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Lezione 1
INTRODUZIONE AL CORSO
OBIETTIVI:
Obiettivo del corso è fornire le conoscenze di base relative alle principali tecniche di indagine
sperimentale utilizzate nell’ingegneria strutturale e finalizzate ai controlli e al collaudo statico.
CONTENUTI:
Unità didattica: metrologia e strumenti di misura (20 ore)
Motivazioni per le indagini sperimentali. Richiami di probabilità e statistica per l’analisi dei dati
sperimentali. Errori di misura. Strumenti di misura di lunghezza, spostamento, velocità,
accelerazione, stato di deformazione e forze.
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
TESTI CONSIGLIATI:
Materiale didattico e riferimenti bibliografici specifici a cura del docente.
D.I. 14 gennaio 2008 “Norme tecniche per le costruzioni”
Circ. 617 del 2 febbraio 2009 “Istruzioni per l’applicazione delle Norme tecniche per le
Costruzioni”
PER APPROFONDIMENTI:
Branca F. P.– Misure Meccaniche – ESA
Doebelin E. O. – Measurement systems, application and design – McGraw Hill
Ewins D.J. – Modal Testing: Theory, Practice and Application – Research Studies Press Ltd
Pozzati P. - Teoria e tecnica delle strutture Vol. 2 – UTET
Oberti G., Goffi L. – Tecnica delle costruzioni – Levrotto & Bella
Bray – Meccanica sperimentale – Levrotto & Bella
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Nell’ambito dell’Ingegneria Civile numerose sono le occasioni in cui occorrono dei dati e delle
misure. Tali misure riguardano precisamente:
- dati sulle azioni da assegnare come input nei modelli di calcolo;
- dati sulle proprietà meccaniche dei materiali;
- misure su strutture esistenti per convalidare l’efficacia dei modelli di calcolo;
- collaudo delle strutture;
- osservazioni delle strutture esistenti per accertare la sicurezza residua dopo eventi
eccezionali (sisma, incendio, esplosioni);
- prove sui modelli come supporto alla progettazione di opere innovative o di impegno
speciale.
Processi conoscitivi
- Il processo conoscitivo più immediato, secondo il quale l’uomo si pone in rapporto con
gli enti dell’Universo, è quello della classificazione. Una volta selezionate le
caratteristiche o le proprietà di un ente cui ci si interessa (per esempio la forma, il
colore oppure il peso, ecc.) questi vengono suddivisi in classi. In ogni classe si
dispongono enti omogenei per rapporto alla proprietà considerata. Verranno così
definite la classe degli oggetti blu (uguale colore), la classe degli oggetti di ugual peso,
ecc.
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
- Il procedimento conoscitivo più efficace dal punto di vista della quantificazione è quello
della misurazione. Mediante esso è possibile associare in modo univoco, ad una
prefissata proprietà dell’ente preso in esame, un numero. Ogni volta che nell’ente
prescelto si manifesta quella proprietà, questa viene rappresentata sempre dallo stesso
numero. Si è cioè stabilita una scala di misura.
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Il codice di Re Hammurabi (6° Re di babilonia vissuto nel XVIII sec a.C.) e gli usi di Greci e
Romani.
Il contributo di Leonardo da Vinci (1452-1519) “fuggi i precetti di quelli speculatori che le loro
ragioni non sono confermate dalla sperienza”:
- Il carico di rottura dei fili metallici
- La resistenza a compressione delle colonne (“La resistenza a compressione è
proporzionale alla superficie caricata e inversamente proporzionale al rapporto tra
lunghezza e dimensione della sezione” che corrisponde all’introduzione della snellezza)
Da Galileo a Eulero
Galileo Galilei (1564-1642)
- Galialeo è considerato il padre del metodo sperimentale (Osservazione, descrizione,
formulazione di un’ipotesi, esperimento, tesi. Raggiungimento di una conoscenza
oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile.)
- Le proprietà meccaniche dei materiali e la resistenza delle travi (“La resistenza di una
colonna soggetta a trazione è proporzionale all’area della sezione trasversale ed è
indipendente dalla sua lunghezza”; “In una mensola il rapporto tra il carico di rottura
(applicato in C) e la resistenza a trazione semplice della sezione di incastro è pari al
rapporto tra la metà dell’altezza della sezione AB e la lunghezza BC”)
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Figura 1: G. Galilei, il problema della trazione (sinistra) e il problema della mensola (destra).
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AZIONI
MODIFICA
SEZIONI RISPOSTA
STRUTTURA
M, N, T
CAPACITA’ DI DOMANDA DI
PRESTAZIONE PRESTAZIONE
R S
CONFRONTO
NO
S≤R?
PROGETTO
SÌ
ESECUTIVO
OPERA
NO CONFORME ? REALIZZAZIONE
ADEGUAMENTO SÌ
COLLAUDO MONITORAGGIO
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Progettazione (Esecutiva)
Convalidare ipotesi di comportamento e modelli di calcolo
Modelli di calcolo troppo complessi o impossibili
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Prova su modello
Realizzazione di strutture speciali:
• dighe
• ponti di grande luce
• interventi su monumenti
Esecuzione
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Controlli di accettazione
• dei calcestruzzi = Prelievi
• degli acciai da c.a.
Marcatura CE
La Marcatura CE dei prodotti da costruzione è regolata dalla direttiva 89/106 recepita in Italia
con DPR 246/93. Essa ha la funzione di assicurare la libera circolazione dei prodotti da
costruzione al’interno della CE.
Risulta obbligatoria per quei prodotti coperti da una norma europea armonizzata per cui è
terminato il periodo di coesistenza. Le norme armonizzate sono dei documenti normativi,
pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Unione Europea, che specificano le prove e le misure
che devono essere effettuate per ottenere la marcatura.
In totale le norme armonizzate, quelle effettivamente applicabili, sono 349, 21 di queste
riguardano elementi prefabbricati.
Tra le più rilevanti ricordiamo:
- EN1168:2005 Lastre alveolari
- EN13224:2004 Elementi nervati per solai
- EN13225:2004 Elementi strutturali lineari
- EN13693:2004 Elementi speciali per coperture
- EN13747:2005 Lastre per solai
- EN14991:2007 Elementi da fondazione
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Se il prodotto è coperto da una Linea Guida di Benestare Tecnico Europeo (ETAG), oppure
comunque dotato di Benestare Tecnico Europeo, si può procedere alla marcatura CE oppure,
alternativamente si può attuare la procedura di qualificazione nazionale;
Negli altri casi si applica la procedura di qualificazione nazionale (NTC 2008, §11.8.4). Essa
prevede due categorie di produzione:
1. Produzione in serie “dichiarata” per elementi progettati volta per volta su commessa.
Essa prevede il deposito presso il Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei
LL.PP. (L. 1086) di documenti che contengano:
disegni e calcoli
caratteristiche dei materiali
metodi costruttivi
risultati delle prove
I componenti per i quali non sia applicabile la marcatura CE, ai sensi del DPR 246/93 di
recepimento della Direttiva 89/106/CEE, devono essere realizzati attraverso processi
sottoposti ad un sistema di controllo della produzione ed i produttori di componenti occasionali,
in serie dichiarata ed in serie controllata, devono altresì provvedere alla preventiva
qualificazione del sistema di produzione.
Altro
Controlli ultrasuoni e raggi X per le saldature = Qualificazione
Collaudo
Sperimentazione
effettivo comportamento della struttura sotto carico
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Esercizio
Opere “Importanti”
Sorveglianza = Manutenzione (interventi preventivi)
Importanza = Sociale
Economica
Ambientale
Sicurezza
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Segnalazione
Trasmissione a distanza
Alcuni esempi:
Figura 2: Nuova torre televisiva di Guangzhou (a), New Carquinez Bridge (California, USA)
(b), Tsing Ma Bridge (Hong Kong) (c), modello fisico di strallo da ponte (d).
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Consolidamento e Adeguamento
Progetto degli interventi Conoscenza della struttura
Caratteristiche degli elementi
Caratteristiche meccaniche dei materiali
………………
Demolizione
Accertamento del livello di degrado per:
• decisione sulla demolizione
• operazioni di demolizione (modalità e sicurezza)
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
In via secondaria, si può accettare in alcuni casi (con determinate cautele) la cosidetta
sperimentazione “numerica” cioè condotta con l’ausilio di modelli numerici in grado di cogliere
il fenomeno che si vuole descrivere con un modello in genere semplificato. Tale approccio è
oggi molto diffuso nella letteratura scientifica in conseguenza dello sviluppo della elaborazione
automatica e dei metodi di analisi numerica.
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Lezione 2
1/7
Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
100
90
80
Numero di misure
70
60
50
40
30
20
10
0
30
30.1
30.2
30.3
30.4
30.5
30.6
30.7
30.8
30.9
31
31.1
31.2
31.3
31.4
31.5
31.6
31.7
31.8
31.9
32
Diametro filo (mm/100)
La curva che raccorda gli estremi dei segmenti rappresentanti la frequenza delle misure
prende il nome di curva di distribuzione delle frequenze. Nel caso in cui sulle ordinate si
riportino anziché le frequenze, le frequenze relative, ottenute dividendo le frequenze per il
numero totale di misure si ottiene la curva di distribuzione delle frequenze relative.
n 4
0.11
3
0.00
30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40
R (N/mm 2)
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Probabilità di un evento
La probabilità p = p ( E ) dell’evento E ha lo scopo di misurare il grado di fiducia che si ha
nel verificarsi di E . Essa è sempre un numero positivo compreso tra 0 e 1. Se p ( E ) = 0
l’evento E è impossibile. Se p ( E ) = 1 l’evento E è certo.
La probabilità p è espressa dal rapporto tra il numero dei casi N E in cui si verifica l’evento E
NE
ed il numero dei casi N possibili: p ( E ) =
. Per N molto grande p tende a stabilizzarsi,
N
anche se non esiste un limite per p (comunque N sia grande la probabilità di avere
sequenze che non corrispondano a p ( E ) è finita). Comunque, se N è grande la sequenza
che non rispetta p ( E ) deve essere molto grande per modificarne il valore ma questa ha una
probabilità molto piccola di verificarsi.
Definito S come l’evento certo, A e B come eventi mutuamente esclusivi e l’evento
( A + B ) come l’evento in cui, indifferentemente si verifichi A o B , la probabilità di un evento
viene definita come un numero che rispetti tre postulati:
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
NA
p ( A) ≅ ≥ 0 con N A ≥ 0 ;
N
N
p ( S ) = S = 1;
N
N + NB N A NB
p ( A + B) ≅ A = + ≅ p ( A) + p ( B ) .
N N N
La probabilità che eventi indipendenti avvengano contemporaneamente vale:
p ( A ∩ B ) = p ( A) ⋅ p ( B ) (4)
Teorema di Bayes
Un importante risultato della Teoria della Probabilità si deve a Bayes (XVIII secolo). Esso
consente di correggere la probabilità a priori relativa al verificarsi di un evento A, tenendo
conto del verificarsi dell’evento B. Detta p ( A B ) la probabilità dell’evento A condizionato al
verificarsi dell’evento B tale Teorema afferma che:
p ( B A) p ( A)
p ( A B) = (5)
p (B)
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
dando ad xmigliore il significato di essere il valore più di altri rappresentativo (nel senso di più
probabile) del valore vero X . Compito dell’analisi statistica è quello di individuare xmigliore e di
associare ad esso l’intervallo di incertezza ± Χx.
Il valore medio come valore più probabile
Consideriamo ora, con riferimento all’esempio delle misure del filo, il valore medio xm delle
600 misure: xm = ∑ i xi e costruiamone gli scarti ξi = xi − xm (Figura 3). Si nota che gli scarti
N
piccoli sono più numerosi di quelli grandi. Si osserva poi sperimentalmente che se si ripetono
le stesse misurazioni con un altro strumento di cui è nota la maggiore precisione, il fenomeno
si accentua maggiormente e cioè aumentano notevolmente gli scarti piccoli.
Se si costruisce ora il nuovo istogramma e quindi la curva di distribuzione corrispondente,
essa risulterà più alta e più stretta della precedente. Da questo si deduce:
a) il valore medio appare, tra tutti, come il più probabile; infatti usando uno strumento più
preciso i valori si sono maggiormente addensati vicino ad esso;
b) la dispersione dei risultati è tanto minore quanto maggiore è la precisione dello strumento.
100
90
80
Numero di misure
70
60
50
40
30
20
10
0
1.04
0.94
0.84
0.74
0.64
0.54
0.44
0.34
0.24
0.14
0.04
-0.1
-0.2
-0.3
-0.4
-0.5
-0.6
-0.7
-0.8
-0.9
-1
Scarto (mm/100)
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Variabili aleatorie
Variabili discrete
Si definisce variabile aleatoria discreta una grandezza X che può assumere valori
x1 ,x2 ,...,xn al verificarsi di eventi A1 ,A2 ,...,An a ciascuno dei quali è associata una
probabilità p ( A1 ) , p ( A2 ) ,..., p ( An ) .
Variabili continue
Per variabile aleatoria continua si intende una grandezza X che può assumere con continuità
valori nell’intervallo di definizione. Essa è caratterizzata da una funzione densità di probabilità
(PDF) definita come:
P( x ≤ X ≤ x + h)
p ( x ) = lim (7)
h →0 h
in cui P ( x ≤ X ≤ x + h ) è la probabilità che la grandezza X sia compresa nell’intervallo
x ≤ X ≤ x + h.
Si definisce funzione distribuzione di probabilità cumulata (CDF) il valore:
x
P ( X ≤ x ) = ∫−∞ p ( y ) dy (8)
La probabilità che X assuma valori compresi tra a e b vale:
b
P ( a ≤ X ≤ b ) = ∫a p ( x ) dx (9)
Poiché l’evento certo ha probabilità di verificarsi pari a 1 deve essere:
+∞
P ( −∞ ≤ X ≤ +∞ ) = ∫−∞ p ( x ) dx = 1 (10)
Si definisce valore medio (valore più probabile) di una distribuzione il valore:
+∞
xm = ∫−∞ x ⋅ p ( x ) dx (11)
Mentre la varianza vale:
+∞ 2
σ x2 = ∫−∞ ( x − xm ) ⋅ p ( x ) dx (12)
Distribuzione Gaussiana
La distribuzione Gaussiana (Figura 4), anche detta normale, è caratterizzata dalla seguente
PDF:
1 2
/ 2σ 2
e ( M)
− x− X
fX ( x) = (13)
σ 2π
in cui:
X M = valor medio; σ = scarto quadratico medio (deviazione standard)
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
0.45 1.2
0.4
1.0
0.35
0.3 0.8
0.25
F(x)
f(x)
0.6
0.2
0.15 0.4
0.1
0.2
0.05
0 0.0
-5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5
x x
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Lezione 3
Distribuzione log-normale
La distribuzione log-normale (Figura 5) rappresenta la distribuzione di una variabile aleatoria il
cui logaritmo naturale ha distribuzione normale. Poiché tali distribuzioni sono definite soltanto
per valori positivi della variabile aleatoria sono più idonee per rappresentare le resistenze dei
materiali (ad esempio resistenza a compressione di un calcestruzzo o resistenza a trazione
dell’acciaio). In generale, data una variabile aleatoria x :
1 2
−( x − mx ) / 2σ x2
fX ( x) = e con −∞ ≤ x ≤ +∞ , (16)
σ x 2π
e definita una nuova v.a. Y = g ( X ) si ha:
Y = g(X ) ⇒ X = g −1 (Y )
dg −1 ( y ) (17)
fY ( y ) =
dy
(
f X g −1 ( y ) )
Y −a 1 y−a
Esempio 1: Y = a + bX X = fY ( y ) = fX
b b b
−1
X dx dg ( y ) 1
Esempio 2: Y =e X = lnY = =
dy dy y
1 2
− ln y − mx ) / 2σ x2
fY ( y ) = e ( y >0
yσ X 2π
L’ultima relazione ottenuta fornisce l’espressione della funzione densità di probabilità
log-normale.
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
1 1.0
m = 1, s = 1
0.9 0.9
m = 1, s = 0.75
0.8 0.8
m = 1, s = 0.5
0.7 0.7
0.6 0.6
F(y)
f(y)
0.5 0.5
0.4 0.4
0.3 0.3
m = 1, s = 1
0.2 0.2
m = 1, s = 0.75
0.1 0.1
m = 1, s = 0.5
0 0.0
0.0 1.0 2.0 3.0 4.0 5.0 6.0 7.0 8.0 0.0 1.0 2.0 3.0 4.0 5.0 6.0 7.0 8.0
y y
Distribuzione Gamma
1
È una funzione distribuzione di probabilità (Figura 6) definita da due parametri: parametro
λ
di scala; k parametro di forma. Essa è esprimibile come:
k −1
λ ( λ x ) e−λ x k k
fX ( x) = mx = σ x2 = (18)
Γ (k ) λ λ2
+∞
Γ ( k ) = ( k − 1) ! Γ ( k ) = ∫0 e−uu k −1du (19)
1.00 1.2
λ = 2, κ = 2
1.0
0.80 λ = 2, κ = 3
λ = 2, κ = 4 0.8
0.60
F(t)
f(t)
0.6
0.40
0.4
λ = 2, κ = 2
0.20
0.2 λ = 2, κ = 3
λ = 2, κ = 4
0.00 0.0
0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0 0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0
t t
Distribuzione χ 2
Distribuzione della somma di quadrati di ν variabili aleatorie indipendenti normali xi con
media nulla e deviazione standard unitaria:
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
ν
Yν = x12 + K + xν = ∑ xi2
2
(20)
1
ν / 2 −1 − y / 2
fY ( y ) =
( y / 2) e
mYν = ν σ Yν 2 = 2ν (21)
2Γ (ν / 2 )
∞
con Γ (ν / 2 ) = (ν / 2 − 1) ! o Γ (ν / 2 ) = ∫0 tν / 2 −1 ⋅ e−t dt . Si può riconoscere che la
distribuzione Χ2 è un caso particolare della funzione Gamma:
γ (ν / 2; x / 2 )
F ( x,ν ) = (22)
Γ (ν / 2 )
x/ 2
in cui γ (ν / 2; x / 2 ) = ∫ t −ν / 2 −1e−ν / 2 dt è la funzione di Gamma incompleta inferiore.
0
0.5 1.2
ν=2
1.0
0.4 ν=6
ν = 10 0.8
0.3
F(y)
f(y)
0.6
0.2
0.4
ν=2
0.1
0.2 ν=6
ν = 10
0 0.0
0 5 10 15 20 0 5 10 15 20
y y
2
Figura 2: Funzione densità di probabilità e funzione distribuzione χ .
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Distribuzione t o di Student
La distribuzione di Student a ν gradi di libertà (Figura 7) descrive la distribuzione del rapporto
tra una variabile aleatoria normale e la radice quadrata della somma dei quadrati di ν variabili
aleatorie Gaussiane. Essa rappresenta cioè la distribuzione della variabile aleatoria:
Z
T= (23)
2
S /ν
dove Z e S2 sono variabili aleatorie indipendenti che seguono rispettivamente la distribuzione
normale standard e la distribuzione χ 2 con ν gradi di libertà. Si può dimostrare che sussiste
la seguente relazione:
− (ν + 1) / 2
1 Γ ( (ν + 1) / 2 ) t2
fT ( t ) = 1 +
νπ Γ (ν / 2 ) ν
mT = 0 (24)
ν
σT 2 =
ν −2
La distribuzione t somiglia alla distribuzione di Gauss. Al tendere di di ν all’infinito essa
converge alla normale standard.
0.50 1.2
ν=2
1.0
0.40 ν=6
ν = 10 0.8
0.30
F(t)
f(t)
0.6
0.20
0.4
ν=2
0.10
0.2 ν=6
ν = 10
0.00 0.0
0 2 4 6 8 10 0 2 4 6 8 10
t t
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
sostanza sia y una grandezza fisica dipendente da altre grandezze x1 ,x2 ,K ,xM fra loro
indipendenti:
y = f ( x1 ,x2 ,K ,xM ) (25)
Supponiamo di conoscere le misure di xi con i rispettivi errori e vogliamo valutare la misura di
y con il suo errore. Si possono distinguere due casi: legame funzionale f lineare, legame
funzionale f non-lineare.
in cui ym = f ( x1m ,x2m ,K ,xMm ) , m = ( x1m ,x2m ,K ,xMm ) e xim valore medio della i-esima
variabile aleatoria. Le derivate parziali sono calcolate in corrispondenza dei valori medi. Il
problema del calcolo degli errori viene ricondotto al caso lineare. Lo scarto è:
M ∂f
y − ym ≅ ∑ ( xi − xim ) (28)
i =1 ∂xi m
La varianza è pertanto:
2
M ∂f
σ y ≅ ∑ σ i2
2
(29)
i =1 ∂xi m
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
σx
σ XM = . (32)
N
Prima di ricavare la (32) osserviamo che una importante proprietà dello scarto quadratico
medio della media campionaria è il fattore N al denominatore. Infatti il valore dello scarto
quadratico medio σ x non varia sensibilmente incrementando il numero N delle misurazioni.
1
Invece σ x diminuisce, pur se lentamente, con . Ciò consente di valutare a priori la
M
N
possibilità di incrementare N per ottenere una migliore approssimazione: se si desidera
diminuire l’incertezza su X M di un fattore 10 occorre incrementare di 100 il numero delle
misure.
In definitiva la misura può essere espressa con una forma del tipo:
R = X M ± δ ⋅σ XM (33)
in cui δ è un coefficiente che definisce l’ampiezza dell’intervallo di incertezza che sarà legato
alla probabilità che la media sia contenuta nell’intervallo X M − δ ⋅ σ X M , X M + δ ⋅ σ X M .
Riprendiamo la formula della (32) che valuta la deviazione standard della media delle misure e
vediamo di darne la giustificazione. Occorre riprendere il concetto di variabile aleatoria, definito
come insieme probabilizzato di numeri. Detta x la variabile aleatoria e f x ( x ) la sua funzione
densità di probabilità, il valor medio e la varianza valgono:
∞
µ X = E [ X ] = ∫ x ⋅ f x ( x ) ⋅ dx
−∞
(34)
∞
σ X = E ( X − µ x )
2 2 2
= ∫ ( x − µ x ) ⋅ f x ( x ) ⋅ dx
−∞
Sia ora y una variabile aleatoria combinazione lineare di variabili aleatorie statisticamente
indipendenti xi :
y = a1 ⋅ x1 + a2 ⋅ x2 + K + am ⋅ xm (35)
Applicando le (34), calcoliamo il valor medio e la varianza di y . Dalla prima delle (34) segue
che il valor medio y' della combinazione lineare è pari alla combinazione lineare dei valori
medi xi ' :
y' = a1 ⋅ x1 ' + a2 ⋅ x2 ' + K + am ⋅ xm ' (36)
Dalle due relazioni precedenti si possono calcolare gli scarti:
y − y' = a1 ⋅ ( x1 − x1 ' ) + a2 ⋅ ( x2 − x2 ' ) + K + am ⋅ ( xm − xm ' ) (37)
Il quadrato dello scarto è:
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
σ
σ XM = (46)
N
statistica U =
( XM − m) n
può essere sostituita da U =
( XM − m) n
, essendo S lo
σ S
1 2
stimatore della deviazione standard della popolazione ( S = ∑ iN ( xi − X M ) ). Per la
N −1
(46) la U segue la distribuzione normale con media nulla e deviazione standard unitaria
N ( 0,1) . Sono pertanto valide le seguenti relazioni:
( X − m) n ≤ b = F b − F a
P a ≤ M N( ) N( )
σ
( X − m ) n ≤ +k = 1 − α
P − kα / 2 ≤ M α / 2 (47)
σ
σ ⋅ kα / 2 σ ⋅ kα / 2
PXM − ≤ m ≤ XM + = 1−α
n n
in cui kα / 2 è il valore per cui FN ( kα / 2 ) = 1 − α / 2 . La probabilità che le due statistiche
includano m è 1 − α , ovvero α è la probabilità che il primo sia maggiore o che il secondo sia
minore.
Consideriamo un esempio: determinazione della tensione di snervamento di barre di acciaio
supposta normalmente distribuita. Supponendo che lo scarto quadratico medio di un campione
di 27 misure sia risultato pari a 10 N/mm2, si vuole determinare il limite di confidenza superiore
al 95% per m . Utilizzando le tabelle della normale standard si può affermare che:
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( X − m ) 27 ≤ 1.96 = 0.95
P −1.96 ≤ M
10 (48)
⇒ P −3.77 ≤ ( X M − m ) ≤ 3.77 = 0.95
che significa che al 95% di probabilità la media del campione X M differirà di non più di 3.77
N/mm2 dalla media vera m . Cosa si può dire dopo un campionamento per cui è risultato X M
= 435.2 N/mm2?
P −3.77 ≤ ( 435.2 − m ) ≤ 3.77 = 0.95 ⇒ P [ 431.43 ≤ m ≤ 438.97 ] = 0.95 (49)
La probabilità che la media vera sia compresa tra 431.43 e 438.97 è del 95%.
Osservazione: l’affermazione non è corretta dal punto strettamente probabilistico:
la media vera: non è una variabile aleatoria, ma una costante;
non può variare da esperimento ad esperimento;
è interna all’intervallo o non lo è.
L’intervallo, che definisce comunque una misura dell’incertezza associata con la incompleta
definizione del parametro, viene definito Intervallo di confidenza. Il coefficiente di confidenza è
il numero che esprime l’incertezza. Nell’esempio del valor medio dello snervamento l’intervallo
431.43 – 438.97 è l’intervallo di confidenza al 95%.
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Lezione 4
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1 n 2 n
2
S = ∑ ( xi − m ) − ( X M − m )2 ⇒
n − 1 i =1 n −1
2 2
(51)
( n − 1) S 2
= ∑ i
x − m XM − m
n
2 −
σ i =1 σ σ 1/ n
Analizziamo ora la (51). Il primo termine a destra dell’uguale rappresenta la somma dei
quadrati di n variabili aleatorie indipendenti normali N ( 0,1) che corrisponde ad una
distribuzione χ 2 con n gradi di libertà. Il secondo termine rappresenta invece il quadrato di
una variabile aleatoria indipendente normale N ( 0,1) che corrisponde ad una distribuzione
χ 2 con 1 grado di libertà. Ne consegue che ( n − 1) S 2 / σ 2 data dalla (51) ha distribuzione
χ 2 con n − 1 gradi di libertà (poiché al primo termine a destra dell’uguale viene sottratto il
secondo termine). Si può pertanto scrivere l’intervallo di confidenza come:
( n − 1) S 2 2
P 2
≥ χα ,n −1 = 1 − α (52)
σ
( )
in cui χα2 ,n −1 è il valore tale che CDF χα2 ,n −1 = α . La (52) si può esprimere sottoforma di
campionaria, la statistica U =
( XM − m) n
si sostituisce con la T definita come:
σ
T=
( XM
− m) n
(55)
S
Si noti che T dato da (55) può essere espresso come:
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T=
XM − m
=
( X M − m) σ 2 n =
Z
(56)
2
σ n −1 S 2
( n − 1) S 2 1 V
n n −1 σ 2 σ 2
( n − 1) ( n − 1)
in cui Z e V sono variabili aleatorie indipendenti aventi rispettivamente distribuzione normale
N ( 0,1) e distribuzione χ 2 con n-1 gradi di libertà. Pertanto, sulla base della (23) la T ha
distribuzione di Student con n − 1 gradi di libertà. In questo caso l’intervallo di confidenza vale
pertanto:
( X − m ) n ≤ +t
P −tα / 2,n −1 ≤ M α / 2,n −1 = 1 − α (57)
S
dove tα / 2,n −1 è il valore per cui 1 − FT ( tα / 2,n −1 ) = α / 2 . Dalla (57) si ricava l’intervallo di
confidenza della media:
S ⋅ tα / 2,n −1 S ⋅ tα / 2,n −1
PXM − ≤ m ≤ XM + = 1−α (58)
n n
Applichiamo anche la (58) all’esempio della tensione di snervamento:
n = 27 , X M = 432.5 N / mm 2 , S = 10 N / mm 2 , α = 0.05 . Utilizzando la funzione di
Student tabellata si ottiene t0.025,26 = 2.056 , da cui l’intervallo di confidenza con α = 0.05 è
pari a:
10 ⋅ t0.025,26
432.5 ± = 432.5 ± 3.96 = [ 431.2,439.2 ] (59)
27
Tale risultato significa che la probabilità che la media vera si trovi nell’intervallo
2.056
[431.2,439.2] è del 95%. Tale intervallo è = 1.05 volte più ampio che non nel caso
1.963
di varianza nota (utilizzando cioè la distribuzione Gaussiana per calcolare l’intervallo di
confidenza).Tale fattore diventa:
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quella di richiedere che la media vera si discosti poco dalla media campionaria con una buona
probabilità. Si consideri ad esempio la determinazione sperimentale della resistenza del
calcestruzzo. Si vogliano raggiungere i seguenti obiettivi:
1) coefficiente di confidenza di non superamento del 90%:
S ⋅ tα ,n −1
PXM − ≤ m = 1 − α = 0.90 (61)
n
2) ampiezza massima dell’intervallo pari al 10% del valor medio.
S ⋅ t0.10,n −1
≅ 0.10 X M (62)
n
Si assume dall’esperienza un coefficiente di variazione della resistenza pari al 15%.
t 0.10 X M 0.10 X M
S ≅ 0.15 X M ⇒ 0.10,n −1 = = = 0.67 (63)
n S 0.15 X M
t0.10,n −11.53
Per n = 5 si ha t0.10,4 = 1.53 ⇒ = = 0.68 . In conclusione si può quindi usare
n 5
un campione con n = 5 . Le stesse relazioni adottate in precedenza portano a concludere che,
utilizzando un campione con n = 5 , determinando (ad esempio) X M = 40 e S = 7 , la media
vera è maggiore, con il 90% di confidenza, di:
7 ⋅ 1.53
40 − = 40 − 4.79 = 35.2N / mm 2
5
Si riporta nella pagina seguente per comodità la tabella della funzione di ripartizione (ossia la
CDF) normale standard.
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La seguente tabella illustra alcuni valori critici più comunemente utilizzati per la distribuzione
X2. In corrispondenza dei valori n sulla colonna e α sulla riga si trova il valore critico zα per il
quale una variabile aleatoria X2 di legge χ2(n) verifica P ( X 2 < zα ) = α .
n\α 0.001 0.002 0.005 0.01 0.02 0.05 0.1 0.2 0.5 0.75 0.8 0.9 0.95 0.98 0.99 0.995 0.998 0.999
1 0.000 0.000 0.000 0.000 0.001 0.004 0.016 0.064 0.455 1.323 1.642 2.706 3.841 5.412 6.635 7.879 9.550 10.828
2 0.002 0.004 0.010 0.020 0.040 0.103 0.211 0.446 1.386 2.773 3.219 4.605 5.991 7.824 9.210 10.597 12.429 13.816
3 0.024 0.039 0.072 0.115 0.185 0.352 0.584 1.005 2.366 4.108 4.642 6.251 7.815 9.837 11.345 12.838 14.796 16.266
4 0.091 0.129 0.207 0.297 0.429 0.711 1.064 1.649 3.357 5.385 5.989 7.779 9.488 11.668 13.277 14.860 16.924 18.467
5 0.210 0.280 0.412 0.554 0.752 1.145 1.610 2.343 4.351 6.626 7.289 9.236 11.070 13.388 15.086 16.750 18.907 20.515
6 0.381 0.486 0.676 0.872 1.134 1.635 2.204 3.070 5.348 7.841 8.558 10.645 12.592 15.033 16.812 18.548 20.791 22.458
7 0.598 0.741 0.989 1.239 1.564 2.167 2.833 3.822 6.346 9.037 9.803 12.017 14.067 16.622 18.475 20.278 22.601 24.322
8 0.857 1.038 1.344 1.646 2.032 2.733 3.490 4.594 7.344 10.219 11.030 13.362 15.507 18.168 20.090 21.955 24.352 26.124
9 1.152 1.370 1.735 2.088 2.532 3.325 4.168 5.380 8.343 11.389 12.242 14.684 16.919 19.679 21.666 23.589 26.056 27.877
10 1.479 1.734 2.156 2.558 3.059 3.940 4.865 6.179 9.342 12.549 13.442 15.987 18.307 21.161 23.209 25.188 27.722 29.588
11 1.834 2.126 2.603 3.053 3.609 4.575 5.578 6.989 10.341 13.701 14.631 17.275 19.675 22.618 24.725 26.757 29.354 31.264
12 2.214 2.543 3.074 3.571 4.178 5.226 6.304 7.807 11.340 14.845 15.812 18.549 21.026 24.054 26.217 28.300 30.957 32.909
13 2.617 2.982 3.565 4.107 4.765 5.892 7.042 8.634 12.340 15.984 16.985 19.812 22.362 25.472 27.688 29.819 32.535 34.528
14 3.041 3.440 4.075 4.660 5.368 6.571 7.790 9.467 13.339 17.117 18.151 21.064 23.685 26.873 29.141 31.319 34.091 36.123
15 3.483 3.916 4.601 5.229 5.985 7.261 8.547 10.307 14.339 18.245 19.311 22.307 24.996 28.259 30.578 32.801 35.628 37.697
16 3.942 4.408 5.142 5.812 6.614 7.962 9.312 11.152 15.338 19.369 20.465 23.542 26.296 29.633 32.000 34.267 37.146 39.252
17 4.416 4.915 5.697 6.408 7.255 8.672 10.085 12.002 16.338 20.489 21.615 24.769 27.587 30.995 33.409 35.718 38.648 40.790
18 4.905 5.436 6.265 7.015 7.906 9.390 10.865 12.857 17.338 21.605 22.760 25.989 28.869 32.346 34.805 37.156 40.136 42.312
19 5.407 5.969 6.844 7.633 8.567 10.117 11.651 13.716 18.338 22.718 23.900 27.204 30.144 33.687 36.191 38.582 41.610 43.820
20 5.921 6.514 7.434 8.260 9.237 10.851 12.443 14.578 19.337 23.828 25.038 28.412 31.410 35.020 37.566 39.997 43.072 45.315
21 6.447 7.070 8.034 8.897 9.915 11.591 13.240 15.445 20.337 24.935 26.171 29.615 32.671 36.343 38.932 41.401 44.522 46.797
22 6.983 7.636 8.643 9.542 10.600 12.338 14.041 16.314 21.337 26.039 27.301 30.813 33.924 37.659 40.289 42.796 45.962 48.268
23 7.529 8.212 9.260 10.196 11.293 13.091 14.848 17.187 22.337 27.141 28.429 32.007 35.172 38.968 41.638 44.181 47.391 49.728
24 8.085 8.796 9.886 10.856 11.992 13.848 15.659 18.062 23.337 28.241 29.553 33.196 36.415 40.270 42.980 45.559 48.812 51.179
25 8.649 9.389 10.520 11.524 12.697 14.611 16.473 18.940 24.337 29.339 30.675 34.382 37.652 41.566 44.314 46.928 50.223 52.620
26 9.222 9.989 11.160 12.198 13.409 15.379 17.292 19.820 25.336 30.435 31.795 35.563 38.885 42.856 45.642 48.290 51.627 54.052
27 9.803 10.597 11.808 12.879 14.125 16.151 18.114 20.703 26.336 31.528 32.912 36.741 40.113 44.140 46.963 49.645 53.023 55.476
28 10.391 11.212 12.461 13.565 14.847 16.928 18.939 21.588 27.336 32.620 34.027 37.916 41.337 45.419 48.278 50.993 54.411 56.892
29 10.986 11.833 13.121 14.256 15.574 17.708 19.768 22.475 28.336 33.711 35.139 39.087 42.557 46.693 49.588 52.336 55.792 58.301
30 11.588 12.461 13.787 14.953 16.306 18.493 20.599 23.364 29.336 34.800 36.250 40.256 43.773 47.962 50.892 53.672 57.167 59.703
35 14.688 15.686 17.192 18.509 20.027 22.465 24.797 27.836 34.336 40.223 41.778 46.059 49.802 54.244 57.342 60.275 63.955 66.619
40 17.916 19.032 20.707 22.164 23.838 26.509 29.051 32.345 39.335 45.616 47.269 51.805 55.758 60.436 63.691 66.766 70.618 73.402
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Principio di Chauvenet
È un criterio per scartare risultati anomali. Esso consiste nel determinare un valore di scarto
S p , tale che tutte le misurazioni che hanno scostamento maggiore o uguale ad esso vengano
scartate. Secondo il principio di Chauvenet, S p deve essere associato ad una probabilità di
superamento, di almeno un valore del campione, pari al 50% (in altre parole, la probabilità che
almeno un valore abbia uno scarto Si maggiore o uguale di S p è pari a 0.5).
Nel caso di un campione di n valori, posto P ( Si ≤ S p ) = P , la probabilità che almeno uno dei
valori sia maggiore di S p vale n (1 − P ) . Si ottiene pertanto:
0.5
n (1 − P ) = 0.5 ⇒ P = 1 − (64)
n
Vediamo come si applica questo principio nella pratica. Si consideri un carotaggio su
calcestruzzo. Posto n = 35 , si ottiene:
0.5
P = 1− = 0.9857 (65)
35
Ipotizzando che il campione abbia una distribuzione Gaussiana, al valore di probabilità di
superamento riportato in (65) corrisponde una variabile normale standard pari a:
P = 0.9857 ⇒ z = 2.19 ( Gauss ) (66)
cioè:
Sp
z= = 2.19 (67)
σ
Se ad esempio lo scarto standard calcolato è pari a 2.03N / mm 2 , in base alla (67) si
eliminano i valori con scarto maggiore di 2.19 ⋅ 2.03 = 4.45N / mm 2 . Cioè, posto che la
media sia pari a 34.08N / mm 2 , si eliminano i valori esterni all’intervallo
34.08 − 4.45 = 29.6 N / mm 2 ÷ 38.5N / mm 2 = 34.08 + 4.45 .
Test di significatività
Il test di significatività serve a valutare la significatività di dati statistici aventi una dispersione.
Si tratta di un “test di ipotesi”. Esso consiste nel formulare una ipotesi sulla distribuzione del
campione (ipotesi nulla, H 0 ) e nell’assegnare delle regole affinché tale ipotesi possa essere
convalidata oppure no. Tipicamente l’ipotesi nulla rappresenta una previsione progettuale da
verificare poi a posteriori (controlli di accettazione). Si può ad esempio definire l’ipotesi nulla
come:
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Ipotesi nulla ( H 0 ): la media (della popolazione) è m . La regola per accettare l’ipotesi nulla è
che la media del campione sia compresa nell’intervallo m ± c .
Ipotesi alternativa ( H 1 ): sono le ipotesi che differiscono dall’ipotesi nulla. Ipotesi alternativa: la
media non è m .
Il metodo del test di ipotesi fornisce il criterio per definire c (ampiezza dell’intervallo). c deve
essere tale che ci sia soltanto una definita (piccola) probabilità α che la media del campione
generico di N provini cada al di fuori di m ± c , data per vera l’ipotesi nulla.
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c = 4.42 N mm 2 . A questo punto si accetta l’ipotesi nulla poiché il valore medio del
campione è compreso in 40 ± 4.42 ( 35.58 ÷ 44.52 ) . α viene detto livello di significatività
del test ed assume usualmente valori pari a 1, 5 e 10%.
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7) eseguire il test
8) se la statistica cade nel campo di accettazione: accettare H 0
9) se la statistica cade fuori dal campo di accettazione: si rifiuta l’ipotesi H 0 ad un livello
di significatività α .
supera il criterio di avere un χ 2 minore di quello che corrisponde ad una probabilità del 5%.
Le differenze tra distribuzione ipotizzata e dati osservati non è dunque significativa.
Si noti che di fatto il test del chi quadro serve a stabilire se la discrepanza tra osservazioni e
distribuzione teorica (cioè il valore D1 > 0 ) sia dovuta al caso (ipotesi H0) o all’avere scelto una
distribuzione teorica sbagliata (ipotesi H1).
Il χ 2 è dunque un numero che dovrebbe dire quanto i dati misurati siano vicini alla
distribuzione teorica assunta (più è piccolo tale numero e migliore è l’accordo con la
distribuzione teorica). Una limitazione di questo test è che variando gli intervalli l’ipotesi
potrebbe essere accettata o respinta.
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2
media 34.08 Probabilità GdL χ
dev. st. 2.03 0.05 8 15.50731
0.1 8 13.36157
0.2 8 11.03009
0.3 8 9.524458
0.4 8 8.350525
( )
di distribuzione cumulativa assunta e F * X ( i ) =
i
n
è l’istogramma cumulativo, essendo n
la dimensione del campione. Il test consiste nel verificare che D2 sia inferiore ad un valore
critico c dipendente solo da n (si veda la tabella riportata di seguito).
In sintesi il test di Kolmogorov-Smirnov si compone dei seguenti passi:
- Ipotesi nulla H 0 : X ha la distribuzione definita (Gaussiana, ad esempio)
- Ipotesi alternativa: X ha una distribuzione diversa da quella definita.
- Regola di accettazione: accettare H 0 se D2 ≤ c .
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Lezione 5
Concetto di misura
Il concetto di misura deriva dalla possibilità di effettuare il rapporto tra due grandezze
omogenee. Ad esempio, date due grandezze omogenee A e B , esiste sempre un numero
reale a (razionale o irrazionale) che si ottiene dal rapporto tra A e B :
A
=a (1)
B
Il valore numerico a si chiama misura di A rispetto a B, che è assunta come grandezza di
riferimento. B è cioè l’unità di misura U o campione:
U ≡B (2)
Le misure rispetto ad U possono essere trattate come numeri reali e pertanto tutte le
operazioni possibili su questi sono lecite anche per le grandezze omogenee che esse
rappresentano. Per esempio consideriamo due grandezze omogenee A e B e la loro misura a
e b rispetto ad U:
A B
=a e =b (3)
U U
Per esse è possibile scrivere che:
A B
A + B = U + = U (a + b) (4)
U U
Questa corrispondenza tra grandezze e numeri costituisce la base, il fondamento, di tutte le
scienze fisiche.
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A B A BUU ABU U
R′ = = = = R ⋅τ 2 (7)
U′ U′ U′ U′ U U U U U′U′
che risulta moltiplicata per τ 2 . Se:
R = 1 ⋅ 2 = 2 m2
rispetto ad U e poniamo τ = 100 , cioè misuriamo rispetto ad una unità di misura 100 volte
più piccola (cm), si ha:
R' = R ⋅ τ 2 = 2 ⋅ 100 2 = 20000 cm 2
Il numero che esprime la misura è 1002 volte più grande. Questo ragionamento si può
sintetizzare con la scrittura simbolica:
[ R ] = L2 (8)
che prende il nome di equazione dimensionale. Essa esprime:
a) che R è una grandezza derivata se L (lunghezza) è la grandezza fondamentale;
b) che il valore numerico dell’area viene fornito dal prodotto di due lunghezze;
c) che se si cambia l’unità di misura delle lunghezze da L a L′ il valore della misura di
R diviene R′ , che si ottiene moltiplicando per τ 2 il valore della misura di R:
2
2 L
R′ = R ⋅ τ = R ⋅ (9)
L′
Nella equazione dimensionale l’esponente delle grandezze fondamentali, che stanno a destra,
viene chiamato dimensione e può essere maggiore, minore o uguale a 0. Nell’esempio la
dimensione è 2 e si dice che la grandezza derivata area ha dimensione 2 rispetto alla
grandezza fondamentale lunghezza. Nel caso generale di una grandezza derivata da una sola
fondamentale si ha:
[G ] = U α (10)
Se α è nullo vuol dire che le due grandezze sono indipendenti e pertanto non dipendono dalle
unità di misura. Per esempio gli angoli costituiscono una classe di dimensione nulla rispetto
alle lunghezze. Siano ad esempio, con riferimento alla Fig. 1:
ˆ
φ = AOU unità di misura
ˆ
ψ = AOB angolo da misurare
ˆ
ψ AOB arco AB
χ= = =
ˆ
φ AOU arco AU
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B
U
ψ A
φ
O
Fig. 1: Definizione di misura angolare.
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dv
F = m⋅a = m⋅ (15)
dt
L’equazione dimensionale corrispondente si scrive:
[ F ] = [ M ][ L ] T −2 (16)
I fattori di riduzione sono 3: τ M per la massa, τ L per la lunghezza e τ T per il tempo, uno per
ciascuna grandezza. Il fattore di riduzione complessivo vale:
τ = τ M ⋅ τ L ⋅ τ T−2 (17)
In modo generale una qualunque grandezza U derivata da altre assunte come fondamentali
U 1 , U 2 , U 3 rispetto alle quali ha dimensioni α1 , α 2 , α 3 è esprimibile mediante la:
[U ] = U1α1 U 2α2 U 3α3 (18)
Essa permette di valutare come cambia la misura della grandezza derivata quando vengono
cambiate le unità di misura delle grandezze fondamentali.
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Il più generale strumento di misura può essere rappresentato mediante uno schema a blocchi:
I
E U
g u
in cui E rappresenta l’entrata (o porta di entrata) dello strumento, U l’uscita (o porta di uscita)
ed I l’indicatore di zero.
Quando si effettua la misura di una proprietà di un sistema fisico, il sistema va posto “in
contatto” con l’apparecchio attraverso la porta di entrata E. Occorre cioè inserire lo strumento.
Questo contatto produce all’uscita U un effetto che è in relazione biunivoca con la grandezza g
in misura. g agisce sull’entrata E o entra nello strumento e produce un’uscita u rilevabile alla
porta di uscita U.
Il momento adatto per fare la misura, cioè per leggere u, è segnato dall’indicatore di zero I.
Può sembrare a prima vista che molti strumenti di misura non siano riconducibili a questo
schema. Per esempio ci si può chiedere dove si trovino l’entrata, l’uscita e l’indicatore di zero
quando si fa la misura della lunghezza di un’asta con un regolo graduato. Per riconoscere
questi elementi occorre fare qualche piccolo artificio.
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Sia AB l’asta di cui si vuol misurare la lunghezza l (la grandezza g in misura), Fig. 2. L’asta
viene poggiata su un supporto E (l’entrata dello strumento). Un cursore I (l’indicatore di zero)
segnala il momento adatto (quando è in contatto con l’estremo B dell’asta) per effettuare la
lettura sulla scala graduata U (l’uscita dello strumento).
Vediamo ora un esempio in cui è immediato riconoscere gli elementi dello schema a blocchi
generale: un misuratore di resistenza elettrica a ponte di Wheatstone, Fig. 3.
Quando nel tratto AB non passa corrente (condizione che si realizza per un opportuno valore
della resistenza variabile Rv) è soddisfatta la relazione Rx = Rv. I è il galvanometro (indicatore
di zero), E è l’entrata ed U l’uscita. Un altro esempio di strumento che può funzionare da
indicatore di zero è la livella a bolla.
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I primi sono quelli che effettuano la misura della grandezza senza trasformarla in altra di
natura fisica diversa, i secondi sono quelli che effettuano la misura della grandezza previa
trasformazione in un’altra.
Un’altra classificazione fondamentale riguarda il tipo di presentazione del dato (della lettura).
In tal senso, gli strumenti si dividono in due categorie:
a) strumenti analogici;
b) strumenti numerici (o digitali).
A loro volta gli strumenti analogici si suddividono in:
a.1 strumenti indicatori a lettura diretta;
a.2 strumenti di zero;
a.3 strumenti registratori.
Si chiamano analogici gli strumenti che forniscono la misura a mezzo di un indice che si
muove su una scala graduata assumendo con continuità tutte le possibili posizioni entro un
determinato campo (detto campo di misura). La misura si ottiene apprezzando la sua
posizione relativa rispetto ad un supporto fisso, la scala, sulla quale è riportata una
graduazione. Esempio di strumento analogico è un orologio che indichi l’ora per mezzo di
indici (lancette) che si muovono con continuità su di un quadrante graduato.
Gli strumenti analogici, per il fatto che possiedono un indice che deflette rispetto ad una
posizione iniziale di riposo, si chiamano anche strumenti a deflessione.
Per contro, gli strumenti numerici o digitali forniscono la misura espressa direttamente in
numeri. Essi pertanto forniscono un’indicazione di tipo discreto che procede per incrementi
finiti.
Tornando agli strumenti analogici, in quelli a lettura diretta la lettura della misura viene
effettuata leggendo sulla scala il numero indicato dall’indice. La scala degli strumenti indicatori
a lettura diretta è graduata direttamente in termini di unità della grandezza di misura.
Gli strumenti analogici di zero possiedono anche essi un indice che si muove su di una scala
ma quest’ultima non è in termini della grandezza da misurare. La grandezza è di tipo “muto”
con uno zero centrale. Essi forniscono la misura quando è zero la differenza con la grandezza
incognita. Lo strumento di zero per poter effettuare la misura ha necessità di un campione.
Esempio di strumento di zero è la bilancia a piatti.
Gli strumenti registratori, infine, sono strumenti che forniscono l’indicazione della variazione di
una grandezza in funzione di un’altra y = f(x) e ne tracciano l’andamento. In questo caso
l’indice dello strumento ha un suo estremo scrivente per cui esso può lasciare una traccia, su
di una striscia di carta, per esempio.
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Catena di misura
Qualunque sia la tipologia di strumento adottato, il procedimento logico che lo strumento
segue per fornire la misura di una grandezza fisica è sempre lo stesso:
1. rilevazione della grandezza di interesse;
2. trattamento dell’informazione oggetto del rilevamento;
3. indicazione del risultato delle operazioni precedenti.
Ciascun luogo ove vengono attuate le operazioni precedenti viene chiamato “stadio”, per cui si
può dire che ogni strumento per attuare una misurazione elabora l’informazione costituita dalla
grandezza da misurare in tre stadi che, nel loro insieme, costituiscono la catena di misura.
Ciascuno stadio, a seconda della complessità dello strumento, può essere composto da due o
più sottostadi, per cui la catena di misura corrispondente a ciascun strumento può presentarsi
in forma assai complessa.
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- Infine il terzo stadio è quello ove il segnale amplificato dal secondo stadio viene
nuovamente tradotto per essere poi presentato. Esso viene chiamato comunemente
strumento terminale. Come abbiamo già detto è fornito di un indice che si muove su di
una scala, oppure è fornito di un indicatore numerico o di un indice scrivente su carta,
ecc.
1. Campo di misura
Il campo di misura di uno strumento è definito dall’intervallo tra i valori massimo e minimo della
grandezza da esso rilevabile. Essa è la specifica principale perché fornisce informazioni
sull’idoneità dello strumento a compiere la misurazione di una detta grandezza. Tutte le altre
qualità metrologiche vengono riferite al campo di misura; infatti esse possono essere ritenute
valide solo per i valori della grandezza interni a detto campo. Il campo di misura può anche
essere inferiore al campo della graduazione.
La legge di distribuzione spaziale delle divisioni che costituiscono la scala dello strumento
(graduazione della scala) rappresenta la legge fisica sulla quale è fondato il principio di
funzionamento dello strumento.
La graduazione può essere di tipo lineare (le divisioni della scala sono a passo costante), di
tipo quadratico (le distanze tra due divisioni successive variano secondo una legge di 2°
grado), di tipo logaritmico, ecc.. A tal proposito occorre però osservare che l’occhio umano
difficilmente compie l’operazione di interpolazione nell’intervallo tra due tratti consecutivi se la
scala non è lineare.
La curva di taratura è invece un fatto sperimentale. Essa si ottiene avendo a disposizione i
campioni delle grandezze da porre in ingresso e prendendo nota delle indicazioni in uscita.
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Quando non si dispone di un campione ma di uno strumento del quale è nota la precisione, si
adopera esso come campione e si prende nota degli scostamenti tra questo e lo strumento
della serie da tarare.
L’andamento di questi scostamenti è la curva di taratura (vedi Fig. 4). In sostanza la curva di
graduazione è legata ad un metodo di misura, la curva di taratura ad un procedimento di
misura che descrive la realizzazione (imperfetta) del metodo di misura.
2. Sensibilità
La sensibilità è la caratteristica metrologica che fornisce informazioni sull’attitudine dello
strumento a rilevare piccole variazioni della grandezza entrante. È definita dal rapporto tra la
variazione dell’indicazione dello strumento quando la grandezza fisica subisce un incremento
e l’incremento stesso della grandezza: è la derivata della curva di graduazione.
Se la curva di graduazione è una retta, la sensibilità è costante lungo tutta la scala. Se la
grandezza è quadratica:
du
u = Kx 2 ⇒ S= = 2Kx (19)
dx
la sensibilità è proporzionale alla grandezza entrante. Per gli strumenti a scala logaritmica:
du K
u = K ⋅ log ( x ) ⇒ S= = (20)
dx x
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Lezione 6
3. Precisione
Si definisce precisione una qualità globale dello strumento che esprime l’attitudine a fornire il
valore vero della grandezza misurata. La valutazione della precisione presuppone quindi la
conoscenza del valore vero della grandezza oggetto della misurazione; ciò rappresenta una
difficoltà.
Ricordiamo che si definisce errore la differenza algebrica tra il valore misurato ed il valore vero
della grandezza. Quando abbiamo esaminato la teoria statistica degli errori casuali abbiamo
visto che la misura di una grandezza può essere espressa come somma di due contributi:
- il valore più probabile
- l’incertezza sulla misura (con segno + o -).
Pertanto il termine incertezza appare più conveniente di quello di errore, anche perché è
impossibile conoscere il valore vero della misura. In tal senso la misurazione è un
procedimento conoscitivo che tende ad avvicinarsi il più possibile alla realtà, al fine di ridurre
l’incertezza. Conviene a questo punto analizzare le due categorie di errori commessi
nell’effettuare una misura: gli errori sistematici e gli errori casuali.
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L’errore sistematico è per sua natura valutabile in modo preciso e la sua conoscenza
permette il passaggio dalla misura bruta a quella corretta, come detto, tramite la curva
di taratura. Una volta effettuata la correzione dell’errore sistematico, la misura rimane
ancora affetta da un errore residuo somma di tutti gli errori casuali.
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Esempio:
Strumento di classe 1, fondo scala 100 kg ⇒ errore = 0.01 x 100 = 1 kg
A parità di classe di precisione, risulta conveniente impiegare gli strumenti in prossimità
del fondo scala. Analizziamo a questo punto nel dettaglio le diverse tipologie di errori
casuali.
L’entità dell’errore dovuto a tutte o parte delle prime otto cause dà luogo all’errore di
precisione. La precisione dello strumento viene fornita a mezzo della valutazione di
detto errore cui, nel caso di misure dinamiche, va sommato il contributo dell’errore
dinamico. Si noti che gli errori dinamici rappresentano le ultime due caratteristiche
metrologiche che ci restano da analizzare. Vediamo però prima più in dettaglio gli errori
di tipo statico.
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necessaria tale tipo di lettura si realizzano indici a coltello e specchi posti sul piano
della scala.
c) Incertezza di interpolazione. Si ammette generalmente che l’incertezza dovuta
all’interpolazione, su scala lineare, sia dell’ordine del ±10% della distanza tra due
divisioni successive. Se la scala è non lineare l’errore può aumentare
considerevolmente. Artifici che si usano per limitare tale errore sono sistemi di
misura con nonii, viti micrometriche, ecc.
d) Rumore di fondo. Tutte quelle cause che impongono movimenti all’indice
sovrapponendosi allo spostamento prodotto dalla grandezza in misura. Nei casi più
semplici, cioè quando si tratta di apprezzare il valor medio del segnale osservato o
registrato, si ammette pari a ±10% dell’ampiezza di oscillazione.
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yB
2errmobilità
∆x
grandezza G
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L’errore di isteresi si valuta facendo percorrere un ciclo completo allo strumento e cioè
facendo variare la grandezza in esame per valori crescenti e quindi decrescenti,
soffermandosi sui valori estremi della scala. L’errore di isteresi è pari alla metà della
differenza tra due misure della stessa grandezza, misurata una volta per valori
crescenti ed un’altra volta per valori decrescenti dell’indice (Fig. 5). Nel caso di
strumenti meccanici tale errore è in genere trascurabile (sono presenti piccole
sollecitazioni).
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ε sist = y − yb
+ α2 + β2
2 x errore di giustezza
2 2
− α +β
Nel determinare la curva di taratura si commettono due errori: errore nella grandezza di
riferimento (il campione non è esatto) e l’errore nel tracciamento della curva (Fig. 6).
Pertanto la curva di taratura si trova in realtà all’interno di una fascia di incertezza (Fig.
7). L’errore di giustezza è la semiampiezza della fascia di errore dello strumento della
serie.
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P = k2 ( x1 − x2 ) P P
⇒ x2 = ⇒ P = k2 x1 − ⇒
P = k D x2 kD kD
P
P + k2 = k2 x1
kD
k P kk
P 1 + 2 = k2 x1 ⇒ keq = = 2 D
kD x1 k2 + k D
Quindi si ha che:
f 2' kk 1 kk k2 + k D k2 k D
= 2 D = 2 D = (4)
k k
F k2 + k D k + 2 D k2 + k D k1 ( k2 + k D ) + k2 k D k1k2 + k1k D + k2 k D
1
k2 + k D
Es.: k1 = 1000 N / m ; k2 = 3000 N / m ; k D = 50000 N / m . Senza il dinamometro si ha:
F F
f 2 = k2 x = k 2 = 3000 = 0.75 F
k1 + k2 1000 + 3000
Con il dinamometro avremmo:
k2 k D 3000 ⋅ 50000
f 2' = F= F = 0.739 F
k1k2 + k1k D + k2 k D 1000 ⋅ 3000 + 1000 ⋅ 50000 + 3000 ⋅ 50000
0.739 − 0.75
commettendo un errore del ⋅100 = −1.47% .
0.75
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63,2% della misura della grandezza. Tale numero non è casuale; lo vedremo
meglio nel seguito quando parleremo di dinamica degli strumenti.
o Nel caso di comportamento oscillatorio (Fig. 8) si definisce tempo di risposta il
tempo necessario affinché l’ampiezza Y dell’oscillazione si riduca ad un valore
inferiore ad un prefissato ε :
x1 − ε ≤ Y ≤ x1 + ε (5)
Il tempo di risposta è ts = t1 − t0 . Si nota l’esistenza di una sovraelongazione:
ymax − x1
η= . Gli strumenti lineari hanno una sovraelongazione indipendente
x1 − x0
dall’ampiezza del gradino x1 − x0 .
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Lezione 7
con xtr ( t ) soluzione dell’omogenea (cioè la risposta dello strumento in assenza di ingresso e
xtr ( t ) decresce nel tempo e può considerarsi nulla dopo un transitorio iniziale, la x p ( t )
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dx dy b0
a0 x = b0 y , =0, =0 ⇒ x= y (3)
dt dt a0
Gli strumenti di ordine zero sono dunque strumenti ideali in quanto presentano un ritardo nullo:
il segnale di uscita segue, scalato, il segnale di ingresso.
Un esempio di strumento di ordine zero è il potenziometro (Fig. 1). Tale strumento consente di
misurare indirettamente la distanza yi attraverso la misura della differenza di potenziale e .
Vediamo di determinare la relazione che lega ingresso ( yi ) e uscita ( e ). Detta I l’intensità di
corrente che circola nel circuito si ha:
ρ yi E ρy Ri E yi E E
e = Ri I , Ri = ,I= , R= ⇒ e= = = yi (4)
S R S R y y
in cui ρ rappresenta la resistività del materiale di cui è composta la resistenza R ed S è la sua
sezione trasversale. La sensibilità dello strumento è pertanto:
∆U ∆e E
= = [ volt / m ] (5)
∆ E ∆ yi y
Fig. 1: Potenziometro.
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1.2
k = 0.1 ; c = 0.1
1 k = 0.1 ; c = 0.5
k = 0.2 ; c = 0.1
0.8
x/x0
0.6
0.4
0.2
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
t
La soluzione della (7) può essere ottenuta direttamente integrando primo e secondo membro
(equazione a variabili separabili) come segue:
dx k dx k dx k k
=− x⇒ = − dt ⇒ ∫ = − ∫ dt ⇒ ln ( x ) = − t + δ
dt c x c x c c
k (12)
⇒ x = x0 exp − t
c
in cui si è fatto uso della condizione iniziale per determinare la costante arbitraria δ . Esempi di
grafici della (12) per x0 = 1 e per diversi valori di k e c sono riportati in Fig. 2. Si nota un tempo
di ritorno (cioè un ritardo pari alla costante di tempo) crescente al crescere di c.
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1.2
0.8
f0/k
0.6
0.4
k=1;c=1
0.2 k=1;c=5
k = 1 ; c = 0.5
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
t
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k f ⋅0 f ⋅ c f ⋅c
xtr ( 0 ) + x p ( 0 ) = X exp − 0 + − 2 =0⇒ X = 2 (19)
c k k k
Per cui la soluzione dell’equazione del moto è la seguente:
f ⋅t f ⋅c k f ⋅t f ⋅λ t
x (t ) = − 2 1 − exp − t = − 1 − exp − (20)
k k c k k λ
Valutiamo il ritardo dello strumento a regime ossia per t molto grande. In tal caso si ha:
f ⋅t f ⋅λ
x (t ) ≅ − (21)
k k
Sia t1 un generico istante in cui la forza esterna (l’input) vale F0 = ft1 . Se lo strumento fosse
privo di ritardo (strumento di ordine zero) l’uscita sarebbe pari a F0 k . Vogliamo valutare
l’istante t2 in corrispondenza del quale l’uscita del sistema smorzato (la misura) assume tale
valore F0 k . La differenza t2 − t1 rappresenta il ritardo di lettura. Da (21) si ha:
600
k = 0.1 ; c = 0
500 k = 0.1 ; c = 0.1
k = 0.1 ; c = 0.5
400
300
x
200
100
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
t
600
k = 0.1 ; c = 0
500 k = 0.1 ; c = 0.1
k = 0.2 ; c = 0.1
400
300
x
200
100
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
t
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F0 f ⋅ t2 f ⋅ λ F + f ⋅λ F + f ⋅ λ F0
= − ⇒ t2 = 0 ⇒ t2 − t1 = 0 − =λ (22)
k k k f f f
Il ritardo dello strumento è dunque pari alla costante di tempo. Esempi di grafici della (20) per
diversi valori di k e c sono riportati in Fig. 4. Il ritardo dello strumento rappresenta la distanza in
orizzontale tra la linea continua (caso privo di smorzamento, strumento ideale di ordine zero) e
la linea tratteggiata.
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Tenendo conto del fatto che la (27) vale anche per la parte immaginaria (ripetendo il
ragionamento con forzante sinusoidale), dalla (27) si ricava:
F0 F0 k F 1 − jωλ
M exp ( jϕ ) = = = 0 (28)
cjω + k cj ω k + 1 k 1 + ω 2λ 2
(28) si ottiene:
F0 1
M exp ( jϕ ) = M = (29)
k 1 + ω 2λ 2
Sostituendo la (29) in (28) ed estraendo la parte reale di primo e secondo termine si ottiene
inoltre:
1.2
0.8
A
0.6
0.4
0.2
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
ωλ
0
-0.2
-0.4
-0.6
-0.8
φ
-1
-1.2
-1.4
-1.6
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
ωλ
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F0 1 1
Re M exp ( jϕ ) = M cos ϕ = ⇒ cos ϕ =
k 1 + ω 2λ 2 1 + ω 2λ 2
ωλ (30)
sin ϕ = 1 − cos2 ϕ = ⇒ tgϕ = ωλ
1 + ω 2λ 2
La soluzione dell’equazione del moto è dunque del tipo:
F0 / k
x (t ) = cos (ωt − arctg (ωλ ) ) (31)
2 2
1+ω λ
La curva di risposta in frequenza dello strumento ( M (ω ) ( F0 / k ) ) e fase ϕ di uno
strumento del I ordine sono riportati in Fig. 5. Da tale figura si evince, ad esempio, che la
banda passante con errore massimo del 10% è la seguente:
ω 0.5
ωλ < 0.5 , f = < esempio λ = 1 ⇒ f < 0.08 (32)
2π 2πλ
K ω 1 K
= ω02 , f0 = 0 = (34)
J 2π 2π J
oppure il classico moto traslatorio di un sistema massa-molla privo di smorzamento:
d 2x d 2 x Kx
−m 2 − Kx = 0 ⇒ 2 + =0 (35)
dt dt m
K ω 1 K
= ω02 , f0 = 0 = (36)
m 2π 2π m
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λ1t λ2 t c c2 k c
x ( t ) = A1e + A2e con λ1,2 =− ± 2
− =− ± ∆ (39)
2m 4m m 2m
Si ottiene quindi:
(
x ( t ) = e−ct / 2m A1e+ t ∆
+ A2e−t ∆
) (40)
( )
x ( t ) = e−ct / 2m ( A1 + A2 ) cosh t ∆ + ( A1 − A2 ) sinh t ∆
( ) (42)
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c
= 2ξω0
m
k (45)
ω0 2 =
m
si ha:
∆ = ω0 2 (ξ 2 − 1) (46)
Pertanto:
ξ > 1 ⇒ x (t ) = A e
( −ξ + ξ −1)ω t + A e( −ξ − ξ −1 )ω t
2
0
2
0
1 2
ξ = 1 ⇒ x ( t ) = A1e−ξω0t
ξ < 1 ⇒ x (t ) = A e
( −ξ + j )
1−ξ 2 ω0 t
+Ae
( −ξ − j )
1−ξ 2 ω0 t
=
1 2
(47)
= A1e −ξω0 t
(cos (ω 0 ) (
2
1 − ξ t + j sin ω0 1 − ξ t + ))
2
Nel primo caso si ha un moto aperiodico, nel secondo caso un moto aperiodico critico
(smorzamento più rapido possibile), nel terzo caso si ha un moto periodico smorzato (Fig. 6).
In presenza di forzante statica F0, gli integrali generali dati dalla (47) si sommano all’integrale
particolare (Fig. 6):
F0
xp = (48)
k
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1.25
1
0.75
0.5
0.25
x θ
0
-0.25
-0.5
-0.75 c = 2.5
ξ=2.5
c ξ=1.0
= 1
-1 c ξ=0.1
= 0.1
-1.25
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
t
2.25
2 c ξ=2.5
= 2.5
c ξ=1.0
=1
1.75 c ξ=0.1
= 0.1
1.5
1.25
x 1
θ
0.75
0.5
0.25
0
-0.25
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
t
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si ha:
−ω 2 M ( sin ωt cos ϕ − cos ωt sin ϕ ) +
F0 (54)
+ ( 2ξω0ω M + ω0 2 M ) ( cos ωt cos ϕ + sin ωt sin ϕ ) = sin (ωt )
m
La (22) è soddisfatta se sono soddisfatte le seguenti due relazioni:
1 − 2
+ 4ξ
ω0 ω02
(56)
ω
2ξ
ω0
tan ϕ =
ω2
1− 2
ω0
in cui si è fatto uso delle relazioni cos ϕ = 1 1 + tan 2 ϕ e sin ϕ = tan ϕ 1 + tan 2 ϕ . La risposta
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M (ω )
A (ω ) =
F0 / k
ω 1 2ξ u (57)
u= ⇒ A(u ) = ϕ ( u ) = arctg
ω0 2 1 − u2
( 1 − u2 ) + 4ξ 2u 2
Esempi di curve di risposta in frequenza e angolo di fase sono rappresentanti in Fig. 8. Si nota
l’esistenza di un valore ottimo dello smorzamento in corrispondenza del quale lo strumento ha
curva di risposta in frequenza con tangente orizzontale per frequenza nulla.
6
c = 0.1
ξ=2.5
5 cξ=0.25
= 0.25
cξ=0.5
= 0.5
4 cξ=0.7
= 0.71
cξ=1
=1
3
A
cξ=2
=2
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
u
180
150
120
90
ϕ
c ξ=2.5
= 0.1
c = 0.25
ξ=0.25
60
c ξ=0.5
= 0.5
c ξ=0.7
= 0.71
30 c ξ=1
=1
c ξ=2
=2
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
u
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Lezione 8
Potenziometri
Sono costituiti di un elemento dotato di resistenza elettrica e di un contatto strisciante (Fig. 1).
Il movimento del contatto mobile può essere di traslazione (Fig. 1a), rotativo (Fig. 1b) o una
combinazione dei due (Fig. 1 c, moto ad elica in un dispositivo rotante che può compiere più
giri). Perciò consentono tanto misure di rotazione che di spostamento.
Gli strumenti rettilinei hanno corse comprese tra 2 mm e 50 cm e quelli rotanti possono
spazzare angoli compresi tra 10° e 60 giri completi.
Possono essere alimentati da corrente continua o alternata e l’output (la differenza di
potenziale e) è una funzione lineare dell’input. Sono strumenti di ordine 0 e presentano un
comportamento dinamico ideale.
L’elemento resistivo può essere realizzato con vari materiali: filo di rame, pellicole di carbone,
plastica conduttiva.
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
a) b) c)
La resistenza specifica dipende dal reticolo cristallino del metallo utilizzato per il conduttore; a
parità di campo elettrico applicato essa dipende solo da come è disposto il reticolo.
Quando sollecitiamo meccanicamente un conduttore, il reticolo si deforma e varia la resistenza
specifica. Tale variazione si può, in prima approssimazione trascurare (fenomeno della
piezoresistenza). Se la lunghezza l varia (e con essa varia anche la sezione S ) varia di
conseguenza anche la resistenza R .
Un filo attraversato da corrente elettrica e solidale ad un corpo sollecitato meccanicamente
può essere utilizzato per valutare le variazioni di lunghezza del corpo per il tramite della
variazione di resistenza del filo stesso (Fig. 2).
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I primi estensimetri di questo tipo furono costruiti da Simon nel 1939 ma evidenziarono degli
inconvenienti legati alla piccola variazione di resistenza rispetto al valore iniziale della
resistenza stessa, anche per sollecitazioni notevoli.
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l
R=ρ (2)
S
Facendo il logaritmo di entrambi i membri si ha:
l
log ( R ) = log ρ = log ( ρ ) + log ( l ) − log ( S ) (3)
S
Il differenziale vale:
dR d ρ dl dS
= + − (4)
R ρ l S
D2 2 D∆ D ∆ S 2∆ D
Ma poiché S = π si ha che ∆S = π e quindi = . Sostituendo si ha:
4 4 S D
∆R ∆ρ ∆l 2∆ D
= + − (6)
R ρ l D
La sensibilità dello strumento (definita come rapporto tra uscita ed ingresso) sarà quindi pari a:
∆ R / R ∆ρ / ρ
= + 1 + 2ν (7)
∆l / l ∆l / l
Questo rapporto prende il nome di Gage factor o fattore di taratura. Il primo termine può
essere riscritto come segue:
∆ρ / ρ
= π1E (8)
∆l / l
in cui E è il modulo di elasticità del materiale, π1 è il coefficiente di piezoresistenza
longitudinale che può essere positivo o negativo (il contributo di tale termine è comunque poco
influente) e ν è il coefficiente di Poisson che per tutti i materiali metallici è compreso tra 0.25 e
0.40. Quindi, a meno del primo termine, il Gage factor dovrebbe essere compreso tra 1.5 e
1.8. Nella realtà esso vale circa 2.0 a dimostrazione del fatto che il primo termine ha una
seppur minima influenza.
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∆R / R
Abbiamo visto che il fattore di taratura (Gage factor) è G = . D’altra parte la
∆l / l
∆l 1 ∆R
deformazione specifica è =ε = . Pertanto per misurare ε è necessario conoscere G
l G R
e poter misurare sia ∆ R che R . Sino ad ora abbiamo supposto che tutto il filo della griglia
agisca ugualmente. Osserviamo però che le zone delle curve portano, per effetto della
contrazione laterale, ad una diminuzione della sensibilità del sensore.
Si cerca di eliminare questa sensibilità trasversale indesiderata mettendo al posto delle curve
un filo grosso (vedi Fig. 4). In questo modo la variazione specifica della resistenza laterale
diventa trascurabile.
Attualmente gli estensimetri commerciali sono realizzati con la tecnica della fotoincisione, per
via fotografica, a partire da un foglio di metallo di spessore inferiore al centesimo di millimetro.
Gli estensimetri elettrici a resistenza sono strumenti di ordine zero, quindi a comportamento
dinamico ideale (non vi è alcun luogo ove è possibile immagazzinare energia).
La variazione di resistenza si misura utilizzando il ponte di Wheatstone.
1 ∆R
ε= ⇒ ∆ R = ε GR (9)
G R
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G vale, come già detto, circa 2; R varia tra i 100 ed i 10000 Ohm ed in genere è pari a 120
variazione.
σ = 100 N mm 2 ; E = 205000 N mm 2
Provino di acciaio: σ
ε = = 4.878 ⋅10−4 ⇒ ∆ R = 2 ⋅120 ⋅ 4.878 ⋅10−4 = 0.117 Ω
E
Viceversa: ε = 1⋅10−6 ⇒ σ = Eε = 0.205 N mm 2
che rappresenta la I° legge di Kirchoff (la somma delle correnti in un nodo è 0). Poiché
VA = VB i due rapporti sono uguali. Dalle relazioni precedenti si ricava la condizione di
R1 R4
equilibrio del ponte: =
R2 R3
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Ciascuna resistenza del ponte può essere sostituita da un trasduttore il cui principio di
funzionamento sia fondato su variazioni della resistenza elettrica. In alternativa ad operare
l’azzeramento del ponte può essere più pratico leggere la deviazione dell’indice del
galvanometro. La relazione tra variazione di resistenza e variazione di tensione nel caso di
resistenze tutte uguali è:
∆e 1 ∆R E ∆R E
= ⇒ ∆e = = εG (11)
E 4 R 4 R 4
Per ricavare la (11) si tenga presente che:
e = VAB = VA − VB = VA − Vc − (VB − VC )
R1 E R4 E (12)
VA − VC = R1ii = , VB − VC = R4i2 =
R1 + R2 R3 + R4
Si ottiene a questo punto la relazione che lega la tensione e alle resistenze del circuito:
e R1 R4
= − (13)
E R1 + R2 R3 + R4
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Lezione 9
Le misure forniscono per ogni rosetta i valori di deformazione secondo le tre direzioni di
applicazione degli estensimetri ε α , ε β e ε γ . Il problema è quello di determinare le tensioni σ α ,
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1 1
σα = (σ 1 + σ 2 ) + (σ 1 − σ 2 ) cos 2α (1)
2 2
Come si vede una sola relazione non è sufficiente per determinare σ α ; ne occorrono 3 e per
questo motivo la rosetta contiene 3 estensimetri. Consideriamo la rosetta rettangolare (Fig. 3).
In questo caso si ha:
β = α + 90° cos 2 β = cos 2 (α + 90° ) = − cos 2α
⇒ (2)
γ = α + 45° cos 2γ = cos 2 (α + 45° ) = − sin 2α
Il sistema delle tre equazioni contenenti le tre incognite σ 1 , σ 2 e α in funzione dei termini noti
ε α , ε β e ε γ si scrive:
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σ1 + σ 2 σ1 − σ 2
σα = + cos 2α
2 2
σ + σ 2 σ1 − σ 2
σβ = 1 − cos 2α
2 2 (3)
σ + σ 2 σ1 − σ 2
σγ = 1 − sin 2α
2 2
σ + σ 2 σ1 − σ 2
σ γ +90° = 1 + sin 2α
2 2
Occorre ora introdurre nelle relazioni precedenti i valori misurati di ε α , ε β e ε γ avvalendosi del
legame elastico lineare tra tensioni e deformazioni (legge di Hooke):
1 1
εα = (σ α −νσ α +90° ) = (σ α −νσ β )
E E
1 1
ε β = (σ β −νσ β +90° ) = (σ β −νσ α ) (4)
E E
1
ε γ = (σ γ −νσ γ +90° )
E
Per cui, sostituendo le (20) in (21) si ricavano le tensioni principali e l’angolo α a partire dalle
deformazioni misurate.
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La capacità può variare se lo spostamento oggetto della misura produce una variazione di ε r ,
di S e/o di d . La curva di graduazione di un trasduttore capacitivo è lineare con lo
spostamento se quest’ultimo fa variare linearmente S o ε r .
dC ε 0ε r dC ε 0 S
Sensibilità = = ; Sensibilità = = (6)
dS d dε r d
Uno dei più semplici circuiti adatto a rilevare il segnale da un trasduttore capacitivo è
rappresentato in Fig. 8. Trasduttori attualmente disponibili in commercio consentono di
ottenere curve di risposta in frequenza del tipo mostrato in Fig. 9. Esempi di trasduttori
capacitivi sono riportati in Fig. 10.
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Trasduttori induttivi
I trasduttori induttivi si dividono in due grandi categorie: passivi ed attivi. Sono passivi quelli
che per il loro funzionamento richiedono una sorgente di energia esterna. Sono attivi quelli che
generano essi stessi una differenza di potenziale proporzionale allo spostamento in ingresso.
Tale energia viene prelevata dal segnale che viene rilevato ed occorre quindi porre attenzione
alla finezza dello strumento.
Trasduttori passivi
L’induttanza di una bobina o avvolgimento (Fig. 11) vale (Henry)
µ0 µ r N 2 S
L= (8)
l
con µ0 = permeabilità dello spazio vuoto pari a 4·10-7 H/m
µr = permeabilità relativa
l N2
Ponendo la riluttanza R pari a R = , la formula precedente si semplifica in L = .
µ0 µ r S R
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con Raria . I trasduttori nei quali il segnale in uscita si ottiene perché varia la riluttanza totale del
circuito magnetico si chiamano a riluttanza variabile. L’impedenza della bobina è:
2
Z = R 2 + ( iω L ) (10)
con:
R << L ⇒ Z ≅ iω L (11)
Pertanto si ha:
N2 iω N 2 µ0 µ a S
V = ZI = iω LI = iω I= I (12)
R la
dalla quale si ricava che se la tensione di alimentazione è costante, la corrente che misura il
galvanometro è direttamente proporzionale allo spostamento ∆ x ( ≅ la ).
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I trasduttori possono anche essere realizzati con più avvolgimenti. Un esempio di questo tipo è
il trasformatore differenziale (Linear Variable Displacement Transducer: LVDT). Il suo schema
è illustrato nella Fig. 12: una barra di materiale ferromagnetico, collegata al palpatore, può
scorrere all’interno di un supporto tubolare non magnetico. Vi sono poi tre avvolgimenti P al
centro, alimentato con tensione alternata e due avvolgimenti laterali S1 e S2 avvolti in senso
discorde. Lo schema elettrico è illustrato nella Fig. 13. Tra A e B si ha l’uscita E. Se il nucleo è
al centro in S1 e S2 si generano due f.e.m. uguali e contrarie e l’uscita è nulla. Se il nucleo non
è al centro si genera una f.e.m. residua. La curva di graduazione presenta un tratto
praticamente lineare (Fig. 14). Valori ricorrenti dei trasformatori differenziali commerciali:
alimentazione: 3 – 6 V a 50 Hz;
sensibilità: 300 – 2000 mV/mm;
banda passante: 100 Hz (nucleo di 3 – 4 grammi).
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Trasduttori attivi
La differenza costruttiva rispetto ai trasduttori passivi è che questi hanno per nucleo un
magnete permanente (Fig. 15). Non esiste pertanto alimentazione. Essi sono anche trasduttori
reversibili nel senso che una f.e.m. in ingresso produce uno spostamento x. Per la legge di
Faraday si ha:
dφ dφ dx
e = −n = −n (13)
dt dx dt
con:
n = numero delle spire; φ flusso magnetico.
La (40) mostra che l’uscita è proporzionale alla velocità. Pertanto, per passare ad una misura
di spostamento sarà necessario integrare il segnale. Esempi di trasduttori di spostamento
sono riportati nelle Fig. 16 e 17.
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Lezione 10
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seconda parte dell’alberino reca una vite senza fine che fa ruotare un indice che segnala la
velocità (vedi Fig. 1).
Strumenti in grado di rilevare i valori istantanei della velocità angolare sono i tachimetri
elettrici. Essi possono essere in corrente alternata o in corrente continua.
I tachimetri elettrici in corrente alternata si presentano secondo lo schema illustrato in Fig. 2.
Sono formati da un rotore a gabbia di scoiattolo e da due avvolgimenti A e B posti
geometricamente a 90° l’uno dall’altro. L’avvolgimento A si alimenta con la tensione di rete e
genera un campo magnetico ortogonale a B nel quale quindi non nasce alcuna f.e.m. se il
rotore è fermo.
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Se il rotore gira con velocità angolare ω , nelle barrette della gabbia nasce una f.e.m. e quindi
un campo magnetico che si concatena con B. In B compare una f.e.m. proporzionale alla
velocità angolare del rotore. In uscita abbiamo una f.e.m. alternata, della stessa frequenza di
quella di alimentazione e avente un’ampiezza variabile linearmente con la velocità angolare ω
(Fig. 3). L’inversione del segno della velocità angolare produce un ritardo di fase di 180° La
sensibilità di questo strumento è di 0.3÷3 V per 1000 giri/minuto.
Il contagiri in corrente continua è praticamente una dinamo, cioè un generatore di corrente
continua. Essa è costituita da un avvolgimento che ruota all’interno di un campo magnetico. La
spira è calettata su un collettore costituito da lamelle metalliche. Speciali contatti striscianti,
dette spazzole, vengono disposti su punti diametralmente opposti del collettore in modo da
rimanere a contatto con una lamella alla volta. La f.e.m. in uscita è costante e proporzionale al
numero di giri/minuti della dinamo. In realtà, per tutto il tempo durante il quale la spazzola
rimane in contatto con una stessa lamella di cui è composto il collettore, la corrente subisce
una variazione sinusoidale. Questo aspetto diventa insignificante se il numero di lamelle è
sufficientemente elevato. L’ondulazione del segnale dipende infatti dal numero di lamelle. Si
costruiscono dinamo tachimetriche anche con 100 lamelle.
La sensibilità è dell’ordine di 10 V per 1000 giri/min. La dinamo presenta l’inconveniente del
rumore di fondo ma è più sensibile del contagiri in corrente alternata. Altro inconveniente è
l’usura dei contatti striscianti. Caratteristica comune a tutti questi strumenti è quella di
assorbire energia per il loro funzionamento.
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Fig. 3: Schema di dinamo tachimetriche (in corrente continua in alto, in corrente alternata in basso).
In alternativa il tachimetro può essere realizzato mediante un magnete permanente che ruota
all’interno di una coppa metallica in maniera solidale con l’albero di cui si vuole misurare la
velocità angolare (Fig. 4). Tale dispositivo è detto tachimetro a correnti parassite. Per effetto
della f.e.m. indotta all’interno della coppa e della conseguente modifica del campo magnetico,
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la coppa ruoterà essa stessa di un certo angolo θ0 fino a che la coppia torcente non eguaglierà
la coppia reagente di una molla torsionale montata in asse allo strumento. Mediante un indice
è possibile misurare l’angolo di rotazione θ0 che risulta proporzionale alla velocità angolare.
Tra i tachimetri ottici ricordiamo lo stroboscopio. Il suo principio di funzionamento è il seguente:
si dispone un disco recante dei contrassegni in movimento. Se esso viene illuminato con lampi
di luce intervallati del tempo necessario per realizzare una rotazione ϕ = 2π / n con n numero
delle tacche, il disco appare immobile. La frequenza della luce lampeggiante viene fatta
variare finché il disco non appare immobile. Da tale frequenza è possibile ricavare la velocità
di rotazione. Per ovviare ai problemi dei sotto-multipli di frequenza (multipli del periodo) si
parte da una frequenza di rotazione molto alta, diminuendola poi gradualmente. La frequenza
che ci interessa è la prima che si incontra che fa apparire fermo il disco.
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sezione 1-1, prima di giungere al tubo, il fluido ha velocità v; all’interno del tubo esso è invece
fermo e la sua energia cinetica si trasforma in energia potenziale incrementando l’altezza h
all’interno del tubo. Applicando l’equazione di Bernoulli tra le sezioni 1-1 e 2-2 (posta
immediatamente all’interno del tubo), si ha:
1
p1 + ρ gh1 + ρ v12 = p2 + ρ g ( h1 + h2 ) (1)
2
Poiché p1 = p2 e ρ g ( h1 + h2 ) = ρ gh1 + ρ gh2 si ha:
1 1 2
ρ v12 = ρ gh2 ⇒ v1 = 2 gh2 ⇒ h2 = v1 (2)
2 2g
Come si vede la sensibilità dello strumento non è costante, ma aumenta con la velocità:
dh 1
= v1 (3)
dv g
Nella pratica non si misura la differenza di livello di fluido nel tubo ma si misura la pressione in
due punti: una presa di pressione totale nella sezione 1 (ortogonale al flusso):
1 1
ptot = p1 + ρ gh1 + ρ v12 = pst + ρ v12 (4)
2 2
e una presa di pressione statica (tangenziale al flusso) nella sezione 2: p2 = pst . Problema
importante è dunque garantire che nella sezione 2-2 sia possibile realizzare una presa di
pressione statica. Per questo motivo l’estremità del tubo presenta una forma opportunamente
profilata (vedi Fig. 8).
Un altro tipo di misuratore di velocità è costituito da una ventola o da un insieme di coppe
(anemometro a coppe).
Strumento di precisione per la misura della velocità dell’aria è l’anemometro a filo caldo. Il
principio fisico sul quale è fondato è il seguente: un conduttore di resistenza R f viene
attraversato dalla corrente I , che lo riscalda. La quantità di calore prodotta per effetto Joule
viene asportata dalla corrente fluida in moto. In condizioni di equilibrio termico si ha:
R f I 2 = hA (T f − Ta ) (5)
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dove i termini a primo membro rappresentano la potenza in ingresso, mentre quelli a secondo
membro rappresentano il calore dissipato per effetto Joule. Il significato delle grandezze in (5)
è il seguente:
T f è la temperatura del filo
Ta è la temperatura dell’aria
A è la superficie di dissipazione
Il coefficiente h è, nel caso di filo cilindrico, principalmente funzione della velocità del fluido:
h = C0 + C1 V (6)
con C0 e C1 costanti. Combinando le due espressioni si ottiene:
I2 =
(
A C0 + C1 V ) (T f − Ta )
(7)
Rf
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1 2
1 2
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Fig. 9: Esempi di anemometro con tubo di pitot (sinistra) e anemometro a coppe (destra).
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dell’equazione differenziale del moto della massa conduce alla seguente espressione della
risposta in frequenza:
X ω 2 ω02
= (9)
X0 2 2
(1 − ω 2
ω 0) 2
+ 4ξ ω ω 2 2
0
da cui:
X X 1 ω02
&&
= 2 = (10)
X0 ω X0 2
(
1 − ω 2 ω02 ) + 4ξ 2 ω 2 ω02
k c c
con: ω0 = pulsazione naturale dello strumento; ξ= = smorzamento relativo
m ccr 2 mK
dello strumento.
6
ξ = 0.1
ξ = 0.25
5
ξ = 0.5
ξ = 0.707
4
ξ=1
X
ω 02x/x 0
2
ω &&
0 ξ=2
X0 3
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5
ω/ω0
Fig. 12: Risposta in frequenza di un accelerometro.
Quando ω ω0 è nullo (condizioni statiche) allora x &&x0 = 1 ω02 e ciò indipendentemente dal
valore di ξ ; analogamente per ω ω0 che tende ad infinito anche x &x&0 tende a zero, sempre
indipendentemente da ξ .
Nel tratto intermedio abbiamo una curva per ogni valore di ξ . In particolare quando ω ω0 1
si ha che x &&x0 ω02 , in special modo quando ξ = 1 2 (condizione per la quale il
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Accelerometri piezoelettrici
Il principio di funzionamento degli accelerometri piezoelettrici è basato sulla produzione di
cariche elettriche da parte di un cristallo piezoelettrico sollecitato da forze esterne. Si registra
cioè una differenza di potenziale e tra le due facce del cristallo proporzionale alla forza
applicata F, a sua volta proporzionale all’accelerazione a per effetto della legge di Newton:
e ∝ F = ma (“Piezo” è un termine greco che significa “spremere”). Tale effetto è prodotto dal
fatto che quando l’elemento piezoelettrico è deformato da una forza esterna, le cariche
elettriche più superficiali vengono spostate accumulandosi sulle facce opposte. La Fig. 14
illustra lo spostamento di cariche elettriche provocato dalla deformazione del reticolo cristallino
in un cristallo di quarzo naturale.
Una tipica realizzazione di accelerometro piezoelettrico è indicata in Fig. 15. Il cristallo è
precaricato mediante una molla, avvitando il coperchio nella cassa. L’operazione consente di
utilizzare il cristallo nella parte maggiormente lineare della sua curva voltaggio/tensione. In
genere non viene realizzato artificialmente nessun tipo di smorzamento ma ci si affida soltanto
alla dissipazione interna del materiale che avviene per isteresi. La conseguenza è uno
smorzamento molto basso (circa 0.01) che però è accettabile a causa della frequenza naturale
molto alta dello strumento. La funzione di risposta in frequenza è simile a quella già vista per
gli altri accelerometri, con la differenza che la risposta alle basse frequenze è limitata dalla non
linearità del fenomeno piezoelettrico (vedi Fig. 16).
Con i cristalli di quarzo è facile realizzare frequenze naturali molto elevate. A titolo di esempio i
quarzi degli orologi da polso oscillano a circa 32 kHz. Valori tipici per gli accelerometri sono 20
kHz. Strumenti per basse accelerazioni hanno sensibilità di 50 mV/g e misurano accelerazioni
tra 0.03 g e 1000 g con una non-linearità dell’ 1% fondo scala, risposta in frequenza piatta
entro il 5% tra 20 e 4000 Hz. Gli accelerometri per misure d’urto possono misurare
accelerazioni fino a 10000 g.
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filtri passa basso. Per ovviare a tale inconveniente si utilizzano talvolta degli amplificatori
esterni agli accelerometri.
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Fig. 22: Funzione di risposta in frequenza per vari tipi di fissaggio degli accelerometri.
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Fig. 23: Terna di accelerometri piezoelettrici fissati mediante magnete su base metallica.
Servoaccelerometri
Sono composti da una massa sismica (frequenza propria < 1 Hz), un trasduttore di
spostamento molto sensibile e un sistema elettronico che, grazie ad una bobina e ad una
corrente circolante, mantiene la massa fissa rispetto alla scatola. La corrente necessaria per
tenere ferma la massa è proporzionale all’accelerazione dello strumento. Si tratta di strumenti
molto sensibili (fino a 1000 V/g) adatti a misurare anche accelerazioni a bassa frequenza (in
certi casi possono essere impiegati anche come inclinometri). Il campo di impiego va da 0 a
500 Hz (il limite superiore è legato all’elettronica di controllo). Sono strumenti molto delicati
quando non sono alimentati (le molle hanno una rigidezza molto bassa). Possono essere
piezoresistivi, capacitivi, ecc.
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Lezione 11
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Portate superiori a quelle della bilancia analitica, fino a decine di tonnellate, possono essere
raggiunte utilizzando bilance amplificate (vedi Fig. 2) realizzate mediante amplificatori
meccanici (leve).
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I metodi del secondo gruppo prevedono l’impiego di accelerometri e sono limitati nella loro
applicazione dal fatto che la forza calcolata è quella risultante applicata alla massa (in
presenza di più forze queste non possono essere separate fra di loro).
La bilancia elettromagnetica (terzo gruppo) ha un funzionamento analogo a quello della
bilancia a piatti (o bilancia analitica) con la differenza che l’equilibrio tra la forza incognita F e
la forza di gravità agente su di una massa standard è ottenuta mediante una forza di origine
ur
elettromagnetica. Tale bilancia è basata sulla Legge di Laplace secondo cui la forza d F che
ur
agisce su un conduttore di lunghezza dL (vettore orientato d L ) attraversato da una corrente
ur
di intensità i e posto all’interno di un campo magnetico B è pari a:
ur ur ur
d F = i⋅d L× B (5)
Nella bilancia elettromagnetica, un elettromangnete (una bobina o in generale un conduttore)
attraversato da corrente esercita una forza su un magnete permanente. La tensione all’interno
del circuito viene fatta variare fino a quando la forza esercitata sul magnete permanente non
equilibra la differenza tra la forza incognita F e la forza di gravità su di una massa nota.
Spesso, la variazione di tensione nel conduttore viene effettuata automaticamente mediante
un servomeccanismo (sistema di controllo automatico) che, in base all’indicazione di una
fotocellula (o di un qualsiasi altro indicatore di posizione), che fornisce la misura dell’errore
(squilibrio della bilancia), regola la tensione fino a raggiungere la posizione di equilibrio (Fig.
3). Questo strumento è competitivo con la bilancia analitica e presenta numerosi vantaggi
pratici tra cui una maggior rapidità di risposta, una minore sensibilità ai disturbi ambientali ed
una uscita di tipo elettrico.
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I metodi del gruppo 4 prevedono l’uso di celle di carico idrauliche o pneumatiche. Le celle
idrauliche sono riempite di olio ed usualmente hanno un precarico dell’ordine di 2 kg/cm2.
L’applicazione del carico incrementa la pressione che viene letta con un manometro. La
capacità standard di queste celle di carico è di circa 40 t. Apparecchi speciali possono arrivare
anche a 4000 t. La precisione è dell’ordine dello 0.1% del fondo scala. La risoluzione è circa lo
0.02%.
Mentre tutti i dispositivi precedentemente visti sono utilizzati soprattutto per carichi statici o
quasi-statici, i trasduttori basati sulla deformazione elastica (gruppo 5) sono ampiamente usati
tanto per misure statiche che per carichi dinamici con frequenza fino a molti kHz.
Essenzialmente sono tutti sistemi dinamici del 2° ordine, composti di massa, molla e
smorzatore. Si differenziano tra di loro per il tipo di molla impiegata e per il trasduttore di
spostamento utilizzato per ottenere in uscita un segnale elettrico.
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Lezione 12
I più importanti e diffusi metodi non distruttivi (non destructive tests: “NDT”) per la valutazione
della resistenza meccanica dei calcestruzzi sono:
- prove di durezza superficiale (sclerometriche);
- prove dinamiche con ultrasuoni;
- prove combinate (metodo SONREB).
Si tratta in sostanza di stimare una proprietà - la resistenza - associata per definizione alla
distruzione del materiale, mediante la valutazione di una o più grandezze ad essa correlate.
Riferimenti normativi:
ASCE 11-90 Guideline for Structural Condition Assessment of Existing Structures, 1990.
Bollettino C.E.B. n. 243, Strategies for Testing and Assessment of Concrete Structures, 1998.
ISO/FDIS 13822, Assessment of Existing Structures, 2000.
UNI EN 12504-2, Prove sul calcestruzzo nelle strutture - Determinazione dell’indice
sclerometrico, 2001.
UNI EN 12504-4, Prove sul calcestruzzo nelle strutture - Determinazione della velocità di
propagazione degli impulsi ultrasonici, 2005.
Richiami storici
Alcuni metodi per valutare la resistenza in-situ del calcestruzzo sono adattamenti della prova
per la misura della durezza Brinell dei metalli. Originariamente, tale prova consisteva nel
premere una sfera di acciaio ad alta resistenza contro il campione e misurare l’area di
impronta. Successivamente tale prova è stata modificata in modo tale da provocare l’impatto,
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con una energia nota, di una sferetta di acciaio contro il campione e misurarne il rimbalzo. Un
durometro Brinnel di questo secondo tipo è rappresentato nelle Fotografie di Fig. 1.
Nel caso dei calcestruzzi, il Prof. K. Gaede per primo, nel 1934, usò un martello sospinto da
una molla per spingere una sfera di acciaio contro il calcestruzzo. Determinò poi una relazione
empirica non-lineare tra resistenza cubica e diametro della cavità generata nel calcestruzzo.
Nel 1936 J.P. Williams utilizzò un dispositivo a forma di pistola in cui una sfera di 4 mm era
fissata ad un pistone sospinto da una molla. La molla veniva compressa girando una vite, un
grilletto rilasciava la molla ed il cilindro veniva scagliato contro il calcestruzzo. Veniva quindi
misurato il diametro della cavità prodotta nel calcestruzzo.
Nel 1938 fu pubblicato un lavoro fondamentale da B.G. Skramtajev, dell’Istituto Centrale per le
Ricerche sugli Edifici Industriali, di Mosca. Riferisce di 14 diverse tecniche, di cui 10 sviluppate
in Unione Sovietica per misurare la resistenza in-situ del calcestruzzo (Skramtajev, B.G., 1938.
Determining concrete strength for control of concrete in structures. J. Am. Concr. Inst., 34:285-
303).
L’Autore divide i metodi di prova in due gruppi:
1. quelli che richiedono l’installazione di attrezzature prima del getto del calcestruzzo;
2. quelli che non la richiedono.
Tra i metodi descritti da Skramtajev figurano:
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Come era stato per le prime prove di punzonamento, questo nuovo dispositivo fu basato su
alcuni metodi messi a punto per misurare la durezza dei metalli.
Come fu osservato da Kolek (1958), quando il calcestruzzo è colpito con il martello, l’entità del
rimbalzo è un indicatore della durezza del calcestruzzo. La novità dell’opera di Schmidt
consiste nell’aver standardizzato il colpo di martello.
Benché lo sclerometro consenta in modo rapido e poco costoso di controllare l’uniformità del
materiale, esso presenta alcune serie limitazioni di cui occorre essere consapevoli. Per
esempio i risultati con esso ottenuti dipendono dal grado di levigatezza della superficie,
dall’eventuale carbonatazione, dal contenuto di umidità, dalla dimensione e dal tipo degli inerti
ed infine dall’età dell’elemento strutturale.
Il funzionamento di uno strumento di questo tipo è basato sulla misura dell’energia dissipata
nell’urto di una massa metallica mobile (martello) contro un’incudine che è tenuta a contatto
della superficie da provare. Il martello dello sclerometro è spinto da una molla di caratteristiche
proporzionate alla durezza del materiale da provare ed al suo spessore: esistono pertanto
sclerometri da muratura, da calcestruzzo, ecc.
In posizione di riposo la molla A (vedi Fig. 2) è indeformata e mantiene l'asta B fuori
dell'involucro C che racchiude il meccanismo. Il martello D è agganciato per mezzo di un
gancio a leva E. Anche la molla F che pressa sul martello e sulla cassa esterna è indeformata.
Per eseguire la prova si dispone l'apparecchio perpendicolarmente alla superficie del
calcestruzzo, con l'estremità dell'asta B in contatto con la superficie. Esercitando una
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pressione sullo strumento, l'asta rientra sull'involucro e sposta la massa scorrevole verso il
fondo, caricando nel contempo le molle. Quando l'asta B tocca il perno G questo fa scattare il
gancio E che libera la massa mobile e la proietta contro l'incudine. Dopo l'urto il martello
rimbalza e trascina un indice I mobile lungo una scala graduata. La lettura è espressa da un
numero intero (indice di rimbalzo) compreso tra 1 e 100 che esprime la lunghezza di rimbalzo
in percentuale rispetto alla corsa. Le fasi della prova sono schematizzate in Fig. 3.
A questo punto, al fine di stimare la resistenza del materiale, occorre utilizzare una curva di
calibrazione. Nel caso del calcestruzzo si può utilizzare una relazione del tipo:
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150
100
75
50
25
0
10 20 30 40 50 60 70 80
Indice di rimbalzo N
Rc = C ⋅ Rref (2)
Un esempio di curva resistenza-indice di rimbalzo è riportato in Fig. 4.
La curva di calibrazione viene fornita dal costruttore così come le correzioni per sclerometro
posto in orizzontale o a 45° rispetto ad una superficie verticale (vengono in genere fornite
curve di calibrazione per i diversi casi).
Per la sua semplicità e il basso costo, lo sclerometro è di gran lunga il dispositivo più usato per
le prove non distruttive sul calcestruzzo. Mentre il test è semplice, non esiste una relazione
affidabile tra l’indice di rimbalzo e la resistenza del calcestruzzo.
Il numero di rimbalzo è intanto influenzato direttamente dalla rigidezza elastica del
calcestruzzo e solo indirettamente dalla sua resistenza.
Poiché poi il numero di rimbalzo è indicativo delle proprietà del calcestruzzo vicino alla
superficie, può non essere indicativo delle proprietà della massa sottostante.
Alcuni dei fattori che influenzano la risposta dello sclerometro sono i seguenti:
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Il grado di precisione che può essere ottenuto con lo sclerometro (su calcestruzzo) è:
a) 12 - 18 % se sono disponibili campioni di calcestruzzo, prelevati in situ, per la
taratura della curva di correlazione e ne è nota la composizione;
b) 15 - 18 % se sono disponibili solo campioni;
c) 18 - 28 % se è nota solo la composizione;
d) molto oltre il 30 % quando non sono disponibili dati per la taratura.
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Lezione 13
Richiami storici
Nel 1945 e nel 1947 gli ingegneri della Hydro-Electric Power Commission of Ontario
lavorarono allo sviluppo di uno strumento per valutare la estensione delle fessure nelle dighe
misurando la velocità di propagazione di onde ultrasonore. Il dispositivo fu chiamato
Soniscope. Aveva un trasmettitore operante a 20 KHz, era in grado di investigare fino alla
profondità di 15 m e poteva misurare il tempo di propagazione delle onde elastiche con una
precisione del 3 %. L’ampiezza del segnale ricevuto veniva considerata di secondaria
importanza poiché la quantità di energia trasmessa dal trasduttore al calcestruzzo non poteva
essere misurata con cura.
Nel 1953 Parker riferisce dei primi tentativi alla Ontario Hydro di sviluppare correlazioni tra la
velocità di propagazione delle onde elastiche e la resistenza meccanica. Furono studiati 46
impasti realizzati con gli stessi aggregati e tipi diversi di cemento. I diversi impasti non
portarono a differenze significative nelle correlazioni velocità-resistenza. I risultati furono
trattati come un gruppo (cioè senza distinguerli in base all’impasto) e fu determinata la curva di
correlazione che meglio approssimava i risultati sperimentali. Si riscontrò che la velocità di
propagazione aumentava all’aumentare della resistenza. Un esempio di correlazione tra
velocità di propagazione e resistenza a compressione è riportato in Fig. 6.
Contemporaneamente in Inghilterra al Road Research Laboratory (RRL) Jones (1949)
sviluppò una procedura per controllare la qualità delle pavimentazioni stradali. La differenza
principale con i problemi studiati alla Ontario Hydro era costituita dal percorso particolarmente
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breve delle onde elastiche. Di conseguenza l’apparato messo a punto operava su frequenze
più alte del Soniscope: 60-200 KHz. Il dispositivo poteva misurare tempi di transito delle onde
con una precisione di 2µs.
Fig. 6: Esempio di correlazione tra velocità di propagazione degli ultrasuoni e resistenza a compressione.
Negli Stati Uniti una sonda sonica fu sviluppata nel 1947 dalla Portland Cement Association in
collaborazione con Ontario Hydro e numerose applicazioni sono riferite da Whitehurst (1951).
In particolare l’Autore pubblicò una proposta di classificazione della qualità dei calcestruzzi
basata sulla velocità degli ultrasuoni:
Le onde sonore sono onde elastiche che si possono trasmettere sia attraverso mezzi fluidi che
solidi. Il campo delle frequenze udibili dall’uomo è compreso all’incirca tra 20 Hz e 20 kHz, ma
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è tecnicamente possibile produrre onde elastiche della stessa natura di quelle udibili fino alla
frequenza di circa 500 MHz. Le onde elastiche di frequenza compresa tra 20 kHz e 500 MHz
vengono dette ultrasuoni. Le onde utilizzate nelle prove non-distruttive sui materiali sono di
solito comprese tra le frequenze di 0.5 MHz e 20 MHz.
Nei fluidi le onde sonore sono del tipo a compressione longitudinale, nel senso che lo
spostamento delle particelle materiali intorno alla posizione di equilibrio avviene nella direzione
di propagazione dell’onda. Nei solidi, oltre alle onde longitudinali, si propagano onde
trasversali in cui lo spostamento delle particelle avviene normalmente alla direzione di
propagazione. Possono inoltre prodursi onde che si propagano sulla superficie del solido
(onde di Love, onde di Rayleigh, ecc.). La velocità delle onde longitudinali in un fluido è data
da:
Ka
Vc = (3)
ρ
in cui K a è il modulo di elasticità adiabatica e ρ è la densità. Nei solidi la velocità delle onde
longitudinali è data dall’espressione:
( 1 −ν )E
Vc = (4)
( 1 +ν )( 1 − 2ν ) ρ
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2.06 ⋅1011
Vs = 3170 m / sec (7)
2( 1 + 0.3 )7850
Il rapporto tra la velocità delle onde trasversali e quella delle onde longitudinali è:
Vs 3170
= = 0.53 (8)
Vc 5940
La velocità delle onde di Rayleigh, Vr , in un solido è circa il 90% di quelle trasversali ed è data
da:
0.87 + 1.12 ν
Vr = Vs (9)
(1 +ν )
Nel caso dell’acciaio si ha:
0.87 + 1.12 ⋅0.30
Vr = Vs = Vs 0.928 = 2942 m / s (10)
( 1 + 0.30 )
Lunghezze d’onda
La lunghezza d’onda, λ , dipende dalla frequenza e dalla velocità di propagazione secondo la
relazione:
υ =λ⋅ f (11)
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in cui f è la frequenza. Come avviene per tutti i tipi di onde, le onde sonore vengono riflesse
in modo significativo da oggetti che hanno dimensioni uguali o più grandi della loro lunghezza
d’onda. Nella tabella seguente sono riportati i valori delle lunghezze d’onda del suono (onde di
compressione) per alcuni materiali e 4 valori diversi della frequenza.
Esaminando la tabella si vede allora che un raggio ultrasonico della frequenza di 10 MHz
consente di individuare, nell’acciaio, difetti non più piccoli di 0.58 mm. Utilizzando invece una
frequenza di 1.25 MHz si individuerebbero solo difetti di dimensioni superiori a 4.65 mm.
Materiale λ in mm
1.25 MHz 2.5 MHz 5.0 MHz 10.0 MHz
Aria 0.26 0.13 0.066 0.033
Acqua 1.14 0.57 0.286 0.143
Olio 1.39 0.70 0.35 0.175
Alluminio 4.95 2.48 1.24 0.62
Calcestruzzo 2.80 1.40 0.70 0.35
Polietilene 1.87 0.94 0.47 0.23
Acciaio 4.65 2.32 1.16 0.58
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Z = ρ ⋅ Vc (15)
con il consueto significato dei simboli ( ρ densità di massa e Vc velocità di trasmissione delle
onde di compressione). Esempi di impedenze acustiche di materiali diversi sono riportati nella
tabella seguente:
Il coefficiente di riflessione, R , per onde sonore che passano dal mezzo 1 al mezzo 2 è dato
da:
Z 2 − Z1 ρ V − ρ1 Vc1
R= = 2 c2 (16)
Z 2 + Z1 ρ2 Vc2 + ρ1 Vc1
Il corrispondente coefficiente di trasmissione, T , è dato da:
2Z1 2 ρ1 Vc1
T= = (N.B.: R + T = 1 ) (17)
Z 2 + Z1 ρ 2 Vc2 + ρ1 Vc1
Ad un interfaccia aria - calcestruzzo la riflessione del suono è praticamente il 100%, cioè il
suono non si trasmette nel calcestruzzo se uno strato d’aria, anche piccolo, è interposto tra la
sonda ed il conglomerato. Ciò si può vedere facilmente calcolando R :
ZCLS − Z aria 8.75 x106 − 4.04 x 10 2
R = = = 0.99991 (18)
Z CLS + Z aria 8.75 x 106 + 4.04 x 10 2
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Per tale motivo è necessario utilizzare un fluido, come olio od acqua, come accoppiamento tra
sonda e provino. Per esempio utilizzando olio il coefficiente R tra olio e calcestruzzo vale:
8.75 x106 − 1.58 x 106
R = = 0.694 (19)
8.75 x 106 + 1.58 x 106
ed il 30.6% dell’energia sonora viene trasmesso. Il coefficiente può essere ulteriormente
ridotto se il film di olio è molto sottile e la sonda viene premuta contro il pezzo (può anche
dimezzarsi).
Le direzioni di propagazione delle onde rifratte (Fig. 8) possono essere determinate mediante
le leggi della rifrazione:
sini Vc1
Onde di compressione: =
sin rc Vc2
sini Vc1
Onde trasversali: =
sin rs Vs2
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Durante le ispezioni con ultrasuoni la presenza di due tipi di onde rifratte che si propagano con
velocità diverse nel materiale di prova può generare confusione nella interpretazione dei
risultati. Si cerca così di eliminare una delle due componenti, ad esempio quella di
compressione, per la quale l’operazione è più facile.
Il metodo che si usa è quello di aumentare i fintantoché rc diventa di 90°.
Allora l’angolo di incidenza i deve assumere il valore “critico” di
sini V V
= sini = c1 → i = sin −1 c1 (20)
sin 90° Vc2 Vc2
In tal caso il cristallo deve essere montato opportunamente inclinato all’interno di un blocco di
perspex. L’angolo critico all’interfaccia perspex - acciaio è di 27.5°.
Un fascio di ultrasuoni che si propaga attraverso un materiale, ad esempio calcestruzzo, viene
totalmente riflesso dalla superficie opposta rispetto alla sonda, poiché si tratta di un’interfaccia
calcestruzzo – aria.
Inoltre esso sarà parzialmente o totalmente riflesso da qualsiasi superficie interna, fessure,
vuoti, inerti, ecc., con le limitazioni già ricordate in merito alla capacità di risoluzione
(dimensione minima dei difetti osservabili: una lunghezza d’onda).
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elevato. Per valutare l’attenuazione può essere utilizzata la relazione che fornisce una perdita
di energia per metro:
perdita di energia per metro=K1 ⋅ f 2 + K 2 ⋅ f x , (21)
in cui K1 e K 2 sono opportune costanti ed x > 2 . Non è facile precisare meglio il valore di
x che varia da materiale e materiale ed anche nell’ambito dello stesso materiale.
La scelta della frequenza del fascio deve quindi essere un compromesso tra profondità di
penetrazione e risoluzione, che sono esigenze antitetiche. Nel caso dei metalli, frequenze tra i
10 ed i 20 MHz possono costituire un compromesso accettabile. Nel caso dei materiali plastici
il valore ottimale può essere compreso tra 2 e 5 MHz. Per i calcestruzzi le frequenze sono di
solito comprese tra 20 e 200 KHz.
Sistemi di visualizzazione
Le funzioni dei vari componenti del sistema (Fig. 9) sono le seguenti:
a) L’orologio del sistema governa la velocità di generazione degli impulsi di ultrasuoni, cioè la
frequenza di ripetizione degli impulsi.
b) Il generatore di impulsi governa la ampiezza degli impulsi di ultrasuoni.
c) La sonda trasmittente trasforma gli impulsi elettrici in vibrazioni meccaniche della frequenza
desiderata. La sonda trasmittente può anche fungere da ricevitore delle eco riflesse, oppure si
può utilizzare a questo scopo una sonda supplementare. La scelta dipende dal tipo di metodo
di ispezione adottato.
d) L’amplificatore della base dei tempi controlla la velocità con cui il pennello di elettroni si
muove in orizzontale (secondo l’asse x) attraverso lo schermo. In genere è possibile variare la
lunghezza della base dei tempi entro limiti piuttosto ampi.
e) L’amplificatore di segnali, come dice il nome stesso, amplifica il segnale riflesso e lo invia
allo schermo.
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Tipi di sonde
Vi sono in commercio numerosi tipi di sonde trasmittenti, ma comunque ognuna consiste di un
cristallo posto in contatto direttamente o per il tramite di una custodia protettiva con il materiale
sottoposto a prova. Un impulso di tensione di brevissima durata viene applicato al cristallo e lo
mette in vibrazione alla sua frequenza naturale.
Dopo che l’impulso di tensione è terminato, l’oscillazione del cristallo dovrebbe attenuarsi il più
velocemente possibile. A tale scopo il cristallo è appoggiato ad uno strato di materiale
smorzante. Le sonde normali sono progettate per trasmettere un’onda di compressione nel
materiale di prova secondo la direzione ortogonale alla sua superficie.
In alcuni casi la superficie del cristallo è scoperta, in altri può essere protetta da uno strato di
metallo, ceramica o perspex (Fig. 10).
Le sonde angolate (Fig. 11) sono progettate per trasmettere onde di taglio o di Rayleigh. La
loro costruzione è simile a quella di una normale rivestita di perspex.
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L’onda riflessa di compressione deve essere assorbita con apposito materiale, per esempio
gomma, contenuto all’interno della sonda.
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in cui la v è espressa in Km/s ed a è una opportuna costante che deve essere calibrata su un
campione di riferimento portato a rottura.
Valore usuale di a è 0.24 N/mm2.
A titolo di controllo se v = 3600 m/s = 3.6 Km/s si ha:
Rc = 0.24 ⋅ e1.1⋅3.6 = 12.6 N mm2 (24)
Il margine di errore della procedura di stima è il seguente:
a) 12 - 16% quando sono disponibili campioni del calcestruzzo e ne è nota la composizione;
b) 14 - 18% quando sono disponibili solo campioni;
c) 18 - 25% quando è nota solo la composizione del calcestruzzo;
d) molto oltre il 30% quando non sono disponibili dati di alcun tipo per la taratura.
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60
Resistenza a compressione Rc [N/mm 2]
50
40
30
20
10
0
1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000
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Lezione 14
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a) Quando sono disponibili campioni carotati del calcestruzzo in prova, Ct può essere calcolato
sottoponendo a prova non distruttiva e poi distruttiva i campioni:
n Reff ,i
Ctsperim (26)
i 1 Rref ,i
in cui:
Reff ,i è la resistenza ottenuta dalle prove distruttive;
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Fig. 18: Prove SONREB - Curve di resistenza ISO per il calcestruzzo di riferimento.
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Fig. 19: Prova sonica per trasparenza (sinistra), esempio di misura del tempo di propagazione (destra).
Le più comuni prove parzialmente distruttive per la valutazione della resistenza meccanica dei
calcestruzzi sono:
- sonda Windsor (penetrazione di un ago nel calcestruzzo);
- prove di pull-out (estrazione di un tassello);
- prove di break-off (rottura di una carota scavata nel calcestruzzo).
Sonda Windsor
Le tecniche per determinare la resistenza alla penetrazione del calcestruzzo consistono
essenzialmente in dispositivi attivati da polvere da sparo (pistole). Il metodo più conosciuto è
quello della Sonda Windsor.
In questo sistema una carica di polvere da sparo viene usata per conficcare una sonda di
acciaio ad alta resistenza avente forma simile a quella di un chiodo nel calcestruzzo. La
lunghezza della sonda che non penetra è una misura della resistenza alla penetrazione del
calcestruzzo.
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Ilaria Venanzi Controllo e Collaudo delle Costruzioni
Questo metodo è eccellente per la misurazione della evoluzione della resistenza del
calcestruzzo nello stadio iniziale di maturazione allo scopo di determinare il tempo più
appropriato di sformatura e per determinare la resistenza relativa in parti differenti della stessa
struttura.
Il risultato della prova può però essere influenzato dalla durezza degli inerti impiegati.
Viceversa essa non è sensibile alle condizioni superficiali dell’elemento, quali scabrezza e
carbonatazione.
Prove di pull-out
Una prova di pull-out consiste nell’estrarre dall’elemento di calcestruzzo un inserto metallico di
forma speciale, che vi è stato inserito (Fig. 2).
La forza necessaria ad estrarre l’inserto viene misurata tramite un dinamometro e viene
utilizzata per stimare la resistenza a compressione del materiale. Durante l’estrazione viene
strappato via un cono di materiale e pertanto la prova è parzialmente distruttiva.
Richiami storici
Il metodo del pull-out è stato sviluppato in Russia fin dal 1935 e successivamente sviluppato
nella metodologia attuale a partire dagli anni ’70. Tremper [1944] fu il primo americano a
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studiare la correlazione fra forza di estrazione e resistenza misurata su carote cilindriche. Gli
inserti sviluppati da Volf (URSS) e da Tremper sono rappresentati in Fig. 3. Nel 1975
Kierkegaard e Hansen osservarono che la correlazione fra forza di estrazione e resistenza del
calcestruzzo poteva essere migliorata vincolando la superficie di rottura ad assumere una
forma predefinita utilizzando un anello di contrasto, come si fa nelle prove attuali. Tra gli anni
60 e 70 Richards (USA) sviluppò un ulteriore tipo di inserto basato su una barra filettata da 19
mm, molto affidabile, ma indubbiamente troppo invasivo. Nel 1977 lo stesso Richards sviluppò
una versione ridotta del sistema di prova, che viene ancora oggi utilizzata nel caso di inserti
pre-inseriti nel getto.
Durante l’estrazione si generano superfici di rottura inclinate approssimativamente di 45°
poiché il calcestruzzo si trova in uno stato di trazione/taglio (la rottura è ortogonale alle
isostatiche di trazione).
La sequenza della prova è rappresentata in Fig. 4. La resistenza determinata con la prova di
pull-out è circa il 20% della resistenza a compressione. La correlazione tra forza di pull-out e
resistenza cubica è approssimativamente lineare:
Rc 1.09 1.46 Fpull out (1)
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Fig. 3: Inserti per prova di pull-out (alto), esempio di cunei estratti a seguito della prova (basso).
La correlazione tra pressione dell’olio misurata p (bar) e forza di estrazione F (kN) è fornita
dalla casa costruttrice del dispositivo di prova. Ad esempio:
F[ kN ] 0.161 p 2.566 (2)
La prova di pull-out può essere anche effettuata mediante inserti post-inseriti (vedi Fig. 5). In
tal caso l’elemento da estrarre è costituito da un tassello meccanico che viene inserito su di un
foro di opportuno diametro realizzato mediante trapano a percussione.
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Per ogni punto di misura si eseguono 3 prove. Si assume come significativa la media delle F.
Una possibile correlazione tra forza di estrazione F [kN] e resistenza RF [N/mm2] è mostrata in
Fig. 7.
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50
45
40
35
30
RF[N/mm ]
2
25
20
15
10
0
0 5 10 15 20 25 30 35 40
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Prove di brake-off
Consistono nella determinazione della resistenza a trazione per flessione del calcestruzzo
secondo un piano parallelo alla superficie esterna del calcestruzzo stesso ma all’interno di
esso. A questo scopo delle casseforme tubolari a perdere vengono inserite nel calcestruzzo
fresco. Durante la prova la cassaforma viene rimossa ed il nucleo di calcestruzzo è portato a
rottura sulla superficie di fondo applicando una forza tangente alla superficie di getto. Il
metodo è rapido e semplice ed i risultati non sono influenzati dalle condizioni della superficie
del getto. In alternativa all’inserimento della cassaforma il foro può essere realizzato con un
trapano sul calcestruzzo indurito. La resistenza si ricava da correlazioni sperimentali.
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Fig. 9: Esempio di correlazione tra resistenza a compressione e pressione al manometro in una prova di
brake-off.
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Metodi magnetici
Sono disponibili commercialmente un gran numero di dispositivi magnetici portatili, alimentati a
batteria, per misurare il copriferro delle armature ed individuare la posizione delle barre.
I dispositivi fabbricati in Inghilterra ed in Olanda si chiamano “misuratori di ricoprimento” e
quelli francesi “pachometri”. Questa denominazione è quella più diffusa anche in Italia.
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Entrambi sono dispositivi magnetici e sono basati sul principio che la presenza dell’acciaio
influenza il campo di un elettromagnete.
Fig. 10: Esempio di prova con pacometro (alto), principio di funzionamento di un pacometro (basso).
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corrente alternata nota e si misura la corrente indotta sulla seconda. La corrente indotta
dipende dalla induttanza mutua delle due bobine e dalla vicinanza delle barre di armatura.
Un amperometro a bobina mobile misura la corrente indotta. Questi strumenti danno risultati
soddisfacenti solo per elementi debolmente armati.
Termografia infrarossa
La termografia infrarossa misura e registra l’emissione di calore da parte di una struttura.
Poiché l’emissione di calore è influenzata dalla presenza di fessure ed altre discontinuità, un
sensore termico è in grado di rilevare indirettamente tali disomogeneità sulla base delle
temperature presenti sulla superficie del materiale.
Per quanto riguarda le costruzioni di conglomerato cementizio armato, questa tecnica è stata
usata con successo nella determinazione del danneggiamento delle ciminiere, con minor
successo nelle solette dei ponti.
Le attrezzature più recenti consentono di ottenere buoni risultati in una vasta gamma di
applicazioni, quali la determinazione della orditura di solai di c.a., la individuazione di zone
piene nei solai, di cavità occulte, ecc.
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Assorbimento di microonde
Nel campo delle prove non distruttive si utilizzano microonde di frequenze comprese tra 100 e
1200 MHz. A causa della loro natura elettromagnetica esse possono essere riflesse, rifratte e
assorbite. Particolarmente efficiente è l’assorbimento di queste radiazioni da parte delle
molecole d’acqua, fenomeno che è alla base anche del funzionamento dei forni a microonde.
L’assorbimento di queste onde da parte dell’acqua ha condotto allo sviluppo di un metodo per
la valutazione del contenuto di umidità nel calcestruzzo e nella muratura. In sostanza si misura
l’attenuazione della radiazione trasmessa attraverso l’elemento in esame.
Tecniche radar
Le tecniche radar sono basate sulla riflessione delle microonde. Questa tecnica ha trovato la
prima applicazione nelle prove sulle pavimentazioni di calcestruzzo (soprattutto aeroportuali) in
considerazione della velocità di esecuzione. In anni recenti le indagini radar sono state
applicate anche alle murature.
Per l’esecuzione della prova si utilizzano treni di onde radar emessi in genere alla frequenza di
56 KHz (la frequenza delle onde è quella già detta in precedenza). Nell’intervallo tra un
impulso e l’altro (ogni 1/56000 secondi) l’antenna trasmittente si trasforma in ricevente
rivelando le riflessioni parziali ad ogni interfaccia, rappresentate da un cambiamento delle
proprietà dielettriche del materiale. I dati ricevuti vengono rappresentati su un tubo a raggi
catodici o registrati su carta. La scelta della frequenza radar dipende dalla profondità di
penetrazione e dal tipo di materiale.
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Lezione 15
Carotaggi
Le carote sono prelevate in-situ per una quantità di scopi, tutti comunque collegati alla analisi
della integrità delle strutture.
Il caso più frequente è quello in cui i risultati delle prove standard di caratterizzazione del
calcestruzzo (cubetti o cilindri) non forniscono i risultati di resistenza previsti in sede di
progetto oppure quando sussistono controversie sulla qualità del calcestruzzo. Le prove di
resistenza su carote costituiscono una prova diretta della qualità e delle caratteristiche del
materiale.
Ulteriore motivo è quello di servire come supporto per la calibrazione delle curve di
correlazione di prove non distruttive.
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Il valore di riferimento della lunghezza delle carote è due volte il diametro, come quello dei
provini cilindrici che si utilizzano per la misura della resistenza a compressione del
calcestruzzo. Qualora ciò non sia possibile si possono utilizzare, dopo opportune correzioni, i
risultati ottenuti da carote più corte.
In ogni caso, allo scopo di stimare la resistenza meccanica, è opportuno che il rapporto
lunghezza/diametro non scenda sotto valori di 0.9 ÷ 1.2.
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La lunghezza della carota effettivamente prelevata deve essere più grande della lunghezza da
utilizzare nella prova, allo scopo di poter eliminare le zone di calcestruzzo danneggiato in
corrispondenza della/delle basi.
In generale le carote dovrebbero essere abbastanza lunghe da consentire di scartare:
i 50 mm più esterni in tutti i casi;
il 20 % della lunghezza all’inizio ed alla fine.
Ma ciò è di rado possibile ed, in ogni caso, è abbastanza costoso. In particolare, nel caso di
piastre e lastre questo criterio può essere di difficile applicazione, mentre è preferibile usare
carote di diametro inferiore che carote che contengono calcestruzzo appartenente allo strato
superficiale, poco rappresentativo. Nella Fig. 2 è possibile osservare come la parte di destra,
vicina alla superficie esterna, mostri un calcestruzzo scadente.
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Per valori diversi del rapporto occorre fare riferimento a indicazioni di altre normative. Il
Concrete Society Digest No. 9 (UK) suggerisce di considerare il fattore moltiplicativo seguente
per ricavare la resistenza cubica:
per carote perforate in orizzontale:
C 2.5 1.5 1 /
1,30
1,25
1,20
Prelievo orizzontale
Fattore correttivo C
1,15
1,10
1,05
Prelievo verticale
1,00
0,95
0,90
1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 1,6 1,7 1,8 1,9 2,0
Le ASTM C/42C 42M – 99 e le AASHTO T 24 02 suggeriscono gli stessi valori del coefficiente
C (non trasformano a resistenza cubica e perciò sono numericamente più piccoli):
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c
1,75 0,98
1,50 0,96
1,25 0,93
1,00 0,87
per carote che contengono due barre: C2 1.0 1.5 r d c L
in cui:
r = diametro delle barre
c = diametro della carota
d = distanza dell’asse della barra dalla base più vicina della carota
L = lunghezza della carota (non incapsulata)
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- cls protetto dalla perdita di acqua per 12 giorni, poi lasciato asciugare in aria (curva 3);
- cls protetto dalla perdita di acqua per 5 giorni, poi lasciato asciugare in aria (curva 4);
- per cls lasciato asciugare in aria (curva 5).
La curva tratteggiata è rappresentativa delle condizioni medie in sito (è la curva da considerare
in mancanza di più precise informazioni).
Fig. 4: Variazione della resistenza a compressione del calcestruzzo in funzione di età ed ambiente di
maturazione.
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Esempio di applicazione
Una piastra di calcestruzzo ha una resistenza caratteristica di progetto (cubica) di 30 N/mm2.
Viene prelevata una carota in direzione verticale.
Diametro carota 100 mm (Area = 7854 mm2)
Lunghezza della carota 100 mm ( = 1.0)
La carota contiene una barra r 10 a 50 mm dal fondo
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Osservazioni circa la stima della resistenza meccanica in situ ottenuta su provini estratti per
carotaggio
La resistenza dei provini prelevati in situ generalmente è inferiore a quella dei provini standard
preparati nel corso della messa in opera del calcestruzzo e stagionati in condizioni standard.
Tale differenza è dovuta a fattori quali:
la procedura di compattazione,
la stagionatura,
l’effetto del prelievo.
In mancanza di esperienze dirette si può assumere che la resistenza caratteristica in situ
corrisponda a circa 0,85 volte la resistenza caratteristica del calcestruzzo messo in opera.
Il confronto tra la resistenza caratteristica ottenuta sui campioni ricavati per carotaggio e la
resistenza caratteristica del calcestruzzo messo in opera, deve essere fatto con molta
prudenza, in modo particolare nel caso in cui il prelievo del calcestruzzo dalla struttura sia
stato effettuato dopo una stagionatura (tempo e temperatura) non ben definita.
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Il giudizio delle caratteristiche del calcestruzzo in opera in base alla resistenza determinata su
carote prelevate deve tener conto inoltre che la resistenza alla compressione valutata sulla
carota è una resistenza “cilindrica” (se la carota ha = 2).
Si può assumere che la resistenza di un campione avente diametro compreso tra 100 e 150
mm, ottenuto per carotaggio, avente altezza eguale al diametro, abbia la medesima resistenza
di un equivalente provino cubico da 150 millimetri. Parallelamente si può assumere che la
resistenza di un campione ottenuto per carotaggio ed avente rapporto altezza – diametro
eguale a 2 abbia resistenza eguale a quella di un equivalente provino cilindrico.
Per rapporti dimensionali intermedi, in prima approssimazione, si possono applicare le
correlazioni discusse in precedenza.
Microcarotaggio
Il microcarotaggio permette di stimare la resistenza meccanica provando un numero elevato di
provini ( n 12 per ogni area di prova) di ridotte dimensioni ( h 28mm ). Pur con una
elevata dispersione dei singoli valori, il valore medio che si ottiene è una stima abbastanza
affidabile della resistenza a compressione del calcestruzzo dell’area di prova.
Questa tecnica è utile nei casi in cui non sia possibile prelevare carote aventi dimensioni
normali ( 50mm ), quali ad esempio:
elementi di piccolo spessore,
sezioni molto armate,
superfici che non sopportano il danno estetico prodotto da un prelievo classico.
Il microcarotaggio non risulta idoneo ad indagare calcestruzzi aventi resistenza 20 MPa,
dato che l’estrazione e la lavorazione delle superfici danneggerebbero i provini ed i risultati
non risulterebbero attendibili.
Le operazioni d’estrazione, di lavorazione dei campioni, di esecuzione delle prove a
compressione richiedono controlli accurati e devono essere effettuati da personale esperto e
qualificato. Il procedimento di prova è descritto in UNI 10766.
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Profondità di carbonatazione
La prova si basa sulla proprietà di un reagente chimico ad indicare, con variazione di colore, la
basicità di una soluzione acquosa presente su una superficie.
Generalmente è utilizzata una soluzione all’1% di fenolftaleina in alcool etilico. La fenolftaleina
vira al rosso al contatto con soluzioni il cui pH è maggiore di 9.2 e rimane incolore per valori di
pH minori, quali quelle del calcestruzzo carbonatato.
La prova può essere eseguita sia su campioni di calcestruzzo prelevati da un elemento sia su
superfici di frattura con bordi a vista. È fondamentale che sia disponibile un riscontro della
quota interna rispetto alla superficie esterna del calcestruzzo. L’esecuzione delle prove si
svolge secondo le seguenti modalità:
b) Nel caso di una superficie di frattura, la superficie da esaminare deve essere prodotta subito
prima di effettuare la prova, deve essere a bordi netti ed andamento possibilmente normale a
quella della superficie esterna. La superficie in esame deve essere pulita dalla presenza di
frammenti e detriti.
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La misura della quota della linea che demarca la superficie colorata deve essere eseguita
dopo un conveniente tempo di attesa (30 – 60 minuti) mediante un regolo e con la precisione
del millimetro ad intervalli equispaziati onde poter rilevare il valore minimo, medio e massimo.
Utile riferimento per l’esecuzione della prova è la UNI 9944 (il procedimento di prova è
dettagliatamente riportato sia nella documentazione della RILEM sia in alcuni progetti di
norma EN).
Fig. 5: Esempio di impiego della fenolftaleina per la valutazione della profondità di carbonatazione.
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su archi, volte e colonne) e nel controllo delle condizioni statiche di vecchie strutture in
muratura come ponti, dighe e tunnel. Di recente sono stati adottati alcuni accorgimenti di
carattere tecnologico che rendono possibile l’esecuzione delle prove con martinetti piatti anche
nei punti di difficile accesso e in particolare sui paramenti murari delle strutture di grandi
altezze (torri, campanili). Vengono utilizzati allo scopo tecnici coadiuvati da esperti rocciatori, i
quali sono in grado di eseguire la prova senza l’ausilio di ponteggi meccanici.
La tecnica dei martinetti piatti è di tipo parzialmente distruttivo poiché infligge all’opera un
danno molto ridotto e che può essere recuperato quasi completamente.
Due diversi tipi di prova possono essere effettuati a seconda dello scopo della misura:
prova con martinetto singolo per la determinazione dello stato di sollecitazione;
prova con martinetto doppio per la determinazione delle caratteristiche meccaniche.
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(a) (b)
Fig. 7: (a) Martinetto piatto rettangolare (40 x 20 x 0,8 cm), (b) Martinetti semicircolari di dimensione media
(34,5 x 25 x 0,4 cm) e grande (62,5 x 25 x 0,4 cm), (c) lettura con deformometro ad alta precisione.
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Oggi, con l’ausilio di tale tecnica, è possibile acquisire informazioni sul comportamento statico
della muratura, attraverso l’analisi dei seguenti parametri:
misura dello stato di sollecitazione esistente nelle strutture murarie;
determinazione delle caratteristiche di deformabilità;
valutazione delle caratteristiche di resistenza a compressione.
Può, inoltre, essere utilizzata per la valutazione dello stato conservativo delle murature e, in
certi casi, per la verifica dell’efficacia dell’intervento.
I martinetti piatti vengono, talvolta, lasciati all’interno della muratura durante gli interventi di
consolidamento in modo che funzionino come celle di pressione.
La prova, la cui durata complessiva è di circa 6 – 8 ore, si articola in due fasi distinte.
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A seguito del taglio si verifica un rilascio delle tensioni che genera l’instaurasi sia di un
cedimento micrometrico della muratura sovrastante a causa dei carichi, ossia una parziale
chiusura del taglio (Fig. 9), sia la nascita di un effetto arco che, ridistribuendo le tensioni,
garantisce la stabilità del parametro murario, dando origine ad una nuova configurazione di
equilibrio. La misura della convergenza e, quindi, l’entità dei cedimenti viene valutata mediante
una nuova lettura con deformometro.
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Fig. 10: Schema delle fasi di prova con martinetto piatto singolo, con taglio effettuato con sega a lama
circolare.
Quindi nel taglio viene inserito un martinetto piatto avente le stesse dimensioni del taglio; la
pressione dell’olio al suo interno viene incrementata gradualmente, fintanto che la spinta
esercitata dalla superficie esterna del martinetto sulle pareti in muratura del taglio annulla la
chiusura delle superfici, causata dal taglio, e quindi la convergenza misurata in precedenza.
L’istante in cui ciò avviene viene raggiunto quando le misure ai deformometri indicano le
stesse misure rilevate all’inizio della prova.
In queste condizioni la pressione all’interno del martinetto è pari alla sollecitazione
preesistente nella muratura, in direzione normale al piano del martinetto, a meno di una
costante che tiene conto del rapporto tra l’area del martinetto e quella del taglio e dell’influenza
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della saldatura di bordo del martinetto. L’intero iter di prova ora descritto è semplificato in Fig.
10.
Il valore dello stato di sollecitazione nel punto di prova è dato da:
Ka Km p (1)
dove:
K a = area martinetto/area del taglio;
K m = costante dipendente dalla rigidezza del martinetto (coefficiente di bordo). Può assumere
valori compresi tra 0.85 e 0.95, secondo la forma del martinetto (i valori vengono indicati dal
costruttore dell’apparecchio);
p = pressione del martinetto.
Al termine della prova il martinetto piatto può essere facilmente estratto e lo spessore di malta
ripristinato in modo da riportare la muratura alle condizioni originarie.
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Lezione 16
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Fig. 1: Disposizione dei martinetti piatti e delle basi di misura nella prova con doppio martinetto piatto.
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Fig. 2: Fasi di esecuzione delle prove con martinetto piatto semplice e doppio.
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La procedura seguita, a tal fine, prevede l’incremento del carico, ossia il graduale aumento di
pressione all’interno dei martinetti, fino all’insorgere delle prime lesioni nei mattoni. Si esegue
in sostanza una vera e propria compressione della porzione di muratura delimitata dai due
martinetti, costituente un ideale campione in opera, con tutti i vantaggi di una prova di
compressione in sito e tutte le condizioni al contorno reali. Il carico massimo può essere
portato fino al raggiungimento di pressioni di gran lunga superiori a quella iniziale, in modo da
ottenere indicazioni sulla resistenza della muratura.
Il valore della resistenza a compressione della muratura può essere stimato attraverso
l’estrapolazione della curva sforzo deformazione; in Fig. 3 è stato riportato un esempio di una
curva sforzo-deformazione ottenuta da una prova con martinetto doppio. L’effetto del
contenimento laterale del campione può essere valutato in laboratorio mediante prove di
taratura.
Fig. 3: Diagramma sforzi – deformazioni relativo ad una prova con doppio martinetto.
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Va sottolineato che, quando il campione è prossimo alle condizioni di rottura, appaiono solo
stati fessurativi locali in alcuni elementi che compongono la muratura, per cui il danno
apportato alla muratura stessa è da ritenersi trascurabile e riparabile.
Fig. 4: Prova con martinetto idraulico per la determinazione della resistenza a taglio.
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La strumentazione di prova richiesta, nella versione di prova più completa, consta di due
martinetti piatti e di un terzo martinetto di tipo idraulico a pistone. Ci si può tuttavia
accontentare di utilizzare il solo martinetto a pistone se non si vuole indagare l’effetto che il
carico verticale ha sulla resistenza a taglio dei ricorsi di malta.
Per l’esecuzione della prova viene estratto un mattone facente parte del prisma di muratura
compreso tra i due martinetti piatti e, nello spazio ricavato, viene collocato il martinetto
idraulico, il quale applica una sollecitazione di taglio al mattone adiacente. Il mattone scelto per
la prova viene preventivamente isolato con l’utilizzo di particolari tecniche (esecuzione di fori
orizzontali), rimuovendo la malta lungo i ricorsi verticali. In questo modo il mattone in esame
risulterà giuntato esclusivamente sui due piani orizzontali e sul piano verticale longitudinale
parallelo alla superficie esterna.
Nel martinetto idraulico inserito nella cavità lasciata dal mattone verrà effettuato un pompaggio
graduale dell'olio fino a raggiungere lo scorrimento del mattone sottoposto a prova. La
sollecitazione normale ai ricorsi di malta viene, invece, eventualmente variata mediante i due
martinetti piatti paralleli.
Fig. 5: Posizionamento delle basi di misura nella prova di taglio lungo i corsi di malta.
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Attraverso trasduttori elettrici o basi estensimetriche, applicati sulla superficie della muratura
secondo lo schema riportato in Fig. 5, vengono misurati gli scorrimenti relativi del mattone
rispetto ai ricorsi di malta e le deformazioni normali in direzione ortogonale ai ricorsi stessi.
Il valore della tensione è determinato con la seguente relazione:
T
(4)
2 A
dove:
T = forza applicata;
A = area della superficie del mattone.
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Fig. 6: Due diversi metodi per il taglio per il giunto di malta: con trapano per le murature in mattoni e con sega
circolare per le murature non regolari.
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Fig. 8: Possibili configurazioni delle basi estensimetriche per la misura dello stato di sollecitazione.
10 cm
Taglio 20
cm
1 2
3
L
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Taglio 10 cm
superiore
4 30 cm
Taglio
inferiore 1 2 3
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zone con paramenti murari compositi; inoltre, la presenza di fessure o movimenti della pietra
deve scoraggiare l’esecuzione della prova in quelle posizioni.
Al fine di individuare lo schema ottimale per l’esecuzione della prova, si riporta un raffronto,
tratto dalla letteratura, tra differenti schemi di strumentazione, effettuato con lo scopo di
individuare quelli più affidabili da utilizzare sia nella fase di misura dello stato di sollecitazione
che in quella di determinazione delle caratteristiche di deformabilità.
In Fig. 8 si riporta il raffronto tra i risultati ottenuti con quattro diversi schemi di strumentazione
nella fase di prova per la misura dello stato di sollecitazione. Sono stati esaminati due differenti
tipi di basi estensimetriche (20 cm e 40 cm) ubicate sia a cavallo del taglio che al di sopra del
taglio stesso.
Nei diagrammi riportati in corrispondenza di ciascuno schema di prova sono indicate le
differenze fra le deformazioni rilevate in fase di rilascio delle tensioni e quelle rilevate in fase di
carico. Si può osservare che le differenze risultano di modestissima entità nel caso della base
di misura da 20 cm a cavallo del taglio, mentre risultano decisamente più elevate per gli altri
casi esaminati.
Esempi di risultati di prove con martinetto singolo e doppio sono riportati nelle Figure 14 e 15.
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Fig. 2: Elementi da saldare di testa a completa penetrazione (in alto) ed esempi di cianfrinature (basso).
Per comprendere l’origine dei difetti nelle saldature conviene analizzare dapprima la struttura
di un giunto saldato, rappresentata in Fig.3. Si evidenzia una zona fusa (ZF), una zona
termicamente alterata (ZTA) e un materiale base (MB).
I principali difetti riscontrabili nelle saldature sono:
1- Cricche
2- Mancate penetrazioni o fusioni
3- Incollature
4- Inclusioni (scoria o gas)
5- Incisioni marginali
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Le cricche sono delle lesioni che si presentano nella zona di saldatura a causa dell'insorgere
di autotensioni generate da brusche variazioni termiche. Le cricche possono essere: 1) cricche
a freddo, che possono essere evitate preriscaldando i materiali o 2) cricche a caldo.
Le cricche a caldo sono delle fratture che si generano in zona fusa praticamente in qualsiasi
materiale (acciai ferritici ed austenitici, leghe di nichel e leghe di alluminio) nel corso della
solidificazione del metallo saldato. Hanno generalmente un andamento longitudinale rispetto al
cordone di saldatura e si generano a partire dal punto del cordone di saldatura che raffredda
più lentamente (normalmente il centro del cordone). Sono dovute alla presenza, nel bagno di
saldatura, di impurità bassofondenti (zolfo, fosforo) che, accumulandosi nelle zone del cordone
di saldatura a raffreddamento più lento, rimangono fuse (in virtù del loro basso punto di
fusione) quando il resto del materiale è già solidificato. Solidificando successivamente
generano delle cavità di ritiro (cricche di cratere). Le cricche a caldo possono essere dovute ad
un materiale base ad alto tenore di carbonio. Per prevenire la formazione di cricche a caldo è
necessario curare la pulizia dei lembi per non contaminare il bagno di saldatura con impurezze
bassofondenti (polvere e sporcizia in genere), ed operare in modo da ottenere un
raffreddamento rapido del giunto, per non dare il tempo alle eventuali impurezze di
accumularsi al centro del cordone. È inoltre sempre opportuno utilizzare materiali che abbiano
un intervallo fra liquido e solido quanto più ridotto possibile.
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Le cricche a freddo sono delle fratture che si generano una volta che il giunto é
completamente raffreddato. Esse si verificano quando le auto tensioni interne, dovute alla
contrazione impedita del bagno di fusione, superano la resistenza del materiale. Questo tipo di
cricca presenta un andamento generalmente trasversale rispetto al cordone di saldatura e
tende propagarsi anche nel materiale base. Si generano prevalentemente nella zona
termicamente alterata a causa della concomitanza di tre fattori: presenza di idrogeno (derivato
dall'umidità dei lembi o del materiale d'apporto), presenza nella matrice del materiale di "zone
di tempra" (dovute ad un raffreddamento del giunto troppo veloce), presenza di tensioni
residue (fenomeno in saldatura comunque inevitabile). Per scongiurare l'insorgere di cricche a
freddo è necessario utilizzare materiali d'apporto ben essiccati quando possibile (elettrodi e
flussi al rutilo non sopportano alte temperature di essiccazione) e operare un preriscaldo dei
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lembi per eliminare ogni traccia di umidità, rallentare la velocità di raffreddamento del giunto,
far dilatare impercettibilmente i lembi e diminuire così le tensioni residue. Può essere utile
anche un trattamento termico di distensione per ridurre al minimo le tensioni residue o di
preriscaldo per ridurre le velocità di raffreddamento.
Nel caso di cianfrinature asimmetriche, (tipo a V o a U), poiché i filetti superiori della saldatura
sono più lunghi di quelli della radice, la contrazione della parte fusa è maggiore nella parte più
esterna e decresce verso la radice centrale. Pertanto si viene a determinare una distorsione
(rotazione, serraggio, ecc.) dei pezzi saldati. Se questa distorsione è impedita possono
innescarsi le cricche poiché il ritiro dei filetti superiori è contrastato dalla presenza della parte
inferiore già solidificata. Se lo smusso è simmetrico (tipo a X), tale distorsione è sempre
impedita.
Le mancate penetrazioni consistono nel riempimento incompleto della parte inferiore del
cianfrino (radice) con il metallo d'apporto. Tale difetto può avvenire con o senza livellamento,
cioè una non complanarità delle superfici da saldare. L'inadeguata penetrazione può essere
dovuta anche a concavità interna. La concavità interna si forma quando il cordone della prima
passata ha fuso entrambi i bordi interni del cianfrino in corrispondenza della radice, ma al
centro questo risulta leggermente concavo cioè leggermente sotto la superficie interna dei
pezzi da saldare. Si definisce invece incompleta fusione la mancanza di legamento fra i
cordoni di saldatura o fra il metallo d'apporto ed il metallo base. L'incompleta fusione può
interessare sia la radice che la sommità del giunto fra il metallo d'apporto ed il metallo base.
I difetti di fusione possono essere causati da:
- un insufficiente apporto termico durante l'esecuzione della saldatura: in questo caso
non avviene la fusione di una o entrambe le parti da assemblare;
- un errato posizionamento della torcia saldante;
- lembi da saldate sporchi o eccessivamente ossidati.
Cricche
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Mancate penetrazioni
Incollature
Inclusioni
Incisioni marginali
Le incollature si presentano quando si forma uno strato di ossido tra la zona fusa e il lembo da
saldare. Questo strato determina una riduzione della resistenza meccanica del giunto.
Le inclusioni gassose sono vuoti, di diversa forma e dimensione, che si formano nella zona
fusa. Questi difetti vengono classificati come:
- pori di forma tondeggiante e dimensioni < 1 mm;
- soffiature di forma tondeggiante e dimensioni > 1 mm;
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- tarli o porosità vermicolare (wormhole porosity) di forma allungata ad una estremità che
si formano quando il gas fuoriesce attraverso il metallo depositato che sta solidificando.
L'incisione marginale è un solco scavato dal metallo liquido nel metallo base adiacente il
cordone esterno o di radice di una saldatura e che non viene riempito dal metallo di saldatura.
I principali difetti riscontrabili nelle saldature sono rappresentati in Fig. 6.
I controlli sugli elementi saldati si dividono in due categorie:
1- Controlli prima della costruzione (controlli indiretti)
2- Controlli dopo l’esecuzione delle saldature (controlli diretti)
Appartengono ai controlli indiretti:
1- Esame documenti tecnici
2- Prove di qualificazione saldatori
3- Prove di saldabilità del materiale
4- Prove di omologazione dei materiali d’apporto
5- Prove di qualificazione dei procedimenti
Sono invece controlli diretti:
1- Esame visivo (UNI EN 970)
2- Liquidi penetranti (UNI EN 1289)
3- Esame magnetoscopico (UNI EN 1290)
4- Esame ultrasonoro (UNI EN 1714)
5- Esame radiografico (UNI EN 1435)
La prova con liquidi penetranti consente di rilevare le cricche superficiali attraverso l’utilizzo di
un liquido penetrante e un liquido rilevatore (Fig. 6). Una volta pulita la superficie da indagare,
si applica un liquido in grado di penetrare all’interno di eventuali cricche e difetti superficiali.
Successivamente si asporta la parte di liquido in eccesso sulla superficie utilizzando un panno.
In questo modo rimarrà il solo liquido eventualmente contenuto nelle cricche superficiali.
L’applicazione di un rilevatore, cioè di un secondo liquido che vira di colore in presenza del
primo, sarà possibile visualizzare gli eventuali difetti.
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L’esame ultrasonoro, analogo qualitativamente alla prova con ultrasuoni vista per i
calcestruzzi, consente di rilevare difetti in profondità misurando le eco riflesse di onde
ultrasoniche (Fig. 8). Con riferimento alla figura 8, la presenza dell’eco è una spia della
presenza del difetto che può essere localizzato conoscendo le dimensioni del pezzo
esaminato.
L’esame radiografico, infine, consiste nell’investire il pezzo mediante un fascio di raggi X
disponendo dalla parte opposta una pellicola fotografica. Eventuali difetti appariranno come
zone più scure sulla pellicola impressionata.
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Lezione 17
Ogni opera strutturale deve essere collaudata prima di poter essere utilizzata nel rispetto
dell’art. 7 della Legge n. 1086 del 5 novembre 1971.
In sintesi tale articolo prescrive:
- tutte le opere di c.a, di c.a.p ed a struttura metallica debbono essere sottoposte a collaudo
statico;
- il collaudo deve essere eseguito da un ingegnere od un architetto iscritto all’albo da almeno
10 anni e che non sia intervenuto nella progettazione, direzione ed esecuzione dell’opera;
- la nomina del Collaudatore spetta al Committente, che deve comunicarla al Genio Civile
entro 60 giorni dal termine dei lavori. Nel caso di assenza del Committente che si verifica
quando l’Impresa costruttrice costruisce in proprio, sarà quest’ultima a scegliere il Collaudatore
all’interno di un elenco di 3 nominativi fornito dall’Ordine degli Ingegneri o dall’Ordine degli
Architetti competenti per Provincia;
- il Collaudatore deve redigere 2 copie del certificato di collaudo e trasmetterle all’Ufficio del
Genio Civile che ne restituisce una copia protocollata da consegnare al Committente.
La Legge 1086 non specifica nel dettaglio i compiti del Collaudatore, rimandando ai D.M. di
applicazione che vengono emessi periodicamente. Attualmente, come noto, vige il D.M. 14
gennaio 2008 “Norme tecniche per le costruzioni”. Esso specifica peraltro che la necessità del
collaudo non è limitata alle strutture in c.a., c.a.p. e acciaio ma vale per tutte le strutture in
generale.
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Il collaudo è un prerequisito indispensabile per l’uso delle strutture (l’uso senza collaudo è
reato). La Legge non prevede l’ipotesi di collaudo con esito negativo, né può esistere un
collaudo parziale sotto condizione.
La Legge 1086 prescrive poi che vengano consegnati al Collaudatore (art. 4 e 6):
a) il progetto dell’opera, firmato dal Progettista, dal quale risultino i calcoli eseguiti, le
dimensioni ed il tipo delle strutture, le condizioni di sollecitazione;
b) una relazione illustrativa, firmata dal Progettista e dal Direttore dei Lavori, dalla quale
risultino le caratteristiche dei materiali impiegati;
c) una relazione redatta dal Direttore dei Lavori contenente:
- i certificati delle prove sui materiali, emessi da un laboratorio ufficiale o autorizzato;
- per le opere di c.a.p. indicazioni sulla tesatura dei cavi e sul sistema di messa in
tensione;
- l’esito delle eventuali prove di carico.
Le NTC 2008 si occupano del collaudo al Capitolo 9. Tale capitolo è diviso in due paragrafi:
- 9.1 prescrizioni generali (uguale per tutti i materiali);
- 9.2 prove di carico (differenziato per i diversi materiali).
Il paragrafo “Prescrizioni generali” specifica che:
- Il collaudo statico riguarda il giudizio sul comportamento e le prestazioni delle parti
dell’opera che svolgono funzione portante.
- Il collaudo statico, tranne casi particolari, va eseguito in corso d’opera quando vengono
posti in opera elementi strutturali non più ispezionabili, controllabili e collaudabili a
seguito del proseguire della costruzione.
- Le opere non possono essere poste in esercizio prima dell’effettuazione del collaudo
statico.
Inoltre, all’interno del Capitolo 9, il Legislatore delinea i compiti del Collaudatore:
- controllo di quanto prescritto per le opere eseguite sia con materiali regolamentati dal
DPR 6.6.2001 n. 380, leggi n. 1086/71 e n. 64/74 sia con materiali diversi;
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- ispezione dell’opera nelle varie fasi costruttive degli elementi strutturali ove il
collaudatore sia nominato in corso d’opera, e dell’opera nel suo complesso, con
particolare riguardo alle parti strutturali più importanti. L’ispezione dell’opera deve
essere eseguita alla presenza del Direttore dei lavori e del Costruttore, confrontando in
contraddittorio il progetto depositato in cantiere con il costruito. Il Collaudatore deve
inoltre controllare che siano state messe in atto le prescrizioni progettuali e siano stati
eseguiti i controlli sperimentali. Quando la costruzione è eseguita in procedura di
garanzia di qualità, il Collaudatore deve prendere conoscenza dei contenuti dei
documenti di controllo qualità e del registro delle non-conformità.
- esame dei certificati delle prove sui materiali, articolato:
o nell’accertamento del numero dei prelievi effettuati e della sua conformità alle
relative prescrizioni (illustrate nel seguito);
o nel controllo che i risultati ottenuti delle prove siano compatibili con i criteri di
accettazione fissate dalla Normativa e illustrate nel seguito;
- esame dei certificati di cui ai controlli in stabilimento e nel ciclo produttivo, previsti dalle
NTC;
- controllo dei verbali e dei risultati delle eventuali prove di carico fatte eseguire dal
Direttore dei lavori.
Il Collaudatore, nell’ambito delle sue responsabilità, deve inoltre:
- esaminare il progetto dell’opera, l’impostazione generale, della progettazione nei suoi
aspetti strutturale e geotecnico, gli schemi di calcolo e le azioni considerate;
- esaminare le indagini eseguite nelle fasi di progettazione e costruzione come prescritte
dalle NTC 2008;
- esaminare la relazione a strutture ultimate del Direttore dei lavori, ove richiesta;
Infine, nell’ambito della propria discrezionalità, il Collaudatore potrà richiedere:
- di effettuare tutti quegli accertamenti, studi, indagini, sperimentazioni e ricerche utili per
formarsi il convincimento della sicurezza, della durabilità e della collaudabilità
dell’opera, quali in particolare:
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prove di carico;
prove sui materiali messi in opera, anche mediante metodi non distruttivi;
monitoraggio programmato di grandezze significative del comportamento
dell’opera daproseguire, eventualmente, anche dopo il collaudo della
stessa.
Prove di carico
Le prove di carico, ove ritenute necessarie dal Collaudatore, servono ad identificare la
corrispondenza del comportamento teorico e quello sperimentale. Esse vanno eseguite dopo
che sia stata raggiunta la resistenza prevista nel progetto (nel caso di strutture in c.a. non
prima di 28 giorni dopo la data di getto). Il programma delle prove deve essere sottoposto al
Direttore dei Lavori per l’attuazione e notificato al Progettista e al Costruttore. Le prove di
carico si devono svolgere con le modalità indicate dal collaudatore che se ne assume la piena
responsabilità, mentre, per quanto riguarda la loro materiale attuazione ed in particolare per le
eventuali puntellazioni precauzionali, è responsabile il Direttore dei Lavori.
I carichi di progetto devono essere, di regola, tali da indurre le sollecitazioni massime di
esercizio per combinazioni rare.
Il giudizio sull’esito della prova è responsabilità del Collaudatore. L’esito delle prove potrà
essere valutato sulla base dei seguenti elementi:
- le deformazioni si accrescano all’incirca proporzionalmente ai carichi;
- nel corso della prova non si siano prodotte fratture, fessurazioni, deformazioni o dissesti
che compromettono la sicurezza o la conservazione dell’opera;
- la deformazione residua dopo la prima applicazione del carico massimo non superi una
quota parte di quella totale commisurata ai prevedibili assestamenti iniziali di tipo
anelastico della struttura oggetto della prova. Nel caso invece che tale limite venga
superato, prove di carico successive devono indicare che la struttura tenda ad un
comportamento elastico.
- la deformazione elastica risulti non maggiore di quella calcolata.
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Il normatore specifica inoltre alcune peculiarità delle prove di carico eseguite su strutture
prefabbricate, ponti stradali e ponti ferroviari.
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Lavori o di un tecnico di sua fiducia che provvede alla redazione di apposito verbale di prelievo
e dispone l’identificazione dei provini mediante sigle, etichettature indelebili, ecc.; la
certificazione effettuata dal laboratorio prove materiali deve riportare riferimento a tale verbale.
La domanda di prove al laboratorio deve essere sottoscritta dal Direttore dei Lavori e deve
contenere precise indicazioni sulla posizione delle strutture interessate da ciascun prelievo.
Le prove non richieste dal Direttore dei Lavori non possono fare parte dell’insieme statistico
che serve per la determinazione della resistenza caratteristica del materiale.
Le prove a compressione vanno eseguite conformemente alle norme UNI EN 12390-3:2003.
La normativa specifica inoltre le informazioni che debbono essere contenute all’interno dei
certificati di prova emessi dai laboratori.
L’opera o la parte di opera non conforme ai controlli di accettazione non può essere accettata
finché la non conformità non è stata definitivamente rimossa dal costruttore, il quale deve
procedere ad una verifica delle caratteristiche del calcestruzzo messo in opera mediante
l’impiego di altri mezzi d’indagine, secondo quanto prescritto dal Direttore dei Lavori e
conformemente a quanto indicato nel paragrafo § 11.2.6 (controllo della resistenza del
calcestruzzo in opera). Qualora gli ulteriori controlli confermino i risultati ottenuti, si dovrà
procedere ad un controllo teorico e/o sperimentale della sicurezza della struttura interessata
dal quantitativo di calcestruzzo non conforme, sulla base della resistenza ridotta del
calcestruzzo. Ove ciò non fosse possibile, ovvero i risultati di tale indagine non risultassero
soddisfacenti si può dequalificare l’opera, eseguire lavori di consolidamento ovvero demolire
l’opera stessa. I “controlli di accettazione” sono obbligatori ed il collaudatore è tenuto a
controllarne la validità, qualitativa e quantitativa; ove ciò non fosse, il collaudatore è tenuto a
far eseguire delle prove che attestino le caratteristiche del calcestruzzo, seguendo la
medesima procedura che si applica quando non risultino rispettati i limiti fissati dai “controlli di
accettazione”.
Controllo della resistenza del calcestruzzo in opera
Nel caso in cui le resistenze a compressione dei provini prelevati durante il getto non
soddisfino i criteri di accettazione della classe di resistenza caratteristica prevista nel progetto,
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oppure sorgano dubbi sulla qualità e rispondenza del calcestruzzo ai valori di resistenza
determinati nel corso della qualificazione della miscela, oppure si renda necessario valutare a
posteriori le proprietà di un calcestruzzo precedentemente messo in opera, si può procedere
ad una valutazione delle caratteristiche di resistenza attraverso una serie di prove sia
distruttive che non distruttive. Tali prove non devono, in ogni caso, intendersi sostitutive dei
controlli di accettazione.
Il valor medio della resistenza del calcestruzzo in opera (definita come resistenza strutturale) è
in genere inferiore al valor medio della resistenza dei prelievi in fase di getto maturati in
condizioni di laboratorio (definita come resistenza potenziale). È accettabile un valore medio
della resistenza strutturale, misurata con tecniche opportune (distruttive e non distruttive) e
debitamente trasformata in resistenza cilindrica o cubica, non inferiore all’85% del valore
medio definito in fase di progetto.
Per la modalità di determinazione della resistenza strutturale si potrà fare utile riferimento alle
norme UNI EN 12504-1:2002, UNI EN 12504-2:2001, UNI EN 12504-3:2005, UNI EN 12504-
4:2005 nonché alle Linee Guida per la messa in opera del calcestruzzo strutturale e per la
valutazione delle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo pubblicate dal Servizio Tecnico
Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
Prove Complementari
Sono prove che eventualmente si eseguono al fine di stimare la resistenza del calcestruzzo in
corrispondenza a particolari fasi di costruzione (precompressione, messa in opera) o
condizioni particolari di utilizzo (temperature eccezionali, ecc.).
Il procedimento di controllo è uguale a quello dei controlli di accettazione.
Tali prove non possono però essere sostitutive dei “controlli di accettazione” che vanno riferiti
a provini confezionati e maturati secondo le prescrizioni precedenti.
I risultati di tali prove potranno servire al Direttore dei Lavori od al collaudatore per formulare
un giudizio sul calcestruzzo in opera qualora non sia rispettato il “controllo di accettazione”.
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I controlli di accettazione in cantiere sono obbligatori, devono essere effettuati entro 30 giorni
dalla data di consegna del materiale e devono essere campionati, nell’ambito di ciascun lotto
di spedizione, in ragione di 3 spezzoni, marchiati, di uno stesso diametro, scelto entro ciascun
lotto, sempre che il marchio e la documentazione di accompagnamento dimostrino la
provenienza del materiale da uno stesso stabilimento. In caso contrario i controlli devono
essere estesi ai lotti provenienti da altri stabilimenti.
I valori di resistenza ed allungamento di ciascun campione, accertati in accordo con quanto
stabilito dalle NTC 2008, da eseguirsi comunque prima della messa in opera del prodotto
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riferiti ad uno stesso diametro, devono essere compresi fra i valori massimi e minimi riportati
nella tabella 11.3.VI.
Nel caso di campionamento e prova in cantiere, qualora la determinazione del valore di una
quantità fissata non sia conforme al valore di accettazione, il valore dovrà essere verificato
prelevando e provando tre provini da prodotti diversi nel lotto consegnato.
Se un risultato è minore del valore prescritto, sia il provino che il metodo di prova devono
essere esaminati attentamente. Se nel provino è presente un difetto o si ha ragione di credere
che si sia verificato un errore durante la prova, il risultato della prova stessa deve essere
ignorato. In questo caso occorrerà prelevare un ulteriore (singolo) provino.
Se i tre risultati validi della prova sono maggiori o uguali del prescritto valore di accettazione, il
lotto consegnato deve essere considerato conforme. Se i criteri sopra riportati non sono
soddisfatti, 10 ulteriori provini devono essere prelevati da prodotti diversi del lotto in presenza
del produttore o suo rappresentante che potrà anche assistere all’esecuzione delle prove.
Il lotto deve essere considerato conforme se la media dei risultati sui 10 ulteriori provini è
maggiore del valore caratteristico e i singoli valori sono compresi tra il valore minimo e il valore
massimo secondo quanto sopra riportato. In caso contrario il lotto deve essere respinto e il
risultato segnalato al Servizio Tecnico Centrale.
Il prelievo dei campioni va effettuato a cura del Direttore dei Lavori o di tecnico di sua fiducia
che deve assicurare, mediante sigle, etichettature indelebili, ecc., che i campioni inviati per le
prove al laboratorio incaricato siano effettivamente quelli da lui prelevati.
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Lezione 18
Il carico
La maggiore difficoltà che si incontra nella esecuzione delle prove di carico, sia per i solai di
edifici per civili abitazioni che industriali, è l’approvvigionamento del carico necessario,
specialmente se le prove si eseguono quando il cantiere è in fase di smobilitazione o dopo la
chiusura dei lavori.
I materiali tradizionali con cui si realizza il carico sono sacchi di cemento o inerti sfusi, pietrisco
e sabbia. I primi, oltre a poter costituire un grosso onere economico a causa delle perdite di
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cemento per la rottura di sacchi o altri inconvenienti, possono produrre notevoli vibrazioni delle
strutture se vengono disposti sul solaio con poca cura. Del materiale sfuso è difficile
determinare il peso specifico apparente, che può variare per effetto del suo grado di umidità.
Tutti questi inconvenienti si eliminano adoperando contenitori, molto leggeri, da riempire di
acqua. In questo modo si realizza un carico di valore ben determinato, uniformemente ripartito
e che può essere fatto variare con gradualità senza l’intervento di manodopera.
Sono di produzione corrente contenitori circolari di plastica, di forma tronco-conica, di capacità
100 l con diametro massimo di 50 cm ed alti circa 70 cm. Il diametro limitato consente di
caricare superfici di qualsiasi grandezza. Con tali contenitori, che pieni pesano 100 kg, è facile
ottenere sovraccarichi massimi di 400 kg/m2, disponendone 4 per m2. Ove sia necessario si
può realizzare un carico fino a 1200 kg/m2 sovrapponendone tre serie.
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Si fissa un chiodo filettato nella struttura da provare, avvitando alla sua estremità uno snodo
sferico che garantisce la verticalità del rinvio. Si dispongono le aste metalliche, costituite da
elementi di varie lunghezze avvitate tra di loro. Il comparatore, disposto su di un supporto
metallico, viene messo in contrasto con il rinvio introducendo la punta della vite regolabile nel
foro dell’asticciola scorrevole.
I plessimetri possono essere disposti con le stesse modalità di applicazione descritte per i
comparatori oppure utilizzando un filo metallico. In questo caso il montaggio si effettua
fissando un chiodo filettato in corrispondenza della sezione di cui si vuole lo spostamento,
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avvitando ad esso un gancio metallico. A questo gancio si fissa il filo di rinvio che viene tenuto
teso mediante un peso. Il filo è successivamente reso solidale all’asta scorrevole del
flessimetro.
Le deformazioni locali prodotte dai carichi applicati possono essere determinate mediante
estensimetria o per mezzo di deformometri meccanici nei casi più semplici.
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Fig. 2: Andamento temporale dell’intensità del carico applicato nelle prove di carico.
Nella fase di carico si utilizzano varie aliquote intermedie, comunque in numero superiore a 4,
in modo da poter tracciare un buon diagramma carico – spostamento per verificare con
certezza se le deformazioni si accrescono all’incirca linearmente all’aumentare dei carichi.
Mantenuta la struttura sotto carico costante per 1415 ore, dando così al carico la possibilità
di produrre anche le deformazioni lente non viscose di natura plastica, si procede allo scarico
realizzando, se possibile, le stesse condizioni intermedie della fase di carico.
A volte può essere necessario effettuare letture per le successive 20 ore dopo il termine dello
scarico, poiché il ritorno delle strutture alle condizioni precedenti all’applicazione del carico può
essere molto lento. D’altra parte il valore delle deformazioni residue è determinante ai fini del
giudizio della prova. A tal proposito la normativa prescrive che, dopo la prima applicazione del
carico massimo, la deformazione residua non deve superare una quota parte di quella totale.
Nel caso, invece, che tale limite venga superato, prove successive devono accertare che la
struttura tenda ad un comportamento elastico.
Quando si debbano sottoporre a prova solai di copertura esposti all’azione di raggi solari è
indispensabile depurare i risultati ottenuti dall’effetto delle variazioni termiche. Questo
problema può essere risolto applicando gli strumenti di misura ed eseguendo letture, a
struttura scarica nelle varie ore della giornata per uno o due giorni precedenti quello di inizio
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prova, possibilmente con le stesse condizioni climatiche. Altra possibilità è quella di fare le
prove durante le ore notturne.
Valori ricorrenti degli spostamenti massimi sono i seguenti (valori medi su circa 200 prove):
Strutture di c.a.
strutture senza pavimento – luce 5 m
- solai (l / 9000) 0.556 mm
- solai a sbalzo (l / 3000) 1.667 mm
- travi (l / 13000) 0.385 mm
- travi a spessore (l / 9000) 0.556 mm
strutture con pavimento – luce 5 m
- solai (l / 20000) 0.250 mm
- solai a sbalzo (l / 7000) 0.714 mm
- travi (l / 29000) 0.172 mm
- travi a spessore (l / 20000) 0.250 mm
Strutture metalliche
- solai senza pavimentazione (l / 1100) 0.556 mm
- travi senza pavimentazione (l / 430) 11.628 mm
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Prendendo come esempio un fabbricato per civile abitazione, è opportuno sottoporre a verifica
sperimentale almeno un balcone, una rampa di scale ed una zona di solaio, per le strutture in
elevazione ed un palo, se ce ne sono, per quelle di fondazione.
Non rientra nella pratica tecnica l’esecuzione di prove di carico su fondazioni superficiali
(dirette).
Un esempio di prova di carico è rappresentata in Fig. 3.
Ad esempio si possono disporre comparatori centesimali nei punti di misura individuati con i
numeri da 1 a 18 ed estensimetri meccanici al numero 19 (calcestruzzo) ed al numero 20
(acciaio). La disposizione adottata per i comparatori n. 10 e 13 consente anche di valutare la
rotazione torsionale della trave.
Come condizioni di carico è opportuno realizzare almeno due combinazioni: la prima produce i
massimi momenti negativi nella parte a sbalzo e nel solaio, la seconda il massimo impegno
della trave di bordo e la terza i massimi momenti positivi sulla campata di solaio.
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Fig. 4: Configurazione della strumentazione in una prova di carico di una rampa scale con travi a ginocchio.
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Fig. 5: Configurazione della strumentazione in una prova di carico di una rampa scale con soletta rampante.
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presentano, invece, maggiori difficoltà sia perché gli spostamenti sono piccoli, sia perché è
difficile disporre di punti fissi di contrasto per gli strumenti. Nei primi si possono adottare le
stesse metodologie strumentali descritte per i solai ove si operi all’intradosso dell’impalcato.
Quando, invece, si opera all’estradosso occorre far ricorso alle livellazioni. Il caso dei ponti ad
arco, può essere tralasciato poiché poco frequente nei ponti di nuova costruzione.
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Il rapporto tra i valori ottenuti allo stesso strumento di lettura in condizioni dinamiche ed in
condizioni statiche fornisce il coefficiente dinamico per la sezione esaminata:
wdin
(1)
wstat
Per i ponti ferroviari di qualsivoglia tipologia strutturale, le prove risultano di più semplice
esecuzione, poiché è sufficiente far transitare il locomotore o il treno di prova a varie velocità
fino a quella massima consentita nella tratta e facendolo anche frenare bruscamente alla
velocità che è risultata più gravosa.
È comunque sempre opportuno effettuare per qualsiasi tipologia strutturale e per qualsiasi
funzione dell’opera, servizio stradale o ferroviario, la prova di tipo statico tendente a produrre
le massime sollecitazioni e deformazioni statiche con carichi applicati di intensità pari a ai
valori fissati dalla normativa, moltiplicati per il coefficiente dinamico, sempre di normativa.
Elaborazioni statistiche di un numero elevato di prove di carico reali hanno fornito i seguenti
valori medi dello spostamento massimo in mezzeria, con variazioni massime rispetto alla
media non superiori al 50%:
- ponti di c.a. l / 8500
- ponti di c.a.p. l / 2000
Esmpi di prove di carico sono riportati nelle Figg. 8-9-10.
Fig. 8: Prova di carico su solaio in cap con materassini ad acqua, comparatori meccanici e filo invar
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Lezione 19
La giustificazione delle prime basilari proposizioni della teoria dei modelli relative alla
similitudine meccanica, ristretta a sistemi elastici pesanti in equilibrio, risale a Galilei:
è impossibil cosa costruire due fabbriche dell’istessa materia simili, e diseguali, e tra loro con
egual proporzioni resistenti.
Inoltre, riferendosi al caso di un’asta incastrata orizzontalmente in un muro, lo stesso Galilei
rilevava che si poteva giungere a proporzionarne una unica capace di sorreggere esattamente
il proprio peso …e nulla di più: ma tutte le maggiori si fiaccheranno, e le minori saranno potenti
a sostenere oltre al proprio peso qualche altro appresso.
Per modelli intendiamo riproduzioni in scala ridotta di strutture, contrapposti ai prototipi che
sono invece in vera grandezza.
Può apparire strano, considerato lo sviluppo raggiunto dal calcolo automatico delle strutture,
che si faccia ricorso oggi alla sperimentazione su modelli. Non è però così in quanto il calcolo
automatico non fa altro che esplicitare le conseguenze delle informazioni che noi abbiamo
inserito nel modello di calcolo. Non aggiunge, per così dire, nulla di suo.
Esistono pertanto delle situazioni nelle quali trova valida applicazione l’analisi sperimentale
condotta su modelli:
a) Formulazione di leggi empiriche nei casi in cui non esiste una teoria adeguata del
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Le scelte effettuate in ciascuna di queste fasi sono naturalmente strettamente dipendenti l’una
dall’altra.
Un problema fisico sia descritto da un certo numero di equazioni in cui siano presenti n
grandezze fisiche gk, se le grandezze fondamentali dimensionalmente indipendenti sono q (nel
caso dei problemi meccanici le grandezze fondamentali sono: massa, tempo e lunghezza, cioè
q=3) allora il problema può essere completamente descritto da n-q=m rapporti adimensionali
πk. Inoltre, ciascuno di questi rapporti adimensionali è funzione dei restanti m - 1 rapporti
adimensionali.
In sintesi si ha:
g 1 f1 g 2 , g 3 , ,gn sistema fisico
g 2 f2 g 1 , g 3 , ,gn
Teorema diBuckingham
(1)
1 1 2 , 3 , , m con m n - q
2 2 1 , 3 , , m
m 3 1 , 2 , , m 1
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Tale teorema si può applicare tanto al prototipo che al modello ed avremo ad esempio per il
primo rapporto adimensionale:
1 p 1 2 p , 3 p ,..., mp prototipo
(2)
1M 1 2M , 3M ,..., mM mod ello
Sia ad esempio π1 il termine che si vuole misurare, affinché risulti 1 p 1M (scopo della
progettazione del modello, criterio di similitudine soddisfatto) occorre che siano uguali i
secondi membri e quindi che si abbia:
2 p 2M
3 p 3M
... m 1 relazioni (3)
...
mp mM
Queste relazioni costituiscono le equazioni di progetto del modello: l’operatore è libero, nella
costruzione di un modello, di scegliere a piacere i rapporti fra le grandezze fondamentali,
mentre dovrà rispettare, per le grandezze derivate, le equazioni di progetto.
Se tutte le condizioni di progetto sono soddisfatte, il modello viene detto completo, in caso
contrario si hanno modelli distorti; la similitudine è allora soltanto parziale e la equazione di
predizione ( 1 p 1M ) può essere notevolmente alterata.
È importante sottolineare che nello studio su modello non è affatto necessario conoscere le
effettive funzioni k . (nel qual caso il modello sarebbe superfluo), tutto ciò che serve è
Esempio:
Sulla base del Teorema di Buckingham è possibile studiare un fenomeno, come il flusso di una
corrente d’aria che incide su un cilindro fisso di lunghezza indefinita, con un solo grafico
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La teoria dei modelli si occupa di come sia possibile ricavare il maggior numero di informazioni
dal minor numero di esperienze e di estendere e generalizzare i risultati ottenuti sui modelli ai
prototipi tramite leggi di valenza generale. La teoria dei modelli si compone dei seguenti
pilastri:
1. Analisi dimensionale
2. Teoria della similitudine
Analisi dimensionale
L’analisi dimensionale è la disciplina che si occupa dello studio delle dimensioni delle
grandezze fisiche. Essa si applica nella teoria dei modelli al fine di limitare il numero delle
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grandezze occorrenti per descrivere un dato fenomeno fisico. A tale scopo si fa ricorso al
Teorema di Buckingham, visto nella lezione scorsa, che consente di sostituire il set originale di
variabili con un numero minimo di gruppi non dimensionali che possono essere utilizzati per
descrivere compiutamente il fenomeno fisico in esame. I vantaggi dell’analisi dimensionale
sono:
- L’uso di gruppi adimensionali risulta universale. Una relazione che coinvolge gruppi
adimensionali è infatti indipendente dal sistema di riferimento, dalla scala o dalla
grandezza del problema. Una legge in variabili adimensionali risulta unica.
- Il numero dei gruppi adimensionali utilizzati per descrivere un problema risulta sempre
minore delle variabili originali. Le relazioni risultano pertanto più semplici e il lavoro per
la rappresentazione o ricerca di una legge fisica risulta molto minore se si usano gruppi
adimensionali invece che le variabili indipendenti.
- L’uso di gruppi adimensionali consente di trasferire le informazioni rilevate da prove in
scala su modelli al prototipo reale verificando chiaramente i vincoli di similitudine
geometrica, cinematica e dinamica.
Risulta importante ribadire che l’analisi dimensionale non consente di definire le leggi fisiche,
ma solo di raggruppare le variabili nel modo più conveniente possibile. La legge fisica deve
comunque essere ricavata per via teorica o sperimentale. Vediamo quali sono i passi
fondamentali dell’analisi dimensionale con riferimento a due esempi.
Esempio 1
Caratterizzare il moto di un fluido viscoso incomprimibile in un condotto a mezzo dell’analisi
dimensionale.
L0
1. Identificazione delle variabili o parametri che influenzano il problema.
Si considerano importanti per lo studio del problema le seguenti variabili:
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Grandezza Dimensioni
V LT-1
Δp MT-2L-1
D L
L0 L
ε L
ρ ML-3
μ MT-1L-1
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conviene farla in modo tale che i gruppi adimensionali che ne risultano siano il più possibile
significativi. Occorre inoltre tenere presente che nessuna coppia di variabili di riferimento deve
avere le stesse dimensioni e tutte le dimensioni fondamentali devono comparire almeno una
volta nelle variabili di riferimento scelte. Nel problema in esame può risultare conveniente, ad
esempio, scegliere le seguenti grandezze di riferimento: D, V, ρ.
4. Risoluzione delle equazioni dimensionali.
Assegnate le variabili di riferimento, si invertono le relazioni dimensionali che le caratterizzano
in modo da ricavare un’espressione che possa rappresentare, a mezzo delle variabili scelte,
tutte le dimensioni fondamentali che caratterizzano il problema in esame:
D L, V LT 1 , ML3
L D
T=L/ V D / V (4)
M= L3 D
3
D D / V
2 2
LT
L D (5)
D D V
3
M
LT D D / V
6. Definizione dei gruppi adimensionali
Le equazioni ricavate al punto 5 sono delle identità dimensionali e quindi dividendo un membro
con l’altro si ottengono tanti gruppi adimensionali quante sono le relazioni sopra impostate:
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L0
1 rapporto di lunghezza
D
p
2 coefficiente di pressione
V 2
(6)
3 scabrezza relativa
D
VD
4 numero di Reynolds
La descrizione del flusso nei condotti sarà dunque esprimibile tramite una relazione del tipo:
2 1 , 3 , 4
p L0 VD (7)
, ,
V 2 D D
Che potrà essere determinata su base sperimentale. Nel caso ad esempio di condotti molto
lunghi, nella (7) scomparirà la dipendenza da L0, e dunque 1 , e si avrà (ripetendo i passaggi):
D p VD
, (7bis)
L V 2
D
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Dove a primo membro compare un coefficiente di attrito f. La (7bis) come noto si esprime
nell’abaco di Moody (Fig. 1).
Esempio 2
Si voglia studiare la caduta libera di un grave.
1. Identificazione delle variabili o parametri che influenzano il problema.
Si considerano importanti per lo studio del problema le seguenti variabili:
- Vf: velocità al suolo
- H: altezza di caduta del grave
- M0: massa del grave
- ΔT: durata del moto
- g: accelerazione di gravità
2. Conteggio delle dimensioni fondamentali.
Come nel caso dell’esempio 1 le dimensioni fondamentali sono 3: L, M, T. Per il Teorema di
Buckingham il problema può essere compiutamente descritto per mezzo di 5-3=2 rapporti
adimensionali.
3. Selezione delle variabili di riferimento.
Scegliamo le seguenti grandezze di riferimento: H, M0, ΔT.
4. Risoluzione delle equazioni dimensionali.
Assegnate le variabili di riferimento, si invertono le relazioni dimensionali che le caratterizzano
in modo da ricavare un’espressione che possa rappresentare, a mezzo delle variabili scelte,
tutte le dimensioni fondamentali che caratterizzano il problema in esame:
L H
T= T (8)
M= M 0
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V f LT 1 H t
1
(9)
g=LT 2 H t
2
T T V f T g T 2
V f 2 gH V f 2 gH 2 (12)
H H H H
Da cui ricaviamo che la f(x) in (11) è pari a 2x .
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Per analizzare il problema conviene riportarlo in forma adimensionale. In questo modo infatti la
legge fisica non dipende dalla scala del problema. Nel caso dei problemi di interazione vento-
struttura si ottiene che la forza F agente su un corpo immerso in un fluido è funzione dei
seguenti 6 parametri:
F f ,U , D, n, , g (13)
essendo:
densità del fluido
U velocità del flusso
D dimensione caratteristica del corpo
n una frequenza caratteristica
viscosità del flusso
g accelerazione di gravità
In totale dunque le grandezze fisiche in gioco sono 7. Applicando il Teorema di Buckingham, il
fenomeno può essere compiutamente descritto mediante 7-3=4 rapporti adimensionali. Posto:
F
1 (14)
U 2 D 2
si ottiene:
F nD gD
1 , , , , 2 (15)
U 2 D 2 2 3 4
U UD U
Si definiscono in particolare i seguenti numeri:
nvs D
St
U
UD UD
Re
(16)
U2
Fr
gD
in cui nvs è la frequenza di distacco di vortici, St è il numero di Stouhal, Re è il numero di
Reynolds e Fr è il numero di Froude.
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Per una corretta simulazione in galleria del vento (similitudine completa) è necessario che
siano verificate le equazioni di progetto, vale a dire che nel passaggio dal prototipo al modello
non cambino i rapporti adimensionali definiti in (16):
nvs D nvs D
U p U M
UD UD
p M (17)
U2 U2
gD p gD M
Introduciamo ora i fattori di scala delle lunghezze, delle velocità e delle frequenze:
DM
L
Dp
UM
U
Up (18)
nvs M
n
nvs p
Tenendo presente che nel passaggio in galleria del vento le quantità , , g rimangono
invariate (le scale associate sono unitarie), per soddisfare le 17 si ha:
nvs D nvs D n L
1 L U
U p U M U n
UD UD U L 1
1 L
p M 1 U (19)
U2 U2 U2
1 L U2
gD p gD M 1 L
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Lezione 20
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f
1
pl 2
(21)
q
2 1
pl
Per quanto riguarda le proprietà del materiale (modulo elastico, coefficiente di Poisson e peso
specifico) possiamo scrivere:
E
3
p
4 (22)
5
pl 1
Per quanto riguarda le grandezze cinematiche (spostamenti u, velocità v e accelerazioni a)
possiamo scrivere:
u
6
l
7 (23)
l t 1
a
8 2
l t
Infine le tensioni e le deformazioni unitarie forniscono altri i :
9
p
10 (24)
p
11 x
12 xy
Le scale derivate, imponendo che siano soddisfatte le equazioni di progetto, saranno dunque:
scala delle forze concentrate e delle forze di volume:
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f f fp p pl p2
1 p 1M 2 2 Sf 2
S p Sl2
pl p pl M f M pM l M (25)
2 p 2M Sq S p Sl1
scala delle grandezze fisico-meccaniche dei materiali:
3 p 3M S E S p
4 p 4M S 1 (26)
Sp
5 p 5M S
Sl
scala delle grandezze cinematiche:
6 p 6 M S u Sl
7 p 7 M Sv Sl St1 (27)
8 p 8M Sa Sl St2
scala delle deformazioni unitarie:
9 p 9M S S p
10 p 10M S S p
(28)
11 p 11M S x 1
12 p 12M S xy 1
Affinché si abbia una similitudine completa devono essere dunque rispettati tutti i rapporti di
scala. Non sempre tuttavia, anzi quasi mai, ciò risulta possibile. Nella pratica si possono
verificare i casi seguenti:
1. Modelli di strutture reticolari, solai, volte sottili in cui è lecito simulare il peso proprio con
forze di superficie. Il sistema di forze agenti è riconducibile a sole forze esterne (carichi
esterni o peso proprio) e a forze dipendenti (tensioni interne o forze di inerzia). La
similitudine completa è sempre possibile nel caso limite di forze di inerzia nulle (caso
statico) mentre nel caso generale diventa possibile con opportuni artifici quali, ad
esempio, l’aggiunta al modello di masse concentrate non collaboranti (che non alterano
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la rigidezza del modello). L’aggiunta di tali masse, che è equivalente ad un aumento del
peso specifico del materiale, permette di rispettare la relazione: Sq Sl S p che lega
le forze di volume (forza peso, forze di inerzia) alle tensioni che rappresentano
l’incognita fondamentale (si vedano le (25)).
2. Modelli di strutture massicce (dighe a gravità, edifici per reattori nucleari, ecc.) in cui le
forze peso non possono più essere ricondotte a forze esterne senza errori
considerevoli. Accanto alle forze esterne (carichi esterni) sono presenti forze
intrinseche (forze peso) e forze dipendenti (tensioni interne e forze di inerzia). La
similitudine completa non è in genere possibile, a meno che non si disponga di un
materiale per il quale la relazione Sq Sl S p sia automaticamente soddisfatta.
3. Modelli di strutture speciali (ad esempio dighe in terra) in cui intervengono due o più
classi di forze intrinseche (nel caso considerato forze peso, pressione nei pori e
tensione capillare). La similitudine meccanica completa non è praticamente mai
possibile.
Materiali di modellazione
I materiali impiegati per la costruzione di modelli debbono possedere caratteristiche tali da
soddisfare le leggi di similitudine. Nel contempo devono essere facilmente reperibili, poco
costosi e facilmente lavorabili.
Fissando l’attenzione sulla modellazione in campo elastico, il modulo di Young deve essere
riprodotto nella scala S E S p , il coefficiente di Poisson nella scala S 1 ed infine il peso
specifico, essendo una forza di volume, nella scala S Sq . Quest’ultimo parametro è legato
alla scala S p dalla seconda espressione in (25): Sq Sl S p . Pertanto, la scala del modulo
elastico S E è legata alla scala del peso specifico tramite la scala delle lunghezze:
S Sl S E (29)
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Tuttavia se l’effetto della forza peso viene studiato separatamente, come in generale è lecito
per strutture lineari, il peso specifico può essere scelto a piacere. In campo elastico-lineare si
può quindi usare qualsiasi materiale. Nella pratica le scelte più frequenti sono quelle con
materiali a base di resine o con acciaio.
La resina, con o senza additivi ed inerti, è certamente il materiale più usato. Le sue
caratteristiche più interessanti per i nostri fini sono:
1. basso modulo elastico: E 10000 80000 kg cm2 . Ciò permette di adottare un
rapporto di scala S E S p più elevato. Per esempio, se la struttura reale è di
calcestruzzo:
Ereale 300000
S p SE 30 (30)
Emod ello 10000
2. Il valore del coefficiente di Poisson è circa 0.35, quindi le strutture di acciaio possono
essere riprodotte senza errori.
3. Gli impasti di resine possono essere lavorati facilmente con normali macchine utensili e
ridotti quindi agli spessori ed alle dimensioni volute. Alcune resine consentono
l’esecuzione di modelli per getto entro casseri.
4. La resina si presta in modo semplice ed efficace a cementare parti create separatamente
per getto o per lavorazione.
Due gravi inconvenienti delle resine sono la dipendenza del modulo elastico dalla temperatura
e dalla umidità e lo scorrimento viscoso sotto carico.
Nel caso in cui la modellazione si estenda fino a rottura due sono gli ostacoli maggiori:
1. la riproduzione fedele delle caratteristiche di resistenza del materiale reale;
2. la contemporanea riproduzione degli sforzi dovuti alla forza peso.
Esistono due strade per superare tali ostacoli:
a) Si può utilizzare per il modello lo stesso materiale del prototipo. Con ciò si assicura
automaticamente l’uguaglianza delle curve forze-deformazioni, ma per soddisfare la:
S Sl S p (31)
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in cui S p è la scala unitaria dei carichi di rottura, occorre aggiungere dei pesi non collaboranti.
Nel caso di strutture di c.a. occorre modellare la presenza delle armature e l’aderenza
armatura-calcestruzzo. Per i modelli di microcalcestruzzo è ancora possibile utilizzare l’acciaio
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per le armature, ma per altri materiali è necessario ricorrere a metalli diversi, oppure aree di
ferro alterate.
Più problematica è la riproduzione dell’aderenza che peraltro può essere simulata
parzialmente al solo scopo di evitare la formazione prematura di fessure.
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La massa eccentrica è realizzata per mezzo di due masse fissate sulla periferia di un disco;
spostando angolarmente l’una rispetto all’altra è possibile regolare il valore della massa
eccentrica variando l’angolo al centro da Φ = 0° a Φ = 180°. La forza generata ha andamento
sinusoidale:
f t R me 2 sin t (33)
Eccitatore elettrodinamico
E’ costituito da un corpo centrale che forma un circuito magnetico principale con traferro
anulare (vedi Fig. 3).
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In tale circuito viene creato un flusso magnetico ad alta intensità da una bobina alimentata in
c.c. Nel traferro è posizionata una bobina mobile solidale alla massa (mobile) dell’eccitatore.
Quando essa è percorsa dalla corrente i si genera su di essa una forza proporzionale ad i.
L’eccitatore può essere costruito anche di piccole dimensioni (alto pochi cm): in tal caso il
flusso magnetico può essere realizzato direttamente con un magnete permanente.
Questi dispositivi possono generare forze con qualsivoglia andamento temporale, realizzando
la corrente che va alla bobina mobile mediante un amplificatore di potenza pilotato da un
generatore di funzioni o da un elaboratore elettronico.
Attuatore idraulico
L’elemento attivo è un martinetto a doppio effetto nel quale l’apertura e la chiusura di una
valvola, comandata elettronicamente, permettono di regolare la portata di olio in pressione e
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quindi la velocità del pistone (vedi Fig. 4). La potenza idraulica è fornita da una centrale di
pompaggio.
La servo-valvola assolve quindi il compito di modulare una grande potenza con un segnale
elettrico di piccola potenza.
Tavole vibranti
Vengono utilizzate principalmente per la simulazione di azioni sismiche. Sono costituite da una
piastra molto rigida in grado di muoversi in una o più direzioni sotto l’azione di eccitatori, quali
quelli precedentemente descritti (vedi Fig. 5). Un sistema di controllo in controreazione serve a
regolare il moto della piastra in accordo con la legge desiderata, secondo lo schema di
funzionamento indicato nella Fig. 6. Ogni tavola ha un proprio campo di funzionamento in
termini di spostamento, velocità ed accelerazione (Fig. 7).
La piastra ha il duplice scopo di servire da appoggio al modello e di trasmettere ad esso il
moto alla base. L’appoggio scorrevole alla base della piastra può essere realizzato in vari
modi:
per mezzo di un sistema di lame verticali;
mediante un velo d’olio in pressione;
mediante slitte a carrelli;
mediante aste o martinetti con asse verticale e snodi sferici.
Le caratteristiche delle tavole vibranti sono essenzialmente quelle degli eccitatori impiegati.
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Gli aspetti principali che rendono inevitabile la sperimentazione in galleria del vento sono:
determinazione delle caratteristiche aerodinamiche di edifici singoli, previa analisi della
distribuzione delle pressioni locali dovute al vento;
analisi delle forze globali prodotte dalla corrente fluida sull’edificio o componente strutturale,
con particolare riguardo alle forze aeroelastiche;
previsione delle variazioni di turbolenza indotte dalla costruzione di nuovi edifici nel
contesto urbanizzato;
analisi e prevenzione di fenomeni di interferenza aerodinamica per costruzioni in gruppo;
studio della diffusine di fumi o gas inquinanti sul territorio urbanizzato.
Gli elementi fondamentali che compongono una galleria del vento sono:
il tunnel (condotto);
la ventola;
il motore;
l’eventuale circuito di ricircolo dell’aria (nelle gallerie a circuito chiuso);
l’eventuale impianto di raffreddamento;
il dispositivo per la mitigazione di vortici prodotti dal ventilatore (di solito un nido d’ape);
la camera di prova.
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La produzione dello strato limite avviene grazie alla introduzione, prima della camera di prova,
di elementi che aumentano la rugosità del pavimento.
In Italia esistono gallerie a strato limite sviluppato al CRIACIV di Prato (Centro di Ricerca
Interuniversitario di Aerodinamica delle Costruzioni e Ingegneria del Vento tra le Università di
Firenze, Roma “La Sapienza”, Perugia e Trieste), al Politecnico di Milano all’Università di
Genova.
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Per ciò che riguarda il primo aspetto, di gran lunga il più delicato, è necessario, per contenere i
tempi di analisi ed i costi, ridurre al minimo il numero di punti con cui è rappresentato il
segnale, compatibilmente con l’esigenza di avere informazioni sufficienti alle alte frequenze.
Il Teorema di Nyquist assicura che l’intervallo di tempo t tra due letture successive è legato
alla frequenza massima f M che si vuole analizzare dalla relazione:
1
fM (27)
2t
In realtà è opportuno prevedere un opportuno coefficiente di sicurezza e quindi porre:
t
teff (28)
1.5 2
Tipico problema associato con la discretizzazione è il fenomeno dello aliasing: le frequenze
molto alte eventualmente presenti nel segnale possono essere male interpretate se la
frequenza di campionamento non è sufficientemente elevata.
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