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1. Delimitazione dell’indagine
Il fenomeno giuridico prende forma in una serie di regole istituzionali e organizzative. Il
complesso di queste regole costituisce un sistema, un’entità omogenea e conclusa i cui
elementi risultano fra loro coordinati. Da ciò deriva che il sistema trova il suo fondamento nel
principio ordinatore e nei valori ad esso collegati ed è disciplinato da altre regole dirette a
stabilire gli organi e le procedure per la sua formazione e i modi in cui le regole devono
essere coordinate.
Abbiamo quindi: a) una serie di valori che assicurano la vigenza del sistema e lo legittimano;
b) una serie di regole in cui questi valori vengono fissati in una formulazione linguistica; c)
una serie di regole che stabiliscono gli organi e le procedure per la produzione delle regole
sub b); d) una serie di regole per il coordinamento del sistema nel suo interno.
Ad esempio, si pensi alla nostra costituzione che è espressione, tra gli altri, del valore
“eguaglianza”. Fino a quando questo valore sarà presente nella comunità, il sistema o quella
parte di sistema che su di esso si regge potrà dirsi vigente e legittimo. Inoltre, il valore
eguaglianza è formulato nella costituzione in alcune regole costituzionali (artt. 3, 29,51) che
ne fissano i termini. Occorre però che esso trovi attuazione, vale a dire che altre regole lo
rendano concretamente operante. L'atto attraverso cui si raggiunge questo risultato è la legge,
nel senso che la legge, non potendo operare discriminazioni di alcun genere, deve assicurare
l'eguaglianza (formale). L'organo a cui è affidata la funzione legislativa è il Parlamento. Il
Parlamento, tuttavia, nel formulare la legge non può, operare discriminazioni tra i cittadini,
incontra cioè dei limiti nella regola istituzionale all'art.3; Il che significa che quest'ultima
regola è sovraordinata alle regole emanate dal Parlamento. Le due regole (quella
costituzionale e quella contenuta nella legge) devono essere fra loro coordinate in un rapporto
che vede la prima in una posizione di preminenza; In caso contrario legge del Parlamento
sarebbe costituzionalmente illegittima e la Corte costituzionale potrebbe dichiararne
l’illegittimità.
Quindi potremmo dire che il fenomeno giuridico trova la sua prima origine nella necessità
dell'uomo di associarsi ad altri uomini per perseguire certi interessi e tutelare valori, ma, si
esteriorizza negli atti (e nei fatti) che pongono le regole istituzionali ed organizzative.
Quando parliamo di valori supremi sui quali si fonda l'ordinamento ci riferiamo a qualcosa
che gli dà vita, che lo legittima. Tali valori immanenti e astratti devono trovare la loro
formulazione in una proposizione linguistica che ne possa precisare i termini e la portata, e
costituisca una fonte del diritto positivo, intendendo per diritto positivo quello posto in essere
dagli organi a ciò espressamente deputati nelle forme e nei modi previsti e sia effettivamente
vigente.
2. La norma giuridica
Lo studio delle fonti del diritto positivo presuppone la conoscenza del concetto di norma
giuridica. La giuridicità di una norma si misura in base alla sua attitudine ad assicurare la
stabilità e la continuità nel tempo di un gruppo sociale. Questa è la differenza fondamentale
che isola le norme giuridiche e dalle altre norme sociali (morali, religiose, di costume) in
quanto solo la norma giuridica determina e specifica gli interessi per il cui soddisfacimento il
gruppo si è costituito. Inoltre, una regola religiosa può essere seguita o no da ciascun
individuo e della sua osservanza si risponde soltanto davanti alla propria coscienza. Quando
però un gruppo sociale ritiene essenziale, per la sua la possibilità e per la sua pacifica
convivenza, adottare questa regola, la fa propria e la traduce in una norma, inserendola in un
sistema garantendone l’osservanza e applicando, nel caso, una misura punitiva (sanzione).
Quindi le norme giuridiche sono enucleate da formulazioni linguistiche che: a) evidenziano
gli interessi propri del gruppo; b) prescrivono i modi ed i limiti con i quali soggetti possono o
devono perseguire interessi; c) determinano gli organi e le procedure per accettare dichiarare
inosservanza delle prescrizioni; d) stabiliscono la sanzione da applicare nei confronti di chi
non ha osservato la norma, al fine di ripristinare l'ordinamento giuridico violato e di
assicurare la certezza dei rapporti giuridici.
I destinatari delle norme sono tutti i consociati (tutti posso agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti art. 24 Cost) od alcuni di essi, individuabili sulla base di determinate
caratteristiche (i capaci e i meritevoli art. 34 Cost.); ma non è escluso che le norme possano
avare come destinatari singoli individui (ad es. La legge che attribuisce la pensione alla
vedova di una illustre personalità). Le norme possono anche indirizzarsi anche ad organi e
soggetti dello Stato-apparato (“Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge,
può con decreto motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione” art.74 Cost.).
A) La norma per essere giuridica deve essere positiva, vale a dire deve annunciare un
interesse effettivamente vigente nella comunità o predisporre gli strumenti necessari per il
suo soddisfacimento e la sua tutela. Così inteso, la positività si connette strettamente al
carattere della effettività intesa come concreta efficacia della norma. La effettività si può
intendere in due sensi: in senso prescrittivo-deontologico o in senso storico-esistenziale. Il
primo senso significa che una norma giuridica è tale solo se concretamente efficace e
applicabile; nel secondo significa che la norma giuridica gode o ha goduto in un determinato
periodo storico di concreta efficacia e applicazione. Per il primo significato bisogna essere
molto cauti, per non correre il rischio di una convalida indiscriminata della forza che si
identificherebbe con il diritto. Per dare una risposta si potrebbe dire che l’effettività delle
norme giuridiche si valuta all'interno di un sistema dato, al di fuori del quale i principi
fondamentali potrebbero essere distorti, incompatibili e privi di qualsiasi forma convalidante.
Infatti, il mutamento dei principi fondamentali toglie legittimazione giuridica a tutto
l'apparato normativo e istituzionale.
B) La norma giuridica è coattiva, nel senso che, qualora l'interesse della comunità richieda la
sua puntuale osservanza, l'ordinamento appresta gli strumenti (sanzioni) affinché il precetto
normativo sia eseguito anche contro la volontà o in assenza della volontà del destinatario.
Nell’ipotesi in cui la violazione della norma sia tale da impedire il soddisfacimento o la tutela
dell'interesse protetto, anche in via coattiva, la sanzione consisterà nell’applicazione di una
misura punitiva verso colui che non ha obbedito. Coattività e sanzione vanno pertanto quali
elementi che si integrano l'un l'altro.
Tuttavia, va detto che non tutte le norme giuridiche esprimono un comando assistito, in caso
di inosservanza, da una sanzione, poiché accanto alle norme coattive si pone un'altra
categoria di norme che coattive non sono. Si pensi infatti alle norme che attribuiscono
capacità, diritti, potestà, situazioni giuridiche attive in genere, alle norme istituzionali, le
norme organizzative, alle norme permissive che cioè prevedono come lecite determinate
azioni od omissioni, alle norme definitorie, alle norme promozionali e alle c.d. norme di
incentivazione (consistenti nel promettere una ricompensa: ad esempio, una facilitazione, un
contributo finanziario, a chi adotta un determinato comportamento). Tali norme sono
comunque al pari delle altre, dotate del carattere della positività, inserite in un sistema
normativo e non possono non essere rispettate; esprimono quindi un interesse meritevole di
tutela. Ad esempio, si esamini il comma I dell’art.1 Cost.: è evidente che i valori che esso
enuncia richiedono il rispetto da parte di chiunque operi nell'ordinamento. O, ancora, l'art.
769 c.c.(donazione) la cui norma serve come modello per definire un atto giuridico come
donazione o no. Inoltre, alcune delle norme sopra menzionate, pur non essendo assistite da
una sanzione puntuale, per la loro stessa natura richiedono di essere attuate. I fini in esse
previsti devono, nel corretto funzionamento del sistema, essere soddisfatti. Sono queste, in
particolare, le norme promozionali (o programmatiche) presenti nella nostra Costituzione, le
quali determinano i fini intorno ai quali la comunità statale si è costituita ed il cui
perseguimento ha ritenuto essenziale. Si pensi a questo riguardo, l'art.4 comma I Cost.: “La
Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendano effettivo questo diritto”: in questa norma il fine da raggiungere è chiaramente
determinato ed è cioè la piena occupazione. Ora la Repubblica è impegnata a promuovere le
condizioni perché questo fine venga conseguito. Questo impegno acquista rilievo giuridico
sotto un duplice profilo: uno positivo, nel senso che le autorità alle quali spetta questo
compito devono attivarsi e promuovere le condizioni per eliminare la disoccupazione; ed uno
negativo, nel senso che non possono essere consentite attività che contrastino con il fine
predetto.
C) Il carattere della esteriorità della norma giuridica consiste in ciò che essa, a differenza di
altre regole, disciplina la vita di relazione e ne organizza i modi di svolgimento. Questo
carattere si può comprendere meglio facendo riferimento a quelle regole per esempio
igieniche come il lavarsi ogni mattino la cui osservanza non ha alcuna incidenza sullo
svolgimento della vita associata; per cui la loro osservanza è frutto di autodeterminazione e
non può essere imposta. Invece la osservanza (anche coattiva) delle norme giuridiche è
richiesta per il loro essere espressione o strumento di attuazione dei valori vigenti in una
comunità.
D2) Collegata alla generalità è l’astrattezza, in quanto la norma finisce col disporre in via
preventiva ed ipotetica e secondo uno schema logico in base al quale se si verifica l'evento A
deve verificarsi l'evento B; ovvero, dato il comportamento e lo stato di fatto A, si ha l’effetto
B. Si pensi all’art. 575 cod. pen. (Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la
reclusione non inferiore ad anni ventuno). È da notare che tale carattere è ormai controverso
in quanto si ritiene che non valga più a definire la giuridicità della norma in una società come
l'attuale, sempre più frammentata in gruppi che richiedono trattamenti normativi differenziati
e adeguati alle esigenze. Tuttavia, il venir meno del carattere della generalità e
dell'astrattezza, pregiudica la stabilità dell’ordinamento e la certezza del diritto.
Il carattere della generalità e dell'astrattezza è di grado inferiore nelle norme speciali (con le
norme che rispetto a quelle generali, sta nel rapporto di species a genus) e nelle norme
eccezionali (che contengono una deroga alla norma generale).
Mantenendoci sul carattere della generalità e dell’astrattezza, è possibile differenziare il
concetto di “disporre” in generale ed in astratto per tutti i possibili casi futuri ed il concreto
“provvedere” nei singoli casi particolari, in attuazione sulla base ed entro i limiti di norme
antecedentemente poste (CRISAFULLI). Infatti, dubbi possono sorgere sulla natura delle
leggi c.d. personali, cioè di quelle leggi che hanno per destinatari soggetti singoli e
determinati e in genere delle leggi con le quali vengono assunti provvedimenti concreti (e
quindi non astratti), con riferimento a situazioni e a soggetti determinati e che sono definite
leggi- provvedimento. Sembra comunque che tali atti legislativi posseggano la forza propria
della legge e degli atti ad essa equiparati ma non la natura normativa; cioè non contengono
norme giuridiche.
Se così non fosse infatti, non vi sarebbe la necessità di distinguere la volizione espressa in
una norma con la volizione espressa nel provvedimento amministrativo o nella sentenza
essendo dotate anch’esse della positività, della coattività e della esteriorità. Per meglio
chiarire, si prenda in esempio l'atto amministrativo dell’autorità comunale con cui si dispone
l'espropriazione di un bene immobile e la legge con la quale il Parlamento espropria una
determinata impresa i servizi pubblici essenziali ed abbia carattere di preminente interesse
generale. In entrambi i casi, gli effetti dell'espropriazione consistono nel trasferimento della
proprietà del bene dall'espropriato all'espropriante, ma ciò che muta è la forma dell'atto con
cui l'espropriazione viene effettuata: nel primo caso l’espropriato potrà esperire i normali
ricorsi in sede amministrativa e giudiziaria; nel secondo, l'espropriato non avrà altra difesa se
non quella indiretta di un'impugnativa per illegittimità costituzionale per vizi formali o
sostanziali dell'atto.
Le leggi-provvedimento costituiscono uno dei casi di deroga al principio della divisione dei
poteri, dato che non spetterebbe al legislatore ordinario emanare atti a contenuto concreto.
Tuttavia, questo accade oggi molto spesso in virtù del fatto che lo Stato, essendo responsabile
di una struttura sociale giusta, svolge funzioni che non si inquadrano più esattamente nelle
forme di attività dello Stato di diritto. In altre parole, la legge provvedimento è lo strumento
di cui oggi fa uso il legislatore per raggiungere in via diretta ed immediata alcuni fini propri
dello Stato sociale. È bene comunque porre dei limiti, sebbene la Costituzione non vieti che
la legge assuma un contenuto concreto. Quindi il legislatore non è legittimato a disporre a suo
piacimento nel campo proprio del potere esecutivo, perché il principio della divisione dei
poteri ne uscirebbe stravolto.
Si definiscono fonti normative gli atti ed i fatti mediante i quali vengono poste (prodotte) le
norme giuridiche. La fonte è lo strumento tecnico predisposto o riconosciuto
dall’ordinamento che serve a produrre il diritto oggettivo. Per questo vengono definite fonti
di produzione. Inoltre, le fonti di produzione vengono a loro volta predisposte o riconosciute
dall’ordinamento, nel senso che questo disciplina gli organi e le procedure necessarie alla
produzione delle norme. Ad esempio, l'art. 70 Cost. (“La funzione legislativa è esercitata
collettivamente dalle due camere”) stabilisce quali organi sono deputati a produrre le leggi,
mentre l'art. 72 Cost. determina la procedura per la formazione delle leggi. In questi casi
siamo in presenza di una fonte di produzione (nella specie di norme organizzative) che è, al
tempo stesso, fonte sulla produzione, cioè fonte di norme che determinano gli organi e le
procedure di formazione del diritto. Le fonti sulla produzione sono contenute nella
Costituzione, per il rilievo non soltanto formale e sostanziale che assumono. Infatti, si
comprende quale importanza abbia stabilire a chi e mediante quali procedimenti spetti di
produrre norme costitutive dell’ordinamento.
A loro volta le fonti sulla produzione derivano anch'esse da una fonte, cioè da un atto o un
fatto che determina il modo in cui devono essere poste. Tale fonte nel nostro ordinamento
corrisponde all'art.1 del d.lgs. luogotenenziale 151/1944, secondo cui la nuova Costituzione
dello Stato doveva essere deliberata da un'assemblea costituente eletta a suffragio universale
diretto e segreto dal popolo italiano. Si è quindi demandato ad un'assemblea elettiva di
operare le scelte circa gli organi delle procedure di produzione delle norme e circa gli
interessi essenziali da tutelare.
Altra distinzione è quella tra fonti dirette e fonti indirette: si hanno le prime quando la fonte
prevista è regolata nello stesso ordinamento; le seconde quando essa è disciplinata in un
ordinamento esterno a quello dello Stato. In quest'ultimo caso è necessario che la norma
prodotta sia recepita e resa efficace nell’ordinamento in cui la si vuole applicare attraverso
procedure.
Tra le fonti del diritto viene annoverata anche la necessità, come elemento intrinseco
legittimante di un’attività che, senza di esso, sarebbe contrario al sistema legale. Per
comprendere meglio, è opportuno distinguere dallo stato di necessità, che è previsto negli
ordinamenti come condizione e presupposto per l’emanazione di un atto o il compimento di
attività in deroga all'ordine prestabilito delle competenze. Si pensi all'art. 77 o agli artt.13 e
14 della nostra Costituzione. Invece la necessità come fonte, opera a volte contro
l'ordinamento ed è connessa strettamente ad un fatto che ha la forza di imporsi come
normativo. La necessità diviene fonte del diritto cioè quando occorre far fronte a situazioni
eccezionali, non previste né prevedibili, al fine di salvaguardare i valori essenziali
dell’ordinamento. Proprio per questo, essendo evidente che si ricorre a strumenti extra legali,
questa finisce con l'essere uno strumento politico e contingente.
Si ricordano inoltre le fonti di cognizione, che stanno ad indicare i documenti ufficiali nei
quali vengono racchiuse le disposizioni normative (la raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana).
1) Nelle fonti sopra riportate non è menzionata la Costituzione in quanto essa è sovraordinata
a tutte le altre fonti e non può essere compresa in un ordine da essa creato, anche se secondo
un'altra tesi la Costituzione rientrerebbe invece al primo posto tra le leggi costituzionali in
quanto deliberata dall’Assemblea costituente e promulgata dal capo provvisorio dello Stato.
2) il procedimento di formazione di alcune di queste fonti è disciplinato in altri testi
normativi e questo vale per: a) regolamenti normativi, per i quali l'art. 87 li menziona in
merito alla loro emanazione attribuita al presidente della Repubblica, per cui bisogna fare
riferimento, per le fasi precedenti alla legge 1988/400; b) referendum abrogativi di leggi delle
regioni di diritto comune, la cui disciplina è rinviata gli statuti; c) regolamenti delle regioni di
diritto comune, per i quali si rinvia allo statuto regionale per la pubblicazione; d) regolamenti
della Corte costituzionale, essendo la relativa potestà attribuita alla Corte.
3) altre fonti non sono previste nella costituzione anche se esse devono trovare in questa la
loro legittimazione. Si pensi ai bandi militari il cui fondamento potrebbe essere rinvenuto
nell’art. 78; e alle c.d. “fonti comunitarie” o dell'Unione europea, cioè regolamenti, le
direttive e dalle decisioni in cui fondamento si fa risalire all’ art. 11; agli statuti ed ai
regolamenti delle province dei comuni ed agli statuti e ai regolamenti degli enti pubblici non
territoriali la cui legittimità potrebbe ricollegarsi al principio di autonomia del decentramento.
4) la Costituzione non menziona la consuetudine come fonte-fatto e si limita a legittimare
come fatti normativi “le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.
A norma degli artt. 3 e 4 delle Preleggi, il potere regolamentare di autorità diverse dal
Governo deve essere esercitato nei limiti delle rispettive competenze; i regolamenti così
emanati non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti del Governo. A questo
riguardo la Corte costituzionale si è pronunciata a favore della legittimità costituzionale dei
regolamenti ministeriali, sostenendo che una legge o un atto avente stessa efficacia di legge
formale può attribuire al ministro la potestà di emanare norme regolamentari poiché è al
legislatore è consentito di conferire il carattere di fonte dell'ordinamento ad atti diversi da
quelli previsti negli artt. 70 a 82. Il problema è quello di comprendere i limiti di questi
regolamenti. Una risposta corretta la contiene la legge 400/1988 a norma della quale i
regolamenti ministeriali e interministeriali possono essere adottati nelle materie di
competenza del ministro o di autorità subordinate al ministro o in materie di competenza di
più ministri quando la legge espressamente conferisca tale potere. Inoltre, i regolamenti
ministeriali e interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti
del governo e devono essere comunicate al presidente della Repubblica prima della loro
emanazione.
La Carta costituzionale non contiene una elencazione completa delle fonti di produzione,
tuttavia vi sono alcuni punti fermi relativi:
a) alla previsione di una fonte: la legge costituzionale è posta al di sopra di tutte le altre.
Mediante tale fonte, si può procedere, alla revisione o alla deroga della Costituzione,
mentre le fonti in contrasto con la legge costituzionale possono essere dichiarate
costituzionalmente illegittime e perdere di ogni efficacia.
b) Alla preferenza assegnata alla legge del Parlamento, alla quale la Costituzione riserva
la disciplina di alcune materie, infatti l’esercizio della funzione legislativa è attribuita
alle due Camere (art.70)
c) Alla disciplina costituzionale degli atti aventi forza di legge (decreti legislativi e
decreti-legge), con la previsione di limiti sia all’oggetto, sia alle modalità ed ai
presupposti dell’esercizio del potere normativo del Governo.
Efficacia sostanziale pari alla legge del Parlamento si deve riconoscere al referendum
abrogativo di una legge o di un atto avente valore di legge. Essendo fine del referendum
quello di far venir meno norme già esistenti, è anche vero che l’abrogazione di una o più
norme non può considerarsi come un fenomeno a sé stante che si esaurisce nel
referendum, poiché provoca nell’ordinamento una serie di reazioni a catena. Il primo è
dato dal fatto che una determinata fattispecie o materia, fino a quel momento disciplinata,
cessa di esserlo in seguito all’abrogazione della norma. In secondo luogo, l’ordinamento
potrà essere chiamato a provvedere colmando il vuoto normativo, per cui esso finisce per
essere diverso da quello precedente all’abrogazione. Per queste ragioni si ritiene che il
referendum abrogativo abbia pari efficacia sostanziale a quella della legge del
Parlamento. (conclusione avvalorata dalla sent. 199/2012 della Corte costituzionale)
È poi controversa l’ammissibilità fra le fonti dei bandi militari, per la difficoltà di trovare
una norma che li legittimi nella Costituzione. Sebbene una risposta si potrebbe rinvenire
nello “stato di guerra” e quindi all’art.70, si tratterebbe pur sempre di una legittimazione
indiretta, poiché il Governo a cui vengono conferiti i poteri necessari in caso di guerra,
non può essere inteso se non come un organo complesso composto dal Presidente del
Consiglio, dai ministri e dal Consiglio dei ministri e non come l’insieme degli organi e
delle istituzioni che formano il potere esecutivo (di cui fanno parte le forze armate).
Sempre controversa è inoltre l’efficacia dei decreti con i quali si provvede all’attuazione
degli Statuti speciali, nonché al passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alle
Regioni ad autonomia differenziata. Detti decreti, pur apparendo formalmente come
decreti legislativi, non pare che possano essere tali perché diverso è il fine per cui il
potere è stato conferito. Inoltre, la procedura per la loro emanazione è eccezionale, poiché
gli Statuti dispongono che le norme in esame siano emanate da una Commissione
paritetica o che sia quest’ultima ad elaborarle. Si deve tuttavia osservare che questa fonte
si pone come esclusiva, essendone ad essa riservata la disciplina. La Corte costituzionale
le ha annoverate tra le “norme interposte”.
Si comprende come soltanto per i regolamenti delle Camere esiste una riserva costituzionale
di competenza (con una conseguente separazione delle fonti). Negli altri casi, il criterio per
l’attribuzione della funzione organizzatrice va rivenuto nella posizione che tali organi
assumono nell’ordinamento costituzionale, in virtù delle garanzie di autonomia e di
indipendenza di cui godono. Si ricordi anche che esistono le disposizioni costituzionali che
tracciano un confine fra l’attività normativa del legislatore e quella di altri organi che godono
del potere di organizzazione. Si creano così due campi di intervento, con la conseguenza che,
se il legislatore deve disciplinare, entro certi limiti, l’organizzazione ed il funzionamento di
taluni organi senza incidere sulla loro autonomia, anche le norme organizzative “interne”
dovranno essere emanate entro i limiti delle disposizioni costituzionali o poste dallo stesso
legislatore. Rimane comunque un’ampia sfera di discrezionalità di cui il legislatore gode per
delimitare l’esercizio delle altrui attribuzioni.
9. La consuetudine
La consuetudine è una fonte subordinata sia alla legge formale che ai regolamenti (e quindi di
terzo grado). Per questo, l’art.8 delle “Disposizioni sulla legge in generale” dispone che gli
usi hanno efficacia nelle materie disciplinate dalle leggi e dai regolamenti solo quando sono
da essi richiamati. Si comprende quindi che sono ammesse soltanto consuetudini che
integrano e specificano il dettato legislativo (praeter legem). Nel nostro ordinamento inoltre è
ammessa l’abrogazione di una norma mediante desuetudine, che si ha quando i destinatari
pongono in essere, in modo reiterato e diffuso, un comportamento omissivo, cioè non
osservano un precetto legislativo.
La consuetudine è una fonte non scritta ed è una fonte-fatto. Si tratta di un fatto produttivo di
norme giuridiche e per questo è caratteristica. È un fatto perché consiste in un
comportamento uniformemente e costantemente diffuso nel tempo e nello spazio e posto in
essere da gruppi sociali presenti nell’organizzazione statale. È come un diritto creato dagli
stessi destinatari, in aderenza alle loro esigenze e bisogni. Tuttavia, è necessario che accanto
alla presenza di un fatto uniforme e costante nel tempo e nello spazio si ponga l’elemento
della c.d. opinio iuris ac necessitatis, cioè la credenza da parte dei destinatari che il
comportamento sia giuridicamente obbligatorio o conforme al diritto. Tale elemento, definito
anche come motivazione psicologica del comportamento, ha ricevuto critiche. Secondo alcuni
infatti si ritiene che, fino a quando non esiste la opinio iuris, la consuetudine non esisterebbe;
senonché si avrà l’opinio in quanto si ritiene come già esistente la norma consuetudinaria. È
un circolo vizioso. Quindi si può dire che l’opinio assume il carattere di elemento essenziale
al sorgere della consuetudine in un momento successivo, quando cioè finisce con l’ingenerare
la credenza della sua giuridica obbligatorietà. Tale elemento psicologico è necessario per la
consuetudine, ed ha una natura specifica che risiede nella credenza della obbligatorietà
giuridica del comportamento o della sua conformità al diritto. Inoltre, l’elemento psicologico
è dato dal comune convincimento dei singoli che esso sia conforme ai fini primari del gruppo
o che valga a comporre gli interessi confliggenti, per cui se non verrà osservato provocherà
una reazione sociale. La norma consuetudinaria esprime la sua peculiarità nel suo essere
norma che scaturisce dal modo in cui, di fatto, si perseguono i fini del gruppo. Ciò ci
permette di distinguere la consuetudine dalle altre regole come quelle di costume, di
correttezza ecc. Nel caso della norma, il comportamento è dato dal convincimento che esso
costituisce un modo per perseguire i fini dati, laddove negli altri casi, esso è dato
dall’opportunità, dall’educazione o dall’abitudine ecc.In ultimo, le consuetudini sono
racchiuse in una “Raccolta degli usi” affidata alle camere di commercio, industria ecc. Tali
usi, detti “mercantili” o “di affari” (“locali” quando hanno efficacia territorialmente limitata)
si riferiscono a vari ambiti dell’attività economica. Sia ben chiaro però che le “Raccolte” non
sono fonti del diritto, fonte restando la consuetudine. Per questo, gli usi contenuti nelle
raccolte si presumono esistenti fino a prova contraria (ex art. 9 “Disp. Sulla legge in gen.).
12. La giurisprudenza
Nell’ordinamento italiano, che si fonda sul diritto scritto, le decisioni dei giudici hanno un
valore, in quanto traggono la norma dalla sfera impersonale e astratta e la applicano al caso
concreto, al fine di renderla attuale e calarla del mondo degli interessi. Ad esempio, l’art. 923
cod. civ. che si occupa di enunciare uno dei modi di acquisto della proprietà, deve essere
interpretato dal giudice che stabilirà se il caso concreto si adegua alla previsione normativa,
cioè se la fattispecie concreta corrisponda alla fattispecie astratta. Si può ben comprendere
quale rilevanza abbia il processo interpretativo e come le sentenze siano uno degli strumenti
con cui l’ordinamento prede corpo e si attua.
Ancora più rilevante sarà il ruolo del giudice quando dovrà sciogliere il nodo derivante dalla
compresenza di più leggi, al fine di identificare la norma da applicare al caso concreto. In un
ordinamento come il nostro è infatti molto frequente che vi siano leggi vecchie di decenni:
oppure il giudice dovrà talvolta trarre la norma da formule legislative polisense o da concetti
indeterminati (i c.d. “concetti valvola”) la cui determinazione può variare a seconda delle
convinzioni sociali e della coscienza comune. O ancora dovrà chiarire il senso di una norma
espressa in un linguaggio non chiaro e impreciso.
Importa qui rilevare l’importanza che assume l’interpretazione giudiziale, al punto che si può
affermare che l’ordinamento si fonda proprio sulle sentenze della magistratura. Ed in questo
senso si può riconoscere alla giurisprudenza il valore di fonte del diritto. Ciò vale anche per
gli atti della P.A. che presuppongono un’interpretazione e l’applicazione al caso concreto. E
vale anche per l’attività dei privati che di continuo traggono dall’astratto e applicano norme
giuridiche. La sentenza del giudice, quando è definitiva, acquista uno spiccato carattere
normativo poiché diviene obbligatoria tra le parti, fa, cioè, stato fra le parti, i loro eredi o gli
aventi causa (art.2009 cod. civ.) e può essere opposta ai terzi.
La Corte di cassazione svolge la funzione di “nomofilachia” (art. 65 legge sull’ord.
giudiziario).
Inoltre, va ricordato che nel pronunciarsi sulla causa, il giudice può decidere secondo equità
quando il merito della causa riguardi diritti disponibili dalle parti e queste gliene facciano
concorde richiesta. Il giudice di pace decide sempre secondo equità. Ciò significa che il
giudice può creare egli stesso la regola da applicare, nei casi previsti, in modo da decidere
secondo criteri di ragionevolezza e giustizia che la norma scritta non sarebbe idonea ad
assicurare.
14. La dottrina
Non va annoverata tra le fonti l’interpretazione delle norme compiuta a fini scientifici dagli
studiosi del diritto (la c.d. “dottrina”) a differenza di quanto avveniva in epoca e lontane. La
norma tratta in via di interpretazione dottrinale non trova applicazione diretta ma soltanto
indiretta, qualora l’interpretazione venga fatta propria dagli operatori pratici del diritto. Non
per questo la funzione del giurista va qualificata come teorica e puramente confinata nel
mondo dell’astrazione.