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Storia delle Dottrine Politiche

CAPITOLO 1. la civiltà greca e la politica

1.1 La civiltà greca e la politica


La civiltà greca ha espresso la dimensione del politico, ne ha indicato gli ideali e valori.
Il greco avverte che ciò che lo differenzia da altre popolazioni e da altri gruppi etnici e lo fa
superiore è la dimensione politica della sua vita.
Politica corrisponde al neutro plurale dell’aggettivo politikos e significa le cose che riguardano la
polis, città, cioè comunità umana autosufficiente. Sempre da polis deriva politeia (che in italiano è
costituzione) che in greco comprende non solo il complesso delle istituzioni politiche ma anche
altre istituzioni mediante cui si realizza la vita nella polis, con riferimento al costume, alle
consuetudini, alla morale, alla religione e al sistema educativo. Politeia significa modo di essere
della polis considerata come un tutto organico. La politica è intesa come la forma più alta di
educazione dell’uomo, una pedagogia. La polis deve formare l’individuo per renderlo capace di
vivere la vita politica.
La politica deve completarsi nel pensiero, nella comprensione razionale della polis. La politica
implica nella concezione greca il primato del logos che significa parola e ragione. La parola che
riesce ad esprimere i nostri sentimenti e sensazioni si essenzializza quando scopre la sua intima
connessione con la ragione, e quindi con il discorso, e infine con l’argomentazione logica e
scientifica. La parola è la manifestazione del logos in quanto ragione. La parola fonda il rapporto
essenziale tra il noi e l’io. È la parola in quanto lingua che consente agli uomini e alla collettività di
riconoscersi.
Il pensiero politico greco ha avvertito l’essenziale rapporto che sussiste tra la lingua e le prime
forme di aggregazione umana. Aristotele indica queste forme con Koinonìa, comunità, ciò che è in
comune.
La caratteristica fondamentale della polis consiste nell’essere una comunità che si estende su un
territorio ristretto i cui fini potevano essere percorsi in una giornata dall’uomo.
La polis storica è il risultato di un lungo processo storico che si conclude nel VII sec: nell’età
omerica la polis è costituita da una pluralità di villaggi che gravitano intorno alla grande casa,
castello del re dei re. La comunità omerica ha un organizzazione politica fondata sul ghenos,
gruppo di più famiglie che vanta un comune progenitore. Il capo del gruppo gentilizio è riconosciuto
come re, indice che il ghenos è una vera e propria entità politica. L’alleanza di più gruppi gentilizi
costituisce la polis omerica. Il re dei re è sempre assistito dal consiglio degli altri re: il suo potere
ha carattere sacrale in quanto interprete dei voleri della divinità: la religione è il vincolo originario
sul quale si fonda la polis. Ogni comunità greca è nello stesso tempo una comunità religiosa. Le
leggi sono tutte di origine divina; i responsi, gli oracoli della divinità, esprimono la volontà di Giove,
il primo degli dei, il quale si manifesta mediante i segni che sono interpretati dai sacerdoti. La
giustizia è concepita come Themis, figlia di Giove, e le norme che esprimono la regola del giusto
vengono dette Themistes, esse hanno un carattere sacro e sono eterne, immutabili. Solo gli
individui appartenenti al Ghenos godono di uno status politico e giuridico che si fonda sulla
protezione del gruppo gentilizio. Gli altri sono mercanti, artigiani e contadini la cui esistenza è
sottomessa ai gruppi gentilizi.
Il re è assistito nel governo della polis dal consiglio, costituito dai gheronti, gli anziani, con i quali
concorda le decisioni più importanti, che debbono essere comunicati al popolo, al demos, cioè alla
massa dei liberi che non appartiene alle famiglie aristocratiche. La terza istituzione politica nella
polis è l’assemblea nella quale parlano solo i nobili. Il popolo ha il diritto di manifestare il suo
consenso/dissenso.

1.2 La polis omerica


La polis omerica ha una struttura aristocratico-gentilizia: è basata su un rigido patriarcalismo che
esclude la massa del popolo da ogni forma di tutela giuridica, da ogni diritto politico, tranne quello
di partecipare all’assemblea. Con la prima riforma della costituzione aristocratico-gentilizia fu
estesa la garanzia delle leggi anche a chi non apparteneva al gruppo gentilizio con la redazione
delle leggi scritte. La legge cessò di essere monopolio del ghenos e divenne atto pubblico della
polis che garantiva tutti i membri della comunità. Leggi e la giustizia furono sottratte al ghenos e
divennero di esclusiva competenza della polis. I reati persero il carattere sacrale e furono
considerati sulla base delle leggi. Si afferma così il principio e il valore del nomos, cioè della legge
fatta dal legislatore della polis, di contro alle themistes, le leggi dettate dagli dei. Le nuove
esigenze militari impongono la formazione di un esercito che sia costituito non solo da cavalieri
(aristocrazia) ma anche da fanti dotati di armatura provenienti da altre classi, il cui reddito
consente di acquistare armi. I diritti politici vengono riconosciuti a coloro che fanno parte
dell’esercito: tale riforma dà vita al cosiddetto stato politico.
Alla fine del VI secolo due comunità rappresentano il modello ai quali si ispireranno i legislatori ed i
teorici politici dei secoli seguenti: Sparta ed Atene. La prima rimane fedele agli ideali dell’antica
costituzione aristocratico-gentilizia fondata sul rispetto delle tradizioni patrie, sull’ideale dedicata in
tutto e per tutto alla polis; assume le caratteristiche di un ghenos. La polis comprende 2 gruppi
etnici: gli spartiati e gli iloti, che erano stati assoggettati e vengono mantenuti in stato di servitù
della gleba. Lo spartiate deve essere educato e vivere per la polis. Con una rigida disciplina si crea
un guerriero capace di sacrificare la propria vita per la polis. Nulla è concesso alla vita privata dello
spartiate: non deve preoccuparsi del suo sostentamento perché gli iloti lavorano per lui; la sua
quota di proprietà gli viene assegnata dalla comunità; non può svolgere attività artigianali o
commerciali; anche se ha una famiglia deve passare la maggior parte del tempo con i suoi
commilitoni. Sino a 60 anni ha l’obbligo del servizio militare e pasti in comune.
Il potere sovrano spettava all’assemblea (apella) alla quale partecipavano tutti i cittadini che
facevano parte dell’esercito. Essa eleggeva i magistrati e prendeva le decisioni più importanti. Il
comando dell’esercito era affidato ai re che dovevano provenire da famiglie aristocratiche mentre il
governo era tenuto dal consiglio degli anziani, la Gherusìa, eletto dall’apella tra i cittadini che
avevano terminato il servizio militare con più di 60 anni. Poiché l’assemblea si riuniva una volta al
mese, la normale azione di governo era affidata a 5 efori che dovevano sorvegliare i magistrati,
compreso il re, che potevano essere arrestati e processati su giudizio degli efori.
Queste le linee essenziali della costituzione spartana attribuite a Licurgo.

1.3 Atene nell'epoca classica


Ad Atene la dinamica della vita economica è più articolata: finisce per contrapporre l’aristocrazia al
popolo. La ricchezza è concentrata nella classe aristocratica detentrice di vaste proprietà. Lo stato
di guerra in cui si trovano le città-stato l’una contro l’altra armata accentua questo fenomeno con
un progressivo indebitamento degli artigiani e contadini i cui campi finiscono per passare agli
aristocratici mentre i proprietari diventano servi.
Dai conflitti nati da questa situazione nasce la prima riforma della costituzione aristocratica di
Atene: fu promossa da Solone nella seconda metà del V secolo. Libera il popolo e vieta i prestiti in
cambio della libertà personale, stabilisce leggi e taglia i debiti pubblici e privati. C’erano 4 classi
distinte per censo:
1. pentacosiomedimmi
2. i cavalieri
3. gli zeugiti
4. i teti
le classi più ricche erano rappresentate da chi possedeva un reddito di 500 misure di prodotti solidi
o liquidi, quella media da 300, poi dai contadini che avevano una coppia di buoi per lavorare la
terra e infine dai lavoratori liberi che non potevano comprarsi le armi.
Le cariche pubbliche erano attribuite alle prime due classi. Ai teti era garantita la partecipazione
all’assemblea e la possibilità di essere eletti in tribunale.
Ne “le opere e i giorni” esiodo aveva proclamato il valore centrale della giustizia, dike, quale divina
potenza tutrice che difende i diritti degli oppressi e dei deboli contro la sopraffazione, la Hybris dei
potenti: la prosperità della polis dipendeva dal rispetto della giustizia mentre la sua violazione
avrebbe portato lutti e rovine alla città come conseguenza della punizione divina.
La punizione non data tanto dalle pene previste dal legislatore che possono essere facilmente
eluse da parte dei ricchi e potenti ma le conseguenze negative cadranno sull’intera città
coinvolgendo tutti con l’avvertenza che chi più ha, ha più da perdere. Le lotte sociali rendono
sempre più grave la miseria del popolo e sono la conseguenza della violazione della giustizia e del
diritto. Solone è convinto che la giustizia, eunomia, punisce sempre chi l’ha violata. Il corso degli
avvenimenti umani è regolato da una legge di compensazione per cui a coloro che hanno avuto
troppo verrà tolto il più, che sarà dato a quanti hanno avuto meno. Il problema della giustizia si
risolve per Solone nella consapevolezza che esiste una misura che fissa ciò che è dovuto ad ogni
membro della polis e che indica nel contempo i limiti di tutte le cose. La misura e il limite sono i
principi essenziali a cui deve continuamente ispirarsi l’eunomia e sui quali si basa l’organizzazione
politica della comunità. La politica si riduce alla consapevolezza di questa ideale misura. È sulla
base di questo principio che Solone limita la potenza dell’aristocrazia e dei ricchi, libera i campi dei
contadini dagli alti interessi e vieta che la libertà personale del povero possa essere soppressa
dalla ricchezza. Conferisce alle classi meno abbienti tanto potere da impedire sopraffazioni
dell’aristocrazia e dispone la costituzione in modo le la proprietà sia garantita e gli aristocratici non
siano distrutti dalla hybris (lo spirito e la volonta della sopraffazione che rompe l’equilibrio della
distribuzione dei beni materiali e morali e la eunomia)

1.4 Riforme di Solone


Le riforme di Solone avevano sancito garanzie per le ultime due classi, gli zeugiti e i teti, ma non
avevano intaccato la sostanza del potere dei gruppi gentilizi che volevano monopolizzare il
governo della città: le tensioni e i conflitti sociali continuarono a caratterizzare la vita politica di
Atene. Il tentativo di dare una soluzione a queste lotte fu rappresentato dalla tirannide. Il tiranno
assume il significato di capo di un partito e di una grande famiglia aristocratica che conquistava il
potere a seguito di una rivolta promossa e sostenuta dalle classi meno abbienti. La politica dei
tiranni fu caratterizzata da provvedimenti per migliorare le condizioni delle classi più umili.
Pisistrato promosse una profonda trasformazione sociale all’interno della polis. Esaurito il loro
programma i tiranni scomparvero dalla scena politica greca e furono sostituiti dalle aristocrazie.
Le riforme di Solone furono la premessa per l’istituzione della democrazia. Fu introdotta ad Atene
con le riforme di Clistene: fu spezzata dal punto di vista politico la struttura gentilizia della società
ateniese ponendo al posto del ghenos, il demos, cioè la minima ripartizione territoriale in cui venne
suddiviso il territorio. Sul demos fu organizzato l’ordinamento politico con una rigorosa
applicazione dl sistema decimale. La popolazione ateniese fu divisa in 10 tribù che costituivano
una ripartizione di carattere amministrativo, comprendenti ciascuna 10 demi. Il territorio fu diviso in
3 parti: la città, la costa e l’interno e ciascuna parte in 10 distretti che furono attribuiti per sorteggio
alle tribù. Il consiglio, Bulé fu costituito da 500 membri, 50 per ciascuna tribù, e suddiviso in 10
sezioni, ognuna delle quali costituiva a turno il governo, per una decima parte dell’anno. L’esercito
fu diviso in 10 reggimenti, una per ogni tribù.
Questo sistema garantiva la partecipazione di tutti i cittadini all’amministrazione della cosa
pubblica. Tutti i poteri furono concentrati nell’assemblea generale, Ecclesìa, cui competevano le
relazione esterne, il potere legislativo, potere giudiziario, controllo del potere esecutivo. Questo
sistema viene nominato più che democrazia, isonomia, uguaglianza dinnanzi alla legge e isigora,
uguaglianza nella libertà di parola.

1.5 Guerra persiana e sentimento di libertà delle poleis greche


Fu la guerra persiana che oppose le poleis al grande impero, a dare coscienza della Grecia del
valore essenziale sul quale si basa il suo mondo politico: la libertà, il sentimento della personale
partecipazione alla vita della polis. A Sparta questo sentimento porta l’individuo a identificarsi con il
kosmos, a realizzarsi in tutto e per tutto secondo le minute prescrizioni della comunità, nella
consapevole accettazione di una disciplina che lo fa libero di quella stessa libertà di cui gode la
comunità. Se la libertà di Sparta è la consapevole partecipazione alla vita della polis sino a
identificarsi con essa, la libertà ad Atene, propria della democrazia, è l possibilità che ha l’individuo
di realizzare la sua vita secondo quanto ritiene più giusto ed opportuno, è la libera espressione
della propria personalità, senza che la polis intervenga come a Sparta, a disciplinarla.

CAPITOLO 2. Il problema della politica: Socrate

2.1 Socrate: la critica alla politica


Il dibattito tra Socrate e i sofisti è la premessa di una concezione sistematica della politica, di una
teoria della politeia quale ci viene proposta nell’opera di Platone: l’indagine socratica era
essenzialmente problematica, rivolta a risolvere criticamente le apparenti o false conoscenze, le
conclusioni ben argomentate, come quella dei Sofisti che della questione esaminata offrivano una
soluzione apparentemente esauriente.
La critica socratica si concentra sull’aspetto etico-politico dell’insegnamento dei sofisti sulla nuova
paideia quale viene proposta dalla sofistica e si sofferma sui rapporti che intercorrono tra virtù in
quanto essenziale modo d’essere del cittadino e la politica in cui si esprime la parte più importante
dell’insegnamento dei sofisti. Con le sue indagini e le sue domande Socrate richiama il suo
interlocutore alla costatazione che il problema delle virtù ci rinvia a quello della conoscenza cioè ad
una scienza dei beni e dei mali che consente all’uomo di operare per conseguire i primi ed evitare i
secondi. Questa conoscenza non può essere conseguita con l’educazione proposta dai sofisti che
da all’allievo una vasta informazione per i cittadini che aspirano a governare, per potere sostenere
tesi davanti all’assemblea e i consigli per convincere. Alla cultura enciclopedica Socrate
contrappone il sapere specifico del competente, che deve essere ricercato. Poichè il fine
dell’educazione è la virtù si tratta di ricercare cos’è la virtù e in che cosa consistano le singole virtù
(fortezza temperanza religiosità e giustizia).
Dobbiamo acquisire la consapevolezza di ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. La nuova
educazione per corrispondere alle esigenze di riforma e riordinamento della polis richiama una
conoscenza approfondita in cui il cittadino riscopra il sentimento etico-religioso. La polis deve
essere governata dal sapere competente e quindi da competenti.
La politica deve essere una forma di conoscenza che si fonda su un metodo di indagine e ricerca
critico-razionale. La politica non può essere ridotta a retorica, non può disinteressarsi dei valori
supremi del bene e del male. La politica deve essere concepita come una forma di conoscenza ma
come arte regale che sovrintende non solo l’arte militare ma tutte le altre arti particolari che
attengono all’amministrazione e organizzazione della polis.

2.2 Dialogo tra Protagora e Socrate


I rapporti tra l’insegnamento dei sofisti, la politica e l’ideale socratico di virtù sono riproposti in un
dialogo in cui Platone riferisce la discussione svoltasi tra Protagora e Socrate. Socrate si dichiara
scettico sul fatto che l’arte politica possa essere insegnata. Dice che i nostri migliori uomini politici
non riuscirono a trasmettere la loro virtù politica ai figli.
L’affermazione di Socrate che la virtù è conoscenza implica che il fondamento del potere, la
legittimazione del comando come dell’ordine politico risiedono nel sapere. La politica non può
sottrarsi ad una indagine razionale dei suoi fini. I sofisti nel Gorgia discutono con Socrate
sull’essenza della politica. Gorgia aveva esaltato la competenza della parola in quanto dominatrice
degli affetti, delle passioni, in grado di determinare quelle convinzioni e quell’assenso che
consentono al politico di esercitare il potere. Per lui il potere non è altro che il potere della parola.
Gorgia poi tiene a precisare che la retorica ha un valore strumentale, un’abilità come quella che si
procurano gli atleti, che può essere bene o male usata, senza che si possa attribuire la
responsabilità alla stessa retorica o a chi l’ha insegnata. Ma secondo Socrate proprio in questa
affermazione si nasconde una radicale contraddizione: la retorica si distingue dalle altre discipline
che si svolgono mediante la parola perché la sue argomentazioni si riferiscono sempre al criterio
del giusto e dell’ingiusto, del buono e del cattivo, ma essa non è in grado di pervenire al sapere,
alla scienza, ma solo all’opinione, non a ciò che è ma a ciò che sembra. Quindi il retore non parla
di ciò che sa ma di ciò che crede di sapere. Non è quindi possibile far buono o cattivo uso della
retorica se il retore ignora che cosa sia il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. La retorica è l’arte
dell’adulazione, la politica è l’arte rivolta allo spirito. Anche nella politica devono distinguersi due
specie minori, l’arte legislativa e la giustizia. La retorica non è altro che un travestimento dell’arte
politica.
Polo non è convinto e chiede a Socrate come possiamo esprimere un giudizio negativo sulla
retorica se essa conferisce a chi la sa usare il potere, cioè la possibilità di appagare qualsiasi
nostro desiderio. Dice che è il potere che rende veramente felici gli uomini. Socrate dice che è
u’apparente felicità che nasconde la più grande sventura che possa capitare all’uomo: vivere nel
male e trascinare gli altri nel male.
Poi interviene Callicle che ripropone la distinzione tra natura e legge: il problema della politica deve
essere affrontato alla luce di questa distinzione, tra ciò che è giusto secondo natura e ciò che è
giusto secondo le leggi. Queste sono fatte dalla moltitudine costituita da pavidi, deboli, da quanti
sono incapaci di compiere grandi azioni per difendersi dai pochi, i forti, in grado di affermare la
propria supremazia e di dominare i molti. La legge condanna, dichiarando ingiuste le azioni con cui
i forti si impadroniscono del potere. La natura invece dimostra che solo i migliori, cioè i capaci, gli
intraprendenti, i forti, riescono sempre a dominare. Questa legge di natura si manifesta nei rapporti
tra gli stati dove la forza è l’unica fonte e la sola legittimazione dei diritti che rivendicano nei
confronti delle altre collettività politiche. La politica sancisce la supremazia e il dominio del più forte
che per legge di natura deve comandare la massa. Socrate non approva la riduzione della politica
al potere. Egli dimostra la contradditorietà della tesi sostenuta da Callicle. Basta rilevare che la
legge umana, proprio perché fatta dalla moltitudine che è certamente di gran lunga più forte dei
pochi o dell’uno, è una legge di natura e quindi esprime principi e valori giusti. La tesi di Callicle
serve a dimostrare esattamente il contrario delle sue affermazioni.
Callicle precisa che la vera essenza della politica si esprime nella volontà di potenza e nell’etica
del superuomo: solo chi è capace di immense passioni è in grado di darsi un carattere deciso e
valoroso in modo da poter dare piena soddisfazione alle sue brame. Questa capacità di vivere al
livello delle forze primigenie è riservata solo a nature eccezionali alle quali non può essere posto il
limite della morale degli uomini comuni che è quella dei deboli, di chi vuole nascondere la sua
impotenza e cerca di rendere servili le più vigorose nature. Socrate dice che la volontà di potenza
e l’etica del superuomo procurano un bene illusorio perché finiscono con identificare il bene con il
piacere. Se seguiamo l’istinto del piacere esso si tramuta a poco a poco in un male. Il bene
rappresenta il criterio oggettivo in base al quale l’anima può evitare il male oppure sopportando la
giusta pena riscattarsi dal male. L’esistenza del bene nella sua oggettività consente all’uomo di
diventare consapevole di ciò che fa, così che sia in grado di indirizzare le sue azioni alla giustizia e
alla temperanza: solo così diventa amico del suo simile e di Dio.
Il Gorgia si conclude con una critica radicale della politica ateniese seguita nel corso della guerra
del Peloponneso.

2.3 Obiettivi di Socrate. Il Critone


La missione di Socrate era di rendere i propri cittadini consapevoli della gravità e della ragione
della crisi in modo da sollecitare in essi un profondo rinnovamento morale che costituisse il vero
titolo di legittimità delle leggi e delle istituzioni della polis. Socrate era un conservatore della polis,
delle sue leggi ed istituzioni in quanto esprimevano quella convivenza umana che rendeva
possibile la ricerca della verità. Le sue critiche nei confronti del demos, della folla, della moltitudine
e quindi dell’ordinamento democratico ateniese miravano a restaurare tra i suoi concittadini la
coscienza della sovranità delle leggi. Critica l’ordinamento democratico ateniese nel senso che la
legittimità delle decisioni delle assemblea come delle sentenze dei tribunali non riposa sulla
maggioranza e sul numero e sulla intrinseca razionalità delle decisioni stesse. La tesi centrale del
suo insegnamento è che la virtù è conoscenza e si commette il male per ignoranza. La democrazia
deve essere concepita come il governo della ragione. La crisi della democrazia non può essere
risolta se l’ordine politico non viene fondato sul sapere competente.
Nel Critone gli argomenti sono la sacralità delle leggi e il timore che l’individuo deve portare alle
leggi. Nel Critone deve dimostrare all’amico che il suggerimento di sottrarsi con la fuga alla
condanna a morte significa rinnegare nel momento più importante della sua vita il suo
insegnamento. L’individuo deve tutto alle leggi; le leggi lo proteggono sin dalla sua nascita,
garantiscono la sua vita, il suo onore, il suo patrimonio, la sua libertà. L’individui per il fatto stesso
di vivere nella polis accetta le leggi.
Le leggi non sono impassibili e perfette. Sono ispirate al principio del continuo perfezionamento.

CAPITOLO 3. Filosofia e politica: Platone

3.1 Platone: politica e filosofia


L’insegnamento di Socrate è per tanti aspetti il presupposto del pensiero filosofico e politico di
Platone che continuò il discorso del maestro.
In Platone diventa centrale il problema del fondamento oggettivo della conoscenza cioè dei
rapporti che sussistono tra questa e la verità.
L’intimo e vitale rapporto tra politica e filosofia in Platone scaturisce dalla appassionata
partecipazione al dramma di Socrate che diventa quasi il simbolo della crisi profonda che travaglia
non solo Atene ma il mondo politico greco. La filosofia è l’impegno a cogliere al di la degli
avvenimenti, delle guerre, dei mutamenti di governo le ragioni, i motivi profondi della crisi, perché
solo la filosofia riesce ad individuare l’essenza della realtà.
Nella reciproca conversione della politica e della filosofia si fonda per Platone la politica come
scienza, come una conoscenza sistematica che riconduce ad un principio unitario i dati, gli
elementi, come le attività più importanti che si riferiscono alla comunità umana organizzata, la
polis.
L’idea, con riferimento al significato etimologico della parola greca Eidon è il principio che ci
consente di vedere intellettualmente e quindi di gufarci riconoscere tutte le figure materialmente
diverse l’una dalle altre ma tutte uguali perche corrispondenti alla loro immagine ideale.

3.2 La società per Platone


Con l’analogia tra l’individuo e lo stato Platone introduce la concezione organicistica della comunità
politica. La società si costituisce perché l’uomo non basta a se stesso e ha bisogno per la sua
sopravvivenza fisica dell’aiuto dei suoi simili, per ottenere quei beni che gli altri producono e che
da solo non riuscirebbe mai ad avere. La società si forma sul principio della divisione del lavoro e
della necessaria interdipendenza che si istituisce tra le varie attività che hanno come scopo di
produrre i beni necessari alla collettività: produzione e commercio sono fra loro connessi ed
esprimono le diverse categorie sociali in corrispondenza delle attività che vengono svolte: i
contadini, gli artigiani, gli operai, i commercianti. Il principio della specializzazione delle attività
esige che accanto alla classe che ha come compito specifico quello di procurare i beni necessari
alla collettività debba esserci un’altra categoria di persone che si occupa esclusivamente della
difesa dei beni e della comunità dagli attacchi dei nemici. Questa seconda categoria è la classe dei
CUSTODI e nel suo ambito Platone distingue altre 2 categorie di persone: i custodi-guerrieri
assolvono all’esigenza della difesa della comunità; i custodi-reggitori cioè i politici che governano
lo stato.
Uno dei problemi politici più importanti è sapere quali persone devono appartenere alla prima, alla
seconda e alla terza dato che l’ufficio dei custodi è massimo e quindi richiede libertà dalle altre
occupazioni, arte e cura e natura idonea a questa occupazione. Questo problema può essere
risolto solo con una riorganizzazione della polis fondata sull’eliminazione delle due istituzioni sulle
quali si fonda l’ordinamento politico sociale che non consentono di governare secondo i principi di
una politica scientifica: la famiglia e la proprietà. Queste due istituzioni si frappongono tra
l’individuo e lo stato rinchiudendo l’individuo in gruppi fra loro ostili ognuno preoccupato di ampliare
la propria influenza, il proprio potere, a danno di quello dello stato. La famiglia costringe l’individuo
a svolgere un’attività contrastante con le sue vere attitudini, unicamente per il rispetto del prestigio,
delle tradizioni famigliari e per la difesa delle posizioni di privilegio che ha conquistato. Questo
ruolo politico della famiglia trova sostegno nella proprietà privata che istituzionalizza e rende
immodificabili le posizioni di potere che la famiglia è riuscita a conquistare. Quindi i nemici della
stato e dell’individuo sono la famiglia e la proprietà che sostituiscono lo stato nell’attività politica. La
proprietà privata è la causa del male più grave della società: a distinzione tra ricchi e poveri, in
lotta tra loro che ha stremato la polis e la porterà alla distruzione.
Eliminando la proprietà e la famiglia si potrà attuare un ordinamento collettivistico e comunistico
che consentirà di riconoscere la natura degli individui e collocarli in quella classe cui sono destinati
dalle loro predisposizioni. Ogni individuo avrà un’educazione comune affinché i custodi possano
rendersi conto delle loro attitudini e indirizzarli verso quelle attività cui sono destinati dalla stessa
natura. L’educazione diventa lo strumento più efficace per formare la personalità degli uomini. La
politica si presenta come una paideia cioè un’ideologia.

3.3 La giustizia e le 3 funzioni dello stato secondo Platone


La giustizia si realizza allorché ciascun individuo nello stato svolge solo l’attività che corrisponde
alle sue predisposizioni naturali. L’individuo può svolgere bene un solo compito ed occorre bandire
dallo stato l’abitudine di svolgere due o più attività a volte contrastanti tra loro.
Le tre funzioni principali dello stato che si riferiscono alla produzione dei beni necessari alla vita
della città, alla sua difesa e al suo governo trovano un’analogia nell’interna struttura dell’uomo in
cui coesistono principi di azione: l’anima incupisci bile che presiede la vita biologica; quella
irascibile in cui si esprime la forza dell’individuo; l’anima razionale che deve sovrintendere l’attività
dell’uomo e governare le altre due anime. Alle tre anime dell’individuo corrispondono le tre classi
della società: l’anima razionale sono i reggitori-filosofi ai quali è demandato il governo dello stato.
Ogni anima e ogni classe deve avere una forma e disciplina cui corrisponde una determinata virtù:
l’anima razionale la saggezza, quella irascibile la fortezza, quella concupiscibile la temperanza.
Quest’ultima è importante perché rende possibile i rapporti tra governanti e governati.
La giustizia è il principio in base al quale ogni individuo compie l’attività che gli è propria, attua e
perfeziona la sua natura. La giustizia si realizza in ciascun individuo come ordine interiore che
informa e sostiene le attività del soggetto e le coordina con quelle degli altri membri della
comunità. La giustizia è il principio ideale, l’anima dello stato.
La ricerca del fondamento e del principio della giustizia e della sua funzione è compito della
filosofia.
La conoscenza filosofica attiene all’intelligenza, alla facoltà che secondo la formula platonica
raggiunge le idee attraverso alle idee e finisce alle idee.
Platone perviene ad indicare il nesso indissolubile tra politica e filosofia: infatti il problema di
intendere l’unità reale della polis e l’ordinamento che vi corrisponde è connesso con il problema
della conoscenza e con la fondazione metafisica dell’intelligenza. Lo stato platonico è uno stato di
ragione perché governato dalla razionalità: la politica è attività volta a garantire il comando del
razionale cui l’irrazionale deve essere sottomesso.
Questo stato che somiglia a una persona si fonda su un ordinamento collettivistico ed è governato
dai custodi filosofi che ispirano i loro provvedimenti al modello dello stato perfetto. Prima cura dei
governanti sarà sorvegliare che il sistema educativo non incorra in deviazioni. La politica
demografica deve mantenere la popolazione costante con riferimento al numero di 5.350.
La città deve avere tanti abitanti quanti sono necessari alla difesa e alle altre attività che forniscono
beni e servizi indispensabili. Non numero inferiore perché lo stato sarebbe preda dei nemici, non
superiore perché si costituirebbe la divisione tra ricchi e poveri. Ci deve essere un severo controllo
delle nascite con unioni predeterminate dai custodi che dovranno informarsi sui criteri
dell’eugenetica. I nati deformi e con difetti devono essere abbandonati.
Abolizione della famiglia e della proprietà. A un matrimonio privato è sostituito un matrimonio di
stato. L’unione dell’uomo con la donna sin che sono in grado di procreare può essere consentita
solo dai custodi. Passata tale età le unioni sono libere.

3.4 Il processo di trasformazione della polis per Platone


Anche la polis per Platone non si sottrae al processo di trasformazione e corruzione: è opera
dell’uomo e partecipa al ciclo cui sono soggette tutte le cose naturali: nascita sviluppo e morte. Il
processo di decadenza inizierà quando i custodi sbaglieranno i calcoli che presiedono alle
generazioni umane delle classi: individui appartenenti alla prima classe si troveranno nella
seconda o nella terza o viceversa. Verrà intaccata l’armonia fondamentale e comincerà a
trasformarsi la classe dei custodi o la classe di governo. La polis passerà attraverso le forme di
governo che corrispondono alle fasi degenerative: dall’aristocrazia che è la forma di governo
propria della città ideale dei reggitori filosofi, alla timocrazia il governo dei forti, degli animosi, dei
guerrieri che allontanano i saggi dal potere; all’oligarchia, il governo che si fonda sulla sola
ricchezza con l’esclusione dei poveri; alla democrazia, il governo che si basa sulla maggioranza
dei non abbienti con l’esclusione dei ricchi; infine alla tirannide, la pessima tra le forme corrotte di
governo.
Questo processo rappresenta la crisi razionale e l’emergere dell’irrazionale.

La forma di governo si corrompe e si trasforma quando viene assolutizzato il principio che ne


costituisce il fondamento cioè quando diventa unico oggetto dei desideri degli uomini lo scopo che
essa si prefigge: la libertà. La libertà diventa principio che legittima ogni forma di arbitrio e che a
poco a poco determina una forma di latente anarchia. La crisi della democrazia coinvolge l’intera
società in quanto provocata dal dominio che il concupiscibile esercita sulle altre due facoltà, in
particolare sulla razionalità.
La repubblica si conclude con un richiamo al problema religioso: ala sopravvivenza dell’anima; al
giudizio cui tutti gli uomini saranno sottoposti dopo la morte; alla metempsicosi, alla continua
reincarnazione delle anime fin chè non riescono a purificarsi; alla scelta che ogni anima fa della
sua futura vita. La libertà dell’individuo è affermata sul piano religioso: la vita che viviamo è il
risultato di una libera scelta della nostra anima.
3.5 Le forme di governo secondo Platone
La politica come scienza si compone di 2 parti:
1. una teorica che riguarda la conoscenza sistematica dell’organizzazione della polis
2. e una pratica che si riferisce all’attività di governo e che viene trattato nel dialogo Il politico
Il politico è un dialogo sull’arte di governo in cui c’è la ricerca e descrizione. Con riferimento al re
filosofo parla dell’animo del governante. L’attività di governo è definita arte regia: arte in cui
acquista rilevanza la conoscenza, è l’arte di guidare il popolo. Il re-filosofo è superiore perché ha
l’arte regia e conosce il bene della città.
La politica come arte di governo può essere paragonata all’architetture e il politico all’architetto.
L’arte regia può essere paragonata all’arte del tessitore. Nel tessere la tela della società il politico
deve servirsi del filo d’oro della giustizia al quale devono essere annodate le relazioni degli
individui nella polis.
Lo scopo fondamentale dell’arte regia : stabilire i vincoli saldi tra quanti vivono nella polis, di
annodare nel tessuto sociale i forti, i saggi e temperanti componendo questi caratteri in modo che
ne risulti un tutto armonico. L’arte regia produce un ordine politico. Quando in uno stato non c’è il
re filosofo perché è difficile trovarlo, abbiamo 3 forme di governo
1. monarchia
2. aristocrazia
3. democrazia
queste forme di governo non sono perfette ma comunque buone. Se degenerano si trasformano in
1. tirannide
2. oligarchia
3. democrazia degenerata
l’elemento che distingue le forme buone di governo da quelle degenerate è la legge unita al
consenso, mentre in quelle degenerate il potere è imposto con la forza
la democrazia se degenera può sfociare in anarchia.
Platone dice che l’arte regia, purchè esercitata da un re-filosofo cioè da un uomo che sia
pervenuto al grado supremo della virtù e della sapienza, alla visione dell’idea del sommo bene,
può sostituirsi alle leggi e può assumere provvedimenti che violano le leggi stesse. L’arte regia
legittima un governo senza leggi

3.6 Le leggi di Platone


Le leggi è un dialogo tra alcuni personaggi greci che devono dare una costituzione alla città e
discutono sulle leggi da darle. Cosa sono le leggi per Platone? Sono il giudizio della ragione su ciò
che è bene e su ciò che è male.
Il giudizio della ragione diventa un pubblico decreto; diventa norma positiva approvata dall’organo
apposito.
La legge è espressione della ragione e se non si segue la legge si fa il male.
I governanti soggetti alla legge non dovrebbero cambiarle se non in casi eccezionali
Le leggi sono importanti affinchè le forme politiche non degenerino.
In questo dialogo si descrive anche una forma di governo mista che unisce i caratteri di 2 forme di
governo: la monarchia che tocca il massimo dell’autorità presso i persiani e la democrazia che
tocca il vertice presso i greci. Per evitare la degenerazione di queste 2 forme ci deve essere libertà
e concordia + contemperamento delle due forme di governo e dei loro 2 principi (autorità e libertà).
Quindi della due costituzioni, una dispotica (persiani) e una liberale (greci), se arrivano agli estremi
degenerano, se rimangono equilibrate nasce una buona forma di governo mista

CAPITOLO 4. La politica come scienza: Aristotele

4.1 Aristotele: il pensiero politico


384-322 a.C. Era macedone.
La politica è una delle 4 discipline in cui si articola la scienza dell’uomo: le altre 3 sono la
psicologia, l’etica e la retorica. Platone le trattava tutte insieme in una prospettiva filsofico-politica,
mentre lui le distingue.
L’opera di Aristotele si intitola Politica. Appartiene al terzo gruppo degli scritti aristotelici, quelli di
carattere scientifico, redatti dalla scuola istituita da lui ad Atene, il liceo.
La polis è connaturata all’uomo. L’uomo è uno zoon politicon, yun essere politico. La sua umanità
si esprime nella sua politicità. Per realizzarsi e raggiungere la felicità l’uomo deve vivere nella
polis. L’uomo è la forma della koinonia politica (la comunità politica). La prima forma di koinonia è
la famiglia che continua la specie umana. Viene poi il gruppo parentale che riconosce un
progenitore comune; la tribù che comprende più gruppi gentilizi; il villaggio che comprende più
tribù; la polis che comprende più villaggi.
Nella famiglia ci sono 3 tipi di comando ed obbedienza sui quali si fonda la costituzione della polis
che per Aristotele è un sistema di comandi ed obbedienze. Sono quelli tra padre e figlio, marito e
moglie, padrone e schiavo e si distinguono secondo la gerarchia naturale delle intelligenze: il figlio
l’ha in potenza, la moglie attenuata, lo schiavo ha poche capacità intellettuali. Ci sono 3 tipi di
autorità:
1. nei confronti dei figli è simile a quella del re sui sudditi,
2. nei confronti della moglie è come quella del magistrato sui cittadini
3. nei confronti dello schiavo è quella del despota.

4.2 Divergenze di Aristotele con il pensiero di Platone


La giustificazione della schiavitù è data dalla gerarchia naturale delle intelligenze.
Il governo della famiglia è definito da Aristotele con il termini economia (oikos=famiglia,
nomos=regola) nel cui ambito sono precisati i criteri da seguire nell’attività volta a procacciare i
beni materiali necessari. La produzione della ricchezza è indicata con il termina crematistica. La
prima trova un limite nelle necessità della comunità, la seconda non incontra limiti.
La comunità politica per lui si caratterizza per l’affermazione relativa alla pluralità delle forme
secondarie di socialità poste dalla natura che lo stato deve mantenere in sé rispettandone
l’autonomia. È in contrasto con la tesi platonica secondo cui tra l’individuo e lo stato non deve
esserci alcun diaframma ma una immedesimazione di tipo organico.
Dice che il collettivismo proposto da Platone è irrealizzabile perché contrasta con la naturale
struttura della società politica la quale si articola in una pluralità di forme secondarie di socialità ed
è costituita da individui tutti diversi l’uno dall’altro per il diverso grado di partecipazione alla virtù. La
famiglia e la proprietà sono i due istituti fondamentali dello stato, presupposto del processo di
articolazione da cui s origina la società politica. Abolire la proprietà sarebbe abolire l’unico criterio
per fissare la giusta ricompensa per il lavoro svolto dai singoli.
La società collettivistica non riesce neanche a realizzare l’unità: uno stato del genere si scinde in
due classi contrapposte: i guerrieri che hanno la forza militare e i lavoratori che sono sottoposti ai
primi.
Aristotele non è fautore di una concezione privatistica della proprietà: ritiene che la migliore
proprietà sia quella privata integrata dalla comunanza dell’uso. Una proprietà in cui venga posto in
risalto il fine sociale, che non sia considerata nell’unica prospettiva del singolo ma con riferimento
anche alle esigenze della collettività.

4.3 Lo studio della politica per Aristotele


Lo studio della politica è distinto in 4 grandi parti:
1. la prima tratta della costituzione migliore, che corrisponde ai principi assoluti in sede filosofica
2. studia come realizzare tale costituzione
3. si occupa della costituzione vigente per studiare i provvedimenti che consentono di renderla
stabile
4. analizza la costituzione più adatta a tutte le città per individuare i principi comuni a tutte le
costituzioni reali.

La costituzione migliore è quella in cui ogni cittadino possa meglio provvedere alla sua prosperità
materiale e alla sua felicità.
L’ordinamento politico della città deve essere informato che tra gli eguali ci deve essere
compartecipazione dei diritti e dei beni tranne il caso in cui ci sia qualcuno che emerge per virtù e
capacità pratica alla cui volontà è giusto obbedire.
Se la felicità è inscindibile dalla virtù, la potenza e il dominio non sono il fine della polis ma devono
essere dei mezzi per assicurare la difesa della polis. La guerra deve essere combattuta avendo
sempre di mira la pace.
Il comando è legittimo solo se esercitato nei confronti di quelli che la natura destina ad obbedire.
Estendere il potere al di la dei limiti fissati dalla gerarchia naturale è un atto di sopraffazione.

4.4 La struttura sociale della polis per Aristotele


La struttura sociale della polis e la suddivisione in classi sociali si fonda sui compiti che devono
essere assolti dalla comunità: l’alimentazione, le arti per le merci necessarie alla vita associata, la
difesa militare, la finanza pubblica, il culto divino, la decisione sugli interessi generali e i diritti
reciproci. A questi compiti corrispondono 6 classi: agricoltori, artigiani, guerrieri, benestanti,
sacerdoti e magistrati.
Deve sussistere un rapporto di proporzione tra le parti che formano la polis in modo da
armonizzare gli individui e le loro attività con il tutto e conseguire l’ordine.
Il Senso del limite delle presiedere alle attività che si svolgono nella polis: la proporzione, la
misura, l’armonia sono i principi sui quali si fonda l’ordine.
Il territorio deve essere scelto in modo da garantire alla città l’indipendenza economica e la difesa:
deve essere fertile ed avere uno sbocco al mare che faciliti i commerci. Deve essere praticabile
per i suoi abitanti e difficilmente accessibile per i nemici. La collocazione ideale della città è tra
terra e mare in modo che possa essere aiutata da tutte le parti.
Il legislatore deve preoccuparsi della sanità della stirpe tramite leggi matrimoniali che devono
essere informate ai criteri dell’eugenetica, sia per prevenire malattie o deformità, sia per esercitare
un controllo sulle nascite. La popolazione deve essere proporzionata alle esigenze della città, né
troppo piccola né troppo grande, in modo da consentire a tutti i cittadini di conoscersi e di
comprendere in una visione sintetica tutta la popolazione. La popolazione deve avere un limite:
devono conoscersi reciprocamente; devono condurre una vita politica autosufficiente.
I popoli possono essere divisi in 3 razze le cui caratteristiche sono determinate dal clima:
1. clima freddo: i popoli dei paesi del nord sono di temperamento vivace ma non molto intelligenti.
2. clima caldo: i popoli del sud (Asia e Africa), sono intelligenti e abili nelle arti ma non hanno forza
morale il che li predispone alla servitù politica
3. clima temperato: solo la stirpe greca che vive in una zona mediana compone i caratteri nordici e
quelli asiatici e ha quindi intelligenza e forza morale. Infatti ha ordinamenti politici liberi.

4.5 La classificazione delle istituzioni per Aristotele


Se l’animale è mosso dagli istinti. L’uomo invece si governa tramite la ragione che gli consente di
disciplinare ed educare la sua natura. Il nesso tra comando e obbedienza è la virtù, propria
dell’uomo dotato di ragione, dell’uomo probo. Il legislatore deve far si che i cittadini diventino
uomini probi. Il mezzo più importante per formare un cittadino virtuoso è l’educazione.
L’educazione dei giovani deve essere informata alla costituzione vigente. L’istruzione dei giovani
deve essere affidata allo stato perché la preparazione per il raggiungimento di un fine comune
deve essere comune a tutti quelli che si propongono quel fine.
La città ha una formazione complessa ed è composta da diversi elementi: l’elemento più
importante è il cittadini, cioè chi può partecipare al governo della polis. La virtù del cittadino
consiste nel saper comandare e nel saper obbedire.
La costituzione (politeia) ha per oggetto l’ordine delle magistrature, il modo con cui vengono
assegnate, l’attribuzione della sovranità, la determinazione del fine di ciascuna associazione: essa
va tenuta distinta dalle leggi che fissano le norme in base a cui i magistrati esercitano il loro potere.
La classificazione delle istituzioni si basa sul fatto che il governo è il potere sovrano e può essere
detenuto da uno, da pochi o da molti, che possono esercitarlo nel rispetto della comune utilità o nel
proprio interesse: nel primo caso ci sono le 3 costituzioni perfette, monarchia, aristocrazia e
politica o democrazia dei liberi; nel secondo la tirannide, l’oligarchia e la democrazia della
moltitudine.
La politica è la costituzione per antonomasia: la cittadinanza è riconosciuta sono a quelli che per
condizioni sociali possono conseguire la virtù del cittadino e sono liberi. I liberi hanno tutti la stessa
dignità e diritti e tra loro vige il principio d’uguaglianza e tutti devono esercitare il potere
alternandosi al governo.
All’interno di ognuna delle 6 costituzioni ci sono 3 altre sottospecie. Aristotele fa una distinzione tra
costituzione materiale e formale.
È convinto che solo in una categoria ristretta di persone altamente selezionata dal punto di vista
delle tradizioni e dell’educazione (l’accademia platonica), sia possibile esprimere quell’armonia e
concordia di intenti e quelle capacità intellettuali che sono le premesse perché il governo operi nel
rispetto delle leggi.

4.6 Il potere della maggioranza per Aristotele


Nella democrazia i molti non hanno alcun sentimento di rispetto e obbediscono solo se obbligati
dalla paura che impedisce loro di commettere malvagità.
Tra la politica e la democrazia ci possono essere tante composizioni intermedie a seconda delle
diverse composizioni sociali della polis. Nella città ci sono le seguenti categorie: agricoltori, operai,
commercianti, guerrieri e politici. La costituzione assume caratteristiche diverse a seconda della
prevalenza di questa o quella categoria.
I molti possono esprimere una opinione più valida e giusta dei pochi: questa è la giustificazione al
principio della maggioranza, norma fondamentale per ogni ordinamento democratico. Accetta la
tetrocrazia che Platone rifiutava: come il pubblico giudica meglio degli esperti l’opera che è stata
rappresentata, così la maggioranza dell’assemblea esprime sui provvedimenti che riguardano il
governo un giudizio più affidabile di quello dei singoli.
Sarebbe però pericoloso ammettere i molti alle magistrature più importanti che detengono la guida
politica della città: essa invece può deliberare sui normali affari pubblici e partecipare alle elezioni
dei magistrati. Così sia attua un contemperamento tra l’aristocrazia o oligarchia e la democrazia e
si realizza una costituzione che è un giusto mezzo tra gli estremi.
Il principio fondamentale cui deve ispirarsi l’ordinamento politico è la sovranità della legge, che
deve essere superiore a qualsiasi cittadino e tutti i magistrati devono essere guardiani e servi della
legge. La costituzione deve sottomettere la volontà dell’uomo a quella della legge. Il principio della
sovranità della legge trova la sua attuazione solo in una costituzione che si basi sulla classe media
che è veramente libera in quanto non è corrotta u fuorviata dagli interessi delle grandi ricchezze né
condizionata dalle necessità giornaliere. È in grado di mantenere l’equilibrio tra ricchi e poveri.
Solo una forte classe media può assicurare l’equilibrio sociale necessario per la democrazia.

Il metodo cui si serve per analizzare i diversi tipi di costituzione è confermato nel libro V della
politica dedicato allo studio delle cause delle tensioni e dei conflitti sociali che sboccano nella
trasformazione violenta delle costituzioni. Il presupposto di fondo è che l’ordine deve essere
considerato come il fine ultimo della politica in quanto scienza dei mezzi più idonei a conservare il
potere. Tutti i tipi di costituzione si equivalgono in quanto garantiscono una certa misura di ordine e
stabilità politica.
Si tratta di rendersi conto delle cause che determinano la trasformazione di una costituzione per
individuare le massime per conservarla. Le tensioni, i conflitti e le trasformazioni violente
appartengono alla patologia della polis.
Stasis = sedizione, ribellione, rivolta
Metabolè = mutamento cambiamento, trasformazione della costituzione
I conflitti sociali e politici sono determinati dall’ineguaglianza e dal desiderio di attuare
l’eguaglianza. Possono essere finalizzati alla deposizione dei governanti per sostituirli con coloro
che hanno promosso la rivolta o cambiare del tutto la costituzione.
I fattori che provocano l’insorgere della rivolta sono 3:
1. morale-ideologico, le condizioni che giustificano l’insurrezione
2. lo scopo che si intende conseguire
3. le occasioni che consentono di iniziare la rivolta

4.7 Aristotele - Lotta per il potere


Il governo deve porre una cura costante nella difesa dell’ordine politico, in quanto le rivoluzioni
sono la conseguenza di una serie di atti che considerati isolatamente sono deboli ma nel loro
insieme determineranno una situazione che non potrà più essere controllata.
Chi detiene una certa potenza alla fine cercherà di organizzare una rivolta per avere l’intero
controllo del potere o perché non sopporta che venga detenuto da altri.
Le aristocrazie e le oligarchie finiscono per le lotte e le divisioni interne: vengono promosse da
parte dei ricchi che non hanno parte del potere e con l’aiuto del popolo riescono ad abbattere il
governo oligarchico. Ma può accadere anche che gli esclusi organizzino una rivolta per
riconquistare il potere.
Nei regimi monarchici le ingiustizie, la requisizione dei beni privati e il disprezzo con cui sono
trattati i sudditi sono la causa delle rivolte. Occorre distinguere il regno dalla monarchia: il primo si
fonda sul consenso dei sudditi, la seconda esercita un potere indipendente dal consenso.
La tirannide può essere conservata con due politiche diametralmente opposte:
1. applicare i principi e le massime di governo del potere tirannico: controllo totale sui cittadini con
spie e delatori e sorveglianza. Conviene dividere i cittadini sfruttando e alimentando il contrasto tra
ricchi e poveri, soprattutto il sentimento d’invidia delle masse nei confronti dei primi. Poi eliminare e
ridurre all’impotenza le personalità più eminenti tra i cittadini, vietare ogni forma di associazione,
ridurre i redditi e il patrimonio degli abbienti e della classe media, impegnare le energie della città
nella guerra.
2. conservare la sostanza del potere imitando nella forma il governo monarchico: il tiranno deve far
mostra di perseguire la pubblica utilità soprattutto in piano finanziario; deve avere un
comportamento nobile e seguire una vita morigerata per ispirare rispetto e non paura; onorare i
cittadini più eminenti ma evitare che qualcuno diventi troppo potente; ridurre l’influenza dei
personaggi più rappresentativi ma con cautela e non in modo drastico; governare in modo che i
ricchi e i poveri si convincano che possano sopravvivere solo grazie al suo potere.

Le trasformazioni della politica e della democrazia sono provocate dalla mancata osservanza del
diritto
Nelle democrazie occorre impedire che il cittadino acquisti una potenza tale da mettere in pericolo
la stessa costituzione. Sono necessarie norme che consentano all’assemblea di allontanare dalla
polis coloro che possono assumere per la loro autorità, l’iniziativa di una modifica radicale della
costituzione.

CAPITOLO 5. Autorità, potere, impero: l'esperienza politica romana

5.1 L’esperienza politica romana


Gli elementi costitutivi della civica romana erano:
- la gens: gruppi di famiglie che riconoscevano un progenitore comune
- i loro capi (patres familiarum)
- il rex
- il populus: l’insieme degli armati forniti dai gruppi gentilizi
la famiglia e la gens erano comunità sovrane: il pater familias aveva la signoria assoluta su tutti i
suoi soggetti, parenti e clienti e diritto di vita e morte sugli stessi.
Il rex aveva l’imperium: era comandante militare, sacerdote e giudice. Era assistito da un consiglio
di anziani e per le pratiche del culto da un consiglio di auguri e poi di pontefici che avevano il
compito di custodire e interpretare le tradizioni religiose
Il popolo era formato unicamente da guerrieri partecipava alla creazione del re mediante
l’acclamazione espressa nei comizi curiati.
La plebe, costituita da piccoli proprietari, cittadini liberi, artigiani, che non appartenevano a nessun
gruppo era esclusa dalla civica e sottoposta al dominio delle gentes. La contrapposizione tra patrizi
e plebei caratterizza la storia della costituzione del diritto romano.
La necessità di difesa e di espansione del dominio imposero la trasformazione dell’esercito
gentilizio basato sulla cavalleria in esercito oplitico fondato sulla fanteria pesante che richiedeva un
reclutamento che finì per coinvolgere anche la plebe. Il territorio cittadino fu diviso in 31
circoscrizioni (tribù) che erano la base per il reclutamento e per il pagamento dei tributi. A tal fine il
popolo era distinto in 6 classi sulla base del censo in 193 centurie che fornivano i diversi
contingenti dell’esercito.
Ai comizi centuriati furono demandate le dicisioni sulla pace e sulla guerra, l’elezione dei
magistrati, l’approvazione delle leggi.
Intorno al 509 l’oligarchia gentilizia sostituì al rex una magistratura annuale, prima il magister
populi, poi due pretori e infine due consoli. L’imperium trovava dei limiti sia nella breve durata
dell’incarico sia nella collegialità in quanto uno dei due poteva bloccare le iniziative del collega.
L’esigenza della sempre più complessa organizzazione della civica portarono all’istituzione delle
altre magistrature della repubblica:
i censori (ex consoli) che avevano il compito di iscrivere i cittadini nelle liste censuarie e
sottintendevano la morale pubblica
i questori ai quali fu affidata l’amministrazione dell’erario
i pretori che sovrintendevano la giustizia
gli edili curuli competenti per la polizia urbana

5.2 Dittatura nell'antica Roma


Magistratura straordinaria è la dittatura, deliberata dal senato in caso di grave pericolo della civica.
Nella costituzione repubblicana si distinguevano le magistrature cum imperio (dittatori, consoli e
pretori) e quelle cum potestate che avevano dei compiti definiti dalla legge.
Dopo l’instaurazione dell’ordinamento repubblicano e l’esercito cittadino l’esclusione della plebe
dai benefici della civica non poteva più essere mantenuta a lungo.
L’aristocrazia rappresentata dal senato accolse le richieste di un primo riconoscimento della plebe
nella civica repubblicana, con l’istituzione di una nuova magistratura ed organi propri della plebe.
Furono istituiti 10 tribuni della plebe con la facoltà di esercitare lo ius auxili e lo ius intercessionis
contro giudizi penali o arresti illegali e provvedimenti arbitrari a danni dei plebei e imporre il veto
agli atti pubblici

5.3 Diritto e costituzione nell'antica Roma


Il diritto è l’anima della civica, è la sua ragion d’essere. È la logica giuridica che consente di
organizzare la civica. Il diritto è connesso con le norme di carattere sacrale e religioso e per molto
la sua regolazione rimase prerogativa del collegio dei pontefici. Ma si cominciò dal periodo
monarchico a distinguere ciò che si riferisce direttamente al sacro, il fas, e ciò che invece è
manifestazione dell’imperium del rex.
La giurisprudenza è la fonte più importante delle norme giuridiche che riguardano la disciplina dei
rapporti e degli interessi dei singoli. Si pone così la distinzione tra privato e pubblico. Il privato
trova la sua disciplina sulla base dell’iniziativa dei singoli. Il diritto pubblico trova la sua fonte nella
lex, approvata dai comizi curiati.
La costituzione è il modo per trasformare la civica in una repubblica il cui fondamento è dato dal
diritto.

5.4 Tre posizioni tipiche del comando nell'antica Roma


imperium: è un potere originario nel senso che non promana dall’ordinamento giuridico-politico
della res publica ma attiene all’esistenza stessa della civitas, alla sua unità reale. È illimitato e si
estende su tutto e su tutti.
auctoritas: questa forma di comando scaturisce dalla preminenza e dal prestigio che una persona,
un ordine, un’istituzione hanno nella società, indicata con il termine autorità. L’ordinamento
repubblicano riconosce un ruolo importante per l’auctoritas del senato, per la quale le proposte di
legge dovevano ricevere l’assenso del senato
potestas (il potere): la volontà è l’energia che dà vita all’azione, distinta dalla ragione. Una volta
scoperta l’autonomia della volontà, per portare a compimento l’azione non basta volerla, si richiede
che il soggetto abbia un potere adeguato per realizzarla. Il diritto fa sussistere il potere degli
associati, del singolo, dei magistrati, del popolo. La ragion d’essere del potere sta
nell’organizzazione della società attuata con il diritto.

5.5 Polibio: la costituzione


Dopo la vittoria definitiva su Cartagine che la potenza romana era destinata a dare attuazione al
programma di Alessandro Magno di unificazione del mondo abitato.
Dice che la costituzione è connessa con la vita della città.
Le comunità si costituiscono per un istinto proprio di tutti gli esseri viventi che si uniscono per
difendersi dai comuni pericoli: il gruppo riconosce come guida l’essere più dotato e forte. La
ragione, che distingue l’uomo dalle bestie è nella consapevolezza dei benefici che la vita sociale
procura. La comunità promuove la formazione di sentimenti e di convinzioni comuni circa il bene e
il male, il giusto e l’ingiusto. Ciò consente agli uomini di intendere il vantaggio che loro deriva dal
conseguire le norme della virtù.
La prima costituzione è la monarchia, dalla sua degenerazione deriva la tirannide. A questa
subentra il governo dei ricchi e dei potenti contro la quale insorge il popolo per instaurare la
democrazia. Ma anche questa degenera in oclocrazia (dominio della moltitudine) che determina
una situazione di lotte di partiti e fazioni alle quali pone termine la monarchia. Questo è il
compimento del ciclo delle costituzioni.
Ogni costituzione ha in se stessa i principi, le cause della sua corruzione-degenerazione e della
decadenza e dissolvimento.
Nelle costituzioni rette il potere si fonda sul consenso dei governati, in quelle degenerate sulla
forza e sulla paura. Nella monarchia e nell’aristocrazia chi governa si avvale della persuasione e
rispetta i limiti che gli sono posti dai valori etico-religiosi, dalla giustizia.
Ogni costituzione si fonda su un accordo tra chi detiene il potere e la maggioranza degli associati.
Quando questo rapporto di fiducia viene meno la costituzione comincia a corrompersi. La crisi di
questo patto di governo deve essere imputata a chi detiene il potere. Il governo richiede una sana
virtù civile, ma questa virtù si consuma con il tempo e già nella seconda generazione comincia a
subentrare nei governanti l’orgoglio e il desiderio di primeggiare che suscita risentimento e odio del
popolo.
Descrive il passaggio dalla democrazia all’oclocrazia: Con il passare delle generazioni si
modificano i sentimenti e le convinzioni e il popolo decade a livello della plebe, della moltitudine e
si confonde con essa. Il potere passa così dal popolo alla moltitudine, che diventa il dispotico
signore dello stato.

Polibio dice che si possono studiare degli accorgimenti per rendere la costituzione più duratura
possibile per garantirne la stabilità. Occorre predisporre un limite al potere e cioè un altro potere
che lo freni, che gli impedisca di diventare assoluto e mutarsi nella forma di governo imperfetto.
Per garantire la stabilità, le costituzioni perfette devono limitarsi a controllarsi a vicenda: la
migliore forma di governo deve essere riconosciuta nella costituzione mista, che riesce a comporre
in un armonico sistema i principi delle 3 costituzioni perfette: monarchia, aristocrazia e democrazia.
(Questa costituzione fu realizzata per la prima volta da Licurgo)
a Roma il principio monarchico è rappresentato dal potere dei consoli che hanno il potere
esecutivo comprendente il comando della forza militare e il governo della repubblica; il senato
rappresenta il principio aristocratico essendo formato dai capi dei gruppi gentilizi con un incarico a
vita: la sua competenza si riferisce al potere amministrativo, cioè al controllo elle entrate e delle
uscite, alla politica estera, alla soluzione delle controversie che possono nascere nell’ambito delle
relazioni con altri stati. Il potere giudiziario e legislativo sono attribuiti ai comizi, cioè al popolo che
fa così valere il principio democratico.
In tal modo la costituzione romana è formata da organi che si controllano a vicenda bilanciandosi
l’uno con l’altro, realizzando quella costituzione che era nei voti di Aristotele.
Ma anche la costituzione romana non si sarebbe potuta sottrarre al processo di decadenza che
caratterizza tutti gli stati. Le pressanti richieste della plebe per una più equa distribuzione delle
terre pubbliche furono all’origine del pessimismo dell’aristocratico Polibio.

5.6 Cicerone - De re publica, De legiis, De officii


(106-43) - Gli scritti politici più importanti sono De re publica, De legiis, De officiis.
Fu il teorico della libertà repubblicana di contro agli orientamenti politici che ritenevano essere
possibile garantire l’ordine, la pace sociale, il dominio e la potenza di Roma con una radicale
riforma della costituzione.
Ritiene che la politica rappresenti il culmine dell’attività dell’uomo.
Riconosce un nesso tra teoria e pratica nel senso che l’opera dell’uomo di stato non è altro che
l’attuazione di quei principi, di quei valori che vengono professati in sede teorica: c’è quindi nella
politica una riposta filosofia che si deve riconoscere al fine di migliorare la nostra preparazione.
Rifiuta l’idea utilitaristica e pattizia della società; ritiene che ci sia una naturale predisposizione
degli uomini a vivere in società. La prima vera causa di aggregazione non è la necessità ma il
bisogno, il fatto che L’uomo a differenza degli altri animali può sopravvivere solo se viene allevato,
aiutato dai suoi simili. L’uomo non ama vivere in solitudine ma con gli altri uomini perché solo nella
società può esprimere la sua natura razionale.
L’uomo è portato per natura a conoscere la verità e a far conoscere la verità; a volere la giustizia e
farla rispettare; ad essere benevolenti e generosi. Sono questi i 3 aspetti dell’onesto.
Esistono tanti tipi di società per quanti sono i tipi di solidarietà umana: la famiglia, il gruppo
parentale, le associazioni e le aggregazioni e associazioni particolari.
Lo stato è fondato sulla società degli uomini ma nello stesso tempo se ne distingue per una
specifica autonomia: ciò che consente allo stato di partecipare alla società ma di esserne distinto è
il diritto.
Il diritto promana dalla natura dell’uomo ed è connesso ai valori oggettivi che formano l’onesto. Il
diritto trova il suo più valido collegamento con la giustizia che garantisce la sua efficacia di vincolo
sociale che fa di una pluralità di uomini e cose una unità reale, il popolo, la res publica.
Il diritto diventa potere cioè l’attività che fa sussistere ogni forma di vita associata. Senza di esso
né la famiglia, né lo stato, né la nazione, né il genere umano, ne la natura né il mondo potrebbero
sussistere.
Cicerone non usa il termine polis che corrisponde in latino a civitas ma si serve del termine res
publica per indicare l’organizzazione politica in quanto tale, connessa con il diritto. La parola status
significa condizione, modo d’essere dove status-republicae indica la costituzione con un significato
giuridico-politico. Lo stato per Cicerone è la cosa pubblica cioè la cosa che appartiene al popolo.
Il popolo non è qualsiasi insieme di individui ma è quella moltitudine che si è associata per una
comune utilità e mediante il vincolo del diritto. I singoli costituiscono una unità e possono diventare
popolo solo grazie al diritto.
Il diritto può rimanere come vincolo fondamentale nella società politica solamente se nello stato,
per quanto riguarda l’organizzazione politica si afferma il principio di libertà. Per Cicerone la libertà
è essenzialmente repubblicana. Si riferisce al ruolo che viene riconosciuto al popolo nella
costituzione romana, al fatto che il popolo sia titolare della summa potestas che corrisponde alla
sovranità popolare degli stati contemporanei.

CAPITOLO 6

Religione e politica: il Cristianesimo


1. Dopo la vittoria di Alessandro ad Isso vi fu il regno di Giudea che subì un processo di
ellenizzazione e dovette accogliere i nuovi culti della monarchia universale. Il rigido monoteismo
della religione ebraica non poteva accettare la sacralità del nuovo potere politico (la rivolta dei
Maccabei intese rivendicare l’indipendenza della nazione). Nell’Ebraismo si era affermata la
convinzione che le dominazioni straniere fossero conseguenza della punizione divina: Dio avrebbe
inviato un liberatore, il Messia, che avrebbe liberato la nazione ed instaurato in Israele il regno di
Dio. L’attesa e le speranze messianiche animarono la resistenza al programma di ellenizzazione e
di successiva romanizzazione della nazione ebraica. La Palestina era stata divisa tra i 3 figli di
Erode mentre il sud della regione era governato da Ponzio Pilato (procuratore romano). In Giudea
un profeta, Giovanni, suscitò i sospetti di Erode Antipa, il quale temendo una nuova rivoluzione
politica, lo condannò a morte.
2. Il Vangelo di Gesù annuncia il Regno di Dio in una prospettiva diversa rispetto all’ebraismo. Il
Regno di Dio per Gesù implica una tramutazione dei valori sui quali si fondava il mondo antico
grazie ad una metanoia, ovvero rinnovamento totale dell’uomo. L’uomo, nel momento in cui si
nullifica come natura nell’esperienza del dolore e del disprezzo del mondo, si riconosce come
individuo, che si svela nel riconosciuto rapporto con Dio, che è Dio Padre. In questo rapporto con
Dio, l’individuo ritrova un’energia, una forza interiore, che fanno della sua esistenza il costante
punto di riferimento del mondo in cui vive. Il Regno di Dio è la rigenerazione dell’uomo ed è una
realtà meta-temporale e quindi meta-politica.
Dunque, il Cristianesimo fonda l’autonomia dell’individuo in una sfera di valori sottratta alla politica.
La contrapposizione tra gli ideali della società imperiale romana e il Cristianesimo ebbe la sua
manifestazione più clamorosa nelle persecuzioni, fatto eccezionale per la politica di tolleranza
religiosa seguita dagli imperatori: esso sanciva il tramonto dei valori della società antica che
reclamavano una partecipazione totale alla vita della comunità.
3. Il Vangelo si riferisce a due realtà distinte: spirituale e temporale (“date a Cesare quel che è di
Cesare e a Dio quel che è di Dio”). Cesare ha il diritto di pretendere il tributo poiché non coinvolge
il Regno di Dio. I valori spirituali sono tutto per il cristiano che è sostanzialmente indifferente alla
politica, purché quest’ultima non invada il suo credo religioso.
Lettera a Diogneto à “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua,
né per costumi. Non abitano città proprie, né usano un gergo particolare, né conducono uno
speciale genere di vita. Abitano nella propria patria ma come stranieri; partecipano alla vita
pubblica come cittadini ma da tutto sono staccati come stranieri, ogni nazione è la loro patria e
ogni patria è una nazione straniera. Vivono nella carne ma non secondo la carne. Dimorano sulla
terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le
leggi.”
Non può sussistere alcun rapporto organico fra l’individuo e la comunità politica: la politica è neutra
in quanto non può esprimere alcun valore spirituale e la società politica si riduce quindi alle
istituzioni che garantiscono ordine e pace temporali.
Premessa alla concezione cristiana del potere à Epistola ai romani: sussiste un dovere di
obbedienza del cristiano nei confronti dell’autorità costituita in quanto ogni potere deriva da Dio
(“non c’è autorità che non venga da Dio”). Colui che si oppone all’autorità si oppone all’ordine
stabilito da Dio. L’autorità è lo strumento di Dio per condurre al bene ed è necessario essere
sottomessi per obbligo di coscienza. È questo il motivo per cui son pagate le tasse: i magistrati
sono ministri di Dio per adempiere a questo ufficio. La sottomissione del cristiano all’autorità
politica è un obbligo di coscienza, che costituisce il limite preciso della sottomissione al potere
politico. Il cristiano è tenuto a prestare obbedienza solamente fino a che non oltrepassi le funzioni
che le sono proprie. Qualora chi governa richieda all’individuo un comportamento che negai suoi
valori spirituali, egli deve rifiutarsi di obbedire “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”. La
società politica è un sistema di comandi continuamente verificati e legittimati dalla coscienza degli
individui che delimitano l’area di legittimità del comando stesso.

4.I problemi scaturiscono dai rapporti tra realtà temporale e spirituale (o ordine). L’ordine spirituale
assume anche un significato istituzionale si riferisce ad una organizzazione visibile, la Chiesa:
Cristianesimo significa anche Ecclesia à assemblea dei cittadini. I cristiani costituiscono una unità
in cui non sussistono più distinzioni. Solo nella Chiesa il cristiano partecipa alla vita sacramentale
che lo libera dal peccato che costituisce il limite con le sole forze umane al compimento del bene. Il
male secondo San Paolo scaturisce da una contraddizione che l’uomo non riesce a superare: la
concezione paolina del peccato individua la differenza tra la visione cristiana dell’uomo e quella del
mondo classico e che rivela l’autonomia della posizione religiosa e spirituale del Cristianesimo.
La Chiesa è una comunione reale del cristiani con il Cristo; la Chiesa istituzione esprime la
struttura che le è propria mano a mano che vengono definite le questioni attinenti alla Chiesa
“invisibile”.
S. Cipriano à esprime la concezione basilare della Chiesa: la Chiesa si fonda sul vescovo, capo
della comunità dei fedeli e successore della potestà conferita dal Cristo agli apostoli.
La Chiesa, già nella seconda metà del II secolo, si presenta come una istituzione completamente
autonoma. I cristiani formano un solo corpo che ha per base la consapevolezza di una religione
comune e il pegno di una speranza comune.
L’imperatore Costantino riconosce ufficialmente il Cristianesimo con l’Editto di Milano del 313,
richiamandosi all’Editto di Galerio, con cui era concesso ai cristiani piena libertà di culto e di
riunione. L’imperatore afferma che tale diritto doveva essere riconosciuto ai fedeli che facessero
parte della Chiesa. Con i successivi editti fu consentito al vescovo la manomissione degli schiavi e
l’amministrazione della giustizia fra i membri della sua chiesa che ne avessero fatto richiesta.
Questi provvedimenti si inserivano in un disegno politico preciso, quello di trasformare la nuova
religione in un “instrumentum regni” al fine di rinsaldare la compagine politica dell’impero.
Costantino divenne l’arbitro supremo della vita della chiesa cristiana.

5. L’impero corrisponde, secondo Eusebio, ai disegni divini: l’unità politica del mondo era la
premessa necessaria perché potesse diffondersi il messaggio di Gesù, il Logos, il mediatore fra
Dio e gli uomini. Le vittorie di Costantino sono la dimostrazione che l’Impero è stato voluto da Dio
(l’imperatore è il “rappresentante” di Cristo). Tra monarchia celeste e monarchia terrena sussiste
un’intima connessione: come vi è un solo Dio, un solo Logos, così vi deve essere un solo basileus,
un solo monarca, e quindi una sola legge, quella imperiale. Regno celeste e regno terreno solo
due aspetti di un unico reggimento di Dio. L’imperatore ha il diritto di convocare i concili universali
per definire i principi della fede: nel primo concilio ecumenico (324) fu condannata la dottrina di
Ario e definiti nel Credo i principi essenziali della fede cristiana. La funzione di cura e di tutela della
Chiesa, assunta da Costantino, doveva trasformarsi in un vero e proprio primato dell’autorità
imperiale nei confronti della Chiesa, che fu considerata alla fine come un’istituzione rientrante nel
sistema di governo imperiale: il Cesarismo si trasformò in Cesaropapismo, dato che l’imperatore
decise di disciplinare la vita interna della Chiesa.
La Chiesa universale è considerata come l’unità dei vescovi e delle chiese locali intorno al vescovo
di Roma che possiede la pienezza dell’autorità. La Chiesa di Roma si identifica a poco a poco con
la Chiesa latina di occidente.
Papa Gelasio formula la teoria dei rapporti che intercorrono tra la Chiesa e l’impero; sussistono
due principi con i quali si governa il mondo: l’autorità sacerdotale (riguarda la religione) e la potestà
regale (riguarda la politica).
Dopo la venuta del Cristo le due funzioni furono rigorosamente separate. L’unica ragione di
supremazia della Chiesa è data dal fatto che essa abbia un maggior carico di responsabilità nei
confronti di Dio in quanto attiene la salute delle anime. Per Gelasio però è una superiorità sul piano
della dignità che non può tradursi sul piano giuridico e politico.

CAPITOLO 7. Stato e ordine politico in s. Agostino

7.1 S. Agostino - De civitate dei


354-430. La politica è valutata nella prospettiva di una concezione teorico-filosofica della storia
universale ed ha un preciso riferimento alla concezione ciceroniana della repubblica, ai rapporti tra
l’impero e la chiesa ed alle questioni più complesse poste dai quei rapporti all’etica cristiana.
Scrive l’opera in occasione della conquista e del sacco di Roma da parte dei Visigoti. Sembrava
aver trovato fondamento l’accusa rivolta ai cristiani dagli ambienti politici che erano rimasti fedeli
alla religione degli antichi dei di Roma, di aver promosso la decadenze della potenza militare
dell’impero con la diffusione dei loro ideali avversi all’etica civile romana. Voleva dimostrare
l’inconsistenza di questa accusa valutando i rapporti tra Cristianesimo e Impero.
Ci sono 2 modi di vivere, due mondi umani, due popoli, due città che risalgono alle origini della
storia del genere umano e sono il costante punto di riferimento della storia universale. Le due città
sono la Civitas Dei e la Civitas terrena: civitas indica l’unità degli intenti che ispira tutti i
comportamenti di coloro che la costituiscono, quindi la concordia e l’affinità tra i suoi componenti.
La Civitas dei è composta da coloro la cui vita è ispirata all’amor dei. La Civitas terrena è formata
da coloro che ispirano le loro azioni all’amor sui. L’amor di sé, portato sino al disprezzo di Dio
generò la città terrena, l’amore di Dio, portato sino al disprezzo di sé generò la cità celeste.

Il vincolo che unisce gli uomini delle due città è l’amore: amor sui e amor Dei. L’amore è il principio
dinamico della volontà, ciò che spinge a volere. L’amore è un’energia che tende a conseguire una
serie di beni secondo un determinato ordine. L’amore di se stesso esprime un proprio ordine che si
realizza nella città terrena. Amare se stessi significa conseguire tutti i beni terreni che possono
darci piena soddisfazione, in modo che il nostro animo non sia più turbato e rattristato. La
soddisfazione è lo stato di pace con se stesso. È il desiderio di pace che spinge l’uomo ad uscire
da se stesso e stabilire rapporti sociali con gli altri. Iul desiderio della pace è una caratteristica
della natura dell’uomo. La pace è la ragion d’essere della società umana.

Il fine della politica è di conseguire e mantenere la pace: la repubblica, l’autorità, il potere, le


istituzioni, le leggi debbono essere predisposte in vista della pace. Per avere la pace gli uomini
devono avere desideri e comportamenti che siano in essa corrispondenti. La pace si riflette nella
società degli uomini, nella famiglia e nello stato.
Ci sono 2 paci: della città celeste e della città terrena. La prima è eterna perché ha il suo
fondamento in Dio, la seconda è insidiata dalle passioni sempre mutevoli degli uomini, è incerta,
provvisoria e può essere infranta dagli odi e dalla lotte.
La pace è l’unione dell’ordine. L’ordine è la disposizione che assegna ogni cosa al suo posto.
Questa disposizione ritrova la sua fonte e legittimità in Dio, nella sua legge, la legge eterna ch
corrisponde alla ragione e alla volontà di Dio e comanda di conservare l’ordine naturale. Questa
legge è costitutiva della coscienza dell’uomo e le consente di percepire i principi primi dei
comportamenti umani cioè le evidenze morali che sono comuni a tutti gli uomini e che formano la
legge naturale.

7.2 Differenze tra Cicerone e Agostino


Mentre Cicerone trovava la giustizia nel diritto, Agostino dice che la vera giustizia è quella che si
fonda sulla legge eterna, che si esprime nella volontà di Dio e si attua solo nella città di Dio. Nella
città terrena esiste solo una giustizia terrena.
Lo stato deve essere definito come la cosa del popolo ma il popolo deve essere definito come
l’unione degli individui fondata sulla concorde comunione delle cose che essi amano. Lo stato e
l’ordinamento politico sono l’amore di tutti i consociati per determinate cose.
Solo l’amore può stabilire un reale rapporto di unione, di comunione dei sentimenti e di fare della
moltitudine un’unità che sia il fondamento dello stato.
Lo stato è costituito dai seguenti elementi:
1. un’associazione di individui
2. un capo che comanda
3. un patto sociale
4. una serie di convenzioni precedentemente concordate

il potere si esercita sulle creature razionali, il dominio su quelle irrazionali. Il potere rispetta i diritti
dei suoi sottoposti, il dominio asservisce in tutto e per tutto le persone ai fini di chi lo esercita.
Corrispondenza tra l’oggetto dell’amore e l’ordine della società politica: questo muta col mutare di
quello. Quanto più l’oggetto dell’amore corrisponde alla virtù tanto più l’ordine politico sarà stabile e
lo stato sarà in grado di garantire la sicurezza.
Le tradizionali virtù terrene: temperanza, prudenza, fortezza, saggezza, anche se non illuminate
dalla fede, se perseguite con costanza possono far sussistere un ordine terreno e quindi un
ordinamento politico ben costituito.
Se l’oggetto dell’amore non è consono alla virtù perché si vogliono soddisfare i desideri dettati
dalla passioni si inizia un processo di disarticolazione dell’unità degli intenti, entra in crisi la
concordia tra i consociati e le divisioni degenerano in contrapposizioni. Così il popolo non sarà più
in grado di autogovernarsi, le scelte de magistrate sono dettate dalla corruzione di quanti aspirano
al potere. Diviene necessario che il governo venga assunto su iniziativa di una persona dotata di
virtù e autorità o da una ristretta aristocrazia o da uno solo.

7.3 Motivi di crisi e corruzione secondo S. Agostino


Il motivo della crisi e della corruzione è nella natura dell’uomo che è contradditoria. È questa la
ragione della tendenza al disordine di ogni società politica. L’uomo, perché ama se stesso aspira
alla pace e vuole l’ordine che corrisponde, ma le cose che desidera e i suoi fini spesso
contraddicono questa aspirazione. Vuol l’ordine e la pace ma quello che fa provoca il disordine e la
guerra. L’amore dei beni temporali, come l’amore per il sapere e per la verità scaturisce nell’uomo
da un sentimento indefinito del bene assoluto cioè Dio: l’uomo che vive per la città terrena senza
alcun pensiero per la città celeste non riesce a riconoscere il ero oggetto di questo desiderio
indefinito e persegue una serie di verità e beni terreni che per essere finiti non riescono mai a
soddisfare il suo desiderio di felicità e di verità che in effetti aspira al sommo bene e alla verità
assoluta. Di qui, l’insoddisfazione e l’inquietudine che spingono l’uomo alla continua ricerca di
nuovi beni e nuove verità.
Bisogna distinguere l’amore per la gloria dall’amore della potenza e del dominio che spesso si
tramuta in libidine di dominio.
La città di Dio vive come pellegrina nel mondo ma si serve della pace terrena come di un bene che
appartiene all’ordine della creazione divina ed è impegnata a promuoverla ed a mantenerla.
Il precetto fondamentale della legge eterna è che sia conservato l’ordine naturale, vale a dire, per
quanto riguarda la città terrena che sia conseguita e conservata la pace: la guerra è il rimedio
estremo con cui lo stato assicura e difende la pace terrena contro le insidie e le violenze dei
malvagi. La guerra giusta deve essere sempre finalizzata alla pace e deve essere intrapresa solo
per la difesa.

CAPITOLO 8. Bene comune, comunità politica, potere: s. Tommaso

8.1 S. Tommaso - Commento alla Politica di Aristotele


1226-74 Accoglie l’eredita aristotelica e la ripensa alla luce dei valori propri della tradizione
cristiana.
Coglie le nuove esigenze maturate nella società del suo tempo.
Nel Commento alla Politica di Aristotele, Tommaso dice che la politica deve essere considerata
come scienza autonoma. Il campo della filosofia si estende a ciò che può essere conosciuto con la
ragione e fra i vari oggetti che la ragione conosce vi è la città che viene considerata come un tutto.
La disciplina che studia la città come un tutto è la scienza politica.
La politica non appartiene al genere delle scienze speculative che riguardano il momento della
comprensione, ma a quello delle scienze pratiche che si riferiscono all’operare. Ma la politica non
può essere concepita come scienza pratica come le arti meccaniche. Va considerata come scienza
che si riferisce all’azione degli uomini e che ha come oggetto i comandi, le disposizioni e gli ordini.
È la scienza dell’agire. La politica deve essere intesa come scienza architettonica che presiede al
coordinamento di tutte le altre discipline che riguardano le attività che si svolgono nella società. La
città, cioè l’oggetto della scienza politica alla stessa guisa delle cose fatte dagli uomini mediante le
arti meccaniche, è realizzata dagli uomini mediante la ragione.
La politica è considerata anche nella prospettiva cristiana dell’ordine come insieme di rapporti
istituiti dalla ragione dell’uomo. La società politica non corrisponde alla gerarchia fissata dalla
natura ma è considerata come l’ordine voluto dalla ragione dell’uomo per raggiungere i fini propri
della sua natura. L’ordine politico è voluto e realizzato dall’uomo mentre l’ordine naturale esiste
indipendentemente dalla volontà umana.

8.2 La Civitas secondo S. Tommaso


L’uomo è l’autore della comunità politica e non solo per conseguire le cose essenziali che gli sono
necessarie per sopravvivere ma anche per conseguire quei beni morali che solo la società gli può
offrire e che gli sono necessari per raggiungere la perfetta sufficienza della vita, non solo per
vivere ma per vivere bene.
Tommaso definisce l’uomo un animale sociale anziché un animale politico: la prima è la formula
usata da Seneca per sottolineare che il problema della felicità e quindi del sommo bene riguarda
solo l’individuo e non ha alcun riferimento allo stato; mentre la seconda adoperata da Aristotele
significa che la perfezione dell’uomo, la sua felicità, consiste di partecipare come libero alla vita
della polis. Se l’uomo è un animale sociale, la civitas non ha un valore solo un valore strumentale
ma è fatta dall’uomo per realizzare la sua natura. La civitas ha un fondamento nella natura
dell’uomo.
Non esiste una connessione organica tra l’individuo e la società ma una connessione d’ordine
fondata sulla natura sociale dell’uomo e resa operante dalla sua ragione e dalla sua volontà. Il
movimento dell’individuo non è determinato dalla società ma al contrario il movimento della società
è prodotto da quello degli individui che la compongono. La libertà è la caratteristica essenziale
dell’uomo in quanto capacità di autodeterminazione razionale che è il vero principio delle sue
azioni e comportamenti.
La civitas ha un suo specifico fine : il bene comune, a sua volta distinto dai beni particolari dei
singoli.
Tommaso usa come equivalente di civitas e respublica il termine communitas per porre l’accento
sul fine della società, il bene comune che è definito l’ordine nella pace.
L’unità d’ordine e la pace possono essere conseguiti se esistono nella comunità una o più persone
che dirigono i comportamenti dei singoli verso il bene comune, altrimenti la società si disarticola in
gruppi e fazioni contrapposte, dato che i singoli hanno sempre di mira il loro bene particolare.

8.3 La legge per S. Tommaso


Riconosce nella ragione una reminenza sulla volontà. L’obbligatorietà della legge scaturisce dalla
sua razionalità, non risiede nella volontà e nel comando del principe. I comandi del principe
devono essere intrinsecamente razionali cioè conformi ai principi posti dalla ragione umana: se li
violassero non sarebbero manifestazioni della volontà ma dell’arbitrio del principe. La legge è un
ordinamento della ragione in vista del bene comune, promulgata da colui cui spetta il governo della
comunità. La legge ha il compito di disciplinare il comportamento degli individui in vista del bene
comune. Poiché riguarda il bene comune, deve essere deliberata dalla comunità o dal suo
legittimo rappresentante. La legge positiva in quanto ordinamento della ragione in vista del bene
comune ha come presupposto l’ordine che regna nell’universo della creazione.
Precedono la legge umana,
- la legge eterna che si identifica con la ragione di Dio
- la legge divina manifestata agli uomini per il tramite della Rivelazione
- la legge di natura che si manifesta nella spontanea inclinazione dell’uomo ai fini razionali

Per la legge di natura l’uomo è in grado di distinguere il bene dal male. Sancisce i diritti della
personalità dell’uomo, il diritto alla conservazione della vita, alla formazione della famiglia,
educazione dei figli e vivere nella società.

La legge umana si distingue in diritto delle genti e diritto civile. Entrambe derivano dal diritto
naturale ma il primo riguarda la convivenza degli uomini in generale ed è ricavato soprattutto dal
diritto naturale, mentre il secondo comprende le disposizioni che si rendono necessarie per la vita
comune nell’ambito della società politica e dipendono da particolari esigenze dei singoli stati. La
legge umana è caratterizzata dalla mutabilità, per essere corrispondente a particolari problemi che
si presentano di volta in volta nella società. È caratterizzata anche dalla generalità in quanto deve
rivolgersi a determinate categorie di persone, avendo sempre di mira il bene comune.
La legge umana è necessaria perché gli uomini non si adeguano spontaneamente ai precetti della
ragione. Può essere facilmente distolto a causa delle passioni e dei vizi. La legge umana ha la
funzione di costringere l’uomo a seguire le norme. Tommaso si pone il problema di indicare la
forma di governo che consenta di far valere nei confronti dei governanti precisi limiti giuridici,
affinché il potere non violi la legge, non diventi oppressivo trasformandosi in tirannide. Tiranno non
è solo chi governa anteponendo il suo interesse a quello generale ma anche chi ha conquistato il
potere con la violenza. La tirannide è il trionfo della passione sulla ragione. La rivolta nei confronti
del tiranno più che un diritto è un fatto. L’oppressione diventa talmente intollerabile che determina
una reazione da parte dei sudditi. Ma questo fatto è comunque un episodio gravissimo per il
turbamento che arreca all’ordine e alla pace nella società. In base a quale principio usare la forza
contro chi detiene il potere? Questo problema può essere risolto solo se il diritto di resistenza al
tiranno viene sottoposto ad una procedura giuridico-costituzionale, se cioè viene trasformato in un
legittimo intervento degli organismi che rappresentano la società. La forma di governo che assolve
questa esigenza è la costituzione mista, fondata sull’armonico contemperamento della monarchia,
dell’aristocrazia e della democrazia che assicura l’unità di comando, la partecipazione dei migliori
al governo e l’elezione dei governanti da parte del popolo. È la costituzione per eccellenza della
quale aveva già parlato Aristotele. Il potere è disciplinato dalle leggi della comunità. Questa
disciplina cui il potere è sottoposto può essere fatta valere nei confronti del re che si comporti da
tiranno da parte degli organi che rappresentano la comunità e in ultima istanza dal popolo.
CAPITOLO 9. Chiesa, Impero, Regni: Dante, Marsilio

9.1 Visione politica di Dante


1265 - 1321. L’impero e la chiesa sono due costanti punti di riferimento affinchè l’uomo possa
pervenire alla sua salvezza eterna.
La crisi politica che travaglia la civiltà dipende dalla corruzione della chiesa che aspira a controllare
il potere politico. È una chiesa istituzione, una chiesa-stato che si è sovrapposta alla chiesa
spirituale.
Scrive la Monarchia in cui sono individuate le ragioni che giustificano l’autonomia dell’impero nei
confronti della chiesa.
La politica è lo studio sistematico dell’attività pratica per cui tutto ciò che è politica dipende da noi.
È necessaria la collaborazione tra tutti gli uomini, il desiderio di conoscere è il vincolo che fa di tutti
gli uomini una unità. La conoscenza richiede la collaborazione di tutti. Questo fine può essere
conseguito se tra gli uomini regna la pace. La pace universale è possibile solo se gli uomini
riconoscono un superiore ordine politico che la garantisca e che ha il suo centro unitario
nell’impero.
L’uomo a motivo di conoscere è portato a superare la cerchia della propria particolare società in
forme sempre più ampie di associazione con altri uomini: l’impero è il termine ultimo delle forme di
società perché corrisponde all’istituzione politica a carattere universale che realizza il principio
dell’unità del genere umano.
L’impero è la coordinazione di tutti i tipi di comunità minori, ognuna autonoma e indipendente ma
subordinata all’autorità dell’imperatore.
La legittimità della monarchia universale si basano sulla giustizia e sulla libertà.
Sogna l’avvento di un papa angelico che riporti la chiesa alla sua dimensione spirituale e la
risurrezione dell’impero.
L’imperatore, il monarca universale voluto da Dante deve essere super partes e deve solo vegliare
perché regni la pace.
Tesi dell’indipendenza della chiesa dallo stato. i due soli. Era stato interpretato politicamente
l’episodio della genesi per quanto riguarda la creazione del sole e della luna. Il sole
rappresenterebbe la chiesa e la luna l’impero. Ma Dante dice che la luna non dipende dal sole ma
dall’ordine che regola il movimento degli astri, voluto da Dio. Quindi il monarca temporale non
riceve la sua autorità dal potere spirituale ma solo una maggiore capacità ad operare a seguito
della consacrazione.
È più giusto parlare di due soli.

9.2 Marsilio Da Padova - Defensor Pacis


1275 – 1343 - Enuncia la grande polemica tra impero e chiesa che sarà poi ripreso dalla riforma
Luterana.
Considera la pace con riferimento alla prosperità dei popoli e al benessere dei cittadini. La pace è
insidiata dalla discordia che può generarsi tra gli uomini. La causa in Italia è rappresentata dalla
chiesa e dalla sua pretesa di esercitare una giurisdizione suprema nell’ambito dell’ordine
temporale.
All’imperatore spetta il compito di garantire e assicurare la pace. È proprio l’imperatore il defensor
pacis contro la pretesa ecclesiastica di dominio temporale che è la costante insidia alla pace.
Bisogna riportare i due ordini, spirituale e temporale ai propri confini.
L’unità che fa sussistere lo stato come entità reale deve essere riferita alla coordinazione di tutte le
parti che costituiscono il corpo politico a un unico fine. È il governo che realizza l’unità della società
politica.
La forma migliore di governo è la monarchia elettiva che governa nel rispetto della volontà dei
cittadini. Si riferisce alla politeia come costituzione fondata sul consenso dei liberi che si alternano
al potere. I principi fondamentali di un giusto governo devono essere: l’elezione del governante da
parte dei governati, l’esercizio del potere secondo la volontà dei cittadini. Il tiranno è chi governa
contro la volontà dei suoi sudditi.
La legge è il risultato della collaborazione di un gran numero di individui che formano le norme che
devono regolare il comportamento dei singoli della società finalizzandolo all’utile della comunità. La
legge è la regola mediante cui deve essere realizzata la giustizia civile.

La legge trova la sua causa efficiente nella volontà del legislatore umano che la definisce secondo
le esigenze dello stato.
La libertà consiste nel non essere costretti a sottostare al comando altrui. Il cittadini sarà libero
quando dovrà obbedire al comando di una legge la cui approvazione ha partecipato. Il comando
della legge non è l’espressione di un’autorità che sovrasta tutto e tutti ma si riduce al comando che
i cittadini rivolgono a se stessi.
Fonda la giuridicità della legge su due presupposti: che venga obbedita dalla maggioranza dei
cittadini e che sia munita di una sanzione che obbliga all’obbedienza. La forza fa valere il comando
contenuto nella norma. La forza deriva dalla coesione di tutte le parti che costituiscono la comunità
politica.
La forza si esprime come istituzione nel governo che è il principio attivo del movimento di tutto il
corpo politico. La forza, il potere, il governo sono principi e istituzioni temporali, umani che trovano
la loro giustificazione solo in questa dimensione e non in coloro che si definiscono sul piano
soprannaturale della religione.
L’organizzazione politica della città è predeterminata dalle leggi e il potere è esercitato nell’ambito
delle leggi.

9.3 Religione e politica per Marsilio Da Padova


La religione deve essere considerata solo dal punto di vista dottrinale cioè come l’insegnamento di
Gesù che consente all’uomo di potere conseguire la salvezza eterna. La chiesa-istituzione non ha
alcuna ragion d’essere: viene privata di ogni potere disciplinare in quanto l’unico giudice dei meriti
e delle colpe degli uomini è Gesù.
L’insegnamento non può essere assistito dalla sanzione in quanto la fede non può essere coercita
per essere efficace deve essere spontanea e libera.
La coazione, la forza sono attribuiti alla società politica e non possono essere riconosciuti
all’organizzazione ecclesiastica.
La chiesa si riduce a un’associazione dei fedeli.

CAPITOLO 10. Realismo politico e autonomia della politica: Machiavelli

10.1 Pensiero politico di Machiavelli


1469-27 - Il suo pensiero politico è connesso all’amara e sofferta esperienza della profonda crisi
politica che investe alla fine del 400 gli stati italiani il cui sistema di alleanze grazie a Lorenzo il
Magnifico aveva garantito l’indipendenza dell’Italia dal dominio straniero.
Con la discesa di Carlo VIII si scoprì che le alleanze degli stati italiani non erano più in grado di
fronteggiare le potenze militari di Francia e Spagna.
La politica italiana era caratterizzata da una profonda crisi dell’etica civile e dalla corruzione degli
ordini politici che vanificava qualsiasi tentativo di dare stabilità e sicurezza agli stati. Il disordine
della sostanziale anarchia politica dell’Italia devono essere ricondotte alla natura dell’uomo.
L’animo umano permane identico nella storia, l’umanità dell’uomo è in trasformabile.
La situazione umana nel cui ambito si esprime la politica è caratterizzata dalla dialettica ordine-
disordine, nel senso che l’ordine è continuamente insidiato dal disordine, per il quale l’uomo
sembra avere una vocazione e nel contempo l’ordine nasce dal disordine. Il fatto che la politica sia
caratterizzata dal continuo mutamento dipendono dalla natura dell’uomo. L’uomo è strutturato in
modo da aspirare costantemente a volere tutto, mentre dispone di mezzi limitati che gli consentono
di conseguire poco. Motivo per cui l’uomo vive in uno stato di perenne incontentabilità che lo
spinge a volere sempre di più e modificare le situazioni nelle quali si trova. L’incontentabilità che
caratterizza l’animo umano porta l’uomo ad oscillare tra la noia e il dolore. La natura umana fa si
che l’uomo si tormenti nel male; così l’uomo si toglie dal male e dal tormento e ricerca il bene, ma
quando è stato conseguito non soddisfa più l’uomo, anzi gli riesce del tutto insopportabile così che
si toglie dal bene per tornare nel male.

10.2 Politica come intesa da Machiavelli


La politica non è costruita sulla teoria ma diventa analisi e descrizione del comportamento politico
quale effettivamente si realizza. Diventa criterio di interpretazione della storia e questa indica in
concreto come si determinano le situazioni politiche tipiche da cui è possibile ricavare le regole cui
deve informarsi l’azione politica.
La politica consiste nello studio dei mezzi e accorgimenti mediante cui l’uomo viene sottratto al
disordine, verso cui tende naturalmente, per essere mantenuto nell’ordine.
Usa la parola Stato per indicare che la comunità politica ha una sua autonoma ragion d’essere,
cioè ritrova in se stessa la giustificazione della sua esistenza: perciò lo stato è definito come
dominio che ha impero sopra gli uomini. Stato si identifica con la forza e si realizza nel comando
che esercita su coloro che sono assoggettati al suo potere. Lo stato è concepito come forza
perché è solo grazie a quest’ultimo l’uomo è sottratto al suo egoismo, alla dispersione e al
disordine generati in lui dalla sua malvagità. Solo la forza mantiene gli uomini uniti nella società. La
dinamica della politica si esprime nella lotta per la conquista e la difesa del potere.
Distingue due tipi di stato:
il principato: è quello stato e ordine politico caratterizzato dalla unità di comando, realizzata da un
solo individuo (ma non inteso automaticamente come governo assoluto)
la repubblica: è quella forma di stato in cui assume rilievo determinante l’autorità del popolo, che
gode di un’ampia libertà in quanto può partecipare al governo della cosa pubblica.

Machiavelli è deciso assertore della costituzione mista a modello di quella romana, fondata sulla
compartecipazione al potere politico del principe dell’aristocrazia (ottimati) e del popolo.
I principati vengono distinti in ereditari e nuovi. I principati nuovi possono essere conquistati con le
armi proprie o altrui, con la fortuna o con la virtù.

I veri problemi politici nascono con i principati nuovi perché si tratta di procedere ad una accurata
analisi che tenga conto di tutti gli elementi della situazione e delle diverse reazioni che la politica
del nuovo principe suscita nei sudditi.
Ogni atto politico con cui si modifica una precedente situazione per conquistare o mantenere il
potere ne determina una nuova nel senso che offre diverse possibilità di scelta e consente di
optare per l’una o per l’altra azione politica. L’azione politica è necessitata dalla situazione in cui si
trova chi opera, e necessitante in quanto crea una nuova situazione che ritorna sull’uomo politico,
costringendolo ad agire, cioè ad adoperare delle scelte: una volta attuate queste scelte il politico
diventa prigioniero degli avvenimenti politici che lui stesso ha determinato.
Gli stati partecipano alla stessa natura degli uomini: tendono, per conservarsi a estendere il loro
dominio.

10.3 Qualità del principe di Machiavelli


Nel Principe vuole individuare le qualità che il principe deve avere per essere lodato e non
disprezzato dai sudditi dato che il principe deve far tutto al fine di evitare il loro odio.
La politica è lo studio dei mezzi con cui conquistare e conservare lo stato. Occorre chi e il principe
ponga attenzione ai vizi che gli tolgono lo stato. È meglio essre giudicato parsimonioso anziché
liberale dato che la libertà lo costringe ad attingere in misura eccessiva ai patrimoni dei sudditi
determinando un sentimento di odio per la sua rapacità. È meglio essere considerato pietoso che
crudele: però bisogna prestare attenzione al fatto che possono verificarsi situazioni in cui essere
pietoso si rivela controproducente per la tranquillità e la pace dei sudditi mentre un atto di
fermezza e crudeltà evita mali di gran lunga maggiori. Meglio essere amato che temuto ma data la
natura degli uomini è più prudente fondare il potere su un salutare timore.
La prima preoccupazione del principe deve essere di evitare l’odio e il disprezzo, perché la prima
passione vince il timore che il potere incute ai sudditi e li induce a combattere il principe, la
seconda spezza il vincolo che unisce i sudditi al principe e in caso di necessità non potrà contare
su di loro. Solamente la forza e l’accortezza sono i principi fondamentali cui deve ispirarsi l’azione
del principe, in quanto solo con questi mezzi le passioni possono essere disciplinate.
Ci sono due modi di governare: il primo con le leggi e il secondo con la forza: questo proprio delle
bestie, quello proprio degli uomini. Poiché il primo a volte non è sufficiente, bisogna ricorrere se
necessario al secondo. Un principe deve saper bene usare la bestia e l’uomo, la volpe e il leone.
Il principe deve saper dissimulare, saper colorire, cioè trovare le giustificazioni convincenti della
mancata osservanza dei patti sottoscritti.
Sono affermazioni che operano una distinzione tra gli interessi politici e i principi fondamentali della
morale e sembrano implicare la riduzione della morale alla politica.
Ai fini politici non c’è bisogno che il principe sia pietoso, umano, religioso, sincero, leale, fedele:
l’importante è che sembri essere tale e che sembri essere attento osservante della religione.
In politica l’essere non corrisponde al sembrare: noi non sembriamo quello che siamo.
Due sono le sfere nel cui ambito deve essere valutata l’azione: quella privata e quella pubblica,
sociale, politica, nella quale l’azione ha una risonanza più ampia. Mentre nell’ambito della sfera del
privato sussiste l’uguaglianza tra l’essere e il sembrare, nella sfera pubblica tale corrispondenza
viene meno: accade che azioni che hanno come fine il bene dei consociati sembrano per questi
ultimi perseguire fini opposti. Per questo il principe deve sembrare umano, fedele, religioso, nel
senso che deve comportarsi in modo tale da ingenerare in chi considera i suoi atti il convincimento
che questi ultimi sono ispirati a quei valori. La società politica non può esistere senza che questi
valori vengano affermati e quindi riconosciuti.

10.4 La storia per Machiavelli


Machiavelli propende per una concezione naturalistica della storia, nel senso che il corso degli
avvenimenti umani segue il ciclo naturale degli esseri viventi onde gli stati nascono, diventano
potenti, decadono e poi muoiono per rinascere e ripercorrere le stesse fasi. Questo stesso
movimento ciclico quale passaggio dall’una all’altra forma di governo, compiono le istituzioni.
La storia sovrasta gli uomini nel senso che gli uomini non riescono ad orientarla secondo i loro
propositi. L’uomo e cioè il politico può inserirsi nel corso degli avvenimenti sfruttando le occasioni
favorevoli e predisponendo gli opportuni mezzi per eliminare e ridurre al minimo i danni provocati
dalle situazioni sfavorevoli.
Per inserirsi quale forza autonoma e determinante della storia il principe deve essere dotato di
virtù: la virtù di Machiavelli non indica la capacità dell’individuo di saper regolare i suoi
comportamenti secondo le norme della morale ma l’assoluta concentrazione di tutte le sue energie
sul fine proprio della politica, la conquista e la difesa del potere. Da tale concentrazione scaturisce
la prudenza cioè la capacità di razionalizzare i propri comportamenti per indirizzarli al
conseguimento del fine.
La virtù si contrappone alla fortuna che indica l’indeterminatezza propria del corso degli
avvenimenti umani, che si sono sottratti al controllo degli uomini. La fortuna è connessa con la
tendenza alla dispersione e al disordine che è una delle caratteristiche fondamentali della natura
umana. La fortuna viene paragonata a un fiume il cui corso, non essendo regolato da opere di
sistemazione degli argini distrugge le campagne e le città che attraversa. Se in tempo utile fossero
stati eseguiti i lavori idonei tanta rovina sarebbe stata evitata. La virtù costituisce l’argine più
efficace nei confronti del fiume impetuoso che scorre nella storia e che alla fine dilaga in quei paesi
che per essere sforniti di virtù rappresentano lo sfogo di questa piena. Ciò è quello che accade
all’Italia che al momento della piena si è trovata sprovvista degli argini efficaci.
La virtù può sempre contrastare la fortuna e a volte sottometterla. La politica è la possibilità
dell’uomo virtuoso di farsi artefice della storia.

Nell’analisi machiavellica la dinamica politica scaturisce dalla contrapposizione politica-morale,


politica-religione, fortuna-virtù, necessità-libertà.
Il Principe è il codice dei tiranni, lo scritto che insegna come fondare e mantenere un governo
assoluto.

10.5 I Discorsi di Machiavelli


I discorsi svelano l’anima repubblicana di Machiavelli. La preoccupazione fondamentale è di
dimostrare sulla base di quali ordini politici e mediante quale precettistica sia possibile fondare e
conservare uno stato che abbia come principio primo il suo ordine politico e la libertà del popolo. Il
pessimismo che caratterizza il principe nei confronti dell’umanità si converte in una concezione
positiva in quanto i molti diventano un soggetto attivo e sono considerati come popolo.
La cacciata di Piero de Medici, la repubblica Savonarola, quella oligarchica di Pier Soderini e il
ritorno dei Medici del 1512 dopo al sconfitta dei francesi a Pavia sono le vicende che fanno sfondo
all’elaborazione delle sue tesi. I discorsi vogliono studiare i motivi per cui il contrasto tra nobili e
plebei, tra senato e popolo, che caratterizzò la storia di Roma, invece di condurre come Firenze lo
stato alla rovina, fu la causa determinante della sua grandezza. Al popolo bisogna affidare i poteri
necessari per difendere la libertà contro i tentativi dei grandi ci instaurare un regime oligarchico. Il
vivere libero è l’ideale politico supremo che deve immedesimarsi col popolo.
Il popolo è in grado di garantire una stabilità politica superiore a quella del principato. Il popolo è
meno diffidente del principe nei confronti dei cittadini che con la loro attività politica hanno
acquistato grandi meriti nei confronti dello stato. È anche meno ingrato. La repubblica rispetto al
principato offre più garanzie di fedeltà ai patti sottoscritti.
Se il Principe studia i problemi che si pongono intorno allo stato potere, allo stato-forza, i Discorsi
trattano problemi inerenti allo stato comunità: la forza politica non è più lo strumento di cui si serve
il principe per conquistare e mantenere lo stato ma viene vista in questo caso nella sua genesi: si
cerca di capire cosa sia la forza per individuare il rapporto tra questa e lo stato-comunità, come la
forza si genera nella società politica: promana dalla virtù di cui sono capaci tutti i componenti della
stessa comunità.
Il concetto di virtù nei discorsi non solo implica la capacità di saper agire con prudenza e fermezza
sul piano politico ma indica anche la capacità di saper disciplinare i propri comportamento
nell’ambito della comunità ai fini del bene dello stato. Nel Principe lo stato è formato per opera del
principe che lo forma a sua immagine e somiglianza e il popolo è soggetto puramente passivo. Nei
Discorsi lo stato si genera da se stesso, nasce e si forma nella storia.
L’organizzazione dello stato-comunità si struttura in 3 livelli tra loro connessi: costumi, leggi e
ordini. Gli ordini sono le fondamentali istituzioni politiche sul quale si basa la costituzione dello
stato. Ordine si riferisce al modo in cui viene esercitato il potere cioè al diverso grado di
partecipazione del popolo e dei nobili all’amministrazione del potere e il modo in cui venivano
assegnate le cariche pubbliche.
Il popolo come anche il principe devono essere costantemente disciplinati e raffrenati dalle leggi. È
il sistema delle leggi che garantisce la libertà e soprattutto la sicurtà. Il potere del principe incontra
limiti precisi nel sistema delle leggi.
I costumi sono il vero fondamento dell’organizzazione statale in quanto è in essi che si esprime
quella virtù che consente a tutti i consociati di partecipare alla vita della collettività con
consapevolezza dei fini comuni. Il senso della comunità si radica e si esprime nella religione, nelle
forze con cui si realizza il culto divino.
La religione è essenzialmente timore di Dio, quel timore che è il presupposto dell’obbedienza alla
legge e al comando dei magistrati, il fondamento della fede sia privata che pubblica. Con la
religione gli uomini passano dal piano della ferocia a quello dell’umanità civile che sola consente
una vera società politica.
L’ordine politico insieme come insieme di ordini e leggi si fondano sul sentimento religioso della
collettività. L’autorità di Dio è il principio di legittimazione di tutte le leggi umane e fi tutte le altre
attività umane. Man mano che la religione si depotezia nella società, la forza che si esprime nel
potere deve crescere e aumentare la pressione sui soggetti sino a diventare assoluta. Quando si
sostituisce al timore di Dio il timore degli uomini, i governi hanno una breve durata.
La virtù politica di cui fu capace Roma scaturisce dalla religiosità di cui fu capace il popolo romano.
Essa consente all’uomo il massimo della concentrazione, è il presupposto di ogni forma di
autodisciplina e pertanto della costanza di saper mantenere l’impegno di anteporre il bene della
comunità a quello privato. La religiosità toglie l’uomo alla sua naturale inclinazione alla dispersione,
al disordine, incertezza, egoismo. Preserva il popolo dalla corruzione che si determina allorchè non
si avverte più l’importanza dei valori etico-civili e diventano invece preminenti gli egoistici interessi
dei singoli. La cura principale delle repubbliche e dei principi consiste nel mantenere incorrotta la
religione in quanto dalla sincerità, dalla purezza, dipendono le virtù politiche del popolo, i buoni
costumi, ordini, leggi.
La corruzione che caratterizza la politica italiana dipende dalla corruzione della religione,
conseguenza del comportamento scandaloso del clero e della chiesa romana, che essendosi
allontanata dai valori cristiani ha provocato un diffuso scetticismo e irreligiosità, causa di quella
totale assenza di valori etico-civili della società italiana che è il presupposto della corruzione che
ha reso gli italiani servi dello straniero.

CAPITOLO 11. Lo Stato e la comunità internazionale: Bodin, Suarez

11.1 Bodin 1529-96


La riforma aveva infranto il principio di unità di fede sulla quale si fondava la respublica cristiana e
aveva riconosciuto la piena legittimità delle nuove comunità cristiane, nate dopo la diffusione del
messaggio riformato. Si tentarono nuove forme di organizzazione politica mentre all’interno
dell’impero germanico si modificarono i rapporti fra i principati, i ducati, le città libere. Occorrevano
nuovi principi per regolare la nuova attività politica della Riforma. C’era l’esigenza di una
concezione sistematica dello stato che ne chiarisse i principi costitutivi che lo avrebbero distinto
dagli altri enti sociali.
L’opera politica di Bodin è una sintesi del pensiero politico del 500 e riflette i problemi della vita
politica francese nel periodo delle guerre di religione. Le guerre di religione avevano suscitato il
problema dell’unità dello stato francese. Si affermava sia da parte ugonotta che cattolica il primato
e la sovranità degli stati generali contro il poter della monarchia. Primato che significava primato
della religione sulla politica.
Le opere più importanti sono i Methodus ad facilem historiarum cognitionem e Les six livres de la
Republique. Rivendicano e dimostrano l’autonomia dello stato contro le confessioni religiose.

11.2 Il Methodus di Bodin


E’ il punto di partenza del pensiero politico di Bodin che può essere individuato nel rapporto tra
storia e politica. La storia umana non è predeterminata dalla natura né diretta dalla volontà di Dio.
Nelle sue scelte l’uomo è libero. La libertà dell’uomo è il principio che ci consente di concepire la
storia come risultato dell’attività dell’uomo che esprime a sua volta i principi sui quali si fonda
l’ordine civile e politico.
Lo stato è il risultato di un lungo processo storico che ebbe inizio in uno stadio primitivo degli
uomini, la cui vita era dominata dagli istinti, dalla paura, dai bisogni e dalla lotta per la
sopravvivenza. La società di natura fu caratterizzata da una vita umana ferina. Gli uomini
riuscirono a togliersi dalla vita ferina e a stabilire una vita umana e civile sottraendosi al dominio
degli istinti per diventare esseri razionali.
L’uomo cominciò ad essere razionale solo quando riuscì a mantenere costante la sua volontà per
conseguire determinati fini. La volontà pone da se stessa dei limiti alla sua assoluta libertà e vuole
i fini che le sono indicati dalla ragione. Gli uomini solo in virtù di una lunga esperienza storica, si
rendono conto che libertà ragione e volontà coincidono nel senso che l’uomo attua la sua vera
umanità quando vuole i fini che gli sono indicati dalla ragione. La forma di disciplina della volontà è
la religione: il timore di Dio consentì agli uomini primitivi di esprimere i primi principi di una
convivenza umana e di togliersi dalle condizioni della vita ferina. Si formarono così le famiglie, i
gruppi parentali, gentilizi, le tribù. La religione e le forme di culto sono il vincolo originario delle
società politiche.
Queste forme elementari di aggregazione sociale, a seguito delle lotte tra diverse tribù e gruppi
gentilizi costituirono le prime vere formazioni politiche denominate stato o repubblica la cui
caratteristica fondamentale è di esprimere la forza comune e una volontà comune. La politicità di
un organismo sociale che è il suo essere stato dipende dal fatto che si esprime innanzitutto con la
forza. Ma la forza non è altro che volontà in quanto energia che tende a realizzare il fine.
Nell’ordine politico questa volontà si esprime a sua volta nel comando delle leggi.
Allo stato, dopo Dio l’uomo deve tutto, la sua umanità, razionalità, libertà. Senza lo stato l’uomo
tornerebbe alla primitiva vita ferina.
Lo stato si forma dalla storia. Con le sue leggi, istituzioni, la forma di civiltà che esprime è la
struttura portante della storia. È il vero centro di unificazione delle attività degli uomini. Il principio
che fa sussistere lo stato è la sovranità.

11.3 I sei libri della repubblica di Bodin


La trattazione organica dei problemi che attengono allo stato venne ripresa nei 6 libri della
repubblica.
Per stato si intende il governo giusto che si esercita con potere sovrano su diverse famiglie e su
tutto ciò che esse hanno in comune tra loro.
Gli elementi dello stato sono: la famiglia, le cose comuni, il giusto governo, la sovranità.
La famiglia e non l’individuo è il soggetto attivo della comunità statale. L’individuo è un animale
sociale (coma anche per Aristotele): non può essere considerato dal punto di vista individuale ma
organicamente inserito nel gruppo sociale in grado di esprimersi come autonoma unità, che è la
famiglia. È proprio nella famiglia che si esprimono i tipi di comando e obbedienza sui quali si fonda
il sistema di comandi e obbedienze che caratterizza la società politica.
La prima distinzione tra i tipi di potere è tra potere pubblico e privato. Il primo si esercita dal
sovrano tramite la legge e i magistrati, il secondo viene esercitato dai capi delle famiglie. Il potere
del capo famiglia si riferisce alla moglie, ai figli, agli schiavi, ai servi.
Il potere si fonda sull’originaria autorità naturale propria di ogni uomo per cui egli non riconosce al
di sopra di sé alcun superiore se non Dio. L’uomo non riconosce altra autorità se non quella della
propria ragione. Il dominio che la ragione esercita sulle passioni è la prima forma di autorità. La
prima forma di potere è quella che l’uomo esercita nei confronti di se stesso. Il potere si esprime
nell’individuo inserito organicamente in un gruppo.
La famiglia è il gruppo sociale naturale originario in cui si esprimono le prime relazioni tra gli
individui. La famiglia precede storicamente lo stato che si costituisce solo quando si uniscono più
famiglie sotto un unico potere sovrano: in questo caso i padri di famiglia si spogliano del loro
potere e diventano cittadini.
Secondo elemento dello stato è ciò che è comune alle famiglie e a quanti vivono nello stato, ed è
costituito dai beni, servizi, disposizioni senza le quali non si può realizzare un’organizzazione che
possa servire a tutti. Lo stato implica necessariamente la sfera del pubblico. Ma la sfera del
pubblico per essere individuata nei suoi esatti confini deve essere riferita alla sfera del privato. La
distinzione tra pubblico e privato è richiesta nella concezione dello stato. Bodin è critico contro la
concezione comunistica e collettivistica dello stato.
Terzo elemento dello stato è la sovranità che unifica le persone e le cose e le fa sussistere in una
unità reale che si esprime nello stato. È la sovranità il vero fondamento su cui poggia tutta la
struttura dello stato e da cui dipendono i magistrati, le leggi, le ordinanze. È il legame e la sola
unione che fa di famiglie, corpi collegi, privati, un unico corpo perfetto.
Il quarto elemento è il governo giusto. Sovranità e governo giusto sono connessi tra loro perché il
governo giusto presuppone un potere sovrano e la sovranità è inscindibile dal governo giusto.

La sovranità è definita come il potere assoluto che non riconosce al di sopra di sé alcun altro
potere se non quello di dio. L’assolutezza significa che la sovranità trova in se stessa le ragioni
della sua determinazione e che non risponde a nessuna di queste ragioni tranne che a Dio. La
sovranità che non riconosce sopra di sé alcun potere se non quello di Dio non è altro che la forza
che attua il comando formulato dal diritto.
Stato, potere sovrano, forza in Bodin si identificano. La forza è tale perché esprime in se stessa il
principio che la limita per cui non sconfina nella violenza, nell’arbitrio, nella licenza. Il diritto è la
regola con cui la forza deve autodisciplinarsi per determinare l’ordine che consente a una pluralità
di individui di coesistere in una armonica unità, lo stato.
Lo stato ha un’origine storica in quanto si fonda sul processo di depurazione della violenza sino a
che non si esprima la forza a seguito delle lotte tra i gruppi gentilizi ed etnici: chi detiene la forza
deve affermare il principio di giustizia e ordine secondo i quali vengono regolati i rapporti tra
vincitori e vinti. Il potere sovrano si genera dal potere del pater familias allorchè i gruppi familiari
danno vita ad una superiore comunità che è governata da un unico potere sovrano.
Il principio che la forza debba essere assunta come energia-potere è ulteriormente precisato nella
distinzione dei tipi di potere che sono 3. sono assoluti ma i primi 2 sono giusti mentre il terzo è
ingiusto e legittima la resistenza attiva.
1. sovranità: è la forza che si manifesta tramite il diritto.
2. dominato: è il potere che ritrova nell’etica e nella religione i principi che lo limitano: si modella sul
potere sovrano dei padri nei nuclei gentilizi delle società primitive.
3. tirannia: è il potere che non esprime alcuna regola o valore che lo limiti e lo disciplini. Non si
fonda sulla forza ma si genera e si mantiene con la violenza. Tutto e tutti sono sottoposti all’arbitrio
del potere.

11.4 La sovranità per Bodin


La sovranità è un potere assoluto,
perpetuo: non può essere limitato nel tempo
indivisibile: consiste nell’unità dei poteri in cui si esplica
intrasferibile: perché delegarne ad altri l’esercizio significa spogliarsene imprescrittibile: attiene
all’unità dello stato e alla sua esistenza e non può essere perduta per il mancato esercizio di
alcune prerogative per un certo periodo di tempo.
I poteri della sovranità sono la potestà di fare leggi, modificarle e interpretarle.
La potestà legislativa è il nucleo della sovranità e ad essa si connettono gli altri poteri che si
riferiscono alle attività che sono determinanti per l’esistenza dello stato: dichiarazione di guerra e
pace; esame dei giudizi dei magistrati; nomina e destituzione dei più alti ufficiali dello stato;
imposizione o esenzione dei tributi; fissare il valore legale delle monete; imposizione ai sudditi del
giuramento di fedeltà.
La teoria della sovranità e l’individuazione della sua vera essenza consente di dimostrare che gli
Stati Generali non possono rivendicare alcun potere autonomo nei confronti della monarchia in
quanto detentrice della stessa sovranità. Gli Stati Generali hanno il compito di informare e
ragguagliare il re della situazione del paese; hanno il diritto di essere informati e informare per
quanto riguarda i provvedimenti richiesti dal paese e di formulare proposte; sono il necessario
momento istruttorio per quanto riguarda la definizione dei provvedimenti legislativi che debbono
essere presi, ma la decisione spetta a chi detiene il potere sovrano.
Il diritto divino e il diritto naturale sono la premessa fondamentale per intendere in quale modo il
potere assoluto, in quanto sovrano debba considerarsi delimitato: lo stato sovrano deve essere
considerato uno stato costituzionale nel senso che la gestione del potere politico è sottoposto ad
una serie di limiti che fanno parte della struttura dello stato. Sussistono delle leggi fondamentali
che si riferiscono all’organizzazione politica dello stato francese, definite nel corso della storia, che
non possono essere modificate dal re (esempio la legge salica).
L’altro limite è la proprietà: il re non può privare il suddito della proprietà se non nei casi previsti
dalla legge. La proprietà è un diritto assoluto sottoposto all’impero dalle leggi che si fonda sul
diritto divino e naturale. La proprietà è una forma di garanzia costituzionale della libertà civile dei
cittadini. Il monarca ha una posizione di supremazia nell’ambito pubblico ma è sottoposto alle leggi
e al giudizio dei magistrati quando le sue azioni attengono alla sfera dei diritti della proprietà
privata.

Il principio della indivisibilità della sovranità non consente di accogliere la concezione dello stato
misto teorizzata da Polibio. Non ha alcuna possibilità di attuazione in quanto la sovranità non può
che appartenere o a una persona (monarchia) o ai pochi (aristocrazia) o al popolo (democrazia).
Lo stato sussiste solo se viene assicurata l’unità della decisone e del comando. Il conflitto di
attuare uno stato misto determinerebbe un conflitto inevitabile tra i diversi centri di potere che
degenererebbe in guerra civile per decidere con le armi a chi deve appartenere la sovranità.
Il principio della costituzione mista può essere attuata solo nell’attività di governo e riguarda i criteri
cui deve essere informata: si riferisce alla ratio gubernandi e non allo status civitatis.

11.5 La giustizia per Bodin


La giustizia può ispirarsi a 3 criteri:
1. aritmetico: si fonda sulla mera uguaglianza numerica ed è la norma di tutte le democrazie. La
costituzione democratica finisce col misconoscere la diversità delle posizioni sociali che sono il
risultato dei diversi meriti degli individui. Con la sua politica livellatrice determina un conflitto di
interessi che esplode in lotte civili.
2. geometrico: si riferisce al concetto di proporzione al quale richiamano le aristocrazie. Questo
finisce, in una costituzione aristocratica, per sancire l’oppressione dei pochi sui molti, che vengono
esclusi dagli uffici e dagli incarichi dello stato e non ottengono riconoscimento politico dal ruolo che
svolgono nella società. Ha una gerarchia sociale molto rigida che crea tensione con le categorie
che cercano di affermare i propri diritti.
3. armonico: è il contemperamento del primo e del secondo e informa la costituzione monarchica.
La costituzione monarchica assicura il massimo di stabilità allo stato, riconoscendo ad ogni
individuo quanto gli spetta per il suo status sociale e per i suoi meriti. La monarchia è la forma di
governo che più si avvicina all’ordine naturale (per il quale i prudenti, i forti e i saggi devono
comandare i prudenti, gli ignoranti e gli inetti) perché solo la monarchia può fare da arbitro tra le
due forze sociali che sono rappresentate dall’aristocrazia e dal popolo.

Il monarca deve occuparsi delle questioni che attengono all’esistenza dello stato. Non può
parteggiare per nessuno, partito o confessione religiosa perché lo stato è al di sopra di ogni
confessione. Bodin come Macchiavelli dice che la religione è il fondamento dello stato. Il monarca
deve mantenere incorrotta la religione ed evitare che l’unità di fede e culto venga spezzata dalla
pluralità delle confessioni.
La superstizione non equivale ala religione. Raccomanda al monarca di evitare sia la prima che
l’ateismo.
Le confessioni nate dalla riforma sono le cause delle lotte che minacciano di distruggere il regno di
Francia. Il Cattolicesimo è invece l’ispirazione religiosa che ha ispirato il processo di unificazione
della Francia intorno alla monarchia e quest’ultima deve difenderlo. L’unità religiosa può essere
ricostituita dal monarca solo tramite una sincera professione della vera religione tramandata dalla
tradizione del suo regno. Con la forza dell’esempio porterà i suoi sudditi all’unità e alla pace
religiosa.

11.6 Suarez 1548 – 1617


Difende l’autonomia del potere politico sia contro le concezioni libertarie degli anabattisti che
contro la concezione luterana e calvinista che aveva riportato lo stato nella manifestazione della
volontà divina.
Sostiene la distinzione tra temporale e spirituale.
Il diritto di natura è il fondamento dell’autonomia dello stato e il presupposto per la
costituzionalizzazione del potere politico.
L’assolutismo fondato dal diritto divino dei re non ha riscontro nel diritto di natura. Il sovrano è
responsabile dinnanzi alla sua comunità.
La comunità è costituita e posta in essere dagli individui, ma il potere, non scaturisce dagli individui
ma dalla comunità. La sovranità si fonda sul diritto di natura.
L’essenza del potere politico risiede nel comando, nella possibilità di imporre ai consociati un
determinato comportamento. L’uomo non possiede tale potere: ogni uomo è libero e in quanto
razionale, ha diritto di autogovernarsi. Egli non può governare un suo simile. Il potere non deriva
dai singoli individui che lo delegano ai governanti ma promana dalla comunità in quanto unità
reale.
Non bisogna confondere il potere del pater familias con il potere politico. Il primo è un potere di
direzione mentre il secondo si esprime nel comando.
Il potere politico inerisce la comunità concepita come unità reale e costituisce il principio
dell’indipendenza e della libertà della stessa comunità.
La comunità politica è costituita da un insieme di individui che esprime volontà comune.
La sovranità non è attribuita da Dio ai monarchia ma è concessa dalla comunità al monarca.
Il potere deve quindi essere finalizzato al bene comune e da ciò derivano delle regole di condotta
precise. Quindi la comunità ha sempre diritto di resistere con la forza al re che si comporti da
tiranno.
Nel costituire la società, ogni uomo non ha trasferito alla comunità il diritto di tutela dei propri beni
e della propria vita che quindi legittima i singoli a restaurare con la forza l’ordine politico che
garantisce loro la vita e i beni.
La monarchia, l’aristocrazia e la democrazia vengono scelte dalla comunità quali costituzioni che
corrispondono meglio alle loro particolari esigenze.
La democrazia corrisponde all’essenza della comunità in quanto il potere politico per diritto di
natura appartiene alla comunità. Mentre l’aristocrazia e la monarchia trovano il loro fondamento
solo nel diritto positivo umano. La democrazia si fonda sul diritto naturale e poi su quello positivo
umano.
La legittimazione della monarchia risiede nell’atto del conferimento del potere da parte della
comunità. Ma ciò non significa che tale potere debba essere considerato assoluto e che la
comunità sia assoggettata al monarca. Il potere è affidato al monarca sotto determinate condizioni
che devono essere rispettate dal sovrano e che se fossero violate legittimerebbero la resistenza
attiva del popolo nei suoi confronti.
Il potere risulta così costituzionalizzato nel senso che deve agire nell’ambito di norme che hanno
un valore superiore alla volontà di chi detiene lo stesso potere politico, in quanto si fondano sul
diritto di natura e perciò attengono ai principi fondamentali della persona e della comunità politica.
Il diritto di natura diventa la fonte delle norme del diritto positivo.
La sovranità trova dei limiti non solo nel diritto naturale e nel diritto divino ma deve rispettare anche
le norme che regolano i rapporti tra le singole comunità, i diritti delle genti (diritto internazionale)
È lecita solo una guerra giusta, combattuta per difendersi o per riparare a un danno subito.
L’esito vittorioso della guerra non esprime criteri di giustizia. La ragione deve governare i rapporti
tra gli stati.

CAPITOLO 12
L’affermarsi dello Stato moderno aveva posto le premesse di una profonda crisi della coscienza
etico-religiosa della società europea del Cinquecento. In politica vigeva uno sdoppiamento della
morale, quella dei principi (informata alle supreme esigenze dell’esistenza dello Stato, regola
suprema della condotta politica che non rispetta alcun limite religioso, morale o giuridico) e quella
dei sudditi (fondata sui valori tradizionali).
L’umanesimo di More ed Erasmo aveva denunciato la nascente etica di potenza e More aveva
pagato con la vita il rifiuto di avallare la sottomissione della religione ai supremi interessi del
potere.
La Riforma aveva posto l’esigenza di un profondo rinnovamento della Respublica Christianorum, in
cui si affermasse finalmente la libertà del cristiano, ma aveva paradossalmente creato le condizioni
perché nello Stato, finalmente libero dalla tutela della Chiesa, si concentrasse questa nuova
volontà di potenza. I rapporti di potere fra le potenze europee finalizzarono, di volta in volta, le
istanze di carattere religioso ai propri interessi. Carlo V, imperatore e re cattolico, consentì che ul
suo esercito, il cui nerbo era composto da truppe luterane, scendesse dalla Germania in Italia, che
assediasse e saccheggiasse Roma, costringendo Clemente VII, praticamente prigioniero, a
rinchiudersi in Castel S. Angelo: la ragion di Stato aveva prevalso sul rispetto dovuto alla suprema
autorità del Cattolicesimo. Nel 1536, Francesco I, il re cristianissimo, stipulava un’alleanza con i
Turchi, il secolare nemico della cristianità, per contenere la potenza di Carlo V poiché così esigeva
la ragion di Stato. L’esistenza dello Stato è la legge suprema del principe, alla quale deve essere
subordinata ogni considerazione religiosa e morale. Reginald Pole, ammiratore e discepolo di
Thomas More, nell’ “Apologia” dedicata a Carlo V, composta nel 1537, presentò il “Principe” di
Machiavelli come lo scritto nel quale si esponevano e si illustravano i precetti ai quali si era ispirata
la politica di Enrico VIII, con una Chiesa dipendente direttamente dalla Corona, per servirsi della
religione per i suoi fini di dominio, con una politica informata unicamente all’esclusivo interesse
dello Stato. Per Pole il “Principe” è stato scritto dalla “stessa mano di Satana”: si esorta l’uomo
politico ad usare le arti della simulazione, madre di ogni perfidia, soprattutto in materia di religione,
senza porsi alcun problema di verità, ma considerando solamente l’utilità. La politica di Machiavelli
non ha alcuna ispirazione umana, perché considera ed esalta la ferinità: il principe deve saper
essere, di volta in volta, leone o volpe, dunque la condotta dell’uomo è regolata dalla forza o
dall’astuzia. Vi è un’assolutizzazione dei valori mondani, che privavano di qualsiasi efficacia i
principi della religiosità cristiana.
Il Cristianesimo aveva, invece, liberato gli uomini dal timore superstizioso degli eventi naturali, che
trovavano tanta importanza nel mondo antico, ha fondato il valore ed il coraggio militare e civile
sulla consapevolezza della giustizia della causa che si intende sostenere. I critici cattolici
interpretavano la politica machiavelliana come la proposizione di una nuova etica mondana, quella
dell’azione finalizzata al successo, che non poteva certamente essere accolta nell’ambito di una
concezione della politica mirante a salvaguardare i valori metaempirici della morale e della
religione, che costituivano il legittimo fondamento delle relazioni fra gli uomini e delle leggi secondo
cui regolare la vita della società.

2. La ragion di Stato consentiva però di superare la contrapposizione politica e morale, mediando


fra le due, considerando la prima come lo studio delle condizioni di esistenza dello Stato, che mira
a realizzare superiori fini etico-religiosi. La ragion di Stato si esprime in una precettistica e in una
casistica e tende a dare una trattazione sistematica delle massime di comportamento politico.
Questo metodo di analisi politica fu svolto dagli scrittori politici italiani con grande successo in
Europa: la grande maggioranza di questi autori furono diplomatici, consiglieri di principi e di re,
funzionari di Corte, che formavano una classe politica di livello europeo.
La prima sistematica esposizione dei problemi suscitati dalle appassionate discussioni sulla ragion
di Stato si deve ad un ecclesiastico, il piemontese Giovanni Botero, diplomatico, segretario di S.
Carlo Borromeo e del cardinal Federigo Borromeo, consigliere del duca di Savoia e precettore dei
suoi figli, che pubblicò “Della ragion di Stato”. Nell’introduzione alla Ragione di Stato Botero
precisa il suo intento poiché la conseguenza della tesi che lo Stato non sia altro che potere è che
si debba giustificare l’affermazione machiavelliana che la morale e la coscienza debbano essere
subordinate alla politica: in tal modo cade ogni distinzione di bene e di male, non esiste alcun
criterio morale ma solo ciò che detta la ragion di Stato; per Botero invece occorre riaffermare il
primato della coscienza morale come vero ed universale giudice di ogni azione e comportamento.
Il potere per Botero non è l’assoluto della politica, ma una delle componenti. La definizione
boteriana della ragion di Stato “Stato è dominio fermo sopra i popoli e Ragione di Stato è notizia
dei mezzi atti a fondare, conservare ed ampliare un dominio sì fatto” richiama indubbiamente
quella di Machiavelli, con l’essenziale riserva però che il potere debba servire allo Stato e non
viceversa. Il discorso boteriano continua nelle altre sue opere “Le cause della grandezza della
città” (primo studio sui processi di urbanizzazione) e “Relazioni universali” (analisi sistematica delle
caratteristiche ambientali dei paesi, delle loro risorse economiche e delle correnti di traffico, come
premessa per le politiche economiche e commerciali degli Stati). In Botero acquistano rilevanza gli
elementi costitutivi dello Stato: popolazione, territorio, attività produttive, agricoltura e industria,
risorse economiche tra cui in particolare materie prime. La ragion di Stato (=ragioni della sua
esistenza e continuità) deve prendere in considerazione il fattore demografico al fine di individuare
le cause dell’aumento e della diminuzione della popolazione, la geografia politica ed economica, le
interrelazioni che sussistono fra le attività produttive, la loro collocazione territoriale e
l’organizzazione dello Stato. Per quanto riguarda, ad esempio le “potenzialità” politiche degli Stati
italiani dobbiamo tener presente la posizione “marginale” dell’Italia nel commercio internazionale, a
motivo della sua collocazione geografica, che la esclude da una diretta comunicazione con gli
Oceani. La ragion di Stato reclama quindi una valutazione complessiva dell’intera organizzazione
dello Stato che deve essere tenuta sempre presente allorché ci soffermiamo sul potere del
principe, che deve essere sempre rapportato alle esigenze della comunità statale.

3. In questa prospettiva il potere si risolve essenzialmente nel rapporto fra il principe e i sudditi, per
cui la vera autorità e forza del principe sta nel consenso dei suoi sudditi, che scaturisce dalla
convinzione che il principe meriti, per le sue capacità e virtù, di esercitare il comando.
L’obbedienza si fonda sulla coscienza di chi obbedisce, che giudica la superiorità istituzionale per
rendersi conto se corrisponda o meno a quella morale, e non può essere un atteggiamento
meramente passivo, dato che presuppone sempre un giudizio positivo sull’operato del principe, in
caso contrario essa verrebbe meno. Il consenso dei sudditi e la pace e la tranquillità, sulle quali si
basa la conservazione dello Stato, sono promossi e garantiti dalla giustizia, principio costitutivo
dello Stato: Botero dedica sette capitoli ai criteri che il Principe deve seguire nell’organizzare
l’amministrazione della giustizia riferita alle relazioni tra re e sudditi (che attengono al carico
fiscale, che deve essere proporzionato ai compiti essenziali dello Stato e alla sua distribuzione fra i
sudditi, senza trascurare il principio di assegnare gli onori, gli incarichi e le magistrature secondo i
meriti reali di ciascuno, evitando le nomine di mero favore) e fra sudditi stessi (per cui la giustizia
viene garantita mantenendo “il paese e le città libere dalla violenza e dalla frode”, poiché
solamente con un’oculata lotta alla frode viene sostenuto e avvalorato il principio di buona fede su
cui si fondano tutti i rapporti sociali. La ragione di Stato si sviluppa quindi come consapevolezza
della fondamentale garanzia del fondamento etico dell’organizzazione statale, imprescindibile per il
conseguimento dei suoi fini. Le usure non solo distruggono le ricchezze dei privati, ma
rappresentano un intralcio per la produzione ed il commercio, incidendo sulle entrate pubbliche: il
principe dev’essere consapevole che l’attività economica dei privati è la condizione determinante
per la reperibilità dei mezzi finanziari necessari all’organizzazione dello Stato. Botero sottolinea il
fatto che le funzioni di governo del principe devono rimanere distinte da quelle giudiziarie, ma deve
esercitare una continua sorveglianza sulla correttezza dei magistrati nell’espletamento del loro
incarico, per evitare che a sentenze e leggi si sostituisca l’autorità libera del magistrato. L’efficacia
della giustizia dipende inoltre dalla sua speditezza.

4. I criteri secondo i quali deve essere governato lo Stato e coordinate tutte le attività che
concorrono alla sua esistenza ed efficienza, si fondano per Botero sulla prudenza (=virtù pratica
per eccellenza, capacità operativa che presuppone una conoscenza di carattere teorico che la
connette alle altre virtù morali ed intellettive, che impegna il principe ad acquisire una cultura
generale riguardo discipline morali, che trattano delle passioni e politiche, che trattano dei vari tipi
di governo). Tutte queste cognizioni, politiche e militari, devono essere corroborate dall’eloquenza,
nella quale il principe deve acquisire piena padronanza, per questo il principe deve avere un
costante contatto con i filosofi, gli scienziati, gli esperti più qualificati nelle discipline pratico-
operative. In effetti è proprio l’esperienza che consente di perfezionare la prudenza ai fini di una
sempre più compiuta analisi delle situazioni in cui opera il principe e dei mezzi più adatti per
risolvere i problemi a quelle connessi. L’esperienza personale e degli altri sono entrambe limitate
“nei luoghi e nei tempi” e devono pertanto essere integrate da un attento studio della storia, dalla
quale è possibile trarre precetti convalidati da una serie di casi e vicende, che possono servire da
un sicuro orientamento nella condotta del principe. La prudenza trae proprio dall’esperienza storica
l’avvertenza delle condizioni necessarie per la sua operatività. In sostanza, i precetti della
prudenza si basano sul principio che l’azione politica deve essere commisurata alle forze del
principe e queste alla situazione politica nella quale sono impiegate, tenendo conto dei loro limiti.
Ai criteri della misura e del limite bisogna aggiungere quello dell’opportunità: occorre saper
attendere che maturino i tempi dell’azione politica. La prudenza si fa così interprete del corso degli
avvenimenti storici, diventa quindi la ragione operativa, l’intrinseca razionalità della prassi politica.
Botero riconosce che alcuni provvedimenti dello Stato debbano essere mantenuti segreti, ma
questo non impedisce che la prudenza mantenga saldo il controllo dell’azione politica e la indirizzi
al bene dello Stato e della comunità. La ragion di Stato, per Botero, riguarda innanzitutto
l’esistenza dello Stato come ente, cioè organizzazione articolata di cose e uomini, nella quale
hanno particolare rilievo le amministrazioni della giustizia, militare e fiscale, che riferiscono ad
esigenze ed attività imprescindibili per l’esistenza dello Stato: lo Stato-organizzazione si fonda sul
primato della giustizia, come principio al quale debbono informarsi tutti i rapporti sociali.
La morale è la premessa e il termine ultimo, il prima e il dopo della politica, e la storia è la
necessaria integrazione della politica perché questa possa operare positivamente, senza
disperdersi nel vano tentativo di realizzare propositi e programmi fondati unicamente su una
razionalità meramente formale, che non ha un riscontro con la realtà. Si crea un rapporto
“dinamico” fra religione, morale, politica e storia.

5. Il tema della ragion di Stato viene svolto da vari autori italiani come studio dei rapporti fra lo
Stato nella sua determinazione positiva, nella sua fattualità e le sue leggi e istituzioni. Emerge
quindi un rapporto di immedesimazione che sussiste fra l’organizzazione statale, le tradizioni, i
costumi e le leggi di un popolo. La ragion di Stato studia quindi il rapporto che sussiste fra la
struttura dello Stato, il fine che si propone, e i mezzi più idonei a garantire la prima e conseguire il
secondo. Occorre tener distinta la persona privata del principe da quella pubblica per individuare
quali provvedimenti sono veramente richiesti dall’interesse dello Stato. (Zuccolo)
Strettamente connessa alla teoria della ragion di Stato è un autorevole orientamento della
storiografia politica di quel periodo, il cosiddetto tacitismo, cioè lo studio delle massime di governo
derivate dalle opere storiche di Tacito, che consente un’analisi accurata dell’arcano, i veri fini dei
provvedimenti politici nascosti nelle intenzioni e nell’animo del principe, come condizione
imprescindibile perché si possa avere e conservare il potere. Uno dei primi a redigere un primo
sistematico commento alle opere storiche di Tacito dal punto di vista politico con richiami alla
tematica machiavelliana ed a quelli della ragion di Stato fu Scipione Ammirato, il cui intento è
quello di riesaminare la precettistica di Machiavelli con atteggiamento distaccato, senza accenti
polemici, per dimostrare i motivi per i quali non può essere accolta e per integrare l’analisi delle
massime di governo tratte da Tacito. Tacito ci propone come modello di comportamento politico,
principi crudeli e dissoluti, tiranni, con l’intento di ricavare buoni ammaestramenti da cattivi esempi,
allo stesso modo dei medici che ricavano farmaci dai veleni: egli studia la prassi politica, per
individuarne le situazioni tipiche e le regole ricorrenti e i suoi limiti. Egli non accetta la tesi
machiavelliana che la religione debba essere considerata come un mero strumento di governo,
seguendo i Romani che adattavano gli auspici alla necessità del momento (accoglie invece la
considerazione della frode come mezzo per giungere al potere): la religione e la morale
rappresentano riferimenti oggettivi per intendere il bene e il male in politica.
Sulla base della ragion di Stato si può derogare alla legge ordinaria, ma il potere di deroga non
significa legittimare l’arbitrio del principe, poiché esso attiene all’interesse dello Stato e non già a
quelli suoi propri particolari, ed è delimitato dai principi della religione e del diritto di natura: essa si
riferisce ad evenienze eccezionali in cui è in gioco l’esistenza stessa dello Stato, che richiede
quindi provvedimenti che non possono essere previsti dalle leggi ordinarie. La ragion di Stato,
come deroga, non significa riduzione della religione e della morale alla politica, ma riconoscere che
l’attività di governo implica un supremo potere discrezionale, al quale deve essere riconosciuto un
ambito in cui è l’unico giudice dei provvedimenti che assume, potere che è regolato dall’interesse
dello Stato e delimitato dal diritto divino e da quello naturale.

6. Questo problema trovò ulteriore approfondimento nelle opere di Traiano Boccalini, il quale
ingegno e meriti intellettuali gli consentirono di avere rapporti con eminenti personaggi della Curia
romana e di avere conoscenza diretta della corte pontificia, il che gli consentì di seguire da vicino
la politica italiana ed estera degli Stati italiani.
Per molti aspetti Boccalini interpretò con i suoi scritti la passione per la politica che caratterizzava
la società italiana della Controriforma. Le sue osservazioni politiche furono pubblicate circa
sessant’anni dopo la sua morte in Svizzera poiché in esse egli cercò di individuare le molteplici e
complesse ragioni degli “arcana imperii”.
“I Ragguagli del Parnaso” è un capolavoro della politica italiana del Seicento: nella mitologia greca
il Parnaso è il monte sacro ad Apollo, alle Muse, alle ninfe e secondo l’invenzione letteraria di
Boccalini su questo monte, nel palazzo di Apollo, si riuniscono di volta in volta i grandi personaggi
della storia antica e soprattutto di quella contemporanea per confrontarsi, discutere. Boccalini è il
“menante”, il giornalista di questi incontri e referente per il pubblico dei dotti, ma è anche Apollo,
che esprime l’ultimo giudizio sulle discussioni. Boccalini giudica Tacito “il principe degli scrittori
politici”, perché oltre ad andare oltre le apparenze per cogliere la segreta e vera intenzione del
principe, riesce ad individuare il rapporto che sussiste fra ciò che è e ciò che appare, spiegando
perché in determinate situazioni bisogna apparire in un determinato modo. La lezione tacitiana
disvela l’essenza della politica per far vedere le vere condizioni in cui si trova la società del tempo
e di intendere la profonda crisi morale civile e politica delle istituzioni. Nell’ottica tacitiana la storia
del tempo appariva caratterizzata da una lotta per il potere, che non conosce altro fine, ideale o
regola che la conquista e la conservazione di esso, in un mondo dominato dall’interesse, che si
manifesta nella sua massima potenza allorché diventa interesse dello Stato, che può essere
perseguito solamente mediante una fredda gestione del potere che miri all’utile dello Stato. Il vero
tiranno è la ragion di Stato, che finisce per tiranneggiare il principe. Fra il principe e l’interesse
dello Stato si realizza una vera e propria immedesimazione, che suscita una smisurata voglia di
dominio, che mai riesce ad appagarsi ed è il segreto tormento di ogni principe. L’ambizione e il
desiderio di dominio sono giustificati dalla considerazione in cui la gente tiene il suo successo
politico: si tende a minimizzare il male commesso, o persino a giustificarlo quando il principe
consegue il fine che si era posto, e quindi ha rafforzato e consolidato il proprio potere, e non si
esita a condannare anche la più generosa impresa qualora termini con un insuccesso.
Boccalini radicalizza la contrapposizione fra politica e morale e scopre il “volto demoniaco del
potere”: non intende giustificare le crudeltà e le frodi, né vuole sostenere un’etica del successo, ma
solamente dire che in certe situazioni di lotte di potere, tutto viene strumentalizzato dalla politica
che non ha alcun limite morale. La sua vuole essere una mera constatazione di ciò che è stato
fatto al fine di conservare lo Stato o conquistare il potere, formulando una casistica la più completa
possibile cui corrispondono una serie di massime di comportamento: occorre sapere le
conseguenze di certe scelte e situazioni affinché si possano per tempo prendere gli opportuni
provvedimenti.

7. Il fatto che Boccalini individui ed analizzi i “mirabili artifizi” dei principi, come quelli dei tiranni,
con i quali costringono o convincono i sudditi anche a dare la propria vita per poter difendere e far
valere i loro interessi, non significa che egli sia un convinto assertore del potere come tale e della
sua assolutezza: la tirannide, come ci insegna la storia, impoverisce i popoli.
Boccalini svolge una dettagliata analisi delle forme di governo, la democrazia, l’aristocrazia e la
monarchia, criticando democrazia (perché fatalmente degenera nella tirannide della moltitudine, la
peggiore forma di oppressione perché non indirizzata ad alcun fine politico, dalla quale ci si libera
solamente mediante la tirannia di uno solo, che almeno garantisce la pace e la stabilità della guida
politica, rimedio che però col tempo si rivela il peggiore dei mali) e monarchia (“aggravata da
grandissimi difetti, i quali la oscurano tanto che la fanno odiosa a molti, che scaturiscono dal
vastissimo potere che senza alcuna possibilità di controllo detiene il monarca e che fatalmente
degenera in una forma di governo assoluto fra le più oppressive, senza che il suddito abbia
garanzia della sua vita, dei suoi beni, del suo onore). La migliore forma di governo rimane per
Boccalini la repubblica aristocratica, l’unica veramente in grado di garantire libertà dei sudditi e
un’amministrazione della cosa pubblica e della giustizia che tuteli i beni di tutti. L’ideale
repubblicano trova un preciso riferimento storico nella Repubblica veneziana.
La libertà civile e politica significa indipendenza dallo straniero e quindi ordinamento politico che
garantisce il governo “nazionale”: l’indipendenza politica garantisce i popoli dalla forma peggiore di
tirannide e dominio, il governo dello straniero. Da questo ideale scaturisce la critica decisa nei
confronti della monarchia spagnola e del dominio che essa esercita sul regno di Napoli e sul
ducato di Milano: il governo spagnolo in Italia è considerato una delle forme più violente di
oppressione e sfruttamento ispirata alla più rigorosa e dura ragion di Stato, intesa come ricerca del
mero interesse di chi esercita il dominio. Boccalini stigmatizza l’egoismo dei principi italiani che
non riescono a liberarsi del giogo spagnolo e denuncia la profonda corruzione civile e politica in cui
è scaduta la società italiana che preferisce servire il suo oppressore. Non può essere riconosciuto
alcun valore alla pace che il dominio spagnolo ha assicurato all’Italia, poiché essa isterilisce il
sentimento della libertà ed educa i popoli alla servitù, causa prima della loro miseria.
Di contro al progetto politico spagnolo di una monarchia universale (servendosi della pace italiana
per estendersi in Francia, approfittando delle guerre civili scaturite dalle lotte fra cattolici e ugonotti)
abilmente mascherato dalla difesa della religione cattolica contro il diffondersi del protestantesimo
e le minacce della potenza turca, Boccalini esalta lo spirito di libertà proprio delle repubbliche della
Svizzera, Germania, Olanda, che sanno resistere con estrema decisione. Egli sottolinea che
compito dei ogni collettività politica è quello di garantire la propria indipendenza ed esercitare il suo
potere sui sudditi naturali senza tentare di estenderla sugli stranieri. Ogni organizzazione politica
ha un limite di grandezza, sorpassato il quale insorgono inevitabili cause di interna decadenza, che
finiscono per ridurre notevolmente la potenza politica se non per annullarla.
La storia di Roma dovrebbe servire di insegnamento a quanti aspirano alla monarchia universale:
l’Impero romano fu il vano tentativo di conservare vastissimi domini, frutto per l’appunto di secoli di
conquiste, che non poterono più essere controllati e che provocarono la decadenza prima e la
rovina poi dell’amministrazione imperiale. Un uguale destino attendeva la Spagna. Boccalini ha
descritto con una minuta analisi la politica di potenza degli Stati moderni, ne ha individuato le
ragioni: riconoscere la potenza, studiarla per quello che è, non significa rinunciare a far valere gli
ideali di dignità, libertà, indipendenza dei singoli, come delle comunità della nazioni, degli Italiani in
particolare. Egli intende dare agli ideali repubblicani la consapevolezza di operare in una realtà
politica caratterizzata dalla potenza, dalla quale occorre difendersi, sulla base di un’accurata
conoscenza dei “mirabili artifizi” della ragion di Stato.

CAPITOLO 13. Ragione, legge di natura e politica: lo Stato-Leviatano di Hobbes

13.1 Lo Stato Leviatano di Hobbes 1588-1679


Fu testimone e partecipe delle drammatiche vicende che caratterizzano quel periodo della storia
inglese: il conflitto tra Corona e Parlamento che culminò con la condanna a morte del re, la guerra
civile ecc.
Il sentimento della sua vita fu la paura, insicurezza, timore delle avversità, rappresentato dalla
guerra. Il vero problema era capire cosa provoca la guerra, che sembra connessa alla società e
alle sue istituzioni.
Anche per lui la politica presuppone un riferimento al diritto o alla legge di natura con l’avvertenza
che il concetto di natura deve essere definito con il metodo delle scienze fisico-matematiche.
Queste sono pervenute a conclusioni sancite dall’unanime consenso dei dotti. Secondo questi
criteri l’uomo al quale si riferisce la politica, deve essere concepito alla stessa stregua dei corpi
studiati dalla fisica, sicchè come per i corpi fisici il movimento è la loro sostanziale determinazione,
anche per l’uomo in quanto corpo il movimento è la sua essenza. L’uomo è un corpo dotato di
moto vitale che inizia con la nascita e cessa con la morte, denominato moto volontario. Il moto
volontario si genera nella tendenza di ogni uomo che si esprime nel desiderio e nell’avversione, il
primo ci sospinge verso determinate cose, la seconda ce ne allontana. Il sentimento dell’amore si
riferisce alle cose che noi desideriamo e il male a quelle che noi avversiamo. Il desiderio e
l’avversione mantengono l’uomo in continuo movimento. Mentre per Aristotele la virtù si ottiene
eliminando desiderio e avversione, per Hobbes la felicità consiste da un continuo movimento, dal
passare da un desiderio all’altro, in quanto la soddisfazione del primo è la premessa per passare al
secondo. Il desiderio dell’uomo comprende tutte le possibilità di godimento che potranno verificarsi
in futuro. Le capacità dell’uomo hanno il solo scopo di procurargli i mezzi necessari per appagare i
suoi desideri: esse sono il potere dell’uomo. Poter naturale si riferisce alle attitudini del corpo e
della mente e strumentale quando acquisito grazie al continuo esercizio delle stesse facoltà.

13.2 Stato di natura secondo Hobbes


La vita dell’uomo e tutti i movimenti che la esprimono non è altro che potere, perché l’uomo ritrova
la sua caratterizzazione essenziale in un continuo desiderio di aver sempre maggior potere.
Gli uomini nello stato di natura, perché tutti uguali, ritengono di essere tutti in grado di raggiungere
i fini che si sono proposti. Finiscono col volere le stesse cose. L’uomo allo stato di natura ha un
potere assoluto su tutte le cose, mosso dall’istinto di autoconservazione, dalla volontà di poter
avere i beni necessari alla sopravvivenza. Questi poteri non possono che entrare in conflitto tra
loro. Lo stato di natura è caratterizzato dalla guerra di tutti contro tutti. Nello stato di natura
l’individuo è libero di usare il proprio potere per fare ciò che ritiene più opportuno per la
conservazione della sua vita. La libertà è l’essenza di impedimenti esterni al potere dell’uomo.
Nello stato di natura la libertà è assoluta, mentre la legge di natura, distinta dal diritto che si
riconnette al potere, deve essere considerata come una regola scoperta dalla ragione che vieta
all’uomo di fare ciò che è contrario alla conservazione della vita. Questa è la fondamentale legge di
natura. È molto più conveniente per la conservazione della vita, ricercare un sistema di convivenza
con i propri simili che garantisca pace, stabilità, sicurezza, benessere e godimento di quei beni che
consentono di appagare i nostri desideri.
L’unico modo per stabilire la pace tra gli uomini è cedere la potestà assoluta e la libertà ad un
individuo o a un gruppo di individui con l’incarico di governare: si costituisce così un corpo
artificiale, politico, che è dotato del più assoluto dei poteri in quanto è costituito dall’unificazione dei
poteri assoluti dei singoli. La pace è il fine ultimo della politica, il bene supremo. (Questo è il
contratto sociale.)
Lo stato è l’assoluto dell’uomo, il potere che sottrae alla dispersione. È la forza che costringe la
natura lupesca dell’uomo a diventare socievole mediante il timore che deve incutere agli uomini
affinchè sia mantenuta la pace.
Il potere sovrano è insindacabile e la persona del sovrano è sottratta a ogni tipo di controllo. Al
sovrano appartiene anche di valutare il pieno diritto di pace e di guerra; è l’unico giudice di ciò che
viene insegnato ai suoi sudditi; appartiene al potere sovrano l’emanazione delle leggi, per
disciplinare ed evitare conflitti; e l’amministrazione della giustizia.
L’assolutezza del potere sovrano richiede che venga considerato indivisibile. Hobbes come Bodin,
ritiene che i tipi di costituzione siano solo 3: monarchia, aristocrazia e democrazia. La costituzione
mista è una mera costituzione intellettuale senza corrispondenza con la realtà, in quanto il potere è
assoluto e indivisibile. Le forme di governo devono essere giudicate con riferimento alla loro
funzionalità, in relazione alla loro capacità di mantenere la pace. L’unità della condotta politica può
essere assicurata solo dalla monarchia che è la migliore forma di governo. La garanzia di un
governo efficiente è data dalla coincidenza dell’interessa di chi governa con quello pubblico.
La coincidenza tra interesse privato e pubblico non si verifica invece nelle assemblee: per la
diversità delle opinioni che si manifestano e per la presenza di più partiti, i problemi politici non
sono trattati sul piano di considerazioni realistiche e positive ma mediante argomentazioni che
riescano a suscitare il consenso della maggioranza e quindi a livello della retorica. Le
deliberazione riflettono l’interesse della parte che le ha sostenute e fatte valere e non della
collettività. Mentre il monarca è in grado di sollecitare e di avvalersi dell’opera di consiglieri esperti
che possono valutare le singole questioni politiche con serenità. Il consiglio svolge la stessa
funzione che la memoria e la ragione esercita sull’uomo. L’unica accortezza da seguire è di sentire
i consiglieri uno alla volta e di non riunirli mai in una riunione plenaria poiché si verificherebbe lo
stesso inconveniente delle assemblee, cioè si determinerebbe nei partecipanti uno stato d’animo
che disporrebbe al discorso retorico, proprio perché il confronto con i propri simili risveglia
nell’uomo l’interesse e le passioni.
Le grandi assemblee politiche non sono costitutivamente idonee ad esprimere una condotta
politica che corrisponda ai reali interessi della comunità.

13.3 Stato di natura e leggi secondo Hobbes


I rapporti che si istituiscono tra cittadini devono essere definiti tendendo conto che nello stato di
natura non sussistono leggi che regolano l’attività degli individui. Leggi di natura sono le qualità, i
modi di essere della natura umana che predispongono gli uomini a costituire e conservare la
società. Nello stato di natura non ci sono criteri per stabilire ciò che è giusto e ingiusto dato che
l’uomo ha il pieno di diritto di utilizzare i mezzi più idonei a difendere la sua vita. Solo con la
costituzione dello stato si possono individuare i criteri con cui distinguere il male e il bene. Questi
criteri sono contenuti nelle leggi positive cioè nei comandi che il potere rivolge ai sudditi. La legge
di natura si risolve nelle leggi positive.
Nello stato di natura tutti i beni sono comuni onde ciascuno possiede solo ciò di cui si è
appropriato e che riesce a conservare con la forza. La proprietà privata ritrova il suo fondamento
solo nella legge positiva che dipende dalla volontà del potere sovrano. La proprietà non può
essere concepita come un diritto opposto allo stato dato che lo stato può far valere nei confronti
del suddito il diritto su tutte le cose.
Le leggi positive sono la misura della libertà dell’individuo.
Il singolo può rifiutarsi al comando del sovrano che gli imponga di attentare alla sua vita o
all’integrità del suo corpo a seguito di una giusta condanna.

13.4 Posizione della religione secondo Hobbes


Non può essere riconosciuta alla religione un fondamento ed una posizione autonoma che si
esprime in una organizzazione ecclesiastica indipendente dallo stato. L’unità dello stato richiede
che anche la religione e la chiesa vengano subordinate alla volontà sovrana che ha il diritto di
fissare le norme che riguardano sia la dottrina che il culto.
La religione è ricondotta ad una predisposizione naturale al senso del timore, di angoscia avvertito
dall’uomo allorchè si trova di fronte a fenomeni naturali che non riesce a spiegare. Oppure
all’ansietà che lo turba allorchè considera l’insicurezza del suo futuro. Essendo questo il
fondamento della religione, l’uomo è continuamente soggetto a cadere nella superstizione,a
scambiare le sue credenze fantastiche con la vera religione. È solo l’uso della ragione che salva
l’uomo dalle superstizioni. La ragione è il criterio con cui dobbiamo interpretare la parola di dio.
Il potere sovrano ha il diritto di sovrintendere alle questioni ch riguardano la religione e Hobbes lo
sostiene con 2 argomentazioni:
1. la prima si fonda sulla natura del contratto sociale mediante cui viene costituita la società
politica. I singoli diventano nello stato una sola persona pubblica che deve avere un solo culto al
fine di rendere a Dio la dovuta rivelazione. La pluralità delle opinioni in tema di religione costituisce
una delle cause delle tensioni che possono distruggere lo stato.

Occorre mantenere distinte le questioni spirituali da quelle temporali, che devono essere attribuite
all’esclusivo giudizio dello stato. Stato e chiesa sono due nomi che indicano lo stesso corpo
politico, la stessa istituzione sovrana, stato costituito da uomini, chiesa costituita da cristiani,
cosicchè tra l’uomo cittadino e il cristiano non ci può essere nessuna opposizione in quanto la
distinzione è formale.

CAPITOLO 14. Filosofia, religione e politica: Stato e libertà in Spinoza

14.1 Spinoza 1632 – 1677


Era un filosofo olandese.
Concentrò i suoi interessi nei rapporti tra filosofia, religione e politica per individuare i principi sui
quali fondare l’ordine politico in modo da risolvere i conflitti religiosi che dividevano le società
politiche.
Il suo pensiero politico è sollecitato dalla situazione politica olandese caratterizzata dai contrasti tra
i calvinisti ortodossi e quelli che aderivano all’umanesimo erasmiano.
Dice che l’insidia più pericolosa per la ragione è la superstizione: la situazione di insicurezza e
paura in cui si trova l’uomo, spiega come mai sia portato a dare sempre una spiegazione fantastica
ai fenomeni naturali e ritenere che le vicende della sua vita siano determinate da entità da
venerare.
Le divisioni e i conflitti dipendono dall’influenza che i teologi e gli ecclesiasti hanno acquistato sul
popolo: animati dall’ambizione si comportano più da retori che da dottori della chiesa, preoccupati
di salvaguardare il proprio prestigio e scalzare gli avversari. Questo ha svuotato la religione
cristiana del suo contenuto per ridurla ad un insieme di pratiche. La religione è degenerata in
superstizione.

14.2 Trattato teologico-politico di Spinoza


Bisogna procedere ad un esame del fondamento della religione cristiana che si riferisce alle sacre
scritture e al vecchio testamento.
Il Trattato teologico-politico è il primo moderno tentativo di esegesi del testo biblico. La bibbia deve
essere considerata alla stregua di un documento storico ed interpretata con lo stesso metodo di
cui ci serviamo per gli altri documenti storici.
Ritiene come Hobbes, che non ci sia differenza tra ragione, lume naturale quale è data a tutti gli
uomini e la ragione quale risulta dalla rivelazione dei profeti.
La società politica è la condizione necessaria affinchè gli uomini possano provvedere ai bisogni
materiali e a conseguire il perfezionamento della loro natura.
Poiché la maggior parte degli uomini cerca di perseguire il proprio utile, per fondare e mantenere la
società è necessaria l’istituzione di un potere coattivo che con le leggi riesca a controllare le
passioni e le cupidigie degli uomini.
Dato che la natura umana non sopporta la costrizione assoluta, occorre studiare i modi per
temperare il potere.
La religione ha il compito di far si che gli uomini obbediscano più per devozione che per timore. La
religione interviene in ausilio delle leggi dello stato affinchè il comportamento della massa si adegui
alle prescrizioni delle leggi.
La ragione e la filosofia hanno come oggetto la verità, la conoscenza intellettuale dell’identità di
Dio e natura. La religione e la teologia hanno come oggetto la pietà e l’obbedienza che debbono
essere ispirate alla massa degli uomini.

14.3 Istinto di autoconservazione per Spinoza


Considera l’uomo come un dato della natura che ritrova nella sua potenza, nel suo istinto di
autoconservazione, nella volontà di vita, la causa di tutti i suoi comportamenti. Nello stato di natura
l’essere dell’uomo si identifica con la sua potenza. Gli uomini sono tutti uguali in quanto tutti si
determinano sulla base del puro istinto e non può esistere distinzione tra bene e male, giusto o
sbagliato. Gli uomini dominati da un solo istinto di autoconservazione, vivono in uno stato di guerra
continua, in balia della sorte, senza possibilità di garantire il proprio futuro. Questa situazione
convinse gli uomini che l’unico modo per sottrarsi a questa situazione era di associarsi per
provvedere collettivamente a ciò che è necessario alla sopravvivenza.
La differenza tra la concezione del contratto sociale di Hobbes e quello di Spinoza sta nel fatto che
per Spinoza la formazione della società civile avviene mediante la costituzione di un potere
comune che deve essere esercitato sulla base della volontà di tutti. La natura della società politica
è essenzialmente democratica in quanto gli uomini costituiscono la società in vista della utilità di
ciascuno e di tutti e per sottoporre il proprio comportamento alla guida della ragione. Se la società
si fonda sulla ragione non si può affermare che gli uomini si determinino nel loro com’portamento
solo mediante la ragione: nell’uomo permangono gli istinti e le passioni che sono i veri moventi
delle azioni. Se potessero manifestarsi con piena libertà provocherebbero la distruzione della
società.

14.4 Spinoza: il patto sociale


Il patto sociale attua un unione tra individui che collegialmente hanno il diritto di disporre di ciò che
appartiene alla società. Il potere sovrano non di distacca e si contrappone come in Hobbes alla
totalità dei cittadini, ma inerisce alla stessa collettività, cioè al popolo.
Occorre trovare un tipo di ordinamento politico che possa moderare gli animi e frenare sia i
governanti che i governati in modo che né questi si trasformino in ribelli, né quelli in tiranni. Le
difficoltà di un ordinamento politico a base democratica nascono dal fatto che gli uomini non
regolano i propri comportamenti nella società secondo i precetti della ragione, anzi, spesso si
lasciano guidare dal proprio istinto che consiste nella ricerca del piacere e nel sottrarsi ad ogni
impegno che comporti sacrificio e fatica.
La prima esigenza dello stato è di resistere alla dispersione e disgregazione che sono generate
dalle passioni. Ribadisce il principio dell’assoluta obbedienza alla potestà sovrana perché la
fedeltà dei sudditi è la condizione indispensabile affinchè possa sussistere la società politica come
garanzia di pace. L’individuo con il patto sociale ha conferito tutto il suo potere alla collettività.

Non riconosce la legittimità della resistenza attiva nei confronti del potere tirannico. Il suddito non
può contrastare con la forza il tiranno ingiusto in quanto la sua azione avrebbe come conseguenza
la fine dello stato.
Per Spinoza utile e ragione coincidono.
Il potere dello stato sovrano è l’unificazione dei poteri dei singoli individui.
La democrazia è al forma di governo che più delle altre rappresenta l’essenza della società politica
in quanto realizza la coincidenza dell’utile di chi detiene il potere con l’utile della collettività.

14.5 Spinoza: libertà come fine dello stato


Il fine dello stato è la libertà dell’individuo, l’organizzazione politica deve consentire all’uomo di
vivere in pace e sicurezza affinchè possa mediante la ragione affrancarsi dal dominio delle
passioni e cooperare con i suoi simili alla realizzazione di una sempre più compiuta vita sociale.
Ogni individuo conserva il diritto di giudicare e la libertà di pensiero che aveva allo stato di natura.
È assurda la pretesa del potere politico di imporre ai sudditi determinate convinzioni e di metter al
bando questa o quella filosofia in omaggio al credo filosofico di chi comanda. Lo stato che lo fa
nega la sua ragion d’essere.

La libertà di pensiero deve essere connessa alla libertà religiosa. Se la religione è autonoma, se il
sommo bene è l’amore intellettuale di Dio.
La chiesa dipende dallo stato perché essa esiste nell’ambito della società politica e la sua azione è
possibile solo se la legge statale la riconosce. La religione è importante ai fini della salvezza del
vincolo sociale, dell’armonia e della disciplina, dato che in essa si esprimono i valori e i sentimenti
che ispirano i comportamenti della maggioranza. È la religione che ispira l’etica civile su cui si
fonda l’ordine politico.
Lo stato si fonda sul’autonomia della ragione e il suo fine ultimo è la libertà di pensiero e religiosa,
che è la caratteristica indispensabile affinchè lo stato possa essere autonomo e indipendente,
possa porsi come autorità sovrana nei confronti dei singoli e delle confessioni religiose. Lo stato
trova così la sua legittimazione e non ha più bisogno di ricorrere al diritto divino per giustificare il
suo potere di fronte ai sudditi.

CAPITOLO 15: Società di natura, società civile è Stato costituzionale in Locke

15.1 Locke 1632 – 1704: trattati sul governo


La prima parte dei due trattati sul governo è dedicata alla confutazione di Filmer che in uno scritto
aveva riformulato la dottrina della istituzione divina del potere del re, ricollegandolo alla signoria
che Adamo aveva su tutte le cose e soprattutto sui suoi figli in quanto da lui generati. Il potere
divino dei re ha un riscontro con il potere che il padre esercita sui figli: come l’unità della famiglia si
fonda sul potere del padre, così la società politica si fonda sul potere del monarca.
La critica di Locke al pensiero di Filmer dice che è impossibile giustificare il potere sovrano sulla
base del diritto paterno di Adamo alla luce della Sacra Scrittura in quanto sono tanti e tali i fatti che
caratterizzano la storia di Israele che non si riesce a vedere come possa sussistere una continuità
di potere tra Adamo e tutti gli altri re di cui parla l’antico testamento. È impossibile trovare linee
sicure per ricostruire la linea primogenita della discendenza di Adamo alla quale possa essere
riconosciuto il diritto di succedere nel potere assoluto al progenitore.
Se non vogliamo affermare che il governo è espressione della forza e che gli uomini vivono come
animali tra i quali il potere è detenuto dal più forte dobbiamo ritrovare un fondamento umano al
potere politico. Il potere politico deve essere distinto dalle altre forme di potere. Il potere politico
deve essere definito come il diritto di far leggi con penalità, per il regolamento della proprietà, nella
difesa della società politica da offese straniere per il bene pubblico.
Il potere politico è la conseguenza della costituzione della società politica.
Lo stato di natura è la condizione prima alla quale dobbiamo riportare l’individuo per rendersi conto
di ciò che è effettivamente. Nello stato di natura l’individuo si comporta secondo le sue facoltà
costitutive ed uniformandosi alle regole che derivano dalla legge di natura la quale non può che
coincidere con la ragione dell’uomo. Lo stato di natura è caratterizzato dalla libertà di ciascuno nel
rispetto della regola che ogni individuo esprime un potere uguale a quello degli altri e che questo
potere è finalizzato alla conservazione di ciascun individuo. Libertà e uguaglianza sono i principi
dello stato di natura.
Il principio di libertà e uguaglianza nello stato di natura sancisce l’obbligo per ciascuno di non
violare la sfera dell’autonomia e dell’indipendenza dell’altro e non arrecare danno ai beni che
ineriscono l’individuo: vita, salute, libertà, possesso di cose. Ogni individuo nello stato di natura
può respingere l’offesa dell’altro con la forza.
Distinzione tra forza e violenza: la forza è volta alla difesa e alla restaurazione della legge di natura
che sancisce la coesistenza dei singoli nel rispetto della libertà dell’uguaglianza. La violenza è
diretta a offendere e comprimere l’autonomia dei singoli.
Mentre per Locke lo scontro tra individui implica la difesa e la restaurazione del diritto di natura,
per Hobbes lo stato di natura è la manifestazione di un assoluta volontà di potenza degli individui,
senza la possibilità di individuare alcun criterio di giustizia. Hobbes dice che non sempre nello
stato di natura vince chi resiste a un ingiusta aggressione per cui la vittoria non può essere
assunta come criterio di giustizia. Ma Locke considera solo il caso in cui l’aggredito sia riuscito a
sconfiggere il suo aggressore e ritiene che i conflitti allo stato di natura non possono che terminare
con la vittoria della forza sulla violenza.
La schiavitù, il potere che il signore esercita sul servo si fonda sulla forza giusta: nello stato di
natura è lecito uccidere l’aggressore che abbia attentato alla nostra vita oppure conservarlo in vita
in cambio di servizi che deve prestarci. Il rapporto servo-padrone appartiene alla società naturale e
non può essere considerato come presupposto del potere politico.

15.2 Locke: la proprietà e il lavoro produttivo


Il diritto alla vita implica il pieno godimento dei beni acquisiti. La proprietà è l’ambito materiale nel
quale si attua la libertà e l’autonomia dell’individuo nello stato di natura: è il diritto naturale che
garantisce l’attività che l’individuo svolge per mantenersi in vita. La terra e i suoi prodotti sono di
tutti gli uomini che per diritto di natura hanno l’esclusiva proprietà di se stessi. Gli uomini sono
proprietari del loro lavoro cioè delle loro energie fisiche. In conseguenza di take diritto l’uomo fa
sue tutte le cose che ha trasformato con il suo lavoro. Solo con il lavoro le cose naturali vengono
trasformate in beni atti a soddisfare i bisogni. La proprietà diventa la misura della capacità,
dell’industriosità, dell’abilità, dell’energia che l’individuo è in grado di esprimere.

La società naturale si attua spontaneamente allorchè ciascun individuo svolge la sua attività per
procacciarsi i beni che gli sono necessari e perciò stabilisce con i suoi simili dei rapporti di
collaborazione. Il lavoro produttivo è la ragion d’essere della società di natura. La tutela della
libertà, della proprietà privata e dell’indipendenza è affidata al singolo il quale se assalito ha il
diritto di respingere l’offensore infliggendogli la pena: l’individuo diventa giudice e parte in causa il
che è un inconveniente perché non può garantire la giustizia obiettiva che è il principio
fondamentale della legge di natura.

15.3 Locke: scopi della società politica


Al fine di stabilire un’autorità al di sopra delle parti che possa amministrare la giustizia, i singoli si
accordano per fondare la società politica la quale ha come scopo tutelare la libertà, l’indipendenza
e l’autonomia dei singoli e le loro proprietà private. L’individuo preesiste con i suoi diritti naturali
alla società politica la quale trova la sua ragion d’essere nel consenso di coloro che l’hanno
costituita. Nessun vincolo può essere imposto all’individuo se non viene da lui accettato.
L’individuo in tal modo si spoglia a favore della società politica del suo potere esecutivo cioè del
suo diritto di difendere con la forza la sua vita, libertà, proprietà e costituisce un potere pubblico
per la difesa dei suoi diritti.
Conseguenza diretta è che le deliberazioni della maggioranza vincolano la minoranza.
La costituzione che meglio corrisponde al fondamento consensuale della comunità politica è quella
che si fonda su 3 poteri:
1. legislativo: è il potere supremo che formula le leggi mediante cui deve essere regolata l’attività
dell’individuo e che devono avere di mira la conservazione della società. Ma deve prestare
obbedienza ai limiti posti dalla legge di natura che non si identifica come diceva Hobbes, con il
diritto positivo dello stato ma sussiste come sistema di principi che disciplinano l’attività legislativa.
Non può emanare disposizioni arbitrarie sulla vita e sulla proprietà dei cittadini, né può privare il
cittadino di parte della sua proprietà senza il suo consenso.
2. esecutivo: ha il compito di eseguire o fare eseguire le leggi. La libertà politica è garantita
quando il potere di fare le leggi e quello di eseguirle sono affidati a due gruppi distinti di persone:
se chi fa le leggi le fa anche eseguire ha la possibilità di sottrarsi alle leggi e di volgerle a suo
vantaggio.
3. federativo: si occupa dei rapporti con le altre comunità politiche e che implica il potere di guerra
e pace e di stipulare trattati di alleanza. Il potere esecutivo e federativo non possono essere affidati
a due diversi gruppi di persone in quanto ambedue richiedono l’uso coordinato della forza politica.
L’esecutivo-federativo è subordinato al legislativo che è il potere supremo.

CAPITOLO 16. Politica e storia: Vico

16.1 Vico 1668 – 1744: I metodi degli studi del nostro tempo
Scrive I metodi degli studi del nostro tempo in cui la politica come scienza e arte di governo è
riferita alla prudenza, all’accortezza con la quale cerchiamo di renderci conto della particolarità
degli eventi e ci sforziamo di individuare i principi e le regole che si adattano a un determinato
fatto. La prudenza e la saggezza politica consiste nella capacità di saper valutare le situazioni in
quel che hanno di peculiare onde saper usare i mezzi adeguati ad esse. Ma le situazioni non sono
altro che il risultato dell’attività umana determinata dall’arbitrio dell’uomo e caratterizzate
dall’incertezza e dal presentarsi con caratteristiche sempre differenti ed essere sempre nuove.
La scienza della natura tende a una conoscenza unitaria che si esprime mediante un principio che
ci consente di spiegare la realtà mentre la politica cerca di conoscere le cose per individuare le
possibili cause di esse e scegliere poi la più probabile.
Va riconosciuto un valore positivo non solo al principio razionale della mente ma anche alle
passioni che dominano il campo del concreto agire umano e della politica: passioni che devono
essere comprese e indirizzate verso i fini che la mente definisce sul piano del vero. Il che è
possibile colo con l’eloquenza che sa commuovere e entusiasmare gli animi.

16.2 Vico: il vero e il fatto


Il criterio sul quale fondare la ragione deve essere individuato tenendo conto della distinzione tra il
vero e il fatto della successiva reciproca conversione del vero e del fatto: si può avere una vera
scienza solo dalle cose che noi facciamo: la scienza deve preoccuparsi di trovare il modo onde le
cose che intendiamo conoscere si generano. Da questo punto di vista solo Dio ha una vera
scienza della natura in quanto creatore dell’universo. L’uomo può avere di essa solo una
conoscenza limitata. La matematica e la geometria sono scienze vere in quanto i principi sono
formulati dalla mente umana.
La vera conoscenza scientifica si riferisce alla storia in quanto è fatta dagli uomini. Tutte le
manifestazioni del fare degli uomini sono collegate tra di loro e si compongono in una sistematica
connessione nelle società politiche. Intimo nesso tra storia e politica.
Afferma il primato della politica come scienza del mondo umano delle nazioni sulle scienze della
natura in quanto perviene ad una conoscenza esaustiva del suo oggetto di studio.
La politica deve considerare la reciproca conversione del vero e del fatto, resa possibile dalla
mediazione del certo che è una parte della verità, che può essere conosciuta dall’uomo nelle
particolari condizioni storiche in cui si trova.
La certificazione del vero avviene mediante l’autorità che consente al fare dell’uomo di consistere
come mondo umano e di costituire e far sussistere lo stato.
L’autorità come certificazione del vero è connessa al fare dell’uomo, come principio costitutivo
della sua umanità e personalità. L’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio: Dio è sapienza,
volontà e potenza. Anche l’uomo è sapienza, volontà e potenza ma a motivo della sua originaria
corruzione queste tre facoltà divergono tra loro nel senso che la volontà pretende di dominare la
ragione. Da questa pretesa si genera la cupidigia da cui scaturisce l’amore di se stessi. La
cupidigia è eccitata dalle cose finite e corporee di cui sentiamo la mancanza, che si compongono
agli uomini tramite i sensi. I sensi che sono stati dati all’uomo per la difesa della vita, vengono
assunti come arbitri in grado di giudicare il vero delle cose. La ragione sottomessa ai sensi non
può conoscere il vero. La corruzione dell’uomo significa il dominio della volontà che dovrebbe
essere suddita alla ragione. La stoltezza dell’uomo consiste nella sapienza dei sensi che è la
causa dell’ignoranza del vero da cui scaturisce l’infelicità dell’uomo.
L’uomo è costituito da mente e corpo: la prima è spirituale, la seconda è finita e materiale.
Le tre facoltà dell’uomo, la ragione, volontà e potenza, sono connesse tra loro nel senso che in
ognuna di esse sussistono le altre. Una di esse può attuarsi solo se realizza le altre due. Le tre
facoltà si esprimono nel fare dell’uomo: come dominio, in quanto diritto di usare le cose secondo
ragione; come tutela in quanto diritto di difendere la nostra vita e di provvedervi; come libertà in
quanto diritto di determinare le nostre azioni. L’autorità è costituita dal dominio, tutela e libertà.
Il primo modo in cui si manifesta l’autorità è la forza cioè l’energia con cui l’uomo si realizza come
unità sussistente. La forza è l’inalienabile diritto dell’uomo alla vita e come dominio delle cose
necessarie alla sua vita, come tutela alla sua vita, come libertà contro ogni forma di asservimento.
La forza non è un dato fisico ma si genera nell’interiorità dell’uomo che sola può disciplinare e
indirizzare il movimento del corpo. L’uomo si distingue dagli animali e dai bruti in quanto si muove
e non subisce con passività gli impulsi che riceve dall’esterno.
Distinzione tra forza e violenza: la forza è l’energia umana con cui si fa valere la ragione, la
giustizia, il diritto; La violenza promana dal predominio della volontà sulla ragione, dalla cupidigia,
dal dominio dei sensi sulla ragione, è negazione della ragione, della giustizia e del diritto, non
fonda la società ma la strumentalizza e la sfrutta.
La società si costituisce in quanto esprime una forma di partecipazione degli uomini alla verità alla
giustizia, all’equità.

16.3 Vico: l’uomo e il ciclo della società


L’essenza della società politica si esprime nella sua genesi storica: occorre quindi analizzare il
processo di formazione della società con riferimento all’uomo primitivo che vive allo stato di nature.
L’uomo primitivo non è diverso dalle bestie: conduce una vita errabonda e ferina vivendo nella
promiscuità. Nell’uomo primitivo la ragione è sprofondata nel corpo, rinchiusa nell’istinto. Tali
nature non riescono a stabilire alcun rapporto tra loro. La genesi del movimento attivo dell’uomo
che gli consente di uscire dalla vita bestiale è connessa a due fondamentali modi di avvertire e
conoscere la realtà che si fondano sulla religione e sulla fantasia, sulla capacità che ha l’uomo di
vivere una particolare esperienza e di raffigurarsi questa stessa esperienza. La prima esperienza
religiosa di uomo primitivo deve essere commisurata alla sua immane natura. Si esprime nel
terrore religioso che l’uomo prova in occasione di un fenomeno naturale, il fulmine.
Il terrore religioso rinserra gli uomini primitivi nelle grotte e li sottrae alla loro libertà bestiale. Li
induce a cercare di interpretare le manifestazioni del cielo, i fulmini, il volo degli uccelli, per
conformarsi al volere della divinità. Il primo rapporto da cui si origina la sua umanità è quello che
l’uomo stabilisce con Dio.
Al terrore religioso è connesso un altro sentimento da cui si generano tutte le regole che
disciplinano il comportamento dell’uomo: il pudore per cui l’uomo non si accoppia più con la donna
davanti ai suoi simili ma poiché teme Dio si nasconde nelle grotte trattenendo con sé la sua
compagna. Si esprime così il vero rapporto umano. L’unione dell’uomo con la donna.
Lo scopo del matrimonio è di certificare la prole: la certificazione dei rapporti tra genitori e figli è il
presupposto di ogni tipo di società.
Il timore di Dio e il pudore generano un altro sentimento in virtù del quale l’uomo si riconosce nel
suo simile e lo riconosce come uomo: la pietà verso i defunti: per questo l’uomo non abbandona il
morto ma lo seppellisce.
Il timore di Dio, il pudore e la pietà verso i defunti si manifestano nelle prime 3 istituzioni
dell’umanità: la divinazione, i matrimoni e le sepolture.
Il processo di evoluzione del gruppo familiare è promosso dall’esigenza di procurare i mezzi di
sussistenza e coltivano la terra: nasce così la prima delle arti umane: l’agricoltura a cui si dedicano
quei gruppi umani che per aver espresso una forma di culto, per contrarre nozze, per osservare il
rito delle sepolture, costituiscono le genti maggiori. A queste si contrappongono le genti minori che
sono formate da gruppi umani che continuano nella vita ferina propria dell’orda primitiva. Questi
uomini invadono i campi coltivati dalle genti maggiori che parte ne uccidono e parte ne conservano
in vita a patto di coltivare la terra: il rapporto servo-padrone esprime la genesi della società politica
e si fonda sulla forza.
Con la tutela si costituisce la famiglia vera e propria che è formata dai genitori, dai figli e dai famoli,
cioè dai clienti che in cambio della protezione lavorano i campi e prestano i servizi per la famiglia e
per il gruppo gentilizio cui appartengono. Si forma il primo nucleo politico composto da individui
non uniti dal vincolo di sangue ma sono assoggettati al dominio dell’assoluto potere sovrano del
pater familias. Si esprime così la seconda forma di autorità, quella del pater familias.
Il rapporto tra genti maggiori e minori, tra nobili e clienti è la premessa per intendere il processo
storico-politico che portò alla costituzione della società politica e alla terza forma di autorità, quella
che si esprime nello stato.
Le società primitive del periodo delle cosiddette monarchie familiari sono caratterizzate da
ammutinamenti di famoli contro i nobili. Dal conflitto tra genti maggiori e minori nasce la prima
forma di comunità statale: i gruppi gentilizi: i padri di famiglia si riunirono in ordini cioè misero in
comune le loro forze e i loro averi e nominarono un capo comune per guidarli nella lotta contro i
famoli ammutinati. Si costituì la prima comunità politica mediante l’unione di più gruppi gentilizi:
terza forma di autorità, quella dello stato. Le prime città furono costituite dai soli eroi, la classe
aristocratica.

16.4 Dominio e stato secondo Vico


La rivolta delle genti minori è risolta con una prima concessione da parte delle genti maggiori: il
cosiddetto dominio bonitario dei campi che è consentito alle genti minori sulla base di una
concessione del gruppo gentilizio: è questa la prima legge agraria che regola i rapporto tra
aristocrazia e plebe.
L’emanazione della legge delle XII tavole è la seconda importante vittoria della plebe conto
l’aristocrazia. Il motivo ispiratore della famosa legge fu di garantita alla plebe il dominio quiritario,
proprio dei nobili, la proprietà piene. Ma la proprietà delle genti minori, alla morte del proprietario
ritornavano all’originario concedente aristocratico in quanto la plebe non aveva diritto di disporre
per testamento il patrimonio. A tal fine la plebe pretese e ottenne il diritto di contrarre a nozze
solenni, partecipando agli auspici dei nobili e conquistando la piena cittadinanza. Ottenuta la
ragion privata degli auspici, cioè quanto attiene al dominio, alla libertà , alla tutela, i plebei
conseguirono la ragion pubblica cioè furono ammessi al consolato, ai sacerdozi e al pontificato.
Venne poi concesso la parificazione della plebe alla nobiltà.
Il dominio, la tutela e la libertà sono le fasi del processo storico di formazione e svilupo delle
società politiche. Il dominio è caratteristico delle monarchie familiari, la tutela è la ragion politica
delle aristocrazie, la libertà è il risultato di un processo storico in cui la ragione eroica delle classi
dominanti si venne umanizzando sotto pressione delle richieste delle genti minori.
Punto più alto cui perviene lo stato si realizza quando si perviene ad una reale compartecipazione
tra politica, leggi e ragione quale si esplica nella filosofia e nelle discipline scientifiche. Lo stato può
essere concepito come un uomo in grande in quanto non è altro che l’originaria autorità naturale
dell’uomo.
Lo stato deve essere concepito come un entità che consiste nel diritto. La prima legge universale è
l’uomo, la seconda è quella del pater famiglia, che precedono lo stato e in esso si integrano.
Lo stato di Vico è o stato-sovranità di Bodin: è l’autorità verso cui convergono tutte le altre autorità
che sussistono nell’ordine civile.

16.5 Società politiche per Vico


Le società politiche nascono, crescono, maturano e decadono sino alla distruzione (sviluppo ciclico
delle costituzioni – Polibio).
La religione è il fondamento della società politica: l’uomo si toglie dal suo stato errabondo quando
riconosce un’entità superiore che lo domina e lo governa.
La ragione ritrova la sua energia nella religiosità, nella fantasia che la alimentano e che le
consentono una presa vitale sulla realtà.
La crisi dell’ordine politico si determina allorchè la libertà ha perso l’avvertenza del suo fondamento
etico-religioso, dei principi oggettivi che segnano un confine sicuro tra libertà, licenza e arbitrio ed
è vista in funzione dell’utilità dei singoli individui o delle fazioni che riescono a impadronirsi del
potere. Tra la ragione e l’ordine politico c’è un nesso vitale: come la ragione è promossa dall’ordine
politico in quanto ne costituisce la sua più vera legittimazione, perché la ragione riconosce quella
verità che è a fondamento della società politica, la ragione è coinvolta nel processo di decadenza e
disarticolazione della società e ne diventa una delle cause principali in quanto impedisce che gli
individui possano comunicare tra loro il vero e l’equo che fanno consistere la società politica.
A situazione di anarchia che si determina può avere 3 soluzioni:
1. il popolo può consentire che tutti i poteri vengano concentrati nelle mani di uno solo che con la
forza delle armi garantisca pace e sicurezza. Il monarca rende tutti uguali nei suoi confronti,
difende il popolo dai potenti e garantisce al popolo la libertà naturale.
2. quando i popoli non consentono che un monarca concentri in sé tutti i poteri, è destinato a
essere governato da altre nazioni che l’hanno sottomesso. Chi non è in grado di governare deve
essere governato da chi ne è capace.
3. crisi dell’ordine politico e della civiltà che investe la società umana che è dominata dalla
cupidigia dei beni materiali. Questo genera nella società la violenza, la ferocia, la crudeltà che
scatena gli uomini gli uni contro gli altri in lotte che hanno fine solo quando tutto viene distrutto e
l’uomo viene riprtato alle condizioni iniziali tipiche dello stato di natura.

CAPITOLO 17. Libertà e Stato costituzionale: Montesquieu

17.1 Montesquieu: Lo spirito delle leggi


La Francia di Richelieu, Luigi XIV voleva una monarchia di diritto divino
Montesquieu trova ispirazione nella polemica nei confronti della monarchia assoluta di Luigi XIV
come forma di governo che contrasta le tradizioni politiche della Francia e degli stati europei.
La libertà è il bene che ci fa godere di tutti gli altri beni.
Scrive lo spirito delle leggi. Le leggi sono analizzati con riferimento alle manifestazioni della vita
sociale. Sono 32 libri distinti in 6 parti. Le prime due trattano temi politici come le forme di governo
e la monarchia costituzionale fondata sulla divisione dei e poteri e sulla libertà politica del cittadino.
La parte terza illustra i rapporti tra la legge e il clima, l’ambiente e lo spirito generale della nazione.
La quarta si riferisce alle leggi che attengono al commercio, alla moneta alla popolazione. La
quinta esamina i rapporti tra legge e religione. La sesta studia le origini e la formazione delle leggi.
Il concetto di legge deve essere fondato sul principio che ci consente di intendere il diverso, il
particolare e il generale. Le leggi sono la manifestazione di un ordine articolato che si fonda sulla
natura delle cose. Sono i rapporti necessari derivanti dalla natura delle cose.
Le leggi positive, poste dalla ragione dell’uomo che a differenza del mondo fisico e degli animali è
capace di formulare le regole per il suo comportamento. L’uomo è sottoposto alle leggi divine e a
quelle della natura.
La società è un fatto naturale e l’uomo deve costituirla. Nello stato di natura l’uomo non ha una
ragione attiva ma solo la facoltà di ragionare: è dominato dall’istinto di conservazione, consapevole
della propria debolezza, dell’avvertenza dei bisogni, del desiderio di comunicare con i suoi simili.
Dalla famiglia si generano i gruppi sociali primari: le genti, tribù, villaggi. Il gruppo implica la
coordinazione delle attività di più individui per il perseguimento di scopi che non possono essere
raggiunti dai singoli.
La formazione di gruppi sociali distinti, la necessità di provvedere ai conflitti pongono le premesse
da cui scaturiscono i 3 tipi di diritto:
1. diritto delle genti: regola i rapporti tra le diverse società
2. diritto politico: disciplina i rapporti tra governanti e governati.
3. diritto civile che regola i rapporti tra gli individui

17.2 Montesquieu: legge e ragione umana


Il diritto è formato dalle situazioni in cui vengono a trovarsi gli uomini.
L’area della politica che si riferisce allo stato è determinata dal confluire delle forze particolari nella
forza generale, dei rapporti tra le forze particolari cioè gruppi sociali minori nei quali è inserito
l’individuo. L’unione delle forze particolari richiede anche l’unione della volontà dei singoli che
determina la formazione dello stato civile, della società civile, distinta dallo stato, che è il
presupposto del diritto civile, distinto da quello politico. Questo si fonda sulle forze particolari cioè
su gruppi sociali minori, il diritto civile sulla volontà degli individui.
La legge è la ragione umana in quanto governa tutti i popoli della terra. E le leggi politiche e civili
sono casi particolari in cui questa ragione umana si applica.
Cogliere il nesso che unifica tutte le leggi rispettandone le particolarità, stabilire le relazioni fra
esse e quelle con l’ambiente, con i popoli, la storia, significa intendere lo spirito delle leggi.
Le leggi devono essere adatte al popolo per il quale sono fatte; devono essere in rapporto con la
natura e con il principio di governo costituito; devono essere in relazione col carattere fisico del
paese; devono essere in rapporto col grado di libertà che la costituzione è capace di sopportare,
con la religione degli abitanti, le loro disposizioni, la loro ricchezza, il loro numero. Finalmente esse
hanno relazioni reciproche tra loro. Esse nel loro insieme formano lo spirito delle leggi.

Nella prima parte l’analisi viene finalizzata al problema della libertà politica che è definita con
riferimento alla sfera di autonomia e indipendenza di cui può godere l’individuo. La libertà coincide
con le leggi positive nel senso che il diritto delimita la sfera di azione dell’individuo nella società. La
libertà è il diritto di fare ciò che le leggi permettono. Se un cittadino potesse fare ciò che le leggi
proibiscono non sarebbe più libero perché tutti gli altri avrebbero anch’essi lo stesso potere. Noi
siamo liberi perché viviamo sotto leggi civili.
La libertà deve essere riferita alla sfera patrimoniale che diventa la pietra angolare sulla quale si
basano tutti i rapporti della società civile. Acquistano importanza le leggi che disciplinano la sfera
patrimoniale. Devono consentire a ogni individuo di accedere alla proprietà. La proprietà
appartiene alla sfera del diritto civile e quindi non può essere regolata dal diritto politico. Nessuno
può essere privato dei suoi beni sulla base della legge politica.
La libertà implica anche la sicurezza dei cittadini, assicurati dalle leggi con cui vengono tutelati i
beni personali fondamentali: la vita, l’onore, il patrimonio.

17.3 Tre tipi di governo per Montesquieu


Esistono 3 tipi di governo e quindi 3 costituzioni:
1. repubblica: si ha quando il potere sovrano appartiene al popolo e può essere aristocratico
(sovranità ai nobili) o democratico (sovranità a tutto il popolo).
2. monarchia: il potere è di uno solo, che però governa secondo leggi fondamentali che
disciplinano e delimitano il suo potere
3. dispotismo: il potere appartiene ad uno solo che governa a suo arbitrio.

La natura del potere sovrano deve essere distinta dal principio di ciascuna delle tre costituzioni. I
principi sono: la virtù: come amore della patria per il governo repubblicano democratico o come
etica della moderazione di quello aristocratico; l’onore per il governo monarchico come rifiuto di
compiere alcun atto che possa ledere la dignità, l’indipendenza; la paura per il governo dispotico.

La monarchia è la forma di governo basata sulle leggi fondamentali che riflettono una società
gerarchizzata e articolata e strutturata in una molteplicità di ordini. I poteri intermedi costituiscono
la natura del governo monarchico. Lo stato è più saldo, la costituzione più incrollabile, la persona
dei governanti più sicura. La monarchia è caratterizzata dall’esistenza dei corpi intermedi che si
pongono tra i cittadini e chi detiene il potere impedendo a quest’ultimo di raggiungere il cittadino
dove il comando deve essere mediato da una molteplicità di istituzioni che garantiscono
all’individuo la libertà. Tra i poteri intermedi il più importante è la nobiltà formata dall’aristocrazia di
sangue e dall’aristocrazia minore cui apparteneva la nobiltà minore.

La politica si propone fini che possono essere conseguiti con la coordinazione di una molteplicità di
provvedimenti e azioni i cui risultati impegnano più generazioni. La vita degli stati e dei popoli deve
svolgersi in una unità.
La politica non è fatta dagli individui ma dalle istituzioni cioè dagli individui connessi agli interessi
generali e permanenti di una determinata collettività che sono in grado di esprimere le
caratteristiche peculiari di un popolo. Gli interessi dello stato possono essere garantiti solo
salvaguardando i principi informatori delle leggi fondamentali. Ma perché ciò sia possibile occorre
che ci sia nello stato un deposito delle leggi che le conservi e le faccia valere. Questa funzione non
può essere assolta da un monarca perché è un individuo e quindi una volontà mutevole che può
diventare arbitraria. Deve essere assolta da un potere intermedio, la magistratura.
Affinché il poter non esca dalla sfera che gli è propria deve essere mantenuto nei limiti da u altro
potere che gli si contrapponga.
La forma di governo che offre maggior libertà è la monarchia moderata, temperata dalle leggi
fondamentali. La sovranità deve essere distinta in 3 poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario. Questi
poteri sono tali in quanto sono attribuiti a tre distinti ordini sociali. Possono controllarsi a vicenda
contrapponendosi a chi tenti di sopraffare l’altro.
Il dispotismo si attua quando nello stesso organo si concentra il potere di fare le leggi, eseguirle e
giudicare.
Nello stato costituzionale alla monarchia viene attribuito il potere esecutivo, all’aristocrazia e al
popolo quello legislativo, all’aristocrazia di toga il giudiziario. Il potere legislativo deve essere
organizzato in due camere sul modello inglese: la prima rappresenta il popolo, la seconda
l’aristocrazia.
Montesquieu sostiene la monarchia costituzionale.

La religione è un freno per il potere politico alla sua tendenza di diventare assoluto. Il
Cristianesimo ha ispirato i principi del diritto pubblico europeo dal quale trae fondamento la
monarchia costituzionale.
Un territorio ristretto favorisce la costituzione repubblicana, un territorio medio quella monarchica
costituzionale, uno vasto quello dispotico.
La costituzione politica, il sistema delle leggi positive che v corrisponde e i principi delle forme di
governo sono il risultato di un lungo processo storico.

CAPITOLO 18. Libertà e uguaglianza: lo Stato democratico. Rousseau

18.1 Pensiero politico di Rousseau 1712 – 1778


Ha il suo centro ispiratore negli ideali della libertà e dell’uguaglianza che devono essere fatti valere
con un rinnovamento totale della società, delle tradizioni, delle leggi, delle istituzioni. Tale
rinnovamento trova esito nella democrazia. Conclude il giusnaturalismo.
L’uomo civilizzato nella società nega i principi, i valori, l’ordine della natura.
Scrive “il discorso sulle scienze e sulle arti” in cui è esaminato il concetto di progresso e si tratta di
capire se ha reso l’uomo più civile. Dice che non ha portato alcun miglioramento.
Il progresso delle scienze e delle arti si traduce in un aumento di ricchezza che determina l’amore
per gli agi, il lusso… l’amore per la ricchezza fa perdere di vista alla società gli scopi della sua
costituzione, il valore della virtù civica, il sacrificio per il bene della comunità.
Contrappone i costumi rozzi ma naturali, spontanei, sinceri a quelli civili ma corrotti: la civiltà
promossa dalle arti e le scienze nasconde l’artificiosità dei sentimenti.
La scienza tiene a diventare uno strumento politico nelle mani dei governanti e si fa portatrice non
tanto di verità quanto di opinioni che avalla con il prestigio della sua autorità.
La diffusione dei lumi promossa dall’enciclopedia non promuove una crescita culturale ma si fonda
sul nozionismo e nasconde le difficoltà reali connesse all’acquisizione di autentica cultura.
È sostenitore della primitiva ignoranza, della semplicità e spontaneità dell’uomo primitivo. La
ragione e la scienza sono svuotate da qualsiasi contenuto etico e umano.

La contrapposizione tra l’uomo come è nella natura e la società civile quale risulta dal progresso è
approfondita nel “discorso sull’origine della ineguaglianza. Vuole individuare le cause in cui l’uomo
originariamente libero e felice perviene ad una situazione opposta. L’uomo vero e autentico era
quello dello stato di natura quando non c’erta la società civile. Nello stato di natura l’uomo è libero
ed uguale, è sollecitato dall’istinto e dai bisogni e conduce una vita semplice e tranquilla. Al
contrario di Hobbes, per Rousseau l’uomo primitivo è pacifico. La natura umana si esprime
nell’amor di se stesso che è temperato da un altro sentimento: la pietà che l’uomo avverte nei
confronti dei suoi simili. La civiltà tende ad attenuare il sentimento fondamentale dell’uomo perché
la ragione dissolve la compassione. La ragione educa il sentimento contrapposto all’amor di se
stesso, l’amor proprio per cui l’uomo diventa individuo cioè si chiude in se stesso e riporta tutto a
se stesso cercando l’esaltazione di sé per primeggiare sugli altri.

La scoperta delle arti, la lavorazione della pietra, ferro, bronzo, l’agricoltura, consentono all’uomo
di formare associazioni naturali: la famiglia, la tribù, il villaggio, in cui si esprime la socialità
primitiva dell’uomo. Si pongono le prime differenze tra gli uomini connesse alle attività che si
svolgono in quelle prime società naturali. Queste disuguaglianze vengono istituzionalizzate e
riconosciute con l’istituzione della proprietà privata che è il moltiplicatore delle ineguaglianze e la
loro legittimazione. La ineguaglianza genera nella convivenza umana le passioni e la primitiva
etica comunitaria si corrompe. Il contrasto tra ricchi e poveri determina uno stato di guerra
permanente di tutti contro tutti. Questa situazione indusse i ricchi che vedevano in pericolo i loro
patrimoni a proporre una nuova forma di associazione che garantisse la pace per tutti e i beni di
tutti con la costituzione di un potere supremo che imponesse a tutti il rispetto di comuni norme di
convivenza. È questa l’origine della società politica fondata su un contratto sociale proposta
dall’intelligenza dei ricchi che raggirarono i più deboli. Il progresso delle società politiche ha
rafforzato sempre più il predominio dei pochi sui molti.
Più la società progredisce più l’uomo diventa schiavo di essa. Il termine finale di questo processo è
il dispotismo che riproduce rovesciata, l’originaria situazione della società di natura. Tutti si trovano
alla mercè del potere dispotico.
La storia è un progresso degenerativo che svuota l’uomo della sua vera umanità.

18.2 Rousseau: famiglia e stato


Il governo della famiglia deve essere distinto da quello dello stato. Il potere politico non può
derivare da quello paterno come aveva sostenuto Filmer. L’economia privata deve essere
indirizzata alla famiglia e deve informarsi ai criteri che sono propri dell’ordine familiare mentre
l’economia pubblica deve essere finalizzata allo stato.
La società può essere considerata come un corpo organico vivente simile a quello dell’uomo.
L’io comune si esprime come volontà generale che ha come scopo la vita del corpo politico e
dispone in viste della difesa e della conservazione del corpo politico. La volontà generale esprime
la regola del giusto e dell’ingiusto ed è la fonte della moralità pubblica e privata. Il bene della
collettività deve essere il fine della volontà di tutti.
Per poter esprimere la volontà generale si richiede che gli individui siano liberi, che abbiano la
possibilità di ricercare i fini della collettività in modo da poter conciliare la libertà dei singoli con
l’autorità, il bene individuale con quello della società. Ciò è possibile grazie alla legge che è il
comando oggettivo in quanto espressione della volontà generale.
Afferma il primato delle leggi come l’insieme delle regole che consentono agli uomini di essere
liberi e uguali.
Il compito di chi governa è di mantenersi fedele alle leggi perché sarà di esempio. L’arte di governo
è il saper orientare le coscienze dei cittadini affinchè il loro comportamento si adegui alle leggi. Il
governo saggio riesce a nascondere il suo potere.
La virtù civile e repubblicana si esprime nella libertà e nell’uguaglianza che è possibile quando le
leggi impediscono la formazione di disparità sociali, favorendo la redistribuzione della ricchezza tra
il maggior numero di cittadini in modo da creare una generale situazione media.
Il sistema politico sociale che propone non rifiuta la proprietà privata, che riconosce come la base
dell’edificio politico. La proprietà però incontra un limite preciso nell’etica civile, nella virtù
repubblicana, che sancisce il principio dell’uguaglianza tra i cittadini. La proprietà deve essere
finalizzata ai bisogni e alla capacità di lavoro del singolo. Il sistema tributario deve impedire
l’eccessivo accumularsi della ricchezza.
L’ordine politico è finalizzato all’esclusivo tornaconto dei ricchi.
L’ordine politico delineato da Rousseau è fondato sulla piccola e media proprietà ed è riferito alle
esigenze della famiglia o al massimo del gruppo parentale caratterizzato da attività artigianali e
manifatturiere e commerciali che devono essere armonizzate con l’agricoltura considerata come
l’attività economica primaria. È critico della concentrazione della popolazione contadina nei grandi
agglomerati urbani che sono la causa della corruzione dell’etica comunitaria: occorre ridistribuire la
popolazione sul territorio riportandola al lavoro dei campi. L’economia pubblica non ha tanto come
scopo la produzione di ricchezza, compito dell’economia privata, quanto quello di amministrare la
ricchezza prodotta per i fini propri della collettività per consentire ai cittadini di conseguire la
felicità.

18.3 Il contratto sociale per Russeau


Pretendere di vivere nella società civile cercando di appagare le naturali aspirazioni è impossibile.
L’uomo naturale è un intero assoluto che non ha altro rapporto se non con se stesso o con il suo
simile. L’uomo civile è invece una unità frazionaria il cui valore è il rapporto con l’intero che è il
corpo sociale. Il vero problema politico è fare in modo che l’uomo non si consideri più un assoluto
ma una parte di un tutto.
Scrive poi il “Contratto sociale”.
La società e le istituzioni negano la naturale libertà dell’uomo. L’uomo è nato libero e ovunque è in
catene. Il diritto del più forte è una contraddizione in termini, in quanto la forza è un fatto dal quale
non può scaturire il principio di moralità e legittimità. Poiché non può essere riconosciuto né il
diritto del più forte né ogni altro tipo di autorità fondato sulla tradizione e dato che in natura nessun
uomo dispone di un potere sul suo simile, l’unico principio di legittimità delle istituzioni è nel
consenso degli individui. La libertà dell’individuo si realizza nell’atto di volontà con cui gli individui
fondano la società politica. Il contratto sociale è la condizione indispensabile da riconoscere se
vogliamo affermare la libertà dell’uomo nella società politica. Solo quando l’unità della società
politica è espressa dal contratto cui partecipano tutti gli associati, la volontà dell’individuo e la
volontà della legge si identificano. Ubbidendo alla legge l’individuo ubbidisce a se stesso e il
governo non è altro che un autogoverno dei cittadini.
Il contratto sociale impegna ciascuno ad alienare tutti i diritti di cui gode alla comunità per costruire
l’uguaglianza naturale fra tutti i contraenti. Così l’individuo si spoglia della sua personalità storica e
riceve la personalità di cittadino. L’individuo diventa parte indivisibile del tutto.
Il contratto sociale libera l’individuo dal condizionamento dell’istinto della società di natura, per
farne un essere morale che informa i suoi comportamenti alla razionalità. Le precedenti istituzioni
vengono rinnovare e prima fra tutte quella che garantisce il possesso dei beni: la proprietà privata.
La proprietà tradizionale è una usurpazione dei beni che appartengono alla collettività, resa
possibile dal sistema politico fondato sulla forza. Il possesso e il godimento dei beni è legittimo
solo nei limiti del soddisfacimento dei bisogni necessari. In virtù del contratto sociale gli individui
conferiscono alla società tutti i loro possessi e la società glieli restituisce legittimando il possesso e
trasformando il godimento in proprietà privata. Questa si fonda sulla legge della comunità che ha
un diritto sovrano su tutti i beni dei componenti.

Il contratto sociale fa di una moltitudine di individui una unità, un corpo politico, lo stato. L’unione
degli associati forma il popolo. Gli associati sono cittadini in quanto partecipi dell’autorità sovrana o
sudditi in quanto sottoposti alle leggi dello stato.
Il sovrano è il corpo politico nella sua unità e la sovranità appartiene all’attività di questo corpo. La
sovranità è inalienabile e indivisibile, è la volontà generale in atto che , in quanto principio dell’unità
del corpo politico, non può essere concessa e delegata dal popolo ad alcun individuo.
Se il contratto sociale fonda lo stato, le leggi lo fanno agire. La legislazione deve essere informata
ai due principi dell’uguaglianza e la libertà. Lo stato è un ente morale che deve trasformare l’uomo
da essere naturale a essere morale. Lo stato deve liberare l’uomo dagli impulsi della sua natura
che tendono a farne un assoluto cioè un essere che riporta tutta la realtà che lo circonda a se
stesso.
Distingue 4 tipi di leggi:
1. le politiche che definiscono i rapporti tra corpo politico e stato
2. le leggi civili che trattano i rapporti tra i singoli e tra i singoli e lo stato
3. le leggi penali che fissano le sanzioni per chi disubbidisce alle leggi
4. le leggi scritte nel cuore, nell’animo di ognuno cioè i costumi, le usanze e l’opinione pubblica che
formano la vera costituzione dello stato.
Il governo è il corpo intermedio posto tra i sudditi e lo stato, incaricato dell’esecuzione delle leggi e
il mantenimento della libertà politica e civile. Le forme di governo sono 3: monarchia, aristocrazia e
democrazia. Rousseau è critico della monarchia, riconosce gli aspetti positivi dell’aristocrazia
elettiva e giudica pessimo il governo fondato sull’aristocrazia ereditaria.

18.4 La forma di governo ideale secondo Russeau


La migliore forma di governo è la democrazia pura nella quale il popolo riunito in un’assemblea
formula le leggi, le fa eseguire e le interpreta. Ma questa democrazia non è mai esistita né potrà
esistere. Ci vorrebbe un popolo di dei e non di uomini.
I principi fondamentali della democrazia reale. Occorre distinguere l’attività legislativa da quella
esecutiva: la prima si riferisce al bene pubblico, la seconda agli interessi e ai beni particolari.
L’attività legislativa è l’espressione della sovranità e della volontà generale. Deve essere esercitata
dall’intero corpo politico cioè dal popolo riunito nell’assemblea dei cittadini. Rousseau sostiene la
democrazia diretta. La legge deve essere approvata dalla totalità dei cittadini che non possono
essere rappresentati perché la volontà generale è intrasferibile. l’attività esecutiva è affidata al
governo che è istituito con una legge che gli conferisce i poteri necessari per svolgere la sua
attività. Rifiuta la concezione giusnaturalistica che riteneva il sussistere tra il popolo e il governo un
contratto che determina i rispettivi obblighi e diritti e conferiva un autonoma posizione al governo. I
membri dell’esecutivo sono nominati dall’assemblea dei cittadini e devono essere considerati dei
commissari, degli incaricati, dei funzionari del popolo. Il governo non ha autonomia nei confronti
dell’assemblea. Afferma il primato del legislativo sull’esecutivo.
In una costituzione democratica la volontà generale ha come oggetto il bene comune. I partiti
devono essere banditi dall’ordinamento democratico.
La legge è una dichiarazione della volontà generale.
La maggioranza esprime una decisione e quindi una volontà che si identifica con la volontà
generale e quindi con il bene comune. La minoranza non ha alcuna posizione autonoma da
rivendicare e la sua opinione è un errore che deve essere riconosciuto come tale dalla stessa
minoranza.

CAPITOLO 19. Empirismo, economia e società politica: Hume e Smith

19.1 Pensiero politico di Hume 1711 – 1776


È illuminista.
Dobbiamo interessarci solo di ciò che rientra nel campo della nostra esperienza empirica fondata
sulle nostre sensazioni e non bisogna lasciarsi ingannare dall’illimitata libertà che faratetrizza il
nostro pensiero.
Bisogna stabilire un nesso tra esperienza sensibile e intelletto e analizzare i principi su cui si fonda
la conoscenza. Le idee sono il riflesso delle nostre sensazioni.
L’intelletto è la facoltà dell’uomo di descrivere i risultati della sua esperienza in quanto la nostra
conoscenza è fondata sul materiale fornitoci dalle sensazioni. I nostri giudizi sono il risultato di atti
e avvenimenti che accadono.
Il compito della filosofia è definire l’ambito dell’intelletto per non esprimere giudizi che non trovino
riscontro nell’esperienza. Nell’uomo oltre alla facoltà razionale esiste l’immaginazione che può
comporre a suo piacere tutte le idee che si trasformano sulla base delle sensazioni per creare enti
che non hanno riscontro nella realtà.

La politica deve essere ricondotta nell’ambito delle considerazioni che si basano sull’esperienza
empirica dei fatti sociali. Non è fondata su principi eterni e immutabili. Questa ragione, il principio di
giustizia e i diritti che ne derivano non hanno valore intrinseco: la loro giustificazione ha un puro
valore strumentale, si riduce a una ideologia in quanto servono a giustificare determinate posizioni
politiche. Il rapporto tra storia e politica: la prima ci fa scoprire i principi costanti della natura umana
mostrandoci gli uomini in tutte le circostanze e fornendoci materiale da cui sia possibile ricavare le
osservazioni e informarci sulle sorgenti dell’azione e del comportamento umano. C’è una natura
umana che permane identica nella storia il che ci consente di confrontare fra le diverse e
esperienze politiche per individuare gli avvenimenti e i fati ricorrenti cioè le uniformità sociali che
sono i presupposti per poter individuare i principi su cui si fondano le società politiche e le regole
che tendono a seguire. La storia è un gabinetto di sperimentazione così lo studioso della politica
può fissare i principi della sua scienza.
La giustizia è il principio sul quale si organizza la società politica. È giusto ciò che è socialmente
utile.
L’idea dell’utile è anche il principio della morale individuale e civile in quanto è connessa alla
capacità di autocontrollo, di disciplina degli stimoli e desideri. La conservazione di una parte dei
beni disponibili alla loro stabile destinazione, alla produzione dei beni futuri è il fatto su cui si fonda
la proprietà privata che non si legittima su un originario diritto di natura ma sull’utilità individuale e
sociale.
Le relazioni tra gli uomini finalizzate alla loro reciproca collaborazione sono possibili solo se
vengono fissate le regole che garantiscono la proprietà privata.
La giustizia ha come scopo la tutela della proprietà privata dato che senza di essa la società
permarrebbe nello stato di miseria e indigenza che caratterizza le società primitive. Il secondo
scopo è garantire le promesse e gli accordi senza la cui osservanza non è possibile di nuovo
alcuna forma di collaborazione sociale in vista dell’incremento dei beni necessari agli individui.
Dice che è irrealizzabile l’idea di una società egualitaria e comunistica: anche se si rendessero
eguali le proprietà e si livellassero le condizioni sociali, i gradi diversi di arte, attività e sollecitudine
spiegati dagli uomini tornerebbero immediatamente a rompere tale uguaglianza.

19.2 Hume: opinione e potere


La società politica si forma in un lungo periodo storico nel corso del quale gli uomini acquisiscono
una serie di principi, istituzioni, leggi che sono il frutto di esperienze individuali e collettive. Al
razionalismo illuministico Hume contrappone l’esperienza delle generazioni. La società politica non
si fonda sul contratto. L’uomo primitivo incolto e con una lingua appena articolata, dominato dagli
istinti non era in grado di stipulare convenzioni e contratti sociali. Le guerre e le lotte delle fazioni
caratterizzano la vita delle società politiche, che non furono costituite mediante accordi.
L’imposizione, il dominio di una minoranza guidata da un capo fondano la società politica
imponendo comuni regole di comportamento alla maggioranza. L’origine della società politica deve
essere collegata a alcuni fatti: la conquista, l’usurpazione, l’autorità del comandante militare. La
società politica si costituisce mediante la forza.
Il governo è formato da una ristretta categoria di persone che esprime comando che vengono
eseguiti dalla maggioranza. La forza in questo caso non spiega il rapporto comando-obbedienza
perché i molti sono più forti dei pochi. La sottomissione della maggioranza alla minoranza si fonda
sull’opinione cioè sulla convinzione della opportunità di ubbidire ai poteri costituiti.
Ci sono 4 tipi di opinione:
di interesse: si intende il senso di vantaggio generale che deriva dal governo insieme con la
persuasione che il governo stabilito è vantaggioso
di diritto
di diritto alla proprietà
di diritto al potere.

L’opinione di diritto al potere, di diritto alla proprietà insieme al diritto d’interesse sono il
fondamento dell’autorità che i pochi esercitano sui molti.
Il governo, la costituzione, il sistema delle leggi di diritto positivo sono il risultato delle esperienze di
molte generazioni. Le innovazioni radicali sono pericolose perché spezzano la continuità delle
generazioni che è la vera struttura portante di ogni ordinamento politico.

Una volta affermata l’esigenza della continuità della tradizione e l’importanza di conservare ciò che
garantisce tale continuità si tratta di individuare la dinamica della società, di ciò che promuove il
suo sviluppo. La dinamica della società è ricondotta allo sviluppo della razionalità. La ragione inizia
a manifestarsi con le prime forme di attività empirica che sottraggono l’uomo dal dominio delle
passioni, l’immaginazione e la superstizione: l’invenzione delle arti e i primi tentativi di un pensiero
scientifico diffondono i lumi della ragione. Il progresso delle scienze e delle arti è la premessa al
diffondersi della civiltà e per la trasformazione dei governi da assoluti e dispotici a costituzionali e
liberali. Le facoltà razionali sono connesse agli stati psicologici per cui l’uomo può sentirsi e
dichiararsi felice: la felicità richiede che nell’uomo si compongano armonicamente l’azione, il
piacere e l’indolenza. Le arti impegnano l’uomo nell’azione. Dalle arti l’uomo può ricavare i beni il
cui uso gli procura piacere. Il lavoro fa nascere l’esigenza del riposo.
Il progresso promosso dall’attività economica diventa fautore di libertà politica.

19.3 Adam Smith 1723 – 1790: La ricchezza delle nazioni


Pone il problema dei rapporti tra l’attività economica, l’organizzazione produttiva e la società
politica.
L’attività economica per potersi realizzare deve porre in essere un insieme sistematico di rapporti
tra gli individui. È indispensabile tenere presente il nesso economia-società.
Fa la distinzione tra società naturale e società artificiale per le quali usa i termini: società civile e
società politica. La prima scaturisce dall’attività economica e corrisponde ai rapporti e alle
istituzioni che si riferiscono all’organizzazione del lavoro produttivo; la seconda comprende i
rapporti e le istituzioni che sono posti in essere dagli uomini per difendere l’ordine e per garantire
la giustizia.
La ricchezza di una nazione deriva dal lavoro della collettività.
Il primo dato dell’economia è il lavoro che è l’attività in cui si esplica la natura dell’uomo in quanto
egli si determina all’azione sotto lo stimolo dei bisogni. La ragione dell’uomo si manifesta in
occasione del lavoro nel senso che la razionalità si forma a poco a poco a seguito dei tentativi che
l’uomo fa per rendere sempre più produttivo il suo lavoro. Con il lavoro si manifesta la personalità
dell’uomo. Il lavoro è l’espressione degli impulsi fondamentali che caratterizzano la natura umana:
l’egoismo, la simpatia, il sentimento di libertà, desiderio di proprietà, propensione allo scambio.
L’attività economica corrisponde alla natura dell’uomo.
Il lavoro è la causa delle relazioni che si istituiscono tra gli individui.
Il principio dell’organizzazione e del perfezionamento dell’attività lavorativa è quello della divisione
del lavoro per il quale ogni individuo svolge solo l’attività nella quale dimostra maggiore destrezza.
In tal modo non solo diminuiscono in costi in termini di fatica ma aumenta anche la produzione. Il
principio della divisione del lavoro è la conseguenza della tendenza naturale allo scambio. La
divisione del lavoro consente di aumentare la quantità di lavoro di uno stesso numero di persone.
Il principio della divisione del lavoro ha una coerente applicazione purchè gli individui possano
scambiare i prodotti del lavoro per ottenere quegli altri beni di cui hanno bisogno. Lo scambio è
possibile mediante l’istituzione del mercato.

L’organizzazione produttiva di cui Smith studia le leggi si fonda sulla manifattura e industria. Le
categorie economiche con le quali possiamo individuare le leggi che governano il sistema
produttivo sono date da 3 fattori di produzione: il lavoro, il capitale e la terra.
Il capitale è formato dai beni che sono sottratti al consumo e che sono destinati alla produzione di
altri beni. È distinto in capitale variabile e capitale fisso: il primo è quello impiegato nelle operazioni
commerciali per l’acquisto di merci che vengono poi vendute. Il secondo viene immobilizzato nel
miglioramento della terra, acquisto di macchinari e strumenti. La funzione del capitale è di
predisporre i mezzi necessari alla produzione e di organizzare la produzione.

La produzione annuale è ripartita tra i 3 fattori mediante le rispettive remunerazioni: il salario per il
lavoro, il profitto per il capitale e la rendita per la terra. I tre fattori di produzione indicano anche i
tre grandi ordini naturali su cui si fonda la società, cioè le tre classi: i lavoratori, i proprietari di
capitali, i proprietari di terra. Lo status sociale di un individuo è definito sulla base del ruolo svolto
nell’organizzazione produttiva del lavoro.
Il prezzo è la traduzione in termini monetari del valore della merce. Il prezzo indica la quantità di
lavoro necessaria per produrre una determinata merce.
Il sistema economico è governato dalla legge della sua produzione.

19.4 Società civile per Hume


La società naturale o civile non si fonda sul contratto sociale ma è il risultato spontaneo e
necessario dell’organizzazione del lavoro produttivo e corrisponde al tipo di divisione del lavoro
che riesce ad attuare.
La formazione e conservazione del capitale è la condizione indispensabile perché possa avviarsi il
processo di sviluppo economico.
3 tappe fondamentali del processo di formazione della società naturale che corrispondono ai 3 tipi
di attività economica organizzata per procurarsi i beni necessari alla vita del gruppo: la caccia, la
pastorizia e l’agricoltura che esprimono i primi 3 tipi di società naturali, quella dei pastori, gli
agricoltori e dei cacciatori. È solo con l’agricoltura che si costituisce un capitale consistente e può
avviarsi il processo di accumulazione mentre il processo della divisione del lavoro trova una prima
organica applicazione. La società naturale nasce dal lavoro della terra. I rapporti che si istituiscono
tra gli individui nella società naturale sono regolati secondo forme di subordinazione naturali,
determinate dalle esigenze della organizzazione del lavoro produttivo.
Le forme di subordinazione sono 4:
1. la prima si riferisce alla superiorità delle qualità personali che pone un individuo su un piano di
preminenza rispetto ai suoi simili
2. la seconda scaturisce dalla superiorità dell’età
3. deriva dal possesso stabile della ricchezza e proprietà
4. discendere da una famiglia che per generazioni ha occupato una posizione preminente in
società.

L’autorità è la fonte legittima di comandi che vengono obbediti grazie al rapporto di subordinazione
che si istituisce tra i destinatari e l’autorità. La società naturale rispetto a quella artificiale esprime
da se stessa in modo spontaneo le preminenze che regolano il comportamento degli individui. Il
potere invece si rifonda sull’organizzazione burocratica della società artificiale e trova la sua
legittimazione in una delle 3 forme di autorità.
La causa delle circostanze che determinano le forme di superiorità risiede in primis nella proprietà.
La proprietà è la pietra angolare della società naturale e quindi di quella artificiale.

19.5 Società política per Hume


La società politica non ha nessun rapporto diretto con la società naturale. La società artificiale è la
sovrastruttura della società naturale, che corrisponde alla organizzazione produttiva del lavoro.
La distinzione tra società naturale e artificiale si fonda sul fatto che la prima corrisponde al lavoro
produttivo cioè all’atticità che è in grado di produrre le forze produttive mentre la seconda è
costituita da quell’organizzazione e da quei servizi che con la loro attività non sono in grado di
produrre i beni necessari alla loro conservazione e innovamento. Le istituzioni e organizzazioni
della società politica possono essere attuate solo quando la società naturale fornisce una quantità
di beni eccedenti quelli necessari.
Lo stato è l’insieme dei servizi e degli uffici che deve garantire la pace e l’ordine della società
naturale. Ha una funzione strumentale e non può rivendicare una posizione autonoma nei confronti
della società civile. I fini dello stato sono determinati dalle esigenze della società naturale: la difesa
per mezzo della forza militare, l’amministrazione della giustizia, l’istruzione pubblica, i lavori di
utilità pubblica.
L’apparato burocratico – organizzativo devono essere finanziati dalla collettività mediante le
imposte.
La funzione preminente dello stato è l’amministrazione della giustizia.
Il principio cui deve ispirarsi l’ordinamento politico dello stato deve sancire l’indipendenza,
l’autonomia del potere giudiziario dall’esecutivo. Solo a questa condizione viene garantita la libertà
del cittadino.

Ogni individuo deve essere riconosciuto libero di esplicare la sua attività al fine di migliorare la sua
condizione purchè non arrechi danno agli altri. La giustizia è il principio secondo cui l’attività dei
singoli coesistono e si armonizzano tra loro per attuare i propri fini nella società.
La società è un vero sistema in cui le attività dei singoli individui tendono a collegarsi
spontaneamente tra loro realizzando uno stato di equilibrio che corrisponde alla migliore
utilizzazione delle risorse, alla maggiore produzione di ricchezza e alla sua migliore e più giusta
distribuzione.
Smith parla di una mano invisibile che guida l’individuo a realizzare il comportamento economico
volto al conseguimento del suo interesse privato.
Sulla base del principio della libera concorrenza devono essere abolite tutte le leggi che
impediscono o limitano le attività del lavoro produttivo.
Smith sostiene la liberalizzazione del commercio internazionale in quanto la ricchezza di uno stato
dipende anche da quella degli altri.

CAPITOLO 20. La Rivoluzione americana e la formazione degli Stati Uniti. "Il Federalista"

20.1 Hamilton, Madisone e Jay: Il Federalista


In occasione del dibattito che si svolse per le elezioni delle assemblee che avrebbero dovuto
approvare o no il testo costituzionale, comparvero su alcuni giornali di New York 85 articoli in
difesa della federazione che furono raccolti da uno degli autori, Hamilton (gli altri due sono
Madison e Jay) in volume del 1788 con il titolo il Federalista. Lo stato federale è presentato come
un progetto che consente di costruire una grande democrazia repubblicana.
Il federalista svolge una esposizione compiuta del nuovo sistema federale sulla base di una critica
delle considerazioni degli avversari dell’Unione. Può essere divisa in 4 parti:
1. illustra la necessità dell’unione come garanzia della prosperità politica; della difesa di interventi
delle potenze straniere; stabilità degli ordinamenti dei singoli stati; difesa dell’incremento del
commercio; istituzione di un adeguato sistema tributario.
2. tratta dell’improrogabile esigenza di stabilire un governo nazionale per garantire la difesa
comune; per realizzare un potere generale di tassazione e reperire i mezzi necessari per
conseguire i fini comuni.
3. sono esaminati i principi sul quale si fonda il nuovo ordinamento costituzionale e i poteri conferiti
all’unione; i limiti imposti ai singoli stati
4. c’è un’analisi dell’organizzazione e dei reciproci rapporti tra i tre poteri sui quali si struttura la
costituzione federale: legislativo distinto in camera dei rappresentanti e senato, l’esecutivo cioè il
presidente USA, il giudiziario cioè la corte suprema.

Il campo della politica è l’individuazione degli interessi permanenti della comunità e lo studio dei
mezzi più idonei a garantirli.
Gli interessi permanenti ella comunità devono essere mantenuti e distinti da quelli temporanei per i
quali si richiedono provvedimenti singoli che non hanno alcun rapporto tra di loro e che rientrano
nell’ambito della buona amministrazione. Per i primi invece occorre fissare e mantenere una
precisa condotta politica per il conseguimento di un unico fine.

Il sistema federale e la sua costituzione hanno come fine ultimo il governo della ragione che deve
essere garantito contro all’insorgere e al prevaricare delle passioni e degli interessi di parte che
possono attenuare o anche travolgere il buon senso del popolo che potrebbe reclamare
provvedimenti contrari ai suoi interessi e a quelli della comunità.
La democrazia repubblicana espressa nella costituzione federale deve essere concepita in modo
da realizzare un regime politico che non solo si basi sui fondamentali principi di libertà ma che
ripartisca e riequilibri i poteri in modo che nessuno di essi possa varcare i limiti costituzionali.
Riconoscono che il potere più forte è i legislativo, interprete tramite la camera dei rappresentanti
delle istanze e richieste delle masse popolari. Gli organi deliberati devono essere costituiti da un
numero ristretto di membri qualificati. Tanto più grande sarà l’assemblea, tanto maggiore sarà
l’ascendente della passione sulla ragione.
La politica deve essere unita a uno studio attento della natura umana e del ruolo che le passioni
hanno nel comportamento degli uomini. Non bisogna illudersi che il regime repubblicano solleciti
un tale impegno etico-civile da parte del popolo da spegnere qualsiasi spirito di parte o da far
tacere la voce degli interessi particolari impedendo il formarsi di fazioni: è la libertà che favorisce la
diversità degli interessi e delle opinioni e non si può certo eliminare la libertà per impedire il
sorgere delle fazioni cioè un gruppo di cittadini che siano spinti da un comune impulso di passioni
e interessi in contrasto con i diritti di altri cittadini o della comunità.

Non si tratta più di considerare la democrazia come un regime politico in cui acquista un valore
preponderante il principio dell’uguaglianza, della partecipazione diretta dei cittadini al legislativo,
del controllo esercitato dagli stessi sul governo. Una democrazia, un governo repubblicano
presuppongono uno stato con un territorio molto limitato. La nuova democrazia americana che
opera su un vasto territorio deve essere fondata su una sistematica articolazione dei diversi centri
di potere che consentono l’attuazione del principio della sovranità popolare. Sia il governo
nazionale-federale che quello dei singoli stati come le amministrazioni locali debbono fondarsi
sull’elezione popolare. Dal presidente degli Stati Uniti sino al sindaco sel più sperduto villaggio,
tutti devono ricevere il loro potere dalla volontà dei loro cittadini. La democrazia ha il suo vero
fondamento nello spirito di autonomia, di indipendenza, di libera iniziativa che si attua nel sistema
delle ampie autonomie locali.
L’ordinamento federale consente di formare un governo nazionale stabile e forte e di limitarlo e
controllarlo mediante il governo dei singoli stati che a loro volta sono sindacati dalle rispettive
amministrazioni locali.

Il Federalista sottolinea l’importanza dell’esecutivo ai fini dell’unità e stabilità dell’Unione. I poteri


del presidente sono amplissimi ma devono essere esercitati nell’ambito della costituzione e delle
leggi. Il legislativo mantiene sotto un continuo controllo l’esecutivo. Il legislativo tende ad estendere
la sua influenza e a concentrare in sé la sostanza degli altri 2 poteri: ecco perché il legislativo deve
essere contenuto e frenato dall’indipendenza e dall’autonomia dell’esecutivo e del giudiziario.
Una delle preoccupazione degli autori del federalista è di evitare lo strapotere dell’assemblea
legislativa. La volontà popolare in quanto sovrana trova nel legislativo la sua diretta espressione:
essa quindi tende a farne il centro di tutte le decisioni e in tal modo il principio della divisione e
distinzione dei poteri è svuotato di contenuto. Occorre contenere la tendenza della democrazia a
radicalizzarsi per rendere il sistema costituzionale stabile. A tal fine il legislativo è strutturato in due
diverse assemblee con caratteristiche diverse: la Camera dei rappresentanti e il Senato. L’una
rappresenta il popolo americano nella sua unità, l’altro i singoli stati su un piano di parità. I loro
membri sono scelti con procedure elettorali diverse. Grazie al bicameralismo il legislativo si
mantiene nei limiti prefissati dalla costituzione assicurando il corretto funzionamento del sistema.
Un altro impedimento a che il legislativo invada a sfera degli altri due poteri sono le norme che
prevedono una particolare procedura per la modifica della costituzione: si sancisce così il principio
che l’attività legislativa deve svolgersi nell’ambito dei limiti fissati dalla costituzione: il ricorso alla
Corte Suprema cui è affidato il giudizio di costituzionalità delle leggi rende operante questa
essenziale tutela.

CAPITOLO 21. Storia, rivoluzione e Stato. Burke

21.1 Pensiero politico di Burke 1729-97


È lo scrittore politico di maggior rilievo della storia inglese del 700
Il parlamento inglese deve prendere atto che le colonie, pur ritrovando nella tradizione giuridico-
politica inglese i principi ispiratori dei propri ordinamento sono ormai delle società politiche
autonome. Gli americani non possono più essere considerati sudditi della corona britannica. Le
colonie non sono più un paese assoggettato alla madrepatria. Sono pervenute a un livello tale di
organizzazione statale e sociale, sorrette da una propria tradizione sia sul piano culturale che
politico che devono essere considerate comunità politiche autonome. L’Inghilterra non deve
assumere un ruolo imperialistico ma deve svolgere verso le colonie una funzione di guida,
orientamento e coordinamento. Burke propone la trasformazione dell’impero in un Commonwealth.
Il diritto di conquista non giustifica il dominio tirannico, pretendendo di imporre ai popoli dell’India le
leggi e gli usi inglesi in nome di una pretesa superiore civiltà.

I conflitti politici devono essere considerati in una prospettiva storico-politica in grado di intendere i
rapporti sussistenti tra i veri attori della situazione politica da comprenderne la interna dinamica e il
suo esito finale.
La prevalenza che la corona fa valere nei confronti del parlamento porta ad una commistione di
due attività che nel sistema costituzionale devono rimanere distinte: l’attività politica e quella
amministrativa. La politica e l’amministrazione non possono rifluire l’una nell’altra in occasione
della formulazione del programma di governo e della formulazione della maggioranza che tale
programma sostiene. L’intervento della corona nella politica inglese e la tutela che esercitava sul
parlamento aveva avuto come conseguenza la riduzione dei problemi politici a semplici problemi
amministrativi: si era così perduto il senso dell’insieme, della visione unitaria.
La distinzione tra politica e amministrazione si fonda sul fatto che la prima deve individuare i fini
della collettività e i mezzi adeguati per conseguirli mentre la seconda s riferisce alla realizzazione
dei fni indicati mediante i mezzi decisi in sede politica. La politica seguita dalla corona si fondava
su un empirismo che non riusciva a concepire una visione sistematica degli interessi in gioco. La
politica inglese può essere paragonata ad un mosaico le cui tessere sono tutte sconnesse.
I partiti non devono più essere considerati alla stregua delle fazioni, che perseguono fini in
contrasto con il bene della collettività, ma come associazioni di individui che hanno una comune
concezione politica e che sulla base di questa concezione propongono una serie di provvedimenti
tra loro coordinati al fine di realizzare i principi che derivano dalle loro convinzioni.
Grazie al dibattito di idee sollecitato dai partiti, si esprimono nel parlamento degli orientamenti
politici ce devono trovare riscontro negli elettori che esprimono a loro volta un proprio orientamento
politico.
L’opinione pubblica è insieme ai partiti una componente essenziale del sistema costituzionale
britannico che fa del parlamento un vero organo rappresentativo dell’intera nazione.

21.2 Burke: Riflessioni sulla rivoluzione francese


Nelle “riflessioni sulla rivoluzione francese” manifesta il timore che il nuovo governo francese
avrebbe svolto una politica in contrasto con gli interessi inglesi e questo avrebbe finito per
provocare un conflitto.
Parla dell’ingenua affermazione di chi ritiene che la rivoluzione francese sia la ripetizione dopo un
secolo della gloriosa rivoluzione inglese del 1689. per Burke sono due avvenimenti diversi: la
rivoluzione inglse voleva difendere l’antico sistema costituzionale assicurando il trono d’inghilterra
alla discendenza protestante. Il parlamento inglese si sentiva inserito in una tradizione e vincolato
a una serie di norme non scritte che delimitavano e regolavano il potere sovrano. Essi non intesero
ricostituire ex novo la costituzione inglese ma solo conservarla e migliorarla. La rivoluzione
francese è ispirata ad un principio opposto: la società deve essere ricostituita ex novo mediante la
ragione: la tradizione in quanto fondata sul timore, sull’errore, deve essere cancellata. La
rivoluzione accoglie il presupposto che sussista una equivalenza tra realtà e ragione e che la
politica si realizza sul piano della ragione. Si pensava che l’ordine politico fondato sulla ragione
corrisponde alle vere esigenze dell’uomo.
La rivoluzione è la conclusione dell’affermazione illuministica dell’assoluto primato della ragione
quale unica misura cui debbono essere riportate istituzioni, leggi, costumi tradizioni.
Burke dice che la politica non può fondarsi su questo tipo di ragione. La politica è una scienza
sperimentale e come tale non si può insegnare a priori. La politica deve riferirsi a un tipo di ragione
che si sia plasmata sull’esperienza che si genera dalla stessa esperienza. La realtà politica è
complessa e non può essere compresa con i criteri dell’intelletto analitico.
L’esperienza della vita di un solo individuo non basta. Occorre l’esperienza di più individui e più
generazioni quale si acquisisce tramite le istituzioni, le leggi, i costumi, le tradizioni, che
contengono in sé la vera ragione politica.
La ragione su cui si basa la politica si identifica con la storia.
La ragione deve sì considerare gli stati, le istituzioni, le leggi, i costumi nella prospettiva storica
quali risultati di una attività ininterrotta, ciascuno avente la sua fisionomia e caratteristica.

21.3 Burke: istituzioni, mutamento e fondamento del potere


Le istituzioni della società proprio perché sono il risultato di una lunga esperienza storica, hanno
una loro precisa ragion d’essere: contengono in sé ed attuano la ragione nella storia. Il presente in
cui viviamo è connesso al passato. Il presente sussiste solo in quanto è continuamente sorretto e
alimentato dal passato. Il passato non è morto ma vive nel presente in quanto testimonia la
personalità del popolo, fonda la sua identità, fa del popolo, della società, dello stato, una unità
reale e vivente. La società politica sussiste in quanto mantiene sempre viva la continuità tra
passato e presente: solo a questa condizione essa può essere aperta al futuro e orientare le sue
esigenza nella prospettiva del nuovo. Le società che rifiutano il passato si tolgono dalla storia:
credono di rinnovarsi.
La costituzione deve essere concepita come l’espressione dell’esperienza politica di un popolo
quel si è attuata nella storia. Non può essere formulata secondo puri principi di ragione in quanto si
ridurrebbe a una mera astrazione senza possibilità di essere operante, in grado di garantire diritti e
libertà ai cittadini. La costituzione deve essere invece fondata su una tradizione storica, su principi,
ideali, valori che sussistono nel presente.

Uno stato privo di ogni possibilità di mutamento non ha neanche modo di conservarsi.
La tradizione deve essere considerata alla luce della dialettica conservazione-innovazione per cui
conservare significa innovare e innovare significa conservare. Perché al società sussista nella sua
unità reale bisogna conservare ciò che fonda la società nella sua individuale fisionomia storica, ciò
che fa sussistere la società nella sua unità reale cioè come stato, mentre bisogna mutare tutto ciò
che sulla base dell’esperienza ha dato risultati negativi. Bisogna combinare con un sapiente
dosaggio il vecchio e il nuovo.

La nuova classe politica crede che sia possibile governare il paese con leggi che dovrebbero
essere obbedite per la loro razionalità. Ma il rapporto tra chi comanda e chi obbedisce non si fonda
sulla mera ragione. Il potere si fonda sulla forza che trova la sua disciplina in ideali, valori, principi
che appartengono alla sfera dei nostri più nobili sentimenti. Essi si esprimono nella società con
forme efficaci solo se si basano sulla tradizione.
Il poter che si basa sulla nuda ragione finisce con l’identificarsi con la verità della ragione sicura di
se stessa e pretende di agire in nome di questa verità che non ammette errori e reclama una totale
adesione ai suoi precetti ponendo le premesse per un nuovo assolutismo.
Il potere si manifesta prima come dominio della ricchezza : la nuova classe politica di tipo
oligarchico che ha distrutto gli ideali e i valori che delimitavano il potere e ne temperavano l’uso
può perseguire i suoi interessi solo con l’uso della forza. Ma essendo stata vanificata la forza
politica che si fonda sull’opinione convalidata da una lunga tradizione, rimane solo quella militare.
L’armata francese è una forza autonoma sulla quale il governo esercita un controllo nominale.
L’esercito è l’unico padrone della Francia e quando troverà un generale che sulla base dei suoi
successi riscuoterà la fiducia dell’intera armata, quel generale sarà il padrone della Francia.

CAPITOLO 22. Individuo, società è Stato: Kant

22.1 Kant 1724 – 1804 - Metafisica dei costumi


Intende indicare i principi e valori ai quali informare l’opera di riforma delle monarchie tedesche
fondate su un ordinamento aristocratico-feudale.
Lo scritto è la “metafisica dei costumi”
La filosofia indica le premesse e i principi per conoscere la politica cioè di concepire i
comportamenti degli individui.
La politica è intrinsecamente connessa alla ragione.
La conoscenza si fonda sull’esperienza empirica ma le sensazioni sono un materiale grezzo che
viene plasmato e ordinato dalla ragione.
Ci sono forme a priori dell’intuizione sensibile, concetti e idee dell’intelletto e della ragione che non
si possono ricavare dall’esperienza empirica ma sono connesse con il processo mediante cui si
realizza la conoscenza e sono le uniche condizioni che rendono intellegibile l’esperienza. Queste
forme a priori dell’intuizione sensibile non ci consentono di conoscere ciò che è al di fuori
dell’esperienza: essi hanno un valore trascendentale e non trascendente, che si riferisce ad una
realtà metafisica. Gli oggetti della conoscenza sono i prodotti della nostra facoltà razionale. È la
ragione che crea gli oggetti nella loro dimensione fenomenica.
La filosofia ha il compito di precisare poteri e limiti della ragione.
La conoscenza scientifica fondata sui giudizi sintetici a priori è possibile a patto che la ragione non
registri passivamente i dati che riceve dall’esperienza empirica.
la ragione si toglie dal determinismo della natura ed è costitutivamente libera: l’atto del conoscere
è libertà.
La libertà in quanto fenomeno teorico della ragione deve trovare un riscontro sul piano politico
come diritto di discussione e critica riconosciuto a tutti.
22.2 Kant: La legge morale e il diritto
Deve considerarsi pratico tutto ciò che è possibile per mezzo della libertà. Questa deve essere
intesa come l’assoluta possibilità di determinarsi indipendentemente da qualsiasi movente di
carattere empirico, sensibile, materiale.
La libertà si riferisce alla volontà che deve essere distinta dai desideri e dall’arbitrio. La volontà ha
per oggetto un’azione avente valore oggettivo. In essa forma e contenuto si identificano. L’oggetto
della volontà è la legge morale avente valore oggettivo e universale. La razionalità è il presupposto
di ogni decisione della volontà libera, cioè che si determina indipendentemente dal
condizionamento degli impulsi, desideri, interessi.
La legge morale conferisce all’individuo la personalità cioè lo rende autonomo e indipendente dal
meccanismo della natura.
La caratteristica della legge morale è la sua purezza dato che nella sua determinazione non può
intervenire alcun elemento che appartenga al mondo della sensibilità. La legge morale non può
essere assunta in vista del perseguimento di alcun interesse e quindi non deve avere alcun
rapporto con i nostri impulsi, desideri, sentimenti. L’unico sentimento che corrisponde alla legge
morale è quello del dovere che ci innalza al di sopra di tutto il mondo sensibile e ci libera dal
meccanismo della natura.

La legge morale è il fondamento dell’agire pratico, ciò che lo rende intellegibile come un tutto
coerente e sistematico e funge da premessa delle considerazioni che attengono al comportamento
dell’individuo volto a conseguire la felicità. Distingue il bene morale dalla felicità e il primo deve
avere l’assoluto primato sulla seconda. La felicità è il godimento durevole delle vere gioie della
vita.
Quello che dobbiamo fare per conseguire la felicità ci viene indicato solo dalla personale
esperienza e non può essere determinato a priori.
I precetti di prudenza che sono finalizzati al conseguimento della felicità sono ricavati
dall’esperienza ed hanno un valore di regola generale ma non di principi universali e quindi
consentono eccezioni.
I precetti si riferiscono al comportamento degli individui volti al conseguimento della felicità, ai
costumi intesi come maniera e modo di vivere. La metafisica dei costumi è quella disciplina che,
sulla base dei principi della legge morale studia i rapporti che intercorrono tra la morale e il diritto in
quanto regola le azioni esterne degli individui. La distinzione tra la morale e il diritto si fionda sul
principio che la prima si riferisce alla determinazione interiore mentre il secondo riguarda la
disciplina dell’azione esterna. Nella legge sussistono due elementi: il primo è l’obbligo in quanto si
presenta come dovere, il secondo è l’impulso che determina l’individuo a compiere il dovere.
Quando l’impulso si identifica con il dovere ci troviamo di fronte alla legge morale, quando
scaturisce da un principio diverso dal dovere abbiamo una legge giuridica.
Alla morale e il diritto corrispondono la volontà e il libero arbitrio. La volontà è la determinazione
che si riferisce al principio che regola l’azione, mentre l’arbitrio alla possibilità di attuare l’azione. La
volontà è libera in quanto si adegua al principio secondo cui deve determinarsi. La volontà
dinnanzi alla legge morale non ha possibilità di scelta: deve seguire la legge morale. L’arbitrio
invece può essere detto libero in quanto si riferisce alla possibilità di compiere o non compiere
l’azione ad opera delle vere e proprie scelte. L’arbitrio è la facoltà che corrisponde alla legislazione
esterna, al diritto, e deve essere considerato libero.
Il diritto si riferisce alle azioni esterne degli individui e tra gli stessi individui e consente la
coesistenza di più individui. Il diritto è l’insieme delle condizioni per mezzo delle quali l’arbitrio di
uno può accordarsi con l’arbitrio di un altro secondo una legge universale di libertà.
Il principio di libertà consente di individuare l’altro elemento fondamentale del diritto, cioè la
coazione che si presenta come l’uso della forza, della costrizione, per impedire la libertà esterna
che non si accordi con la legge universale di libertà. Il diritto stretto cioè quello che si riferisce alle
azioni esterne si fonda sulla possibilità di costrizione esterna che possa coesistere con la libertà di
ognuno secondo leggi generali.
la grande divisione del diritto è quella tra diritto naturale (che riposa su principi a priori) e diritto
positivo (che promana dalla volontà del legislatore). Il diritto naturale è uno solo, la libertà dalla
quale deriva l’uguaglianza (io posso essere costretto a fare solo ciò che a mia volta posso
costringere l’altro a fare).

22.3 Kant: La società politica


La società politica è l’unione degli individui mediante le leggi giuridiche che trova nel contratto
sociale il principio grazie al quale è possibile comprendere i rapporti che si istituiscono tra gli stessi
individui nell’ambito della società. Il contratto sociale deve essere concepito come l’ipotesi che
dobbiamo formulare per comprendere l’organizzazione politica conformemente al concetto di
diritto. Solo l’ipotesi del contratto sociale permette di garantire la libertà e l’uguaglianza degli
individui in quanto al comune volontà giuridica sulla quale si fonda la società e la coercizione
generalizzata che fa capo allo stato scaturiscono dal consenso degli stessi individui che
compongono la società. Con il contratto sociale tutti nel popolo depongono la propria naturale
libertà esterna per riprenderla di nuovo subito come membri di un corpo comune.
La collettività politica può essere considerata come: stato civile che è dato dal rapporto degli
individui riunito nel popolo; stato che è il tutto in rapporto con ogni suo membro; cosa pubblica in
virtù dell’interesse che lega tutti gli individui a vivere nello stato giuridico.
Il diritto pubblico si distingue nel diritto dei popoli, nel diritto dello stato e nel diritto politico dei
popoli o diritto cosmopolitico.
Lo stato è la riunione di un certo numero di uomini sotto leggi giuridiche.
Come Montesquieu dice che la volontà generale si articola in 3 poteri: il potere sovrano che risiede
nel legislativo; il potere esecutivo nel governo; il potere giudiziario nel corpo dei giudici.
Il potere legislativo promana dalla volontà collettiva del popolo dato che solo in questo caso
vengono garantite la libertà, l’uguaglianza, l’indipendenza dei singoli che concorrono con il loro
consenso alla formazione della legge. La partecipazione degli individui al potere legislativo avviene
tramite un organo rappresentativo alle cui elezioni sono ammessi solo i cittadini attivi cioè che non
si trovano sottoposti a chi può influire sulle loro scelte politiche.
Le forme di governo per Kant sono tre: autocrazia, aristocrazia e democrazia. La forma più
semplice è la prima, la più complessa è l’ultima in quanto implica la volontà di tutti per formare un
popolo, la volontà del popolo per dar vita a una repubblica e la volontà collettiva per attribuire il
potere sovrano a un determinato corpo politico.

22.4 Kant: Lo stato


Lo stato ha il fine di garantire la libertà, l’uguaglianza, l’indipendenza degli individui che lo
costituiscono. Lo stato non può arrogarsi il compito di rendere felici i sudditi. La felicità deve essere
ricercata e conseguita da ciascun individuo.
Il principio di libertà significa che i cittadini devono essere considerati capaci di vivere la propria
vita in modo autonomo e in grado di dare un proprio contributo al governo della società.
Bisogna riconoscere ad ogni cittadino l’uso pubblico della propria ragione cioè la possibilità di far
conoscere le proprie idee, le proprie considerazioni critiche nei confronti dei provvedimenti del
governo mediante la stampa. Non può essere ammesso invece l’uso privato della ragione cioè la
facoltà di critica del funzionario nei confronti degli atti pubblici che devono essere eseguiti per il
conseguimento di fini di interesse generale.
Questa distinzione tra uso pubblico e privato della ragione deve essere applicato anche in materia
religiosa.
La costituzione della chiesa non può essere considerata immutabile, essa deve adeguarsi alle
esigenze di una ragione veramente illuminata.
Lo stato non ha alcun potere sulla dottrina e sul culto della chiesa, può solo richiedere che i doveri
derivanti dall’appartenenza alla chiesa non contrastino con le leggi. Lo stato deve garantire la
piena libertà religiosa.

Lo stato oltre alla libertà del singolo deve garantire l’uguaglianza: tutti sono sottoposti al comando
delle leggi, tutti sono sudditi dello stato e nessuno può imporre niente agli altri se non tramite le
leggi.
Tutti i cittadini hanno il diritto di conseguire la posizione sociale che corrisponde alla propria
capacità, al proprio lavoro, senza che quella venga riservata ad alcune categorie sociali.
L’aristocrazia non può più vantare alcun esclusivo diritto agli incarichi più importanti dello stato.
Deve invece concorrere con altre classi sociali, in particolare la borghesia, per quanto riguarda gli
uffici e le attività pubbliche. In vista di questo fine occorre predisporre una politica di radicale
riforma della grande proprietà feudale ed ecclesiastica che sancisce privilegi politici
dell’aristocrazia e dell’ordine ecclesiastico. Questi provvedimenti sono legittimi in quanto o stato,
espressione della volontà generale è la fonte del diritto di proprietà privata dei singoli cittadini. Allo
stato appartiene tutto il territorio sul quale esercita la sua sovranità. Tale relazione non deve essere
concepita come se avessimo un governo dispotico, ma come premessa indispensabile perché i
singoli possano avere un dominio esclusivo di una parte limitata del territorio dello stato.

Kant aderisce agli ideali di rinnovamento culturale e politico della rivoluzione francese. Nonostante
tutti gli errori e dolori che sono connessi con avvenimenti del genere, la rivoluzione ha suscitato nei
popoli entusiasmo e fiducia nella possibilità del progresso dell’umanità. Ma il principio sul quale si
fonda la rivoluzione, il diritto di resistenza attiva al governo non può essere accolto in uno stato di
diritto. Il popolo non può ergersi a giudice del suo sovrano né può usare forza contro di lui in
quanto automaticamente distruggerebbe l’autorità sovrana e riporta la società civile alla società di
natura e si annulla come popolo cioè come entità fondata sul diritto.
Le riforme possono essere promosse solo dal sovrano. Può essere ammessa una sola forma di
resistenza, quella che può esercitarsi nei confronti del potere esecutivo e non contro quello
legislativo

22.5 Kant: La rivoluzione


La rivoluzione in quanto trasformazione violenta dell’ordine politico pone il problema di intendere la
funzione che hanno le lotte politiche, i conflitti, le guerre, nel processo di formazione della società e
quindi nell’affermazione del principio del diritto.
La natura ha dotato l’uomo di ragione e volontà affinchè egli possa perfezionarsi continuamente. Il
fine della natura è che l’uomo si elevi tanto da rendersi degno della vita e della felicità. Questo fine
può essere conseguito dall’uomo solo stabilendo e mantenendo rapporti con gli altri uomini,
condizione necessaria per lo sviluppo delle sue attitudini. Queste sono promosse da due tendenze:
la socievolezza: il desiderio che ha l’uomo di unirsi con il suo simile per esprimere la sua
personalità, che si forma grazie alla partecipazione di quanto viene fatto.
La insocievolezza: la tendenza a esaltare se stesso sugli altri, a concentrare su di sé i benefici
della vita sociale.

L’uomo è costretto dalla natura a entrare in società con i suoi simili sotto la spinta dei bisogni più
elementari e urgenti, per una esigenza di difesa e tutela della vita e nello stesso tempo è proprio la
società che sviluppa nell’uomo l’inclinazione all’antagonismo col favorire della passioni, desideri,
sentimenti che contrappongono gli uomini tra loro. Se non ci fossero le contrapposizioni tra gli
uomini non sarebbero state possibili le conquiste della ragione e dell’ingegno umani.
Il progresso si realizza con un meccanismo per cui l’uomo è tenuto a freno dai suoi stessi impulsi,
passioni che creano le situazioni che costringono l’uomo a fondare la società civile.

CAPITOLO 23. Diritto, morale, etica. Il problema dello Stato: Hegel

23.1 Hegel 1779 – 1831: rapporto religione e politica


Primi interessi si riferiscono ai problemi dei rapporti tra religione e ordine politico.
Scrive “religione popolare e cristianesimo”, “la vita di Gesù”, “la positività della religione cristiana”.
Considera il Cristianesimo come religione positiva cioè come formula di fede e regole di vita che il
credente accetta in quanto dettate dall’autorità della chiesa. Al Cristianesimo come religione
positiva contrappone un Cristianesimo che si esprime sul piano della pura morale quale può
essere individuata e riconosciuta dalla coscienza e dalla ragione dell’uomo. La tendenza a
considerare la religione, i costumi, il popolo, la società, lo stato come una totalità ha il suo centro
unificatore nella religione.
La religione è il modo d’essere originario dello stato nel quale si fonda ciò che caratterizza e
distingue la comunità, ciò che fa l’unità vivente che è il popolo. La religione contiene in sé tutti i
modi d’essere del popolo i quali si realizzeranno nella storia. La religione è il destino del popolo.
La storia del popolo ebraico è l’esplicazione della sua religiosità che fa tutt’uno con i suoi costumi e
tradizioni che è la ragion d’essere della comunità. Dio è venerato come il dio di Israele che
istituisce con il popolo un rapporto unico per mezzo del quale lo stesso popolo riconosce la sua
identità. Israele in tal modo si isola da tutti gli altri popoli e il mondo che lo circonda è visto come
qualcosa di estraneo e ostile. Dio è considerato come l’assoluto da cui dipende tutto. Le vicende
politiche di israele sono connesse al suo rapporto con Dio. La perdita dell’indipendenze e la sua
virtù politica dipendono dal fatto che Israele si è allontanato da Dio con la conseguenza giusta
della sua colpa. Il popolo di Israele è soggetto in tutto alla legge del signore. Tale rapporto produce
una totale separazione tra Dio e il popolo e tra il popolo di Israele e tutti gli altri popoli. Il messaggio
di Gesù deve essere visto come il momento in cui la scissione e la statica contrapposizione tra
infinito, Dio e finito, popolo, viene superata. Sono così poste le premesse per il superamento della
distinzione kantiana tra religione e ragione, morale e diritto, per intendere la religione come
esperienza vitale in cui si pone il rapporto dialettico tra infinito e finito. La religione è il modo
d’essere originario su cui si fonda l’identità della comunità. La religione fa di una molteplicità di
individui e cose una unità vivente, il popolo.

23.2 Hegel: La costituzione della Germania


Lo scontro con le armate francesi aveva dimostrato l’inconsistenza politica dell’impero,
l’inefficienza della sua struttura confederale, incapace di esprimere una vera forza politica.
La confederazione germanica è lontana dall’essere un vero stato. La sua costituzione, istituzioni,
tradizioni non corrispondono alla vita della comunità germanica. La struttura confederale nasconde
una scissione tra l’organizzazione giuridico costituzionale e le autentiche esigenze della collettività
tedesca che non riesce ad attuare quell’unità reale che si esprime nello stato. L’impero è uno stato
solo nel pensiero e non nella realtà. L’attività dello stato si realizza solo nelle forme proprie del
diritto privato, dato che i singoli stati godono di un particolare status di indipendenza e autonomia
garantito dalla costituzione dell’impero. Lo stato germanico è un’associazione di comunità sovrane
ciascuna rivendicante la propria autonomia e indipendenza.
L’essenza dello stato consiste nell’unione di una moltitudine di persone per la comune difesa di
tutto ciò che è sua proprietà.
L’impero tedesco non è riuscito a organizzare una forza militare efficiente anche perché non aveva
il potere di procurarsi i mezzi finanziari necessari per un esercito moderno,. Il sistema dei
contingenti ha bloccato tutti i tentativi volti a realizzare una politica unitaria in grado di provvedere
alla difesa dell’indipendenza e dell’integrità territoriale.
La confederazione germanica è un’associazione in cui i singoli stati costituiscono ciascuno una
parte a sé senza alcun organico collegamento o vincolo con l’Intero. Si può paragonare la
confederazione tedesca a un mucchio di pietre rotonde che non appena riceve un colpo si disfa e
le pietre rotolano. Lo stato invece deve essere un muro le cui pietre si incastrano le une con le
altre.
Hegel contrappone la politica al diritto. Critica la riduzione giusnaturalistico-illuministica
dell’essenza dello stato al diritto, che ha disarticolato lo stato per ridurlo a un mero aggregato di
parti che coesistono l’una accanto all’altra senza integrarsi in un organismo unitario.
Occorre che in Germania venga finalmente fondato lo stato moderno come è successo in Francia,
Inghilterra e Spagna. Il Principe appare a Hegel come la grande opera politica in cui è stata
concepita l’idea di stato come forza, come potenza che salva un popolo, una nazione, dalla
disgregazione che si genera dal particolarismo, garantendogli l’unità e l’indipendenza.

Esamina l’impotenza dell’impero e la sua incapacità di attirare una valida politica di difesa dell’unità
della nazione germanica. Rileva l’inesistenza di un vincolo che unisca le singole parti della
confederazione germanica allo stato considerato come Intero. l’Intero non è la somma delle parti
che lo costituiscono ma è ciò che risulta dalla loro reale unità e quindi ciò che fa sussistere le parti
nella loro specifica funzione, che le armonizza in modo che la loro attività pervenga a un risultato
unitario. Il compito della filosofia è indicare come deve essere pensato l’intero per comprendere la
sua articolazione in una molteplicità di parti che si organizzano in un tutto sistematico. L’intero
quando si riferisce alla politica si esprime come eticità, come la totalità dei principi, dei valori sui
quali si fonda il comportamento degli individui nella comunità. Lo stato è un organismo compiuto,
una unità-totalità che ha nell’etica il suo vero centro unificatore.
La realtà dell’individuo come vivente unità di particolare e universale può essere compresa con il
concetto di eticità: questa si identifica con il popolo. L’individuo considerato come Io è una vuota
attrazione così come sono del tutto attratti i diritti naturali che costituirebbero la sua vera essenza.
L’individuo invece esiste nel popolo cioè in una totalità etica. Il popolo è una individualità e come
tale esprime il suo proprio carattere, una propria personalità che costituiscono il vero fondamento
del sistema politico cioè del fatto che tutti gli ordinamenti positivi, le leggi, le istituzioni sono le une
alle altre collegate in modo da realizzare gli scopi che sono propri dell’Intero cioè dello stato.

23.3 Hegel: La politica


La dialettica è il procedimento logico che coglie l’essenza del divenire, del movimento reale per cui
l’intero si articola e si determina in tutti i suoi aspetti mediante un processo di scissione. Essa si
fonda sulla convinzione che il movimento scaturisce dalla contrapposizione di due termini che si
negano a vicenda e tramite questa negazione si ricostituisce una superiore unità che li comprende
entrambi. I tre momenti del processo: affermazione; negazione dell’affermazione; negazione della
negazione che ripropone la prima affermazione arricchita delle determinazioni necessarie per
ricostituire l’unità dei due termini. In virtù di questo processo la virtù si esprime nella reale e quindi
vivente unità di tutte le sue determinazioni.
Il movimento, il divenire si attua nella storia: di qui la connessione tra storia filosofia e politica. Lo
stato è il risultato di un lungo processo storico nel corso del quale si sono formati i suoi elementi
costitutivi. Lo stato costituzionale è connesso con la cultura e la civiltà occidentale fondate sulla
tradizione greco-romana e su quella cristiana medievale e moderna.
La politica deve essere concepita come attività ma non può essere ricondotta al diritto o alla
morale perché è la sintesi dialettica di diritto e morale, appartiene quindi all’eticità che diventa
consapevole di sé mediante la società e lo stato. se la politica è attività pratica essa deve essere
riferita al principio stesso dell’attività cioè la volontà. La politica è un indagine del sistema delle
determinazioni della volontà. L’essenza della volontà è la libertà. La libertà diventa il valore
centrale al quale deve informarsi l’organizzazione della società e dello stato. La libertà e l’essenza
dell’uomo e quindi l’uomo è l’idea vivente della libertà.
Il diritto è la forma di autodeterminazione della volontà che si manifesta dall’esterno. Esso è anche
la forma con cui si esprime la libertà, e il sistema del diritto è la garanzia di libertà dell’individuo in
quanto definisce gli specifici contenuti della stessa libertà. In virtù del diritto il soggetto sussiste
come persona cioè soggetto titolare dei diritti e manifesta la sua volontà nelle 3 fondamentali sfere
giuridiche la cui disciplina forma il sistema del diritto:
La proprietà: che è il riconoscimento della volontà singola, della persona particolare
Il contratto: che è la negazione di questa particolarità mediante il riconoscimento dell’altro come
persona e dell’unica volontà che unifica quella dei contraenti
L’illecito è la negazione del contratto nella forma dell’illecito semplice e della frode, e del diritto
mediante il delitto.

Con questa negazione si manifesta il male e la volontà esteriore dell’individuo viene ricondotta alla
sua interiorità, alla volontà soggettiva cioè alla volontà morale.
La moralità è la sfera propria delle azioni che vengono indirizzate al conseguimento del bene. Ma
la moralità è anche la consapevolezza dell’assoluta libertà della propria interiorità cioè della
capacità che ha il soggetto di giudicare ciò che è bene e ciò che è male.
L’eticità esprime la sfera del dovere che contiene in sé le due precedenti sfere: quella del diritto e
quella della moralità.

23.4 Hegel: Il concetto di società civile


Hegel rifiuta la concezione giusnaturalistica e contrattualistica della società e dello stato che
fondano l’organizzazione politica sul consenso dell’individuo. L’individuo invece nasce in un gruppo
le cui funzioni e le cui interne relazioni sono definite dall’etica, la famiglia nella quale è inserito.
Con lo scioglimento etico della famiglia che avviene con la maggiore età dei figli o con la morte dei
genitori, l’individuo acquista la sua piena autonomia che si esplica nell’ambito della seconda forma
dell’eticità, la società civile.
La società civile non è costituita dall’unione di più famiglie ma dai singoli individui. Essa risulta dal
coordinamento degli interessi particolari dei singoli.
La società civile si fonda sul sistema dei bisogni, sull’organizzazione per soddisfare tali bisogni e
comprende tutte le istituzioni volte a tutelare l’interesse dei singoli, soprattutto l’amministrazione
della giustizia e la polizia.
Il concetto di società civile diventa nell’analisi di Hegel la sfera caratterizzata dall’attività economica
volta al soddisfacimento dei bisogni degli individui. L’uomo è in grado di moltiplicare all’infinito i
suoi bisogni, di scomporli, di particolarizzarli e di renderli sempre più astratti. Questa è la premessa
su cui si fonda il principio della divisione del lavoro che ha come risultato una sempre maggiore
semplificazione dell’attività lavorativa che consente la sostituzione del lavoro umano con la
macchina.
Il sistema dei bisogni converte l’interesse dei singoli nell’interesse generale. Chi lavora per sé
lavora per gli altri nel senso che concorre con il suo lavoro alla formazione del patrimonio generale,
alla ricchezza della nazione. Questo non significa che tutti abbiano diritto ad una uguale porzione
del patrimonio generale in quanto gli individui hanno posizioni e attitudini diverse che costituiscono
la vera causa dell’ineguaglianza dei patrimoni.
Le principali attività economiche raggruppano gli individui in masse distinte. Si formano in tal modo
gli stati o ceti sociali che sono 3:
1. i proprietari di terra e gli agricoltori: o stato sostanziale
2. lo stato dell’industria: artigiani, commercianti
3. stato generale: costituito dalle persone che si dedicano agli interessi generali dello stato sociale.

Ogni individuo ha un ruolo sociale e ciascuno stato sociale esprime una propria forma di eticità
cioè una serie di convinzioni, principi e ideali che lo caratterizzano.
Gli stati sociali sono la vera struttura portante della società civile.
Alla società civile appartiene non solo la dichiarazione del diritto privato in quanto legge ma anche
l’applicazione della stessa legge cioè l’amministrazione della giustizia che deve garantire
all’individuo libertà civile e interessi. Occorre riconoscere alla società civile anche un potere di
vigilanza e tutela per armonizzare i diversi interessi dei produttori e dei consumatori.
L’organizzazione della società civile trova il suo compimento nella corporazione cui fanno capo i
ceti sociali. La corporazione rappresenta il momento etico della società civile. Essa interpreta e fa
valere i valori, le superiori regole che disciplinano l’agire pratico degli individui volti al
soddisfacimento dei propri bisogni ed a procurarsi la ricchezza armonizzandolo con quello degli
altri.
La società civile ha la funzione di portare gli istinti, i bisogni, i sentimenti degli individui dal livello
della rozza immediatezza naturale a quello della razionalità, conferendo così alle esigenze degli
individui la forma della universalità. Si esprime in tal modo nella sfera della società civile la civiltà
che è intesa da Hegel come la liberazione e il lavoro della superiore liberazione che nel soggetto è
il duro lavoro contro la mera soggettività del comportamento, contro l’immediatezza del desiderio,
così contro la vanità soggettiva del sentimento.

23.5 Hegel: Lo stato è la realtà dell’idea etica


Il concetto di stato è connesso con quello di razionalità. È la consapevolezza del rapporto che lega
tra di loro tutte le determinazioni, tutte le sfere.
Rifiuta la concezione contrattualistica ed individualistica dello stato.
La polemica di Hegel nasce dalla considerazione degli avvenimenti politici della Rivoluzione
francese: l’esigenza di affermare la libertà dell’individuo e di ricostituire ex novo l’intera struttura
dello stato aveva trovato la sua paradossale conclusione nel Terrore come negazione proprio della
libertà e come affermazione della tirannia più spietata.
Lo stato non può prescindere dalla libera attività degli individui in quanto solo essi realizzano la
sintesi della particolarità del singolo e dell’universalità rappresentata dallo stato.
La costituzione politica si fonda sulla distinzione dei poteri articolata in:
potere legislativo: ha il compito di articolare e stabilire l’universale
potere governativo: riporta le sfere particolari e i casi singoli sotto l’universale
potere sovrano: unifica i due precedenti poteri. La sovranità è incarnata e rappresentata dal
monarca che garantisce in virtù della successione al trono la continuità dello stato.
differenza tra distinzione e divisione dei poteri: la prima implica la sussistenza di un armonico
rapporto tra i poteri in quanto si riconoscono come derivanti da un unico principio, l’unità e la
sovranità dello stato rappresentata dal monarca; la seconda sottolinea la reciproca limitazione che
tende a degenerare nella contrapposizione dei poteri e che termina con la supremazia del
legislativo o dell’esecutivo per instaurare un potere assoluto.
Il monarca ha il potere di nominare i membri del governo e le alte cariche dello stato.

L’esecuzione delle decisioni del monarca fa capo al potere governativo che è costituito dalla
pubblica amministrazione nel cui ambito è compresa anche l’amministrazione della giustizia. Il
compito della pubblica amministrazione è di far valere l’interesse generale dello stato.
Il potere governativo ha il compito di fungere da tramite tra la società civile e lo stato e di garantire
il perseguimento dell’interesse generale nel rispetto dell’interesse dei singoli.
Il potere legislativo è costituito dal monarca a cui appartiene la decisione suprema; dal potere
governativo; dalle assemblee degli stati alle quali appartiene l’iniziativa delle proposte di legge.
La legge deve essere espressione della volontà degli organi fondamentali dello stato.
Non può essere ammessa la partecipazione dell’individuo singolo al governo dello stato.
La rappresentanza politica non deve essere fondata sul rapporto diretto tra popolo e
rappresentanti ma deve essere mediata dal sistema degli stati social