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CONSERVATORIO STATALE DI MUSICA “A.CORELLI”


ISTITUTO SUPERIORE DI STUDI MUSICALI - MESSINA

ANALISI DELLE FORME POETICHE II

DOCENTE: PROF. GIOVANNA ARAGOZZINI


STUDENTE: LIVIA MICALE

A.A. 2019/2020
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INDICE

1. L’OPERA ITALIANA DAL 1830 ……………………………………….Pag 2

2. VINCENZO BELLINI E L’OPERA……………………………………...Pag 3

 2.1 LO STILE…………………………………………………………Pag 3

 2.2 LA MELODIA…………………………………………………..Pag 4

3. NORMA…………………………………………………………................Pag 5

 3.1 CANTABILE: CASTA DIVA…………........................ Pag 7

4. DUETTO ADALGISA – POLLIONE……………………………………..Pag 9

 4.1 RECITATIVO DI ADALGISA…………………………….....Pag 10

 4.2 CABALETTA “Vieni in Roma…/Ciel! Così


parlar…”………….......................................................Pag 10/12

5. BIBILIOGRAFIA……………………………………………………………….Pag 13
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1. L’OPERA ITALIANA DAL 1830


Dal 1830 al 1848 l’opera italiana si apre verso il ROMANTICISCMO acquisendo, così,
caratteri nuovi. In questo contesto prevale l’OPERA SERIA mentre l’OPERA COMICA si
trasferisce nei teatri meno prestigiosi con maestri di secondo piano. Le opere buffe
non esistono più e lo dimostrano opere come LA SONNAMBULA (Bellini), che è
SEMISERIA, i soggetti classici soccombono a quelli Romantici e si diffondono repertori
tratti dalla moderna letteratura.
L’opera però rifiuta alcuni caratteri del romanticismo europeo escludendo:
 Mistica della natura
 Ambientazione storica precisa
 Condizioni sociali e politiche del contesto
 Il colore locale e storico considerato un impedimento alla trasportabilità della
vicenda
 Il fantastico
 Il misto tragico comico
Se fino a Rossini manca il carattere individuale e la personalità del personaggio, ora la
PASSIONE è un sentimento cardine dell’opera. È un sentimento individuale,
irrazionale e improvviso che rasenta la PAZZIA, infatti il personaggio è spesso in uno
stato di coscienza alterata. Questa passione coinvolge lo spettatore il quale si
immedesima e fonde con la vicenda e con il personaggio. Alla base della
drammaturgia ci sono AMORE E CONFLITTO. Anche nel secolo precedente il conflitto
era tra passione e dovere, ma ora:
 Vince la passione che travolge tutto e tutti (potere distruttivo)
 Non ci sono soluzioni di riconciliazione
 L’amore è inarrestabile
 Il finale è tragico
Anche il linguaggio musicale subisce dei mutamenti e, infatti, se Rossini prediligeva i
registri vocali del Soprano, Contralto e Tenore, ora si preferiscono quelli del Soprano,
Tenore e Baritono dove il Soprano è la voce più importante. L’orchestra funge da
accompagnamento della voce e svolge preludi e postludi ai cantabili (strumento
solista e accompagnamento) inoltre, durante i tempi d’attacco e i tempi di mezzo, è
autonoma e più incisiva. Ma nonostante tutto, mentre in Europa si diffonde il
virtuosistico sinfonismo romantico, le orchestre decadono e la scrittura e
l’orchestrazione stessa sono su standard medio bassi.
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2. VINCENZO BELLINI E L’OPERA

Bellini ha un ruolo decisivo nel determinare il nuovo orientamento dell’opera italiana


dopo il 1830, anche se non si può parlare di una età belliniana. Egli è l’ultimo grande
prodotto di quella “scuola napoletana” che ha segnato il destino dell’opera
settecentesca, fin quando nella sua formazione interviene però un elemento nuovo
ed estraneo a quella tradizione; gli anni dell’apprendistato sono quelli del predominio
di Rossini nei teatri napoletani e per lui è difficile sottrarsi al suo fascino, nonostante
la diffidenza dei vecchi maestri verso uno stile che sembra loro ardito e contrario al
consolidato buon gusto.
L’esordio operistico avviene nel 1825 con Adelson e Salvini, un’opera semiseria con
dialoghi parlati presentata come saggio nel teatro del conservatorio. Importante è la
grande riuscita del PIRATA (1827) che è l’evento decisivo della carriera del musicista
che si vede aprire la porta dei più influenti salotti milanesi ed è anche da considerare,
simbolicamente, l’opera che apre alla nuova visione romantica.
Il tratto più appariscente della personalità di Bellini è l’ambizione di affermarsi come
il primo compositore d’opere della sua epoca. Progetta la sua carriera invece di
limitarsi a cogliere le occasioni che di volta in volta gli si presentano. Egli è il primo
compositore a intuire le possibilità di guadagno offerte da un sistema produttivo
fondato non più solo sulla proposta di opere sempre nuove ma anche sulla
riproduzione di un numero più limitato di opere di comprovato successo. A questa
intuizione si deve la decisione di scrivere poco, bilanciata da una capacità di
contrattazione con impresari ed editori che lo portano ad ottenere quasi subito
compensi notevolmente più alti di quelli dei suoi colleghi, anche affermati.

2.1 LO STILE

Bellini ha una precisa coscienza delle proprie qualità artistiche tra le quali l’aspirazione
all’originalità dello stile. Questo stile sperimentale incontra il favore del pubblico e
non solo, anche della critica. Già dalle prime opere si vede la sperimentazione sul
canto poiché cerca di << riunire la forza della declamazione alla gentilezza del canto>>
pur avvertendone il << pericolo di confondere declamazione e canto, e produrre
monotonia, lentezza, […] mancanza di motivi che allettino e rimangano all’orecchio>>.
Quindi cerca di equilibrare canto sillabico (spianato) e canto fiorito, per rendersi
indipendente dal genio dominatore di Rossini. Ben presto però si rende conto che la
strada adottata offre scarse possibilità di sviluppo se adottata in maniera troppo
esclusiva così reintroduce il canto fiorito che diventa il registro di un gioco
combinatorio che prevede anche il canto “spianato”, l’arioso non strofico, atto a
rappresentare alcuni atteggiamenti emotivi quali estasi, furore, abbandono,
disperazione.
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2.2 LA MELODIA

Decisiva è la natura intrinseca della melodia stessa. Quasi ogni titolo di opere
belliniane si associa a una melodia che ne riassume il contenuto poetico in maniera
definitiva come ad esempio <<Casta diva>> (Norma), <<Ah non credea mirarti>> (La
Sonnambula). Sono sempre melodie dal respiro peculiare e inconfondibile. Il carattere
individuale della melodia belliniana discende da un calibrato impiego di mezzi musicali
che presuppone una scienza non meno complessa di quella contrappuntistica o
orchestrale. Tra essi i più importanti sono:
 Sfasamento della quadratura ritmica grazie a piccoli spostamenti di accento,
pause sincopi
 No alla ripetizione e alla simmetria
 Note dissonanti armonicamente che spostano la soluzione del discorso
musicale
 Concatenazioni armoniche che rimandano la cadenza finale
 Arco melodico lungo, frastagliato e discorsivo
 Smaterializzazione del ritmo esaltando piuttosto la sonorità.

Queste considerazioni sulla natura della sua melodia ci consentono di giudicare più
equamente le risorse di Bellini nel campo dell’armonia e del trattamento
dell’orchestra. Quest’ultima ha delle precise caratteristiche:
 Non deve distrarre dall’azione
 Effettua lunghi giri accordali per raggiungere la tonalità finale
 Crea effetti di sospensione spiazzante alternati a sfoghi ritmici più
rassicuranti.
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3. NORMA

Tra settembre e agosto 1831, Bellini e il suo fido librettista Felice Romani, si mettono
a lavoro su Norma. Bellini ha modo di calibrare al meglio l’ampio ventaglio di
invenzioni ed effetti musicali che, coerenti tra loro, danno corpo e lunga vita al
dramma musicale da sempre riconosciuto come il suo capolavoro. Importante
tuttavia tenere a mente due presupposti fondamentali circa quelle “scelte
compositive”. Il primo è che esse non sono affatto scelte libere e prive di vincoli ma
tutto il contrario. Le si attua entro un genere di spettacolo retto da molte convenzioni
formali ferree e altamente codificate: sorta di “schemi fissi” di riferimento che sono
garanzia di una comunicazione fluida tra gli orizzonti d’attesa del pubblico e le tante
opere nuove che vengono via via proposte. Nella storia dell’opera italiana egli è infatti
tra i primi a concepire sé stesso come un “uomo di teatro” la cui musica mira a rendere
ed esaltare le passioni dei personaggi in azione al punto che gli spettatori possano
identificarsi e commuoversi con esse.
Gli schemi convenzionali di riferimento cui s’accenna sono noti strumenti di lavoro
quotidiano per tutti i compositori d’opera del periodo e rimangono tali fino agli anni
1860/1870. Bellini e Romani procedono secondo la logica principale che presiede alla
creazione delle opere dell’epoca, costituite ciascuna da una decina/dozzina di pezzi
musicali concepiti come tali (arie, duetti, cori…): anche quelli di Norma vengono infatti
confezionati uno alla volta passando “a catena” da poeta a musicista. Nella partitura
finita così come l’appronta Bellini, risulta evidente un suo primo ordine di scelte:
quello di dare vita a un’opera dove i singoli pezzi possono essere spesso percepiti
come saldati tra loro in continuità, così da dar vita a situazioni-quadro più articolate
e ampie del consueto.

Fig. 1
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Utile, per chiarezza, fornire un quadro di raffronto circa le diverse ripartizioni che
Bellini pensa e, poi, quelle messe in atto dall’editore di stampa (Fig.1).

Comunque, all’interno di ciascun numero di Norma, resta sempre saldo il riferimento


formale a quella che è l’articolazione canonica dei pezzi musicali per l’opera italiana
del tempo. I relativi modelli li avevano consolidati da una ventina di anni il Rossini
serio e altri al suo seguito, sulla base di un principio che prevede l’alternanza,
nell’ambito unitario di un’aria solistica, un duetto (o terzetto o quartetto), un gran
pezzo con solisti e cori d’introduzione o di fine atto. Ormai ben noto ad ogni
conoscitore dell’opera italiana dell’ottocento, uno schema come quello seguente dà
conto di queste forme tipo post rossiniane e delle omologie sussistenti tra esse
quanto struttura drammatico – musicale interna:

Fig. 2

[*La Scena imposta la situazione emotiva e drammatica che precede il pezzo chiuso.
Non si tratta più del recitativo obbligato che precede un brano chiuso, dal quale
indubbiamente deriva. Da non confondersi con i nuclei drammatici nei quali sono
suddivisi gli atti, essa può comprendere parti orchestrali, ampi episodi in arioso e
interventi corali, talvolta con più personaggi protagonisti. Nel corso dell’ottocento
diventa in molti casi un numero completamente autonomo, senza cioè brano chiuso.]

Rispetto a tali consuetudini costruttive la statura di un compositore si misura tuttavia


nell’abilità di usarle, di metterle a frutto, di piegarle quel poco o quel tanto che la sua
fantasia musicale e drammatica gli detta. Se si guarda ai numeri di Norma, risulta
facile constatare che su questo piano delle architetture formali Bellini, con Romani a
supporto, in qualche caso sceglie di attenersi alle sequenze più canoniche, ma ben più
spesso vuole profilare le situazioni in modo tutto particolare.
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3.1 CANTABILE: CASTA DIVA

La celeberrima <<Casta diva, che inargenti>>, vale a dire il tempo così detto cantabile
dell’aria di sortita della protagonista, è invece fra i sommi esempi di come Bellini vuole
realizzare melodie capaci di distendersi come un tutt’uno omogeneo, senza apparenti
soluzioni di continuità, e nemmeno una articolazione davvero avvertibile, tra le loro
singole frasi.

TESTO RICAVATO DALLE LINEE MELODICO TESTUALI:

Casta diva,
Casta diva, che inargenti,
Queste sacre,
queste sacre, queste sacre antiche piante,
a noi volgi
il bel sembiante
a noi volgi, a noi volgi il bel sembiante, il bel sembiante senza
nube e senza vel.

MELODIA CANTATA:
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Il testo poetico reale, celeberrimo ma in ogni caso agevolmente ricomponibile per


l’evidenza delle ripetizioni, è invece il seguente:

Casta diva, che inargenti A


Queste sacre antiche piante, B
a noi volgi il bel sembiante, B
senza nube e senza vel. C

Il confronto con i versi originali, una quartina di ottonari trocaici con rime ABBC,
dimostra la trasformazione che le linee melodiche compiono del testo. Nel caso della
prima quartina di Casta diva, ci troviamo in presenza di una strofa poetico – musicale,
costituita da due periodi musicali ciascuno su due versi. Il primo periodo è articolato
in due frasi musicali (batt. 1 – 4, 5 – 8). La prima frase è costruita sul corrispondente
verso, ed è suddivisa in due semifrasi (batt. 1 – 2, 2 – 4), collocate sul primo emistichio
e sulla ripetizione dell’intero verso. Così anche la seconda frase, dove però, a
proposito della semifrase – verso, troviamo incorporato al suo interno un motivo –
emistichio (<<queste sacre, queste sacre antiche piante>> (batt. 6 – 8).
Il secondo periodo (batt. 8 – 15) è anomalo. Di fatto esso è costruito in primo luogo
da una semifrase che si appoggia al terzo verso ( << a noi volgi il bel sembiante>>) ed
è divisa in due motivi emistichio chiaramente separati (batt. 8 – 10). Segue poi una
frase “di getto” che unisce il terzo (ripetuto) e quarto verso in una lunga melodia senza
soluzione di continuità (batt. 10 – 15).
Il suono più accentuato nel primo periodo di quattro battute è il 𝐿𝑎3 , il più acuto è il
𝑅𝑒4; il primo periodo finisce sul 𝑆𝑖𝑏3 . Questo suono diventa ora la nota più accentata
del secondo periodo di quattro battute, che da parte sua non va oltre il 𝑅𝑒4; il secondo
periodo non va oltre il 𝐿𝑎3 . Il periodo di due battute che segue ha inizio proprio da
questo La e sale fino a 𝐹𝑎4 . La voce utilizza il 𝐷𝑜4 come anacrusi del periodo che ora
segue, in cui la melodia, dopo un indugiare tra 𝐷𝑜4 e 𝑅𝑒4 , sale rapidamente al suo
culmine diastematico; essa si sofferma sul 𝐿𝑎4 in sincopi accentate che portano la
tensione al massimo, per usarlo poi, come trampolino per arrivare al 𝑆𝑖𝑏4 . La novità
di questa melodia sta nell’uso dei mezzi dinamici (crescendo) e nella coerenza con cui
questi mezzi, insieme alla diastematica e alla ritmica (sincopi), portano ad un’acme
assoluto. Una tale intensificazione della conclusione dell’aria è una novità.
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4. DUETTO ADALGISA POLLIONE

Il duetto tra Adalgisa e Pollione non si articola nella forma consueta. Conta
probabilmente il fatto che a rendere una tal scena di serrato e contrastatissimo
corteggiamento torna utile non tanto l’usuale diagramma con due statiche espansioni
cantabili di stadi emotivi raggiunti <<in coppia>>, quanto piuttosto un dinamismo
continuato che sa sì assumere fascinosi andamenti melodizzanti, ma che trova il
proprio culmine in a due canonico solo ed esclusivamente alla conclusione del
numero, là dove la fanciulla cede arrendendosi alla potenza dell’amore. Ed è così che
Bellini finisce per realizzare la situazione attraverso non cinque ma tre fasi
drammatico-musicali, e cioè in sostanza – esclusa la <<scena>> iniziale in recitativo –
con due ampie pagine in cui immagina idee melodico – orchestrali pregnanti e insieme
adatte ad essere strutturate a mo’ di continua <<proposta – risposta>> tra i due
personaggi. E ciò non solo là dove Romani gli prepara versi inequivocabilmente da
TEMPO D’ ATTACCO (da <<Va’, crudele…>>), ma anche dove è previsto un a due
potenzialmente statico (CABALETTA), ossia alle strofe <<Vieni in Roma, ah! Vieni, o
cara…// (Ciel! Così parlar l’ascolto…)>>. Ad esse seguono sia l’ulteriore dialogo dove
infine la fanciulla si concede, sia una coppia di distici di nuovo previsti a voci unite.
Bellini fa riprendere l’ardente melodia di <<Vieni in Roma>> giusto sul risolutivo <<Qui
domani, all’ora istessa>>, ora però scambievolmente suddivisa tra gli amanti fino
all’apice – breve, fulmineo, dunque rapinoso – dei rispettivi ultimi versi intonati in
omoritmica consonanza cadenzale.

Nel tempo d’attacco del duetto “Va’, crudele; e al dio spietato”, gli otto versi ottonari
che toccano prima a lui e poi a lei, Bellini a quanto pare, li concepisce da subito
secondo una articolazione interna basata sulla fraseologia in sé, prim’ancora cioè di
mettere a fuoco i materiali melodici effettivamente adatti. Egli progetta anzitutto di
suddividere l’ottava iniziale di Pollione in due sezioni di quattro versi ciascuna e di
destinare alla prima una tonalità minore e alla seconda una tonalità maggiore.
Pollione si protende al maggiore là dove evoca l’innamoramento di Adalgisa:

Va, crudele, al Dio spietato A


Offri in dono il sangue mio. B MINORE
Tutto, ah, tutto ei sia versato, A
Ma lasciarti non poss'io, B
No, nol posso!
Sol promessa al Dio tu fosti, C
Ma il tuo core a me si diede. D MAGGIORE
Ah! Non sai quel che mi costi C
Perch'io mai rinunzi a te. E
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4.1 RECITATIVO DI ADALGISA

Al suo apparire Adalgisa è sola, nel luogo galeotto del suo primo incontro con Pollione,
combattuta tra rimorsi di coscienza e sincere pulsioni amorose. Giacché il passo
prelude al duetto fra i due, il poeta scrive da subito per lei undici versi di recitativo da
<<Sgombra è la sacra selva>> fino al sopraggiungere del romano. C’è un momento
però in cui Bellini segna sul manoscritto una precisa richiesta in corrispondenza
dell’ultimo verso: desidera otto versi di preghiera “Deh proteggimi, o Dio: perduta io
son”. La scritta viene poi cancellata, non si sa bene da chi e quando. Resta il fatto che
proprio in questo punto, dopo che la fanciulla <<corre per prostrarsi sulla pietra di
Irminsul>>, il compositore sceglie di innestare quest’altro episodio di arioso, che qui
però assume sia funzione di apice conclusivo d’un recitativo più intenso e dimesso,
sia una configurazione melodica a sé rispetto alla diversa e cantabilissima idea che
aveva risuonato il flauto prima nel preludio orchestrale e poi dopo la battuta iniziale
del recitativo. Questa preghiera finisce per essere proprio il breve LARGO IN RE
BEMOLLE MAGGIORE che precede appena l’entrata di Pollione: si fa arioso e prende
libera veste di invocazione, con le parole dell’unico verso ripetute e distese in quattro
frasi canore asimmetriche, via via più tese fino al culmine in acuto, ma infine reclinati
nella cedevolezza delle fioriture conclusive.

“PREGHIERA” DI ADALGISA

Deh! Proteggimi, o Dio!


Perduta io son!
Gran Dio, abbi pietà,
Perduta io son!

4.2 CABALETTA “Vieni in Roma…/Ciel! Così parlar…”

Nello strutturare melodie destinate ai <<tempi di numero>> più cantabili sussistono


grammatiche compositive che Bellini condivide con i colleghi dell’epoca. Questi brani,
immagine sonora delle più pregnanti posizioni emotive dei personaggi, vengono
congegnati su poche frasi musicali tra loro coerenti e bilanciate, ciascuna
corrispondente a segmenti di verseggiatura altrettanto simmetrici, disposte secondo
logiche intervallari, metriche e armoniche che fanno percepire le loro funzioni
reciproche (di antecedente – conseguente, di inizio – diversione – conclusione, ecc.).
Il modello più standardizzato e semplice d’un tal genere di melodia, tanto diffuso che
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la musicologia recente l’ha voluto tipizzare e definire, si trova anche in varie pagine di
Norma, tra cui la CABALETTA del duetto Pollione – Adalgisa:

Fig 3

Ciascuna frase musicale (4 bb) viene fatta corrispondere a due versi poetici, le
delimitano cadenze armoniche più o meno marcate, in alternanza. Lo spunto iniziale
ha già in sé tutta la caratterizzazione del brano; l’insieme della melodia viene a
risultare conchiuso, completo, bilanciato, facile da percepirsi e rammentarsi.
Bellini realizza il brano in FORMA LIRICA, ovvero un componimento senza una forma
definita e catalogabile per numero e tipi di versi, rime e strofe.
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TESTO DELLA CABALETTA

POLLIONE
Vieni in Roma, ah, vieni, o cara, A
Dov'è amore e gioia e vita! B
Inebbriam nostr'alme a gara A
Del contento a cui ne invita! B
Voce in cor parla non senti, C
Che promette eterno ben? D
Ah! Dà fede a' dolci accenti, C
Sposo tuo mi stringi al sen! D

ADALGISA
(Ciel! Così parlar l'ascolto
Sempre, ovunque, al tempio istesso!
Con quegli occhi, con quel volto,
Fin sull'ara il veggo impresso.
Ei trionfa del mio pianto,
Del mio duol vittoria ottien.
Ciel! Mi togli al dolce incanto,
O l'error perdona almen!)
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5. BIBLIOGRAFIA

F. Della Seta, Italia e Francia nell’ottocento, Torino, 1993


B. Gallotta, Manuale di Poesia e Musica, Torino, 2001
A. Roccatagliati, Norma in musica: scelte compositive di Bellini
drammaturgo, Casale sul Sile (TV), 2015

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