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Il ‘terzo stile’ di Beethoven e il

Quartetto op. 131


di Marco Mangani1

Fin dalla metà dell’Ottocento il musicologo Wilhelm von Lenz aveva


individuato ‘tre stili’ nella produzione di Beethoven: un primo periodo
giovanile teso all’appropriazione dei modelli compositivi (1793-1802), un
secondo periodo in cui si rivela il Beethoven pienamente maturo e con un
proprio personalissimo stile (1803-1815) e infine un terzo periodo di
superamento e meditazione quasi astratta (1816-1827). Tuttavia,
praticamente in ogni compositore che non sia morto in giovane età si
possono rintracciare tre fasi simili. Nel caso di Beethoven, però, questa
tripartizione non è del tutto superflua o infondata: se nel 1802 egli parlò
di una ‘nuova via’, tra il 1815 1816 egli registrò un anno in cui compose
assai poco, e dopo di esso il suo stile mutò radicalmente…
(Carrozzo – Cimagalli, Storia della musica…, vol. 2, pp. 421-422)

1.

Un “terzo stile” beethoveniano si era già delineato almeno a

partire dalla Sonata per pianoforte op. 101 e dalle due Sonate per

violoncello e pianoforte opera 102. Tra le vette raggiunte nell’ambito

di questo stile, oltre alla Missa Solemnis e alla Nona Sinfonia,

1I testi dei §§ 1-5 sono tratti, con alcuni aggiustamenti, dalle trasmissioni sui quartetti
per archi realizzate per Rete Toscana Classica nell’ambito del ciclo radiofonico
Beethoven 250: e gli uomini salirono verso la luce, ideato e curato da Alberto Batisti e
Luca Berni.
dobbiamo inevitabilmente citare quella vera e propria summa

dell’arte della variazione costituita dal ciclo delle 33 Variazioni su un

valzer di Diabelli, che in un certo senso possiamo considerare come

l’erede moderna delle Variazioni Goldberg di Bach.

In tutto questo, però, occorre anche dire che mai come negli

ultimi quartetti,2 che sono anche le ultime composizioni che

Beethoven riuscì a completare e che lo impegnarono interamente

negli ultimi due anni della sua esistenza, il compositore aveva spinto

al massimo grado la libertà creativa già manifesta nelle composizioni

immediatamente precedenti.

2.

Lewis Lockwood ha riassunto il terzo stile di Beethoven in

cinque punti.3

Il primo è quello dell’innovazione formale, vistoso soprattutto nei tre

quartetti centrali, opera 132, 130 e 131, nessuno dei quali adotta il

tradizionale ciclo in quattro movimenti.

2Si tratta, in ordine cronologico delle op. 127, 132, 130, 131 e 135. In un secondo
momento, il finale dell’op. 130, un’inaudita ‘Grande Fuga’, fu sostituito da un
movimento più semplice, per esser poi pubblicato come brano a sé stante (op. 133).
3Inside Beethoven’s Quartets: History, Performance, Interpretation, Cambridge MA,
Harvard University Press, 2008.

~2~
Il secondo punto è il ruolo assegnato da Beethoven alla

→variazione da un lato e al →contrappunto dall’altro,4

rivoluzionando in entrambi i casi l’eredità della tradizione.

Il terzo punto caratterizzante il terzo stile di Beethoven, nella

sintesi di Lewis Lockwood, è costituito dai riferimenti extramusicali:

i titoli e i motti apposti ad alcuni movimenti vanno nella stessa

direzione del ricorso alla poesia di Schiller per il finale della Nona

Sinfonia, e indicano il limite oltre il quale, per l’ultimo Beethoven, la

musica strumentale sembra non poter andare. Emblematico a tale

riguardo, il caso dell’ultimo quartetto, op. 135: l’ultimo movimento

di questo quartetto è costituito da un ‘Grave ma non troppo tratto’

introduttivo e da un ‘Allegro’ i cui temi, strettamente imparentati tra

loro, corrispondono rispettivamente alla domanda Muss es sein?

(‘dev’essere?’) e alla risposta Es muss sein, es muss sein (‘dev’essere,

dev’essere!’); il tutto preceduto dal titolo Der schwer gefasste

Entschluss (‘l’ardua decisione’).

Proseguendo con l’efficace schematizzazione di Lockwood,

come quarto punto caratterizzante troviamo la contaminazione dei

generi, ovvero il ricorso a moduli e stilemi propri di altri ambiti

4I rinvii si riferiscono alle voci del Breve lessico musicale curato da Fabrizio Della Seta,
Roma, Carocci, 2009.

~3~
musicali all’interno del genere quartettistico: è il caso, ad esempio,

della ‘Cavatina’ che costituisce il penultimo movimento del

Quartetto op. 130, e che dichiara fin dal titolo la propria ispirazione

operistica.

Come quinto e ultimo punto caratterizzante lo stile

beethoveniano dell’ultimo periodo, Lockwood segnala infine la

condotta delle parti: a una totale equiparazione dei ruoli dei quattro

strumenti corrisponde l’esplorazione dei loro registri estremi (e in

particolare, dei registri acuto e sovracuto del primo violino).

3.

A quanto ci riferisce il primo importante biografo di

Beethoven, l’americano Alexander Wheelock Thayer,5 parlando con

il violinista Karl Holz Beethoven aveva pronunciato il suo ‘manifesto’

estetico: «anche l’immaginazione», aveva dichiarato il compositore,

«esige i suoi diritti, e oggi si deve introdurre nelle vetuste forme

della tradizione un nuovo e reale elemento poetico».

Niente più del Quartetto in do diesis minore opera 131, non a

caso particolarmente amato da Wagner che ne curò una

5 The Life of Ludwig van Beethoven, 3 voll., New York, 1866-1879.

~4~
strumentazione, sembra concretizzare questo manifesto estetico

beethoveniano. Rispetto ai tre quartetti precedenti, che si erano

peraltro spinti molto avanti in questa direzione, l’op. 131 compie

infatti un passo ulteriore, e si presenta come il più originale e

innovativo dei quartetti beethoveniani: lo seguirà un quartetto (op.

135) che tira, per così dire, i remi in barca, e realizza

prodigiosamente un’architettura formale molto più consueta rispetto

a quella del suo predecessore.

La caratteristica più evidentemente innovativa del quartetto

op. 131 è che esso si snoda in maniera ininterrotta lungo i 7

movimenti che lo compongono. L’altra vistosa caratteristica di

questo quartetto è quella di aprirsi con un movimento lento, un

‘Adagio ma non troppo e molto espressivo’. Non si tratta, si badi

bene, della consueta introduzione lenta al primo movimento, ma di

un movimento ampio e autonomo, che presenta oltretutto un

ulteriore aspetto di novità formale: anziché essere articolato secondo

la →forma-sonata tipica dei primi movimenti strumentali

dell’epoca classica, questo Adagio è una vera e propria →fuga, sia

pure trattata secondo quella nuova concezione che Beethoven aveva

rivendicato già da tempo: in sé e per sé, sosteneva Beethoven,

~5~
comporre una fuga non costituisce un problema per un compositore

(lui ne aveva composte molte, per esercizio da giovane); il vero

problema è, per così dire, infondere nella forma della fuga un forte

contenuto espressivo. La fuga dell’op. 131 realizza un equilibrio

magistrale tra la dottrina della scrittura contrappuntistica e una

forza espressiva tutta romantica.

4.

Come si è detto, l’aspetto più innovativo di questo quartetto è

costituito dal fatto che ogni movimento si conclude aprendosi al

tempo stesso verso l’attacco del movimento successivo, il tutto

ricorrendo a una pluralità di formule di raccordo:

1. Adagio ma non troppo e molto espressivo → 2. Allegro molto vivace

→ 3. Allegro moderato → 4. Andante ma non troppo e molto cantabile → 5.

Presto → 6. Adagio quasi un poco andante → 7. Allegro

Abbiamo già ricordato come il Quartetto op. 131 piacesse in

maniera particolare a Richard Wagner, che ne ha lasciato una

descrizione molto immaginifica e, francamente, a tratti eccessiva nei

toni, ma cogliendo alcuni aspetti importanti della composizione. In

~6~
particolare, è celebre il modo nel quale Wagner descrive il passaggio

dal 5° movimento (Presto) al 7° e ultimo, attraverso un breve Adagio

in 3/4 che offre un contrasto molto forte tanto con il movimento

precedente quanto con il successivo. Per tutto lo scritto, Wagner

paragona Beethoven a un beato, che non rifugge però da tutte le

sfumature dell’esistenza, anche le più terrene. Ecco dunque come

descrive Wagner il trascolorare l’uno nell’altro degli ultimi tre

movimenti del quartetto opera 131:6

Crediamo di vedere ora quel beato volgere al mondo esterno lo sguardo


indicibilmente sereno (Presto [in] 2/2): l’universo intero gli è davanti
come nella [Sinfonia] Pastorale; tutto è illuminato dalla sua interna
felicità; è come se egli stesse spiando i suoni dei fenomeni che, leggeri o
gravi, si muovono in ritmica danza. Guarda alla vita e sembra riflettere
un istante (breve Adagio [in] 3/4) a come potrebbe intonare la danza
dell’esistenza; una meditazione breve ma solenne come se sprofondasse
nel profondo sogno della sua anima. Una sola occhiata gli ha di nuovo
mostrato l’interno del mondo: allora si ridesta e tocca le corde per
intonare una danza che il mondo non ha mai udito (Allegro finale).
Questa è la danza del mondo stesso: piaceri sfrenati, lamenti di dolore,
estasi d’amore, somme letizie, lacrime, ira, voluttà, tormenti; pare che
guizzino lampi, rullino tuoni; e su tutto ciò, il portentoso musicista, che
tutto scatena e frena, superbo e sicuro fra turbini e abissi, sorride a se
stesso, perché tutta questa opera di magia è per lui un gioco. E la notte
cade. La sua giornata è compiuta.

6Citazione tratta da Wagner, Scritti su Beethoven, prefazione di Piero Mioli, ebook,


Manzoni Editore, 2019.

~7~
5.

Tra gli aspetti dell’op. 131 che maggiormente colpirono

Wagner, inoltre, vi fu senz’altro la tecnica sopraffina con la quale

Beethoven aveva elaborato tutto il materiale tematico del quartetto a

partire, sostanzialmente, da un’unica cellula, quella che costituisce il

soggetto della fuga iniziale, e che, in fogge diverse, ricorre anche nei

quartetti op. 132 e op 130, nonché nella ‘Grande Fuga’ op. 133.

Questo tipo di elaborazione tematica influenzò direttamente il

linguaggio orchestrale dei drammi musicali wagneriani, e fu alla

base della tecnica del →Leitmotiv.

~8~

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