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IL DE VULGARI ELOQUIENZ

E’ il primo trattato italiano sul volgare. Nell!età in cui visse Dante, tra XIII e XIV secolo, la lingua
comunemente usata nella scrittura era il latino: in latino erano scritti i documenti uf ciali, gli atti
pubblici, i contratti. E il latino era la lingua della Chiesa e delle università.
Ri ettere su questa situazione è necessario per comprendere il De vulgari eloquentia, che è un sag-
gio sull!eloquenza (cioè sulla lingua e sullo stile) volgare. Di trattati che insegnavano le regole della
grammatica e della composizione latina ne erano stati scritti tanti.
Anche se vuole parlare della lingua che è comune a tutti, Dante non si rivolge al popolo, che non
sarebbe stato interessato a un!istruzione del genere, bensì alle persone dotte, cioè a coloro che con il
loro esempio e con i loro scritti potevano, se persuasi dalle argomentazioni svolte nell!opera, soste-
nere e divulgare le sue idee.
Il De vulgari eloquentia è un opera in due libri incompiuto; Dante ci lavora probabilmente tra il
1304 e il 1305, quando è da pochi anni in esilio, forse durante il primo soggiorno a Verona, in ogni
caso, non era certamente una situazione di lavoro ideale. Inoltre, Dante scrive nello stesso giro di
anni il Convivio (anch!esso incompiuto) e comincia la Commedia. Il De vulgari eloquentia s!inter-
rompe a metà del secondo libro. Il primo contiene una storia del linguaggio umano dalle sue origini
all!età di Dante e un!analisi dei principali volgari italiani; il secondo parla degli argomenti, degli
stili e dei metri più adatti alla poesia in volgare e, soprattutto, al genere più importante, la canzone.
I temi del primo libro: Ciò che egli cerca di determinare nel primo libro sono anzitutto le caratteri-
stiche del volgare “illustre”cioe’ di una lingua volgare che sia abbastanza raf nata da competere con
il latino come lingua della comunicazione colta. Dante traccia una storia del linguaggio umano da
Adamo all!Italia dei suoi tempi. Secondo Dante (che si af da per questo al racconto della Bibbia),
l!evento fondamentale in questa storia è l!edi cazione della torre di Babele, che – come si racconta
nella Genesi – gli uomini avevano iniziato a costruire perché convinti di poter raggiungere Dio.
Prima di allora, esisteva soltanto una lingua comune a tutti gli uomini, l!ebraico, che era la lingua di
Adamo. Dopo la distruzione di Babele, dall!ebraico (che rimase la lingua di un piccolo popolo: gli
Ebrei, appunto) derivarono tre grandi lingue, diffuse rispettivamente nell!Europa settentrionale, nel-
l!Europa orientale e nell!Europa sud-occidentale. Nell!Europa sud-occidentale, la lingua a sua volta
si divide in diverse varietà, quelle che oggi chiamiamo dialetti, e proprio tra queste varietà Dante
cerca quella più idonea a essere de nita «volgare illustre» (che non vuol dire solo, genericamente,
"nobile, importante”, ma proprio "luminoso, splendente”). La sua ricerca nisce con la scoperta che
nessuna varietà, nessuna parlata locale merita quel titolo. Tuttavia, i poeti siciliani, bolognesi e to-
scani (e Dante tra questi) sono coloro che si sono avvicinati di più a quel modello ideale, e dunque
sono anche quelli che devono essere imitati dagli altri
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De Vulgari Eloquienza (probabilmente 1304-1305) Interrotto a metà del secondo dei quattro libri
previsti, il trattato parla della storia del linguaggio umano dalle sue origini all!età di Dante; delle
caratteristiche del volgare "illustre”; degli argomenti, degli stili e dei metri più adatti alla poesia in
volgare, e soprattutto alla canzone
Il primo trattato sulla lingua italiana, formato da un primo libro "teorico” (genesi del linguaggio e
differenziazione dei linguaggi umani) e da un secondo libro "pratico”, nel quale Dante illustra le
norme che devono ispirare i poeti volgari (norme che riguardano la metrica, lo stile, il linguaggio),
indicando i nomi degli autori da imitare e quelli, invece, da cui prendere le distanze (perciò il De
vulgari eloquentia è, in un certo senso, anche il primo abbozzo di una "storia letteraria italiana”).
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