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La costituzione migliore è quella in cui ogni cittadino possa meglio provvedere alla sua prosperità
materiale e alla sua felicità.
L’ordinamento politico della città deve essere informato che tra gli eguali ci deve essere
compartecipazione dei diritti e dei beni tranne il caso in cui ci sia qualcuno che emerge per virtù e
capacità pratica alla cui volontà è giusto obbedire.
Se la felicità è inscindibile dalla virtù, la potenza e il dominio non sono il fine della polis ma devono
essere dei mezzi per assicurare la difesa della polis. La guerra deve essere combattuta avendo
sempre di mira la pace.
Il comando è legittimo solo se esercitato nei confronti di quelli che la natura destina ad obbedire.
Estendere il potere al di la dei limiti fissati dalla gerarchia naturale è un atto di sopraffazione.
Il metodo cui si serve per analizzare i diversi tipi di costituzione è confermato nel libro V della
politica dedicato allo studio delle cause delle tensioni e dei conflitti sociali che sboccano nella
trasformazione violenta delle costituzioni. Il presupposto di fondo è che l’ordine deve essere
considerato come il fine ultimo della politica in quanto scienza dei mezzi più idonei a conservare il
potere. Tutti i tipi di costituzione si equivalgono in quanto garantiscono una certa misura di ordine e
stabilità politica.
Si tratta di rendersi conto delle cause che determinano la trasformazione di una costituzione per
individuare le massime per conservarla. Le tensioni, i conflitti e le trasformazioni violente
appartengono alla patologia della polis.
Stasis = sedizione, ribellione, rivolta
Metabolè = mutamento cambiamento, trasformazione della costituzione
I conflitti sociali e politici sono determinati dall’ineguaglianza e dal desiderio di attuare
l’eguaglianza. Possono essere finalizzati alla deposizione dei governanti per sostituirli con coloro
che hanno promosso la rivolta o cambiare del tutto la costituzione.
I fattori che provocano l’insorgere della rivolta sono 3:
1. morale-ideologico, le condizioni che giustificano l’insurrezione
2. lo scopo che si intende conseguire
3. le occasioni che consentono di iniziare la rivolta
Le trasformazioni della politica e della democrazia sono provocate dalla mancata osservanza del
diritto
Nelle democrazie occorre impedire che il cittadino acquisti una potenza tale da mettere in pericolo
la stessa costituzione. Sono necessarie norme che consentano all’assemblea di allontanare dalla
polis coloro che possono assumere per la loro autorità, l’iniziativa di una modifica radicale della
costituzione.
Polibio dice che si possono studiare degli accorgimenti per rendere la costituzione più duratura
possibile per garantirne la stabilità. Occorre predisporre un limite al potere e cioè un altro potere
che lo freni, che gli impedisca di diventare assoluto e mutarsi nella forma di governo imperfetto.
Per garantire la stabilità, le costituzioni perfette devono limitarsi a controllarsi a vicenda: la
migliore forma di governo deve essere riconosciuta nella costituzione mista, che riesce a comporre
in un armonico sistema i principi delle 3 costituzioni perfette: monarchia, aristocrazia e democrazia.
(Questa costituzione fu realizzata per la prima volta da Licurgo)
a Roma il principio monarchico è rappresentato dal potere dei consoli che hanno il potere
esecutivo comprendente il comando della forza militare e il governo della repubblica; il senato
rappresenta il principio aristocratico essendo formato dai capi dei gruppi gentilizi con un incarico a
vita: la sua competenza si riferisce al potere amministrativo, cioè al controllo elle entrate e delle
uscite, alla politica estera, alla soluzione delle controversie che possono nascere nell’ambito delle
relazioni con altri stati. Il potere giudiziario e legislativo sono attribuiti ai comizi, cioè al popolo che
fa così valere il principio democratico.
In tal modo la costituzione romana è formata da organi che si controllano a vicenda bilanciandosi
l’uno con l’altro, realizzando quella costituzione che era nei voti di Aristotele.
Ma anche la costituzione romana non si sarebbe potuta sottrarre al processo di decadenza che
caratterizza tutti gli stati. Le pressanti richieste della plebe per una più equa distribuzione delle
terre pubbliche furono all’origine del pessimismo dell’aristocratico Polibio.
CAPITOLO 6
4.I problemi scaturiscono dai rapporti tra realtà temporale e spirituale (o ordine). L’ordine spirituale
assume anche un significato istituzionale si riferisce ad una organizzazione visibile, la Chiesa:
Cristianesimo significa anche Ecclesia à assemblea dei cittadini. I cristiani costituiscono una unità
in cui non sussistono più distinzioni. Solo nella Chiesa il cristiano partecipa alla vita sacramentale
che lo libera dal peccato che costituisce il limite con le sole forze umane al compimento del bene. Il
male secondo San Paolo scaturisce da una contraddizione che l’uomo non riesce a superare: la
concezione paolina del peccato individua la differenza tra la visione cristiana dell’uomo e quella del
mondo classico e che rivela l’autonomia della posizione religiosa e spirituale del Cristianesimo.
La Chiesa è una comunione reale del cristiani con il Cristo; la Chiesa istituzione esprime la
struttura che le è propria mano a mano che vengono definite le questioni attinenti alla Chiesa
“invisibile”.
S. Cipriano à esprime la concezione basilare della Chiesa: la Chiesa si fonda sul vescovo, capo
della comunità dei fedeli e successore della potestà conferita dal Cristo agli apostoli.
La Chiesa, già nella seconda metà del II secolo, si presenta come una istituzione completamente
autonoma. I cristiani formano un solo corpo che ha per base la consapevolezza di una religione
comune e il pegno di una speranza comune.
L’imperatore Costantino riconosce ufficialmente il Cristianesimo con l’Editto di Milano del 313,
richiamandosi all’Editto di Galerio, con cui era concesso ai cristiani piena libertà di culto e di
riunione. L’imperatore afferma che tale diritto doveva essere riconosciuto ai fedeli che facessero
parte della Chiesa. Con i successivi editti fu consentito al vescovo la manomissione degli schiavi e
l’amministrazione della giustizia fra i membri della sua chiesa che ne avessero fatto richiesta.
Questi provvedimenti si inserivano in un disegno politico preciso, quello di trasformare la nuova
religione in un “instrumentum regni” al fine di rinsaldare la compagine politica dell’impero.
Costantino divenne l’arbitro supremo della vita della chiesa cristiana.
5. L’impero corrisponde, secondo Eusebio, ai disegni divini: l’unità politica del mondo era la
premessa necessaria perché potesse diffondersi il messaggio di Gesù, il Logos, il mediatore fra
Dio e gli uomini. Le vittorie di Costantino sono la dimostrazione che l’Impero è stato voluto da Dio
(l’imperatore è il “rappresentante” di Cristo). Tra monarchia celeste e monarchia terrena sussiste
un’intima connessione: come vi è un solo Dio, un solo Logos, così vi deve essere un solo basileus,
un solo monarca, e quindi una sola legge, quella imperiale. Regno celeste e regno terreno solo
due aspetti di un unico reggimento di Dio. L’imperatore ha il diritto di convocare i concili universali
per definire i principi della fede: nel primo concilio ecumenico (324) fu condannata la dottrina di
Ario e definiti nel Credo i principi essenziali della fede cristiana. La funzione di cura e di tutela della
Chiesa, assunta da Costantino, doveva trasformarsi in un vero e proprio primato dell’autorità
imperiale nei confronti della Chiesa, che fu considerata alla fine come un’istituzione rientrante nel
sistema di governo imperiale: il Cesarismo si trasformò in Cesaropapismo, dato che l’imperatore
decise di disciplinare la vita interna della Chiesa.
La Chiesa universale è considerata come l’unità dei vescovi e delle chiese locali intorno al vescovo
di Roma che possiede la pienezza dell’autorità. La Chiesa di Roma si identifica a poco a poco con
la Chiesa latina di occidente.
Papa Gelasio formula la teoria dei rapporti che intercorrono tra la Chiesa e l’impero; sussistono
due principi con i quali si governa il mondo: l’autorità sacerdotale (riguarda la religione) e la potestà
regale (riguarda la politica).
Dopo la venuta del Cristo le due funzioni furono rigorosamente separate. L’unica ragione di
supremazia della Chiesa è data dal fatto che essa abbia un maggior carico di responsabilità nei
confronti di Dio in quanto attiene la salute delle anime. Per Gelasio però è una superiorità sul piano
della dignità che non può tradursi sul piano giuridico e politico.
Il vincolo che unisce gli uomini delle due città è l’amore: amor sui e amor Dei. L’amore è il principio
dinamico della volontà, ciò che spinge a volere. L’amore è un’energia che tende a conseguire una
serie di beni secondo un determinato ordine. L’amore di se stesso esprime un proprio ordine che si
realizza nella città terrena. Amare se stessi significa conseguire tutti i beni terreni che possono
darci piena soddisfazione, in modo che il nostro animo non sia più turbato e rattristato. La
soddisfazione è lo stato di pace con se stesso. È il desiderio di pace che spinge l’uomo ad uscire
da se stesso e stabilire rapporti sociali con gli altri. Iul desiderio della pace è una caratteristica
della natura dell’uomo. La pace è la ragion d’essere della società umana.
il potere si esercita sulle creature razionali, il dominio su quelle irrazionali. Il potere rispetta i diritti
dei suoi sottoposti, il dominio asservisce in tutto e per tutto le persone ai fini di chi lo esercita.
Corrispondenza tra l’oggetto dell’amore e l’ordine della società politica: questo muta col mutare di
quello. Quanto più l’oggetto dell’amore corrisponde alla virtù tanto più l’ordine politico sarà stabile e
lo stato sarà in grado di garantire la sicurezza.
Le tradizionali virtù terrene: temperanza, prudenza, fortezza, saggezza, anche se non illuminate
dalla fede, se perseguite con costanza possono far sussistere un ordine terreno e quindi un
ordinamento politico ben costituito.
Se l’oggetto dell’amore non è consono alla virtù perché si vogliono soddisfare i desideri dettati
dalla passioni si inizia un processo di disarticolazione dell’unità degli intenti, entra in crisi la
concordia tra i consociati e le divisioni degenerano in contrapposizioni. Così il popolo non sarà più
in grado di autogovernarsi, le scelte de magistrate sono dettate dalla corruzione di quanti aspirano
al potere. Diviene necessario che il governo venga assunto su iniziativa di una persona dotata di
virtù e autorità o da una ristretta aristocrazia o da uno solo.
Per la legge di natura l’uomo è in grado di distinguere il bene dal male. Sancisce i diritti della
personalità dell’uomo, il diritto alla conservazione della vita, alla formazione della famiglia,
educazione dei figli e vivere nella società.
La legge umana si distingue in diritto delle genti e diritto civile. Entrambe derivano dal diritto
naturale ma il primo riguarda la convivenza degli uomini in generale ed è ricavato soprattutto dal
diritto naturale, mentre il secondo comprende le disposizioni che si rendono necessarie per la vita
comune nell’ambito della società politica e dipendono da particolari esigenze dei singoli stati. La
legge umana è caratterizzata dalla mutabilità, per essere corrispondente a particolari problemi che
si presentano di volta in volta nella società. È caratterizzata anche dalla generalità in quanto deve
rivolgersi a determinate categorie di persone, avendo sempre di mira il bene comune.
La legge umana è necessaria perché gli uomini non si adeguano spontaneamente ai precetti della
ragione. Può essere facilmente distolto a causa delle passioni e dei vizi. La legge umana ha la
funzione di costringere l’uomo a seguire le norme. Tommaso si pone il problema di indicare la
forma di governo che consenta di far valere nei confronti dei governanti precisi limiti giuridici,
affinché il potere non violi la legge, non diventi oppressivo trasformandosi in tirannide. Tiranno non
è solo chi governa anteponendo il suo interesse a quello generale ma anche chi ha conquistato il
potere con la violenza. La tirannide è il trionfo della passione sulla ragione. La rivolta nei confronti
del tiranno più che un diritto è un fatto. L’oppressione diventa talmente intollerabile che determina
una reazione da parte dei sudditi. Ma questo fatto è comunque un episodio gravissimo per il
turbamento che arreca all’ordine e alla pace nella società. In base a quale principio usare la forza
contro chi detiene il potere? Questo problema può essere risolto solo se il diritto di resistenza al
tiranno viene sottoposto ad una procedura giuridico-costituzionale, se cioè viene trasformato in un
legittimo intervento degli organismi che rappresentano la società. La forma di governo che assolve
questa esigenza è la costituzione mista, fondata sull’armonico contemperamento della monarchia,
dell’aristocrazia e della democrazia che assicura l’unità di comando, la partecipazione dei migliori
al governo e l’elezione dei governanti da parte del popolo. È la costituzione per eccellenza della
quale aveva già parlato Aristotele. Il potere è disciplinato dalle leggi della comunità. Questa
disciplina cui il potere è sottoposto può essere fatta valere nei confronti del re che si comporti da
tiranno da parte degli organi che rappresentano la comunità e in ultima istanza dal popolo.
CAPITOLO 9. Chiesa, Impero, Regni: Dante, Marsilio
La legge trova la sua causa efficiente nella volontà del legislatore umano che la definisce secondo
le esigenze dello stato.
La libertà consiste nel non essere costretti a sottostare al comando altrui. Il cittadini sarà libero
quando dovrà obbedire al comando di una legge la cui approvazione ha partecipato. Il comando
della legge non è l’espressione di un’autorità che sovrasta tutto e tutti ma si riduce al comando che
i cittadini rivolgono a se stessi.
Fonda la giuridicità della legge su due presupposti: che venga obbedita dalla maggioranza dei
cittadini e che sia munita di una sanzione che obbliga all’obbedienza. La forza fa valere il comando
contenuto nella norma. La forza deriva dalla coesione di tutte le parti che costituiscono la comunità
politica.
La forza si esprime come istituzione nel governo che è il principio attivo del movimento di tutto il
corpo politico. La forza, il potere, il governo sono principi e istituzioni temporali, umani che trovano
la loro giustificazione solo in questa dimensione e non in coloro che si definiscono sul piano
soprannaturale della religione.
L’organizzazione politica della città è predeterminata dalle leggi e il potere è esercitato nell’ambito
delle leggi.
Machiavelli è deciso assertore della costituzione mista a modello di quella romana, fondata sulla
compartecipazione al potere politico del principe dell’aristocrazia (ottimati) e del popolo.
I principati vengono distinti in ereditari e nuovi. I principati nuovi possono essere conquistati con le
armi proprie o altrui, con la fortuna o con la virtù.
I veri problemi politici nascono con i principati nuovi perché si tratta di procedere ad una accurata
analisi che tenga conto di tutti gli elementi della situazione e delle diverse reazioni che la politica
del nuovo principe suscita nei sudditi.
Ogni atto politico con cui si modifica una precedente situazione per conquistare o mantenere il
potere ne determina una nuova nel senso che offre diverse possibilità di scelta e consente di
optare per l’una o per l’altra azione politica. L’azione politica è necessitata dalla situazione in cui si
trova chi opera, e necessitante in quanto crea una nuova situazione che ritorna sull’uomo politico,
costringendolo ad agire, cioè ad adoperare delle scelte: una volta attuate queste scelte il politico
diventa prigioniero degli avvenimenti politici che lui stesso ha determinato.
Gli stati partecipano alla stessa natura degli uomini: tendono, per conservarsi a estendere il loro
dominio.
La sovranità è definita come il potere assoluto che non riconosce al di sopra di sé alcun altro
potere se non quello di dio. L’assolutezza significa che la sovranità trova in se stessa le ragioni
della sua determinazione e che non risponde a nessuna di queste ragioni tranne che a Dio. La
sovranità che non riconosce sopra di sé alcun potere se non quello di Dio non è altro che la forza
che attua il comando formulato dal diritto.
Stato, potere sovrano, forza in Bodin si identificano. La forza è tale perché esprime in se stessa il
principio che la limita per cui non sconfina nella violenza, nell’arbitrio, nella licenza. Il diritto è la
regola con cui la forza deve autodisciplinarsi per determinare l’ordine che consente a una pluralità
di individui di coesistere in una armonica unità, lo stato.
Lo stato ha un’origine storica in quanto si fonda sul processo di depurazione della violenza sino a
che non si esprima la forza a seguito delle lotte tra i gruppi gentilizi ed etnici: chi detiene la forza
deve affermare il principio di giustizia e ordine secondo i quali vengono regolati i rapporti tra
vincitori e vinti. Il potere sovrano si genera dal potere del pater familias allorchè i gruppi familiari
danno vita ad una superiore comunità che è governata da un unico potere sovrano.
Il principio che la forza debba essere assunta come energia-potere è ulteriormente precisato nella
distinzione dei tipi di potere che sono 3. sono assoluti ma i primi 2 sono giusti mentre il terzo è
ingiusto e legittima la resistenza attiva.
1. sovranità: è la forza che si manifesta tramite il diritto.
2. dominato: è il potere che ritrova nell’etica e nella religione i principi che lo limitano: si modella sul
potere sovrano dei padri nei nuclei gentilizi delle società primitive.
3. tirannia: è il potere che non esprime alcuna regola o valore che lo limiti e lo disciplini. Non si
fonda sulla forza ma si genera e si mantiene con la violenza. Tutto e tutti sono sottoposti all’arbitrio
del potere.
Il principio della indivisibilità della sovranità non consente di accogliere la concezione dello stato
misto teorizzata da Polibio. Non ha alcuna possibilità di attuazione in quanto la sovranità non può
che appartenere o a una persona (monarchia) o ai pochi (aristocrazia) o al popolo (democrazia).
Lo stato sussiste solo se viene assicurata l’unità della decisone e del comando. Il conflitto di
attuare uno stato misto determinerebbe un conflitto inevitabile tra i diversi centri di potere che
degenererebbe in guerra civile per decidere con le armi a chi deve appartenere la sovranità.
Il principio della costituzione mista può essere attuata solo nell’attività di governo e riguarda i criteri
cui deve essere informata: si riferisce alla ratio gubernandi e non allo status civitatis.
Il monarca deve occuparsi delle questioni che attengono all’esistenza dello stato. Non può
parteggiare per nessuno, partito o confessione religiosa perché lo stato è al di sopra di ogni
confessione. Bodin come Macchiavelli dice che la religione è il fondamento dello stato. Il monarca
deve mantenere incorrotta la religione ed evitare che l’unità di fede e culto venga spezzata dalla
pluralità delle confessioni.
La superstizione non equivale ala religione. Raccomanda al monarca di evitare sia la prima che
l’ateismo.
Le confessioni nate dalla riforma sono le cause delle lotte che minacciano di distruggere il regno di
Francia. Il Cattolicesimo è invece l’ispirazione religiosa che ha ispirato il processo di unificazione
della Francia intorno alla monarchia e quest’ultima deve difenderlo. L’unità religiosa può essere
ricostituita dal monarca solo tramite una sincera professione della vera religione tramandata dalla
tradizione del suo regno. Con la forza dell’esempio porterà i suoi sudditi all’unità e alla pace
religiosa.
CAPITOLO 12
L’affermarsi dello Stato moderno aveva posto le premesse di una profonda crisi della coscienza
etico-religiosa della società europea del Cinquecento. In politica vigeva uno sdoppiamento della
morale, quella dei principi (informata alle supreme esigenze dell’esistenza dello Stato, regola
suprema della condotta politica che non rispetta alcun limite religioso, morale o giuridico) e quella
dei sudditi (fondata sui valori tradizionali).
L’umanesimo di More ed Erasmo aveva denunciato la nascente etica di potenza e More aveva
pagato con la vita il rifiuto di avallare la sottomissione della religione ai supremi interessi del
potere.
La Riforma aveva posto l’esigenza di un profondo rinnovamento della Respublica Christianorum, in
cui si affermasse finalmente la libertà del cristiano, ma aveva paradossalmente creato le condizioni
perché nello Stato, finalmente libero dalla tutela della Chiesa, si concentrasse questa nuova
volontà di potenza. I rapporti di potere fra le potenze europee finalizzarono, di volta in volta, le
istanze di carattere religioso ai propri interessi. Carlo V, imperatore e re cattolico, consentì che ul
suo esercito, il cui nerbo era composto da truppe luterane, scendesse dalla Germania in Italia, che
assediasse e saccheggiasse Roma, costringendo Clemente VII, praticamente prigioniero, a
rinchiudersi in Castel S. Angelo: la ragion di Stato aveva prevalso sul rispetto dovuto alla suprema
autorità del Cattolicesimo. Nel 1536, Francesco I, il re cristianissimo, stipulava un’alleanza con i
Turchi, il secolare nemico della cristianità, per contenere la potenza di Carlo V poiché così esigeva
la ragion di Stato. L’esistenza dello Stato è la legge suprema del principe, alla quale deve essere
subordinata ogni considerazione religiosa e morale. Reginald Pole, ammiratore e discepolo di
Thomas More, nell’ “Apologia” dedicata a Carlo V, composta nel 1537, presentò il “Principe” di
Machiavelli come lo scritto nel quale si esponevano e si illustravano i precetti ai quali si era ispirata
la politica di Enrico VIII, con una Chiesa dipendente direttamente dalla Corona, per servirsi della
religione per i suoi fini di dominio, con una politica informata unicamente all’esclusivo interesse
dello Stato. Per Pole il “Principe” è stato scritto dalla “stessa mano di Satana”: si esorta l’uomo
politico ad usare le arti della simulazione, madre di ogni perfidia, soprattutto in materia di religione,
senza porsi alcun problema di verità, ma considerando solamente l’utilità. La politica di Machiavelli
non ha alcuna ispirazione umana, perché considera ed esalta la ferinità: il principe deve saper
essere, di volta in volta, leone o volpe, dunque la condotta dell’uomo è regolata dalla forza o
dall’astuzia. Vi è un’assolutizzazione dei valori mondani, che privavano di qualsiasi efficacia i
principi della religiosità cristiana.
Il Cristianesimo aveva, invece, liberato gli uomini dal timore superstizioso degli eventi naturali, che
trovavano tanta importanza nel mondo antico, ha fondato il valore ed il coraggio militare e civile
sulla consapevolezza della giustizia della causa che si intende sostenere. I critici cattolici
interpretavano la politica machiavelliana come la proposizione di una nuova etica mondana, quella
dell’azione finalizzata al successo, che non poteva certamente essere accolta nell’ambito di una
concezione della politica mirante a salvaguardare i valori metaempirici della morale e della
religione, che costituivano il legittimo fondamento delle relazioni fra gli uomini e delle leggi secondo
cui regolare la vita della società.
3. In questa prospettiva il potere si risolve essenzialmente nel rapporto fra il principe e i sudditi, per
cui la vera autorità e forza del principe sta nel consenso dei suoi sudditi, che scaturisce dalla
convinzione che il principe meriti, per le sue capacità e virtù, di esercitare il comando.
L’obbedienza si fonda sulla coscienza di chi obbedisce, che giudica la superiorità istituzionale per
rendersi conto se corrisponda o meno a quella morale, e non può essere un atteggiamento
meramente passivo, dato che presuppone sempre un giudizio positivo sull’operato del principe, in
caso contrario essa verrebbe meno. Il consenso dei sudditi e la pace e la tranquillità, sulle quali si
basa la conservazione dello Stato, sono promossi e garantiti dalla giustizia, principio costitutivo
dello Stato: Botero dedica sette capitoli ai criteri che il Principe deve seguire nell’organizzare
l’amministrazione della giustizia riferita alle relazioni tra re e sudditi (che attengono al carico
fiscale, che deve essere proporzionato ai compiti essenziali dello Stato e alla sua distribuzione fra i
sudditi, senza trascurare il principio di assegnare gli onori, gli incarichi e le magistrature secondo i
meriti reali di ciascuno, evitando le nomine di mero favore) e fra sudditi stessi (per cui la giustizia
viene garantita mantenendo “il paese e le città libere dalla violenza e dalla frode”, poiché
solamente con un’oculata lotta alla frode viene sostenuto e avvalorato il principio di buona fede su
cui si fondano tutti i rapporti sociali. La ragione di Stato si sviluppa quindi come consapevolezza
della fondamentale garanzia del fondamento etico dell’organizzazione statale, imprescindibile per il
conseguimento dei suoi fini. Le usure non solo distruggono le ricchezze dei privati, ma
rappresentano un intralcio per la produzione ed il commercio, incidendo sulle entrate pubbliche: il
principe dev’essere consapevole che l’attività economica dei privati è la condizione determinante
per la reperibilità dei mezzi finanziari necessari all’organizzazione dello Stato. Botero sottolinea il
fatto che le funzioni di governo del principe devono rimanere distinte da quelle giudiziarie, ma deve
esercitare una continua sorveglianza sulla correttezza dei magistrati nell’espletamento del loro
incarico, per evitare che a sentenze e leggi si sostituisca l’autorità libera del magistrato. L’efficacia
della giustizia dipende inoltre dalla sua speditezza.
4. I criteri secondo i quali deve essere governato lo Stato e coordinate tutte le attività che
concorrono alla sua esistenza ed efficienza, si fondano per Botero sulla prudenza (=virtù pratica
per eccellenza, capacità operativa che presuppone una conoscenza di carattere teorico che la
connette alle altre virtù morali ed intellettive, che impegna il principe ad acquisire una cultura
generale riguardo discipline morali, che trattano delle passioni e politiche, che trattano dei vari tipi
di governo). Tutte queste cognizioni, politiche e militari, devono essere corroborate dall’eloquenza,
nella quale il principe deve acquisire piena padronanza, per questo il principe deve avere un
costante contatto con i filosofi, gli scienziati, gli esperti più qualificati nelle discipline pratico-
operative. In effetti è proprio l’esperienza che consente di perfezionare la prudenza ai fini di una
sempre più compiuta analisi delle situazioni in cui opera il principe e dei mezzi più adatti per
risolvere i problemi a quelle connessi. L’esperienza personale e degli altri sono entrambe limitate
“nei luoghi e nei tempi” e devono pertanto essere integrate da un attento studio della storia, dalla
quale è possibile trarre precetti convalidati da una serie di casi e vicende, che possono servire da
un sicuro orientamento nella condotta del principe. La prudenza trae proprio dall’esperienza storica
l’avvertenza delle condizioni necessarie per la sua operatività. In sostanza, i precetti della
prudenza si basano sul principio che l’azione politica deve essere commisurata alle forze del
principe e queste alla situazione politica nella quale sono impiegate, tenendo conto dei loro limiti.
Ai criteri della misura e del limite bisogna aggiungere quello dell’opportunità: occorre saper
attendere che maturino i tempi dell’azione politica. La prudenza si fa così interprete del corso degli
avvenimenti storici, diventa quindi la ragione operativa, l’intrinseca razionalità della prassi politica.
Botero riconosce che alcuni provvedimenti dello Stato debbano essere mantenuti segreti, ma
questo non impedisce che la prudenza mantenga saldo il controllo dell’azione politica e la indirizzi
al bene dello Stato e della comunità. La ragion di Stato, per Botero, riguarda innanzitutto
l’esistenza dello Stato come ente, cioè organizzazione articolata di cose e uomini, nella quale
hanno particolare rilievo le amministrazioni della giustizia, militare e fiscale, che riferiscono ad
esigenze ed attività imprescindibili per l’esistenza dello Stato: lo Stato-organizzazione si fonda sul
primato della giustizia, come principio al quale debbono informarsi tutti i rapporti sociali.
La morale è la premessa e il termine ultimo, il prima e il dopo della politica, e la storia è la
necessaria integrazione della politica perché questa possa operare positivamente, senza
disperdersi nel vano tentativo di realizzare propositi e programmi fondati unicamente su una
razionalità meramente formale, che non ha un riscontro con la realtà. Si crea un rapporto
“dinamico” fra religione, morale, politica e storia.
5. Il tema della ragion di Stato viene svolto da vari autori italiani come studio dei rapporti fra lo
Stato nella sua determinazione positiva, nella sua fattualità e le sue leggi e istituzioni. Emerge
quindi un rapporto di immedesimazione che sussiste fra l’organizzazione statale, le tradizioni, i
costumi e le leggi di un popolo. La ragion di Stato studia quindi il rapporto che sussiste fra la
struttura dello Stato, il fine che si propone, e i mezzi più idonei a garantire la prima e conseguire il
secondo. Occorre tener distinta la persona privata del principe da quella pubblica per individuare
quali provvedimenti sono veramente richiesti dall’interesse dello Stato. (Zuccolo)
Strettamente connessa alla teoria della ragion di Stato è un autorevole orientamento della
storiografia politica di quel periodo, il cosiddetto tacitismo, cioè lo studio delle massime di governo
derivate dalle opere storiche di Tacito, che consente un’analisi accurata dell’arcano, i veri fini dei
provvedimenti politici nascosti nelle intenzioni e nell’animo del principe, come condizione
imprescindibile perché si possa avere e conservare il potere. Uno dei primi a redigere un primo
sistematico commento alle opere storiche di Tacito dal punto di vista politico con richiami alla
tematica machiavelliana ed a quelli della ragion di Stato fu Scipione Ammirato, il cui intento è
quello di riesaminare la precettistica di Machiavelli con atteggiamento distaccato, senza accenti
polemici, per dimostrare i motivi per i quali non può essere accolta e per integrare l’analisi delle
massime di governo tratte da Tacito. Tacito ci propone come modello di comportamento politico,
principi crudeli e dissoluti, tiranni, con l’intento di ricavare buoni ammaestramenti da cattivi esempi,
allo stesso modo dei medici che ricavano farmaci dai veleni: egli studia la prassi politica, per
individuarne le situazioni tipiche e le regole ricorrenti e i suoi limiti. Egli non accetta la tesi
machiavelliana che la religione debba essere considerata come un mero strumento di governo,
seguendo i Romani che adattavano gli auspici alla necessità del momento (accoglie invece la
considerazione della frode come mezzo per giungere al potere): la religione e la morale
rappresentano riferimenti oggettivi per intendere il bene e il male in politica.
Sulla base della ragion di Stato si può derogare alla legge ordinaria, ma il potere di deroga non
significa legittimare l’arbitrio del principe, poiché esso attiene all’interesse dello Stato e non già a
quelli suoi propri particolari, ed è delimitato dai principi della religione e del diritto di natura: essa si
riferisce ad evenienze eccezionali in cui è in gioco l’esistenza stessa dello Stato, che richiede
quindi provvedimenti che non possono essere previsti dalle leggi ordinarie. La ragion di Stato,
come deroga, non significa riduzione della religione e della morale alla politica, ma riconoscere che
l’attività di governo implica un supremo potere discrezionale, al quale deve essere riconosciuto un
ambito in cui è l’unico giudice dei provvedimenti che assume, potere che è regolato dall’interesse
dello Stato e delimitato dal diritto divino e da quello naturale.
6. Questo problema trovò ulteriore approfondimento nelle opere di Traiano Boccalini, il quale
ingegno e meriti intellettuali gli consentirono di avere rapporti con eminenti personaggi della Curia
romana e di avere conoscenza diretta della corte pontificia, il che gli consentì di seguire da vicino
la politica italiana ed estera degli Stati italiani.
Per molti aspetti Boccalini interpretò con i suoi scritti la passione per la politica che caratterizzava
la società italiana della Controriforma. Le sue osservazioni politiche furono pubblicate circa
sessant’anni dopo la sua morte in Svizzera poiché in esse egli cercò di individuare le molteplici e
complesse ragioni degli “arcana imperii”.
“I Ragguagli del Parnaso” è un capolavoro della politica italiana del Seicento: nella mitologia greca
il Parnaso è il monte sacro ad Apollo, alle Muse, alle ninfe e secondo l’invenzione letteraria di
Boccalini su questo monte, nel palazzo di Apollo, si riuniscono di volta in volta i grandi personaggi
della storia antica e soprattutto di quella contemporanea per confrontarsi, discutere. Boccalini è il
“menante”, il giornalista di questi incontri e referente per il pubblico dei dotti, ma è anche Apollo,
che esprime l’ultimo giudizio sulle discussioni. Boccalini giudica Tacito “il principe degli scrittori
politici”, perché oltre ad andare oltre le apparenze per cogliere la segreta e vera intenzione del
principe, riesce ad individuare il rapporto che sussiste fra ciò che è e ciò che appare, spiegando
perché in determinate situazioni bisogna apparire in un determinato modo. La lezione tacitiana
disvela l’essenza della politica per far vedere le vere condizioni in cui si trova la società del tempo
e di intendere la profonda crisi morale civile e politica delle istituzioni. Nell’ottica tacitiana la storia
del tempo appariva caratterizzata da una lotta per il potere, che non conosce altro fine, ideale o
regola che la conquista e la conservazione di esso, in un mondo dominato dall’interesse, che si
manifesta nella sua massima potenza allorché diventa interesse dello Stato, che può essere
perseguito solamente mediante una fredda gestione del potere che miri all’utile dello Stato. Il vero
tiranno è la ragion di Stato, che finisce per tiranneggiare il principe. Fra il principe e l’interesse
dello Stato si realizza una vera e propria immedesimazione, che suscita una smisurata voglia di
dominio, che mai riesce ad appagarsi ed è il segreto tormento di ogni principe. L’ambizione e il
desiderio di dominio sono giustificati dalla considerazione in cui la gente tiene il suo successo
politico: si tende a minimizzare il male commesso, o persino a giustificarlo quando il principe
consegue il fine che si era posto, e quindi ha rafforzato e consolidato il proprio potere, e non si
esita a condannare anche la più generosa impresa qualora termini con un insuccesso.
Boccalini radicalizza la contrapposizione fra politica e morale e scopre il “volto demoniaco del
potere”: non intende giustificare le crudeltà e le frodi, né vuole sostenere un’etica del successo, ma
solamente dire che in certe situazioni di lotte di potere, tutto viene strumentalizzato dalla politica
che non ha alcun limite morale. La sua vuole essere una mera constatazione di ciò che è stato
fatto al fine di conservare lo Stato o conquistare il potere, formulando una casistica la più completa
possibile cui corrispondono una serie di massime di comportamento: occorre sapere le
conseguenze di certe scelte e situazioni affinché si possano per tempo prendere gli opportuni
provvedimenti.
7. Il fatto che Boccalini individui ed analizzi i “mirabili artifizi” dei principi, come quelli dei tiranni,
con i quali costringono o convincono i sudditi anche a dare la propria vita per poter difendere e far
valere i loro interessi, non significa che egli sia un convinto assertore del potere come tale e della
sua assolutezza: la tirannide, come ci insegna la storia, impoverisce i popoli.
Boccalini svolge una dettagliata analisi delle forme di governo, la democrazia, l’aristocrazia e la
monarchia, criticando democrazia (perché fatalmente degenera nella tirannide della moltitudine, la
peggiore forma di oppressione perché non indirizzata ad alcun fine politico, dalla quale ci si libera
solamente mediante la tirannia di uno solo, che almeno garantisce la pace e la stabilità della guida
politica, rimedio che però col tempo si rivela il peggiore dei mali) e monarchia (“aggravata da
grandissimi difetti, i quali la oscurano tanto che la fanno odiosa a molti, che scaturiscono dal
vastissimo potere che senza alcuna possibilità di controllo detiene il monarca e che fatalmente
degenera in una forma di governo assoluto fra le più oppressive, senza che il suddito abbia
garanzia della sua vita, dei suoi beni, del suo onore). La migliore forma di governo rimane per
Boccalini la repubblica aristocratica, l’unica veramente in grado di garantire libertà dei sudditi e
un’amministrazione della cosa pubblica e della giustizia che tuteli i beni di tutti. L’ideale
repubblicano trova un preciso riferimento storico nella Repubblica veneziana.
La libertà civile e politica significa indipendenza dallo straniero e quindi ordinamento politico che
garantisce il governo “nazionale”: l’indipendenza politica garantisce i popoli dalla forma peggiore di
tirannide e dominio, il governo dello straniero. Da questo ideale scaturisce la critica decisa nei
confronti della monarchia spagnola e del dominio che essa esercita sul regno di Napoli e sul
ducato di Milano: il governo spagnolo in Italia è considerato una delle forme più violente di
oppressione e sfruttamento ispirata alla più rigorosa e dura ragion di Stato, intesa come ricerca del
mero interesse di chi esercita il dominio. Boccalini stigmatizza l’egoismo dei principi italiani che
non riescono a liberarsi del giogo spagnolo e denuncia la profonda corruzione civile e politica in cui
è scaduta la società italiana che preferisce servire il suo oppressore. Non può essere riconosciuto
alcun valore alla pace che il dominio spagnolo ha assicurato all’Italia, poiché essa isterilisce il
sentimento della libertà ed educa i popoli alla servitù, causa prima della loro miseria.
Di contro al progetto politico spagnolo di una monarchia universale (servendosi della pace italiana
per estendersi in Francia, approfittando delle guerre civili scaturite dalle lotte fra cattolici e ugonotti)
abilmente mascherato dalla difesa della religione cattolica contro il diffondersi del protestantesimo
e le minacce della potenza turca, Boccalini esalta lo spirito di libertà proprio delle repubbliche della
Svizzera, Germania, Olanda, che sanno resistere con estrema decisione. Egli sottolinea che
compito dei ogni collettività politica è quello di garantire la propria indipendenza ed esercitare il suo
potere sui sudditi naturali senza tentare di estenderla sugli stranieri. Ogni organizzazione politica
ha un limite di grandezza, sorpassato il quale insorgono inevitabili cause di interna decadenza, che
finiscono per ridurre notevolmente la potenza politica se non per annullarla.
La storia di Roma dovrebbe servire di insegnamento a quanti aspirano alla monarchia universale:
l’Impero romano fu il vano tentativo di conservare vastissimi domini, frutto per l’appunto di secoli di
conquiste, che non poterono più essere controllati e che provocarono la decadenza prima e la
rovina poi dell’amministrazione imperiale. Un uguale destino attendeva la Spagna. Boccalini ha
descritto con una minuta analisi la politica di potenza degli Stati moderni, ne ha individuato le
ragioni: riconoscere la potenza, studiarla per quello che è, non significa rinunciare a far valere gli
ideali di dignità, libertà, indipendenza dei singoli, come delle comunità della nazioni, degli Italiani in
particolare. Egli intende dare agli ideali repubblicani la consapevolezza di operare in una realtà
politica caratterizzata dalla potenza, dalla quale occorre difendersi, sulla base di un’accurata
conoscenza dei “mirabili artifizi” della ragion di Stato.
Occorre mantenere distinte le questioni spirituali da quelle temporali, che devono essere attribuite
all’esclusivo giudizio dello stato. Stato e chiesa sono due nomi che indicano lo stesso corpo
politico, la stessa istituzione sovrana, stato costituito da uomini, chiesa costituita da cristiani,
cosicchè tra l’uomo cittadino e il cristiano non ci può essere nessuna opposizione in quanto la
distinzione è formale.
Non riconosce la legittimità della resistenza attiva nei confronti del potere tirannico. Il suddito non
può contrastare con la forza il tiranno ingiusto in quanto la sua azione avrebbe come conseguenza
la fine dello stato.
Per Spinoza utile e ragione coincidono.
Il potere dello stato sovrano è l’unificazione dei poteri dei singoli individui.
La democrazia è al forma di governo che più delle altre rappresenta l’essenza della società politica
in quanto realizza la coincidenza dell’utile di chi detiene il potere con l’utile della collettività.
La libertà di pensiero deve essere connessa alla libertà religiosa. Se la religione è autonoma, se il
sommo bene è l’amore intellettuale di Dio.
La chiesa dipende dallo stato perché essa esiste nell’ambito della società politica e la sua azione è
possibile solo se la legge statale la riconosce. La religione è importante ai fini della salvezza del
vincolo sociale, dell’armonia e della disciplina, dato che in essa si esprimono i valori e i sentimenti
che ispirano i comportamenti della maggioranza. È la religione che ispira l’etica civile su cui si
fonda l’ordine politico.
Lo stato si fonda sul’autonomia della ragione e il suo fine ultimo è la libertà di pensiero e religiosa,
che è la caratteristica indispensabile affinchè lo stato possa essere autonomo e indipendente,
possa porsi come autorità sovrana nei confronti dei singoli e delle confessioni religiose. Lo stato
trova così la sua legittimazione e non ha più bisogno di ricorrere al diritto divino per giustificare il
suo potere di fronte ai sudditi.
La società naturale si attua spontaneamente allorchè ciascun individuo svolge la sua attività per
procacciarsi i beni che gli sono necessari e perciò stabilisce con i suoi simili dei rapporti di
collaborazione. Il lavoro produttivo è la ragion d’essere della società di natura. La tutela della
libertà, della proprietà privata e dell’indipendenza è affidata al singolo il quale se assalito ha il
diritto di respingere l’offensore infliggendogli la pena: l’individuo diventa giudice e parte in causa il
che è un inconveniente perché non può garantire la giustizia obiettiva che è il principio
fondamentale della legge di natura.
16.1 Vico 1668 – 1744: I metodi degli studi del nostro tempo
Scrive I metodi degli studi del nostro tempo in cui la politica come scienza e arte di governo è
riferita alla prudenza, all’accortezza con la quale cerchiamo di renderci conto della particolarità
degli eventi e ci sforziamo di individuare i principi e le regole che si adattano a un determinato
fatto. La prudenza e la saggezza politica consiste nella capacità di saper valutare le situazioni in
quel che hanno di peculiare onde saper usare i mezzi adeguati ad esse. Ma le situazioni non sono
altro che il risultato dell’attività umana determinata dall’arbitrio dell’uomo e caratterizzate
dall’incertezza e dal presentarsi con caratteristiche sempre differenti ed essere sempre nuove.
La scienza della natura tende a una conoscenza unitaria che si esprime mediante un principio che
ci consente di spiegare la realtà mentre la politica cerca di conoscere le cose per individuare le
possibili cause di esse e scegliere poi la più probabile.
Va riconosciuto un valore positivo non solo al principio razionale della mente ma anche alle
passioni che dominano il campo del concreto agire umano e della politica: passioni che devono
essere comprese e indirizzate verso i fini che la mente definisce sul piano del vero. Il che è
possibile colo con l’eloquenza che sa commuovere e entusiasmare gli animi.
Nella prima parte l’analisi viene finalizzata al problema della libertà politica che è definita con
riferimento alla sfera di autonomia e indipendenza di cui può godere l’individuo. La libertà coincide
con le leggi positive nel senso che il diritto delimita la sfera di azione dell’individuo nella società. La
libertà è il diritto di fare ciò che le leggi permettono. Se un cittadino potesse fare ciò che le leggi
proibiscono non sarebbe più libero perché tutti gli altri avrebbero anch’essi lo stesso potere. Noi
siamo liberi perché viviamo sotto leggi civili.
La libertà deve essere riferita alla sfera patrimoniale che diventa la pietra angolare sulla quale si
basano tutti i rapporti della società civile. Acquistano importanza le leggi che disciplinano la sfera
patrimoniale. Devono consentire a ogni individuo di accedere alla proprietà. La proprietà
appartiene alla sfera del diritto civile e quindi non può essere regolata dal diritto politico. Nessuno
può essere privato dei suoi beni sulla base della legge politica.
La libertà implica anche la sicurezza dei cittadini, assicurati dalle leggi con cui vengono tutelati i
beni personali fondamentali: la vita, l’onore, il patrimonio.
La natura del potere sovrano deve essere distinta dal principio di ciascuna delle tre costituzioni. I
principi sono: la virtù: come amore della patria per il governo repubblicano democratico o come
etica della moderazione di quello aristocratico; l’onore per il governo monarchico come rifiuto di
compiere alcun atto che possa ledere la dignità, l’indipendenza; la paura per il governo dispotico.
La monarchia è la forma di governo basata sulle leggi fondamentali che riflettono una società
gerarchizzata e articolata e strutturata in una molteplicità di ordini. I poteri intermedi costituiscono
la natura del governo monarchico. Lo stato è più saldo, la costituzione più incrollabile, la persona
dei governanti più sicura. La monarchia è caratterizzata dall’esistenza dei corpi intermedi che si
pongono tra i cittadini e chi detiene il potere impedendo a quest’ultimo di raggiungere il cittadino
dove il comando deve essere mediato da una molteplicità di istituzioni che garantiscono
all’individuo la libertà. Tra i poteri intermedi il più importante è la nobiltà formata dall’aristocrazia di
sangue e dall’aristocrazia minore cui apparteneva la nobiltà minore.
La politica si propone fini che possono essere conseguiti con la coordinazione di una molteplicità di
provvedimenti e azioni i cui risultati impegnano più generazioni. La vita degli stati e dei popoli deve
svolgersi in una unità.
La politica non è fatta dagli individui ma dalle istituzioni cioè dagli individui connessi agli interessi
generali e permanenti di una determinata collettività che sono in grado di esprimere le
caratteristiche peculiari di un popolo. Gli interessi dello stato possono essere garantiti solo
salvaguardando i principi informatori delle leggi fondamentali. Ma perché ciò sia possibile occorre
che ci sia nello stato un deposito delle leggi che le conservi e le faccia valere. Questa funzione non
può essere assolta da un monarca perché è un individuo e quindi una volontà mutevole che può
diventare arbitraria. Deve essere assolta da un potere intermedio, la magistratura.
Affinché il poter non esca dalla sfera che gli è propria deve essere mantenuto nei limiti da u altro
potere che gli si contrapponga.
La forma di governo che offre maggior libertà è la monarchia moderata, temperata dalle leggi
fondamentali. La sovranità deve essere distinta in 3 poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario. Questi
poteri sono tali in quanto sono attribuiti a tre distinti ordini sociali. Possono controllarsi a vicenda
contrapponendosi a chi tenti di sopraffare l’altro.
Il dispotismo si attua quando nello stesso organo si concentra il potere di fare le leggi, eseguirle e
giudicare.
Nello stato costituzionale alla monarchia viene attribuito il potere esecutivo, all’aristocrazia e al
popolo quello legislativo, all’aristocrazia di toga il giudiziario. Il potere legislativo deve essere
organizzato in due camere sul modello inglese: la prima rappresenta il popolo, la seconda
l’aristocrazia.
Montesquieu sostiene la monarchia costituzionale.
La religione è un freno per il potere politico alla sua tendenza di diventare assoluto. Il
Cristianesimo ha ispirato i principi del diritto pubblico europeo dal quale trae fondamento la
monarchia costituzionale.
Un territorio ristretto favorisce la costituzione repubblicana, un territorio medio quella monarchica
costituzionale, uno vasto quello dispotico.
La costituzione politica, il sistema delle leggi positive che v corrisponde e i principi delle forme di
governo sono il risultato di un lungo processo storico.
La contrapposizione tra l’uomo come è nella natura e la società civile quale risulta dal progresso è
approfondita nel “discorso sull’origine della ineguaglianza. Vuole individuare le cause in cui l’uomo
originariamente libero e felice perviene ad una situazione opposta. L’uomo vero e autentico era
quello dello stato di natura quando non c’erta la società civile. Nello stato di natura l’uomo è libero
ed uguale, è sollecitato dall’istinto e dai bisogni e conduce una vita semplice e tranquilla. Al
contrario di Hobbes, per Rousseau l’uomo primitivo è pacifico. La natura umana si esprime
nell’amor di se stesso che è temperato da un altro sentimento: la pietà che l’uomo avverte nei
confronti dei suoi simili. La civiltà tende ad attenuare il sentimento fondamentale dell’uomo perché
la ragione dissolve la compassione. La ragione educa il sentimento contrapposto all’amor di se
stesso, l’amor proprio per cui l’uomo diventa individuo cioè si chiude in se stesso e riporta tutto a
se stesso cercando l’esaltazione di sé per primeggiare sugli altri.
La scoperta delle arti, la lavorazione della pietra, ferro, bronzo, l’agricoltura, consentono all’uomo
di formare associazioni naturali: la famiglia, la tribù, il villaggio, in cui si esprime la socialità
primitiva dell’uomo. Si pongono le prime differenze tra gli uomini connesse alle attività che si
svolgono in quelle prime società naturali. Queste disuguaglianze vengono istituzionalizzate e
riconosciute con l’istituzione della proprietà privata che è il moltiplicatore delle ineguaglianze e la
loro legittimazione. La ineguaglianza genera nella convivenza umana le passioni e la primitiva
etica comunitaria si corrompe. Il contrasto tra ricchi e poveri determina uno stato di guerra
permanente di tutti contro tutti. Questa situazione indusse i ricchi che vedevano in pericolo i loro
patrimoni a proporre una nuova forma di associazione che garantisse la pace per tutti e i beni di
tutti con la costituzione di un potere supremo che imponesse a tutti il rispetto di comuni norme di
convivenza. È questa l’origine della società politica fondata su un contratto sociale proposta
dall’intelligenza dei ricchi che raggirarono i più deboli. Il progresso delle società politiche ha
rafforzato sempre più il predominio dei pochi sui molti.
Più la società progredisce più l’uomo diventa schiavo di essa. Il termine finale di questo processo è
il dispotismo che riproduce rovesciata, l’originaria situazione della società di natura. Tutti si trovano
alla mercè del potere dispotico.
La storia è un progresso degenerativo che svuota l’uomo della sua vera umanità.
Il contratto sociale fa di una moltitudine di individui una unità, un corpo politico, lo stato. L’unione
degli associati forma il popolo. Gli associati sono cittadini in quanto partecipi dell’autorità sovrana o
sudditi in quanto sottoposti alle leggi dello stato.
Il sovrano è il corpo politico nella sua unità e la sovranità appartiene all’attività di questo corpo. La
sovranità è inalienabile e indivisibile, è la volontà generale in atto che , in quanto principio dell’unità
del corpo politico, non può essere concessa e delegata dal popolo ad alcun individuo.
Se il contratto sociale fonda lo stato, le leggi lo fanno agire. La legislazione deve essere informata
ai due principi dell’uguaglianza e la libertà. Lo stato è un ente morale che deve trasformare l’uomo
da essere naturale a essere morale. Lo stato deve liberare l’uomo dagli impulsi della sua natura
che tendono a farne un assoluto cioè un essere che riporta tutta la realtà che lo circonda a se
stesso.
Distingue 4 tipi di leggi:
1. le politiche che definiscono i rapporti tra corpo politico e stato
2. le leggi civili che trattano i rapporti tra i singoli e tra i singoli e lo stato
3. le leggi penali che fissano le sanzioni per chi disubbidisce alle leggi
4. le leggi scritte nel cuore, nell’animo di ognuno cioè i costumi, le usanze e l’opinione pubblica che
formano la vera costituzione dello stato.
Il governo è il corpo intermedio posto tra i sudditi e lo stato, incaricato dell’esecuzione delle leggi e
il mantenimento della libertà politica e civile. Le forme di governo sono 3: monarchia, aristocrazia e
democrazia. Rousseau è critico della monarchia, riconosce gli aspetti positivi dell’aristocrazia
elettiva e giudica pessimo il governo fondato sull’aristocrazia ereditaria.
La politica deve essere ricondotta nell’ambito delle considerazioni che si basano sull’esperienza
empirica dei fatti sociali. Non è fondata su principi eterni e immutabili. Questa ragione, il principio di
giustizia e i diritti che ne derivano non hanno valore intrinseco: la loro giustificazione ha un puro
valore strumentale, si riduce a una ideologia in quanto servono a giustificare determinate posizioni
politiche. Il rapporto tra storia e politica: la prima ci fa scoprire i principi costanti della natura umana
mostrandoci gli uomini in tutte le circostanze e fornendoci materiale da cui sia possibile ricavare le
osservazioni e informarci sulle sorgenti dell’azione e del comportamento umano. C’è una natura
umana che permane identica nella storia il che ci consente di confrontare fra le diverse e
esperienze politiche per individuare gli avvenimenti e i fati ricorrenti cioè le uniformità sociali che
sono i presupposti per poter individuare i principi su cui si fondano le società politiche e le regole
che tendono a seguire. La storia è un gabinetto di sperimentazione così lo studioso della politica
può fissare i principi della sua scienza.
La giustizia è il principio sul quale si organizza la società politica. È giusto ciò che è socialmente
utile.
L’idea dell’utile è anche il principio della morale individuale e civile in quanto è connessa alla
capacità di autocontrollo, di disciplina degli stimoli e desideri. La conservazione di una parte dei
beni disponibili alla loro stabile destinazione, alla produzione dei beni futuri è il fatto su cui si fonda
la proprietà privata che non si legittima su un originario diritto di natura ma sull’utilità individuale e
sociale.
Le relazioni tra gli uomini finalizzate alla loro reciproca collaborazione sono possibili solo se
vengono fissate le regole che garantiscono la proprietà privata.
La giustizia ha come scopo la tutela della proprietà privata dato che senza di essa la società
permarrebbe nello stato di miseria e indigenza che caratterizza le società primitive. Il secondo
scopo è garantire le promesse e gli accordi senza la cui osservanza non è possibile di nuovo
alcuna forma di collaborazione sociale in vista dell’incremento dei beni necessari agli individui.
Dice che è irrealizzabile l’idea di una società egualitaria e comunistica: anche se si rendessero
eguali le proprietà e si livellassero le condizioni sociali, i gradi diversi di arte, attività e sollecitudine
spiegati dagli uomini tornerebbero immediatamente a rompere tale uguaglianza.
L’opinione di diritto al potere, di diritto alla proprietà insieme al diritto d’interesse sono il
fondamento dell’autorità che i pochi esercitano sui molti.
Il governo, la costituzione, il sistema delle leggi di diritto positivo sono il risultato delle esperienze di
molte generazioni. Le innovazioni radicali sono pericolose perché spezzano la continuità delle
generazioni che è la vera struttura portante di ogni ordinamento politico.
Una volta affermata l’esigenza della continuità della tradizione e l’importanza di conservare ciò che
garantisce tale continuità si tratta di individuare la dinamica della società, di ciò che promuove il
suo sviluppo. La dinamica della società è ricondotta allo sviluppo della razionalità. La ragione inizia
a manifestarsi con le prime forme di attività empirica che sottraggono l’uomo dal dominio delle
passioni, l’immaginazione e la superstizione: l’invenzione delle arti e i primi tentativi di un pensiero
scientifico diffondono i lumi della ragione. Il progresso delle scienze e delle arti è la premessa al
diffondersi della civiltà e per la trasformazione dei governi da assoluti e dispotici a costituzionali e
liberali. Le facoltà razionali sono connesse agli stati psicologici per cui l’uomo può sentirsi e
dichiararsi felice: la felicità richiede che nell’uomo si compongano armonicamente l’azione, il
piacere e l’indolenza. Le arti impegnano l’uomo nell’azione. Dalle arti l’uomo può ricavare i beni il
cui uso gli procura piacere. Il lavoro fa nascere l’esigenza del riposo.
Il progresso promosso dall’attività economica diventa fautore di libertà politica.
L’organizzazione produttiva di cui Smith studia le leggi si fonda sulla manifattura e industria. Le
categorie economiche con le quali possiamo individuare le leggi che governano il sistema
produttivo sono date da 3 fattori di produzione: il lavoro, il capitale e la terra.
Il capitale è formato dai beni che sono sottratti al consumo e che sono destinati alla produzione di
altri beni. È distinto in capitale variabile e capitale fisso: il primo è quello impiegato nelle operazioni
commerciali per l’acquisto di merci che vengono poi vendute. Il secondo viene immobilizzato nel
miglioramento della terra, acquisto di macchinari e strumenti. La funzione del capitale è di
predisporre i mezzi necessari alla produzione e di organizzare la produzione.
La produzione annuale è ripartita tra i 3 fattori mediante le rispettive remunerazioni: il salario per il
lavoro, il profitto per il capitale e la rendita per la terra. I tre fattori di produzione indicano anche i
tre grandi ordini naturali su cui si fonda la società, cioè le tre classi: i lavoratori, i proprietari di
capitali, i proprietari di terra. Lo status sociale di un individuo è definito sulla base del ruolo svolto
nell’organizzazione produttiva del lavoro.
Il prezzo è la traduzione in termini monetari del valore della merce. Il prezzo indica la quantità di
lavoro necessaria per produrre una determinata merce.
Il sistema economico è governato dalla legge della sua produzione.
L’autorità è la fonte legittima di comandi che vengono obbediti grazie al rapporto di subordinazione
che si istituisce tra i destinatari e l’autorità. La società naturale rispetto a quella artificiale esprime
da se stessa in modo spontaneo le preminenze che regolano il comportamento degli individui. Il
potere invece si rifonda sull’organizzazione burocratica della società artificiale e trova la sua
legittimazione in una delle 3 forme di autorità.
La causa delle circostanze che determinano le forme di superiorità risiede in primis nella proprietà.
La proprietà è la pietra angolare della società naturale e quindi di quella artificiale.
Ogni individuo deve essere riconosciuto libero di esplicare la sua attività al fine di migliorare la sua
condizione purchè non arrechi danno agli altri. La giustizia è il principio secondo cui l’attività dei
singoli coesistono e si armonizzano tra loro per attuare i propri fini nella società.
La società è un vero sistema in cui le attività dei singoli individui tendono a collegarsi
spontaneamente tra loro realizzando uno stato di equilibrio che corrisponde alla migliore
utilizzazione delle risorse, alla maggiore produzione di ricchezza e alla sua migliore e più giusta
distribuzione.
Smith parla di una mano invisibile che guida l’individuo a realizzare il comportamento economico
volto al conseguimento del suo interesse privato.
Sulla base del principio della libera concorrenza devono essere abolite tutte le leggi che
impediscono o limitano le attività del lavoro produttivo.
Smith sostiene la liberalizzazione del commercio internazionale in quanto la ricchezza di uno stato
dipende anche da quella degli altri.
CAPITOLO 20. La Rivoluzione americana e la formazione degli Stati Uniti. "Il Federalista"
Il campo della politica è l’individuazione degli interessi permanenti della comunità e lo studio dei
mezzi più idonei a garantirli.
Gli interessi permanenti ella comunità devono essere mantenuti e distinti da quelli temporanei per i
quali si richiedono provvedimenti singoli che non hanno alcun rapporto tra di loro e che rientrano
nell’ambito della buona amministrazione. Per i primi invece occorre fissare e mantenere una
precisa condotta politica per il conseguimento di un unico fine.
Il sistema federale e la sua costituzione hanno come fine ultimo il governo della ragione che deve
essere garantito contro all’insorgere e al prevaricare delle passioni e degli interessi di parte che
possono attenuare o anche travolgere il buon senso del popolo che potrebbe reclamare
provvedimenti contrari ai suoi interessi e a quelli della comunità.
La democrazia repubblicana espressa nella costituzione federale deve essere concepita in modo
da realizzare un regime politico che non solo si basi sui fondamentali principi di libertà ma che
ripartisca e riequilibri i poteri in modo che nessuno di essi possa varcare i limiti costituzionali.
Riconoscono che il potere più forte è i legislativo, interprete tramite la camera dei rappresentanti
delle istanze e richieste delle masse popolari. Gli organi deliberati devono essere costituiti da un
numero ristretto di membri qualificati. Tanto più grande sarà l’assemblea, tanto maggiore sarà
l’ascendente della passione sulla ragione.
La politica deve essere unita a uno studio attento della natura umana e del ruolo che le passioni
hanno nel comportamento degli uomini. Non bisogna illudersi che il regime repubblicano solleciti
un tale impegno etico-civile da parte del popolo da spegnere qualsiasi spirito di parte o da far
tacere la voce degli interessi particolari impedendo il formarsi di fazioni: è la libertà che favorisce la
diversità degli interessi e delle opinioni e non si può certo eliminare la libertà per impedire il
sorgere delle fazioni cioè un gruppo di cittadini che siano spinti da un comune impulso di passioni
e interessi in contrasto con i diritti di altri cittadini o della comunità.
Non si tratta più di considerare la democrazia come un regime politico in cui acquista un valore
preponderante il principio dell’uguaglianza, della partecipazione diretta dei cittadini al legislativo,
del controllo esercitato dagli stessi sul governo. Una democrazia, un governo repubblicano
presuppongono uno stato con un territorio molto limitato. La nuova democrazia americana che
opera su un vasto territorio deve essere fondata su una sistematica articolazione dei diversi centri
di potere che consentono l’attuazione del principio della sovranità popolare. Sia il governo
nazionale-federale che quello dei singoli stati come le amministrazioni locali debbono fondarsi
sull’elezione popolare. Dal presidente degli Stati Uniti sino al sindaco sel più sperduto villaggio,
tutti devono ricevere il loro potere dalla volontà dei loro cittadini. La democrazia ha il suo vero
fondamento nello spirito di autonomia, di indipendenza, di libera iniziativa che si attua nel sistema
delle ampie autonomie locali.
L’ordinamento federale consente di formare un governo nazionale stabile e forte e di limitarlo e
controllarlo mediante il governo dei singoli stati che a loro volta sono sindacati dalle rispettive
amministrazioni locali.
I conflitti politici devono essere considerati in una prospettiva storico-politica in grado di intendere i
rapporti sussistenti tra i veri attori della situazione politica da comprenderne la interna dinamica e il
suo esito finale.
La prevalenza che la corona fa valere nei confronti del parlamento porta ad una commistione di
due attività che nel sistema costituzionale devono rimanere distinte: l’attività politica e quella
amministrativa. La politica e l’amministrazione non possono rifluire l’una nell’altra in occasione
della formulazione del programma di governo e della formulazione della maggioranza che tale
programma sostiene. L’intervento della corona nella politica inglese e la tutela che esercitava sul
parlamento aveva avuto come conseguenza la riduzione dei problemi politici a semplici problemi
amministrativi: si era così perduto il senso dell’insieme, della visione unitaria.
La distinzione tra politica e amministrazione si fonda sul fatto che la prima deve individuare i fini
della collettività e i mezzi adeguati per conseguirli mentre la seconda s riferisce alla realizzazione
dei fni indicati mediante i mezzi decisi in sede politica. La politica seguita dalla corona si fondava
su un empirismo che non riusciva a concepire una visione sistematica degli interessi in gioco. La
politica inglese può essere paragonata ad un mosaico le cui tessere sono tutte sconnesse.
I partiti non devono più essere considerati alla stregua delle fazioni, che perseguono fini in
contrasto con il bene della collettività, ma come associazioni di individui che hanno una comune
concezione politica e che sulla base di questa concezione propongono una serie di provvedimenti
tra loro coordinati al fine di realizzare i principi che derivano dalle loro convinzioni.
Grazie al dibattito di idee sollecitato dai partiti, si esprimono nel parlamento degli orientamenti
politici ce devono trovare riscontro negli elettori che esprimono a loro volta un proprio orientamento
politico.
L’opinione pubblica è insieme ai partiti una componente essenziale del sistema costituzionale
britannico che fa del parlamento un vero organo rappresentativo dell’intera nazione.
Uno stato privo di ogni possibilità di mutamento non ha neanche modo di conservarsi.
La tradizione deve essere considerata alla luce della dialettica conservazione-innovazione per cui
conservare significa innovare e innovare significa conservare. Perché al società sussista nella sua
unità reale bisogna conservare ciò che fonda la società nella sua individuale fisionomia storica, ciò
che fa sussistere la società nella sua unità reale cioè come stato, mentre bisogna mutare tutto ciò
che sulla base dell’esperienza ha dato risultati negativi. Bisogna combinare con un sapiente
dosaggio il vecchio e il nuovo.
La nuova classe politica crede che sia possibile governare il paese con leggi che dovrebbero
essere obbedite per la loro razionalità. Ma il rapporto tra chi comanda e chi obbedisce non si fonda
sulla mera ragione. Il potere si fonda sulla forza che trova la sua disciplina in ideali, valori, principi
che appartengono alla sfera dei nostri più nobili sentimenti. Essi si esprimono nella società con
forme efficaci solo se si basano sulla tradizione.
Il poter che si basa sulla nuda ragione finisce con l’identificarsi con la verità della ragione sicura di
se stessa e pretende di agire in nome di questa verità che non ammette errori e reclama una totale
adesione ai suoi precetti ponendo le premesse per un nuovo assolutismo.
Il potere si manifesta prima come dominio della ricchezza : la nuova classe politica di tipo
oligarchico che ha distrutto gli ideali e i valori che delimitavano il potere e ne temperavano l’uso
può perseguire i suoi interessi solo con l’uso della forza. Ma essendo stata vanificata la forza
politica che si fonda sull’opinione convalidata da una lunga tradizione, rimane solo quella militare.
L’armata francese è una forza autonoma sulla quale il governo esercita un controllo nominale.
L’esercito è l’unico padrone della Francia e quando troverà un generale che sulla base dei suoi
successi riscuoterà la fiducia dell’intera armata, quel generale sarà il padrone della Francia.
La legge morale è il fondamento dell’agire pratico, ciò che lo rende intellegibile come un tutto
coerente e sistematico e funge da premessa delle considerazioni che attengono al comportamento
dell’individuo volto a conseguire la felicità. Distingue il bene morale dalla felicità e il primo deve
avere l’assoluto primato sulla seconda. La felicità è il godimento durevole delle vere gioie della
vita.
Quello che dobbiamo fare per conseguire la felicità ci viene indicato solo dalla personale
esperienza e non può essere determinato a priori.
I precetti di prudenza che sono finalizzati al conseguimento della felicità sono ricavati
dall’esperienza ed hanno un valore di regola generale ma non di principi universali e quindi
consentono eccezioni.
I precetti si riferiscono al comportamento degli individui volti al conseguimento della felicità, ai
costumi intesi come maniera e modo di vivere. La metafisica dei costumi è quella disciplina che,
sulla base dei principi della legge morale studia i rapporti che intercorrono tra la morale e il diritto in
quanto regola le azioni esterne degli individui. La distinzione tra la morale e il diritto si fionda sul
principio che la prima si riferisce alla determinazione interiore mentre il secondo riguarda la
disciplina dell’azione esterna. Nella legge sussistono due elementi: il primo è l’obbligo in quanto si
presenta come dovere, il secondo è l’impulso che determina l’individuo a compiere il dovere.
Quando l’impulso si identifica con il dovere ci troviamo di fronte alla legge morale, quando
scaturisce da un principio diverso dal dovere abbiamo una legge giuridica.
Alla morale e il diritto corrispondono la volontà e il libero arbitrio. La volontà è la determinazione
che si riferisce al principio che regola l’azione, mentre l’arbitrio alla possibilità di attuare l’azione. La
volontà è libera in quanto si adegua al principio secondo cui deve determinarsi. La volontà
dinnanzi alla legge morale non ha possibilità di scelta: deve seguire la legge morale. L’arbitrio
invece può essere detto libero in quanto si riferisce alla possibilità di compiere o non compiere
l’azione ad opera delle vere e proprie scelte. L’arbitrio è la facoltà che corrisponde alla legislazione
esterna, al diritto, e deve essere considerato libero.
Il diritto si riferisce alle azioni esterne degli individui e tra gli stessi individui e consente la
coesistenza di più individui. Il diritto è l’insieme delle condizioni per mezzo delle quali l’arbitrio di
uno può accordarsi con l’arbitrio di un altro secondo una legge universale di libertà.
Il principio di libertà consente di individuare l’altro elemento fondamentale del diritto, cioè la
coazione che si presenta come l’uso della forza, della costrizione, per impedire la libertà esterna
che non si accordi con la legge universale di libertà. Il diritto stretto cioè quello che si riferisce alle
azioni esterne si fonda sulla possibilità di costrizione esterna che possa coesistere con la libertà di
ognuno secondo leggi generali.
la grande divisione del diritto è quella tra diritto naturale (che riposa su principi a priori) e diritto
positivo (che promana dalla volontà del legislatore). Il diritto naturale è uno solo, la libertà dalla
quale deriva l’uguaglianza (io posso essere costretto a fare solo ciò che a mia volta posso
costringere l’altro a fare).
Lo stato oltre alla libertà del singolo deve garantire l’uguaglianza: tutti sono sottoposti al comando
delle leggi, tutti sono sudditi dello stato e nessuno può imporre niente agli altri se non tramite le
leggi.
Tutti i cittadini hanno il diritto di conseguire la posizione sociale che corrisponde alla propria
capacità, al proprio lavoro, senza che quella venga riservata ad alcune categorie sociali.
L’aristocrazia non può più vantare alcun esclusivo diritto agli incarichi più importanti dello stato.
Deve invece concorrere con altre classi sociali, in particolare la borghesia, per quanto riguarda gli
uffici e le attività pubbliche. In vista di questo fine occorre predisporre una politica di radicale
riforma della grande proprietà feudale ed ecclesiastica che sancisce privilegi politici
dell’aristocrazia e dell’ordine ecclesiastico. Questi provvedimenti sono legittimi in quanto o stato,
espressione della volontà generale è la fonte del diritto di proprietà privata dei singoli cittadini. Allo
stato appartiene tutto il territorio sul quale esercita la sua sovranità. Tale relazione non deve essere
concepita come se avessimo un governo dispotico, ma come premessa indispensabile perché i
singoli possano avere un dominio esclusivo di una parte limitata del territorio dello stato.
Kant aderisce agli ideali di rinnovamento culturale e politico della rivoluzione francese. Nonostante
tutti gli errori e dolori che sono connessi con avvenimenti del genere, la rivoluzione ha suscitato nei
popoli entusiasmo e fiducia nella possibilità del progresso dell’umanità. Ma il principio sul quale si
fonda la rivoluzione, il diritto di resistenza attiva al governo non può essere accolto in uno stato di
diritto. Il popolo non può ergersi a giudice del suo sovrano né può usare forza contro di lui in
quanto automaticamente distruggerebbe l’autorità sovrana e riporta la società civile alla società di
natura e si annulla come popolo cioè come entità fondata sul diritto.
Le riforme possono essere promosse solo dal sovrano. Può essere ammessa una sola forma di
resistenza, quella che può esercitarsi nei confronti del potere esecutivo e non contro quello
legislativo
L’uomo è costretto dalla natura a entrare in società con i suoi simili sotto la spinta dei bisogni più
elementari e urgenti, per una esigenza di difesa e tutela della vita e nello stesso tempo è proprio la
società che sviluppa nell’uomo l’inclinazione all’antagonismo col favorire della passioni, desideri,
sentimenti che contrappongono gli uomini tra loro. Se non ci fossero le contrapposizioni tra gli
uomini non sarebbero state possibili le conquiste della ragione e dell’ingegno umani.
Il progresso si realizza con un meccanismo per cui l’uomo è tenuto a freno dai suoi stessi impulsi,
passioni che creano le situazioni che costringono l’uomo a fondare la società civile.
Esamina l’impotenza dell’impero e la sua incapacità di attirare una valida politica di difesa dell’unità
della nazione germanica. Rileva l’inesistenza di un vincolo che unisca le singole parti della
confederazione germanica allo stato considerato come Intero. l’Intero non è la somma delle parti
che lo costituiscono ma è ciò che risulta dalla loro reale unità e quindi ciò che fa sussistere le parti
nella loro specifica funzione, che le armonizza in modo che la loro attività pervenga a un risultato
unitario. Il compito della filosofia è indicare come deve essere pensato l’intero per comprendere la
sua articolazione in una molteplicità di parti che si organizzano in un tutto sistematico. L’intero
quando si riferisce alla politica si esprime come eticità, come la totalità dei principi, dei valori sui
quali si fonda il comportamento degli individui nella comunità. Lo stato è un organismo compiuto,
una unità-totalità che ha nell’etica il suo vero centro unificatore.
La realtà dell’individuo come vivente unità di particolare e universale può essere compresa con il
concetto di eticità: questa si identifica con il popolo. L’individuo considerato come Io è una vuota
attrazione così come sono del tutto attratti i diritti naturali che costituirebbero la sua vera essenza.
L’individuo invece esiste nel popolo cioè in una totalità etica. Il popolo è una individualità e come
tale esprime il suo proprio carattere, una propria personalità che costituiscono il vero fondamento
del sistema politico cioè del fatto che tutti gli ordinamenti positivi, le leggi, le istituzioni sono le une
alle altre collegate in modo da realizzare gli scopi che sono propri dell’Intero cioè dello stato.
Con questa negazione si manifesta il male e la volontà esteriore dell’individuo viene ricondotta alla
sua interiorità, alla volontà soggettiva cioè alla volontà morale.
La moralità è la sfera propria delle azioni che vengono indirizzate al conseguimento del bene. Ma
la moralità è anche la consapevolezza dell’assoluta libertà della propria interiorità cioè della
capacità che ha il soggetto di giudicare ciò che è bene e ciò che è male.
L’eticità esprime la sfera del dovere che contiene in sé le due precedenti sfere: quella del diritto e
quella della moralità.
Ogni individuo ha un ruolo sociale e ciascuno stato sociale esprime una propria forma di eticità
cioè una serie di convinzioni, principi e ideali che lo caratterizzano.
Gli stati sociali sono la vera struttura portante della società civile.
Alla società civile appartiene non solo la dichiarazione del diritto privato in quanto legge ma anche
l’applicazione della stessa legge cioè l’amministrazione della giustizia che deve garantire
all’individuo libertà civile e interessi. Occorre riconoscere alla società civile anche un potere di
vigilanza e tutela per armonizzare i diversi interessi dei produttori e dei consumatori.
L’organizzazione della società civile trova il suo compimento nella corporazione cui fanno capo i
ceti sociali. La corporazione rappresenta il momento etico della società civile. Essa interpreta e fa
valere i valori, le superiori regole che disciplinano l’agire pratico degli individui volti al
soddisfacimento dei propri bisogni ed a procurarsi la ricchezza armonizzandolo con quello degli
altri.
La società civile ha la funzione di portare gli istinti, i bisogni, i sentimenti degli individui dal livello
della rozza immediatezza naturale a quello della razionalità, conferendo così alle esigenze degli
individui la forma della universalità. Si esprime in tal modo nella sfera della società civile la civiltà
che è intesa da Hegel come la liberazione e il lavoro della superiore liberazione che nel soggetto è
il duro lavoro contro la mera soggettività del comportamento, contro l’immediatezza del desiderio,
così contro la vanità soggettiva del sentimento.
L’esecuzione delle decisioni del monarca fa capo al potere governativo che è costituito dalla
pubblica amministrazione nel cui ambito è compresa anche l’amministrazione della giustizia. Il
compito della pubblica amministrazione è di far valere l’interesse generale dello stato.
Il potere governativo ha il compito di fungere da tramite tra la società civile e lo stato e di garantire
il perseguimento dell’interesse generale nel rispetto dell’interesse dei singoli.
Il potere legislativo è costituito dal monarca a cui appartiene la decisione suprema; dal potere
governativo; dalle assemblee degli stati alle quali appartiene l’iniziativa delle proposte di legge.
La legge deve essere espressione della volontà degli organi fondamentali dello stato.
Non può essere ammessa la partecipazione dell’individuo singolo al governo dello stato.
La rappresentanza politica non deve essere fondata sul rapporto diretto tra popolo e
rappresentanti ma deve essere mediata dal sistema degli stati social