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RIN 109 (2008) pp.

525-546

MICHELE ASOLATI

NOTA AGGIUNTIVA ALL’EDIZIONE


DEL RIPOSTIGLIO DI CAMPOREGIO (GR). QUALE METODO?

Sulle pagine di questa Rivista dell’annata 2006 è comparso un mio contributo inerente
il gruzzolo di monete tardo antiche in bronzo da Camporegio (Grosseto) (1). Questo contiene
emissioni ufficiali di IV e V sec. d.C. unitamente ad una consistente quantità di imitazioni di
tipologie differenti (Vittoria, monogramma di Teodosio II, croce in corona o cerchio lineare).
La presenza cospicua di esemplari imitativi con croce in corona o in cerchio lineare mi ha
condotto, a margine del commento all’edizione del gruzzolo, a discutere una recente ipotesi
attributiva di Ermanno Arslan inerente tale particolare classe di materiali imitativi, ipotesi sul-
la quale questo Autore è tornato con sempre maggiore forza in una serie di contributi piutto-
sto recenti (2). Secondo questa ricostruzione i prodotti imitativi con croce in corona rinvenuti
in Italia settentrionale, e, in particolar modo, quelli scoperti in ambito lombardo, non andreb-
bero collocati cronologicamente nel corso del V secolo d.C., ma nella seconda metà di quello
successivo ed avrebbero pertanto una matrice longobarda. Le evidenze offerte dai ripostigli
italiani, non solamente da quello di Camporegio, ma anche da numerosi altri distribuiti in
molte aree italiane, sembrerebbero invece ricondurre omogeneamente i tipi imitativi con cro-
ce in corona o cerchio al secolo V d.C.
Ermanno Arslan, sentendosi chiamato in causa, ha ritenuto di dovere rispondere al mio
intervento, proponendo sulle pagine dell’annata scorsa di questa Rivista un proprio contribu-
to (3) tutto incentrato sulla disamina del mio testo e sulla fondatezza delle mie conclusioni,
nonché sulle sue precedenti asserzioni, ancora una volta ribadite. Stante il tono di quest’ulti-
mo testo e le critiche rivoltemi, soprattutto sotto il profilo metodologico, mi vedo costretto a
replicare a mia volta. Non tanto per difendere le mie posizioni, che ritengo non siano state in
alcun modo ridimensionate dalla risposta dell’Arslan, quanto piuttosto per segnalare l’incon-
gruenza e l’inconsistenza di buona parte delle argomentazioni addotte, talvolta frutto di let-
ture condizionate da evidente e totale assenza di fiducia nelle capacità critiche di chi scrive.

(1) ASOLATI 2006a.


(2) Si veda in particolare ARSLAN 1999a, pp. 371-372; ARSLAN 2002a; ARSLAN 2002b. Si
veda inoltre anche il più recente articolo ARSLAN 2005a, part. p. 209.
(3) ARSLAN 2007.
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L’Autore esordisce con un’ampia premessa di carattere generale sull’importanza dello


studio dei materiali bronzei tardo antichi e sulle difficoltà insite in questo tipo di analisi, pre-
messa per molti aspetti condivisibile (4). Quindi inizia a prendere in considerazione il catalogo
delle monete del ripostiglio di Camporegio evidenziando come i criteri impiegati nell’organiz-
zazione dei materiali non gli appaiano comprensibili, cosı̀ come gli risulta difficoltoso il rife-
rimento a bibliografia di confronto di due distinti tipi (RIC e LRBC) e anomala ‘‘l’omissione
della tradizionale presentazione a pesi decrescenti’’ per monete con la stessa classificazione.
L’Arslan prosegue sottolineando come questa ‘‘distribuzione nel catalogo che sembra casuale’’
si aggravi ‘‘nelle schedatura delle imitazioni’’. Non concorda, infatti, sul fatto che gli esemplari
più facilmente interpretabili siano stati isolati dagli altri prodotti imitativi e che questi ultimi
siano organizzati su base tipologica e non sulla base del riconoscimento del prototipo ufficiale.
Inoltre, si sofferma su quella che, a mio giudizio, è un’imitazione solo probabile del tipo pro-
tovandalo con stella in corona, ritenendola altresı̀ un’imitazione indubitabile, ed affermando
che, in ogni caso, questa presenza non mi avrebbe permesso ‘‘una corretta proposta di data-
zione del complesso, in quanto una imitazione può essere più tarda del prototipo’’. Passando
poi all’analisi delle riproduzioni fotografiche dei pezzi, l’Arslan afferma che queste ultime con-
sentirebbero di proporre che molti degli esemplari presenti nel gruzzolo non siano coniati ma
fusi, che monete fuse siano ‘‘particolarmente numerose anche nel gruppo individuato come di
emissione ufficiale’’ e che, di conseguenza il ripostiglio potrebbe ‘‘essere considerato come un
complesso costituito quasi esclusivamente da falsificazioni, con possibili conseguenze sulla da-
tazione dell’occultamento’’. Inoltre, non concorda sull’impiego da me fatto del termine ‘‘to-
sato’’ in riferimento a molti esemplari del gruzzolo, ribadendo come questo alluda ad un pro-
cedimento volto al recupero di metallo prezioso difficilmente applicabile alla moneta di bron-
zo, la quale per essere ridotta di peso veniva più semplicemente spezzata. L’Arslan, infine,
conclude questa prima parte del suo intervento sottolineando come tutte queste osservazioni
abbiano unicamente lo scopo di evidenziare come esista ‘‘un complesso di regole che è indi-
spensabile rispettare per poter comunicare tra specialisti’’. Infatti, ‘‘le schede devono — ob-

(4) ARSLAN 2007, pp. 491-494. Meno condivisibile, a mio giudizio, risulta la parte fi-
nale di questa parte dell’intervento dell’Arslan, nella quale si precisa che ‘‘l’approccio ad un
complesso associato deve...rispondere a scelte molto precise e rigorose, specie per le emissioni
di V-VI secolo in rame, per la naturale ambiguità del materiale non sempre facilmente orga-
nizzabile nelle serie delle emissioni ufficiali e comunque sempre poco noto. Scelte diverse da
quelle adatte alla pubblicazione di ‘‘accumuli’’ museali...o alla pubblicazione di materiali da
ritrovamento singolo’’. Ineccepibile ritengo essere la distinzione tra accumuli museali e mate-
riali di altra natura, tuttavia non mi risulta evidente in particolare la necessità di un differente
approccio a materiali rinvenuti associati e da ritrovamento singolo. Non credo sia la natura del
ritrovamento in sé a determinare differenti scelte metodologiche, tanto più che, spesso, la qua-
lificazione di un ritrovamento risulta ampiamente, se non del tutto, ipotetica. Al contrario, mi
sembra che le caratteristiche del materiale numismatico ritrovato debbano essere tenute in-
nanzi tutto in considerazione e quindi indurre a scelte omogenee anche quando il materiale
sia coerente nella struttura ma differente nella formazione. Questa è una tendenza che si re-
gistra peraltro anche nell’edizione di alcuni scavi nei quali tutte le monete reperite sono elen-
cate in successione cronologica senza distinzione tra rinvenimenti sporadici e ripostigli (cfr. ad
es. Fouilles de Conimbriga; BATES 1971). Ciò appare particolarmente importante soprattutto in
anni recenti, nei quali una maggiore attenzione degli archeologi verso contesti tardo antichi ed
alto medievali conduce sempre più spesso al rinvenimento di materiali sparsi che, nella com-
posizione, presentano caratteristiche del tutto simili a quelle dei ripostigli coevi: per tutti si
veda a questo proposito il caso del Teatro Sociale di Trento (CALLEGHER 1998).
Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 527

bligatoriamente — essere redatte secondo criteri concordati in una tradizione critica pratica-
mente secolare, ed essere tali da permettere ad altri la schedatura della documentazione, la
verifica immediata delle proposte critiche, l’individuazione di aspetti specifici dei tipi, la ve-
rifica di ogni ipotesi e proposta e ogni elaborazione personale ulteriore’’ (5).
Credo sia opportuno rispondere immediatamente a queste osservazioni in modo da non
generare confusione nella successiva trattazione, e lo farò in modo schematico.
1) il criterio di ordinamento del catalogo, per quanto concerne le emissioni ufficiali, è il
medesimo seguito nella collana dei Ritrovamenti Monetali di eta` Romana nel Veneto (6) a sua
volta derivato, con adattamenti, dai Fundmünzen der Ro¨mischen Zeit in Deutschland. Non mi
risulta che in precedenza l’Arslan abbia rilevato difficoltà nell’utilizzo dei volumi di questa col-
lana, né che altri abbiano eccepito in questo senso. L’utilizzo di due distinti tipi di bibliografia
è derivato da questo criterio, essendo il RIC impiegato nei casi di classificazione puntuale e
l’LRBC unicamente nel caso in cui si riconosca il tipo del rovescio, ma non l’autorità emit-
tente e/o la zecca. Mi stupisce peraltro che l’Arslan si sia soffermato su quest’ultimo aspetto,
dato che il riferimento a ‘‘manualistica distinta’’ ricorre talvolta nelle sue stesse pubblicazio-
ni (7).
2) Il criterio di ordinare le monete di uno stesso tipo secondo il peso decrescente ap-

(5) Per tutte queste osservazioni v. ARSLAN 2007, pp. 494-496.


(6) Cfr. per tali criteri l’introduzione ad es. del volume RMRVe, VI/1, pp. 11-38. Que-
sti criteri privilegiano l’ordinamento per autorità emittente e zecca, seguendo precise indica-
zioni nei casi di monete di zecca non determinata, autorità non determinata, autorità e zecca
non determinate. Sempre restando nell’ambito dei criteri di ordinamento del materiale tardo
antico sinceramente mi sorprendono molto di più quelli impiegati dall’Arslan stesso in suoi
lavori recenti come ARSLAN 2005a, relativo agli esemplari rinvenuti a Como-Porta Pretoria:
qui, parafrasando Arslan stesso, ‘‘non sono collocati in sequenza per data di emissione propo-
sta...non per autorità emittente’’ (ARSLAN 2007, p. 494), mentre le cosiddette contraffazioni,
tutte riconosciute dall’Autore, in parte sono elencate assieme ai prodotti ufficiali romani, in
parte di seguito a questi ultimi senza seguire una modalità univoca. Tendenzialmente sembra
prevalere l’ordinamento tipologico, e, nell’ambito dei tipi, si segue una sistemazione per zecca,
cominciando sorprendentemente non da pezzi ascrivibili a zecche individuate, bensı̀ da mo-
nete di zecca non determinata; nell’ambito di ciascuna zecca, poi, non mi è chiaro quale pa-
rametro venga adottato. Se ad esempio verifichiamo alle pp. 221-223, nn. 164-201 gli esem-
plari del tipo SALVS REIPVBLICAE (2) possiamo elencare nell’ordine: esemplari di autorità e zecca
non determinate (383-403 d.C) (nn. 164-182), contraffazioni o emissioni irregolari del tipo
(nn. 183-184), pezzi di Arcadio di zecca non determinata (383-403 d.C.) (nn. 185-190), di
Teodosio I di zecca non determinata (383-395 d.C.) (n. 191), di Onorio di zecca non deter-
minata (393-403 d.C.) (n. 192), di autorità non determinata, ma della zecca di Aquileia
(388-403 d.C.) (nn. 193-194), di Valentiniano II della zecca di Aquileia (388-392 d.C.)
(n. 195), di Arcadio della zecca di Aquileia (388-393 d.C.) (nn. 196-197), di Teodosio I della
zecca di Aquileia (388-393 d.C.) (nn. 198-199 d.C.), di Valentiniano II della zecca di Roma
(392-394 d.C.) (n. 200), di Teodosio I della zecca di Roma (388-394 d.C.) (n. 201).
(7) Cfr. ad es. ARSLAN 2005a, dove nella classificazione delle monete tardo antiche si
impiega solitamente il RIC, talvolta preceduto o seguito dall’indicazione dell’LRBC, mentre
normalmente le tipologie riconosciute, ma di autorità e/o zecca non determinate rimangono
prive di bibliografia di confronto e sono semplicemente descritte. Inoltre, in un caso riferibile
ad un AE4 con monogramma di Ricimero (p. 223, n. 215), al RIC vengono accompagnati
riferimenti ad articoli monografici sulla monetazione riconducibile a questo personaggio, non-
ché ad articoli relativi ai rinvenimenti di questo tipo di moneta, i quali meglio sembrano con-
farsi ad un commento numismatico piuttosto che ad una scheda di una moneta.
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pare certamente utile, ma tutt’altro che tradizionalmente ed universalmente utilizzato nella


redazione di cataloghi scientifici di monete (8). Va precisato, peraltro, che la scelta talvolta
operata di non elencare le monete dello stesso tipo del gruzzolo di Camporegio secondo i pesi
decrescenti è dovuta alla volontà di accomunare nell’apparato fotografico monete prodotte
con gli stessi conii, o con strette affinità stilistiche.
3) Quanto alle imitazioni mi è parso naturale cercare di isolare esemplari sicuramente
riconducibili a prototipi romani da quelli a mio parere non altrettanto facilmente inquadra-
bili. Gli esemplari imitanti il monogramma di Teodosio II consentono una migliore classifi-
cazione di una generica Vittoria stilizzata, cosı̀ come un’imitazione con croce in corona o cer-
chio recante al dritto gruppi di lettere probabilmente riconducibili a legende storpiate di Va-
lentiniano III permettono un confronto meno incerto di imitazioni semplicemente con croce.
Quanto alla mia suddivisione per classi generiche delle imitazioni a mio giudizio meno facil-
mente inquadrabili (‘‘Imitazioni con Vittoria’’, ‘‘Imitazioni con figura’’, ‘‘Imitazioni con cro-
ce’’ e ‘‘Imitazioni di altri tipi’’ (9)) ed all’accusa dell’Arslan di non aver cercato, in modo par-
ticolare per i tipi con figura, di distinguere i prototipi ufficiali ai fini dell’‘‘individuazione del-
l’ambito territoriale e cronologico nel quale sono state prodotte le imitazioni’’ (10), ricordo che
il riconoscimento di un prototipo in questo particolare contesto cronologico presenta, tranne
in casi eccezionali (come quelli riferibili ad imitazioni di monogrammi imperiali facilmente
riconoscibili), enormi margini di incertezza e dunque di discrezionalità, risultando quindi
spesso opinabile (11). In taluni casi, peraltro, si è costretti a proporre uno spettro di identifi-

(8) Mi limito ad illustrare soltanto alcuni esempi restando nello stretto ambito dei gruz-
zoli tardo antichi ed alto medievali (fine IV sec. d.C.-età giustinianea) in bronzo, senza proce-
dere ad una verifica puntuale di questo o di altri periodi e ricordando che è ancora alquanto
radicato l’uso di pubblicare gruzzoli di monete in bronzo senza indicarne i pesi. Come si potrà
notare, è piuttosto ampia la casistica dei tesoretti la cui edizione, quasi sempre recente e in alcuni
casi ritenuta unanimemente esemplare, prevede che i pesi di pezzi uguali siano sequenziati in
modo apparentemente casuale: rip. c.d. di Yale (probabilmente dai Balcani) (ADELSON, KUSTAS
1960); rip. di Helchteren (LALLEMAND 1961); rip. di Volo (ADELSON, KUSTAS 1962); rip. di Za-
cha (ADELSON, KUSTAS 1964); rip. di Kenchreai (HOHLFELDER 1973); rip. di Corinto (KRIKOU-
GALANI 1973); ‘‘The Blue Cigarettes Box Hoard’’-Atene (WALKER 1978); rip. da Corinto (DEN-
GATE 1981); rip. dalla Siria (POTTIER 1983); rip. probabilmente dalla Turchia (DOYEN 1985); rip.
di Salto del Lupo (ERCOLANI COCCHI 1989); ripp. di Roma Villa Giulia e Roma-Pratica di Mare
(CEPEDA 1991); rip. dal Museo Regionale di Messina (MASTELLONI 1993); rip. da Cartagine
1960/61 (MOSTECKY 1994); rip. dal mercato antiquario (probabilmente dal Libano o dalla Siria)
(PHILLIPS, TYLER-SMITH 1998); rip. all’Università di Graz (LÖSCHL 2004). Peraltro, un criterio
esattamente opposto, il quale prevede di elencare le monete secondo pesi crescenti e non decre-
scenti, si impiega ad esempio nell’edizione dei gruzzoli di Rabelais-Aı̈n-Merane (BRENOT, MOR-
RISSON 1983) e dall’Algeria (BOURGEOIS, BRENOT 1995). Comunque, discutibile, a mio giudizio,
appare la scelta di elencare le monete con la medesima classificazione rigorosamente in ordine
decrescente di peso, senza tenere conto della sequenza delle officine monetarie, come avviene ad
esempio in ARSLAN 1999b o in ARSLAN 2003, in particolare p. 38, nn. 36-47, oppure di elencare
esemplari dello stesso tipo, ma con classificazione differente, secondo un ordinamento ponderale
decrescente: cfr. ARSLAN 2003, in particolare p. 39, nn. 61-79.
(9) A proposito di quest’ultima ‘‘classe’’ vorrei ricordare che non si tratta, come vorreb-
be l’Arslan, ‘‘di tipi di rovescio particolarmente stilizzati’’ (ARSLAN 2007, p. 495), ma di tipo-
logie che non rientravano nelle precedenti categorie, ossia un altare, vota, un cerchio di raggi.
A questi fanno seguito tondelli contraddistinti soltanto da insiemi di linee.
(10) ARSLAN 2007, p. 495.
(11) Cfr. ASOLATI 2002a, p. 113, nota 19; ASOLATI 2005, pp. 48-51.
Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 529

cazioni talmente ampio da risultare praticamente inutile per qualunque finalità (12). A propo-
sito di discrezionalità vorrei anche tornare sull’esemplare presumibilmente protovandalo con
stella in corona presente nel ripostiglio di Camporegio: alla mia affermazione riguardo alla
probabilità che si tratti di un’imitazione l’Arslan ha risposto che si tratta senza dubbio alcuno
di un prodotto imitativo, nel tentativo di dimostrare che l’intero gruzzolo è composto di emis-
sioni non ufficiali. Questa certezza, però, a mio avviso sembra cozzare con la natura stessa
delle emissioni cosiddette protovandale. Si tratta, infatti, di coniazioni assolutamente anoni-
me, di stile spesso non omogeneo e di disegno variabile e talvolta approssimativo (13), sulla cui
corretta sistemazione e sul cui inquadramento cronologico permangono numerose incertezze
anche nella letteratura più recente (14).
4) Scarsamente consistente e perciò a mio avviso da rigettare è l’opinione dell’Arslan
riguardo alla presenza di monete fuse tra gli esemplari imitativi del gruzzolo di Camporegio
ed ancor più tra quelli che sono di produzione ufficiale. La presenza di identità di conio tra le
imitazioni confermano come tali produzioni imitative fossero realizzate per battitura, per
quanto l’Arslan individui queste somiglianze come prodotte da una stessa matrice per fusio-
ne (15). A tal proposito vorrei rammentare che esemplari usciti dalla stessa matrice per fusione
o da matrici per fusione ottenute da uno stesso punzone o modello, a rigor di logica dovreb-
bero essere identiche tra loro non solo nei particolari del conio, ma anche nella forma e nella
centratura. Invece, le monete legate da identità di conio riconosciute nel ripostiglio di Cam-
poregio sono, sotto questi aspetti, piuttosto difformi tra di loro e in particolar modo lo sono
quelle elencate nel catalogo con i nn. 81 e 82 e con i nn. 93 e 94: la posizione dei rovesci della
prima coppia di esemplari appare, infatti, assai diversa, essendo il primo quasi pienamente
centrato, mentre il secondo appare decentrato verso destra con un’ampia porzione di tondello
non coniata; quanto alla seconda coppia, che presenta identità di dritto, nel primo esemplare
il tipo è centrato e la pseudo-legenda davanti al volto è solo parzialmente presente, nel secon-
do il tipo è decentrato a sinistra e tocca il margine del tondello, mentre la pseudo-legenda
risulta pienamente visibile (16).

(12) È utile in questo caso riprendere le ipotesi dello stesso Arslan in merito all’identi-
ficazione del tipo imitativo con guerriero armato, presente con vari esemplari anche nel gruz-
zolo di Camporegio e in ASOLATI 2006a iscritto nella classe delle ‘‘Imitazioni con figura’’: que-
sti infatti propone di riconoscerne il prototipo in ‘‘tipi orientali teodosiani o, meglio, di Leone
I o di Zenone, o occidentali, di Valentiniano III o, meglio, di Maioriano’’ (ARSLAN 1999a,
p. 371), ossia ne propone un inquadramento entro un ambito cronologico che abbraccia pra-
ticamente tutto il V secolo, e geografico che comprende gran parte delle compagine imperiale.
(13) Si vedano a tal proposito gli esemplari con stella in corona editi in MOSTECKY
1997, tavv. XI-XII, nn. 755-765.
(14) Cfr. in particolare MORRISSON 2001, pp. 158-159. La varietà dei tipi della rosetta
protovandala è ben visibile nei gruzzoli nord africani come quelli di Cartagine (Algeri 1897)
(MOSTECKY 1997, part. tavv. XI-XII, nn. 755-765) e dall’Algeria (BOURGEOIS, BRENOT 1995,
part. p. 337, nn. 562-563).
(15) ARSLAN 2007, p. 496, nota 20.
(16) Quanto alla identità di conio ARSLAN 2007, p. 496, nota 20, lamenta il fatto che le
riproduzioni dei rovesci delle monete nn. 76-77 non sono orientate allo stesso modo, cosicché
non risulta immediato il riconoscimento dell’identità: effettivamente si tratta di un errore di
orientamento. Un errore spero comprensibile ed almeno parzialmente giustificabile, conside-
rato che si riferisce a monete i cui rovesci non hanno un orientamento riconoscibile. Meno
comprensibili e giustificabili invece errori analoghi relativi ad esemplari di produzione ufficiali
i cui tipi sono chiaramente individuabili, come in ARSLAN 2004a, tav. XIII, n. 2: rovescio ri-
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Considerazioni simili a quelle sin qui addotte in merito ai prodotti imitativi valgono
anche per le monete di produzione ufficiale: infatti, le più antiche appaiono consunte e va-
riamente rilavorate (tagliate o meccanicamente ridotte nelle dimensioni (17)) per adeguarle a
standard monetari differenti da quelli iniziali, mentre le più recenti risultano certamente
più fresche e di modulo regolare. Nell’aspetto generale di questi esemplari non vi sono in al-
cun modo ragioni fondate che inducano a ritenerle delle falsificazioni fuse.
Ad ogni modo, quand’anche tutte le monete del gruzzolo di Camporegio fossero state
prodotte per fusione, quale implicazione di natura cronologica potremmo trarne? Dovremmo
ugualmente speculare sulla base di informazioni il più possibile oggettive, quali l’andamento
ponderale ed il confronto con gli standard ponderali tardo antichi e protobizantini, la verifica
delle tipologie presenti e l’assenza di determinate tipologie. Nel primo caso, credo, saremmo
nuovamente indotti a collocare il gruzzolo nella seconda metà del V secolo o nelle prima metà
di quello successivo. Nel secondo caso, a mio giudizio, non sembra credibile che questi sup-
posti esemplari fusi, di cui gli unici prototipi riconoscibili si datano entro la metà del V secolo,
debbano andare collocati molto oltre questo termine cronologico. Non mi sembrano credibili
ipotesi cronologiche recenziori anche, e forse ancor più, per l’assenza nel gruzzolo grossetano
di tipologie romane della seconda metà del V (si pensi ai monogrammi di Ricimero o di An-
temio, oppure a quelli di Leone I e di Zenone), oppure di tipi ostrogoti e bizantini.
Privi di fondamento, dunque, mi sembrano i rilievi formulati dall’Arslan, e, per molti
aspetti, anche ingiustificati: nessuna ‘‘regola’’ appare violata tra quante da questo Autore in-
dicate come indispensabili, obbligatorie e di secolare consuetudine, poiché nessuna codifica
esiste. Nondimeno, le norme impiegate nella redazione delle schede e nell’ordinamento del
catalogo sono diffusamente condivise e da lungo tempo, con riferimento a bibliografia univer-
salmente nota ed utilizzata comunemente.

prodotto a 90º rispetto all’asse verticale; tav. XVI, n. 54: rovescio orientato a 270º ca. rispetto
all’asse verticale; tav. XIX, nn. 91 e 92: presentano la medesima foto del rovescio; tav. XXVI,
n. 198: rovescio riprodotto a 180º ca. rispetto all’asse verticale; tav. XXVI, n. 202: dritto ri-
prodotto a 90º rispetto all’asse verticale; tav. XXVII, n. 212: si riproduce due volte il dritto e
manca la foto del rovescio della moneta; tav. XXVII, n. 222: sono invertite le foto del D/ e del
R/. Inoltre, la stessa fotografia è impiegata per illustrare gli esemplari n. 95 e n. 121 del cata-
logo, venendo cosı̀ a mancare la foto del secondo. Errori di differente natura troviamo anche
sulle riproduzioni fotografiche delle monete in ARSLAN 2005a, p. 224: n. 220, esemplare da 10
nummi di Atalarico riprodotta alla grandezza di un AE4, e n. 234, foto di un’imitazione guer-
riero/croce in cerchio perlinato riprodotta ingrandita, mentre nella stessa pagina si indica
esplicitamente che le foto sono in scala 1:1.
(17) L’uso, da parte mia, del termine tosatura in riferimento alla riduzione del modulo
di monete di bronzo di III e IV secolo d.C. viene stigmatizzato dall’Arslan (ARSLAN 2007,
pp. 495-496) proprio perché messo in relazione a materiali di questo tipo e in metallo non
prezioso. Senza dimenticare che la moneta in bronzo in età tardo antica sembrerebbe avesse
acquisito un ruolo rilevante a livello fiscale, il quale ne avrebbe mantenuto alto il valore (ASO-
LATI 2006b), comunque dobbiamo sempre considerare che l’accumulo del gruzzolo di Cam-
poregio avvenne in un contesto nel quale la produzione imitativa è da considerarsi probabile
se non certa, ossia in un contesto in cui l’uso, e quindi il reperimento, del bronzo per questa
finalità doveva essere relativamente frequente. Per chi produceva monete, servendosi verosi-
milmente di modelli ufficiali e quindi avendo a disposizione monete ufficiali, doveva essere
in ogni caso relativamente conveniente sottrarre a queste ultime metallo per destinarlo alla
realizzazione di nuove monete. Soprattutto se il modulo delle imitazioni era inferiore rispetto
a quello delle monete ufficiali.
Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 531

Evidente è, in ogni caso, come l’Arslan tragga spunto da queste osservazioni per demo-
lire la proposta di inquadramento cronologico dell’interramento del gruzzolo. Nel seguito del
proprio contributo egli insiste sul fatto che si tratta, a suo giudizio, di un nucleo di contraf-
fazioni la cui datazione è necessariamente più incerta di quella delle emissioni ufficiali (18).
Stanti le difficoltà di collocazione cronologica di materiali di questo genere e la scarsa affida-
bilità, sotto questo punto di vista, di ripostigli come quello grossetano, l’Arslan evidenzia la
necessità, ‘‘per avanzare proposte sensate’’, di indirizzare ‘‘l’attenzione ai dati di scavo, se que-
sto è affidabile’’. Nel fare questo, riferendosi ad un mio contributo edito nel 2002 (19), mi
attribuisce una ‘‘diffidenza dichiarata’’ ‘‘relativamente ai contesti di scavo’’ che va ‘‘supera-
ta’’ (20).
Sulla questione delle imitazioni fuse valga quanto già detto innanzi e non mi dilungo
oltre, mentre, riguardo alla dichiarata diffidenza verso i contesti di scavo, evidentemente in
quel contributo non sono riuscito ad essere sufficientemente chiaro. Infatti, quell’articolo an-
dava proprio nel segno opposto a quello attribuitomi dall’Autore, sostenendo che ‘‘è solamen-
te dal corretto raffronto delle informazioni desunte dallo scavo e dai reperti archeologici con i
dati numismatici che si giungono a definire e a comprovare fenomeni la cui natura e la cui
portata altrimenti sfuggirebbero all’indagine scientifica’’ (21).
Questo peraltro non è l’unico caso in cui il mio pensiero, certamente per mia imperizia,
è risultato poco chiaro all’Arslan. Infatti, egli asserisce che io pongo tra gli elementi per la da-
tazione dell’interramento del gruzzolo di Camporegio il terminus post quem rappresentato dalle
emissioni ufficiali, mentre affermo esattamente il contrario là dove sostengo che ‘‘non sembra
essere questo il terminus post quem più attendibile per fissare il momento dell’interramento del
gruzzolo’’ (22). In realtà gran parte della mia analisi si concentra sui prodotti imitativi, sulla
base dei quali giungo ad una proposta di inquadramento cronologico, per l’occultamento
del gruzzolo, nell’ambito del terzo quarto del V sec. d.C. In particolare mi soffermo su quelli
che giudico essere i più attendibili a tale scopo, ossia le imitazioni del monogramma di Teo-
dosio II, quelle con croce greca potenziata in corona o cerchio, la porta di Castrum, mentre
riguardo agli altri prodotti imitativi (come Vittorie con corona e palma o con prigioniero, fi-
gura armata con asta, vota), pur non approfondendo la ricerca di prototipi precisi (23), indi-

(18) ARSLAN 2007, pp. 496-498.


(19) ASOLATI 2002b.
(20) ARSLAN 2007, p. 498.
(21) ASOLATI 2002b, p. 201.
(22) ASOLATI 2006a, p. 117.
(23) Come già ribadito sopra, infatti, giudico l’identificazione puntuale dei prototipi di
questi tipi in buona parte opinabile. Di diverso avviso ARSLAN 2007, p. 498, il quale giunge ad
una definizione precisa dei modelli delle imitazioni presenti nel gruzzolo di Camporegio, ar-
rivando ad individuare talvolta anche una precisa autorità emittente di riferimento: 1) ‘‘tipi
orientali di età teodosiana [Teodosio II, n.d.a.]’’ sarebbero i modelli per le imitazioni raffigu-
ranti una figura frontale con globo e asta; 2) modelli orientali od occidentali di V secolo sa-
rebbero presupposti per le imitazioni con i vota ; 3) ‘‘per il regno di Leone I viene imitato il
tipo con l’imperatore con asta e prigioniero’’ (ricordo che nessuna imitazione del ripostiglio
grossetano presenta questo tipo con l’eccezione di una, nella quale la presenza del prigioniero
è solo ipotizzata); 4) tra i tipi occidentali si ricorda ‘‘Onorio, con il tipo con Vittoria e pri-
gioniero’’; 5) quanto al tipo con la Vittoria con corona e palma si ricordano ‘‘Teodosio (in
occidente)’’, Valentiniano III, ‘‘Maioriano’’ e persino Libio Severo; 6) altri prototipi sarebbe-
ro poi i tipi di Valentiniano III descritti con imperatore a destra con prigioniero (in realtà con
prigioniero e stendardo) e con imperatore frontale con globo e scudo (in realtà con globo e
532 Michele Asolati

viduo confronti puntuali con imitazioni presenti in altri ripostigli italiani ed esteri, principal-
mente africani e balcanici, i quali peraltro si collocano, stando all’ultima emissione databile
contenuta, omogeneamente entro la fine del V sec. d.C. (24). Il caso dell’esemplare n. 92
del gruzzolo di Camporegio (fig. 1) non sembra turbare particolarmente il quadro che ne ri-
sulta, malgrado la resa del busto del dritto sia effettivamente anomala rispetto a quella degli
altri presenti nel tesoretto, come giustamente rileva l’Arslan, il quale però afferma che essa
‘‘riporta a scelte tipologiche...che ben conoscono quanti studiano la monetazione barbarica,
naturalmente in metallo diverso’’ (25) e che presenta ‘‘forti analogie con la monetazione di
VI-VII secolo’’ (26). Infatti, pur avendo attinenze con elementi più tardi, non possiamo esclu-
dere che queste modalità stilistiche abbiano avuto origine già nel V secolo. A questo proposito
vorrei segnalate un tremisse di tipo barbarizzato (fig. 2) il cui busto presenta una certa affinità
con quello del nummo n. 92 di Camporegio, tremisse che annovera un certo numero di pub-
blicazioni e di citazioni bibliografiche (27). Rinvenuto ad Altino (VE), il pezzo reca una legen-
da riconducibile a Leone I e si connota per la particolarità di condividere il conio del rovescio
con un esemplare presente presso le Collezioni numismatiche del Museo Civico Correr di Ve-

lancia). È degno di nota, a questo proposito, che l’Arslan poco prima sostenga come le imi-
tazioni di un tipo possano essere state prodotte anche molto dopo l’emissione del prototipo
(ARSLAN 2007, p. 497) e sfrutti questa sua considerazione per mettere in dubbio la mia pro-
posta di datazione per l’interramento del gruzzolo di Camporegio, e poco dopo identifichi i
modelli delle imitazioni bronzee di V (secondo lui in parte anche di VI) secolo d.C. unica-
mente con emissioni ufficiali di V secolo stesso, trascurando il fatto, a mio parere estrema-
mente probabile, che queste produzioni imitative possano presupporre coniazioni anche di
IV secolo d.C., certamente molto più comuni e più diffusamente attestate nei ritrovamenti
monetali sporadici e, talvolta, negli stessi gruzzoli di V secolo, di quanto non lo siano molte
delle emissioni di V su elencate. A tal proposito, con riferimento alla numerazione riportata
qui sopra ricordo le seguenti tipologie: 1) SPES REIPVBLICE/Imperatore con globo e lancia (cfr.
LRBC, II, n. 2504) databile al 355-363 d.C.; 2) vota diffusissimi in Occidente quanto in
Oriente risalgono al 347-348 d.C. ed al 383-388 d.C. (cfr. LRBC, I, n. 1305 e II,
nn. 1095-1101); 3) GLORIA ROMANORVM (6-8)/Imperatore a destra con prigioniero e labaro
(cfr. LRBC, II, n. 338) coniato tra 364 e 388 d.C.; 4) il tipo della Vittoria con prigioniero
non ricorre soltanto con Onorio nel V secolo, ma anche con Giovanni e Valentiniano III
ed altre autorità emittenti; in ogni caso, una tipologia precedente risulta molto più diffusa
di questi: SALVS REIPVBLICAE (1-2)/Vittoria a s. con trofeo e prigioniero (cfr. LRBC, II,
n. 1105) databile al 388-403 d.C, e, con una emissione di Giovanni, fino al 425 d.C. (v.
RMRVe, VI/1, 53(Ad)/1586; GORINI 2003, p. 383); 5); il tipo della Vittoria con corona e pal-
ma si diffonde poco prima della metà del IV secolo (cfr. in particolare LRBC, I, nn. 254, 785,
1300) ed appare frequente sulle emissioni della seconda metà del secolo: v. SECVRITAS REIPVBLI-
CAE/Vittoria con corona e palma (cfr. LRBC, II, n. 527) databile al 364-383 d.C. e VICTORIA
AVG(GG)/Vittoria con corona e palma (cfr. LRBC, II, n. 389) databile al 375-395 d.C.; 6) per
questi due ultimi tipi si veda quanto detto rispettivamente al punto 3 ed al punto 1.
(24) ASOLATI 2006a, pp. 117-129.
(25) ARSLAN 2007, p. 499. L’Autore né qui, né altrove (v. nota successiva) esprime pre-
cisamente a quali emissioni monetarie siano riconducibili le ‘‘scelte tipologiche’’ cui allude.
Potrebbe forse riferirsi a coniazioni longobarde quali quelle rinvenute nella necropoli di Cam-
pochiaro: v. ARSLAN 2004c.
(26) ARSLAN 2007, p. 497, nota 24.
(27) SCARFÌ, TOMBOLANI 1985, p. 85, fig. 62; GORINI 1987, p. 275; GORINI 1989, p. 170
e fig. 2; GORINI 1992, p. 184, n. 99; TIRELLI 1995b, p. 115; ASOLATI 1993-95, p. 101, fig. 1.1;
RMRVe, VI/1, 53(Ad)/1623.
Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 533

nezia. Questa coincidenza consente di datare in modo piuttosto puntuale entrambi i tremissi,
poiché il secondo esemplare presenta evidente al dritto la legenda D N KNTEMIWS (KV)C
(sic!) (28) (fig. 3): probabilmente, dunque, entrambe le frazioni auree vanno collocate entro
il periodo nel quale regnarono contemporaneamente Leone I e Antemio (467-472 d.C.), o
poco dopo (29). Ancora una volta, quindi, possiamo iscrivere queste contraffazioni entro il ter-
zo quarto del V secolo o poco più tardi. Peraltro, lo stile del ritratto ed il disegno della testa e
del busto sul secondo esemplare sono completamente differenti da quelli del primo: ciò dimo-
stra, in modo inequivocabile, come differenti trattamenti di uno stesso elemento potessero
convivere in una medesima officina dedita alle imitazioni, e, se ciò era possibile per l’oro, ap-
pare verisimile che lo fosse anche per le produzioni in bronzo. Giusta dunque appare la cau-
tela dell’Arslan verso un approccio unicamente stilistico ai fini della datazione della moneta
imitativa in bronzo (30), cautela che però andrebbe indirizzata anche verso quegli elementi ri-
levanti che supportano le proprie tesi.
Dunque, tornando a quanto detto poc’anzi, l’ipotesi di inquadramento cronologico per
l’interramento del gruzzolo si basa non tanto e non solo sulle caratteristiche del gruzzolo di
Camporegio, ma soprattutto sul confronto con altri ripostigli, non solo italiani, contenenti
quantità variabili di imitazioni. Dislocati nella Penisola italiana, in Dalmazia, in Sardegna e
in Africa settentrionale, questi presentano molte affinità con il piccolo tesoro grossetano, so-
prattutto per quanto concerne la componente imitativa. Questa circostanza, peraltro, attenua
grandemente l’affermazione dell’Arslan circa la circolazione limitatissima delle imitazioni delle
fasi finali dell’età imperiale, per sostenere la quale utilizza le identità di conio presenti nel
gruzzolo toscano e in quello di Falerii Novi (31).
In effetti, la presenza di identità di conio tra le imitazioni del ripostiglio di Camporegio
è indizio evidente di una scarsa circolazione degli esemplari accomunati da questi legami: ciò
ha consentito di supporre che questi pezzi, e per estensione, parte delle altre o tutte le altre
imitazioni del gruzzolo grossetano abbiano avuto un’origine locale. E l’analoga presenza di
una identità di conio che accomuna i dritti di due imitazioni attestate nel tesoretto ben
più cospicuo di Falerii Novi (32), situato non molto distante da quello di Camporegio, in qual-
che modo rappresenta una conferma di questa eventualità.
Tuttavia, una cosa è sostenere l’origine locale di questi tipi monetali ed altra cosa è ri-
tenere che questi abbiano avuto soltanto una circolazione entro la loro probabile area d’ori-
gine. Infatti, le strette analogie riscontrate tra alcune imitazioni presenti nel tesoretto grosse-
tano ed esemplari segnalati in taluni dei ripostigli di provenienza italica, sarda, dalmata e afri-
cana (33), consentono di ipotizzare che certe coniazioni imitative abbiano avuto una matrice
comune e che in seguito siano entrate in un circuito monetario più ampio. Pertanto, l’insi-
stenza con la quale l’Arslan ribadisce che le imitazioni avessero una diffusione limitata al solo
territorio entro il quale erano prodotte può essere giustificata soltanto in parte, come pure

(28) ASOLATI 1993-95, p. 101, fig. 1.2.


(29) ASOLATI 1993-95, p. 102.
(30) ARSLAN 2007, p. 497.
(31) Su questo tema l’Arslan ritorna con una certa frequenza in ARSLAN 2002b, p. 298,
e in ARSLAN 2007, p. 492 e p. 502 (dove si citano appunto le identità di conio del gruzzolo
grossetano).
(32) ASOLATI 2005, nn. 1617, 1630.
(33) Si vedano ad esempio i casi illustrati in ASOLATI 2006, pp. 121-122, tipo guerriero/
imperatore, e p. 122, nota 38: altro tipo di guerriero, tipo con croce su una faccia ed elemento
a onda sull’altra e tipo con porta di Castrum sormontata da stella e chiusa in corona.
534 Michele Asolati

ancora una volta mi sembrano ingenerose le osservazioni inerenti la scorrettezza dell’analisi


delle imitazioni del gruzzolo grossetano alla luce dei ritrovamenti da altre aree geografiche
non italiane (34). L’affermazione da parte sua che le imitazioni avessero una mobilità pratica-
mente nulla appare comunque funzionale a dimostrare l’impossibilità di collegamento tra pro-
duzioni imitative e dunque l’assoluta singolarità delle imitazioni milanesi e lombarde in gene-
re. Tuttavia, appare ingiustificabile sottovalutare o tralasciare del tutto elementi di affinità che
indirizzano altrimenti: un particolare tipo con guerriero/imperatore si rinviene molto simile a
Camporegio, in Dalmazia, a Sassari, a Lipari e a Cartagine (35) e non ritengo sia sufficiente
liquidare questa diffusione semplicemente sostenendo che i ripostigli hanno una differente
mobilità rispetto alle monete utilizzate singolarmente. Analogamente, non sembra frutto di
casualità del tutto slegate tra di loro la presenza di esemplari con guerriero su una faccia e
croce greca potenziata sull’altra nel gruzzolo dalla Dalmazia (36), in quello di Concordia (37)
e nei ritrovamenti singoli di Rocca di Garda (38), Milano (39), Como (40) e Aosta (41), né credo
sia verisimile collocare cronologicamente in modo molto differente tra di loro esemplari acco-
munati da queste caratteristiche tipologiche e datarli molto al di fuori del V secolo, entro il
quale vanno ricondotti i due gruzzoli.
Con questo non si vuole dimostrare che le imitazioni bronzee di epoca tardo romana
fossero realizzate per le esigenze di territori ampi, ma, d’altra parte, questi esempi manifestano
come in taluni casi la circolazione di questi prodotti imitativi si ampliasse a circuiti allargati.
D’altro canto appare difficilmente credibile che, in un momento come il V secolo ed in un
ambito quale quello italico nei quali fortemente era diminuita la disponibilità di moneta enea
ufficiale di nuova coniazione, la domanda di moneta fosse localmente talmente forte da inne-
scare una produzione sussidiaria e che contemporaneamente il mercato locale si limitasse ad
impiegare quanto tale produzione sussidiaria proponeva senza assorbire o cercare di assorbire
parte di quanto era disponibile presso altre fonti. A meno che non si voglia credere che la
moneta imitativa fosse creata non per alimentare un’economia ancora saldamente monetariz-
zata ed avvezza all’uso della moneta spicciola in bronzo, bensı̀ per scopi precisi (fiscali? mili-

(34) Peraltro, l’estensione dell’analisi sui tipi con guerriero/imperatore alle produzioni
imitative non italiane non aveva lo scopo di trovare confronti con altre realtà al di fuori della
Penisola, bensı̀ di evidenziare come queste monete, tradizionalmente inscritte tra le emissioni
protovandale ed in questo senso classificate anche in opere recenti (v. MOSTECKY 1997), pro-
babilmente debbano essere altrimenti attribuite, stanti i differenti percorsi distributivi che se-
guono rispetto ad altre produzioni certamente protovandale e vandale vere e proprie. Infatti,
alla presenza in ambito vandalo, in termini numerici talvolta anche consistenti, non corri-
sponde la diffusione analoga a quella che i tipi vandali ebbero nel Mediterraneo orientale,
in particolare in Grecia e Palestina, dopo la sconfitta inflitta dai Bizantini al regno vandalo.
Questo quadro depone a favore di un’origine non vandala delle imitazioni con guerriero/im-
peratore che tanto frequentemente si rinvengono anche in Italia. Dunque, non mi sembra né
‘‘metodologicamente improponibile’’ né ‘‘debolissimo’’ impiegare un approccio di questo ge-
nere, come invece si sostiene in ARSLAN 2007, p. 502, ovviamente qualora si comprenda il mo-
tivo per cui tale approccio è utilizzato.
(35) V. nota 33.
(36) PEARCE, WOOD 1934, tav. VIII, nn. 24-26.
(37) ASOLATI 2002a, n. 42.
(38) Dato inedito: ringrazio Andrea Saccocci per la segnalazione.
(39) ARSLAN 1997b, 6.27.
(40) ARSLAN 2005a, p. 225, n. 234.
(41) ORLANDONI 1991, n. 6.
Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 535

tari?), tali da esaurirne la produzione e la diffusione con il raggiungimento dello scopo stesso.
A mio parere, molto più facilmente la moneta imitativa, in un contesto probabilmente molto
più povero di emissioni ufficiali di quanto non lo fosse precedentemente, entrava in una cir-
colazione proprio per questo sempre più vischiosa e rallentata, la quale però non era imper-
meabile a spostamenti a lungo raggio, giungendo ad inserirsi talvolta nei circuiti di utilizzo
della moneta ufficiale.
Quanto detto finora ci riporta alla questione più spinosa del mio contributo, la quale ha
suscitato la replica dell’Arslan: ossia come datare e quale matrice abbiano avuto le imitazioni
con croce entro corona o cerchio rinvenute in Italia. Tale questione investe marginalmente
anche la serie monetaria vandala, alla quale in passato sono state spesso ricondotte in modo
pressoché univoco tali imitazioni, per quanto di recente si vada via via affermando la possi-
bilità di una origine diversa, in particolare italica, per molte di queste monete raccolte nella
Penisola (42).

(42) A questo proposito ribadisco che vecchie modalità classificatorie, talvolta ancora
resistenti, delle monete con croce in corona o cerchio hanno contribuito a dare un quadro
forse falsato della diffusione del numerario in bronzo dei Vandali in Italia. Nel mio precedente
intervento (cfr. ASOLATI 2006, p. 126, nota 83) ho sostenuto che a falsare questo quadro han-
no contribuito anche i repertori, basati su una identificazione protovandala dei nummi con
croce in corona presenti in Italia, editi in ARSLAN 1994 e in ARSLAN 2002c. Questa afferma-
zione ha suscitato una vibrata reazione in ARSLAN 2006b, p. 204, nota 21, dove vengo accusato
di attribuire ‘‘ai repertori...responsabilità nella costruzione di ipotesi distorte nelle valutazioni
critiche’’ e di insistere, in un altro contributo (ASOLATI 2006c), sulle ‘‘inesattezze di un reper-
torio che è necessariamente collazione di informazioni altrui, la cui verifica viene lasciata al-
l’utente, che si farà carico, eventualmente, di suggerire le correzioni al curatore’’. Di tono ana-
logo è ARSLAN 2007, p. 503, nota 66, dove l’Autore sostiene che i repertori che lui cura sono
assolutamente neutrali circa le attribuzioni, in quanto si limiterebbero, nelle singole citazioni,
a riportare ‘‘fedelmente le indicazioni recepite in bibliografia’’, e che io, in quel modo, gli avrei
ascritto ipotesi attributive di altri, le quali sarebbe mio dovere, ‘‘in termini di rigore critico,
puntualmente verificare’’. Riguardo a queste affermazioni dell’Arslan, mi permetto alcune os-
servazioni. Innanzi tutto, ritengo che chiunque curi repertori come quelli qui presi in consi-
derazione non dovrebbe limitarsi a registrare informazioni altrui, ma dovrebbe garantire un
livello minimo di verifica delle notizie e della bibliografia citata per evitare il più possibile er-
rori e ripetizioni come quelle che, con un tono forse irriverente del quale in ogni caso mi scu-
so, ho evidenziato in ASOLATI 2006c, part. nota 24; ma soprattutto per non incorrere in situa-
zioni che rasentano il paradossale, e che forse sono sintomatiche di un atteggiamento generale
nella registrazione dei dati, situazioni nelle quali indicazioni errate vengono commentate e in-
dividuate come improbabili, ad esempio come nel caso di Altino - Territorio: cfr. Repertorio
2005, p. 147, n. 8640 con riferimento a RMRVe, VI/1, 53(Cb), 76-78 e 53(B1), 19. Qui,
infatti, si da l’indicazione della presenza di un ripostiglio con monete bizantine, considerando:
‘‘non ne ha i caratteri’’. Effettivamente non ne ha i caratteri, ma semplicemente perché in
RMRVe, VI/1 non compaiono gruzzoli con monete bizantine: dunque, l’informazione sull’e-
sistenza di un ripostiglio è ‘‘creata’’ e registrata senza fondamento e, contestualmente, ritenuta
scarsamente credibile. Quanto alla presunta neutralità dei repertori curati dall’Autore, sia
quelli su citati, sia il più recente Repertorio 2005, mi permetto di segnalare alcune incongruen-
ze: ad esempio l’atteggiamento che in essi si tiene nei riguardi della monetazione longobarda
in oro tradizionalmente ascritta alla Tuscia per la quale si propone, talvolta come migliore,
un’attribuzione formulata dall’Arslan stesso alla zecca di Benevento (basata fondamentalmente
su ARSLAN 2004c), attribuzione che in nessuno dei testi citati è presa in considerazione (ad
eccezione di quelli dell’Autore medesimo); oppure la sistematica registrazione dei tagli da
10 nummi ostrogoti a titolatura regale come esemplari da 15 nummi, secondo un’ipotesi for-
536 Michele Asolati

Come abbiamo accennato, Ermanno Arslan, partendo dalla considerazione che le imi-
tazioni bronzee tardo antiche hanno avuto sempre una valenza esclusivamente locale, sostiene
che quelle rinvenute negli scavi lombardi abbiano probabilmente avuto origine in età longo-
barda poiché il tipo imitato, che egli ritiene originato in Oriente durante il regno di Teodosio
II, non ebbe praticamente circolazione in Occidente durante il V secolo. Sarebbe giunto in
quantità apprezzabili solo con la riconquista bizantina, come testimonierebbero numerosi

mulata in ARSLAN 1989; o ancora, l’indicazione del numerario bronzeo di Giustiniano I, ge-
neralmente attribuito alla zecca di Salona (cfr. MIB, I, n. 250), che, in Repertorio 2005 e negli
Aggiornamenti on-line, viene ascritta all’atelier di Ravenna (il riferimento a Salona non scom-
pare, ma generalmente viene posto tra parentesi e seguito da un punto di domanda), secondo
una recente ipotesi dell’Autore (ARSLAN 2005b, pp. 222-227). Neutralità vorrebbe che la pro-
clamata assenza di ipotesi attributive, in linea con l’assoluta aderenza al testo citato, fosse os-
servata in qualunque circostanza e che non fosse sospesa in relazione alle monete citate nelle
fonti e agli studi ed alle conclusioni critiche di volta in volta condotti e raggiunti dal curatore,
rischiando di generare ulteriore confusione nell’‘‘utente’’ dei repertori. A questo proposito,
quanto alla carenza di rigore critico di cui vengo accusato, rispondo soltanto che non ho
ascritto ipotesi attributive a chicchessia, ma semmai mi sono limitato a dire che repertori come
quelli curati dall’Arslan, incompleti e acritici, o se vogliamo ‘‘neutrali’’, proprio per necessità
compilative e strutturali, rischiano talvolta di fuorviare, malgrado le avvertenze impiegate nel
presentarli: ciò ovviamente non significa che in molti casi non abbiano la funzione meritoria
di aiutare e di semplificare la ricerca, ma semplicemente che, nel segno di quanto sostiene lo
stesso Autore, molta cautela va comunque impiegata nel loro utilizzo. Peraltro, appare curioso
che l’Arslan attribuisca ad altri questa carenza critica quando egli stesso utilizza il Saggio di
repertorio del 2002 (ARSLAN 2002c) come ‘‘fonte primaria’’, ad esempio in ARSLAN 2005b, AR-
SLAN 2006a e ARSLAN 2006b, part. pp. 144-145, recependone errori, duplicazioni e disatten-
zioni bibliografiche. Quanto, infine, all’insistenza dell’Arslan sul fatto che io abbia ‘‘criticato’’
le versioni a stampa del 1994 e del 2002 del repertorio senza prendere in considerazione il
Repertorio 2005 e gli Aggiornamenti disponibili on line (cfr. ARSLAN 2006b, p. 204, nota 21
e ARSLAN 2007, p. 499, nota 44), ricordo che al momento della consegna del mio manoscritto
sul gruzzolo di Camporegio alla redazione della RIN, nell’ottobre del 2005, non avevo a di-
sposizione il Repertorio 2005, edito proprio in quel mese, o altri aggiornamenti che, effettiva-
mente, non mi sono premurato di richiedere all’Arslan per e-mail. In ogni caso, anche le ver-
sioni più recenti del repertorio Arslan, a stampa e on line, presentano, come si è visto, limiti
evidenti e le medesime caratteristiche delle precedenti versioni riguardo alla questione dei
nummi con croce in corona. A tal proposito, visto che si sta trattando di metodo e di aderenza
a sistemi di registrazioni di dati da diffondere nell’ambito della comunità scientifica per faci-
litare la ricerca, vorrei segnalare anche un altro caso emblematico inerente il cosiddetto ripo-
stiglio di frammenti di tremissi longobardi della zecca di Lucca presenti presso la Raccolta Pa-
padopoli al Museo Correr di Venezia. I 13 frammenti, dopo anni di oblio, sono ricomparsi,
bibliograficamente parlando, in ARSLAN 2002c, p. 111, n. 621 con la seguente dicitura ‘‘Vene-
zia. Moneta longobarda: nucleo frammenti Tremissis AV Luca alla Papadopoli/Correr (ripo-
stiglio?)’’. In Asolati 2006, p. 210, nota 24, prima di avere a disposizione il Repertorio
2005, avevo notato l’incongruenza di questa segnalazione poiché allo stato dei fatti non esi-
stono indicazioni che si tratti di un nucleo unitario e quale ne sia l’eventuale provenienza. La
mia impossibilità in quell’occasione di consultare quel testo non ha avuto alcun rilievo poiché
l’indicazione è stata ripresa in quella sede con un minimo ampliamento (p. 158, n. 9380):
‘‘Venezia. Moneta longobarda: nucleo frammenti Tremissis AV Luca alla Papadopoli/Correr
(ripostiglio? Provenienza locale?)’’. È appena il caso di ricordare che il repertorio edito in AR-
SLAN 2002c e il Repertorio 2005, aggiornamento e revisione del precedente, raccolgono al loro
interno segnalazioni di rinvenimenti e non di generiche informazioni sulla moneta medievale,
Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 537

gruzzoli bronzei centro italici. Tuttavia in Italia settentrionale, dove il controllo goto e poi
franco durò fino al 554 d.C., il prototipo avrebbe potuto diffondersi, per essere quindi imi-
tato, solo dopo la metà del secolo (43).
A mio parere, il punto debole di questa ricostruzione sta nell’assenza pressoché totale in
ambito italico settentrionale padano, certamente in Lombardia, di ritrovamenti dei prototipi
con croce, in qualunque modo se ne voglia datare l’interramento. Perché mai, dunque, una

e che, per quanto è dato sapere anche se non è in alcun modo specificato, all’inizio di ogni
voce compare l’indicazione, in ordine alfabetico, del luogo del rinvenimento. Ad ogni modo,
in seguito alla mia segnalazione il curatore ha apportato un’ulteriore modifica al testo nei co-
siddetti Aggiornamenti on-line (n. 9380): ‘‘Venezia. Moneta longobarda: nucleo frammenti
Tremissis AV Luca alla Papadopoli/Correr (ripostiglio? Provenienza ignota)’’. Alla segnalazione
è connessa una nota che recita: ‘‘Venezia. Archivio; citato in ASOLATI 2006, Ravagnan [= ASO-
LATI 2006c, n.d.a.], p. 210, n. 24 (con errata attribuzione di una provenienza da Venezia in
ARSLAN 2002, Saggio [= ARSLAN 2002c, n.d.a.], p. 111, dove si individua solo una collocazio-
ne)’’. Purtroppo, non è chiaro a quale archivio faccia riferimento il curatore, ma, per quanto
mi è dato sapere, non esistono al Museo Correr carte che trattino di questo specifico gruppo
di monete, né il Castellani dà puntuali informazioni in merito, né i cartellini che accompa-
gnalo le monete danno informazioni utili in tal senso. Dunque, se l’eventualità che i fram-
menti appartengano ad un ripostiglio è ipotesi, certamente legittima, del curatore, non è chia-
ro, però, perché non vi siano indicazioni in tal senso che la sostanzino. In ogni caso, l’indi-
cazione riportata sugli Aggiornamenti a mio parere continua ad apparire incongruente come
nei precedenti repertori: infatti, se ‘‘Venezia’’ deve essere ritenuta un luogo di collocazione,
allo stesso modo devono essere intese anche tutte le altre indicazioni simili. Se non è cosı̀,
questo è l’unico caso o ve ne sono altri? E come distinguerli? Ma soprattutto, se non è cosı̀,
perché insistere nel ricondurre il ‘‘nucleo’’ di frammenti al territorio del Veneto e non inse-
rirlo eventualmente nella sezione riguardante genericamente l’Italia? In questo caso la scelta di
riportare questa indicazione, lungi dal dare alcuna informazione utile, risulta ancora più fuor-
viante poiché non viene accompagnata da un’indicazione bibliografica che possa essere veri-
ficata, e perciò è essa stessa fonte bibliografica primaria. Dunque, volendo parlare di metodo,
al termine di tutti questi interrogativi, non posso fare a meno di chiedermi quale sia il metodo
che ha dettato questa scelta.
(43) Se questa è l’ipotesi dell’Arslan circa la collocazione cronologica delle imitazioni,
un differente aspetto è quello relativo all’autorità che avrebbe sovrinteso all’emissione di questi
tipi di monete bronzee. In merito a quest’ultimo punto, visto che avrei totalmente travisato
(cfr. ARSLAN 2007, p. 503, nota 68) il senso dei testi dell’Arslan in cui si tratta dell’argomento
(v. ASOLATI 2006, pp. 130-131), riprendo di seguito i passi già citati dell’Autore, con l’aggiun-
ta di altri interventi sul tema, limitando al più possibile, per necessità di sintesi, tentativi in-
terpretativi da parte mia. In ARSLAN 1999a, pp. 371-372 e in ARSLAN 2005a, p. 209 (il testo è
edito nel 2005, ma redatto nel 1999 come specificato a p. 206, nota *), l’Autore si limita a
ammettere per queste monete la possibilità che siano ascrivibili alla seconda metà del VI se-
colo prevalentemente su basi archeologiche. ARSLAN 2002a, p. 174, trattando dei rinvenimenti
monetali in Lombardia di età alto medievale, osserva: ‘‘alcuni siti, specie il Battistero di San
Giovanni, hanno fatto registrare l’affioramento della moneta bronzea longobarda locale di VI
secolo, con il tipo dominante della croce greca potenziata in ghirlanda (o in circolo lineare),
con rarissima moneta longobarda in argento, prima mai documentata nei ritrovamenti isola-
ti’’. In ARSLAN 2002b, p. 297, trattando delle produzioni imitative con croce raccolte in vari
contesti di scavo lombardi si afferma trattarsi di ‘‘materiale irregolare prodotto localmente’’ e
di emissioni ‘‘di fortuna’’ la cui coniazione ‘‘non può essere avvenuta in una zecca ufficiale’’
collocabili in un ambito cronologico che abbraccia ‘‘la seconda metà del VI secolo’’. Nondi-
meno, in ARSLAN 2004b, p. 71 si osserva: ‘‘di emissione invece locale, ‘‘autonoma’’ e munici-
538 Michele Asolati

assenza riguardante il V secolo dovrebbe avere un significato differente rispetto ad una assenza
pertinente a quello successivo? Peraltro, come ho cercato di evidenziare nel mio contributo, il
prototipo, sia esso teodosiano o valentinianeo, non è completamente assente in Italia durante il
V secolo. Esistono, infatti, almeno 16 gruzzoli bronzei inquadrabili entro questa frazione cro-
nologica raccolti sia nella Penisola, sia nelle isole maggiori, i quali contengono quantità varia-
bili, quasi sempre numericamente minoritarie, di esemplari ufficiali con croce e/o di emissioni
imitative (44). Questo conferma non soltanto che il prototipo circolava in Italia in questo seco-
lo, ma anche che veniva certamente imitato. Alla luce di questi rinvenimenti, risulta meno si-
gnificativa l’assenza di emissioni con croce, ufficiali o imitative, in contesti certamente databili
entro il V secolo nell’ambito dell’Italia Nord-occidentale, poiché questo vuoto potrebbe essere
riempito appunto con singoli rinvenimenti lombardi. Né appare accettabile l’argomentazione
dell’Arslan il quale sostiene che tutti i ripostigli da me segnalati risultano riconducibili a siti che
sono ‘‘collocati esternamente all’area che nella seconda metà del VI secolo è longobarda’’, per
cui ‘‘non dimostrano nulla’’ (45). Una tale affermazione appare piuttosto forzata in primo luogo
perché in questo modo l’Autore rovescia la prospettiva storica allargando al V secolo categorie
storiche che sono proprie di quello successivo: è pur vero, infatti, che con la conquista longo-
barda si creano aree distinte di circolazione monetaria, con un afflusso ancora piuttosto elevato
di monete bronzee nelle zone rimaste bizantine e ed una contrazione piuttosto marcata in quel-
le longobarde, tuttavia questa distinzione non trova fondamento in epoca gota, né in quella
precedente tardo-romana, nella quale semmai si registra una difficoltà di distribuzione della
moneta in bronzo in tutta l’Italia settentrionale, con l’eccezione di centri importanti come Ra-
venna e Milano. In secondo luogo perché, dando per scontato che le imitazioni lombarde si
siano sviluppate in ambiente longobardo, rovescia anche la sequenza logica, non valendosi della
documentazione offerta dai ripostigli per giungere ad una ipotesi, ma sostenendo un’ipotesi e
cercando di spiegare le evidenze numismatiche di conseguenza.
In buona sostanza, dunque, non sembra vi siano ragioni sufficienti nell’argomentare
dell’Arslan per sostenere che in Italia Nord-occidentale la produzione di queste imitazioni
si sia caratterizzata in modo del tutto differente da quanto avveniva nel resto della Penisola
ed abbia oltrepassato di molto l’inizio della produzione monetaria gota. L’unico argomento
significativo resta la collocazione stratigrafica di molti degli esemplari imitativi rinvenuti negli
scavi lombardi, la quale consentirebbe di collocare l’interramento di questi pezzi nel VI secolo
e talvolta nel VII (46). Tuttavia, tale argomento appare difficilmente conclusivo soprattutto
perché risulta pressoché impossibile escludere completamente, soprattutto per monete cosı̀
piccole, l’eventualità di presenze intrusive o residuali (47).
Dunque, tutto l’impianto della ‘‘discussione del testo pubblicato in ‘‘RIN’’ 2006’’ da
parte dell’Arslan mi sembra basato su argomentazioni in parte ingiustificate, in parte basate

pale, sembrano invece essere i Nummi in rame, imitati dai tipi con al Rovescio la Croce in
ghirlanda, o la Vittoria, o totalmente di fantasia, che sono stati trovati piuttosto abbondanti
negli scavi del complesso episcopale milanese’’.
(44) Per l’elenco di questi gruzzoli cfr. ASOLATI 2006, pp. 136-137.
(45) ARSLAN 2007, p. 504.
(46) ARSLAN 2002b, pp. 295-296.
(47) Peraltro, l’Arslan, che non dimentica di illustrare come alcuni di questi esemplari
provengano da situazioni in cui appaiono ‘‘in rapporto con presenze di emissioni ufficiali ine-
quivocabilmente databili al VI e VII secolo, ostrogote, bizantine e longobarde’’ (ARSLAN
2002b, p. 296), trascura di dire come spesso in questi stessi contesti risulti, talvolta abbondan-
temente, presente la moneta in bronzo tardo romana.
Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 539

su premesse metodologicamente fragili, argomentazioni che nulla aggiungono a quanto l’Au-


tore aveva affermato in precedenza e che non appaiono sufficienti a inficiare le conclusioni
raggiunte nell’edizione del gruzzolo di Camporegio.
Né le considerazioni che l’Arslan fornisce nella parte conclusiva del suo contributo circa
la scelta e la fortuna della tipologia della croce in corona o cerchio nelle monetazioni occiden-
tali sembrano apportare elementi utili alla discussione (48), soprattutto perché in questo caso
l’Autore suggerisce ipotesi proprie riguardo alla collocazione cronologica delle imitazioni
bronzee con croce rinvenute a Marsiglia, trascurando di indicare quelle dei primi editori di
questo materiale, e suffraga tali ipotesi attraverso riferimenti alla moneta enea visigota, tacen-
do le notevoli differenze cronologiche e tipologiche che riguardano questa serie rispetto alla
presunta moneta bronzea prodotta in ambito longobardo.
Infatti, l’Arslan ‘‘verificando...quale sia stata la ‘‘fortuna’’ dei tipi monetari con croce’’ e
in modo particolare ‘‘del tipo con la croce, inserita nella gloria della simbolica ghirlanda’’, fa
riferimento innanzi tutto ad ‘‘imitazioni marsigliesi di fine V e inizi VI secolo’’. In realtà, gli
editori di questi rinvenimenti, a proposito della cronologia di queste imitazioni, parlano di
seconde moitie´du V e sie`cle (49), di circolazione au moin jusqu’a`la fin du V e sie`cle (50), di dernier
tiers du V e s. et peut-eˆtre du de´but du sie`cle suivant (51), di deuxie`me moitie´ du V e sie`cle (52) e
ancora di circolazione jusqu’a` la fin du [V e] sie`cle (53). Si tratta dunque essenzialmente di se-
conda metà, tutt’al più di ultimo terzo, del V secolo in stretta consonanza con la cronologia
normalmente ammessa anche per le imitazioni italiche: stando al giudizio degli editori, solo
una volta si ammette ‘‘forse’’ l’eventualità dell’inizio del VI secolo.
L’Arslan poi prosegue evidenziando come sia soprattutto ‘‘significativo che un altro
gruppo germanico, i Visigoti in Spagna’’ abbia ‘‘adottato il tipo con la croce, certo non per
tendenze imitative di altri gruppi, e forse nemmeno per la presenza di materiale ufficiale ri-
masto in circolazione, ma convinti dalla forza del simbolo. La presenza in Spagna di questi
tipi con croce è datata alla seconda metà del VI secolo, ..., quindi sincronicamente all’ipotetica
circolazione (se non all’emissione) di monete di tipo analogo nella Longobardia’’. In queste
ultime affermazioni due sono le forzature evidenti. Innanzi tutto, i tipi visigoti, ad eccezione
di uno (54), non presentano la croce in corona o cerchio, bensı̀ croce su gradini (55) (fig. 4),
croce latina tra lettere di zecca (56) (fig. 5) e croce latina inscritta in un monogramma inter-
pretato come allusivo alla zecca di Toletum (57) (fig. 6). Inoltre, l’adozione di questi schemi
iconografici non sarebbe stata determinata ‘‘dalla forza del simbolo’’, ma dipenderebbe da mo-
delli aurei visigoti e merovingi, talvolta derivati da prototipi bizantini (58). In secondo luogo, la

(48) ARSLAN 2007, p. 505.


(49) Fouilles a` Marseille, p. 137.
(50) Fouilles a` Marseille, p. 200.
(51) Fouilles a` Marseille, p. 253.
(52) Fouilles a` Marseille, p. 265.
(53) Fouilles a` Marseille, p. 360.
(54) CRUSAFONT I SABATER 1994, gruppo E: D/ testa a d.; R/ croce con bracci termi-
nanti a coda di rondine. Altre varietà di questo tipo, recanti un globetto in ciascun quarto
della croce, sono emerse recentemente: cfr. GONZALBES CRAVIOTO 2005, pp. 1193 e MOLL
2005, pp. 34-35, nn. 33-35.
(55) CRUSAFONT I SABATER 1994, gruppo A.
(56) CRUSAFONT I SABATER 1994, gruppo B.
(57) CRUSAFONT I SABATER 1994, gruppo D, e p. 57.
(58) CRUSAFONT I SABATER 1994, pp. 32-38, 59.
540 Michele Asolati

cronologia di queste emissioni, secondo l’opinione di chi ha studiato ed edito per la prima
volta questa serie monetaria, sarebbe compresa tra l’ultimo quarto del VI e il primo decennio
dell’VIII (59), per quanto sembra via siano elementi attendibili per alzare la cronologia di al-
cuni tipi (60): peraltro, il tipo più simile a quello presunto longobardo (croce con bracci ter-
minanti a coda di rondine) sarebbe uno dei più tardi, ed andrebbe datato a partire circa dalla
metà del VII secolo (61). Non vi sarebbe dunque alcuna relazione iconografica e cronologica
tra queste monete e quelle imitative di presunta età longobarda. Né vi sarebbe alcun legame a
livello evolutivo con le altre esperienze monetarie barbariche occidentali. Infatti, le popolazio-
ni installate nei territori occidentali dell’impero seguirono due distinte strade per la produzio-
ne bronzea. Cominciarono a coniare in questo metallo contemporaneamente alla produzione
in altri metalli, con caratteri fortemente identificativi (Ostrogoti e Burgundi), oppure giunsero
a produrre una propria monetazione bronzea parecchio tempo dopo aver raggiunto la loro
sede e, generalmente, dopo un apprendistato passato attraverso la produzione di nominali
in metalli preziosi (oro quasi ovunque, argento nell’Africa vandala): trascorsa in taluni casi
una fase anonima e/o imitativa (v. Vandali e Franchi), produssero divisionali enei con forti
caratterizzazioni (Vandali, Franchi, e Visigoti) che ne individuavano l’autorità emittente e/o
la zecca di produzione (62). Nell’Italia longobarda il processo che avrebbe portato alla produ-
zione enea, invece, sarebbe stato del tutto particolare: la coniazione del bronzo sarebbe rimasta
circoscritta ai momenti iniziali, senza distinguersi, peraltro, per alcuna connotazione evidente.
Anche sotto questo aspetto, dunque, le argomentazioni dell’Arslan appaiono piuttosto
deboli e, a mio giudizio, scarsamente condivisibili.
Condivisibile invece appare almeno in parte la conclusione dell’intervento dell’Arslan.
Effettivamente ancora molto rimane da scoprire sulla emissione e la circolazione dei divisio-
nali in bronzo nell’Occidente ‘‘germanico’’, soprattutto per quanto attiene alla premesse eco-
nomiche e politiche di queste produzioni. Tuttavia, proprio per questo, mi sembra ancor più
prioritaria, per il ricercatore numismatico, l’aderenza quanto più stretta possibile alle sole evi-
denze offerte dalle monete, rifuggendo da ipotesi di grande suggestione, ma ancora non com-
piutamente documentabili.

(59) Cfr. CRUSAFONT I SABATER 1984; CRUSAFONT I SABATER 1988; CRUSAFONT I SABATER
1990; CRUSAFONT I SABATER 1994, in particolare pp. 50-51, 63-64; CRUSAFONT I SABATER 1998.
(60) La cronologia suddetta, infatti, è in parte messa in discussione, per quanto con-
cerne le emissioni attribuite a Emerita e a Toletum (gruppi C e D), in MAROT, LLORENS
1996, pp. 157-158 e in MAROT 1997, in particolare pp. 175-176, dove queste coniazioni sono
circoscritte tra la riconquista giustinianea di parte della Spagna e la fine del VI secolo.
(61) Cfr. CRUSAFONT I SABATER 1994, pp. 51, 63-64.
(62) Cfr. HENDY 1988.
Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 541

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MOSTECKY H. 1997, Münzen zwichen Rom und Byzanz. Studien zur spa¨tantiken Numismatik,
Louvain-la-Neuve
PHILLIPS M., TYLER-SMITH S. 1998, A Sixth-Century Hoard of Nummi and Five-Nummi pieces,
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POTTIER H. 1983, Analyse d’un tre´sor de monnaies en bronze enfoui au VI e sie`cle en Syrie
Byzantine. Contribution a` la me´thodologie numismatique, ‘‘Cercle d’Études Numi-
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Repertorio 2005 = Repertorio dei ritrovamenti di moneta altomedievale in Italia (489-1002), a
cura di E.A. ARSLAN, Spoleto 2005
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VI/1, Provincia di Venezia: Altino I, Padova 1999
SCARFÌ B.M., TOMBOLANI M. 1985, Altino preromana e romana, Musile di Piave (VE)
TIRELLI M. 1995, Altino frontiera lagunare bizantina: le testimonianze archeologiche, in Citta`,
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e l’altomedioevo in Italia centrosettentrionale - Monte Barro - Galbiate (Lecco) 9-10
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Nota aggiuntiva all’edizione del ripostiglio di Camporegio (GR). Quale metodo? 545

TAV. I
(gli esemplari sono riprodotti in scala 2:1)

FIG. 1

FIG. 2 FIG. 3

FIG. 4 FIG. 5 FIG. 6

Riferimenti fotografici:

FIG. 1 - Nummo con croce in corona (imitazione), terzo IV del V sec. d.C. (?) (da ASOLATI
2006, n. 92)
FIG. 2 - Tremisse a nome di Leone I (imitazione), ca. 467-472 d.C. (da GORINI 1989, fig. 2)
FIG. 3 - Tremisse a nome di Antemio (imitazione), ca. 467-472 d.C. (da ASOLATI 1993-95,
fig. 1.2)
FIG. 4 - Regno Visigoto, emissione anonima, ca. post 575-ante 653 d.C., bronzo, zecca di Ispa-
li, CRUSAFONT I SABATER 1994, gruppo A (da Kuenker-Osnabrück, Auction 121 (2007),
n. 137 = ex Lanz-München, Auction 114 (2003), n. 932)
FIG. 5 - Regno Visigoto, emissione anonima, ca. post 649-ante 714 d.C., bronzo, zecca di Ispa-
li, CRUSAFONT I SABATER 1994, gruppo B (da Kuenker-Osnabrück, Auction 121 (2007),
n. 138 = Elsen-Brussel, Auction 52 (1997), n. 2055)
FIG. 6 - Regno Visigoto, emissione anonima, ca. post 672-ante 714 d.C., bronzo, zecca di To-
tetum, CRUSAFONT I SABATER 1994, gruppo D (da CRUSAFONT I SABATER 1994, tav. 20, n. 215)

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