoro ripartizione a cascata degli obblighi prevenzionistici a cominciare dal primo
soggetto obbligato ex art. 2087 e cioè il datore di lavoro.
La sicurezza ora è disciplinata dal d. lgs. 81/2008 che tende a garantire la prevenzione dei pericoli
per la salute del lavoratore e il coinvolgimento dei lavoratori nella realizzazione della sicurezza nei luoghi di
lavoro.
Il principale soggetto gravato dall’obbligo di sicurezza è il datore egli deve svolgere la
valutazione, avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione con il coinvolgimento del
medico competente e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza con
particolare riguardo alle sostanze pericolose e all’esposizione del lavoratore ad agenti chimici, fisici o
biologici.
Rischi da stress lavoro – correlato valutazione effettuata secondo indicazioni della Commissione
Consultiva ; sono rischi immateriali che comprendono quella condizione che può essere accompagnata da
disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale.
Programmazione della prevenzione mirata ad un complesso che integri in modo coerente le
condizioni tecniche e produttive dell’azienda.
Ulteriori doveri di sicurezza del datore inerenti al rispetto dei principi ergonomici nella
concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e
produzione.
Un compito essenziale del datore di lavoro è quello del continuo aggiornamento delle misure di
prevenzione in relazione a mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della sicurezza e
della salute.
La normativa sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali prevedeva già da tempo
l’obbligo per il datore di lavoro di assicurare i lavoratori manuali adibiti direttamente a macchine
apparecchi a pressione, impianti elettrici, obbligo esteso dalla Corte costituzionale anche ai lavoratori
intellettuali addetti all’uso delle macchine. Il d. lgs. 38/2000 ha esteso l’obbligo assicurativo ai dirigenti, agli
sportivi, ai lavoratori parasubordinati e anche al infortunio in itinere (nel percorso verso un posto di lavoro
tra due luoghi)
La normativa distingue tra infortuni sul lavoro e malattie professionali sancendo il principio
dell’automaticità delle prestazioni, secondo il quale i lavoratori infortunati o affetti da malattia
professionale hanno diritto alle prestazioni erogate dall’Inail anche se il datore non abbia adempiuto ai suoi
obblighi.
L’art. 2087 tutela anche la personalità morale e la dignità del lavoratore non deve essere posto
in essere un comportamento che violi il diritto all’integrità psico fisica del datore.
Mobbing= insieme delle molteplici e ripetitive condotte vessatorie o ostili poste in essere da
colleghi , da superiori o sottoposti nei luoghi di lavoro per emarginare un collega.
Gli elementi indispensabili per qualificare un comportamento mobbizzato sono l’elemento
oggettivo (intenzionalità della condotta), elemento temporale (reiterazione del comportamento) e
elemento dannoso (stato di disagio psicologico del lavoratore). In ogni caso deve essersi prodotto un
danno, il lavoratore deve aver perso stima di se.
Straining = azione unica e non reiterata diretta a provocare uno stress di durata costante sul posto
di lavoro.
Alla responsabilità contrattuale ex art 2087 consegue una possibilità per il lavoratore, a seguito
dell’infortunio, di richiedere il risarcimento del danno che può essere patrimoniale per ridotta capacità di
guadagno o non patrimoniale per la lesione dell’integrità psico – fisica. All’interno del danno patrimoniale si
distinguono le categorie del danno emergente(attuale) e del lucro cessante (danni futuri).
Danno biologico = lesione all’integrità psicofisica del lavoratore suscettibile di valutazione medico
legale. Esso viene liquidato con riferimento a due voci : invalidità temporanea e invalidità permanente. Il
danno biologico si riferisce non solo a danni fisici ma anche a danni psichici.
Danno di demansionamento= deriva dal pregiudizio subito dal lavoratore a causa dell’ingiusta
dequalificazione.
Danno morale soggettivo art. 2059 c.c. = danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei
casi determinati dalla legge.
Emersione del danno esistenziale Cassazione ha considerato dannosi tutti quei comportamenti
che provocano un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla
quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica,senza soggezione al limite derivante
dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p. danno esistenziale = titolo autonomi di danno.
Il danno non patrimoniale è fattispecie tipica rispetto all’atipicità del danno patrimoniale e non
tollera la tripartizione in danno morale, danno biologico e danno esistenziale.
Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della
persona, costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato.
IL LAVORO AUTONOMO
IL LAVORO A PROGETTO
Legislatore 2003 ha preso atto dell’elevato numero di collaborazioni continuative e coordinate
fittizie e ha predisposto la disciplina del lavoro a progetto con l’obiettivo di eliminare le collaborazioni
continuative e coordinate non genuine. La riforma ha introdotto una fattispecie inclusiva, cioè che ricalca
quella dell’art 409 c.p.c. con aggiunte dell’apposizione del termine e del progetto; secondo un altro
orientamento invece la fattispecie del lavoro a progetto è esclusiva e in coerenza con la ratio
antifraudolenta della nuova disciplina, tendono a valorizzare i connotati del lavoro a progetto al fine di
distinguerlo dalle collaborazioni continuative e coordinate esistenti.
Con la riforma del mercato del lavoro, il legislatore ha preso atto delle difficoltà interpretative
sollevate degli art. 61 ss ed è intervenuto sulla disciplina del lavoro a progetto introducendo modifiche che
incidono sia sul versante della fattispecie che su quello sanzionatorio.
2012 nuova definizione del contratto di lavoro a progetto. In essa si prevede espressamente che
il progetto sia funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale. Il progetto non può ridursi ad
una mera descrizione delle mansioni del collaboratore o ad una formula del tutto indeterminata senza
accennare gli obiettivi da raggiungere, infatti questi devono risultare per iscritto.
Il progetti continua ad essere caratterizzato dal requisito della specificità che conferma che la
preventiva individuazione del risultato da realizzare deve avvenire in termini analitici e dettagliati, anche se
non deve essere tale da pregiudicare l’autonomia del collaboratore nell’esecuzione della prestazione; il
progetto non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente né
comportare lo svolgimento dei compiti meramente esecutivi o ripetitivi. L’esclusione di quest’ultimi sembra
legificare l’opinione che esclude la legittimità del lavoro a progetto per lo svolgimento di attività semplici e
ripetitive. Tale esclusione però non deve indurre a ritenere che il contratto a progetto sia compatibile
unicamente con prestazioni che richiedono una professionalità elevata e una capacita specialistica elevata.
La facoltà dei contratti collettivi di individuare i compiti meramente esecutivi o ripetitivi non incide
sull’applicabilità del precetto legislativo, nel senso che la preclusione legislativa a svolgere tali compiti
mediante il contratto a progetti sussiste anche in assenza di un’elencazione dei contratti collettivi.
Il progetto costituisce l’oggetto del contratto e viene determinato dal committente; nonostante
questo deve essere gestito autonomamente dal collaboratore. La gestione incontra un limite nel
coordinamento con l’organizzazione del committente; il coordinamento conferma il collegamento
funzionale del rapporto di collaborazione a progetto con l’organizzazione del committente.
Il coordinamento non sussiste nel contratto d’opera e si atteggia diversamente nel lavoro
subordinato. Il prestatore di lavoro subordinato durante lo svolgimento del rapporto resta a disposizione
del datore, mentre il collaboratore continuativo e coordinato si obbliga ad eseguire la prestazione
convenuta su richiesta del committente secondo modalità di luogo e tempo pattuite al momento della
conclusione del contratto o concordate di volta in volta.
Il contratto di lavoro a progetto può, a seconda dei casi, atteggiarsi sia come contratto di durata in
senso tecnico, sia come contratto ad esecuzione istantanea. Nel primo caso si ha sia quando ha ad oggetto
lo svolgimento per il tempo stabilito dalle parti, di attività lavorativa sia quando ha ad oggetto la ripetizione,
nel tempo stabilito dalle parti, dello stesso opus o servizio. Quando invece ha ad oggetto la realizzazione di
un unico opus o servizio allora si deve escludere la possibilità di qualificarlo come contratto di durata.
Il contrato di lavoro a progetto deve essere formulato in forma scritta e deve contenere la durata
della prestazione di lavoro, la descrizione del progetto, il corrispettivo, i tempi e le modalità di pagamento,
rimborso spese; le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sull’esecuzione della
prestazione; le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore. La forma non scritta
non determina la nullità, ma è rilevante sul piano della prova.
Il compenso del collaboratore deve tenere conto anche dei compensi corrisposti sulla base dei
contratti collettivi nazionali di riferimento, in mancanza di contrattazione specifica. Compenso = in
proporzione alla quantità e qualità del lavoro eseguito.
Art. 2225 – nel contratto d’opera abilita il giudice a determinare il corrispettivo in relazione al
risultato ottenuto e al lavoro necessario per ottenerlo, se non convenuto dalle parti; nel contratto d’opera il
rischio grava sul prestatore d’opera, in ultima istanza (quando l’opera è ultimata).
Art. 36 Cost – lavoratore subordinato ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
alla qualità del suo lavoro.
In ogni caso il lavoro eseguito, per dare luogo ad un compenso proporzionato deve presentare
un’utilità oggettiva per il committente.
Viene previsto l’obbligo di riservatezza e divieto di concorrenza, così come viene riconosciuto anche
il diritto di invenzione del collaboratore a progetto.
Viene riconosciuto al solo lavoratore a progetto il diritto ad un periodo di sospensione del rapporto
senza corrispettivo sia in caso di gravidanza, che di malattia o infortunio. Negli ultimi due casi però, quando
la sospensione supera il sesto della durata stabilita nel contratto ( più di 30 giorni) il committente può
recedere dal contratto. Malattia o infortunio non comportano una proroga del rapporto per il periodo di
sospensione, mentre vi è prevista per la gravidanza per un periodo di 180 giorni.
La forma di estinzione propria del contratto a progetto è la realizzazione del progetto, al
compimento dell’opus o servizio – l’estinzione si verifica anche prima della scadenza del termine apposto al
contratto. Il contratto di lavoro a progetto è necessariamente a termine. È possibile recedere solo per giusta
causa; il collaboratore può recedere anche secondo diverse causali o modalità, ma sempre con preavviso
(secondo regie pattizio). Le ipotesi di estinzione del rapporto quindi sonno:
- Realizzazione del progetto
- Recesso ante tempus in presenza di giusta causa
- Recesso del committente per inidoneità del collaboratore impeditiva della realizzazione del
progetto
- Recesso ante tempus del collaboratore a progetto per causali o con modalità stabilite nel
contratto.
L’indennità viene prevista per i collaboratori a progetto che, in presenza di determinate condizioni
contributive ed entro determinate soglie reddituali, hanno svolto attività in regime di mono – committenza
con riferimento al rapporto cessato.
Nella riconduzione a un progetto, il programma di lavoro o fare di esso dei contratti, i diritti
derivanti da un rapporto di lavoro già in essere possono essere oggetto di rinunzie o tassazioni tra le parti in
sede di certificazione del rapporto di lavoro.
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno
specifico progetto sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato sin dalla
data di costituzione del rapporto.
Tesi della presunzione legale assoluta la mancata individuazione del progetto determina
automaticamente la conversione del contratto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e
indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto, senza possibilità per il committente di sottrarsi a
questa sanzione ( non accolte prestazioni prive del vincolo di subordinazione). Per superare dubbi di
legittimità costituzionale è stata formulata una tesi della presunzione legale relativa, ammettendo la
possibilità del committente di fornire prova contraria.
L’esistenza di un progetto non esclude la natura subordinata del rapporto se le modalità di
esecuzione della prestazione sono effettivamente subordinate.
Al giudice è vietato sindacare nel merito delle scelte dell’imprenditore, non può precludergli di fare
il suo mestiere, ossia qualificare il contrato avendo riguardo non solo all’esistenza del progetto ma anche al
comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto.
Il requisito della coordinazione è per un verso un criterio debole e cedevole rispetto alla
prorompente invadenza ed elasticità della subordinazione, la quale può sovrapporti alla prima.
I CONTRATTI ASSOCIATIVI
La prestazione di lavoro può essere dedotta anche nei contratti associativi. In quelli di tipo tecnico si
rileva l’esercizio in comune di una determinata attività destinata a soddisfare un comune interesse, una
comunanza di scopo e una comune assunzione del rischio. I contratti di tipo atecnico (partecipativi) sono
invece contraddistinti da una più generica partecipazione dei contraenti al risultato dell’attività economica.
Il risultato dell’attività economica è interno alla causa del contrato. Il socio o l’associato partecipano
agli utili e alle perdite in ragione dell’esercizio in comune dell’attività mentre la partecipazione agli utili del
lavoratore subordinato è un criterio di commisurazione della retribuzione a lui dovuta come corrispettivo
del lavoro prestato.
Nelle società di persone lo svolgimento della prestazione di lavoro del socio è oggetto di
conferimento e il contratto sociale è la fonte di questo conferimento.
Il rapporto di lavoro subordinato tra socio e società di persone è ammesso qualora a prestazione
non integri un conferimento e sia svolta sotto il controllo gerarchico di un altro socio. Non è ammissibile
invece il rapporto subordinato tra socio amministratore unico e società.
Nelle società di capitali è vietato il conferimento di prestazioni d’opera o di servizi poiché tali
prestazioni, non essendo valutabili con esattezza non offrono sufficienti garanzie sulla corrispondenza tra
capitale sottoscritto e capitale versato dal socio.
La nuova disciplina prevede l’emissione da parte della società per azioni, a fronte dell’apporto di
soci o di terzi di opere o di servizi, di strumenti finanziari che attribuiscono ai loro possessori diritti
patrimoniali o diritti di partecipazione alla gestione della società. Pertanto l’esecuzione di tali prestazioni
consente la partecipazione del socio agli utili, nonché all’amministrazione della società, secondo modalità
stabilite dallo statuto.
Per i soci delle società di capitali vale il principio della responsabilità limitata, in forza del quale il
socio può essere contemporaneamente anche lavoratore subordinato della stessa società salvo il dubbio
per il socio in posizione dominante. Tali rapporti sono soggetti alla disciplina del processo di lavoro, ma non
comportano l’obbligo di iscrizione all’Inps.
La qualità di collaboratore nell’impresa riconosciuta all’amministratore non sembra sufficiente a
ricondurre nella fattispecie del lavoro subordinato il rapporto di amministrazione. Sembra evidente invece
l’analogia tra disciplina che regola le responsabilità del mandatario con quella che regola le responsabilità
dell’amministratore.
La coesistenza di due rapporti, di lavoro subordinato e di amministrazione in capo alla stessa
persona è ammissibile, a condizione che l’amministratore sia soltanto un componente del consiglio di
amministrazione o abbia competenze determinate come amministratore delegato e sia pertanto soggetto
alle direttive e al controllo dell’organo collegiale.
Contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una
partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato
apporto, che è acquisito al patrimonio dell’associante stesso. L’associazione in partecipazione non
presuppone necessariamente l’esistenza di un’impresa. Inoltre, in mancanza di diversa pattuizione
contrattuale, il diritto dell’associato di partecipare agli utili deve essere riferito non agli utili di bilancio, che
potrebbero conglobare elementi patrimoniali non provenienti dall’attività di gestione, bensì agli utili
d’esercizio, cioè quelli che emergono dai profitti. Il diritto agli utili ha carattere periodico e sorge
indipendentemente dalla presentazione del rendiconto.
Nel contrato di associazione in partecipazione la posizione dell’associato che apporta lavoro si
distingue nettamente da quella del lavoratore subordinato, anzitutto per le modalità di esecuzione della
prestazione di lavoro; il potere dell’associante di impartire direttive all’associato è più generico del potere
direttivo del datore di lavoro nei confronti del lavoratore subordinato perché l’associato non è a
disposizione dell’associante.
Per il rischio economico dell’impresa, che grava sull’associato e non sul lavoratore subordinato, in
caso di mancata percezione degli utili, al rischio di avere lavorato senza un corrispettivo.
La corresponsione di un fisso in favore dell’associato non esclude l’aleatorietà del contratto purché
sia attribuita a titolo di acconto.
La partecipazione agli utili attribuiti ai prestatori di lavoro subordinato deve essere determinata in
modo tale da escludere il rischio d’impresa. I tratti caratteristici dell’associazione in partecipazione con
apporto di lavoro sono:
- Sussistenza in capo a chi assume le scelte di fondo nell’organizzazione dell’impresa, di un
generico potere di impartire le direttive
- La presenza in capo al prestatore di lavoro dell’obbligo di apportare lavoro e di un potere di
controllo sulla gestione economica dell’impresa che si risolve in particolare in un obbligo di
rendiconto periodico da parte dell’associante
- La partecipazione agli utili e alle perdite
La distinzione tra fattispecie di lavoro subordinato e fattispecie dell’associazione in partecipazione
con apporto di lavoro, pur essendo chiara in linea astratta, nel concreto svolgimento del rapporto diventa
più problematica perché la prestazione di lavoro dell’associato può essere eseguita in una situazione di
dipendenza e di materiale assoggettamento alle direttive dell’associante.
La riforma del lavoro del 2012 cerca di porre un freno all’utilizzo dell’associazione in partecipazione
in frode al lavoro subordinato; viene prevista una limitazione numerica dei rapporti di associazione in
partecipazione con apporto di lavoro stipulabili. Il numero degli associati impegnati in una medesima
attività non può essere superiore a tre e nel caso in cui viene superato il rapporto si considera ope legis di
lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma con tutti gli associati il cui apporto consista anche in una
prestazione di lavoro, e non soltanto con loro che siano stati assunti oltre tale soglia.
Nel caso in cui manchi un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare,
o sia omessa la consegna del rendiconto, si presume che sussista un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato tra associante e associato.
L’inversione dell’onere della prova è poi esclusa qualora l’apporto di lavoro dell’associato risulti
connotato da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi.
Ai fini dell’applicazione del rito del lavoro, l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro,
nella misura in cui sia contrassegnata dalla continuità e coordinazione e quindi dalla integrazione della
prestazione lavorativa dell’associato nell’impresa dell’associante, è annoverabile tra i rapporti dell’art. 409
cpc.
Sono espressamente esclusi dall’obbligo contributivo gli associati in partecipazione iscritti in albi
professionali, in quanto già soggetti ad altre forme di previdenza.
Le cooperative sono definite dalla legge società a capitale variabile con scopo mutualistico. Nelle
cooperative di produzione e lavoro i soci, oltre ad essere titolati del diritto alle prestazioni mutualistiche
concorrevano ad attuare lo scopo mutualistico proprio dell’impresa oltre che agli utili.
La cooperativa che intendeva procurarsi le prestazioni lavorative del proprio socio lavoratore
doveva concludere con lui un ulteriore e distinto contratto di lavoro, autonomo o subordinato o
parasubordinato. Dal 2003, pur conservando la duplicità dei rapporti che intercorrono tra socio lavoratore e
cooperativa di lavoro, è stata sottolineata di nuovo la centralità del rapporto sociale.
In passato al socio lavoratore subordinato si applicava integralmente lo Statuto dei lavoratori con
esclusione dell’art. 18 St. lav. e quindi anche la normativa sulla tutela obbligatoria contro i licenziamenti
ingiustificati.
Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle
previsioni statutarie. L’unitarietà della posizione lavorativa del socio sembra riemergere prepotentemente
fino ad eliminare la tutela obbligatoria dei licenziamenti individuali dei soci lavoratori.
La società cooperativa è obbligata a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico
complessivo proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai
minimi previsti per le prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della
categoria affine.
Le cooperative sono tenute a determinare, con regolamento interno approvato dall’assemblea, la
tipologia dei rapporti da istaurare con i soci lavoratori e a indicare i contratti collettivi applicabili ai rapporti
di lavoro subordinato.
Le disposizioni che derogano in peius le clausole del contratto collettivo sono nulle.
Risulta esclusa la disciplina del rito del lavoro alle controversie aventi per oggetto la prestazione
mutualistica, idest la prestazione lavorativa nella società cooperativa di lavoro.
I diritti sindacali si esercitano in quanto compatibili con lo status del socio lavoratore; ai soci
subordinati invece si applica lo statuto in modo parziale.
Lavoro familiare familiari sono il coniuge e i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il
secondo. Il familiare per il lavoro svolto non ha soltanto diritto al mantenimento secondo la condizione
patrimoniale della famiglia ma anche alla partecipazione agli utili e ai beni acquistati con essi, nonché agli
incrementi dell’azienda. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e quelle sulla gestione sono adottate a
maggioranza dai familiari partecipanti all’impresa. Il diritto di partecipazione è intrasferibile, salvo che
avvenga a favore di un familiare con il consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla
cessazione della prestazione di lavoro, e in caso di alienazione dell’azienda.
Agricoltura unico rapporto rimasto in vigore è la soccida, nel quale il soccidante e il soccidario si
associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle
attività connesse al fine di ripartire l’accrescimento di bestiame e altri prodotti che ne derivano.
LE ORGANIZZAZIONI NO PROFIT
I requisiti dell’attività di volontariato sono la personalità, spontaneità e gratuità delle prestazioni
svolte tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte senza fini di lucro anche indiretto ed
esclusivamente per fini di solidarietà. Le eventuali erogazioni patrimoniali corrisposte dall’organizzazione al
volontario sono ammissibili soltanto nella veste di rimborsi delle spese effettivamente sostenute dallo
stesso per lo svolgimento dell’attività.
Il rapporto che lega il volontario all’organizzazione può essere qualificato di lavoro gratuito, e in
quanto regolato dalla legge è anche tipico.
Il volontario presta la sua opera non per conto proprio ma attraverso un’organizzazione, quindi la
sua attività è soggetta alle direttive dell’organizzazione.
Il requisito della spontaneità riferito all’attività del volontario significa che l’adesione e permanenza
nell’organizzazione non corrispondono all’adempimento di un obbligo, ma il volontario, dopo aver aderito,
e prima di avere manifestato la volontà di recedere, è obbligato a svolgere le prestazioni secondo le
modalità previste dallo statuto o determinate dal preposto.
Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla
promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini.
Per svolgere le proprie attività, le cooperative sociali si avvalgono di soci volontari che prestano la
loro opera gratuitamente come volontari nelle organizzazioni di volontariato e di soci ordinari come i soci
delle cooperative di produzione e lavoro.
I soci volontari non possono superare la metà del numero complessivo dei soci. Ad essi non si
applicano contratti collettivi e le norme di legge in materia di lavoro subordinato o autonomo, escluse
quelle sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e ai soci volontari spettano solo i rimborsi spese.
Le persone svantaggiate sono soci ordinari e costituiscono almeno il 30% dei dipendenti.
Per agevolare l’inserimento lavorativo le cooperative sociali possono stipulare convenzioni quadro
su base territoriale.