Con il termine doping si intende l'uso (o abuso) di particolari sostanze o medicinali con lo scopo di
aumentare il rendimento fisico e le prestazioni dell'atleta. II ricorso al
doping è un'infrazione sia all'etica dello sport, sia a quella della scienza medica. Il termine deriva dalla parola
inglese "dope": essa, in principio, indicava una mistura di vino e tè bevuta regolarmente dagli schiavi
americani per rimanere attivi e lavorare.
Il doping non è un fenomeno recente, fin dall'antichità si è fatto ricorso a sostanze e pratiche per cercare di
migliorare una prestazione sportiva; già nelle Olimpiadi del 668 AC viene riportato l'uso di sostanze
eccitanti (quali funghi allucinogeni). Nelle civiltà antiche si
faceva ricorso a funghi, piante e bevande stimolanti, con lo sviluppo dell'industria farmaceutica si assiste ad
una diffusione di sostanze quali alcool, stricnina, caffeina, oppio, nitroglicerina e trimetil (alla quale si deve
morte del ciclista Linton nel 1886).
I regolamenti sportivi vietano il doping, regolamentando strettamente le tipologie e le dosi dei farmaci
consentiti, e prescrivono l'obbligo per gli atleti di sottoporsi ai controlli antidoping, che si effettuano
mediante l'analisi delle urine e in taluni casi anche del sangue. Gli atleti che risultano positivi alle analisi
vengono squalificati per un periodo più o meno lungo; nei casi di recidiva si può arrivare alla squalifica a
vita.
Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e le federazioni sportive nazionali collaborarono nel 1998 per
fondare l'Agenzia Mondiale Anti-Doping (WADA www.wada-ama.org), un organismo che congiunto al CIO
finanzia e collabora con le nazioni impegnate a sviluppare dei programmi per il rilevamento e il controllo del
doping atletico.
L'Agenzia Mondiale Anti-Doping svolge i suoi compiti compilando e aggiornando costantemente un elenco
delle sostanze e dei metodi che sono incompatibili con gli ideali dello sport e che dovrebbero essere vietati
nella competizione atletica. E' anche responsabile dello sviluppo e della convalida di nuovi, e
scientificamente validi, test di individuazione, nonché dell'attuazione di programmi internazionali efficaci,
nelle competizioni ufficiali e non ufficiali, per lo screening degli atleti. In aggiunta a questo sforzo
internazionale, un certo numero di paesi, inclusi gli Stati Uniti, hanno formato agenzie nazionali anti-doping,
organizzate in modo simile alla WADA, con il compito di monitorare e controllare il doping sportivo a
livello nazionale; le stesse agenzie istituiscono programmi di ricerca per sviluppare test ancora più efficaci
per individuare le sostanze e le metodiche proibite. Nelle agenzie degli Stati Uniti, questo sforzo nazionale
per l'anti-doping è coordinato dall'Agenzia Anti-Doping degli Stati Uniti.
La WADA ha attuato il suo programma sul controllo delle droghe nello sport mediante l'emissione e il
continuo aggiornamento del Codice Mondiale Anti-doping, che comprende un elenco delle sostanze e dei
metodi vietati.
È noto come il rendimento sportivo possa essere implementato dall'utilizzo di alcuni farmaci, ad esempio:
Qualche anno più tardi, l'ormone stimolante la produzione di globuli rossi, l'eritropoietina (EPO),
fu isolato dall'urina umana e successivamente ne venne determinata la composizione aminoacidica,
quindi identificato il gene, clonato e transfettato in cellule ovariche di cavia. Nel 1985
l'eritropoietina umana ricombinante entrava in commercio. Si apriva una nuova era per la cura delle
malattie del sangue da carenza di eritrociti. Allo stesso tempo, però, la somministrazione di EPO, che
mima gli effetti di un intenso allenamento in quota, diventava in breve una pratica generalizzata
nella corsa e nello sci di fondo, ma soprattutto nel ciclismo, disciplina che ha infine consegnato la
sostanza al clamore della cronaca nei Tour de France corsi nel 1998 e nel '99.
Nella seconda metà degli anni '80, nasce: l'ormone della crescita (GH). La diffusione dell'uso del
GH si è accompagnata ad un notevole incremento di farmaci e supplementi alimentari che stimolano
la produzione ed il rilascio dello stesso, come certi aminoacidi, i beta-bloccanti, la clonidina (un
farmaco antipsicotico di ultima generazione), la levodopa e la vasopressina. Il GH era considerato un
valido sostituto e coadiuvante degli steroidi anabolizzanti, in quanto anch'esso stimola l'aumento
della massa corporea e possiede azione anabolizzante; in aggiunta, il GH aumenta la mobilizzazione
dei lipidi dai tessuti adiposi e ne accresce l'ossidazione come fonte di energia, risparmiando
il glicogeno muscolare. Sebbene diversi studi abbiano smentito i presunti effetti ergogenici del GH
sugli atleti, quest'ormone divenne ben presto un elemento essenziale nella preparazione di molti
atleti di punta, soprattutto per il fatto che non esisteva un test in grado di rilevarne l'assunzione (dai
giochi olimpici di Atene del 2004 è stato introdotto un test in grado di rilevarlo tramite l'analisi di un
campione di sangue). L'ormone della crescita veniva estratto dall'ipofisi dei cadaveri; per questo,
fra i soggetti trattati vi furono casi di malattia di Creutzfeldt-Jakob (una delle forme umane di
encefalopatia causata dai prioni) pertanto il GH umano venne ritirato dal mercato nel 1985. L'anno
successivo le ricerche biotecnologiche portavano alla produzione del GH umano ricombinante, il cui
uso nello sport non è esploso come gli steroidi a causa degli alti costi e della difficoltà di acquistarlo
allo stato puro.
Più recentemente, un altro prodotto della ricerca biotecnologica con potenti effetti anabolizzanti ha
iniziato la conquista del mercato del doping: l'IGF-1 (insulin-like Growth Factor). L'IGF-1 è un
peptide analogo alla proinsulina usato nella terapia di alcune forme di nanismo e nella cura del
diabete resistente all'insulina.
Una delle maggiori sfide per i laboratori antidoping è proprio quella di riconoscere gli effetti
dell'utilizzo di questi peptidi ricombinanti con test antidoping specifici.
Metodo per doparsi: autotrasfusione è il tipo di doping detto ematico. All’atleta si preleva fino a
un litro e mezzo di sangue, che viene conservato in frigorifero con l’aggiunta di sostanze
anticoagulanti. Nell’arco di 20-30 giorni, il sangue si riforma. Poche ore prima della gara, quello che
era stato prelevato viene reiniettato, facendo aumentare il volume complessivo fino a sei litri e
mezzo circa e accrescendo di conseguenza il numero dei globuli rossi: così ai muscoli arriverà più
ossigeno, con una più rapida produzione di energia e dunque migliori prestazioni e maggiore
resistenza alla fatica. Ma l’autotrasfusione porta con sé dei danni, se protratta: il cuore viene
sottoposto a un super lavoro; l’eccesso di globuli rossi apporta una quantità spesso tossica di ferro
(contenuto nell’emoglobina, la molecola dei globuli rossi implicata nel trasporto dell’ossigeno);
l’eccessiva ossigenazione determina un’usura superiore alla norma dei tessuti; si possono alterare i
meccanismi deputati alla produzione delle cellule ematiche, aprendo le porte a malattie autoimmuni,
tumori e patologie cerebrovascolari.
A complicare lo scenario si sono aggiunti i recenti progressi nel campo della terapia genica, ad esempio
l'evidenza di un aumento della performance muscolare in modelli animali dopo modificazioni geniche.
Il timore che la manipolazione genetica e le tecniche di terapia genica vengano applicate per cercare di
migliorare la performance sportiva, ha portato la WADA ad inserire il doping genetico nella lista dei metodi
proibiti. Per doping genetico si intende "l'uso non terapeutico di cellule, geni, elementi genici o della
modulazione dell'espressione genica, che possa aumentare la performance sportiva".
L'eritropoietina (EPO)
L'eritropoietina, nota ai più con la sigla EPO, è un ormone glicoproteico (costituito da 193 aminoacidi di
cui i primi 27 vengono persi al momento della secrezione) che regola la produzione di globuli rossi
(eritropoiesi). Viene sintetizzata soprattutto dalle cellule del rene e in piccola parte dal fegato che diviene il
principale produttore solo durante la vita fetale. L'utilizzo dell'eritropoietina in campo medico permette di
curare alcuni tipi di anemie, come quella dovuta ad insufficienza renale cronica.
Quali sono le sue funzioni? Dopo essere
stata immessa in circolo l'eritropoietina interagisce con specifici recettori (Epor) presenti nel midollo osseo,
il più importane organo emopoietico nell'adulto. In particolare il legame eritropoietina-recettore innesca una
serie di processi che portano alla formazione di nuovi globuli rossi.
Gli eritrociti sono le cellule più numerose del sangue: circa 4-6 milioni per millimetro cubo. Sono privi di
nucleo per lasciare più spazio all'emoglobina, una proteina in grado di fissare e trasportare l'ossigeno alle
cellule, caricandosi una parte dell'anidride carbonica ed eliminandola nei polmoni.
Nel nostro corpo non esistono riserve di eritroproteina e la sua sintesi varia in relazione alle richieste
metaboliche. In particolare la produzione di EPO viene regolata dalla presenza di ossigeno nei tessuti e in
minima parte dalla sua concentrazione nel siero. Se i tessuti non ricevono abbastanza ossigeno i reni
aumentano la secrezione di eritropoiteina e viceversa. Basta chiudere un soggetto per qualche ora in una
stanza con ridotta presenza di ossigeno per aumentare in modo significativo la produzione di eritropoietina.
Anche alcuni ormoni come il testosterone e gli ormoni tiroidei intervengono in questo processo di sintesi. I
livelli normali di eritropoietina nel sangue sono circa 2-25 mU/ml, ma possono umentare di 100-1000 volte
come risposta all'ipossia
ERITROPOIETINA SINTETICA
Il gene che regola la produzione di eritropoietina è stato isolato per la prima volta nel 1985.
L'EPO può essere sintetizzata in laboratorio sfruttando la tecnica del DNA ricombinante. Questo metodo,
abbastanza recente ma costoso, permette di estrarre un gene specifico dal DNA di una cellula e di inserirlo in
un'altra cellula che produrrà grandi quantità pure della sostanza codificata da quel gene (in questo caso
l'epo).
I globuli rossi sono il risultato di un lungo processo di divisione e differenziamento cellulare.Grazie alla sua
funzione l'eritropoietina è in grado di regolare questi passaggi selezionando e portando a maturazione solo le
cellule funzionali.
L'eritropoietina prodotta in laboratorio non è in grado di operare questa selezione. Di conseguenza in seguito
alla sua somministrazione vengono sintetizzate e immesse in circolo anche cellule imperfette con un maggior
rischio di patologie ematiche e tumorali.
Perché gli atleti ne fanno uso?
Una maggior concentrazione di globuli rossi nel sangue migliora il trasporto di ossigeno ai tessuti.
L'ertitropoietina viene quindi impiegata soprattutto negli sport di durata per favorire i processi aerobici
cellulari e garantire una maggiore resistenza alla fatica.
Sebbene alcuni studi abbiano attribuito all'eritropoietina modeste proprietà anaboliche (riparazione delle
cellule muscolari e aumento della massa magra) il suo impiego negli sport di potenza è limitato poiché poco
efficace nel miglioramento della prestazione.
EPO E DOPING: PERICOLI ED EFFETTI COLLATERALI
Come è noto i globuli rossi (GR) trasportano l'ossigeno ai tessuti e negli sport di resistenza, ad esempio
ciclismo, sci di fondo ecc., le richieste di ossigeno sono molto elevate. Da tempo, pertanto, sono state
indagate metodiche per aumentare la produzione dei globuli rossi in modo da migliorare la performance
sportiva. La più recente strategia è basata sul ruolo stimolatorio dell'eritropoietina sulla sintesi di globuli
rossi da parte del midollo osseo.
L'eritropoietina di origine esogena (sintetica) è molto più dannosa per la salute rispetto a quella endogena
secreta dal rene.
Abbiamo già visto come la somministrazione di questa sostanza provochi la produzione di globuli rossi
anomali ed aumenti il rischio di sviluppare patologie ematiche e tumorali (leucemie). Esiste tuttavia anche un
altro motivo per cui l'eritropoietina sintetica è molto pericolosa per la salute dell'atleta: l'aumento dei globuli
rossi diminuisce infatti la fluidità del sangue, aumentando la parte solida o corpuscolare (ematocrito). Questo
aumento di viscosità causa un innalzamento della pressione arteriosa (ipertensione) e facilita la formazione
di trombi che, una volta formatisi, possono occludere i vasi sanguigni (trombosi). Tale rischio aumenta
notevolmente in caso di disidratazione, come avviene solitamente nelle gare di durata.
Tra gli effetti collaterali più gravi di questa sostanza rientrano anche aritmie cardiache, morte improvvisa e
danni cerebrali (ictus).
1. Essa costituisce un vantaggio acquisito slealmente. Ogni sport contempla, infatti, oltre alle regole
di gioco, anche dei divieti come, per esempio, il divieto di partenza anticipata (la cosiddetta falsa
partenza) o la proibizione di far uso di equipaggiamento non regolamentare. Il rispetto delle regole
serve a garantire a tutti i partecipanti uguali condizioni di partenza; la loro infrazione viene dunque
punita con la squalifica o con la sospensione delle gare.
2. L’uso indiscriminato di farmaci provoca rilevanti danni organici. Tutti i farmaci hanno un definito
indice terapeutico che deriva dal rapporto tra effetti curativi e tossici. Nessuna delle sostanze dopanti
agisce solo dove si vorrebbe. Vengono, infatti coinvolte più parti dell’organismo, con danni organici
spesso irreversibili. Nei casi più gravi si hanno esiti addirittura mortali, a volte dopo anni di distanza
dall’uso del farmaco.
3. Tale pratica ha una diffusione preoccupante tra i giovani. In passato i farmaci venivano assunti
solo in caso di malattie di una certa gravità. Oggi, invece, si ricorre ai farmaci per ogni piccolo
disturbo. Addirittura, sovente il trattamento farmacologico diventa un supporto per affrontare,
svolgere e migliorare le normali attività professionali. Negli sport la promozione di un modello
sbagliato di efficienza, forza, prestazione, bellezza si sostituisce al corretto spirito sportivo, basato
sulla volontà, sul sacrificio e sulla costanza dell’allenamento. Tra i giovani si diffonde la
convinzione che per vincere sia necessario essere supportati da qualcosa di artificiale. Si insinua
nelle loro abitudini una sorta di doping artigianale: ingeriscono sostanze di cui non conoscono del
tutto, o per nulla, gli effetti. E’necessario comprendere che i farmaci devono essere utilizzati
unicamente per far fronte alle malattie e non per migliorare l’efficienza fisica. Qualunque
sperimentazione di farmaci su soggetti sani è da considerarsi un atto illecito. Si deve contrastare
l’affermazione di una mentalità a favore del doping tra atleti, allenatori e sostenitori. Bisogna
combattere l’atteggiamento remissivo che considera il doping ormai così diffuso da non permettere
ai nuovi atleti di emergere, in alcune discipline, senza farne uso.
4. I giovani sportivi devono crescere con la consapevolezza di poter migliorare le proprie potenzialità
attraverso adeguati stili di vita, una corretta alimentazione e una buona programmazione degli
allenamenti. Il vero confronto con il proprio avversario deve rimanere un confronto tra atleti e non
tra farmaci.
FAIR PLAY
Il fair play, letteralmente “gioco corretto”, è un concetto che nasce in Inghilterra nell’Ottocento e viene
concepito inizialmente per le competizioni sportive.
Con il tempo si fa spazio in altri ambiti e si diffonde anche nei rapporti sociali e nella politica, perché il fair
play, ormai, non rappresenta solo un modo di comportarsi, ma anche un modo di pensare. Definirlo
come il semplice rispetto delle regole nel gioco sarebbe riduttivo, poiché si tratta di un concetto che si
collega e ne presuppone altri, di grande rilevanza, quali l’amicizia, il rispetto degli altri e dell’avversario, lo
spirito sportivo. Cosa significa in
concreto Il riconoscimento
del fair play da parte della politica e delle istituzioni è avvenuto gradualmente, man mano che il concetto si
radicava sempre di più nella mentalità degli organismi di governo dello sport. Ed è così che nel 1992,
durante la Conferenza di Rodi, il Consiglio d’Europa, costituito per l’occasione dai ministri dello sport,
approva il Codice Europeo di etica Sportiva. Si tratta di un
documento che, pur non fissando regolamenti precisi, prevede un quadro etico di riferimento con l’obiettivo
di diffondere una mentalità sportiva, che sia condivisa in ogni attività. In questo contesto, il fair play,
come sintesi delle considerazioni etiche, si trova al centro di tutto il codice, come elemento necessario e non
accessorio: deve guidare l’approccio allo sport che vede come principi cardine lotta ai brogli, al doping, alla
violenza verbale e fisica, alle discriminazioni. Un criterio guida, quindi, a cui tutti coloro che
promuovono esperienze sportive per giovani e bambini devono attribuire la massima priorità.
Praticare uno sport con fair play significa avere l’opportunità di conoscersi più a fondo, di fissare e
raggiungere obiettivi attraverso l’impegno e la costanza, di integrarsi con gli altri ed interagire, di divertirsi e
dimostrare le proprie abilità tecniche. Quali sono i
principi a cui attenersi Quando lo sport
non viene contaminato da interessi politici ed economici, dall’ignoranza e prepotenza, è una delle attività
maggiormente formative ed educative. Tra le principali
caratteristiche dell’attività sportiva c’è sicuramente l’immediatezza del suo linguaggio, che la rende
comprensibile da tutti e capace di trasmettere valori fondamentali e universalmente condivisi, quali la
capacità di assumersi responsabilità, l’interazione sociale, l’acquisizione di abilità tecniche e una conoscenza
più profonda di sé stessi. In particolare, quando si
parla di sport e di fair play, che si tratti di atleti o di tifosi, è importante attenersi ai seguenti principi:
· Giocare per divertirsi
· Giocare con lealtà
· Rispettare le regole del gioco
· Rispettare i compagni di squadra, gli avversari, gli arbitri e gli spettatori
· Accettare la sconfitta con dignità
· Rifiutare il doping, il razzismo, la violenza e la corruzione
· Essere generosi verso il prossimo e soprattutto verso i più bisognosi
· Aiutare gli altri a resistere nelle difficoltà
· Denunciare coloro che tentano di screditare lo sport
· Onorare coloro che difendono lo spirito olimpico dello sport
Esempi concreti di fair play nello sport
Dirigente sportivo, pedagogista e storico francese, conosciuto per essere stato il fondatore dei moderni
Giochi olimpici, Pierre de Coubertin amava ripetere che “l’importante non è vincere, ma partecipare”. Un
concetto semplice, ma colmo di saggezza, che nella pratica è stato messo in atto attraverso incredibili esempi
di fair play.
Era il 1964, durante l’edizione dei giochi di Innsbruck, quando l’atleta italiano Eugenio Monti
venne sommerso di applausi per il suo gran cuore. Nel corso della finale della gara a squadre di
bob, la squadra britannica riscontrò un problema tecnico che, se non risolto, le avrebbe impedito
di gareggiare. Proprio in quell’occasione, Monti prestò agli avversari il suo bullone per
permettergli di continuare la competizione, che poi avrebbero vinto. Ciò che colpì di
quell’episodio, non fu soltanto il gesto di grande sportività del campione, ma il modo in cui
l’azzurro commentò la sconfitta: “hanno vinto perché sono andati più veloci, non perché gli ho
prestato il mio bullone”.
Nella seconda metà degli anni ‘50 emerge la figura di Charly Gaul, che nel Giro d’Italia conquistò
la Maglia Rosa con il maltempo, pioggia e vento gelido (temperatura -4 gradi) tagliando il traguardo
in prima posizione con 7 minuti di vantaggio.
Verso la fine degli anni ‘60 nacque la sfida tra Gimondi e Merckx che vinsero otto edizioni del Giro
d’Italia (5 Merckx e 3 Gimondi). Ma questa sfida riguardò anche altre gare.
Nel giro d’Italia 1969 Merckx venne squalificato perché risultato positivo ad un controllo anti-
doping.
Nell’edizione del 1974 vinse con soli 12 secondi di vantaggio rispetto a Baronchelli e 33 secondi su
Gimondi.
Era negli anni 80’ e 90’ che c’era maggiore rivalità tra Giuseppe Saronni e Francesco Moser, capaci
di gareggiare e vincere su qualsiasi terreno.
In Francia, spiccó il nome di Bernard Hinault, uno dei più forti, tant’è che ogni volta che venne alla
corsa cosa egli non aveva mai rivali, perché dominava in tutto e per tutto: ricordiamo le vittorie
epiche come Roccaraso, Campitello Matese e Montecampione.
Nonostante Moser era più forte a livello di tempo, Saronni fu capace di incrementare il vantaggio in
salita, concludendo con il distacco finale di 2’09’ (vinse nell’83).
L’unica corsa vinta da Moser fu nel 1984, dove vi furono numerose polemiche.
Gli anni 90’ si aprono con il successo incredibile che ebbe Gianni Bugno, ció nonostante fu Miguel
Indurain a dominare il ciclismo internazionale: proprio grazie allo strapotere nelle prove contro il
tempo e la sua capacità di amministrare il vantaggio sulle montagne, quasi nessuno riuscì a
sconfiggerlo in questi anni.
Questi anni 90’ erano legati a un ragazzo di Cesenatico, scalatore formidabile in grado di i collare
un paese intero alla TV, Marco Pantani, che ad inizio carriera fu sfortunatissimo a causa di una serie
di cadute e incidenti che non gli permisero di competere al 100%.
Il capolavoro fu firmato al Giro d’Italia 1998, vinto su Pavel Tonkov.
Dopo aver vinto anche il Tour De France 1998, il corridore di Cesenatico tentó una nuova doppietta
nel 99’ dimostrando di avere una grande condizione, trionfando sul Gran Sasso e vestendo la maglia
da leader. (vinse poi all’Alpe di Pampeago e a Madonna di Campiglio, e nessuno sembrava più
potergli togliere la vittoria).
Fu qui che, dopo la vittoria a Campiglio, venne sottoposto ad un test in cui i suoi globuli
mostrarono una concentrazione superiore al consentito (ció non significava doping, ma venne
sospeso per 15 giorni, non potendo finire la corsa, vinta poi da Ivan Gotti).
Dopo quel giorno la sua carriera cambió radicalmente, e dopo aver spaccato con un gesto di rabbia
un vetro dell’albergo, accerchiato da Carabinieri e giornalisti disse: “mi sono rialzato dopo tanti
infortuni e sino tornato a correre, questa volta però per me rialzarmi sarà molto difficile”.
Tutto ciò lo portó alla depressione e alla morte il giorno di San Valentino del 2004.
Dopo Marco Pantani, si succedettero vari corridoi italiani a vincere il Giro d’Italia.
La Corsa Rosa tornó tra i grandi del ciclismo, e il giovanissimo Alberto Contador (già vincitore del
Tour de France) decise di partecipare al Giro d’Italia nel 2008.
Sebbene non vinse nemmeno una tappa, egli cercava di mantenere una certa regolarità, che gli
permise di trionfare con 1’57’ su Riccardo Riccó.
L’edizione del Giro d’Italia del 2010 vide la seconda vittoria di Ivan Basso, e la nascita di un
campione chiamato Vincenzo Nibali.
Nel 2011 ritornó vittorioso Alberto Contador, fino a quando una squalifica retroattiva lo provo del
Trofeo senza fine, e vinse così il giro d’italia Michele Scarponi.
Il 2013 e il 2016 sono gli anni di Vincenzo Nibali. Soprattutto quella del 2013 fu un’edizione senza
storia, con le vittorie a Bardonecchia, nella cronoscalata di Polsa e alle Tre Cime di Lavaredo (sotto
la neve).
Nel Giro d’Italia del 2016 arrivó così la vittoria in modo inaspettato, vincendo a Risoul e attacca a
Sant’Anna di Vinadio, vincendo la sua seconda maglia rosa.
Al Giro d’Italia del 2018 va ricordata l’impresa di Chris Froome, ma alla 19esima tappa attacca sul
Colle delle Finestre a 80km dall’arrivo, e Tom Dumoulin, il suo rivale diretto, tenta di inseguirlo
ma fu costretto a soccombere arrivando a oltre tre minuti.
Con quest’azione, Chris Froome si aggiudicó il Giro d’Italia, dopo 4 tour de France e 1 Vuelta di
Spagna, entrando nel club dei vincitori di tutte le tre tappe.
Nel 2019, Richard Carapaz, regaló al suo paese la prima gioia nel ciclismo mondiale.
I tre corridoi detengono il record di vittorie alla corsa: Alfredo Binda, Fausto Coppi, Eddy Merckx.
Per nazioni l’Italia comanda la classifica con ben 69 vittorie divise in due corridoi.
Mario Cipollini guida invece la classifica con dei corridoi con maggiori tappe vinte al Giro d’Italia,
con 42 vittorie in frazioni intermedie.
Il Tour de France è il giro di ciclismo su strada più famoso e importante del mondo. Questa corsa si
svolge ogni anno dal 1903 (esclusi i periodi della prima e della seconda guerra mondiale) nel mese di luglio.
Per circa 3 settimane i ciclisti che vi parecipano attraversano in lungo e in largo il pentagono di Francia, e a
volte i paesi confinanti.
L’idea venne a un giovane giornalista di ciclismo, chiamato Géo Lefèvre. Per risollevare la crisi del
giornale per cui lavorava propose l’organizzazione di un evento unico: una gara a tappe di ciclismo che
attraversa tutta la Francia. Essendo il ciclismo molto popolare all’epoca, in questo modo il giornale, L’Auto-
Vélo, poté assicurarsi tanta pubblicità e un consistente aumento delle vendite.
Il giornale era contraddistinto perché stampato su carta gialla, proprio per questo la maglia del corridore
in testa alla classifica generale prese lo stesso colore. Per lo stesso principio la maglia rosa del giro d’Italia
ha il colore de La Gazzetta dello Sport.
Tra le altre classifiche vengono eletti il miglior scalatore, il migliore tra i giovani, la migliore squadra. Ad
ogni tappa viene anche affidato il “Premio della combattività” al ciclista più agguerrito.
Tra i vari riconoscimenti, per un periodo, venne attribuito quello per l’ultimo in classifica: la Lanterne
Rouge (lanterna rossa). L’ultimo arrivato portava sotto la sella un segno di riconoscimento rosso. La
tradizione voleva anche che facesse l’ultima tappa con una lanterna e un giro d’onore all’arrivo. Quello
dell’ultimo posto è per cui ancora ambito tra i corridori che cercano visibilità mediatica. Dal 1980 però, per
scoraggiare questa pratica, gli organizzatori decisero di eliminare dal tour l’ultimo classificato di ogni tappa.
Come anche per il giro d’Italia, la corsa ha una svolta nelle tappe di montagna. Alcune montagne sono
diventate leggendarie per gli appassionati di questo sport. Tra le più famose ci sono il colle del Tourmalet
(2.114 m sui Pirenei), il Colle del Galibier (2.645 m nelle Alpi) e il mont Ventoux (1.909 m in Provenza).
Dal 1975 la tappa conclusiva del Tour termina a Parigi, nella cornice degli Champs-Elysées, per la
felicità dei turisti e dei parigini che vi assistono in massa.
Per altre informazioni ed eventi a Parigi legati al tour de France, appuntamento sulla pagina degli Eventi
a Parigi
Spesso si associa la Shoah ad immagini post belliche di carneficine, Bergen-Belsen, Buchenwald. desolate,
violente foto in bianco e nero, scattate durante la liberazione da terrorizzati soldati Inglesi e Americani:
anonime montagne di corpi , gambe e braccia scheletrici ammucchiati vicino a fosse comuni. Guardando
queste immagini è difficile ricordare che quei corpi nudi e dimenticati erano esseri umani.
Sei milioni di persone non erano nate per essere vittime, ma per avere vite piene ed un futuro: erano felici per
i loro bambini, guardavano i tramonti, ballavano ai matrimoni, facevano il tifo per squadre sportive,
prendevano il sole sulla spiaggia, partecipavano a gruppi giovanili, facevano arte e musica, lavoravano duro
e avevano speranze e sogni per il futuro.
Tutto questo gli è stato brutalmente portato via: l'ideologia Nazista li ha condannati a morte soltanto perché
erano Ebrei.
Si dice spesso: “Una immagine è meglio di mille parole”. Negli archivi dello Yad Vashem ci sono centinaia
di fotografie di Ebrei prese durante la loro vita quotidiana, prima che ci fosse un piano per sterminarli come
nazione. Sono foto di persone, ora congelate nel tempo, che si erano fermate per catturare un momento
speciale da conservare per il futuro: un figlio amato , una felice riunione di famiglia, le facce piene di
speranza di due novelli sposi. Nessuna di loro immaginava il terribile destino che le attendeva, nessuna
poteva sapere che quegli scatti sarebbero stati l'ultima e sola eredità di un'intera vita, l'unica prova che
fossero mai esistite realmente. Tragicamente non tutti i visi di queste foto sono stati identificati:
quelli che li conoscevano e li amavano, che li avevano fotografati sono spesso stati uccisi assieme a loro e
non abbiamo potuto dare un nome ad ogni viso, come sarebbe stato doveroso.
Noi speriamo che mostrando alcuni visi dietro le statistiche degli uccisi ad Auschwitz, potremo rendere
queste persone più tangibili: prima di essere uccisi dai nazisti, prima di diventare aridi dati per gli storici,
erano persone; avrebbero potuto vivere ricche vite eccitanti o noiose vite normali o non comuni, ma loro
erano vivi, prima di essere falciati via. Dopo aver visto gli occhi di queste persone nelle fotografie esse non
saranno più anonime, se non altro queste foto ci avranno fatto fermare per un attimo a considerare che erano
persone come noi, ed ognuno di loro era un universo. Se noi possiamo capire questo avremo fatto un passo
avanti nella comprensione di ciò che abbiamo perso nella Shoah.