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ISBN 978–88–548–2481–2
Indice
Introduzione 9
Conclusione 123
Bibliografia 129
Capitolo I
Deleuze: l’eterno ritorno del differente
Anche il critico meno attento non potrebbe non notare che nei quat-
tro testi fondamentali di Gilles Deleuze Nietzsche et la philosophie
(1962), Marcel Proust et les signes (1964), Différence et répétition
(1968), Logique du sens (1969), ci sia un capitolo dedicato a una me-
desima immagine di pensiero e che questa abbia come suo iniziatore
Platone. Ciò che Deleuze chiama propriamente immagine dogmatica
del pensiero è un plurisecolare dispositivo di orientamento, un dispo-
sitivo che orienta il pensiero verso ciò che non lo sollecita a pensare,
distogliendolo dalla differenza in sé, ossia dal nuovo, dalla differenza
che non deriva da alcun rapporto tra identità e che sollecita nel pensie-
ro potenze altre dal semplice riconoscimento.
Quando tutto ciò che si credeva di riconoscere fa segno verso sin-
golarità irriconoscibili, svincolate da identità costituite, è allora e solo
allora, che il pensiero si mette in moto, come qualcosa che in quel
momento comincia, a causa di una provocazione. Per Deleuze la diffe-
renza in sé non si distingue in alcun modo dalla singolarità e vicever-
sa (come dimostrano in modo esemplare le prime pagine
dell’introduzione a Differenza e ripetizione).
Tale indicazione ci proietta già, implicitamente, verso una conce-
zione pre-individuale della singolarità (concezione che riprenderemo
analiticamente più avanti) che non la riduce all’individuo o al singolo,
sottraendola così al numerico, ovvero allo statuto del singolo come u-
nità, fondamento di ogni calcolo.
18 Capitolo I
1
PLATONE, Menone, 81 d6, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000, p. 115.
2
PLATONE, Fedro, 249 d9 – e2, a cura di G. Reale, Fondazione Lorenzo Valla, Milano
1998, p. 77.
Deleuze: l’eterno ritorno del differente 19
3
G. DELEUZE, Nietzsche et la philosophie, P.U.F., Paris 1962, trad. it. di F. Polidori, Nie-
tzsche e la filosofia, Einaudi, Torino 2002, p. 113.
4
PLATONE, Menone, 81 e4-6, cit., p. 115. Su questo punto si veda in particolare G. VLA-
STOS, Anamnesis in the “Meno”, «Dialogue», IV(1965), pp. 143-167; F. ARONADIO, Procedu-
re di verità in Platone, Bibliopolis, Napoli 2002, pp. 55-121.
20 Capitolo I
Nel suo testo su Proust, Marcel Proust et les signes, Deleuze oppo-
ne l’apprendistato messo in opera dallo scrittore all’immagine dogma-
tica del pensiero istituita da Platone, vedendo nella parola costringere
il Leitmotiv della sua scrittura. Il romanzo di Proust è un grande “si-
stema” di incontri che costringono a interpretare, di espressioni e di
impressioni che costringono a pensare.
Dogma è ciò che viene imposto dal pensiero stesso al proprio av-
venire, piuttosto che dalla sua capacità d’incontro, la cui componente
fondamentale è l’esperienza del segno, perché, come Deleuze senten-
zia, «Quel che ci costringe a pensare è il segno»7.
5
Ivi, p. 133.
6
G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 216.
7
G. DELEUZE, Marcel Proust et le signes, P.U.F., Paris 1964, trad. it. di C. Lusignoli e D.
De Agostini, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 2001, p. 90. Sulla lettura di Deleuze di
Deleuze: l’eterno ritorno del differente 21
Proust si vedano F. SOSSI, Filosofia di Proust, Unicopli, Milano 1988, pp. 141-144; M. CAR-
BONE, Una deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili, Quodlibet, Ma-
cerata 2004, pp. 49-175. Sul problema del segno e dell’immagine dogmatica del pensiero si
veda F. ZOURABICHVILI, Deleuze. Une philosophie de l’événement, P.U.F., Paris 1996, trad. it.
di F. Agostini, Deleuze. Una filosofia dell’evento, Ombre corte, Verona 1998, pp. 11-49.
8
Ivi, p.104.
9
Ivi, p.105.
10
Ivi, p.102.
11
G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, cit., p. 114.
22 Capitolo I
12
Cfr. G. DELEUZE, Marcel Proust e i segni, cit., pp. 101-102: «l’essenza, da parte sua,
non è più l’essenza stabile, l’idealità vista, che riunisce il mondo in un tutto, e vi introduce la
giusta misura. L’essenza secondo Proust […] non è solo la visione di qualcosa, ma una specie
di punto di vista superiore. Punto di vista irriducibile, che significa contemporaneamente la
nascita del mondo e il carattere originale di un mondo».
13
G. DELEUZE, Lezione del 21 marzo 1978, in www.webdeleuze.com , trad. it. di S. Pa-
lazzo, Fuori dai cardini del tempo, Mimesis, Milano 2005, p. 76.
Deleuze: l’eterno ritorno del differente 23
14
G. DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, cit., p. 6.
15
M. FOUCAULT, Theatrum philosophicum, «Critique», 282, novembre 1970, ora in M.
FOUCAULT, Dits et écrits, Gallimard, Paris 1994, tr. it. di F. Polidori, Theatrum philosophi-
cum, «aut aut», 277-278, 1997, p. 56.
16
G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, cit., pp. 83-84: «[…] la divisione platonica non
si propone affatto di determinare le specie di un genere, o piuttosto se lo propone, ma in modo
superficiale e persino ironico, per meglio nascondere sotto codesta maschera il vero segreto.
La divisione non è il contrario di una “generalizzazione” né è una specificazione. Non si tratta
affatto di un metodo di specificazione, ma di selezione. Non si tratta di dividere un genere de-
terminato in specie definite, ma di dividere una specie confusa in discendenze pure, o di sele-
zionare una discendenza pura a partire da un materiale che non lo è. […] Anche se indivisibile
e infima, la specie di Aristotele resta pur sempre una grossa specie. La divisione platonica o-
pera in tutt’altro campo, in quello delle piccole specie o delle discendenze. […] Il senso e lo
scopo del metodo di divisione è la selezione dei rivali, la prova dei pretendenti […] (come
chiaramente appare nei due esempi principali di Platone: nel Politico, ove il politico è definito
come colui che sa “pascere gli uomini”, ma sopravvengono in molti, commercianti, contadini,
formai, ginnasti, medici, a dire: il vero pastore degli uomini sono io! E nel Fedro, ove si tratta
24 Capitolo I
di stabilire il buon delirio e il vero amante, e ove molti pretendenti affermano di essere gli
amanti, l’amore!».
17
Cfr. ivi, p. 86: « Se è vero infatti che il mito e la dialettica sono due forze distinte nel
platonismo in generale, questa distinzione cessa di avere valore nel momento in cui la dialetti-
ca scopre nella divisione il suo vero metodo. È la divisione che supera la dualità e integra il
mito nella dialettica. La struttura del mito che appare chiaramente in Platone, è il circolo, con
le sue due funzioni dinamiche, del girare e del tornare, del distribuire o ripartire – la riparti-
zione delle parti spetta alla ruota che gira come la metempsicosi spetta all’eterno ritorno. Qui
non ci interessano le ragioni per cui Platone non è davvero un protagonista dell’eterno ritorno.
Nondimeno resta il fatto che il mito, nel Fedro come nel Politico o altrove, costituisce il mo-
dello di una circolazione parziale, in cui appare un fondamento atto a fare la differenza, vale a
dire a misurare ruoli e pretese. Tale fondamento si trova determinato nel Fedro sotto la forma
delle Idee, così come sono contemplate dalle anime che circolano al di sopra della volta cele-
ste; nel Politico, sotto la forma del Dio-pastore che presiede di persona al movimento circola-
re dell’universo. Centro o motore del circolo, il fondamento è istituito nel mito come principio
di una prova o di una selezione, che conferisce tutto il suo senso al metodo della divisione fis-
sando i gradi di una partecipazione elettiva».
Deleuze: l’eterno ritorno del differente 25
Ciò che Deleuze evidenzia nel testo platonico è il brulichio dei si-
mulacri, delle copie delle copie, ossia delle ripetizioni differenti, in cui
la loro differenza non si oppone ad un modello, né alla sua perfetta i-
mitazione, ma manifesta la loro inadeguatezza. “Far risalire i simula-
cri” è il motto di un rovesciamento del platonismo altro da quello che
Heidegger attribuiva a Nietzsche, consistente non solo nel sovverti-
mento gerarchico fra “soprasensibile” e “sensibile”, ma in un’assolu-
tizzazione del sensibile20. Il phantasma, il simulacro, invece è la no-
zione chiave per il rovesciamento deleuziano, che ha certo alla base
un’altra lettura di Nietzsche.
Simulacro è tutto ciò che intacca il rapporto modello-copia: l’arte,
la poesia, la scrittura, il sofista vengono visti come perversioni, lonta-
ni talmente dal modello, dall’invocare altri modelli, magari alternati-
vi21.
La poesia è lontana dalla verità perché dice spesso cose che non e-
sistono. Un poeta può dire “Teeteto vola” quando Teeteto sta seduto.
Ma è qui che si nasconde l’abisso: la poesia avanzerebbe un altro sen-
so della parola, un altro impiego del discorso, diverso da quello della
constatazione. Farebbe divenire la parola espressiva o emozionale,
mostrando così tutta l’inadeguatezza del modello del discorso platoni-
co fondato sulla referenzialità, sulla rappresentazione, non
sull’incontro con l’insolito.
L’ empirismo trascendentale
22
Cfr. G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, cit., p.93. Sul trascendentale in Deleuze si
veda l’interessante saggio G. LEBRUN, Le trascendental et son image, in E. ALLIEZ (a cura di),
Gilles Deleuze. Une vie philosophique, Insitut Synthélabo pour le progrés de la connaissance,
Le Plessis-Robinson 1998, pp. 265-275. Sull’empirismo trascendentale si veda in particolare
B. BAUGH, Trascendental empiricism, «Man and the world», 25, 1992; J. -C. MARTIN, Varia-
tions. La philosophie de Gilles Deleuze, Payot, Paris 1993, pp. 29-49 ; C. DI MARCO, Deleuze
e il pensiero nomade, FrancoAngeli, Milano 1995, pp. 102-112; U. FADINI, Deleuze plurale,
Pendragon, Bologna 1998, pp. 47-58; C. IMBERT, Empirisme, ligne de fuite, «Magazine Litté-
raire», 406, 2002.
28 Capitolo I
23
Cfr. su questo punto le critiche a Husserl e a Sartre in Logica del senso, cit., serie XIV e
XV. Per un’analisi dettagliata del confronto tra Deleuze e la Fenomenologia si veda K. ROSSI,
L’estetica di Gilles Deleuze. Bergsonismo e fenomenologia a confronto, Pendragon, Bologna
2005, in particolare il capitolo 1.
24
Ivi, p. 98.
25
Cfr. G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, cit., p. 79.
Deleuze: l’eterno ritorno del differente 29
Proust oppone ovunque il mondo dei segni e dei sintomi al mondo degli
attributi, il mondo del pathos a quello del logos, il mondo dei geroglifici e
degli ideogrammi al mondo dell’espressione analitica, della scrittura fonetica
e del pensiero razionale. Egli rifiuta costantemente i grandi temi ereditati dai
Greci: il philos, la sophia, il dialogo, il logos, la phoné29.
29
Ivi, p. 100.
30
Così scrive Deleuze a proposito della disciplina platonica: «Platone ci offre
un’immagine del pensiero sotto il segno degli incontri e delle violenze. In un testo della Re-
pubblica, Platone distingue nel mondo due specie di cose: quelle che lasciano inattivo il pen-
siero, o gli danno solo il pretesto di una parvenza di attività; e quelle che fanno pensare, che
costringono a pensare. Le prime sono gli oggetti della ricognizione; su questi oggetti, si eser-
citano tutte le facoltà, ma in esercizio contingente, che ci fa dire «è un dito», è una mela, è una
casa…, ecc. Altre cose, invece, ci costringono a pensare: non più oggetti riconoscibili, ma co-
se che fanno violenza, segni incontrati. […] Il segno sensibile ci fa violenza: mobilita la me-
moria, mette l’anima in moto; ma, a sua volta, l’anima smuove il pensiero, gli trasmette la co-
strizione della sensibilità, lo costringe a pensare l’essenza come la sola cosa che deve essere
pensata. Ed ecco le facoltà entrare in un esercizio trascendente, dove ognuna affronta e rag-
giunge il proprio limite: la sensibilità che afferra il segno; l’anima, la memoria che lo interpre-
ta; il pensiero, costretto a pensare l’essenza. […] Ma il demone socratico, l’ironia, sta nel pre-
vedere gli incontri. In Socrate, l’intelligenza ancora li precede; provocandoli, suscitandoli, or-
ganizzandoli». (G. Deleuze, Marcel Proust e i segni, cit., p. 93. Su questo punto si veda an-
che Differenza e ripetizione, cit., pp. 182-183).
30
Cfr. ivi, pp. 6-7; 23; 17: «Qualcuno invocherà il platonismo di Proust: apprendere è an-
cora ricordare. Ma per quanto importante sia la sua funzione, la memoria interviene solo come
mezzo di un apprendistato che la sorpassa sia negli scopi che nei principi. La Ricerca è rivolta
verso il futuro, e non verso il passato. Apprendere è cosa che concerne essenzialmente i segni.
Questi sono appunto oggetto di un apprendimento temporale, non di un sapere astratto. Ap-
prendere significa anzitutto considerare una materia, un oggetto, un essere, come se emettes-