Organizzazione e ordinamento. Il complesso delle regole o norme stabilite in una società e in media
rispettate e seguite dai consociati viene denominato un ‘ordinamento’. Nei paesi più evoluti si assiste ad
una quantità di società e quindi di ordinamenti diversi tra loro. Si tratta di ‘pluralismo giuridico’ e si dice che
questi diversi soggetti abbiano carattere ‘derivato’ quindi la loro soggettività è riconosciuta dallo Stato.
L’essenziale è che lo stato la riconosce il modo che i consociati possano agire e muoversi con l’obiettivo di
raggiungere le loro finalità.
Solo lo Stato non ha un carattere derivato, viceversa si pone come un ente ‘originario’ (deve solo a sé stesso
la sua esistenza). Lo Stato si legittima da sé.
Gli elementi dello Stato: popolo, territorio, potere sovrano. Lo Stato si configura come il più complesso
degli ordinamenti. I tre elementi principali sono:
1) Il POPOLO ovvero la collettività umana complessivamente intesa. Sono compresi non solo i soggetti
ma anche le persone giuridiche, tutti coloro a cui lo Stato riconosce l’esistenza e la titolarità di
diritti, di poteri ed anche di doveri. Il popolo è costituito dalla collettività sociale
indipendentemente dalla razza dal sesso o dalla lingua parlata.
2) TERRITORIO in quanto non può esserci uno Stato senza territorio, ad eccezione di situazioni
straordinarie come la guerra. Non si conoscono Stati privi di territorio.
3) POTERE SOVRANO, la potestà dell’impero che viene esercitata sul popolo e sul territorio. Quando si
dice che lo Stato è sovrano si afferma che si tratta di un soggetto che non riconosce nessun ente o
soggetto che sia a lui superiore e che esercita il potere massimo. Solo allo Stato si riconosce la
possibilità di costringere fisicamente i soggetti privati a seguire le leggi.
Potere sovrano e supremazia. L’esercizio del potere sovrano su un territorio implica la subordinazione dei
soggetti ad esso appartenenti. La sovranità dello Stato si dispiega via via che nelle materie ovvero nei tipi di
rapport più diversi, viene individuato ciò che lo Stato ritiene rilevante e di conseguenza regolato. Per
esercitare dei poteri non occorre soltanto avere un titolo legittimo, ma anche trovare quella rispondenza di
fatto conosciuta come ‘obbedienza media’. Quest’ultima viene assicurata dal fatto che lo Stato ha il
monopolio della forza che però non sempre è sufficiente.
Conoscenza e certezza del diritto. Coerenza e completezza possono essere visti come profili della certezza
del diritto. La completezza fa riferimento a ciò che è rilevante per lo Stato e quindi deve essere oggetto di
regolamentazione. La certezza è necessaria per i soggetti ma anche per chi governa tant’è che anche le
consuetudini devono essere accertate, ricercate e dichiarate tali. Certezza del diritto significa chiarezza su
ciò che il diritto vuole e comanda. I margini dell’incertezza sono segnati da limiti invalicabili (logici, di
onestà, di buon senso ecc.).
Diritto dello Stato e attività politica. Il diritto ha la funzione di regolare e di disciplinare l’attività politica. La
politica è ‘fonte’ del diritto perché da essa scaturisce e scorre il diritto.
Lo Stato come soggetto di diritto. Lo Stato è soggetto di diritto. Oggi tutti gli esseri umani hanno personalità
giuridica, sono soggetti di diritti e di doveri. Sono persone giuridiche gli enti ai quali lo Stato riconosce e
conferisce personalità giuridica propria secondo le regole del loro ordinamento.
Personalità unica dello Stato e nomi diversi. Lo Stato prende nomi diversi a seconda del contesto. Possiamo
ricordare la Repubblica, l’Italia, la Patria o più spesso ‘STATO’. Si tratta di un ente unitario e perpetuo che
sorpassa la caduca esistenza degli individui che lo compongono. Lo Stato opera, agisce e si esprime
attraverso i suoi organi e in questo modo si arriva alla teoria organica: il soggetto è lo Stato e gli organi sono
i suoi strumenti.
Stato di diritto. Sia lo Stato che tutti i cittadini devono rispettare la legge e conformarsi ad essa. Stato di
diritto vuol dire il contrario dello Stato assoluto e tutto ciò riguarda anche le grandi evoluzioni e conquiste
dell’epoca moderna che ha segnato il passaggio dai sudditi ai cittadini.
Diritto pubblico e diritto privato. Gli organi dello Stato svolgono le loro funzioni nella sfera del diritto
pubblico dove si perseguono gli interessi della collettività. Entrambi sono stati per molto tempo due rami
distinti dell’ordinamento giuridico dello Stato, il quale assume la posizione di un privato ed è soggetto di
rapporti bilaterali o plurilaterali. Il diritto privato ha per presupposto i rapporti tra persone fisiche o
giuridiche. Il compimento degli atti dipende dalla volontà individuale.
PARTE 1
CAP.1 COSTITUZIONE E POTERE COSTITUENTE.
La Costituzione: prime definizioni. È quell’insieme di norme che costituiscono il fondamento di un
ordinamento statale. Si ritiene che una Costituzione moderna sia caratterizzata da quell’insieme di norme
che costituiscono il fondamento dello Stato, stabili nel tempo, superiori rispetto alle altre norme giuridiche
(forza), che contengono principi e valori generalmente condivisi in tema di diritti fondamentali, nonché un
modello organizzativo nella distribuzione dei poteri dello Stato (sostanza).
Superiorità significa maggiore forza rispetto alle altre norme che compongono un ordinamento giuridico.
Tutte le altre norme devono rispettarla in quanto norma fondamentale dello Stato.
Valori e principi generalmente condivisi significa che le norme costituzionali esprimono principi che la gran
parte dei cittadini considerano come propri.
Modello organizzativo nella distribuzione dei poteri dello Stato significa infine che la Costituzione contiene
un modello di organizzazione del potere pubblico di vertice. Nel momento in cui la Costituzione disciplina il
potere allo stesso tempo lo limita.
L’origine della Costituzione come limite al potere: potere costituente e poteri costituiti. Le condizioni per la
nascita di una Costituzione si verificarono per la prima volta nella storia con la rivoluzione francese e la
rivoluzione americana. Furono elaborate da organismi rappresentativi ritenute titolari del potere
costituente incardinato in un unico organo (Assemblea Costituente). L’obiettivo è quello di dettare principi
condivisi e stabili. I poteri che derivano dalla Costituzione sono poteri definibili come costituiti che trovano
fondamento e legittimazione nella Costituzione. Quest’ultima è superiore rispetto alle altre norme e la
ragione della superiorità è scritta in una famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1803.
1) La Costituzione è la legge fondamentale e suprema della Nazione. Essa non è modificabile con i
mezzi ordinari. In questo ragionamento vi è l’idea della superiorità della Costituzione in quanto
conseguenza dell’esercizio del potere costituente.
2) Di conseguenza una legge che si pone in contrasto con la Costituzione è invalida quindi inferiore.
3) Qualora il giudice volesse applicare una legge in contrasto con la Costituzione non può farlo.
Secondo questo ragionamento è necessaria la giustizia costituzionale; l’ordinamento deve
prevedere un organo che abbia il potere di giudicare se una legge è contrastante con la
Costituzione.
Per potersi realizzare questi principi necessitano precondizioni storiche e sociali che consentono l’esercizio
del potere costituente.
La Costituzione nelle monarchie dualiste e nel primo dopoguerra. Quando si parla di Costituzione dualista si
fa riferimento alla restaurazione perché la sovranità è contrastata tra il Re e una determinata classe sociale
(solitamente la borghesia). Dato che la sovranità è contrastata tra due parti l’esercizio del potere
costituente non c’è.
Non è dalla Costituzione che deriva il potere anzi, è implicito che il potere preesiste nel Re. Ciò implica che il
potere incardinato nel Sovrano è superiore rispetto alla Costituzione stessa. Quindi si può affermare che se
il potere del Sovrano preesiste alla Costituzione, quest’ultima deriva dal Sovrano che può concederla e
revocarla. In terzo luogo le Costituzioni dell’800 non possiedono il carattere di superiorità tipico di quelle
moderne altrimenti avrebbero ostacolato lo sviluppo della vita politica. Da un sistema dualistico si passa a
un sistema ‘monistico’. In quarto luogo se la Costituzione non è superiore non può esistere un sistema di
giustizia costituzionale.
Per motivi diversi anche le Costituzioni del primo dopoguerra presentano caratteri di dualismo e di
sovranità indecisa che non consentono la stabilità necessaria perché anche se i poteri erano distribuiti in
maniera bilanciata, c’era la possibilità di un ‘supremo reggitore dello Stato’ in momenti di crisi.
Le Costituzioni contemporanee e la rigidità come trattato caratterizzante. Quelle che si affermarono dopo la
seconda guerra mondiale e dopo le dittature presentarono caratteri nuovi. Era necessario ricostruire una
società dove tutte le componenti potevano trovare una collocazione. Le Costituzioni si allungano e
diventano quasi programmi sociali. Il modello costituzionale diventa Stato pluralista in quanto
caratterizzato da una pluralità di forze politiche, di valori e di interessi. Di conseguenza scompare la lotta
per la sovranità. La Costituzione diventa garanzia del nuovo sistema sociale e del nuovo ordinamento
giuridico. Per garantirne la superiorità, le Costituzioni diventano rigide ovvero potevano essere modificate
solo con un procedimento speciale aggravato. Superiorità e rigidità sono dunque tra loro complementari; la
prima è la conseguenza dell’esercizio del potere costituente; la seconda afferisce alle regole per modificare
la Costituzione. La conseguenza effettiva delle due è la giustizia costituzionale.
Prime distinzioni di sintesi: Costituzioni flessibili e rigide, Costituzioni lunghe e brevi, formali e materiali. Le
Costituzioni possono essere flessibili o rigide. Le prime possono essere modificate attraverso legge ordinaria
senza un procedimento aggravato; le seconde prevedono un procedimento e non possono essere
modificate da legge ordinaria.
Le Costituzioni brevi (tipiche del periodo liberale ottocentesco) sono quelle composte da un numero
limitato di articoli mentre quelle lunghe (società contemporanea) ne possiedono un numero elevato e
intendono determinare un assetto organico della società.
Le Costituzioni contemporanee non si limitano a dettare norme di tipo verticale (rapporto Stato-cittadino)
ma dettano norme di tipo orizzontale (rapporti tra cittadini). Sono tutte conseguenze del modello di Stato
sociale.
Infine le Costituzioni si distinguono in formali e materiali. Sono formali quelle scritte che possono essere
modificate solo con il procedimento di revisione costituzionale. Sono materiali l’insieme dei rapporti, sociali
e politici, che stanno alla base di una Costituzione formale.
1) Sulla carta il Sovrano era titolare della gran parte dei poteri e poteva intervenire su tutti gli organi
dello Stato. Il Re nominava e revocava i ministri ma questi due poteri determinavano un rapporto
fiduciario tra questi organi.
2) Il Parlamento era composto da due Camere. Il Senato era di nomina regia, quindi nominato dal Re.
3) Anche se il potere di fare le leggi era in mano al Parlamento, il Sovrano aveva nei confronti della legge
il potere di ‘sanzione’ cioè di blocco della legge la quale non poteva entrare in vigore senza la sua
firma. Tutto ciò perché la legge doveva essere un accordo contrattuale tra Sovrano e Parlamento.
4) Il Re convocava e scioglieva il Parlamento come se fosse un organo ausiliario del Sovrano.
Per quanto riguarda le libertà la carta prevedeva poche norme. Quelle del cittadino erano trattate in soli 9
articoli.
Sappiamo che lo Statuto si basava sul principio di separazione tra Parlamento e Governo ma una prima
grande evoluzione fu proprio il fatto che questa separazione venne meno e che il rapporto di fiducia si era
trasformato in un rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento. Il primo aveva ottenuto così il doppio
appoggio del Re e del Parlamento in modo da rafforzare i propri poteri nei confronti del Sovrano. Il potere
di scioglimento anticipato si trasformò in un potere governativo. Conquistò addirittura il potere sostanziale
di nominare i membri del Senato. Dunque, lo Statuto Albertino col tempo si trasformò in una monarchia
parlamentare.
Il periodo fascista. Lo Statuto albertino fu travolto durante il periodo del fascismo che si instaurò con un
colpo di Stato legittimato dal Sovrano. Dopo la marcia su Roma il 28 ottobre 1922, il Re affidò a Mussolini,
capo del fascismo, l’incarico di primo ministro. Nel 1924 ci furono le elezioni sulla base della legge Acerbo in
base alla quale il partito che avesse ottenuto il 25% dei voti di ottenere i 2/3 dei seggi della Camera. Con la
legge 24 dicembre 1925 sulle attribuzioni del capo del Governo fu stabilito che quest’ultimo diveniva un
superiore gerarchico rispetto agli altri ministri. Poteva anche emanare atti con forza di legge e regolamenti
senza passare per il Parlamento. Quando il 9 dicembre 1928 fu costituzionalizzato il ‘Gran Consiglio del
fascismo’ l’autorità del Governo aumentò.
L’inizio della caduta del fascismo può collocarsi nella notte del 24 luglio del 1943 quando il Gran Consiglio
del fascismo votò un ordine del giorno che esautorava Mussolini. Il giorno seguente il Re fece arrestare
Mussolini e nominò il Maresciallo Badoglio primo ministro.
Il periodo transitorio. Il periodo che va dall’8 settembre del 1943 (armistizio) fino all’entrata in vigore della
Costituzione viene definito ‘transitorio’. L’Italia era divisa in due in quanto al Nord vi erano le forze
tedesche e a Sud le forze alleate. I 6 partiti politici antifascisti si erano riuniti nel CLN (Comitati di
Liberazione Nazionale) e cercavano di mantenere buoni rapporti con gli alleati tanto che nella primavera
del 1944 fu stipulato il ‘Patto di Salerno’ secondo cui il Re si sarebbe ritirato a vita privata nominando il
figlio luogotenente del Regno e l’Assemblea Costituente avrebbe deciso sia sulla forma di Stato sia sul
nuovo assetto costituzionale. Roma fu liberata il 4 giugno e il 5 il Re si ritirò come d’accordo.
Il decreto luogotenenziale nel marzo 1946 si sottrasse la scelta sulla forma di Stato all’Assemblea
Costituente per attribuirla alla volontà popolare attraverso un REFERENDUM e che la funzione legislativa
sarebbe stata esercitata dal Governo. Il referendum istituzionale avrebbe dovuto tenersi il 2 giugno del
1946. Nel maggio Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto.
L’Assemblea Costituente. l’Assemblea aveva il compito di redigere la Costituzione. Per farlo i 556 membri si
divisero in 3 sottocommissioni. Si formò la Commissione dei 75 composta proporzionalmente rispetto ai
gruppi parlamentari. La prima per i diritti e i doveri dei cittadini, la seconda per l’organizzazione
costituzionale dello Stato e la terza per i lineamenti politici ed economici. Per coordinare i lavori della prima
e della terza fu istituito un comitato composto da 18 membri. Il punto di partenza fu proprio il carattere
democratico dello Stato repubblicano con la conseguenza che la sovranità è attribuita al popolo, che non
preesiste ma deriva dalla Costituzione. La Costituzione doveva trattare i diritti della persona per poi
espandersi e trattare le associazioni, i partiti e i sindacati.
Per scegliere la forma di Governo si fece riferimento a quello della Francia che però doveva essere
modernizzato e reso più efficiente. Poi l’Italia nel dopoguerra appariva disomogenea, spaccata in due perciò
era necessario trovare un punto di partenza comune. Il 3 settembre 1946 fu votato un ordine del giorno
secondo cui occorreva un modello parlamentare con strumenti di stabilizzazione del Governo. Infine, dato
che la Costituzione doveva essere rigida in modo da garantire i diritti fondamentali e il sistema pluralistico,
fu importante introdurre la giustizia costituzionale (controllo leggi rispetto alla Costituzione).
Il congelamento della Costituzione e il suo successivo disgelo. Nel momento in cui la Costituzione entrò in
vigore il 1 gennaio del 1948, l’Assemblea Costituente si sciolse. La prima legislatura dell’Italia repubblicana
fu caratterizzata dall’ostruzionismo della maggioranza’, cioè dalla volontà della maggioranza governativa di
non rendere concretamente applicabili alcune delle norme costituzionali. La Corte Costituzionale fu istituita
nel 1956; il Consiglio superiore della magistratura nel 1958; le Regioni nel 1970; il referendum popolare nel
1970. Tuttavia nessuno aveva ancora abrogato la legislazione fascista vigente. In più il controllo di
legittimità costituzionale era attribuito ai giudici comuni. La Corte di Cassazione elaborò una distinzione tra
le norme precettive (immediatamente applicabili) e quelle programmatiche (non applicabili ma solo
programmi). Il disgelo costituzionale iniziò nel 1955 quando fu eletto Presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi. La Corte Costituzionale fu resa operativa nel giugno del 1956 e da allora venne abrogata la
legislazione fascista.
I caratteri essenziali delle norme contenute nella Costituzione. Le norme possono essere distinte in norme
ad efficacia diretta e ad efficacia indiretta. Le prime sono quelle disposizioni costituzionali in modo da poter
essere applicate senza l’interposizione del legislatore (applicabili direttamente da giudici o dalla pubblica
amministrazione). Sono norme che svolgono una doppia funzione. Operano come fonte ordinaria ma
costituiscono anche parametri di legittimità costituzionale. Svolgono una funzione invalidante. Mentre le
norme ad efficacia indiretta sono quelle che necessitano un’ulteriore attività normativa. Possono
distinguersi in:
1) Le norme ad efficacia differita, costituite da disposizioni costituzionali che rinviano, per la loro
attuazione ad un’altra fonte.
2) Le norme di principio pongono regole molto generali che possono applicarsi in un numero
indefinito di casi tanto che alcuni le definiscono ‘valori’. La funzione principale è quella di guidare il
legislatore ad applicare il principio.
3) Le norme programmatiche, ancora più generali. Prevedono un fine molto generale da raggiungere.
Pertanto presentano un’efficacia invalidante. Svolgono anche una funzione di stimolo e
moderazione politica.
Il procedimento di revisione costituzionale. La rigidità della Costituzione trova il suo punto di riferimento
nell’art. 138 che stabilisce il procedimento aggravato per modificare la Costituzione. Per l’approvazione
delle leggi di revisione occorrono:
1) due deliberazioni ad intervallo non minore di 3 mesi da parte di ciascuna Camera. L’intervallo
costituisce il periodo di riflessione. Nella seconda liberazione occorre almeno la maggioranza
assoluta (metà + 1 dei componenti della Camera) altrimenti il procedimento decade.
2) Se nella seconda votazione la legge viene approvata a maggioranza dei 2/3, il procedimento è
concluso.
3) Se viceversa nella seconda votazione si raggiunge la maggioranza assoluta ma non la maggioranza
dei 2/3, la legge viene pubblicata perché può essere richiesto, entro 3 mesi, un referendum. La
pubblicazione della legge costituisce una pubblicazione atipica.
Il referendum costituisce uno dei pochi casi di referendum approvativo il quale è proposto allo scopo di
approvare la legge di revisione costituzionale. La possibilità di richiedere il referendum costituisce un
potere che la Costituzione attribuisce alle minoranze. È il popolo che approva il progetto di riforma della
Costituzione attraverso il suo voto diretto. La maggioranza larga implica che il consenso popolare è
implicito.
I limiti logici alla revisione della Costituzione. Il punto di partenza del ragionamento è dato dalla natura del
procedimento il quale è costituito e non costituente perché presuppone la esistenza della Costituzione.
Attraverso l’esercizio del potere costituito si può modificare la Costituzione ma non sostituirla
integralmente con una nuova. Bisogna analizzare quando la modifica genera una nuova Costituzione e
quando produce un cambiamento al suo interno quindi, qual è il contenuto essenziale di una Costituzione.
Il contenuto essenziale della Costituzione ovvero i limiti impliciti alla revisione. Il contenuto essenziale è
stato individuato nei principi fondamentali della Costituzione stessa e nell’attuazione. I primi costituiscono
la parte della Costituzione che non è suscettibile di revisione in quanto contenuto essenziale e
caratterizzante la Costituzione stessa; i secondi non ne costituiscono il contenuto essenziale quindi non
possono essere oggetto di revisione.
L’art. 139 della Costituzione tra limite esplicito e limite implicito. L’articolo 139 è l’ultimo della
Costituzione italiana ed è definito come un limite esplicito secondo cui ‘la forma repubblicana non può
essere oggetto di revisione costituzionale’. La Repubblica, come forma di Stato, si basa su una serie di
principi che non possono essere modificati in quanto ad essa coessenziali. Il primo di questi è il principio
democratico rappresentativo.
Le altre leggi costituzionali. Le altre leggi costituzionali si distinguono dalle leggi di revisione della
Costituzione per la loro funzione, che in generale non è quella di modificare la Costituzione ma di integrarla,
di completarla poiché senza di essa, la Corte costituzionale non potrebbe operare.
Le norme giuridiche. Le norme giuridiche hanno le caratteristiche della esteriorità, generalità e astrattezza,
coercibilità e la previsione di una sanzione.
1) Esteriorità significa che la norma è prodotta da un soggetto esterno infatti le norme tengono conto
solo dei comportamenti esteriori dell’individuo e non delle sue intenzioni.
2) Generalità in quanto si applicano a tutti i soggetti di una comunità e non riguardano la singola
persona, né sono ammesse eccezioni personali. È generale anche perché non riguarda il singolo
individuo o il singolo rapporto.
Astrattezza perché prevede un caso teorico, ipotetico che diventa concreto solamente quando si
verificano effettivamente le condizioni da esse previste. È compito dei giudici applicare le leggi ai
casi concreti.
3) Coercibilità e sanzione in quanto deve essere rispettata obbligatoriamente e la sua inosservanza
viene punita applicando una sanzione al trasgressore.
Dalla disposizione alla norma: l’attività di interpretazione. Le disposizioni sono costituite dagli enunciati
normativi, mentre la norma giuridica è costituita dalla disposizione una volta che essa sia interpretata.
Interpretazione giudiziale e interpretazione autentica. Le disposizioni sulla legge in generale del 1942
prevedono norme sull’interpretazione della legge e sull’applicazione della legge. Secondo queste norme
l’interpretazione può essere giudiziale, quando è svolta dal giudice nel corso di un giudizio, oppure essere
autentica quindi effettuata dallo stesso organo che ha emanato la disposizione.
Leggi penali, speciali ed eccezionali. L’interpretazione analogica è esclusa per leggi penali, speciali (in
quanto farebbero eccezioni a regole generali) ed eccezionali (farebbero eccezione ad altre leggi) a causa del
principio di stretta legalità e di stretta interpretazione perché per esempio nella materia penale vige la
regola che la legge deve espressamente indicare la fattispecie che costituisce il reato e la determinazione
della pena.
Fonti del diritto: distinzioni preliminari. Negli ordinamenti giuridici le norme assumono forma diversa. Si
definiscono fonti normative tutti quegli atti o fatti attraverso i quali vengono poste norme giuridiche. Le
fonti del diritto si distinguono in:
1) Fonti di produzione, tutte quelle che contengono diritto oggettivo, norme giuridiche destinate ad
essere applicate nei confronti dei terzi.
2) Fonti sulla produzione, contengono norme per produrre altre norme; servono a porre regole per
produrre fonti di produzione. Possono essere sia fonti legislative ordinarie, sia fonti diverse da
quelle legislative.
3) Fonti di cognizione, costituiscono gli strumenti nei quali reperire le fonti del diritto: come la
Gazzetta ufficiale dello Stato italiano. Non contengono norme ma costituiscono lo strumento
operativo per individuare e conoscere le fonti.
Il pluralismo delle fonti nello Stato contemporaneo. Nelle Costituzioni contemporanee le fonti sono molte
e devono essere ordinate in maniera tale che tra di esse non vi siano contraddizioni. È necessario che ci
siano sia norme che disciplinano le funzioni nuove dello Stato nei confronti dei cittadini, sia norme che
disciplinano i rapporti tra privati. La numerosità delle fonti è conseguenza del pluralismo sociale ed
istituzionale. L’art.1 afferma che sono fonti del diritto le leggi, i regolamenti, le norme corporative, gli usi. Vi
è una scala gerarchica secondo cui al primo grado sta la legge, al secondo i regolamenti del Governo e al
terzo gli usi (consuetudini).
Come l’ordinamento ricompone ad unità un sistema pluralistico di fonti: principio di gerarchia. Secondo il
principio di coerenza del diritto, un ordinamento giuridico non può contenere al suo interno norme tra loro
contraddittorie. Il principio è che nessuna fonte può istituire altre fonti aventi forza superiore o pari alla
fonte di origine, intendendo per forza la capacità di modificare altre fonti e di resistere alla modifica.
Se la fonte inferiore ponesse norme contrastanti con quella superiore, risulterebbe illegittima. La
dichiarazione di illegittimità della norma, comporta la perdita di efficacia della norma dichiarata invalida
con effetto retroattivo. Il principio di gerarchia costituisce anche un’applicazione del principio di legalità e di
costituzionalità perché prevede necessariamente il rispetto della legge e della Costituzione.
Sintesi di alcune categorie giuridiche emerse: validità, legittimità, annullamento di una fonte. Dai due
principi descritti in precedenza derivano le regole sulla validità delle fonti. La validità è un istituto generale
del diritto che consiste nella conformità di un atto alle norme procedimentali che lo regolano. Una fonte
che risulta invalida è anche una fonte illegittima ma, dato che il concetto di illegittimità è più ampio di
quello di invalidità, una fonte valida può essere anche illegittima. Legittimità significa sia che la fonte
inferiore deve rispettare le regole procedimentali per la sua approvazione, sia che deve rispettare le regola
sostanziali contenute nella fonte superiore. Una fonte illegittima può essere annullata e attraverso un
giudice, perdere la sua efficacia.
La successione delle fonti nel tempo. Gerarchia e competenza svolgono la funzione di ricondurre ad unità
un sistema di fonti avente forza diversa. Alle fonti che hanno la stessa forza invece, non può applicarsi il
principio di gerarchia o di competenza. Esse si rinnovano applicando il principio cronologico: la fonte
successiva abroga la fonte di pari grado anteriormente posta. L’abrogazione non elimina la norma ma ne
circoscrive temporalmente l’efficacia.
1) Abrogazione espressa; è il caso più semplice. Si definisce espressa perché la fonte indica le
disposizioni abrogate al momento dell’entrata in vigore della nuova fonte.
2) Abrogazione tacita; si limita a porre delle norme il cui contenuto è incompatibile con norme
precedenti.
3) Abrogazione implicita; in quanto la nuova fonte regola l’intera maniera già regolata da una fonte
precedente;
1) Abrogazione innominata secondo cui sono abrogate tutte le disposizioni legislative incompatibili
con la presente legge;
2) Abrogazione differita che si verifica solo al momento dell’entrata in vigore di una fonte diversa.
3) Abrogazione generalizzata; grazie ad una clausola, si abrogano tutte le leggi approvate
anteriormente ad una certa data;
Il principio di irretroattività della legge. Le fonti acquistano efficacia ‘ex nunc’ (da ora) e non ‘ex tunc’ (da
allora, retroattivamente). Il principio di retroattività della legge è disciplinato nell’art. 11 delle ‘disposizioni
sulla legge in generale’. Trattandosi di una norma ordinaria questa non vincola le fonti di primo grado che
pertanto possono essere retroattive, mentre vincola le fonti di secondo grado. La Costituzione prevede il
divieto di retroattività solo per le norme penali. Essa stabilisce la retroattività della norma penale più
favorevole al reo.
Il nucleo di resistenza alla retroattività: rapporti esauriti, diritti quesiti, principio dell’affidamento. Le leggi
retroattive incontrano il limite dei rapporti esauriti (sentenze passate in giudicato, prescrizione, decadenza).
Se il rapporto non è esaurito la legge può disciplinare situazioni giuridiche già storte, rispettando tuttavia il
principio di ragionevolezza e di tutela dell’affidamento del cittadino.
Un primo effetto della centralità della legge: il principio di legalità nella sua generale accezione. Il
principio di legalità rappresenta uno dei cardini fondamentali dello Stato di diritto. Legalità significa che il
potere amministrativo è sottoposto alle leggi le quali costituiscono un vincolo alle modalità di esercizio del
potere amministrativo. Ogni atto della Pubblica amministrazione deve trovare fondamento in una norma di
legge. Inoltre il principio di legalità è da considerarsi implicito nella Costituzione.
1) Come non contrarietà alla legge degli atti emanati dalla Pubblica Amministrazione. Quest’ultima
potrà sempre emanare atti purchè non contrastino con le norme legislative;
2) Come necessità di una norma legislativa che attribuisco alla Pubblica Amministrazione il potere di
produrre norme. Legalità qui intesa in senso forte in quanto occorre sempre una legge che
attribuisca il potere di emanare norme. Si tratta di una legalità formale.
3) Come necessità di una norma legislativa che, oltre ad attribuire alla Pubblica Amministrazione il
potere di produrre norme, ne vincoli il contenuto. Qui la legalità è detta sostanziale perché la legge
limita il potere della Pubblica Amministrazione.
Le riserve di legge: garanzia dei diritti e limitazione del potere esecutivo. Con la riserva di legge la
Costituzione attribuisce la competenza a disciplinare una certa materia alla fonte legge. Quando la
Costituzione pone una riserva di legge, quella materia non può essere disciplinata da nessuna altra fonte se
non dalla legge. La ‘ratio’ nella riserva di legge consiste nell’escludere che nelle materie riservate possa
intervenire una fonte secondaria.
La riserva di legge è pertanto collegata alla garanzia dei diritti. Oggi nelle forme parlamentari moderne, il
Governo non è contrapposto al Parlamento. In questo contesto la riserva di legge tende a trasformarsi in
strumento di garanzia delle minoranze parlamentari.
Quindi il principio di preferenza della legge, il principio di legalità, la previsione di riserve di legge,
costituiscono un limite al potere del Governo e della Pubblica Amministrazione.
Riserve di legge e atti con forza di legge. Quando vi sono riserve di legge ciò non esclude che quella
materia possa essere disciplinata attraverso atti con forza di legge quali decreti legge e decreti legislativi
Riserve assolute, rinforzate, relative. Le riserve di legge, in base alle loro caratteristiche si distinguono in:
1) Riserve di legge assolute, quelle che attribuiscono solo alla legge la disciplina puntuale della materia
riservata.
2) Riserve rinforzate, quando la disciplina della materia è riservata solo alla legge che inoltre deve
rispettare vincoli dettati dalla norma costituzionale.
3) Riserve relative, quando la materia deve essere disciplinata dalla legge ma non è possibile anche un
intervento integrativo di una fonte secondaria.
Il procedimento legislativo: gli obiettivi costituzionali. Gli articoli della Costituzione che vanno dal 70 al 74
si occupano del procedimento legislativo delineando anche le possibili varianti. Le regole di dettaglio sono
stabilite nei regolamenti parlamentari, approvate da ciascuna Camera a maggioranza assoluta. Il
procedimento legislativo ha la funzione di selezionare e contrapporre interessi allo scopo di arrivare a un
atto conclusivo che sia la sintesi migliore degli interessi in gioco. La Costituzione delinea le linee
fondamentali del procedimento legislativo, stabilendo il principio del bicameralismo paritario, della parità
di armi tra Parlamento e Governo, della tutela delle minoranze.
Il procedimento è scomposto in varie fasi: la fase dell’iniziativa, la fase decisoria, la fase integrativa
dell’efficacia, la fase conoscitiva.
La fase della iniziativa. Costituisce il momento iniziale del procedimento e si sostanzia nella presentazione,
a una delle due Camere, di un disegno di legge redatto in articoli. La Costituzione ha attribuito il potere di
iniziativa al Governo; ai singoli parlamentari; a 50.000 elettori; a ciascun Consiglio regionale; al Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL)
a) L’iniziativa governativa. L’iniziativa del Governo è la più importante sia qualitativamente che
quantitativamente. È il governo che deve attuare il programma attraverso la proposta di progetti di
legge al Parlamento. Anche la proposta di un progetto di legge si articola in varie fasi. Sulla base dei
regolamenti parlamentari, il Governo ha la possibilità di incidere sulla programmazione dei lavori in
Parlamento, indicando le priorità e dando indicazioni sui progetti ai quali assegnare priorità.
b) L’iniziativa parlamentare. La Costituzione attribuisce l’iniziativa a ciascun membro delle Camere.
L’iniziativa del singolo parlamentare però è slegata dal programma di Governo e spesso connessa
con gli interessi particolari del deputato.
c) L’iniziativa popolare. Ha poche possibilità di andare avanti in un percorso parlamentare ma se è
condivisa dalla maggioranza, essa sarà fatta propria dal Governo (50.000 elettori).
d) L’iniziativa regionale. Secondo l’art.121 della Costituzione il Consiglio regionale può fare proposte di
legge alle Camere.
e) L’iniziativa del CNEL. Il CNEL costituisce il ramo più secco di tutti poiché si tratta di un organo
consultivo in maniera di economia e lavoro molto scarso.
La fase decisoria: il procedimento in sede referente o ordinario. Per approvare una legge la Costituzione
prevede 3 tipi di procedimenti:
il procedimento in sede referente o ordinario. Una volta che il progetto di legge è pervenuto al Presidente
di una delle Camere questi lo deve assegnare ad una commissione competente per materia. Dopo esser
stato assegnato, inizia la fase istruttoria che ha la funzione di predisporre un testo da sottoporre alla
Camera nel quale siano espresse le ragioni della normativa. Nella commissione si svolge prima una
discussione sulle linee generali del progetto di legge, alla quale poi segue un voto. Questa discussione può
anche concludersi con un voto di non passaggio agli articoli ovvero, la bocciatura del progetto di legge.
Quando invece un testo è approvato nella sua versione definitiva da una Camera deve essere inviata
all’altra Camera la quale deve decidere se approvarlo nuovamente o meno.
Un vincolo importante al potere decisionale del Parlamento: la copertura finanziaria delle leggi. Le leggi,
sulla base dell’art.81 della Costituzione, devono sempre indicare la copertura finanziaria, e cioè i mezzi per
fare fronte alle spese che eventualmente introducano. Questi vincoli si sono fatti negli anni sempre più
stringenti tanto che i disegni di legge di iniziativa governativa devono essere dotati di una relazione tecnica
verificata dal Ministero dell’Economia, in ordine alla quantificazione degli oneri e delle coperture.
La promulgazione. Una volta che la legge è stata approvata, è giuridicamente perfetta ma non ancora
efficace perché deve essere promulgata dal Presidente della Repubblica. La promulgazione deve avvenire
entro un mese dall’approvazione ed avviene mediante il decreto del PdR il quale ne ordina la pubblicazione
sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana. La promulgazione costituisce uno strumento di controllo
sulla legge e non la sostituzione della propria volontà a quella del Parlamento. Il rinvio alle Camere può
avvenire una sola volta.
I caratteri del rinvio presidenziale. Il Presidente può rinviare la legge una sola volta al Parlamento. Le
ragioni del rinvio sono da correlare al ruolo di garanzia del PdR nella forma di Governo parlamentare, che
esclude la possibilità di rinvii per ragioni di non condivisione del contenuto della legge. Non si tratta di un
rinvio per ragioni di merito né di legittimità in senso stretto, ma di merito costituzionale.
La pubblicazione. Una volta promulgata la legge è efficace, ma per essere applicabile deve essere
conoscibile. Quindi deve essere pubblicata e applicata decorsi 15 giorni dalla pubblicazione secondo il
principio di ‘vacatio legis’. Nel momento in cui vi è oggettiva impossibilità di conoscenza della legge, la
norma penale non deve essere applicata.
La destrutturazione della forma della legge: le leggi rinforzate. La Costituzione prevede varie ipotesi di
leggi che hanno una resistenza passiva maggiore in conseguenza di rinforzi previsti nella stessa
Costituzione. I rinforzi possono essere per procedimento, quando si prevede una intesa o un parere a
monte dell’iniziativa legislativa, o nel corso del procedimento per maggioranza, quando la Costituzione
prevede una maggioranza semplice per la sua approvazione, o per entrambi.
Perché le leggi rinforzate? Le leggi rinforzate per procedimento derivano dalla necessità di uguagliare
situazioni non eguali o dalla necessità di garantire in maniera più forte situazioni di autonomia. Le leggi
rinforzate per maggioranza sono leggi che non dovrebbero essere connesse con l’indirizzo politico.
La destrutturazione della legge per contenuto: le leggi provvedimento e le leggi a basso contenuto di
generalità e astrattezza. Le leggi provvedimento costituiscono una categoria particolare poiché non
contengono norme generali ed astratte ma hanno un contenuto concreto e specifico: provvedono
direttamente su un caso concreto e svolgono un’attività amministrativa. Le leggi provvedimento sono
autoapplicative. Alcune di esse, a causa del modesto contenuto politico sono dette ‘leggine’. Invece le leggi
a basso contenuto di generalità e astrattezza si riferiscono a categorie particolari di soggetti o a situazioni
particolari.
Il decreto legge nella normativa precostituzionale e nella Costituzione. I decreti legge esistevano anche
nello statuto Albertino ma furono codificati per la prima volta nel 1926. La Costituzione prevede che il
decreto legge sia fondato su requisiti straordinari di necessità e di urgenza, che sia convertito in legge entro
60 giorni, e che in mancanza di conversione il decreto legge decade con effetti retroattivi.
La prassi degenerativa. Negli ultimi anni il decreto legge è stato utilizzato moltissimo attraverso una
interpretazione molto larga dei requisiti di necessità e di urgenza. In caso di mancata conversione esso
veniva reiterato più volte in modo tale che non sarebbe più risultato un atto provvisorio di breve durata ma
un qualcosa di stabile.
I primi tentativi di limitare l’eccesso di decretazione di urgenza: il filtro parlamentare. Come primo
rimedio all’uso eccessivo dei vari decreti, è stata introdotta una norma nel regolamento parlamentare che
prevedeva un filtro preliminare di costituzionalità per verificare l’esistenza dei requisiti di necessità e di
urgenza. Questa previsione però non è riuscita a limitare il numero dei decreti legge.
La legge n.400 del 1988. Con la legge n.400 del 1988 sono state determinate alcune materie che non
potrebbero essere disciplinate da decreti legge. Tuttavia, la legge in questione è una legge ordinaria e
quindi i vincoli introdotti non hanno carattere costituzionale. In più, l’esclusione della decretazione di
urgenza su molte delle materie indicate era già ricavabile dai principi costituzionali. (non si può per esempio
rinnovare le disposizioni di decreti legge, regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non
convertiti, ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime).
Gli indirizzi della giurisprudenza costituzionale. La giurisprudenza costituzionale, a partire dalla fine degli
anni ’80, ha introdotto una linea più precisa sul controllo di legittimità costituzionale dei decreti legge. La
Corte costituzionale può dichiarare incostituzionale un decreto legge quando non ci sono i presupposti di
necessità e di urgenza e può dichiarare illegittima la reiterazione del decreto quando non ci sono fatti nuovi
in grado di giustificarlo. Inoltre, sulla base della giurisprudenza costituzionale, anche il Parlamento non può
introdurre emendamenti alla legge di conversione che non siano connessi con l’oggetto.
La delegazione legislativa. L’altro strumento previsto dalla Costituzione per attribuire un potere normativo
primario al Governo è la delegazione legislativa che costituisce una ‘species’ dell’istituto giuridico della
delegazione. Un soggetto, titolare di potere, attribuisce ad altri l’esercizio di quel potere circoscrivendo, la
capacità di agire. La legge di delegazione deve contenere i principi e i criteri direttivi, l’oggetto ed il tempo
entro il quale la delega deve esercitarsi.
La progressiva deformazione del modello costituzionale. Nel tempo questo modello ha subito
trasformazioni. La legge di delegazione non si limita a prevedere i principi e criteri direttivi, l’oggetto e il
tempo, ma spesso prevede norme di immediata applicazione. La determinazione dei principi e criteri
direttivi è sempre più sfumata. Spesso il Governo adotta decreti legislativi che poi vengono corretti da
ulteriori decreti.
La giurisprudenza della Corte costituzionale: il sindacato sulle c.d. norme interposte. La Corte
costituzionale può sindacare il rispetto della legge di delegazione da parte del decreto legislativo, poiché il
decreto legislativo che viola la legge di delegazione viola indirettamente anche l’art. 76 della Costituzione. Il
vizio classico è definito ‘eccesso di delega’.
I testi unici. I testi unici costituiscono raccolte di materiale normativo caratterizzato dalla omogeneità della
materia anche se prodotto in tempi diversi. Generalmente vengono approvati con decreto legislativo da
parte del Governo e possono essere distinti in:
Vi è poi il testo unico misto che ha l’obiettivo di ricomprendere in un unico contesto le disposizioni
legislative e regolamentari riguardanti materie e settori omogenei.
I poteri del Governo in caso di guerra. Il Governo in caso di Guerra ha il potere di emanare atti con forza di
legge nei limiti conferiti dal Parlamento.
Il potere regolamentare del Governo: alcune notazioni preliminari. I regolamenti governativi costituiscono
la parte piè importante delle fonti secondarie. La Costituzione prevede solo che essi vengano emanati dal
PdR, ma non stabilisce norme in relazione alla loro tipizzazione e al procedimento di approvazione.
La legge n.400 del 1988: filosofia e tipizzazione dei regolamenti. La legge n.400 del 1988 si poneva
l’obiettivo di determinare i tipi di regolamenti, ampliare il potere normativo dell’esecutivo spingendo il
Parlamento ad approvare leggi di principio, effettuare una delegificazione e tipizzare il procedimento.
L’art.17 distingue tra regolamenti governativi e regolamenti ministeriali e interministeriali. I primi sono
deliberati dal Consiglio dei ministri, i secondi da un singolo ministro. Distingue poi i regolamenti governativi
in esecutivi, integrativi attuativi, indipendenti, organizzativi, di delegificazione.
Le leggi ‘taglia leggi’ e i regolamenti ‘taglia regolamenti’: nuove frontiere dell’abrogazione. Con la legge
n.246 del 2005 conosciuta come ‘taglia leggi’, si è tentato di abrogare tutta la legislazione antecedenti al
1970. Allo scopo di alleggerire il sistema delle fonti sono state emanate queste due tipologie di leggi. Sono
fonti che introducono meccanismi di abrogazione generale (es. abrogate tutte le leggi antecedenti agli anni
1970 eccetto le indispensabili). Questo meccanismo ha generato molti dubbi di ordine giuridico e non è
riuscito a semplificare o alleggerire il sistema normativo.
Le forme di Stato vengono classificate sulla base delle relazioni di natura verticale che si instaurano tra
potere pubblico e cittadini. Le forme di Governo invece vengono classificate sulla base delle relazioni tra gli
organi costituzionali. La forma di Stato è un ‘genus’, la forma di Governo è una ‘species’.
L’ordinamento feudale: la sovranità basata sul diritto privato. L’ordinamento feudale si basava su 3
presupposti: 1) inesistenza di un potere pubblico derivante dalla sovranità; 2) esercizio delle funzioni
pubbliche come conseguenza di rapporti privatistici; 3) percorso di trasformazione che iniziò nel momento
del formarsi di un apparato burocratico.
Lo Stato assoluto: la sovranità unica e indivisibile. È possibile affermare che le caratteristiche dello Stato
assoluto sono collegate a 3 fattori: 1) la nascita del concetto di ‘sovranità’ come potere unitario, supremo e
incondizionato, che vige nelle mani del Re; 2) la concentrazione delle funzioni dello Stato (legislative,
esecutive, giudiziarie) nelle mani del sovrano; 3) la subordinazione dei cittadini al potere del sovrano e la
assenza di diritti garantiti.
Lo Stato liberale: il principio della separazione dei poteri. Le forme di Stato liberali si fondano sul principio
rappresentativo e sul principio della separazione dei poteri. La separazione dei poteri è stata teorizzata da
Montesquieu e prima da Locke e postula che, a garanzia delle libertà, i poteri dello Stato siano divisi in
potere legislativo, esecutivo e giudiziario in base alla funzione da svolgere. I poteri non solo devono essere
divisi, devono anche bilanciarsi e controllarsi a vicenda. Lo Stato liberale presenta 3 caratteristiche: 1) si
basa su una classe sociale omogenea quale la borghesia; 2) si fonda su una Costituzione concessa dal
sovrano e ispirata al principio della separazione dei poteri; 3) le Costituzioni contengono diritti di libertà e
sono garantiti dalla legge.
La crisi dello Stato liberale tra le due guerre: l’avvento degli Stati totalitari. Lo Stato totalitario presenta 3
caratteristiche: 1) esistenza di un partito unico ed eliminazione di tutte le possibili opposizioni; 2)
concentrazione nel capo del partito delle funzioni fondamentali dello Stato e di conseguenza eliminazione
della separazione dei poteri di Montesquieu; 3) identificazione tra interesse dello Stato e interesse dei
singoli, le cui libertà sono piegate all’interesse dello Stato come capo del partito. Gli Stati totalitari si
svilupparono nel periodo tra le due guerre (es. Italia/ Germania).
Lo Stato costituzionale a matrice sociale: pluralismo e crisi della sovranità. Gli Stati costituzionali a matrice
sociale presentano 3 caratteristiche: 1) esistenza di Costituzioni superiori rispetto alle leggi, contenenti non
solo le libertà negative ma anche quelle positive e i diritti sociali; 2) garanzie nei confronti della legge a
tutela delle minoranze e dei diritti sanciti in Costituzione; 3) superamento della nozione storica di sovranità
come categoria fondante il potere pubblico dato che nessun soggetto dispone a titolo esclusivo del potere
sovrano.
La distinzione tra le forme di Stato basata sul grado di decentramento dello Stato: rinvio. Le forme di
Stato possono essere distinte in relazione alla struttura, accentrata (stati che concentrano le 3 funzioni al
centro) o decentrata (funzioni attribuite a enti espressione di autonomia territoriale) dell’organizzazione del
potere.
Criteri e metodi per la classificazione delle forme di Governo. Con l’espressione ‘forma di Governo ‘ si
indicano i vari modi con cui il potere pubblico è distribuito tra gli organi di vertice dello Stato. Il modo in cui
i poteri sono esercitati dagli organi di vertice e le modalità delle loro interrelazioni sono per esempio
conseguenza della struttura sociale. La modalità di distribuzione del potere è condizionata dal sistema dei
partiti, dalle regole elettorali, dal sistema delle convenzioni costituzionali che definiscono e precisano le
relazioni tra gli organi costituzionali. L’ analisi di tutti questi elementi è fondamentale per valutare le
caratteristiche di una determinata forma di Governo.
I presupposti condizionanti: separazione dei poteri e checks and balances. Tutte le forme di Governo dello
Stato contemporaneo sono basate sul principio della separazione dei poteri. Alcune forme però ne
forniscono una interpretazione più rigida ed altre una più flessibile. Il potere legislativo ha la funzione di
approvare le leggi; il potere esecutivo di farle rispettare; il potere giudiziario consiste nell’applicare le leggi
ad una fattispecie concreta in pendenza di una lite. Brevemente il potere è la funzione, l’esistenza di una
attività imputabile a più organi che qualifica il potere in senso strutturale. Si parla di checks and balances
perché chi esercita una funzione deve controllare e bilanciare l’esercizio dell’altra. Per esempio, negli Stati
Uniti il principio è inteso in senso più rigido, mentre nelle forme di Governo europee è applicato in maniera
più flessibile. Tra gli organi costituzionali ci sono interferenze funzionali e in certi casi alcuni organi possono
esercitare funzioni che sono proprie di altri organi.
I presupposti condizionanti: sistema dei partiti e sistemi elettorali. Gli altri presupposti che vanno a
condizionare la forma di Governo sono la struttura di una società, il suo sistema dei partiti e il modello della
legge elettorale. Le società disomogenee e frammentate tendono ad esprimere un numero elevato di
partiti politici con presenza anche di partiti collocati alle ali estreme. Sono definibili multipartitismo
estremo. Al contrario, le società omogenee hanno sistemi che vengono definiti multipartitismo moderato o
anche bipartitico (come nel caso americano) dove non ci sono ali estreme ma repubblicani e democratici.
Nei sistemi bipartitici le elezioni si sostanziano in una competizione tra due forze alternative. Il leader che
vince le elezioni diviene capo del Governo. Il partito che non vince costituisce l’opposizione. Il sistema
elettorale in questo caso è sempre di tipo maggioritario.
In sistema di multipartitismo, se non vi sono ali estreme, il modello tende a trasformarsi in bipolare. (meno
stabile poiché dispone della coesione della coalizione). Per quanto riguarda il funzionamento di un sistema
multipartitismo estremo, la coalizione si forma dopo; dopo le elezioni si può formare una maggioranza ma
l’opposizione è debole. Qui il sistema elettorale è di tipo proporzionale.
Il sistema elettorale maggioritario prevede un elevato livello di selettività e uno basso di rappresentatività.
Può essere puro o a doppio turno (nessuno ha la maggioranza, si procede a un secondo turno di votazioni
tra quelli che hanno avuto una determinata percentuale e vince chi ottiene più voti). In quello
proporzionale invece si ha un’elevata rappresentatività e una bassa selettività. Si hanno tanti seggi quanti
voti. Vi sono anche le clausole di sbarramento (limitano l’accesso a chi non ha un’elevata rappresentanza-
elimina i partiti più piccoli); o premi di maggioranza (attribuire i seggi in premio alla coalizione che supera
una certa percentuale di voti).
La forma di Governo presidenziale. Nella forma di Governo presidenziale il Presidente è il Capo del
Governo (non c’è il Presidente del Consiglio dei Ministri); è eletto direttamente dal popolo; non vi è
rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento. Vi sono meccanismi di controllo reciproco tra Presidente e
Congresso (negli Stati Uniti). La forma di Governo presidenziale è una forma dualistica che tende a
contrapporre i due poteri più importanti dello Stato quali il Presidente e il Congresso. La stabilizzazione di
questa forma di Governo deriva dal sistema di bilanciamenti e controlli reciproci che spinge i poteri a
collaborare avendo i mezzi per controllarsi reciprocamente. Questa stabilità è tuttavia conseguenza anche
del sistema sociale e della struttura dei partiti.
Democrazia rappresentativa e democrazia diretta: alcune coordinate preliminari. Nei modelli organizzativi
basati sul principio della democrazia rappresentativa il popolo non partecipa direttamente al formarsi
dell’indirizzo politica. I modelli di democrazia rappresentativa si basano infatti sui partiti politici e
sull’espressione di un voto, finalizzato ad eleggere i propri rappresentanti. Gli istituti di democrazia diretta,
nelle democrazie rappresentative svolgono principalmente una funzione di controllo. In una forma di
governo parlamentare razionalizzata, il referendum costituisce uno strumento straordinario ed eccezionale
perché permette ai consociati di esprimere la volontà popolare. Nel voto popolare referendario si creano
infatti maggiorante fluttuanti, che spesso dipendono dalle capacità di mobilitazione dei partiti, dalle quali è
spesso difficile trarre indicazioni politiche.
Il referendum abrogativo nella Costituzione. La Costituzione italiana disciplina tre tipologie di referendum:
1) il referendum approvativo previsto per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali
dell’art.138; 2) il referendum consultivo in materia di Regioni e enti locali; 3) il referendum abrogativo sulle
leggi e sugli atti avente forza di legge disciplinato dall’art.75 della Costituzione.
Il referendum abrogativo svolge la funzione di abrogare, attraverso un voto popolare, una legge o un atto
avente forza di legge quando questo sia richiesto da 50.000 elettori o 5 consigli regionali. Il referendum
rappresenta uno strumento di garanzia della minoranza. Poiché si tratta di uno strumento di legislazione
negativa, ha natura eccezionali, di controllo ultimo dell’attività parlamentare da parte del popolo. Per
questo motivo l’utilizzazione elevata del referendum abrogativo costituisce sintomo di un non corretto
funzionamento degli ordinari strumenti di canalizzazione degli interessi e di conseguenza, della forma di
governo.
La Costituzione all’art.75 prevede che il referendum possa essere indetto per deliberare l’abrogazione,
totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge quando sia richiesto da 500.000 elettori o da
5 consigli regionali. Non si può proporre referendum su leggi tributarie, di bilancio ecc. Per essere valido
occorre che abbia partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e che sia stata raggiunta la
maggioranza dei voti validi.
La normativa costituzionali quindi, individua limiti di oggetto e un quorum per la validità della votazione. I
limiti di oggetto sono limitati da categorie di legge. Il quorum per la validità della votazione serve per
verificare l’esistenza di un reale interesse all’abrogazione della legge. Se al voto partecipa meno della metà
degli aventi diritto ciò significa che non vi è un interesse popolare sull’oggetto del referendum e che quindi
non può essere valido indipendentemente dal risultato raggiunto in sede di voto.
1) La prima fase è costituita dall’iniziativa per la raccolta delle firme. È attribuita ai promotori (10
cittadini che mettono in moto il meccanismo referendario mediante la presentazione alla
cancelleria della Corte di Cassazione della richiesta di referendum)
2) La seconda fase è costituita dal deposito delle firme presso la cancelleria della Corte di Cassazione,
nei 3 mesi successivi alla richiesta. La legge prevede che il deposito debba avvenire nel periodo che
va dal 1 gennaio al 30 settembre di ciascun anno.
3) La terza fase è costituita dall’accertamento della legittimità della richiesta. Viene svolto dall’Ufficio
centrale per il referendum. Deve iniziarsi il 30 settembre e concludersi il 31 ottobre con una
ordinanza.
4) La quarta fase è costituita dal giudizio di ammissibilità da parte della Corte costituzionale.
5) La quinta fase è costituita dalla indizione, a cura del PdR. Dopo aver ottenuto l’ammissibilità, il PdR
deve indire il referendum, previa deliberazione del Consiglio dei ministri con una data tra il15 aprile
e il 15 giugno.
6) La sesta fase è quella della votazione e dello scrutinio delle schede.
7) La settima fase è quella della proclamazione del risultato a cura dell’Ufficio centrale per il
referendum presso la Corte di Cassazione. Il decreto del PdR viene pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale e l’abrogazione ha effetto a decorre dalla pubblicazione.
L’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione. L’ufficio centrale per il referendum
presso la corte di cassazione svolge la funzione di verificare la correttezza della richiesta referendaria. Ha
anche la funzione di procedere all’accorpamento dei quesiti e di estinguere il procedimento allorquando la
legge oggetto di referendum sia abrogata. Se la legge è abrogata, ma non in maniera sufficiente rispetto al
fine che il quesito mirava a raggiungere, l’Ufficio centrale può trasferire sulla nuova legge.
Il giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale. La Corte costituzionale nel giudizio di ammissibilità
ha individuato ulteriori limiti oltre a quelli espressamente previsti nell’art. 75 della Costituzione. Questi
limiti sono le leggi costituzionali, di revisione della Costituzione e le leggi rinforzate, nonché le leggi
costituzionalmente vincolate. La Corte ha inoltre rilevato che il quesito deve essere omogeneo, nel senso
che non può contenere più richieste che non siano riconducibili ad una unica ratio. La abrogazione di una
legge attraverso referendum genera un vincolo per il Parlamento, nel senso che quest’ultimo non potrà
ripristinare la normativa abrogata per via referendaria.
Il diritto di petizione. La Costituzione disciplina all’art.50 anche il diritto di petizione. Tutti i cittadini
possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
CAP.2 IL PARLAMENTO
1.La forma di Governo parlamentare italiana: uno sguardo complessivo. La scelta della forma di governo
parlamentare all’interno della costituzione emerge dagli atti dell’Assemblea Costituente. Nel settembre 1946 Mortati
tenne una relazione su quale avrebbe dovuto essere la forma di Governo più adatta per l’Italia. Mortati escluse sin da
subito sia il sistema presidenziale che il sistema assemblare in quanto avrebbero aggravato la situazione. Il modello
parlamentare invece avrebbe permesso di assorbirei contrasti esistenti della società. Nonostante ciò, il vero problema
era determinare regole per rendere stabile il governo. La questione della stabilità venne affrontata il 5 settembre 1946
(ordine del giorno Perassi) nel quale si sottolineò che la forma di Governo parlamentare doveva essere razionalizzata e
corretta rispetto a quelle classiche.
Essa si basa su 3 classici organi: Parlamento, Governo e PdR ai quali si aggiunge la Corte costituzionale. i tre organi
interagiscono tra di loro.
Il parlamento, eletto direttamente, elegge a sua volta il PdR. Il PdR nomina il Presidente del Consiglio e i ministri. Il
Governo deve avere la fiducia del Parlamento. Secondo questo sistema il Parlamento si colloca al centro del sistema
degli organi costituzionali. È il primo degli organi costituzionali disciplinati dalla carta costituzionale ed al quale è
dedicato il maggior numero di articoli. Le Camere hanno potere autoorganizzativo attraverso i regolamenti
parlamentari. La manovra di bilancio è di competenza delle Camere. Il PdR appare delineato come organo finalizzato
alla garanzia delle regole o come potere neutro.
2.Il principio del bicameralismo paritario. La Costituzione italiana del 1948 ha delineato il Parlamento come un
organo bicamerale, in quanto formato da 2 Camere (dei Deputato e del Senato) con le 2 Camere dotate delle stesse
competenze secondo l’art.70 e 94. (es. tutte le leggi devono avere doppia approvazione e ottenere la fiducia del
Governo). Il parlamento è dunque un organo organizzato secondo un modello bicamerale. Quest’ultimo serve a dare
voce ad interessi diversi. Anche il Parlamento è bilanciato da 2 Camere che hanno uguali poteri. La 2 Camera opera
come ‘camera di riflessione’.
3.Il sistema elettorale di Camera e Senato. Le differenze tra Camera e Senato sono modeste. La prima riguarda il
numero dei componenti, l’elettorato attivo e passivo. Alla Camera il numero dei deputati è 630 mentre al Senato il
numero degli elettivi è 315. A questo numero si aggiungono i senatori a vita e i senatori di nomina presidenziale.
Per votare alla Camera dei Deputati è sufficiente essere maggiorenni (elettorato attivo) mentre per essere eletti
bisogna aver compiuto 25 anni (elettorato passivo); al Senato per esercitare il diritto di voto occorre aver compiuto 25
anni e per essere eletti averne compiuti 40. La componente non elettiva del Senato è composta dagli ex Presidenti
della Repubblica che sono senatori di diritto a vita. Il PdR può nominare senatori a vita5 cittadini che hanno illustrato
la patria per alti meriti nel campo sociale, artistico, letterario (art.59). Gli ex PdR rivestono una funzione super partes e
i senatori di nomina presidenziale sono scelti al di fuori della politica.
Da un punto di vista del sistema elettorale per molto tempo il sistema italiano è stato un sistema proporzionale per
entrambe le Camere. Il testo definitivo della legge elettorale per la Camera fu approvato nel dicembre 1947 ed entrò
in vigore nel gennaio 1948. Questo sistema è stato utilizzato per circa 45 anni. Nel tempo però, soprattutto dopo la
caduta del muro di Berlino, ha iniziato a produrre effetti negativi. Il modello parlamentare è divenuto a tendenza
‘consociativa’, cioè basato sul principio della codecisione e quindi eccessivamente compromissorio; andò fortemente
in crisi dopo il fenomeno che si verificò all’inizio degli anni ’90 definito come il ‘tangentopoli’ (crollò così la prima
repubblica).
A questo punto, sulla spinta del referendum elettorale, il Parlamento approvò una legge (4 agosto 1993 n.276/277)
definita ‘Mattarellum’. Venne introdotto un sistema misto definibile come maggioritario con una correzione
proporzionale: il 75% dei seggi veniva assegnato con il sistema maggioritario, il 25% con il sistema proporzionale. Il
sistema incoraggiò la formazione di coalizioni e quindi una competizione di tipo bipolare. La conflittualità all’interno
delle coalizioni rendeva i governi sempre più instabili così che nel 2005 (21 dicembre) venne proposta e approvata una
nuova legge elettorale, di natura proporzionale Porcellum. Le liste che si presentavano da sole dovevano ottenere
almeno il 4% dei voti per accedere al riparto, quelle che si presentavano in coalizione almeno il 10%. Il sistema
presentava 2 criticità: il premio di maggioranza era staccato da qualunque soglia minima che la lista o la coalizione di
liste dovesse raggiungere. Successivamente questa legge fu dichiarata parzialmente incostituzionale con la sentenza
n.1 del 2014. Fu approvata una nuova legge per le elezioni della sola Camera, la legge 6 maggio 2015 n.52 denominata
‘Italicum’. Si trattava di un modello maggioritario a doppio turno. Se una lista raggiungeva il 40% dei voti, scattava il
premio di maggioranza altrimenti vi era un ballottaggio tra le due liste più votate. Anche questa legge è stata
dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Corte costituzionale nel 2017. Infine, è stata approvata la legge n.165
del 2017 proposta dal relatore Rosati tanto che venne denominata ‘Rosellatum’. La nuova legge elettorale è una legge
proporzionale con una correzione in senso maggioritario.
Nelle linee generali la nuova legge, uguale per Camera e Senato, si basa sui seguenti punti:
1) Il 38,6% dei seggi è assegnato attraverso il sistema maggioritario. 232 seggi alla Camera sono assegnati con il
sistema uninominale, 386 nei collegi plurinominali e 12 nella circoscrizione estero. Al Senato