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CORSO DI LAUREA IN PIANIFICAZIONE TERRITORIALE,

URBANISTICA E PAESAGGISTICO-AMBIENTALE.

CORSO DI FONDAMENTI DELLA PIANIFICAZIONE E


DELL’URBANISTICA.

A.A. 2021-2022

L’APPROCCIO ALLA REGOLAZIONE


ELEMENTI TEORICI E RIFLESSIONI SULLA REGOLAZIONE
DEI MONOPOLI INFRASTRUTTURALI, DEL TRAFFICO E
DELLO SPAZIO PUBBLICO URBANO
Autore: Cerrato Lorenzo Docente prof. Umberto Janin
Rivolin

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 Introduzione
Secondo l’approccio razional-comprensivo, che affonda le radici nell’operational research, il
planning è definito come processo decisionale soggetto all’incertezza (Gaeta, Janin Rivolin, Mazza,
2017, p. 328). Pur nella consapevolezza che il lavoro del pianificatore non si esaurisce in questa
definizione, bisogna ammettere che una consistente porzione della pratica di pianificazione
implica la definizione di regole. La zonizzazione è la forma più semplice e immediata di
regolazione, ed è utilizzata per indicare quali usi del suolo sono permessi e quali no in una
porzione delimitata di territorio. Lo Stato, o qualsiasi autorità che detenga il potere su un
determinato territorio, può attuare una regolazione se ritiene che possa essere utile o
indispensabile al perseguimento dell’interesse generale. Alcuni casi tipici in cui lo Stato può essere
indotto a intervenire sono i conflitti tra usi concorrenti o incompatibili del suolo e i monopoli
infrastrutturali: entrambi concernono la pratica di pianificazione, il primo perché coinvolge
direttamente i diritti d’uso del suolo, il secondo perché le infrastrutture si configurano come reti
che si estendono sul territorio per fornire servizi. In questa relazione mi concentrerò in particolare
sui motivi e le controindicazioni della regolazione pubblica dei monopoli infrastrutturali,
assumendo come principale testo di riferimento Regulating infrastructure: Monopoly, contracts
and discretion (2003) di José A. Gómez-Ibáñez. Nella seconda parte svilupperò alcune tematiche
nell’ambito del ruolo che la regolazione del traffico, delle strade e degli spazi pubblici può avere
nella determinazione della qualità della vita urbana, a partire da alcune considerazioni di Nicholas
Blomley.

 La questione dei monopoli: elementi teorici e problematiche


economico-amministrative di regolazione delle infrastrutture
Le infrastrutture (dal latino infra: “sotto” e structura: “edificio”) sono strutture e servizi distribuiti a
rete nello spazio geografico. Per essere costruite e mantenute, esse richiedono ingenti
investimenti di carattere durevole e immobile, intendendo per durevole un investimento la cui
remunerazione è prevista sul lungo periodo e per immobile un investimento tale da rendere
difficile, costoso o impossibile ritirare e spostare il capitale. In Gómez-Ibáñez (2003) sono elencati
cinque motivi per i quali solitamente uno Stato decide di intervenire nella regolazione delle
infrastrutture:

1. Molte reti infrastrutturali tendono a configurarsi come monopoli naturali, cioè monopoli in
cui, oltre a essere presenti investimenti durevoli e immobili, sono innate nella tecnologia
forti economie di scala (cioè il monopolista è in grado di produrre per ogni livello di
domanda a costi più bassi di quelli che risulterebbero da altre forme di mercato);
2. Le infrastrutture vengono costruite su tratti lunghi, lineari e contigui, che spesso non sono
disponibili senza espropri, i quali possono essere effettuati dallo Stato per ragioni di
pubblica utilità;
3. Alcune infrastrutture generano benefici socialmente desiderabili, che si ripercuotono
anche su chi non è diretto fruitore del servizio; siccome ognuno sarà riluttante a iscriversi a
un servizio pagando anche per altri, lo Stato può decidere di firmare un contratto in qualità
di rappresentante dei cittadini, obbligandoli poi a pagare il servizio;
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4. Alcuni tipi di infrastrutture sono essenziali per godere di un minimo grado di qualità della
vita, tale da soddisfare esigenze di equità sociale e di sviluppo economico attraverso il
territorio e la popolazione;
5. In certi casi le infrastrutture possono rappresentare un rischio per la salute, la sicurezza e
la qualità ambientale: lo Stato può quindi preoccuparsi di definire degli standard qualitativi
e di sorvegliarne il rispetto, solitamente creando un ente di controllo separato da quello
che emette gli altri regolamenti relativi ai monopoli, in modo da evitare conflitti di
interesse.
D’altra parte, fanno notare Beria e Ponti (2009), le infrastrutture tendono a configurarsi anche
come monopoli legali, nel senso che sono generalmente inserite nella pianificazione pubblica del
territorio. La tendenza al monopolio delle industrie infrastrutturali è il punto di maggior interesse.
Gómez-Ibáñez, indagando la natura dei monopoli, si preoccupa innanzitutto di chiarire che il
monopolio, cioè la presenza di un singolo fornitore in un dato settore del mercato, non
corrisponde al potere di mercato, il quale è definito come la capacità da parte di un’impresa di
alzare i prezzi dei prodotti oltre il loro costo senza registrare un significativo calo delle vendite. Un
monopolio ha potere di mercato se esiste un ostacolo che impedisce a nuovi concorrenti di
entrare sul mercato e se i clienti hanno poche o nessuna alternativa al suo prodotto. Un
monopolio naturale è esso stesso un ostacolo all’entrata sul mercato di concorrenza. La
formazione di monopoli naturali è da alcuni ricondotta soprattutto alle economie di scala, ma
Gómez-Ibáñez dà maggior peso alla presenza di investimenti durevoli e immobili, che obblighino
l’incumbent a rimanere sul mercato per non perdere quegli investimenti, anche a costo di
abbattere i prezzi per essere più competitivo e tenerli bassi fino alla rinuncia del concorrente.
Queste considerazioni sono importanti perché ci conducono al tema delle soluzioni contrattuali di
un monopolio infrastrutturale. Nel caso delle infrastrutture, oltre alla compagnia anche i clienti
effettuano un investimento durevole e immobile, cioè la localizzazione della propria abitazione o
attività nell’area servita da quella determinata compagnia. Si dice allora che le parti compiono un
investimento relationship-specific, situazione che si verifica ogni volta che il fornitore adatta il
proprio prodotto alle esigenze dell’acquirente. In questi casi il fornitore si espone a possibili
comportamenti opportunistici da parte del cliente, il quale, sapendo che la merce è prodotta su
misura e non può essere venduta ad altri, può richiedere prezzi più bassi. Un problema analogo si
verifica nel caso delle infrastrutture, in cui il rischio di opportunismo è reciproco: i clienti possono
esigere prezzi più bassi sapendo che la compagnia non può trasportare i propri servizi altrove, e la
compagnia può alzare i prezzi sapendo che difficilmente i clienti modificheranno la propria
localizzazione, perché il trasferimento può risultare l’opzione più costosa. La soluzione indicata da
Gómez-Ibáñez è la stipulazione di contratti a lunga scadenza. Le tipologie di contratto possono
essere classificate in base al grado di influenza dello Stato e del mercato nella definizione dei
prezzi, della qualità e della gestione del servizio:

1. Contratti privati: vengono negoziati direttamente tra i clienti e il fornitore privato. Lo Stato
è assente;
2. Concessioni: lo Stato contratta a nome dei cittadini con il fornitore privato;
3. Regolazione discrezionale: il servizio è fornito da un’impresa privata, ma i prezzi e gli
standard di qualità sono decisi dallo Stato;
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4. Impresa pubblica: il servizio è offerto da un’agenzia statale o da un’agenzia non-profit.

 Stato o mercato?
Quale di queste soluzioni è migliore? Il monopolio, sottraendo ai clienti la possibilità di scegliere la
compagnia a cui rivolgersi per ottenere il servizio, è una distorsione delle dinamiche di mercato,
basate sul libero scambio. Per questo motivo, Gómez-Ibáñez commenta che la soluzione
preferibile è ristabilire la libertà di mercato utilizzando una strategia market-oriented, cioè la
contrattazione privata o la concessione, sebbene queste non permettano sempre di rispettare
desideri di equità largamente condivisi nella popolazione, che non si possono ignorare. D’altra
parte, un intervento statale può avere degli svantaggi:
- esiste il rischio che considerazioni formalmente fondate su criteri di equità nascondano
interessi particolari della macchina statale e dei suoi impiegati o di altri gruppi sociali;
- il potere coercitivo detenuto dallo Stato può indurlo a mettere in atto comportamenti
opportunistici;
- lo stesso potere coercitivo solleva questioni di correttezza procedurale reale e percepita; al
contempo, le salvaguardie procedurali possono essere utilizzate come strumenti per
mantenere lo status quo, perché possono rallentare il processo decisionale fino ad
annichilirlo.
Un criterio per stabilire il grado opportuno di intervento statale, che Gómez-Ibáñez indica
richiamandosi ad altri autori come Douglass North e Robert Thomas, è fondato sulla quantità di
costi di transazione che gravano sul processo di contrattazione. I costi di transazione sono i costi in
termini di tempo e denaro che emergono da tutte le transazioni che compongono un’attività
economica. Le due principali cause dei costi di transazione sono l’impossibilità di prevedere e
prevenire tutte le contingenze collaterali nel processo di scambio e la probabilità che una delle
parti tenda ad assumere comportamenti opportunistici. Una forma particolare di costi di
transazione sono i diritti di proprietà, nella misura in cui la loro ambiguità impedisce di definire con
certezza da quale delle parti in conflitto risieda la ragione. In questi casi è possibile invocare un
intervento pubblico, il quale è tuttavia soggetto ad errore ed è quindi auspicabile solo se la
probabilità di diminuire i costi di transazione è più alta della probabilità di aumentarli. Nel caso dei
monopoli, la maggior parte dei costi di transazione emerge durante la fase di contrattazione, nella
quale lo Stato, se interviene, può simulare le condizioni ideali di mercato, in cui i costi di
transazione sono assenti. Se i costi di transazione sono molto bassi si può pensare che non sia
necessario un intervento statale; se sono medi può essere necessario un contratto sotto forma di
concessione; infine, una regolazione discrezionale o una gestione pubblica sono giustificabili se i
costi di transazione sono molto alti. Anche Beria e Ponti (2009) ritengono che l’intervento statale
sia necessario a fronte di significativi fallimenti del mercato: in tal caso bisognerà sostituire la
consueta concorrenza nel mercato con una concorrenza per il mercato, che consiste
nell’affidamento di un monopolio temporaneo tramite gara d’appalto (la competizione si sposta
dalla fase operativa a quella propositiva). Un altro possibile criterio è fornito da James M.
Buchanan in Buchanan (1990), dove è sostenuto che l’intervento statale sia auspicabile solo se

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sono presenti esternalità prodotte da un bene pubblico: se si accettasse questa interpretazione,
sarebbe necessario decretare se e quali infrastrutture sono beni pubblici.

Al di là di quanto le suddette soluzioni possano apparire più o meno equilibrate e ragionevoli,


bisogna considerare che non è facile prevedere tutte le esternalità e i costi di transazione;
pertanto, le speculazioni teoriche sono poco utili al decisore politico posto di fronte a scelte
importanti e potenzialmente urgenti. Inoltre, la preferenza per soluzioni market-oriented o State-
oriented è mossa anche da sistemi valoriali differenti, che si possono criticare e paragonare, ma è
forse impossibile decretare in modo definitivo quale debba prevalere, soprattutto nella misura in
cui Stato e mercato sono entità complementari che si bilanciano reciprocamente. Se in un Paese le
considerazioni di equità e di difesa della sicurezza e della qualità ambientale sono maggioritarie, lo
Stato può essere legittimato a intervenire con una regolazione discrezionale o con l’impresa
pubblica anche senza apporre come giustificazione l’elevatezza dei costi di transazione; tuttavia, è
facile prevedere che nello stesso Paese le istanze di libertà economica e di iniziativa privata siano
consistenti, e poiché lo Stato rappresenta tutti i cittadini, sarà necessario che esso valuti caso per
caso quale atteggiamento sia più rispondente alla difesa dell’interesse generale, con la
conseguente configurazione di situazioni di regolamentazione ibride.

 Traffic Logic vs Superblocks


Le strade urbane sono un particolare tipo di infrastruttura, che, nella concezione odierna
maggiormente diffusa, ha il principale scopo di garantire il flusso di mezzi e persone. Secondo
Blomley (2007), questo modo di vedere la strada è derivato da un approccio puramente
ingegneristico e può essere definito traffic logic. Tale logica non è sempre stata dominante:
Ehrenfeucht e Loukaitou-Sideris (2007), presentando l’esempio della Los Angeles di fine
Ottocento, dimostrano che, prima della diffusione del traffico autoveicolare e degli interessi ad
esso legati, le strade erano usate per eleggere i membri consiliari, decidere miglioramenti locali,
scambiarsi informazioni, lavorare, giocare, intrattenersi ed esprimere dissenso su questioni
politiche, economiche o sociali. L’ossessione per le problematiche di congestione a cavallo tra
l’Ottocento e il Novecento ha stimolato una crescita incontrollata dei regolamenti stradali, fino a
ridurre a piccole nicchie lo spazio pubblico non destinato al traffico. I marciapiedi stessi, fa notare
Blomley, vengono considerati dagli ingegneri civili primieramente come spazi di circolazione
pedonale, come d’altronde suggerisce il nome stesso. Secondo questa concezione le persone
devono essere considerate al pari degli oggetti: se stazionano sono un impedimento alla
circolazione e dunque un problema. Blomley riporta esempi di regolamenti municipali (come il
Safe Streets Act, vigente nella provincia di Vancouver) a cui, in modo più o meno consapevole, è
sottesa la traffic logic, secondo cui le occupazioni del suolo pubblico di lunga durata per protesta o
per mendicità non sono accettabili non tanto per ragioni politiche quanto per ragioni di pura
efficienza del traffico. Considerazioni di difesa dei diritti civili o di incoraggiamento delle relazioni
sociali possono contrastare la traffic logic, che domina il senso comune e il modus cogitandi della
maggior parte degli ingegneri civili. D’altro canto, gli stessi Ehrenfeucht e Loukaitou-Sideris (2010)
avvertono che, nel progettare i marciapiedi, i planner devono essere in grado di integrare tre
esigenze: 1) garantire spostamenti privi di impedimenti senza svalorizzare l’accessibilità della
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strada; 2) affrontare il paradosso di pianificare un luogo in cui avvengono azioni libere e
spontanee, cioè imprevedibili; 3) creare spazi adatti alla concorrenza tra attività.

Per tenere insieme i tre elementi può essere utile recuperare il concetto di superblock,
inizialmente ideato da Clarence Stein e Henry Wright nella formulazione del principio di Radburn,
recuperato da Colin Buchanan nel suo rapporto al governo britannico (Buchanan, 1963) e
rivitalizzato nell’ultimo decennio da soluzioni urbanistiche sperimentali in atto in alcune città
europee, tra cui spicca Barcellona (vedi Mueller, Rojas-Rueda [et al.], 2019). Gli elementi
caratterizzanti il superblock sono:

1. Individuazione di un’area delimitata perimetralmente da collettori principali;


2. Specializzazione delle strade per separare i traffici autoveicolare e pedonale. Il traffico
autoveicolare entra nel superblock senza attraversarlo. Nella concezione recente si
prevede di diminuire fortemente lo spazio destinato alle automobili e di stabilire limiti di
velocità restrittivi;
3. Il principio di Radburn prevede una cortina di case disposte attorno a un parco centrale;
l’applicazione odierna di tale modello a città consolidate è di difficile realizzazione, ma
l’obiettivo resta quello di recuperare spazio pubblico prima destinato esclusivamente al
traffico e di restituirlo ai residenti, possibilmente aumentando, nel limite del possibile e del
desiderabile, gli spazi verdi;
4. Nel principio di Radburn e nella sua applicazione alle new town inglesi i superblock hanno
carattere essenzialmente residenziale. Nella concezione recente, invece, gli usi residenziali
e gli usi commerciali, oltre ai servizi pubblici, sono equamente mescolati per incentivare la
vita di quartiere.

Il modello incrementa gli spazi pubblici pedonali, favorisce la mescolanza di usi commerciali e
residenziali e prevede nuovi spazi verdi: in questo modo la vitalità dello spazio pubblico è
incentivata senza danneggiare le condizioni di circolazione pedonale, ovvero il primo dei tre
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punti indicati da Ehrenfeucht e Loukaitou-Sideris (2010) è soddisfatto. Il secondo punto è
soddisfatto nella misura in cui la pianificazione del superblock avvenga, per quanto possibile, in
armonia con i desideri e le istanze dei residenti, i cui atteggiamenti, in definitiva, determinano
il successo del modello. Il terzo punto è soddisfatto dalla mescolanza di usi residenziali e
commerciali e dalla specializzazione delle strade. In aggiunta, i superblock sembrano essere
ottimi strumenti per incrementare le condizioni di salute e di qualità ambientale nelle grandi
città contemporanee: in Mueller, Rojas-Rueda [et al.] (2019) sono presenti stime accurate della
riduzione che i superblocks barcellonesi possono causare del tasso di mortalità annuo grazie
all’incremento dell’attività fisica legata agli spostamenti, alla riduzione dell’inquinamento
atmosferico e acustico, alla presenza di nuove aree verdi e alla riduzione dell’UHI (Urban Heat
Island, fenomeno microclimatico di intenso calore concentrato nelle aree urbane). Anche
Mehdipanah, Novoa, Léon-Gómez [et al.] (2019) riportano, in relazione ai superblock, benefici
legati alla salute, alla sostenibilità ambientale e alla valorizzazione della vita pubblica.

 Conclusioni
Da questa relazione emergono alcune delle molteplici tipologie di regolazione che possono
concernere la pratica di pianificazione. Nell’ambito delle infrastrutture è frequente la necessità
di gestire monopoli legali e naturali: una necessità che riguarda poco il design urbano e molto
la disciplina economica e le dinamiche politiche. In un progetto di scala territoriale si
intrecciano questioni non solo funzionali ma anche economiche, valoriali, politiche. La
consapevolezza delle possibilità attraverso cui si può gestire un qualsiasi conflitto concernente
l’uso del suolo (non solo la questione dei monopoli infrastrutturali) è una condizione per
l’efficacia e la qualità del lavoro del pianificatore.

Nella seconda parte della relazione, infrastrutture e usi del suolo si intrecciano con questioni di
qualità ambientale e civica dello spazio urbano. La sfida posta al pianificatore è di bilanciare
diversi usi conflittuali dello spazio pubblico, essenzialmente riconducibili a due poli: lo
spostamento e la staticità. A livello urbano, se da un lato esistono legittime istanze di efficienza
dei servizi e delle infrastrutture di trasporto, dall’altro bisogna ammettere che la rivoluzione
novecentesca del traffico ha stravolto l’uso degli spazi pubblici, sacrificati in larga parte agli
spostamenti autoveicolari. Il recente ritorno in voga dei superblock offre un modello di
regolazione del suolo pubblico e delle infrastrutture stradali che forse può aiutare a bilanciare
le due esigenze contrapposte. Un timore che può sorgere spontaneo è che la creazione dei
superblock, spostando quasi tutto il traffico sulle grandi arterie, generi su quest’ultime
situazioni di congestione insostenibili. Questo timore è giustificato dalla relativa scarsità di
studi sugli effetti che l’adozione del modello dei superblock ha sul traffico, sebbene Zhang,
Menendez, Shuai (2020) sostengano che secondo i modelli teorici, a patto di rispettare alcuni
parametri, tali effetti non siano significativi. Anche il Rapporto Buchanan (Buchan, 1963),
evidenziando la correlazione tra traffico e usi del suolo, suggerisce di fare attenzione alle
conseguenze di una modifica sostanziale della viabilità urbana, ma i fautori dei superblock
sostengono che la pedonalizzazione delle vie dei nuovi isolati produca un incremento della
frequentazione da parte dei cittadini dei locali commerciali: vale a dire che, utilizzando il
linguaggio di Buchanan, le nuove linee di desiderio sarebbero soddisfatte direttamente dal
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traffico pedonale. In ogni caso il pianificatore deve essere sempre consapevole che un modello
che funziona nella teoria o in un caso reale specifico, come quello finora felice di Barcellona,
non è necessariamente applicabile ovunque: caso per caso bisogna pesare i pro e i contro e
fare i conti con i desideri e con gli obiettivi dell’amministrazione locale e dei residenti,
rifuggendo tanto il timore di modificare lo status quo quanto la tentazione di stravolgere
l’ambiente urbano nel nome di un modello ideale.

 Bibliografia
- Beria P., Ponti M. (2009), Lo stato della regolazione dei trasporti in Italia, «Economia
dei Servizi. Mercati, Istituzioni, Management» 4(3), pp. 465-484, doi:10.2382/31044.
- Blomley N. (2007), Civil Rights Meet Civil Engineering: Urban Public Space
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- Buchanan J.M. (1990), Libertà nel contratto costituzionale, Milano, il Saggiatore.
- Ehrenfeucht R., Loukaitou-Sideris A. (2007), Constructing the sidewalks: municipal
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«Journal of Historical Geography», 33(1), pp. 104-124, doi: 10.1016/j.jhg.2005.08.001.
- Ehrenfeucht R., Loukaitou-Sideris A. (2010), Planning Urban Sidewalks: Infrastructure,
Daily Life and Destinations, «Journal of Urban Design», 15(4), pp. 459-471,
doi:10.1080/13574809.2010.502333.
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- Gómez-Ibáñez J.A. (2003), Regulating Infrastructure: Monopoly, Contracts and
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- Mehdipanah R., Novoa A.M., Léon-Gómez B.B. [et al.] (2019), Effects of Superblocks
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- Mueller N., Rojas-Rueda D. [et al.] (2019), Changing the urban design of cities for
health: The superblock model, «Environment International», (134), pp. 1-13,
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- Zhang L., Menendez M., Shuai B. (2020), A Quantitative Analysis of Superblocks Based
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doi:10.1109/ACCESS.2020.2991313.

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