PRESENTAZIONE
Nonostante la mia malferma salute, ho accolto con piacere l’invito di P. Favara per
la presentazione del suo libro “Il Mistero del Cristo” che ora viene pubblicato dalla
“Editrice Sion”, fondata a Ragusa dal compianto don Salvatore Tumino, recentemente
passato alla casa del Padre. Non ho saputo rifiutarmi al P. Favara dato il vincolo di
stima e di amicizia che a lui mi lega, avendolo conosciuto come degno sacerdote e uomo
di Dio fin dal 1982, quando ha iniziato il suo servizio pastorale a Ragusa come parroco
nella Chiesa del Sacro Cuore dei Padri Gesuiti.
Alla sua veneranda età, di ultra novantenne, non più parroco, egli continua, con
spirito giovanile, il suo lavoro apostolico tra la stima del suo popolo ed ha saputo
trovare tempo e forze per preparare, col suo computer, questo prezioso libro che, a mio
giudizio, sarà benevolmente accolto e certamente farà molto bene. Sarà un bene che
prolungherà, negli anni che seguono, il bene che egli ha seminato ovunque ha svolto la
sua attività pastorale.
Il soggetto del libro, “Il Mistero del Cristo”, che si prolunga nel mistero del
cristiano, del cristianesimo, e si conclude col mistero dell’aldilà e della risurrezione dei
corpi, è presentato con quattro catechesi che vengono definite “catechesi essenziali per la
nuova evangelizzazione”. E sono veramente essenziali perché trattano di ciò che non si
può assolutamente ignorare da chi vuole condurre una vita autenticamente cristiana, e
anche perché tutto viene esposto brevemente, con chiarezza, senza troppa e pesante
erudizione, senza lungaggini e parole inutili. Sono poi “catechesi per la nuova
evangelizzazione” perché, mentre oggi in tutta la Chiesa ferve l’entusiasmo per questa
nuova evangelizzazione, l’autore le ha scritte perché, come strumento il più adatto allo
scopo, facilitino il lavoro a quelli che già vi si dedicano, e siano di incoraggiamento a
quelli che ancora stentano a decidersi nel seguire il buon esempio dei più coraggiosi.
Dopo il Grande Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II dice che la grande eredità che
l’esperienza giubilare ci ha consegnato, può enuclearsi nella contemplazione del volto di
Cristo, (ossia): lui, il Cristo, considerato nei suoi lineamenti storici e nel suo mistero,
accolto nella sua molteplice presenza nella Chiesa e nel mondo, confessato come senso
della storia e luce del nostro cammino. Quindi ripetutamente esorta tutta la Chiesa a
“contemplare il volto di Cristo e testimoniarne la luce con la nuova evangelizzazione”
(cfr. Novo Millennio Ineunte nn. 15 e 16 ). In seguito a tali direttive del Papa appare
chiaramente quanto sia opportuna la pubblicazione di questo libro “Il Mistero del
Cristo”, che mette subito il lettore in contemplazione, per scoprire, nella luce di quel
volto divino, i motivi della propria fede, e vederne la necessità e la ragionevolezza.
Proprio per questo in ogni catechesi viene affrontato in pieno il problema della fede,
presentata come una delle due ali con cui l’uomo può ascendere alla conoscenza della
verità. Tutto secondo l’insegnamento dell’enciclica “Fides et ratio”. Così l’attento lettore
di queste catechesi viene messo in grado di essere sempre pronto, come esige San Pietro
per ogni cristiano, a rendere ragione della propria fede e speranza (cfr. 1 Pt 3, 15).
Si tratta di catechesi così ricche di suggestione per aiutare, le presenti e le future
generazioni, a raggiungere lo scopo che l’autore si è proposto nel darle alle stampe: far
conoscere ed amare sempre più il Signore Gesù, certamente convinto di ciò che disse
San Giovanni Crisostomo: “Tra i tanti mali che ci sono nel mondo il più pernicioso è
l’ignoranza di Gesù”.
Si tratta di catechesi in cui si dicono cose difficili (i divini misteri) in maniera facile,
così che il libro può andare, e si vuole che arrivi, nelle mani di tutti, piccoli o grandi, di
cultura elementare o specialistica, di credenti e non credenti, poiché Gesù è venuto al
mondo per la salvezza di tutti, senza discriminazione alcuna, e tutti ne hanno estremo
bisogno.
Si tratta di una materia affascinante, presentata in forma semplice, dettagliata e
convincente. L’esposizione è vivace e scorrevole, si legge d’un fiato. Il tutto poi dà la
possibilità di rispondere alle fondamentali insopprimibili domande della vita: “da dove
veniamo”?; “dove andiamo”?; “quale futuro possiamo sperare”? La risposta a queste
domande si coglie particolarmente quando con la quarta catechesi si approda alla
conoscenza del mistero dell’Aldilà e della Risurrezione dei Corpi, ultimo termine e
coronamento del mistero del Cristo. E la risposta è sempre la stessa: “GESÙ CRISTO”;
lui solo, il grande ambasciatore dell’aldilà, gioia infinita, felicità eterna, anelito
insopprimibile del cuore umano.
Perciò giustamente con P. Favara auguro che ogni lettore di questo prezioso libro
possa arrivare ad incontrare Gesù, Via Verità e Vita, Luce del mondo e Signore
dell’universo, con la stessa esperienza del già ricordato don Salvatore Tumino, così da
lui manifestata:
“Un giorno Ti ho incontrato, e tutto è cambiato!
Tutto si è rinnovato, tutto si è trasformato.
La luce ha squarciato le tenebre;
l’amore ha vinto l’odio;
la pace ha preso il posto della inquietudine;
la speranza il posto della disperazione;
la vita è subentrata alla morte;
lo stupore invece della rassegnazione;
la gioia al posto della tristezza;
la sicurezza invece dell’angoscia;
il tutto invece del niente.
Sei entrato Tu, Gesù, e ora vivo!
Vivo in pienezza! Tutto ha un senso!
Tutto ha acquistato un significato.
Grazie. Ora vedo me stesso, il mondo,
gli altri, il Padre, con i tuoi occhi.
Ora vedo, mentre prima ero cieco!”1.
Diretto a tutti, credenti e non credenti, credenti e non praticanti, il libro sollecita
tutti a dare la propria risposta alle domande: “Perché credi? Perché non credi? Non
avverti l’incoerenza e l’autocondanna di chi crede e non pratica?”.
† Angelo Rizzo,
vescovo Emerito di Ragusa
INTRODUZIONE
Nel curare questa pubblicazione sento di trovarmi in perfetta sintonia con i desideri
del Santo Padre Giovanni Paolo II che, nella sua lettera apostolica Novo Millennio
Ineunte, esorta tutta la Chiesa a mettersi in contemplazione del volto di Cristo, ad
approfondire il mistero dell’Uomo-Dio morto e risorto, a rivivere, a duemila anni di
distanza, tutti gli eventi narrati nei Vangeli come se fossero accaduti oggi.
Confortata da questa esperienza la Chiesa, all’inizio del nuovo millennio che le si
apre davanti come un vasto oceano, può riprendere con fiducia il suo cammino per
annunziare Cristo al mondo. C’è bisogno di una nuova evangelizzazione, ripete spesso
il Papa. “Ora il Cristo contemplato e amato (durante tutto l’anno giubilare) ci invita
ancora una volta a metterci in cammino: «Andate dunque ed ammaestrate tutte le
nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,
19). Il mandato missionario ci introduce nel terzo millennio invitandoci allo stesso
entusiasmo che fu proprio dei cristiani della prima ora: possiamo contare sulla forza
dello stesso Spirito, che fu effuso a Pentecoste e ci spinge oggi a ripartire sorretti dalla
speranza «che non delude» (Rm 5, 5)” (Novo Millennio Ineunte 58 –Duc in altum!).
Spero che questa nostra pubblicazione sul mistero del Cristo, del cristiano e del
cristianesimo, e sull’aldilà e la resurrezione dei corpi che forma un tutt’uno con il
precedente svolgersi del mistero del Cristo come a suo epilogo, ultimo termine e
coronamento, possa giovare a tutti coloro che sentono il dovere di rievangelizzarsi e
rievangelizzare. Mi sembra che a tal fine questa pubblicazione sia una catechesi
essenziale e in forma facile e adatta a tutti.
È stato pubblicato un libro dal titolo “Che cosa attendete dal prete?”. Si tratta di una inchiesta
su ciò che la gente si aspetta dal prete, e tra le risposte date la migliore sembra sia questa: “Il
prete ci deve dire la verità, tutta la verità”.
Certamente ogni uomo è chiamato a dire la verità, molto di più il prete. E la verità che si vuole
sia detta dal prete riguarda principalmente una persona, la persona che ci deve essere nota come
nostro padre e nostra madre, e magari di più. Questa persona si chiama: Gesù (il Cristo).
Tutti conosciamo Gesù, ma come lo conosciamo? È viva nel nostro spirito la persona di Gesù?
Gettiamo uno sguardo nella nostra vita: Gesù è il sole, la gioia della nostra vita? Se lo
conoscessimo di più la nostra vita sarebbe diversa da come la sperimentiamo ogni giorno, sarebbe
meno triste, meno cupa, più luminosa e più bella. E finché non siamo disposti a dare per Gesù,
come i martiri, tutta la nostra vita, è segno che Gesù non lo conosciamo abbastanza. Gesù disse
alla Samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice…!” (Gv 4, 10).
Ebbene, parliamo qui di Gesù e domandiamoci: Chi è Gesù? Certamente Gesù è un uomo, un
uomo che ha dato un senso ed un orientamento alla vita, alla storia dell’umanità. La sua esistenza,
la sua vita, la sua dottrina sono sicuramente oggetto della storia. I Vangeli, come principali fonti
della vita di Gesù, sono dimostrati come seriamente storici a preferenza di qualsiasi altro libro
storico dell’antichità. E poiché la storia si fa coi documenti e non con la fantasia, noi possiamo
affermare che a favore dei Vangeli ci sono documenti molto più numerosi di quanti ce ne sono per
gli altri libri dell’antichità. Leggiamo dunque i Vangeli, e i Vangeli dicono che Gesù è un uomo,
veramente uomo.
Nacque infatti uomo a Betlemme, in una povera grotta, da una povera donna che si chiamava
Maria (cfr. Lc 2, 1-20).
Visse la sua gioventù a Nazaret da oscuro operaio, considerato da tutti come un ragazzo tra
tanti ragazzi, come un giovane tra tanti giovani.
Arrivato all’età di trenta anni, lasciò la casa, la mamma (il padre putativo era già morto), uscì
dalla sua vita di nascondimento e, girando per le città e i castelli della Palestina, cominciò a
predicare una dottrina nuova, il Regno di Dio (cfr. Lc 4, 14-30 e Mt 4, 12-17).
Conduceva una vita penosa, come quella di chi nulla possiede, non una casa, non un letto, non
di che sfamarsi. Ebbe fame e sete, si affaticava per i lunghi viaggi, e quando di sera non trovava
altro alloggio, se ne restava in preghiera all’aperto, sui monti (cfr. Mt 8, 18-20; Lc 6, 12).
Era buono, buono con tutti, ma specialmente con i più bisognosi.
Con la sua parola dolce e attraente riuscì a raccogliere attorno a sé la folla che lo seguiva
avidamente. Ma poi, perché condannava apertamente il vizio e l’ingiustizia, ecco che fu odiato e
perseguitato, tradito e messo a morte.
Gesù è morto. Certamente tutti gli uomini muoiono. Gesù era quindi indubbiamente un uomo, ce
lo dice la storia, e noi conosciamo, come per gli altri uomini, documenti e prove.
Si noti qui, di passaggio, che la Chiesa ha condannato come eretici, quelli che hanno negato che
Gesù fosse vero uomo. Questi erano i doceti. Dicevano: Gesù sembra uomo, ma non è uomo. La
Chiesa li condannò.
Gesù era quindi un uomo, vero uomo. Fin qui nessun mistero. Ma proprio qui comincia il
mistero, quando dico: Gesù è vero uomo, ma è più che uomo. Qui sta il mistero di Gesù, e chi
arriva ad afferrarlo, ad impossessarsene, cambia la sua vita, la illumina, la trasfigura, la potenzia:
diventa santo.
Gesù è vero uomo, ma è più che uomo. Chi è Gesù? Riflettiamo:
- quando la sera guardiamo incantati le stelle, la ragione ci dice: c’è Dio che ha fatto le stelle;
- quando da vicino o a distanza contempliamo l’immensità del mare, la ragione ci dice: c’è Dio che
ha fatto il mare;
- quando ci fermiamo a contemplare un magnifico panorama che ci circonda, valli e monti, i bei
tramonti del sole che fa il cielo come d’oro e d’argento, allora tutto ci dice: c’è Dio che ha fatto
la terra, il mare e il cielo.
E il nostro essere, e il mio essere ripetono lo stesso. In questa fragile creta che è il mio corpo
Dio ha posto la vita e me la conserva. È Dio che fa circolare il sangue nelle mie vene, che dà al
mio occhio la potenza meravigliosa di raccogliere la luce, i colori, le bellezze dell’universo; che dà
al mio orecchio la capacità di raccogliere i suoni e sentire le armonie della natura. È lui, è Dio che
opera in me, in voi, tutte queste meraviglie.
A questo punto qualcuno potrebbe dire: ma che c’entra tutto ciò col discorso su Gesù? Ecco,
sentite, non stiamo divagando.
Guardando la natura in me e fuori di me, io posso dire di aver visto Dio, di aver conosciuto Dio;
io posso dire col poeta Metastasio: “Dovunque il guardo io giro – immenso Dio Ti vedo – nell’opre
tue Ti ammiro – Ti riconosco in me”.
Ma la natura non è Dio, ho visto Dio attraverso la natura, ho visto Dio attraverso le sue opere.
Invece ora io guardo Gesù, il Gesù dei Vangeli, lo contemplo così com’è, il più bello dei figli degli
uomini, e poi dico: Quest’ uomo è Dio, quest’ uomo è Dio.
Qui è il mistero di Gesù:
- Gesù è un uomo, ma è anche Dio, il vero Dio che ha creato le stelle, la terra, il mare, le cose
tutte, e gli uomini, e me, e voi;
- Gesù è il vero Dio, che rimanendo immutabile nella sua natura divina, ha assunto nel tempo la
natura umana e si è fatto uomo per amore degli uomini, e si è inserito nella storia, dividendola in
due parti: prima di Cristo, e dopo Cristo;
- Gesù è il nostro vero Dio, e gli dobbiamo adorazione e amore. Qui è il mistero di Gesù: Gesù è
vero uomo e vero Dio.
Ma come facciamo a conoscere questo mistero? Come sappiamo che Gesù è il vero Dio pur
essendo vero uomo? Come lo sappiamo? E come sappiamo noi tutte le altre cose? Tutto quello che
noi sappiamo, lo sappiamo o con la ragione basata sull’esperienza, o con la fede basata
sull’autorità, sulla testimonianza.
Qui è la duplice fonte di tutte le nostre conoscenze.
Si ricordi qui la lettera enciclica del Papa Giovanni Paolo II “Fides et ratio – fede e ragione”:
le due ali con cui l’uomo si solleva e perviene alla conoscenza della verità. E quanto alla fede
vorrei che notaste bene due cose:
Che la maggior parte delle nostre conoscenze, forse dall’80 al 90%, le abbiamo per fede, cioè
per attestazione di altri, anche le cognizioni più serie e fondamentali della nostra vita domestica e
civile, anche buona parte delle conoscenze nel campo scientifico. La conoscenza diretta,
sperimentale è relativamente poca.
Inoltre, come seconda cosa quanto alla fede, è da notare che la conoscenza di fede, non meno
che la conoscenza di pura ragione, può raggiungere l’assoluta certezza, quando cioè la negazione
di una verità di fede condurrebbe all’assurdo, alla negazione della evidenza dell’autorità, alla
negazione dei primi principi che vi sono implicati. Così ad esempio: noi siamo certi, di certezza
assoluta, del terremoto di Messina, benché non l’abbiamo mai visto, benché quasi non ne rimanga
traccia alcuna, ma ne siamo assolutamente certi perché le testimonianze sono tali e tante che
sarebbe assurdo negarle. Posto ciò, a chi domanda come possiamo conoscere il mistero di Gesù,
io rispondo: alla piena conoscenza del mistero di Gesù, come di ogni altro mistero, concorrono
insieme la ragione e la fede.
La ragione sola, senza la fede, non è sufficiente per conoscere il mistero, proprio perché il
mistero è verità trascendente, soprannaturale, soprarazionale.
La fede sola, senza la ragione, non basta, poiché ogni vera fede, che non sia stolta credulità, è
basata sulla ragione.
Alla piena conoscenza di Gesù, del mistero di Gesù, concorrono insieme la ragione e la fede, la
ragione dimostrando e la fede credendo.
La ragione ci mostra l’autorità divina di Gesù e quindi la divina esigenza di prestargli fede
(anche nell’ipotesi che Egli fosse un semplice profeta).
E quando, con l’aiuto della grazia ci decidiamo e secondo ragione prestiamo fede a Gesù,
apprendiamo dalla sua bocca il grande mistero: “Io, dice Gesù, proprio io che vi parlo, sono il
Figlio di Dio fatto uomo”.
Ed è proprio così, questa è la verità, poiché tutto concorre a stabilire, a provare la divina
autorità di Gesù, la verità della sua affermazione. Qui proponiamo anzitutto la prova dell’indole
personale di Gesù, della sua personalità, della sua sapienza, della sua bontà.
1. La sapienza di Gesù
“….Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!” (Gv 7, 46), dissero di Gesù i suoi
contemporanei. Questa fu l’impressione comune di chi l’ascoltava.
Così i dottori del tempio che lo ascoltarono a 12 anni, stupiti dalle interrogazioni e risposte di
quel bambino (cfr. Lc 2, 46-47).
Così gli scribi che volevano disputare con lui, ma rimanevano confusi dalle sue risposte (cfr. Lc
14, 1-6 ; Mt 22, 15-22; Lc 20, 27-40).
Così i farisei ai quali Gesù scopriva i segreti dei cuori, i pensieri più intimi (cfr. Lc 7, 36-50).
Così le folle che non si saziavano di ascoltarlo e lo seguivano per intere giornate senza stancarsi
(cfr. Gv 6, 1-25).
Insomma, tutti quelli che lo avvicinavano e lo ascoltavano, restavano grandemente impressionati
della sua sapienza.
“….Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!” (Gv 7, 46) ripetono presso a poco in tutti i
secoli, anche nel nostro tempo, tutti quelli che si applicano a studiare le parole, la dottrina, il
Vangelo di Gesù. Vi si trova armonia, acume, rettitudine, perfetto equilibrio, la sublimità ed
elevatezza della sostanza, per cui vi si adattano le menti più elette, ed una meravigliosa semplicità
e chiarezza di forma, così che anche i semplici e gl’indotti vi trovino luce e sollievo.
Pensate che il Vangelo ai nostri tempi, ai tempi dei voli spaziali e del computer, rimane ancora
il best seller nella diffusione dei libri. Come dice Pascal, Gesù parla delle cose più grandi con tanta
semplicità che sembra non vi abbia pensato, e ne parla con tanta precisione e chiarezza per cui si
vede bene che vi ha pensato. Questa chiarezza, congiunta con questo candore è ammirabile.
Gesù non fa sforzi per toccare quelle altezze a cui pochi uomini arrivano. Ed il sublime in lui
non è, come in tanti altri grandi, uno sprazzo di luce passeggera ed isolata. Gesù è sempre sublime.
Gesù sta sempre in alto. Lo si vede pieno dei segreti di Dio, ma si vede bene che non ne è stupito;
Egli ne parla naturalmente come nato in questo segreto in questa gloria.
E si noti la completezza e la purezza della dottrina di Gesù. Mettendo insieme tutto quello
che di bello e di nobile, di nuovo e di santo dissero tutti i filosofi e oratori dell’antichità, si ha
ben poca cosa di fronte a ciò che disse Gesù. E per di più, senza uno solo degli errori, delle
debolezze, delle inesattezze di quei grandi. Ci si accorge che Gesù sta ancora più in alto.
Che meravigliosa sapienza! E lo stupore cresce:
- se si pensa che Gesù sorse in mezzo al popolo, figlio del popolo, in un angolo della più
disprezzata provincia d’Israele;
- se si pensa che Gesù non frequentò scuola, né si applicò allo studio2. Operaio fino a trent’anni,
d’un tratto si rivelò maestro, maestro dell’umanità di tutti i tempi.
Si spiega quindi la meraviglia dei giudei che dicevano: “…come mai costui conosce le Scritture,
senza avere studiato?” (Gv 7, 15). Questa domanda esige una risposta, e la risposta la dà Gesù
stesso quando dice: “…La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv 7, 16).
Cioè, viene dall’alto, non si spiega umanamente. Ecco un semplice accenno a ciò che riguarda la
sapienza di Gesù, e la sua bontà e santità?
2. La santità di Gesù
Anche qui un semplice accenno.
Gli uomini di scienza, di genio, spesso si esauriscono tutti nell’intelligenza, spesso
mancano di bontà, almeno di bontà spiccata. Non è così di Gesù che alla eminente
sapienza congiunge una non meno sorprendente bontà e santità.
Come abbagliato dalla bontà e santità di Gesù Pascal diceva che Gesù Cristo è stato dolce,
paziente, santo, santo a Dio, terribile ai demoni, senza alcun peccato. Egli è di una prodigiosa
magnificenza agli occhi del cuore e di coloro che vedono la sapienza.
Ed è l’impressione comune di tutta l’umanità. Neppure i più lontani, neppure coloro che ad ogni
costo hanno voluto escludere il divino dalla vita di Gesù, neppure loro hanno potuto negare la
santità di Gesù. Così tanti accaniti razionalisti come Renan in Francia, Strauss in Germania,
Parker in America hanno detto che Gesù sta al vertice dell’umanità, e che “nessuno come Gesù c’è
stato prima di lui, e nessuno ce ne sarà dopo di lui” (Strauss nell’introduzione alla vita di Gesù).
Com’è possibile mettere in un bicchiere tutta l’acqua del mare? E com’è possibile
esprimere in poche linee tutta la santità di Gesù? Bisognerebbe rileggere tutto il Vangelo.
Tuttavia, se possiamo compendiare tutte le virtù nella carità, regina delle virtù,
possiamo dire che la vita di Gesù fu un intensissimo, continuo ed eroico atto di amore
per il Padre celeste e per gli uomini che chiamò suoi fratelli:
- il nome del Padre celeste sta sempre sul suo labbro, tutto dirige alla gloria del Padre, la sua
volontà è sempre protesa a fare la volontà del Padre, con una fermezza di carattere che non lo fa
indietreggiare dinanzi al sacrificio e alla morte (cfr. Mt. 26, 36-46);
- la carità di Gesù verso il prossimo si estende a tutti, anche ai pagani, e specialmente ai piccoli,
ai poveri, agli ammalati, ai peccatori e anche ai nemici;
- chiamò amico Giuda il suo traditore (cfr. Mt 26, 50), e sulla croce pregò per i suoi crocifissori
(cfr. Lc 23, 34), beneficò tutti senza distinzione, e non venne fermato dall’ingratitudine umana;
- era dolce e mansueto con tutti, ma non debole e molle, poiché quando lo richiedevano la gloria di
Dio e la salvezza delle anime sapeva essere forte e severo nel rimproverare gli stessi apostoli e
nello smascherare l’ipocrisia dei farisei increduli: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti” e “Guai a
voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati…”e “…una generazione
perversa e adultera…” (Mt 16, 4; Mt 23, 13-32);
- carità, fortezza, umiltà, pazienza, castità ecc…, è difficile enumerare tutte le virtù di Gesù, tutte si
trovano in lui e in sommo grado, anche quelle che sembrano escludersi, come autorità ed umiltà,
giustizia e misericordia.
Proprio tutte le virtù si trovano in Gesù? No, ne manca una, la contrizione
(pentimento dei peccati), la cui mancanza in Gesù non fa difetto, poiché è una
conseguenza ed una conferma della sua immacolata purezza ed innocenza.
Cosa veramente sorprendente, mentre Gesù ha sete del pentimento di tutta l’umanità peccatrice
e non fa che gridare continuamente a tutti: Convertitevi, fate penitenza (cfr. Mt 4, 17; Lc 5, 32; Lc
13, 2-5). Egli solo poi non ha bisogno di penitenza e di perdono.
Mentre gli uomini più santi e più puri trovano sempre di che rimproverarsi e di pentirsi, Gesù
non trova nulla di ciò, e può con tutta fiducia lanciare la sfida ai suoi nemici: “Chi di voi può
convincermi di peccato?….” (Gv 8, 46).
Ai suoi discepolo dice: “Voi dunque pregate così: Padre nostro…rimetti a noi i nostri debiti…”
(Mt 6, 9-13). Ma egli non prega così, non ne ha bisogno. La sua coscienza è pura, vergine,
immacolata:
- lo attestano all’unanimità i suoi discepoli;
- non lo possono negare i suoi nemici;
- Giuda muore dicendo “...ho peccato perché ho tradito sangue innocente…” (Mt 27, 4). Pilato dice
al popolo: “...non trovo nessuna colpa in quest’uomo” (Lc 23, 4). I Sinedristi per condannarlo
hanno bisogno di falsi testimoni, che però sono discordi e non approdano a nulla (cfr. Mc 14, 56-
59).
Gesù fu condannato solo perché aveva affermato di essere il Figlio di Dio, Dio uguale al Padre
(cfr. Gv 5, 17-18). Non diceva forse la verità? Si, certo, una prima prova che Gesù dice la verità
sono la sua sapienza e la sua bontà (santità), anche considerate dentro i limiti della natura,
prescindendo dal loro valore soprannaturale. E ciò anzitutto perché è impossibile che un uomo di
tali doti intellettuali e morali, un uomo che a comune giudizio è il tipo ideale, irraggiungibile
dell’umanità, sia stato vittima di demenza o d’impostura, cioè che si sia ingannato, o abbia voluto
ingannare dicendo il falso. La psicologia di Gesù esclude tutto ciò. Ma bisogna inoltre osservare
che la sapienza e la santità di Gesù non si possono considerare solo entro i limiti della natura,
perché superano manifestamente l’umano e traspirano il soprannaturale, il divino. Perché? Ecco
perché: la sapienza e santità degli uomini, anche se eminenti, pure hanno macchie, difetti, limiti,
gradi ascensionali e cause naturali che li spiegano, maestri, educatori, libri, ambienti adatti per lo
sviluppo. Ciò è condizione e legge di natura.
Ma in Gesù nulla di tutto questo. Egli sta sopra di questa condizione e legge di natura; e sopra
la natura non c’è altro che Dio.
La vita di Gesù mostra dunque la soprannaturale presenza di Dio, l’approvazione di Dio, la
soprannaturale rivelazione della sapienza e santità di Dio.
La voce di Gesù è quindi la voce della verità, la voce di Dio merita fede, fede assoluta.
La ragione ha così dimostrato l’esigenza della fede a Gesù.
Perciò Gesù diceva giustamente ai Giudei: Voi dovreste credere a me, che vengo da Dio, anche
considerando solo la mia persona. Ma aggiunge “…Se non volete credere a me, credete almeno
alle opere...” (Gv 10, 38). A quali opere si appellava Gesù? Ai suoi miracoli.
Nel capitolo 16 del Vangelo di San Matteo, è riportato il memorando episodio di Cesarea di
Filippo. Gesù si trovava attorniato dagli apostoli e li interrogava: “…La gente chi dice che sia il
Figlio dell’uomo?” (Mt 16, 13); gli apostoli diedero diverse risposte: “…Alcuni Giovanni il
Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti” (Mt 16, 14); e “…Voi” chiese ancora
Gesù, “chi dite che io sia?” (Mt 16,15), allora rispose Simon Pietro e disse: “…Tu sei il Cristo, il
Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16); e Gesù a Pietro: “…Beato te, Simone figlio di Giona, perché
né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16, 17).
Ogni cristiano deve avere tanta luce e tanta forza da poter dire con Simon Pietro,
nell’entusiasmo della fede e dell’amore: Gesù, tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo.
1. Gesù nella luce profetica dei secoli che lo precedettero
A questo scopo, per arrivare ad una fede viva ed entusiasta, il cristiano deve ripensare la sua
fede, deve approfondirne i motivi e viverla più fervorosamente. Rimettiamoci dunque ancora nella
contemplazione di Gesù. Già nella precedente catechesi l’abbiamo visto nella luce della sua
sapienza, della sua santità e della sua potenza taumaturgica, nei molteplici e svariati miracoli. Ed
abbiamo visto come tutto spinge a formulare il giudizio di credibilità ed il giudizio di credentità,
cioè a Gesù si può credere e si deve credere. Egli è veramente il Figlio di Dio fatto uomo, vero
uomo e vero Dio.
Continuiamo a contemplare Gesù, vediamolo ora nella luce profetica dei secoli che lo
precedettero. Così osserveremo che un altro fascio di luce divina converge sulla fronte di Gesù per
darcelo a conoscere come la voce della verità, la voce di Dio, il Cristo Figlio del Dio vivo.
Ai suoi nemici increduli, Gesù amorevolmente diceva: “…anche se non volete credere a me, (mi
dovreste credere in persona, in parola) credete almeno alle opere…” (Gv 10, 38).
“…le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo,
testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Gv 5, 36). E aggiungeva: “Voi scrutate le
Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono
testimonianza” (Gv 5, 39).
Le Scritture a cui si appella Gesù sono i Libri Sacri degli Ebrei. Ed è fuori di dubbio, di ogni
dubbio, che questi libri furono scritti tanti secoli prima della venuta al mondo di Gesù Cristo. Al
terzo secolo a.c. già la collezione di questi libri era completa, tanto che è propria di quel tempo la
traduzione greca dell’originale ebraico.
E custodi fedelissimi di questi libri sono stati e sono finora, tra gli altri, gli stessi ebrei, che non
hanno certamente intenzione di favorire Cristo e i cristiani. Ciò che faceva dire a Sant’Agostino:
“Il giudeo porta il codice con cui crede il cristiano”.
Che c’è scritto in questi libri, in questi codici? Ecco, un fatto singolarissimo,
straordinario.
IL MISTERO DEL
CRISTIANESIMO
L’ALDILÀ E LA
RISURREZIONE DEI CORPI
Attenti quindi, solo chi crederà sarà salvo. Crediamo a Gesù, a Gesù si può credere
e si deve credere, la sua credibilità è fuori di ogni discussione, al di sopra di ogni
ragionevole dubbio. Se nel mondo c’è uno che merita fede, questi è certamente Gesù, il
suo Vangelo.
Apriamo il Vangelo, il Vangelo dell’aldilà, della vita eterna. Questa ci viene presentata con la
metafora di una “grande cena”, un banchetto, una festa di nozze, una festa che durerà in eterno
(cfr. Mt 25, 1-13; Lc 14, 15-24). La vita qui presente nel tempo rappresenta la vigilia, il periodo di
preparazione a questa festa. Ad essa dev’essere ordinato tutto, tutto dev’essere visto in questa
prospettiva, proprio come si suole nelle famiglie alla vigilia di un matrimonio di questo mondo.
Quanto affaccendarsi di tutti allora, quanta fatica, e come veramente tutto si svolge in quella
prospettiva!
Ora, volendo esprimere a livello di fede la grande realtà della festa eterna il poeta6 canta così:
Il mio penare
Il mio penare è una chiavina d’oro…
Piccola, ma che m’apre un gran tesoro.
È la croce, ma è la croce di Gesù:
Quando l’abbraccio, non la sento più.
Non ho contato i giorni del dolore:
so che Gesù li ha scritti nel suo Cuore.
Vivo momento per momento, e allora
il giorno passa come fosse un’ora.
Mi han detto che guardata dal di là,
la vita tutta un attimo parrà.
Passa la vita vigilia di festa:
muore la morte… il Paradiso resta.
Due stille ancora dell’amaro pianto,
e di vittoria poi l’eterno canto.
Certamente passa la vita, poiché tutti siamo di passaggio in questo mondo, e questo
mondo certo finirà. Il tempo presente ci viene dato unicamente come vigilia per
preparare la festa eterna.
Muore la morte, certamente, perché Gesù ci ha dato la certezza assoluta della risurrezione dei
corpi, e della felicità eterna di tutto l’uomo, anima e corpo.
Il Paradiso resta, certamente, ma a chi se l’è meritato.
Ma io non credo a tutto questo, dirà qualcuno, non credo al Paradiso e non credo
all’inferno.
Mi dispiace, si risponde, ma per andare all’inferno non c’è bisogno di fede, anzi tanto
più facilmente e sicuramente ci si cade, quanto meno ci si crede. Come chi, avvisato di
un precipizio non crede, e disattento e sbadato continua il suo cammino.
Per andare in Paradiso, invece, c’è bisogno di fede: “Chi crederà sarà salvo”. La fede è dono di
Dio e Dio la dà a tutti, che siano umili, ben disposti e preghino. Questi, o presto o tardi, nell’ora
del Signore, arriveranno alla fede e alla salvezza, alla gioia della festa eterna che ha il suo inizio o,
come dice il poeta, la sua vigilia qui sulla terra, mentre siamo ancora nel tempo.
Qui segue, anzi qui s’impone un’esaltante conclusione: Rallegriamoci nel Signore, sempre,
sempre, non angustiamoci di nulla, cacciamo via ogni tristezza, essa è incompatibile con la nostra
fede nel Cristo risorto che ci assicura la nostra futura risurrezione. Noi sappiamo “Che tutto
concorre al bene di coloro che amano il Signore” (Rm 8, 28); tutto fa parte della preparazione alla
festa eterna. Per quanto attraversata da inesorabili fatiche e dolori, la nostra vita presente
nell’intimo del cuore dev’essere sempre una festa, “perfetta letizia” la dicono San Giacomo e San
Francesco d’Assisi (Gc 1, 2; I Fioretti di San Francesco).
“Non dimenticherò mai – dice Don Luigi Mistò – un’esperienza che mi ha inconfondibil-mente
segnato. Un giorno stavo parlando con una giovane suora di clausura quando, all’improvviso e
con semplicità disarmante, ella mi confidò: «Vedi, don Luigi, io vivo ogni giorno come se domani
fosse sempre festa». In queste semplici parole si racchiude uno stupendo programma di vita,
straordinario per la sua disarmante aderenza alla realtà. Già oggi è possibile sperimentare la
gioia, già questo è il tempo della festa, ma solo il preludio della festa più bella, quella eterna, senza
fine. È la vigilia, colma di speranza, della festa che non avrà mai tramonto!
Questa è vera nascita, è vita nuova, perché è nascita alla vita della gioia.
Ai cristiani spetta, così, il compito di testimoniare la gioia, la serenità, l’ottimismo generati dal
vivere nella festa; una festa vera e luminosa, ma ancora al suo inizio, in attesa dello sposo che già
è venuto, nel bambino di Betlemme, vero uomo e vero Dio, nel Crocifisso risorto di Gerusalemme,
Salvatore e Signore dell’universo, ma che deve ancora venire nella pienezza della gloria, quando ci
saranno cieli nuovi e terra nuova.
Allora si, quel giorno ci sarà una grande festa, una festa mai vista, con gli angeli e con i santi,
alla quale tutti noi saremo invitati, e la nostra presenza costituirà la ragione della gioia di Dio”6.
Veramente questa quarta catechesi sull’aldilà e la risurrezione dei corpi presenta il termine,
l’epilogo, il coronamento di tutto lo svolgersi del mistero di Cristo. Con la morte tutto finisce e
tutto comincia. “Secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali
avrà stabile dimora la giustizia”(2 Pt 3, 13). “Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né
affanno, perché le cose di prima sono passate”. Allora il Signore dirà: “«Ecco, io faccio nuove tutte
le cose»… e aggiunge «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci»”(Ap 21, 4-5).
Nell’attesa la Chiesa canta:
“Vinta sarà la morte
in Cristo risorgeremo
e nella gloria di Dio
per sempre noi vivremo”.
CONCLUSIONE
Al termine della stesura di queste pagine oso sperare che gli attenti miei lettori ne
ricavino soddisfazione ed entusiasmo, crescano nella conoscenza e nell’amore di Gesù
fino ad innamorarsene, fatti desiderosi di conoscerlo e amarlo ancora di più, per farlo
conoscere ed amare anche agli altri.
E si facciano convinti che solo Gesù è il Salvatore di questo mondo tanto agitato e sconvolto.
“In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia
stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12); convinti quindi che solo Gesù è la luce vera per il
mondo che, lontano da Lui, brancola nelle tenebre e non trova la via della pace da tutti cercata e
invocata; convinti che solo Gesù morto e risorto, primizia della nostra futura risurrezione, Egli
solo è la fonte della vera e duratura gioia, la gioia pasquale di Lui che, una volta risorto, non
muore più.
Oso sperare che i miei lettori, traboccanti di tale gioia, la sappiano gridare al mondo, fatti
protagonisti della Nuova Evangelizzazione.
È vero che il mondo va male e che la vita è difficile, “ma Cristo è risorto!” E noi non possiamo
tacere, lo diremo a tutti esultanti di gioia e cantando “Alleluia!”. Lo diremo a dispetto di tutte le
nostre difficoltà, delle nostre miserie, di tutti i nostri fallimenti. Lo diremo con quella pienezza di
fede che del famoso sindaco di Firenze Prof. Giorgio La Pira ha fatto un santo dei nostri giorni. A
chi, durante una sua conferenza, gli gridò: “La Pira, tu sei un fallito”, egli subito rispose: “Forse
hai ragione, ma Cristo è risorto!”.
E se Cristo è risorto, Egli è veramente il nostro Dio Salvatore, e non c’è più difficoltà
insuperabile, ogni problema è risolto. Lo diceva persino un non credente, Emilio Greco, uno dei
più grandi scultori contemporanei, di Catania, morto nel 1995. Diceva: “Se riuscissi veramente a
vedere in Cristo il Figlio di Dio, allora tutti i miei problemi sarebbero risolti in un colpo solo, e
non dovrei più aver paura della morte, dal momento che Cristo diventerebbe per me una garanzia
sicura di vita eterna”7. “Se riuscissi veramente a vedere…”, disse, e speriamo che ci sia riuscito
prima di morire.
Come si vede, Cristo per Emilio Greco era una ipotesi meravigliosa di soluzione all’angoscia di
vivere e alla paura di morire. Ma per Giorgio La Pira, e per tutti i veri credenti, Cristo non è una
meravigliosa ipotesi, Egli, Gesù Cristo, “è una presenza viva, una speranza immensa, che dà ogni
giorno la forza di operare e di attendere, speranza che maturerà e sboccerà come un fiore. Allora
tutti i problemi avranno, per ciò che mi riguarda, la loro felice soluzione”8. Così scrisse Giorgio La
Pira al suo amico Amintore Fanfani poco prima di morire. E questo io auguro, cari lettori, che sia
proprio così anche per me, per voi e per tutti. È l’augurio più bello, poiché tutto è bene quel che
finisce bene. “Allora tutti i problemi avranno, per ciò che ci riguarda, la loro felice soluzione”.
Cari lettori, leggete e rileggete questo libro che la Divina Provvidenza ha messo nelle vostre
mani, e oso veramente sperare che ne ricaverete molto bene. Sarà aumento di fede, di speranza, di
carità, di gioia. E di entusiasmo per la Nuova Evangelizzazione. Io vi accompagnerò con la mia
preghiera.
Ci guidi, ci assista, ci protegga, ci benedica la Santissima Vergine Maria, madre di Gesù e madre
nostra, Stella della Nuova Evangelizzazione.
APPENDICE
Discorso di Paolo VI
nel Concilio Vaticano II
dall’Osservatore Romano, 2 febbraio 1967
Il discorso pronunziato da Paolo VI all’inizio della seconda sessione del Concilio
Vaticano II è stato considerato da tutti, Padri conciliari ed osservatori di altre
confessioni, come uno dei momenti culminanti del Concilio. Il Papa in quel discorso
esortava i Padri conciliari a riprendere il cammino segnato dal Papa Giovanni XXIII, e
domandava:
a) ma d’onde parte il nostro cammino, o Fratelli?…;
b) quale via intende percorrere?...;
c) e quale meta vorrà proporsi?
E rispondeva: «Queste tre domande semplicissime e capitali hanno, ben lo sappiamo,
una sola risposta che qui, in quest’ora stessa, dobbiamo a noi stessi proclamare e al
mondo che ci circonda annunziare: Cristo è la sola risposta - Cristo nostro principio,
Cristo nostra via e nostra guida; Cristo nostra speranza e nostro termine.
Oh! Abbia questo Concilio piena avvertenza di questo molteplice ed unico, fisso e
stimolante, misterioso e chiarissimo, stringente e beatificante rapporto tra noi e Gesù
benedetto, fra questa santa e viva Chiesa, che noi siamo, e Cristo, da cui veniamo, per
cui viviamo, ed a cui andiamo. Nessuna altra luce sia librata su questa adunanza che
non sia Cristo, luce del mondo; nessuna altra verità interessi gli animi nostri, che non
siano le parole del Signore, unico nostro maestro; nessuna altra aspirazione ci guidi,
che non sia il desiderio di essere a Lui assolutamente fedeli; nessuna altra fiducia ci
sostenga, se non quella che fiancheggia, mediante la parola di Lui, la nostra desolata
debolezza: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
Oh! Fossimo noi in quest’ora capaci di elevare a nostro Signore Gesù Cristo una voce
degna di Lui! Diremo con la sacra Liturgia: “Te solo, o Cristo, noi conosciamo (Te,
Christe, solum novimus)”.
Si, dobbiamo conoscere Gesù, conoscerlo meglio; non basta un ricordo convenzionale;
non basta un culto nominale; dobbiamo renderci conto circa la sua vera, profonda,
misteriosa Entità, circa il significato della sua apparizione nel mondo e nella storia,
circa la sua missione nel quadro della umanità, circa il rapporto che intercede tra Lui
e noi, e così via.
Non avremo mai finito di sondare il mistero della sua Personalità (una Persona,
quella del Verbo di Dio, vivente nelle due essenze di Gesù, la natura divina e la natura
umana).
Non avremo mai finito di ascoltarlo, come Maestro, di imitarlo, come esempio, di
amarlo, come Salvatore...
Non avremo mai finito di scoprire la sua attualità, la sua importanza per tutte le vere
e grandi questioni del nostro tempo.
Non avremo mai finito di sentir nascere in noi, con esperienza spirituale unica, il
desiderio, il tormento, la speranza di poterlo alla fine vedere, incontrarci con Lui, e di
capire e di gustare, fino alla suprema felicità, che Egli è la nostra vita, nuova e vera, la
nostra salvezza.
Adesso vi invitiamo a salutare Gesù, Nostro Signore, come mediatore tra due altre
conoscenze che a Lui si collegano e da Lui partono in due diverse direzioni. Gesù,
diciamo, è il Mediatore tra Dio e l’uomo (cfr. 1 Tim 2, 5); Gesù, aggiungiamo, è
Rivelatore di Dio e dell’uomo. Se vogliamo veramente conoscere Dio, dobbiamo
rivolgerci a Gesù; e se vogliamo conoscere veramente l’uomo, ancora dobbiamo
chiederlo a Lui. Da Gesù parte la via che sale alla vera conoscenza del Padre celeste, e
dall’intima infinita vita di Dio, la Santissima Trinità; da Gesù parte la via che
discende alla vera conoscenza dell’umanità, al mistero dell’uomo, della sua natura, del
suo destino.
Gesù ci rivela Dio-Amore e l’uomo bisognoso di salvezza, Dio-Padre e gli uomini
fratelli. Nella paternità di Dio sta il principio supremo della fraternità umana; se, per
cercare l’umanità, perdessimo la fede e la grazia della Paternità divina, perderemmo
insieme la ragione di chiamare fratelli gli uomini... Cristo è la via che c’introduce nel
mondo divino, così come è la via che si apre sugli orizzonti della vita umana; l’una e
l’altra si toccano e si comunicano all’incontro, che Sant’Agostino ha più volte descritto
nelle due famose parole: miseria (l’uomo) e misericordia (Dio)» (cfr. Enarr. in Ps. 32,
P.L. 36,287; cfr. Congar, Jèsus Christ, I).
Tutto questo ci dice quanto lo studio di Cristo (associato alla preghiera) ci deve
interessare e appassionare; e come avendo incontrato Cristo ...non potremo più
staccare da lui gli occhi del nostro spirito».
Nel libro dei Salmi si legge: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i
più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo” (Sal
89, 10). Ed è pu-re espressione di un continuo sentimento di do-lore quello che
troviamo nel Salmo 118 al versetto 107: “Sono stanco di soffrire, Signore...”.
Ecco la triste realtà: dolori morali e fisici, dolori causati dal prossimo, dagli
avvenimenti, dalle diverse situazioni che vengono a trovarsi nella vita, dolori causati
anche da noi stessi, dai nostri desideri insoddisfatti, dalle nostre aspirazioni anche
buone e sane... e tutto questo cumulo di sofferenze noi lo chiamiamo croce.
Ebbene, quando il dolore bussa alla nostra porta, quando la croce si appesantisce
sulle nostre spalle, allora si sente il bisogno di qualcuno che ci sappia comprendere e
compatire, che sappia dirci a tempo giusto la parola adatta alla nostra situazione, e
che soprattutto sappia e voglia prenderci per mano e farsi nostro compagno lungo la
via della croce.
Questo compagno nel dolore, disposto ad accompagnarci e a portare la croce con noi
c’è, bisogna conoscerlo e farlo conoscere: è il Signore Gesù. Come il nostro più vero e
più fedele amico Egli sta sempre con noi, pronto a soccorrerci e sostenerci, a
confortarci e consolarci, realizzando a perfezione l’esigenza della vera amicizia: la
presenza. Ce l’ha promesso solennemente questa sua presenza, come lui solo poteva
farlo, dopo averci dato tutte le garanzie di verità e fedeltà, quando prima di salire al
cielo, accomiatandosi da noi, disse: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo” (Mt 28, 20).
È proprio così, Gesù è sempre con noi e non si smentisce. Dobbiamo dunque vederlo
e sentirlo sempre a noi vicino, nostro fedele compagno di viaggio. Non ci deluderà.
Basta solo che ci affidiamo a Lui ponendoci sotto la sua protezione con fede e fiducia, e
allora Egli parla così riferendosi a ciascuno di noi: “Lo salverò, perché a me si è
affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e gli darò risposta;
presso di lui sarò nella sventura, lo salverò e lo renderò glorioso. Lo sazierò di lunghi
giorni e gli mostrerò la mia salvezza” (Sal 90, 14-16).
Purtroppo molti non conoscono Gesù, non hanno la luce della fede che illumina il
mistero del dolore, della sofferenza, della croce, e si credono soli nel cammino della
vita. Quindi si sfiduciano, si disperano, si ribellano e anche bestemmiano.
Qui il male, il dolore, tocca il fondo. Poiché il più grande guaio della vita non è che si
soffre, ma che non si sa soffrire.
Se si sapesse soffrire in unione con Gesù, per amore di Gesù e, come Gesù, per la
salvezza dei fratelli, per migliorare il mondo! Infatti il dolore accettato per amore,
secondo l’insegnamento e l’esempio di Gesù e in unione con lui, diventa sacrificio, atto
virtuoso e meritorio, strumento di redenzione, di elevazione e di salvezza. In virtù di
questo principio, il più grande male, quale fu la condanna a morte di Gesù, è diventato
il più grande bene: il sacrificio di Gesù per la salvezza del mondo.
Ma se il dolore per amore di Gesù e in unione con Lui diventa di un valore
inestimabile, pure esso rimane il più delle volte un tesoro sciupato in chi non sa o non
vuole amare. L’amore è libero, il non voler soffrire ci fa soffrire di più, mentre la libera
accettazione del dolore, per amore, ci arricchisce e ci fa raggiungere la felicità.
Il celebre gesuita francese Padre Duval, che da bravo musico e poeta, compose e
diffuse canti religiosi per arrivare così, attraverso il canto, a far penetrare la luce
della fede in ambienti assai refrattari, girò il mondo con la sua chitarra, venne anche a
Catania, e dopo la sua esibizione (canto al suono della chitarra) nel Metropolitan, il
più grande teatro della città, fu intervistato. Gli chiesero: “Padre, che cosa canta?”. Ed
egli rispose: “Io canto l’amore, il dolore, la felicità. Tra l’amore e la felicità c’è il dolore.
Beato chi lo capisce e chi lo canta, beato chi lo utilizza e non lo sciupa, beato colui che
alla scuola del Divino Paziente impara l’arte di saper soffrire”.
Ecco: il dolore passaggio obbligato tra l’amore e la felicità! L’arte di saper soffrire! Il
Divino Paziente nostro modello! È importantissimo il saper soffrire, poiché tutti
soffrono, “tutti portan la croce quaggiù”. Certamente possiamo difenderci da tutto ciò
che ci fa soffrire, ognuno naturalmente sfugge il dolore, ma finalmente bisogna
accettare l’inevitabile e non disperarsi.
Per non rigettare la croce, per non sciupare il dolore, per utilizzare ogni piccola
sofferenza occorre capire che nel presente ordine di Provvidenza (dopo il peccato) il
dolore, la croce sono un passaggio obbligato per raggiungere la felicità. “...è necessario
attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14, 22). E Gesù non ci
poteva parlare più chiaramente quando disse: “...Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23).
Da ciò si spiega come i Santi, superata con l’aiuto della grazia ogni naturale
ripugnanza alla croce, sono giunti a cercarla, ad amarla, a farne motivo di gioia.
“...Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione” (2 Cor 7, 4).
E San Francesco d’Assisi: “Tanto è grande il ben che aspetto, che ogni pena mi è
diletto”. Parla quindi della perfetta letizia nel portare la croce per amore di Gesù. Così
tutti i Santi hanno sperimentato, anche qui sulla terra, la “pienezza di gioia”(cfr. 1 Pt
1, 6). Ma per questo è necessario ricordare che Gesù non ci lascia soli, è sempre con noi
tutti i giorni per consolarci ed aiutarci, solo che noi vogliamo restare uniti con Lui. Egli
non abbandona se non è abbandonato.
CONCLUSIONE..................................... » 103
APPENDICE » 107