Sei sulla pagina 1di 2

L’ARISTOCRAZIA E IL POPOLO (da pag. 184 a pag.

194)
ATENE E IL CAMMINO VERSO LA DEMOCRAZIA

Gli abitanti di Atene erano di stirpe ionica e la città sorgeva a poca distanza dal mare. Presentava poche
aree adatte all’agricoltura e sembrava necessariamente proiettare la polis verso una dimensione marittima
e commerciale. I più antichi sovrani dell’Attica venivano rappresenti con un corpo ibrido mentre in basso
terminava con una coda di serpente. Con questa immagine si intendeva richiamare il rapporto di quelle
remote figure con la loro terra, essendo il serpente un animale che striscia sul suolo e quindi strettamente
legato a quest’ultimo. Nel lessico dei greci, la condizione dell’essere “nati dalla terra” era espressa dal
termine autoctonia: essere autoctono rappresentava infatti per un popolo un titolo di nobiltà e, pertanto,
costituiva anche una ragione di superiorità rispetto alle città che non potevano rivendicare una simile
origine. Atene nacque, come Sparta, nel corso del “Medioevo ellenico” dall’unione di più villaggi: secondo
la tradizione, il sinecismo si doveva a Teseo, considerato un eroe fondatore. Gli ateniesi tramandavano
lunghe liste di sovrani che li avrebbero governati fin dalle origini. Più tardi la città fu retta da un’aristocrazia
chiusa, quella degli eupatridi, che avevano esautorato il re circoscrivendone il ruolo all’ambito religioso.
Successivamente gli aristocratici elessero ogni anno tra loro un collegio di nove arconti con varie funzioni di
governo:
-l’arconte epònimo: che dava il nome all’anno;
-il polemarco: guidò l’esercito;
-l’arconte re: erede delle antiche prerogative regali, che mantenne funzioni religiose;
-sei tesmotèti: incaricati di custodire e applicare le leggi.
Gli arconti entravano a far parte dell’areòpago, un consiglio molto potente che si riuniva sulla collina di
Ares, da cui prendeva il nome. Nell’Atene arcaica, tutte le cariche politiche erano ricoperte da aristocratici
ed esisteva un’assemblea che riuniva tutta la popolazione, chiamata ecclesìa, ma il suo ruolo e i suoi poteri
erano piuttosto limitati. In questo contesto maturò il tentativo dell’aristocratico Cilone di instaurare la
tirannide per iniziativa degli Alcmeònidi. Pochi anni più tardi emerse Dracone: a lui si dovette il più antico
codice di leggi della città. Sul piano dei contenuti, la legislazione di Dracone riguardava soprattutto gli
omicidi e i reati di sangue: a questo proposito, veniva introdotta la distinzione tra omicidio volontario e
involontario. Gli interventi di Dracone non erano sufficienti per fronteggiare una situazione di grave crisi
sociale: i piccoli proprietari terrieri erano spesso costretti a indebitarsi con gli aristocratici e bastava un solo
raccolto andato male per costringerli a cedere i loro piccoli appezzamenti e a vendersi come schiavi ai
propri creditori. Di fronte a simili conflitti sociali, le città greche si affidavano a una sorta di arbitro: un
membro della comunità di riconosciuta autorevolezza e imparzialità scelto all’interno delle aristocrazie
stesse. Atene affidò il compito all’aristocratico Solone. Solone affrontò anzitutto la questione dei debiti: il
suo primo patto politico fu la seisàchtheia, cioè l’abolizione della schiavitù per debiti. Egli mirava a limitare
gli eccessi del potere aristocratico, a favorire una maggiore integrazione sociale e a ridurre i conflitti
realizzando un regime più equo, da lui stesso definito eunomìa, cioè buon governo. Alla seisàchteia Solone
affiancò interventi in campo economico ed effettuò anche una riforma dei pesi e delle misure, affinché sia i
liquidi sia i cereali venissero misurati in modo uniforme e corretto. La tradizione attribuisce a Solone una
suddivisione della popolazione ateniese in 4 classi sulla base del censo e non più della nobiltà di nascita: si
parla per questo di costituzione timocràtica. I pentacosiomedimmi, la classe più elevata, erano coloro le cui
proprietà producevano ogni anno almeno 500 medimmi di grano, antica unità di misura greca usata per i
solidi, o 500 metreti di olio o vino, antica unità di misura greca per indicare i liquidi. Seguivano i cavalieri,
poi gli zeugiti, che possedevano ciascuno almeno una coppia di buoi e i teti, lo strato più basso e numeroso
che vivevano il lavoro delle loro braccia e non avevano redditi significativi. All’articolazione in classi di censo
corrispondeva una diversa possibilità di accedere alla vita politica. Riservata ai soli pentacosiomedimmi era
la carica di arconte e dunque quella di membro dell’areòpago, a cavalieri e zeugiti erano riservate altre
magistrature come fanteria oplitica e i teti partecipavano all’assemblea popolare. Aperta a tutti i cittadini
era anche l’elièa, tribunale popolare; vi era poi il Consiglio dei quattrocento formato da 100 rappresentanti
di ognuna delle quattro tribù in cui erano tradizionalmente suddivisi gli ateniesi, delle cui competenze non
sappiamo però praticamente nulla. La convinzione che fra nobili e popolo corresse una differenza
qualitativa, in quattro soltanto i primi possedevano per nascita la “virtù”, quell’insieme di caratteristiche
etiche che dava loro il diritto di governare l’intera comunità. Sul piano pratico, la riforma non intaccò il
potere dell’aristocrazia perché gli aristocratici erano anche i più ricchi e perché l’architettura istituzionale e
le condizioni concrete della vita politica assicuravano loro il controllo della polis. Una volta completate le
sue riforme, Solone lasciò Atene, in modo che i cittadini potessero mettere alla prova le norme che aveva
stabilito senza essere influenzati dalla sua presenza e, questo atto, venne ammirato ancora di più fino a
farlo selezionare nel gruppo dei Sette Sapienti. L’opera di Solone sancì ciò che potremmo chiamare il
principio di laicità delle scelte politiche. Solone affermò che i mali della città andavano concepiti come
risultato del malgoverno e come frutto di scelte umane.

CONTINUARE A SOTTOLINEARE DA PAG. 189

Potrebbero piacerti anche