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A.A. 2019/2020
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INDICE
2.1 LO STILE…………………………………………………………Pag 3
2.2 LA MELODIA…………………………………………………..Pag 4
3. NORMA…………………………………………………………................Pag 5
5. BIBILIOGRAFIA……………………………………………………………….Pag 13
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2.1 LO STILE
Bellini ha una precisa coscienza delle proprie qualità artistiche tra le quali l’aspirazione
all’originalità dello stile. Questo stile sperimentale incontra il favore del pubblico e
non solo, anche della critica. Già dalle prime opere si vede la sperimentazione sul
canto poiché cerca di << riunire la forza della declamazione alla gentilezza del canto>>
pur avvertendone il << pericolo di confondere declamazione e canto, e produrre
monotonia, lentezza, […] mancanza di motivi che allettino e rimangano all’orecchio>>.
Quindi cerca di equilibrare canto sillabico (spianato) e canto fiorito, per rendersi
indipendente dal genio dominatore di Rossini. Ben presto però si rende conto che la
strada adottata offre scarse possibilità di sviluppo se adottata in maniera troppo
esclusiva così reintroduce il canto fiorito che diventa il registro di un gioco
combinatorio che prevede anche il canto “spianato”, l’arioso non strofico, atto a
rappresentare alcuni atteggiamenti emotivi quali estasi, furore, abbandono,
disperazione.
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2.2 LA MELODIA
Decisiva è la natura intrinseca della melodia stessa. Quasi ogni titolo di opere
belliniane si associa a una melodia che ne riassume il contenuto poetico in maniera
definitiva come ad esempio <<Casta diva>> (Norma), <<Ah non credea mirarti>> (La
Sonnambula). Sono sempre melodie dal respiro peculiare e inconfondibile. Il carattere
individuale della melodia belliniana discende da un calibrato impiego di mezzi musicali
che presuppone una scienza non meno complessa di quella contrappuntistica o
orchestrale. Tra essi i più importanti sono:
Sfasamento della quadratura ritmica grazie a piccoli spostamenti di accento,
pause sincopi
No alla ripetizione e alla simmetria
Note dissonanti armonicamente che spostano la soluzione del discorso
musicale
Concatenazioni armoniche che rimandano la cadenza finale
Arco melodico lungo, frastagliato e discorsivo
Smaterializzazione del ritmo esaltando piuttosto la sonorità.
Queste considerazioni sulla natura della sua melodia ci consentono di giudicare più
equamente le risorse di Bellini nel campo dell’armonia e del trattamento
dell’orchestra. Quest’ultima ha delle precise caratteristiche:
Non deve distrarre dall’azione
Effettua lunghi giri accordali per raggiungere la tonalità finale
Crea effetti di sospensione spiazzante alternati a sfoghi ritmici più
rassicuranti.
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3. NORMA
Tra settembre e agosto 1831, Bellini e il suo fido librettista Felice Romani, si mettono
a lavoro su Norma. Bellini ha modo di calibrare al meglio l’ampio ventaglio di
invenzioni ed effetti musicali che, coerenti tra loro, danno corpo e lunga vita al
dramma musicale da sempre riconosciuto come il suo capolavoro. Importante
tuttavia tenere a mente due presupposti fondamentali circa quelle “scelte
compositive”. Il primo è che esse non sono affatto scelte libere e prive di vincoli ma
tutto il contrario. Le si attua entro un genere di spettacolo retto da molte convenzioni
formali ferree e altamente codificate: sorta di “schemi fissi” di riferimento che sono
garanzia di una comunicazione fluida tra gli orizzonti d’attesa del pubblico e le tante
opere nuove che vengono via via proposte. Nella storia dell’opera italiana egli è infatti
tra i primi a concepire sé stesso come un “uomo di teatro” la cui musica mira a rendere
ed esaltare le passioni dei personaggi in azione al punto che gli spettatori possano
identificarsi e commuoversi con esse.
Gli schemi convenzionali di riferimento cui s’accenna sono noti strumenti di lavoro
quotidiano per tutti i compositori d’opera del periodo e rimangono tali fino agli anni
1860/1870. Bellini e Romani procedono secondo la logica principale che presiede alla
creazione delle opere dell’epoca, costituite ciascuna da una decina/dozzina di pezzi
musicali concepiti come tali (arie, duetti, cori…): anche quelli di Norma vengono infatti
confezionati uno alla volta passando “a catena” da poeta a musicista. Nella partitura
finita così come l’appronta Bellini, risulta evidente un suo primo ordine di scelte:
quello di dare vita a un’opera dove i singoli pezzi possono essere spesso percepiti
come saldati tra loro in continuità, così da dar vita a situazioni-quadro più articolate
e ampie del consueto.
Fig. 1
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Utile, per chiarezza, fornire un quadro di raffronto circa le diverse ripartizioni che
Bellini pensa e, poi, quelle messe in atto dall’editore di stampa (Fig.1).
Fig. 2
[*La Scena imposta la situazione emotiva e drammatica che precede il pezzo chiuso.
Non si tratta più del recitativo obbligato che precede un brano chiuso, dal quale
indubbiamente deriva. Da non confondersi con i nuclei drammatici nei quali sono
suddivisi gli atti, essa può comprendere parti orchestrali, ampi episodi in arioso e
interventi corali, talvolta con più personaggi protagonisti. Nel corso dell’ottocento
diventa in molti casi un numero completamente autonomo, senza cioè brano chiuso.]
La celeberrima <<Casta diva, che inargenti>>, vale a dire il tempo così detto cantabile
dell’aria di sortita della protagonista, è invece fra i sommi esempi di come Bellini vuole
realizzare melodie capaci di distendersi come un tutt’uno omogeneo, senza apparenti
soluzioni di continuità, e nemmeno una articolazione davvero avvertibile, tra le loro
singole frasi.
Casta diva,
Casta diva, che inargenti,
Queste sacre,
queste sacre, queste sacre antiche piante,
a noi volgi
il bel sembiante
a noi volgi, a noi volgi il bel sembiante, il bel sembiante senza
nube e senza vel.
MELODIA CANTATA:
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Il confronto con i versi originali, una quartina di ottonari trocaici con rime ABBC,
dimostra la trasformazione che le linee melodiche compiono del testo. Nel caso della
prima quartina di Casta diva, ci troviamo in presenza di una strofa poetico – musicale,
costituita da due periodi musicali ciascuno su due versi. Il primo periodo è articolato
in due frasi musicali (batt. 1 – 4, 5 – 8). La prima frase è costruita sul corrispondente
verso, ed è suddivisa in due semifrasi (batt. 1 – 2, 2 – 4), collocate sul primo emistichio
e sulla ripetizione dell’intero verso. Così anche la seconda frase, dove però, a
proposito della semifrase – verso, troviamo incorporato al suo interno un motivo –
emistichio (<<queste sacre, queste sacre antiche piante>> (batt. 6 – 8).
Il secondo periodo (batt. 8 – 15) è anomalo. Di fatto esso è costruito in primo luogo
da una semifrase che si appoggia al terzo verso ( << a noi volgi il bel sembiante>>) ed
è divisa in due motivi emistichio chiaramente separati (batt. 8 – 10). Segue poi una
frase “di getto” che unisce il terzo (ripetuto) e quarto verso in una lunga melodia senza
soluzione di continuità (batt. 10 – 15).
Il suono più accentuato nel primo periodo di quattro battute è il 𝐿𝑎3 , il più acuto è il
𝑅𝑒4; il primo periodo finisce sul 𝑆𝑖𝑏3 . Questo suono diventa ora la nota più accentata
del secondo periodo di quattro battute, che da parte sua non va oltre il 𝑅𝑒4; il secondo
periodo non va oltre il 𝐿𝑎3 . Il periodo di due battute che segue ha inizio proprio da
questo La e sale fino a 𝐹𝑎4 . La voce utilizza il 𝐷𝑜4 come anacrusi del periodo che ora
segue, in cui la melodia, dopo un indugiare tra 𝐷𝑜4 e 𝑅𝑒4 , sale rapidamente al suo
culmine diastematico; essa si sofferma sul 𝐿𝑎4 in sincopi accentate che portano la
tensione al massimo, per usarlo poi, come trampolino per arrivare al 𝑆𝑖𝑏4 . La novità
di questa melodia sta nell’uso dei mezzi dinamici (crescendo) e nella coerenza con cui
questi mezzi, insieme alla diastematica e alla ritmica (sincopi), portano ad un’acme
assoluto. Una tale intensificazione della conclusione dell’aria è una novità.
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Il duetto tra Adalgisa e Pollione non si articola nella forma consueta. Conta
probabilmente il fatto che a rendere una tal scena di serrato e contrastatissimo
corteggiamento torna utile non tanto l’usuale diagramma con due statiche espansioni
cantabili di stadi emotivi raggiunti <<in coppia>>, quanto piuttosto un dinamismo
continuato che sa sì assumere fascinosi andamenti melodizzanti, ma che trova il
proprio culmine in a due canonico solo ed esclusivamente alla conclusione del
numero, là dove la fanciulla cede arrendendosi alla potenza dell’amore. Ed è così che
Bellini finisce per realizzare la situazione attraverso non cinque ma tre fasi
drammatico-musicali, e cioè in sostanza – esclusa la <<scena>> iniziale in recitativo –
con due ampie pagine in cui immagina idee melodico – orchestrali pregnanti e insieme
adatte ad essere strutturate a mo’ di continua <<proposta – risposta>> tra i due
personaggi. E ciò non solo là dove Romani gli prepara versi inequivocabilmente da
TEMPO D’ ATTACCO (da <<Va’, crudele…>>), ma anche dove è previsto un a due
potenzialmente statico (CABALETTA), ossia alle strofe <<Vieni in Roma, ah! Vieni, o
cara…// (Ciel! Così parlar l’ascolto…)>>. Ad esse seguono sia l’ulteriore dialogo dove
infine la fanciulla si concede, sia una coppia di distici di nuovo previsti a voci unite.
Bellini fa riprendere l’ardente melodia di <<Vieni in Roma>> giusto sul risolutivo <<Qui
domani, all’ora istessa>>, ora però scambievolmente suddivisa tra gli amanti fino
all’apice – breve, fulmineo, dunque rapinoso – dei rispettivi ultimi versi intonati in
omoritmica consonanza cadenzale.
Nel tempo d’attacco del duetto “Va’, crudele; e al dio spietato”, gli otto versi ottonari
che toccano prima a lui e poi a lei, Bellini a quanto pare, li concepisce da subito
secondo una articolazione interna basata sulla fraseologia in sé, prim’ancora cioè di
mettere a fuoco i materiali melodici effettivamente adatti. Egli progetta anzitutto di
suddividere l’ottava iniziale di Pollione in due sezioni di quattro versi ciascuna e di
destinare alla prima una tonalità minore e alla seconda una tonalità maggiore.
Pollione si protende al maggiore là dove evoca l’innamoramento di Adalgisa:
Al suo apparire Adalgisa è sola, nel luogo galeotto del suo primo incontro con Pollione,
combattuta tra rimorsi di coscienza e sincere pulsioni amorose. Giacché il passo
prelude al duetto fra i due, il poeta scrive da subito per lei undici versi di recitativo da
<<Sgombra è la sacra selva>> fino al sopraggiungere del romano. C’è un momento
però in cui Bellini segna sul manoscritto una precisa richiesta in corrispondenza
dell’ultimo verso: desidera otto versi di preghiera “Deh proteggimi, o Dio: perduta io
son”. La scritta viene poi cancellata, non si sa bene da chi e quando. Resta il fatto che
proprio in questo punto, dopo che la fanciulla <<corre per prostrarsi sulla pietra di
Irminsul>>, il compositore sceglie di innestare quest’altro episodio di arioso, che qui
però assume sia funzione di apice conclusivo d’un recitativo più intenso e dimesso,
sia una configurazione melodica a sé rispetto alla diversa e cantabilissima idea che
aveva risuonato il flauto prima nel preludio orchestrale e poi dopo la battuta iniziale
del recitativo. Questa preghiera finisce per essere proprio il breve LARGO IN RE
BEMOLLE MAGGIORE che precede appena l’entrata di Pollione: si fa arioso e prende
libera veste di invocazione, con le parole dell’unico verso ripetute e distese in quattro
frasi canore asimmetriche, via via più tese fino al culmine in acuto, ma infine reclinati
nella cedevolezza delle fioriture conclusive.
“PREGHIERA” DI ADALGISA
la musicologia recente l’ha voluto tipizzare e definire, si trova anche in varie pagine di
Norma, tra cui la CABALETTA del duetto Pollione – Adalgisa:
Fig 3
Ciascuna frase musicale (4 bb) viene fatta corrispondere a due versi poetici, le
delimitano cadenze armoniche più o meno marcate, in alternanza. Lo spunto iniziale
ha già in sé tutta la caratterizzazione del brano; l’insieme della melodia viene a
risultare conchiuso, completo, bilanciato, facile da percepirsi e rammentarsi.
Bellini realizza il brano in FORMA LIRICA, ovvero un componimento senza una forma
definita e catalogabile per numero e tipi di versi, rime e strofe.
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POLLIONE
Vieni in Roma, ah, vieni, o cara, A
Dov'è amore e gioia e vita! B
Inebbriam nostr'alme a gara A
Del contento a cui ne invita! B
Voce in cor parla non senti, C
Che promette eterno ben? D
Ah! Dà fede a' dolci accenti, C
Sposo tuo mi stringi al sen! D
ADALGISA
(Ciel! Così parlar l'ascolto
Sempre, ovunque, al tempio istesso!
Con quegli occhi, con quel volto,
Fin sull'ara il veggo impresso.
Ei trionfa del mio pianto,
Del mio duol vittoria ottien.
Ciel! Mi togli al dolce incanto,
O l'error perdona almen!)
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5. BIBLIOGRAFIA