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Pascoli
Biografia
Nacque a San Mauro di Romagna nel 1855. Dai sette ai dodici anni studiò nel
collegio “Raffaello”, che dovette lasciare in seguito alla morte del padre, ucciso
da sconosciuti mentre tornava dalla fiera di Cesena. Anche se fu colpito da altri
lutti familiari come la morte della madre e della sorella, continuò a studiare,
vincendo una borsa di studio, con la quale s’iscrisse alla facoltà di Lettere
dell’Università di Bologna. Durante gli anni di Università partecipò alle
dimostrazioni in favore di Passanante. Fu arrestato e trascorse tre mesi in
carcere, dopodichè fu assolto e liberato. Riprese gli studi, si laureò e subito
iniziò la carriera d’insegnante di latino e greco. Insegnò per varie Università,
finchè nel 1905 ottenne a Bologna la cattedra di Letteratura italiana. Morì proprio
a Bologna nel 1912.

Pensiero

Il Pascoli ebbe una concezione dolorosa della vita, le cause di tutto questo
furono due fatti principali: la tragedia familiare e la crisi del positivismo. La
tragedia familiare è costituita da vari lutti che colpirono il poeta, infatti prima gli fu
ucciso il padre, poi in rapida successione morirono la madre, la sorella
maggiore, e i due fratelli Luigi e Giacomo. Questi lutti gli ispirarono il mito del
“nido” familiare da ricostruire, del quale fanno parte i vivi e idealmente anche i
morti, legati ai vivi dai fili di una misteriosa presenza. Secondo il poeta infatti, in
una società sconvolta dalla violenza, la casa è il rifugio nel quale i dolori e le
ansie si placano. Il pensiero del Pascoli fu poi anche influenzato dalla crisi del
positivismo, che si verificò verso la fine dell’Ottocento e fece crollare i suoi miti,
quelli della scienza liberatrice e del progresso. Infatti il poeta riconosce
l’impotenza della scienza nel risolvere i problemi umani e sociali, e inoltre la
accusa anche di aver reso più infelice l’uomo, distruggendo in lui la fede in Dio,
che era stata per secoli il suo conforto. Perduta la fede nella scienza il poeta fa
adesso riferimento al mondo dell’ignoto e dell’infinito, arrivando alla conclusione
che gli uomini sono creature fragili, soggette al dolore e alla morte.

Myricae

Pascoli 1
Raccolte chiamate ‘’Myricae’’, che hanno come epigrafe ‘’arbusta iuvant
humilesque Myricae’’ (giovano gli arbusti e le umili mirice), traendo ispirazione
dalla frase latina di Virgilio (4 ecloga, quella del Puer) paulo maiora canamus
non omnes iuvant arbusta humilseque myricae
cantiamo cose un pò più grandi, non a tutti piacciono gli arbusti e le umili mirice
(alberi modesti che crescono vicino al mare). Nel 1891 regala la raccolta ad un
amico in nozze.

La storia compositiva di Myricae scorre lungo tutta la vicenda poetica di Pascoli:

la prima edizione è del 1891, e comprende 22 componimenti;

nel 1892 esce la seconda edizione, con 72 componimenti;

1894, terza edizione, con 116 componimenti;

1897, quarta edizione, portata a 152 componimenti; a partire da questa


edizione Pascoli organizza definitivamente la raccolta in 15 sezioni;

1900, quinta edizione, con il totale definitivo di 156 componimenti;

fino al 1911 seguiranno ancora 4 edizioni dell'opera, frutto di piccole


revisioni stilistiche e strutturali-linguistiche.

è una raccolta dedicata al padre, il tema della morte che distrugge il nido
insieme al bibisglio della natura

X Agosto

La poesia è diversa dalle altre di Myricae poiché non è un quadro di natura, ma


rievoca la propria tragedia familiare, l’uccisione del padre che avviene il 10
agosto, nella notte di San Lorenzo, il poeta crede che appunto il cielo pianga
stelle per questa morte. Il discorso è costruito su studiate simmetrie, la prima
corrisponde all’ultima, perché riguarda il pianto del cielo, le strofe 2 e 3 invece
corrispondono a quelle 4 e 5, in cui vi è il tema dell’uccisione di una rondine che
non può più portare il cibo ai suoi rondinini che pian piano muoiono, paragonato
all’uccisione del padre, che allo stesso modo non può far ritorno a casa. Vi sono
anche allusioni a Cristo, la rondine muore su spine come in croce, come dice
Pascoli, anche il padre, morendo, perdona i suoi uccisori come fece Cristo. Il
tema centrale comunque è il male, la malvagità umana che uccide innocenti.

10 agosto: notte di S. Lorenzo, giorno in cui ricorre la morte del padre Ruggero,
a cui il poeta dedica questa lirica.

“San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade…”.

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Per tradizione, nella notte delle stelle cadenti gli uomini sono soliti esprimere un
desiderio. L’espressione tanto di stelle ricalca la forma arcaica latina del genitivo
partitivo.

“Perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla”.


Per analogia pare che il cielo, con il suo pianto di stelle, abbia compassione del
dramma che affligge il poeta.
“Ritornava una rondine al tetto…”.

La lirica è intrisa di parallelismi: come la rondine ritorna al suo nido, così il padre
ritorna a casa.

Il padre è stato ucciso perché si trovava fuori dal suo nido, quindi sottoposto ai
pericoli della vita, così come lo è stata la rondine.

“Ora è là come in croce…”

Croce simbolo della passione di Cristo, della sofferenza.

“Tende quel verme a quel cielo lontano…”

Quasi a chieder pietà per la sua condizione.

“E il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano”.

I rondinini sono destinati a perire di fame.

“L'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido, portava due
bambole in dono…”.

Tuttavia l’ uomo sembra aver perdonato i suoi uccisori; tra le mani reggeva due
bamboline.

“Egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano”.


Se ne sta ora immobile e stupito addita al cielo le sue bamboline.

“E tu, Cielo…”.

Sembra che il poeta invochi il pianto del cielo, affinchè abbia compassione di
tutta questa malvagità.

La struttura è circolare: si apre con un’immagine del cielo e con essa si


conclude; il ritmo, lento, è dato da una punteggiatura molto rigorosa e
frequenziale, che ben rispecchia l’angoscia del poeta.

L'assiuolo

è una poesia di Giovanni Pascoli compresa nella raccolta Myricae. Il titolo è


ispirato ad una specie di uccelli, appunto l'assiolo. La poesia, nello stile

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onomatopeico, risente dell'influsso de Il corvo di Edgar Allan Poe. è compresa
nella sezione ‘’in campagna’’

Novembre

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poesia di Giovanni Pascoli tratta dalla raccolta poetica Myricae e pubblicata per
la prima volta nel 1891. Il titolo originario era San Martino, come la poesia
omonima di Carducci da cui prende spunto.

Nella poesia è l’11 novembre a essere definito l’estate di San Martino, poiché,
dopo l’arrivo del primo freddo, si torna a un relativo tepore, come se il calo della
temperatura fosse stata un’illusione.
Nel componimento, però, ci sono richiami di luce e di gioia portati nell’aria, ai
quali la natura non dà risposta. Tutto intorno è secco e il colore funebre
dell’autunno è la sola cornice che fa da ricordo a coloro che non ci sono più.

Lavandare
1891, dalla raccolta Myricae

Lavandare è un madrigale, composto da due terzine e una quartina di


endecasillabi con rime ABA CBC DEDE.
La lirica descrive le sensazioni del poeta che, mentre i campi sono avvolti dalla
nebbia, sente in lontananza i suoni provenienti dal lavatoio e i lunghi canti delle
lavandaie. Nella prima strofa viene descritto un campo immerso nella nebbia su
cui spicca un aratro abbandonato. Dominano i colori spenti: il campo viene
descritto infatti come mezzo grigio e mezzo nero.
Nella seconda strofa viene descritto il rumore dei panni che vengono lavati
nell’acqua e il canto delle lavandaie. Qui prevalgono le sensazioni uditive (suono
dei panni, il canto triste, il tonfo).

Nella terza strofa viene riportata la canzone cantata dalle lavandaie che parla di
una giovane donna abbandonata dall’innamorato e che è rimasta sola come
l’aratro in mezzo al campo. La lirica è quindi circolare: si apre e si chiude con

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l’immagine- simbolo dell’aratro abbandonato che rappresenta la solitudine.
Questa scena descritta nella poesia serve proprio a trasmettere la sensazione di
abbandono e malinconia che rinvia proprio al poeta stesso: egli si sente
abbandonato dai suoi cari perché è rimasto orfano del padre e la sua vita è stata
funestata da una serie di lutti. Il paesaggio diventa quindi un simbolo per
raccontare il proprio stato d’animo.
La poesia Lavandare si caratterizza per il ritmo lento, quasi da cantilena,
l’utilizzo di molte allitterazioni (v. 8 tu non torni, v. 10 in mezzo alla maggese) di
rime interne (v. 5 sciabordare-lavandare).  Importante l’utilizzo transitivo del
verbo nevicare al verso 7: il ramo fa cadere le foglie come fossero fiocchi di
neve.

Lampo

poesia di Pascoli, che la compose tra 1891 e 1892 e la inserì nella sezione
Tristezze della terza edizione di Myricae (1894). In Pascoli è frequente la
descrizione dei fenomeni naturali, che egli osserva – da poeta-fanciullo qual è –
con meraviglia e inquietudine.

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In questo testo, il paesaggio è colto all’inizio di un temporale, con un lampo che
illumina tutto d’intorno, tanto da far apparire, all’improvviso e per un brevissimo
lampo di tempo, una casa, la cui immagine scompare per lasciare spazio, di
nuovo, al buio.Si tratta di una ballata minima di endecasillabi con schema di rime
A BCBCCA.

La mia sera
dedicata alla madre, l’ultima edizione è del 1912 postuma. poesia di Giovanni
Pascoli appartenente alla raccolta Canti di Castelvecchio. Composta nel 1900, la
poesia è interamente costruita su un’analogia: quella tra il paesaggio al
tramonto, finalmente sereno dopo un giorno di tempesta, e lo stato d’animo del
poeta. L’aggettivo possessivo (ad esempio la sera di foscolo)

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Nebbia

Poesia scritta dal poeta italiano Giovanni Pascoli. Fa parte della famosa raccolta
poetica Canti di Castelvecchio ed è stata pubblicata nel 1899. Anche in questa
raccolta è frequente il ricorso alla dimensione simbolica degli oggetti: in questo
testo, la nebbia è prima descritta come elemento atmosferico, per poi essere
invocata dal poeta affinché separi il “nido” familiare da tutto ciò che si trova
all’esterno. Tornano anche i temi della morte e del ricordo dei propri defunti.è
costituito da cinque strofe di sei versi ciascuna con schema di rime ABCBCA; il
primo verso si ripete in ogni strofa.

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Fanciullino

opera di Giovanni Pascoli, divisa in 20 capitoli, e pubblicata per la prima volta


nel 1897.

Abbiamo letto a p372 un estratto di parti prese dai primi nove capitoletti, dove
Pascoli esprime la sua concezione.

Delinea gli aspetti fondamentali della sua poetica. Anche autori precedenti come
Tasso e Leopardi avevano scritto saggi in cui delineavano la loro poetica.
Leopardi scrisse Discorso di italiano introno alla poesia romantica in risposta alle
accuse di Madame de Stael. Tasso aveva scritto i Discorsi sopra l’arte poetica
nei quali delineava la teoria della verosimiglianza. Pascoli sulle orme della
tradizione scrive la “poetica del fanciullino”, opera che sarà utilizzata come
chiave di volta per tutta la produzione artistico - letteraria.

Pascoli ritiene che in ogni persona (indipendentemente dal lavoro che svolge e
dalla condizione sociale) ci sia un fanciullino. Esso è uno spirito sensibile che

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consiste nella capacità di meravigliarsi delle piccole cose, proprio come fanno i
bambini. La differenza tra il poeta e l’uomo comune, quindi, è nel fatto che il
primo riesce ad ascoltare e dare voce al fanciullino che in lui. In questa
concezione, Pascoli si differenzia dal decadentismo. Infatti, tale movimento
considera la poesia come qualcosa di elitario che si distingue dalla massa.
D’Annunzio elaborando la teoria di Nietzsche del superuomo, ritiene che il poeta
possegga superdoti, qualità superiori che lo elevano dalla massa. La gente
comune viene considerata perciò, sentimentalmente e intellettualmente inferiore
all’intellettuale.

Per Pascoli, al contrario, il poeta è un uomo umile che gioisce nello scoprire le
cose più modeste e genuine. Rappresenta scene che vede con la sua poetica
semplice, parla di vita umile di scene di vita quotidiana viste con gli occhi del
fanciullino. Tuttavia, secondo alcuni critici le figure del superuomo e del
fanciullino coincidono perché sebbene da due prospettive diverse, dall’umiltà e
dalla superiorità, sono due modi di distinguersi dalla massa. Due sono gli
elementi principali nella poetica del fanciullino:

IMPRESSIONISMO = l’artista non deve rappresentare il mondo e la natura


per come si presentano poiché il ruolo del poeta è quello di fornire degli
stimoli, spunti di riflessione sulla realtà, in modo tale che il lettore li
percepisca in modo soggettivo (prende le distanze dal verismo a lui
contemporaneo). C’è una mediazione tra il poeta e il lettore per cui la poesia
lascia intravedere la realtà ma non la rappresenta come tale. Ci sono delle
situazioni appena accennate e dipinte inventate e rielaborate dal poeta. La
poesia, quindi, tratteggia la realtà ma non la definisce.

SIMBOLISMO = il simbolo non è immediato, non ha un legame logico né un


richiamo immediato. Pascoli utilizza il simbolo in una delle sue liriche più
famose X Agosto; la notte in cui muore il padre corrisponde con la morte di
San Lorenzo. La simbologia astronomica è forte: la morte in cui morì il padre
è la notte in cui il cielo sembra piangere, partecipare al dolore della famiglia,
dove le lacrime sono associate alle stelle cadenti.

Secondo Pascoli, rimane dentro di noi un bambino da cui per la società bisogna
emanciparsi. In ogni uomo c’è una parte fanciullo e un adulta, in ogni individuo
predomina uno die 2. Nei poeti quella del bambino, quindi il poeta è creativo e
vede il mondo con gli occhi che un normale adulto non ha. Il poeta è capace di
vedere dentro gli uomini i bambini che sono stati (il bambino non è totalmente
cancellato). Per il bambino un po’ tutto è magico, è sempre assorto a notare e

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studiare i fenomeni del mondo (il bambino fa rumori con le cose, le mette in
bocca,ecc.). I bambini come i poeti vedono dentro le cose un mondo
Il titolo Fanciullino deriva da un passo del Fedone di Platone: Cebes Tebano,
pensando alla morte di Socrate che stava per bere la cicuta, si mette a piangere.
Socrate lo rimprovera per quel pianto e Cebes si scusa dicendo che non è lui
che piange ma il fanciullino che è in lui. Il punto di partenza della riflessione del
Pascoli è l’idea della presenza della morte nella vita dell’uomo. L’unica
consolazione è la poesia che permette di partecipare alla vita. Il poeta in un
certo senso sottrae le cose al destino di vanificazione e le restituisce alla vita. Se
tutto nella storia si dissolve la poesia è in grado di percepire la vita segreta delle
cose e in un certo senso riportarle alla vita. Il poeta ha quindi il compito di
sottrarre quanto più può alla morte e la poesia è un dono sacro.

Il gelsomino notturno

La poesia “Gelsomino notturno” è stata scritta da Pascoli in occasione del


matrimonio dell’amico Raffaele Briganti. Il tema principale del componimento è
l’unione dei due sposi ed il germogliare di una nuova vita.
Attraverso questo componimento Pascoli descrive la prima notte di nozze, un
rito di fecondazione che il poeta sente come una violenza inferta alla carne.
Pascoli attraverso i suoi versi trasmette la sua inquietezza e la sua infelicità nei
confronti del congiungimento tra i due sessi, uno stato d’animo che lo
condannerà ad essere come l’ape tardiva che appare alla fine del poema, solo e
destinato a non avere una sua famiglia.
La lirica venne inizialmente pubblicata in un opuscolo nel luglio del 1901 e poi
nei “Canti di Castelvecchio” (1903).

La lirica è composta da sei quartine di versi novenari a rima alternata.


Nonostante i versi siano uguali (novenari), c’è una differenza di ritmo; in ogni
strofa i primi due novenari hanno un ritmo incalzante e ascendente, con una
impennata causata dall’accento sulla seconda sillaba, sulla quinta e sull’ottava.
Gli ultimi due sono invece caratterizzati da un ritmo discendente, pausato nel
mezzo con accento sulla terza, quinta e ottava sillaba.
Il poeta, immerso in un’atmosfera trepidante ma anche di smarrimento,
trasmette il mistero che palpita nelle piccole cose della natura. Si accorge che la
notte è viva più che mai e che quando tutto intorno è silenzioso (e si pensa che
sia anche addormentato) è tutto più vivo che mai: i fiori sbocciano e le farfalle
volano. Vite che iniziano quando la vita consueta normalmente si ferma. Il

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momento della vita notturna rappresenta anche un momento di malinconia per il
poeta che ripensa ai suoi morti.
Da un ossimoro, dalla presenza di termini antitetici, i simboli di morte si
trasformano in simboli di vita come nel verso “nasce l’erba sopra le fosse”.
La notte è avvolta da un senso di pace a cui viene contrapposto l’agitarsi della
vita nella casa.
Nei versi successivi c’è l’immagine dei nidi in cui i piccoli dormono sotto le ali
della madre, immagine rassicurante del nido come casa, ambiente protetto,
tema molto caro al poeta.
La musicalità dei versi crea un’atmosfera sospesa e incantata contrapposta al
torpore della sera.
“L’odore di fragole rosse” è una sinestesia in cui il profumo - percezione olfattiva
- sembra acuito dal rosso delle fragole, percezione visiva. E’ qui evidente il tema
dell’attrazione, della tentazione sensuale, della curiosità per la vicenda degli
sposi. Su tutto si diffonde un senso di mistero: vita e morte si compenetrano tra
loro ed infatti, alla fine, “nasce l’erba sopra le fosse”.

L’ape che trova già prese le celle del suo alveare è una immagine che trasmette
il senso di esclusione che il poeta, incuriosito dall’eros ma anche intimorito da
questo, diffidente.
Le Pleiadi trasmettono l’idea di una chioccia che si trascina dietro i suoi pulcini e
il pigolio è una sinestesia che sposta nella percezione uditiva la percezione
visiva del tremolio della luce delle stelle.

All’odore del fiore si accompagna il salire della luce sulla scala e infine il suo
spegnersi al primo piano con i punti di sospensione che alludono al congiungersi
degli sposi e al mistero della vita che continua a palpitare anche se è buio.
La lirica si chiude ancora con un ossimoro: “E’ l’alba”, il momento del risveglio,
che contrasta con “si chiudano i petali un poco gualciti”. “Nell’urna molle e
segreta”, che simbolicamente rappresenta il grembo materno, si dischiude una
nuova vita, si cova “non so che felicità nuova”.

Gelsomino notturno è uno dei grandi esempi del simbolismo pascoliano dove
viene descritta una notte ricca di vita ed eventi. La poesia sprigiona allusioni che
creano un clima ambiguo in cui viene esaltata la sensualità, il vagheggiamento
del fiorire della vita ma anche il senso di solitudine ed il ricordo dei morti. Il
ricorso al simbolismo è evidente soprattutto in due momenti:

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quando fa riferimento all’ape tardiva.
Qui l’ape, esclusa dall’alveare, nella sua solitudine è la personificazione
della figura del poeta che solo e chiuso nel suo nido familiare, è destinato a
non avere una sua famiglia.

quando parla dell’aia del cielo su cui si muove la chioccia seguita dal suo
pigolio di stelle.
Il cielo è l’aia su cui si muove la chioccia e le stelle sono i suoi piccoli che la
seguono pigolando.

L'aquilone
“L’aquilone” è una lirica di Giovanni Pascoli datata 1897 e contenuta nella
seconda edizione de “I poemetti“, una raccolta di poesie pubblicata nel 1900.
I temi centrali di questo componimento sono: i ricordi di un’infanzia trascorsa ad
Urbino in collegio, la morte del suo amico e la riflessione circa gli ostacoli e le
asperità della vita.

Come una “Madeleine de Proust”, Giovanni Pascoli, attraverso la percezione


sensoriale dell’odore delle viole, viene rapito da un ricordo del suo passato: lui,
da bambino, nel convento dei Cappuccini, un giorno senza scuola.
L’aria è dolce, il cielo è terso e regge v.12 “molte ali bianche sospese”, gli
aquiloni.

Qui il tono cambia repentinamente, le urla esplodono fragorosamente nell’aria e


Pascoli le riconosce, sono quelle dei suoi compagni di camerata che assistono
alla morte prematura di un loro amico.
Ed ecco come il bianco degli aquiloni ed il rosso delle bacche vengono utilizzati
nuovamente dal poeta, ma questa volta per descrivere l’amico morente.
Il suo volto è pallido, bianco. Solo le ginocchia sono rosse, come conseguenza
al loro genuflettersi frequentemente per pregare.
Eppure, in questo momento così tragico e pieno di pathos, Pascoli ormai adulto
si lascia andare ad un’amara riflessione: la morte arriva per tutti, in modo
ineluttabile e spesso sopraggiunge dopo numerose sofferenze.
Il suo amico è morto così, “ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una
gioconda corsa di gara per salire un colle!” e soprattutto, tra le braccia di sua
madre che lo stringono a sé.

Secondo la visione di Pascoli, tra tutti i modi di morire, questo in particolare


viene spogliato della sua tragicità verso la fine del componimento, lasciando

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spazio alla dolcezza del lasciarsi andare cullato dall’abbraccio materno.
Del resto il lutto dei genitori ed i dolori dell’esperienza umana sono dei temi
ricorrenti nella produzione poetica pascoliana.

Il brano è composto da ventuno terzine dantesche, ossia endecasillabi a rima


incatenata ABA, BCB, CDC etc.

Per quanto concerne le figure retoriche, Pascoli fa un ampio utilizzo degli


enjambement, fondamentali per determinare il ritmo del componimento senza
che venga meno la continuità della narrazione. Li troviamo, ad esempio, ai vv. 2-
3, 4-5, 7-8.

Non mancano anastrofi ed iperbati in ogni terzina.


Un esempio di iperbato lo troviamo al v.3 “sono intorno nate”, mentre al v.6 “che
al ceppo delle querce agita il vento” vi è un’anastrofe.

Sono inoltre presenti delle similitudini legate alla figura degli aquiloni descritto
come ali bianche, comete e fiori su esili steli.

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