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PRESENTAZIONE

Nonostante la mia malferma salute, ho accolto con piacere l’invito di P. Favara per
la presentazione del suo libro “Il Mistero del Cristo” che ora viene pubblicato dalla
“Editrice Sion”, fondata a Ragusa dal compianto don Salvatore Tumino, recentemente
passato alla casa del Padre. Non ho saputo rifiutarmi al P. Favara dato il vincolo di
stima e di amicizia che a lui mi lega, avendolo conosciuto come degno sacerdote e uomo
di Dio fin dal 1982, quando ha iniziato il suo servizio pastorale a Ragusa come parroco
nella Chiesa del Sacro Cuore dei Padri Gesuiti.
Alla sua veneranda età, di ultra novantenne, non più parroco, egli continua, con
spirito giovanile, il suo lavoro apostolico tra la stima del suo popolo ed ha saputo
trovare tempo e forze per preparare, col suo computer, questo prezioso libro che, a mio
giudizio, sarà benevolmente accolto e certamente farà molto bene. Sarà un bene che
prolungherà, negli anni che seguono, il bene che egli ha seminato ovunque ha svolto la
sua attività pastorale.
Il soggetto del libro, “Il Mistero del Cristo”, che si prolunga nel mistero del
cristiano, del cristianesimo, e si conclude col mistero dell’aldilà e della risurrezione dei
corpi, è presentato con quattro catechesi che vengono definite “catechesi essenziali per la
nuova evangelizzazione”. E sono veramente essenziali perché trattano di ciò che non si
può assolutamente ignorare da chi vuole condurre una vita autenticamente cristiana, e
anche perché tutto viene esposto brevemente, con chiarezza, senza troppa e pesante
erudizione, senza lungaggini e parole inutili. Sono poi “catechesi per la nuova
evangelizzazione” perché, mentre oggi in tutta la Chiesa ferve l’entusiasmo per questa
nuova evangelizzazione, l’autore le ha scritte perché, come strumento il più adatto allo
scopo, facilitino il lavoro a quelli che già vi si dedicano, e siano di incoraggiamento a
quelli che ancora stentano a decidersi nel seguire il buon esempio dei più coraggiosi.
Dopo il Grande Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II dice che la grande eredità che
l’esperienza giubilare ci ha consegnato, può enuclearsi nella contemplazione del volto di
Cristo, (ossia): lui, il Cristo, considerato nei suoi lineamenti storici e nel suo mistero,
accolto nella sua molteplice presenza nella Chiesa e nel mondo, confessato come senso
della storia e luce del nostro cammino. Quindi ripetutamente esorta tutta la Chiesa a
“contemplare il volto di Cristo e testimoniarne la luce con la nuova evangelizzazione”
(cfr. Novo Millennio Ineunte nn. 15 e 16 ). In seguito a tali direttive del Papa appare
chiaramente quanto sia opportuna la pubblicazione di questo libro “Il Mistero del
Cristo”, che mette subito il lettore in contemplazione, per scoprire, nella luce di quel
volto divino, i motivi della propria fede, e vederne la necessità e la ragionevolezza.
Proprio per questo in ogni catechesi viene affrontato in pieno il problema della fede,
presentata come una delle due ali con cui l’uomo può ascendere alla conoscenza della
verità. Tutto secondo l’insegnamento dell’enciclica “Fides et ratio”. Così l’attento lettore
di queste catechesi viene messo in grado di essere sempre pronto, come esige San Pietro
per ogni cristiano, a rendere ragione della propria fede e speranza (cfr. 1 Pt 3, 15).
Si tratta di catechesi così ricche di suggestione per aiutare, le presenti e le future
generazioni, a raggiungere lo scopo che l’autore si è proposto nel darle alle stampe: far
conoscere ed amare sempre più il Signore Gesù, certamente convinto di ciò che disse
San Giovanni Crisostomo: “Tra i tanti mali che ci sono nel mondo il più pernicioso è
l’ignoranza di Gesù”.
Si tratta di catechesi in cui si dicono cose difficili (i divini misteri) in maniera facile,
così che il libro può andare, e si vuole che arrivi, nelle mani di tutti, piccoli o grandi, di
cultura elementare o specialistica, di credenti e non credenti, poiché Gesù è venuto al
mondo per la salvezza di tutti, senza discriminazione alcuna, e tutti ne hanno estremo
bisogno.
Si tratta di una materia affascinante, presentata in forma semplice, dettagliata e
convincente. L’esposizione è vivace e scorrevole, si legge d’un fiato. Il tutto poi dà la
possibilità di rispondere alle fondamentali insopprimibili domande della vita: “da dove
veniamo”?; “dove andiamo”?; “quale futuro possiamo sperare”? La risposta a queste
domande si coglie particolarmente quando con la quarta catechesi si approda alla
conoscenza del mistero dell’Aldilà e della Risurrezione dei Corpi, ultimo termine e
coronamento del mistero del Cristo. E la risposta è sempre la stessa: “GESÙ CRISTO”;
lui solo, il grande ambasciatore dell’aldilà, gioia infinita, felicità eterna, anelito
insopprimibile del cuore umano.
Perciò giustamente con P. Favara auguro che ogni lettore di questo prezioso libro
possa arrivare ad incontrare Gesù, Via Verità e Vita, Luce del mondo e Signore
dell’universo, con la stessa esperienza del già ricordato don Salvatore Tumino, così da
lui manifestata:
“Un giorno Ti ho incontrato, e tutto è cambiato!
Tutto si è rinnovato, tutto si è trasformato.
La luce ha squarciato le tenebre;
l’amore ha vinto l’odio;
la pace ha preso il posto della inquietudine;
la speranza il posto della disperazione;
la vita è subentrata alla morte;
lo stupore invece della rassegnazione;
la gioia al posto della tristezza;
la sicurezza invece dell’angoscia;
il tutto invece del niente.
Sei entrato Tu, Gesù, e ora vivo!
Vivo in pienezza! Tutto ha un senso!
Tutto ha acquistato un significato.
Grazie. Ora vedo me stesso, il mondo,
gli altri, il Padre, con i tuoi occhi.
Ora vedo, mentre prima ero cieco!”1.
Diretto a tutti, credenti e non credenti, credenti e non praticanti, il libro sollecita
tutti a dare la propria risposta alle domande: “Perché credi? Perché non credi? Non
avverti l’incoerenza e l’autocondanna di chi crede e non pratica?”.

† Angelo Rizzo,
vescovo Emerito di Ragusa

INTRODUZIONE
Nel curare questa pubblicazione sento di trovarmi in perfetta sintonia con i desideri
del Santo Padre Giovanni Paolo II che, nella sua lettera apostolica Novo Millennio
Ineunte, esorta tutta la Chiesa a mettersi in contemplazione del volto di Cristo, ad
approfondire il mistero dell’Uomo-Dio morto e risorto, a rivivere, a duemila anni di
distanza, tutti gli eventi narrati nei Vangeli come se fossero accaduti oggi.
Confortata da questa esperienza la Chiesa, all’inizio del nuovo millennio che le si
apre davanti come un vasto oceano, può riprendere con fiducia il suo cammino per
annunziare Cristo al mondo. C’è bisogno di una nuova evangelizzazione, ripete spesso
il Papa. “Ora il Cristo contemplato e amato (durante tutto l’anno giubilare) ci invita
ancora una volta a metterci in cammino: «Andate dunque ed ammaestrate tutte le
nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,
19). Il mandato missionario ci introduce nel terzo millennio invitandoci allo stesso
entusiasmo che fu proprio dei cristiani della prima ora: possiamo contare sulla forza
dello stesso Spirito, che fu effuso a Pentecoste e ci spinge oggi a ripartire sorretti dalla
speranza «che non delude» (Rm 5, 5)” (Novo Millennio Ineunte 58 –Duc in altum!).
Spero che questa nostra pubblicazione sul mistero del Cristo, del cristiano e del
cristianesimo, e sull’aldilà e la resurrezione dei corpi che forma un tutt’uno con il
precedente svolgersi del mistero del Cristo come a suo epilogo, ultimo termine e
coronamento, possa giovare a tutti coloro che sentono il dovere di rievangelizzarsi e
rievangelizzare. Mi sembra che a tal fine questa pubblicazione sia una catechesi
essenziale e in forma facile e adatta a tutti.

Gaspare Favara S.J.

IL MISTERO DEL CRISTO

È stato pubblicato un libro dal titolo “Che cosa attendete dal prete?”. Si tratta di una inchiesta
su ciò che la gente si aspetta dal prete, e tra le risposte date la migliore sembra sia questa: “Il
prete ci deve dire la verità, tutta la verità”.
Certamente ogni uomo è chiamato a dire la verità, molto di più il prete. E la verità che si vuole
sia detta dal prete riguarda principalmente una persona, la persona che ci deve essere nota come
nostro padre e nostra madre, e magari di più. Questa persona si chiama: Gesù (il Cristo).
Tutti conosciamo Gesù, ma come lo conosciamo? È viva nel nostro spirito la persona di Gesù?
Gettiamo uno sguardo nella nostra vita: Gesù è il sole, la gioia della nostra vita? Se lo
conoscessimo di più la nostra vita sarebbe diversa da come la sperimentiamo ogni giorno, sarebbe
meno triste, meno cupa, più luminosa e più bella. E finché non siamo disposti a dare per Gesù,
come i martiri, tutta la nostra vita, è segno che Gesù non lo conosciamo abbastanza. Gesù disse
alla Samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice…!” (Gv 4, 10).
Ebbene, parliamo qui di Gesù e domandiamoci: Chi è Gesù? Certamente Gesù è un uomo, un
uomo che ha dato un senso ed un orientamento alla vita, alla storia dell’umanità. La sua esistenza,
la sua vita, la sua dottrina sono sicuramente oggetto della storia. I Vangeli, come principali fonti
della vita di Gesù, sono dimostrati come seriamente storici a preferenza di qualsiasi altro libro
storico dell’antichità. E poiché la storia si fa coi documenti e non con la fantasia, noi possiamo
affermare che a favore dei Vangeli ci sono documenti molto più numerosi di quanti ce ne sono per
gli altri libri dell’antichità. Leggiamo dunque i Vangeli, e i Vangeli dicono che Gesù è un uomo,
veramente uomo.
Nacque infatti uomo a Betlemme, in una povera grotta, da una povera donna che si chiamava
Maria (cfr. Lc 2, 1-20).
Visse la sua gioventù a Nazaret da oscuro operaio, considerato da tutti come un ragazzo tra
tanti ragazzi, come un giovane tra tanti giovani.
Arrivato all’età di trenta anni, lasciò la casa, la mamma (il padre putativo era già morto), uscì
dalla sua vita di nascondimento e, girando per le città e i castelli della Palestina, cominciò a
predicare una dottrina nuova, il Regno di Dio (cfr. Lc 4, 14-30 e Mt 4, 12-17).
Conduceva una vita penosa, come quella di chi nulla possiede, non una casa, non un letto, non
di che sfamarsi. Ebbe fame e sete, si affaticava per i lunghi viaggi, e quando di sera non trovava
altro alloggio, se ne restava in preghiera all’aperto, sui monti (cfr. Mt 8, 18-20; Lc 6, 12).
Era buono, buono con tutti, ma specialmente con i più bisognosi.
Con la sua parola dolce e attraente riuscì a raccogliere attorno a sé la folla che lo seguiva
avidamente. Ma poi, perché condannava apertamente il vizio e l’ingiustizia, ecco che fu odiato e
perseguitato, tradito e messo a morte.
Gesù è morto. Certamente tutti gli uomini muoiono. Gesù era quindi indubbiamente un uomo, ce
lo dice la storia, e noi conosciamo, come per gli altri uomini, documenti e prove.
Si noti qui, di passaggio, che la Chiesa ha condannato come eretici, quelli che hanno negato che
Gesù fosse vero uomo. Questi erano i doceti. Dicevano: Gesù sembra uomo, ma non è uomo. La
Chiesa li condannò.
Gesù era quindi un uomo, vero uomo. Fin qui nessun mistero. Ma proprio qui comincia il
mistero, quando dico: Gesù è vero uomo, ma è più che uomo. Qui sta il mistero di Gesù, e chi
arriva ad afferrarlo, ad impossessarsene, cambia la sua vita, la illumina, la trasfigura, la potenzia:
diventa santo.
Gesù è vero uomo, ma è più che uomo. Chi è Gesù? Riflettiamo:
- quando la sera guardiamo incantati le stelle, la ragione ci dice: c’è Dio che ha fatto le stelle;
- quando da vicino o a distanza contempliamo l’immensità del mare, la ragione ci dice: c’è Dio che
ha fatto il mare;
- quando ci fermiamo a contemplare un magnifico panorama che ci circonda, valli e monti, i bei
tramonti del sole che fa il cielo come d’oro e d’argento, allora tutto ci dice: c’è Dio che ha fatto
la terra, il mare e il cielo.
E il nostro essere, e il mio essere ripetono lo stesso. In questa fragile creta che è il mio corpo
Dio ha posto la vita e me la conserva. È Dio che fa circolare il sangue nelle mie vene, che dà al
mio occhio la potenza meravigliosa di raccogliere la luce, i colori, le bellezze dell’universo; che dà
al mio orecchio la capacità di raccogliere i suoni e sentire le armonie della natura. È lui, è Dio che
opera in me, in voi, tutte queste meraviglie.
A questo punto qualcuno potrebbe dire: ma che c’entra tutto ciò col discorso su Gesù? Ecco,
sentite, non stiamo divagando.
Guardando la natura in me e fuori di me, io posso dire di aver visto Dio, di aver conosciuto Dio;
io posso dire col poeta Metastasio: “Dovunque il guardo io giro – immenso Dio Ti vedo – nell’opre
tue Ti ammiro – Ti riconosco in me”.
Ma la natura non è Dio, ho visto Dio attraverso la natura, ho visto Dio attraverso le sue opere.
Invece ora io guardo Gesù, il Gesù dei Vangeli, lo contemplo così com’è, il più bello dei figli degli
uomini, e poi dico: Quest’ uomo è Dio, quest’ uomo è Dio.
Qui è il mistero di Gesù:
- Gesù è un uomo, ma è anche Dio, il vero Dio che ha creato le stelle, la terra, il mare, le cose
tutte, e gli uomini, e me, e voi;
- Gesù è il vero Dio, che rimanendo immutabile nella sua natura divina, ha assunto nel tempo la
natura umana e si è fatto uomo per amore degli uomini, e si è inserito nella storia, dividendola in
due parti: prima di Cristo, e dopo Cristo;
- Gesù è il nostro vero Dio, e gli dobbiamo adorazione e amore. Qui è il mistero di Gesù: Gesù è
vero uomo e vero Dio.
Ma come facciamo a conoscere questo mistero? Come sappiamo che Gesù è il vero Dio pur
essendo vero uomo? Come lo sappiamo? E come sappiamo noi tutte le altre cose? Tutto quello che
noi sappiamo, lo sappiamo o con la ragione basata sull’esperienza, o con la fede basata
sull’autorità, sulla testimonianza.
Qui è la duplice fonte di tutte le nostre conoscenze.
Si ricordi qui la lettera enciclica del Papa Giovanni Paolo II “Fides et ratio – fede e ragione”:
le due ali con cui l’uomo si solleva e perviene alla conoscenza della verità. E quanto alla fede
vorrei che notaste bene due cose:
Che la maggior parte delle nostre conoscenze, forse dall’80 al 90%, le abbiamo per fede, cioè
per attestazione di altri, anche le cognizioni più serie e fondamentali della nostra vita domestica e
civile, anche buona parte delle conoscenze nel campo scientifico. La conoscenza diretta,
sperimentale è relativamente poca.
Inoltre, come seconda cosa quanto alla fede, è da notare che la conoscenza di fede, non meno
che la conoscenza di pura ragione, può raggiungere l’assoluta certezza, quando cioè la negazione
di una verità di fede condurrebbe all’assurdo, alla negazione della evidenza dell’autorità, alla
negazione dei primi principi che vi sono implicati. Così ad esempio: noi siamo certi, di certezza
assoluta, del terremoto di Messina, benché non l’abbiamo mai visto, benché quasi non ne rimanga
traccia alcuna, ma ne siamo assolutamente certi perché le testimonianze sono tali e tante che
sarebbe assurdo negarle. Posto ciò, a chi domanda come possiamo conoscere il mistero di Gesù,
io rispondo: alla piena conoscenza del mistero di Gesù, come di ogni altro mistero, concorrono
insieme la ragione e la fede.
La ragione sola, senza la fede, non è sufficiente per conoscere il mistero, proprio perché il
mistero è verità trascendente, soprannaturale, soprarazionale.
La fede sola, senza la ragione, non basta, poiché ogni vera fede, che non sia stolta credulità, è
basata sulla ragione.
Alla piena conoscenza di Gesù, del mistero di Gesù, concorrono insieme la ragione e la fede, la
ragione dimostrando e la fede credendo.
La ragione ci mostra l’autorità divina di Gesù e quindi la divina esigenza di prestargli fede
(anche nell’ipotesi che Egli fosse un semplice profeta).
E quando, con l’aiuto della grazia ci decidiamo e secondo ragione prestiamo fede a Gesù,
apprendiamo dalla sua bocca il grande mistero: “Io, dice Gesù, proprio io che vi parlo, sono il
Figlio di Dio fatto uomo”.
Ed è proprio così, questa è la verità, poiché tutto concorre a stabilire, a provare la divina
autorità di Gesù, la verità della sua affermazione. Qui proponiamo anzitutto la prova dell’indole
personale di Gesù, della sua personalità, della sua sapienza, della sua bontà.

1. La sapienza di Gesù
“….Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!” (Gv 7, 46), dissero di Gesù i suoi
contemporanei. Questa fu l’impressione comune di chi l’ascoltava.
Così i dottori del tempio che lo ascoltarono a 12 anni, stupiti dalle interrogazioni e risposte di
quel bambino (cfr. Lc 2, 46-47).
Così gli scribi che volevano disputare con lui, ma rimanevano confusi dalle sue risposte (cfr. Lc
14, 1-6 ; Mt 22, 15-22; Lc 20, 27-40).
Così i farisei ai quali Gesù scopriva i segreti dei cuori, i pensieri più intimi (cfr. Lc 7, 36-50).
Così le folle che non si saziavano di ascoltarlo e lo seguivano per intere giornate senza stancarsi
(cfr. Gv 6, 1-25).
Insomma, tutti quelli che lo avvicinavano e lo ascoltavano, restavano grandemente impressionati
della sua sapienza.
“….Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!” (Gv 7, 46) ripetono presso a poco in tutti i
secoli, anche nel nostro tempo, tutti quelli che si applicano a studiare le parole, la dottrina, il
Vangelo di Gesù. Vi si trova armonia, acume, rettitudine, perfetto equilibrio, la sublimità ed
elevatezza della sostanza, per cui vi si adattano le menti più elette, ed una meravigliosa semplicità
e chiarezza di forma, così che anche i semplici e gl’indotti vi trovino luce e sollievo.
Pensate che il Vangelo ai nostri tempi, ai tempi dei voli spaziali e del computer, rimane ancora
il best seller nella diffusione dei libri. Come dice Pascal, Gesù parla delle cose più grandi con tanta
semplicità che sembra non vi abbia pensato, e ne parla con tanta precisione e chiarezza per cui si
vede bene che vi ha pensato. Questa chiarezza, congiunta con questo candore è ammirabile.
Gesù non fa sforzi per toccare quelle altezze a cui pochi uomini arrivano. Ed il sublime in lui
non è, come in tanti altri grandi, uno sprazzo di luce passeggera ed isolata. Gesù è sempre sublime.
Gesù sta sempre in alto. Lo si vede pieno dei segreti di Dio, ma si vede bene che non ne è stupito;
Egli ne parla naturalmente come nato in questo segreto in questa gloria.
E si noti la completezza e la purezza della dottrina di Gesù. Mettendo insieme tutto quello
che di bello e di nobile, di nuovo e di santo dissero tutti i filosofi e oratori dell’antichità, si ha
ben poca cosa di fronte a ciò che disse Gesù. E per di più, senza uno solo degli errori, delle
debolezze, delle inesattezze di quei grandi. Ci si accorge che Gesù sta ancora più in alto.
Che meravigliosa sapienza! E lo stupore cresce:
- se si pensa che Gesù sorse in mezzo al popolo, figlio del popolo, in un angolo della più
disprezzata provincia d’Israele;
- se si pensa che Gesù non frequentò scuola, né si applicò allo studio2. Operaio fino a trent’anni,
d’un tratto si rivelò maestro, maestro dell’umanità di tutti i tempi.
Si spiega quindi la meraviglia dei giudei che dicevano: “…come mai costui conosce le Scritture,
senza avere studiato?” (Gv 7, 15). Questa domanda esige una risposta, e la risposta la dà Gesù
stesso quando dice: “…La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv 7, 16).
Cioè, viene dall’alto, non si spiega umanamente. Ecco un semplice accenno a ciò che riguarda la
sapienza di Gesù, e la sua bontà e santità?

2. La santità di Gesù
Anche qui un semplice accenno.
Gli uomini di scienza, di genio, spesso si esauriscono tutti nell’intelligenza, spesso
mancano di bontà, almeno di bontà spiccata. Non è così di Gesù che alla eminente
sapienza congiunge una non meno sorprendente bontà e santità.
Come abbagliato dalla bontà e santità di Gesù Pascal diceva che Gesù Cristo è stato dolce,
paziente, santo, santo a Dio, terribile ai demoni, senza alcun peccato. Egli è di una prodigiosa
magnificenza agli occhi del cuore e di coloro che vedono la sapienza.
Ed è l’impressione comune di tutta l’umanità. Neppure i più lontani, neppure coloro che ad ogni
costo hanno voluto escludere il divino dalla vita di Gesù, neppure loro hanno potuto negare la
santità di Gesù. Così tanti accaniti razionalisti come Renan in Francia, Strauss in Germania,
Parker in America hanno detto che Gesù sta al vertice dell’umanità, e che “nessuno come Gesù c’è
stato prima di lui, e nessuno ce ne sarà dopo di lui” (Strauss nell’introduzione alla vita di Gesù).
Com’è possibile mettere in un bicchiere tutta l’acqua del mare? E com’è possibile
esprimere in poche linee tutta la santità di Gesù? Bisognerebbe rileggere tutto il Vangelo.
Tuttavia, se possiamo compendiare tutte le virtù nella carità, regina delle virtù,
possiamo dire che la vita di Gesù fu un intensissimo, continuo ed eroico atto di amore
per il Padre celeste e per gli uomini che chiamò suoi fratelli:
- il nome del Padre celeste sta sempre sul suo labbro, tutto dirige alla gloria del Padre, la sua
volontà è sempre protesa a fare la volontà del Padre, con una fermezza di carattere che non lo fa
indietreggiare dinanzi al sacrificio e alla morte (cfr. Mt. 26, 36-46);
- la carità di Gesù verso il prossimo si estende a tutti, anche ai pagani, e specialmente ai piccoli,
ai poveri, agli ammalati, ai peccatori e anche ai nemici;
- chiamò amico Giuda il suo traditore (cfr. Mt 26, 50), e sulla croce pregò per i suoi crocifissori
(cfr. Lc 23, 34), beneficò tutti senza distinzione, e non venne fermato dall’ingratitudine umana;
- era dolce e mansueto con tutti, ma non debole e molle, poiché quando lo richiedevano la gloria di
Dio e la salvezza delle anime sapeva essere forte e severo nel rimproverare gli stessi apostoli e
nello smascherare l’ipocrisia dei farisei increduli: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti” e “Guai a
voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati…”e “…una generazione
perversa e adultera…” (Mt 16, 4; Mt 23, 13-32);
- carità, fortezza, umiltà, pazienza, castità ecc…, è difficile enumerare tutte le virtù di Gesù, tutte si
trovano in lui e in sommo grado, anche quelle che sembrano escludersi, come autorità ed umiltà,
giustizia e misericordia.
Proprio tutte le virtù si trovano in Gesù? No, ne manca una, la contrizione
(pentimento dei peccati), la cui mancanza in Gesù non fa difetto, poiché è una
conseguenza ed una conferma della sua immacolata purezza ed innocenza.
Cosa veramente sorprendente, mentre Gesù ha sete del pentimento di tutta l’umanità peccatrice
e non fa che gridare continuamente a tutti: Convertitevi, fate penitenza (cfr. Mt 4, 17; Lc 5, 32; Lc
13, 2-5). Egli solo poi non ha bisogno di penitenza e di perdono.
Mentre gli uomini più santi e più puri trovano sempre di che rimproverarsi e di pentirsi, Gesù
non trova nulla di ciò, e può con tutta fiducia lanciare la sfida ai suoi nemici: “Chi di voi può
convincermi di peccato?….” (Gv 8, 46).
Ai suoi discepolo dice: “Voi dunque pregate così: Padre nostro…rimetti a noi i nostri debiti…”
(Mt 6, 9-13). Ma egli non prega così, non ne ha bisogno. La sua coscienza è pura, vergine,
immacolata:
- lo attestano all’unanimità i suoi discepoli;
- non lo possono negare i suoi nemici;
- Giuda muore dicendo “...ho peccato perché ho tradito sangue innocente…” (Mt 27, 4). Pilato dice
al popolo: “...non trovo nessuna colpa in quest’uomo” (Lc 23, 4). I Sinedristi per condannarlo
hanno bisogno di falsi testimoni, che però sono discordi e non approdano a nulla (cfr. Mc 14, 56-
59).
Gesù fu condannato solo perché aveva affermato di essere il Figlio di Dio, Dio uguale al Padre
(cfr. Gv 5, 17-18). Non diceva forse la verità? Si, certo, una prima prova che Gesù dice la verità
sono la sua sapienza e la sua bontà (santità), anche considerate dentro i limiti della natura,
prescindendo dal loro valore soprannaturale. E ciò anzitutto perché è impossibile che un uomo di
tali doti intellettuali e morali, un uomo che a comune giudizio è il tipo ideale, irraggiungibile
dell’umanità, sia stato vittima di demenza o d’impostura, cioè che si sia ingannato, o abbia voluto
ingannare dicendo il falso. La psicologia di Gesù esclude tutto ciò. Ma bisogna inoltre osservare
che la sapienza e la santità di Gesù non si possono considerare solo entro i limiti della natura,
perché superano manifestamente l’umano e traspirano il soprannaturale, il divino. Perché? Ecco
perché: la sapienza e santità degli uomini, anche se eminenti, pure hanno macchie, difetti, limiti,
gradi ascensionali e cause naturali che li spiegano, maestri, educatori, libri, ambienti adatti per lo
sviluppo. Ciò è condizione e legge di natura.
Ma in Gesù nulla di tutto questo. Egli sta sopra di questa condizione e legge di natura; e sopra
la natura non c’è altro che Dio.
La vita di Gesù mostra dunque la soprannaturale presenza di Dio, l’approvazione di Dio, la
soprannaturale rivelazione della sapienza e santità di Dio.
La voce di Gesù è quindi la voce della verità, la voce di Dio merita fede, fede assoluta.
La ragione ha così dimostrato l’esigenza della fede a Gesù.
Perciò Gesù diceva giustamente ai Giudei: Voi dovreste credere a me, che vengo da Dio, anche
considerando solo la mia persona. Ma aggiunge “…Se non volete credere a me, credete almeno
alle opere...” (Gv 10, 38). A quali opere si appellava Gesù? Ai suoi miracoli.

3. La potenza di Gesù: i miracoli


Si presentavano a Gesù i ciechi e gli dicevano: Figlio di David, abbi pietà di noi, fai che
vediamo. E Gesù all’istante restituiva la vista (cfr. Mt 9, 27-31).
I lebbrosi gli dicevano: Signore, se vuoi puoi mondarci. E Gesù li guariva con un solo cenno
della sua volontà. “...lo voglio, guarisci” e la lebbra scompariva (cfr. Mc 1, 40-43).
Coi sordomuti avveniva lo stesso, bastava che Gesù dicesse una sola parola, perché ritornasse
l’udito e la lingua si sciogliesse a parlare (cfr. Mc 7, 31-37).
Così avveniva con ogni specie d’infermi. Alcune volte l’infermo neppure era presente. Un suo
parente chiedeva a Gesù la guarigione e Gesù lo guariva a distanza (cfr. Gv 4, 46-54).
Molti erano risanati al tocco delle sue vesti (Cfr. Mt 9, 18-26). Questi e simili prodigi erano
tanti e così frequenti che gli evangelisti confessavano essere impossibile narrarli tutti (cfr. Gv 21,
25).
Neppure la morte era una barriera alla meravigliosa potenza di Gesù. Egli risuscitò vari morti,
tra cui certo ricorderete Lazzaro, seppellito da quattro giorni. Solo un cenno della sua
volontà “Lazzaro vieni fuori!” e il morto Lazzaro torna a vivere con le sue sorelle (cfr. Gv 11, 38-
44).
Anche i demoni erano soggetti alla prodigiosa potenza di Gesù.
L’esistenza degli spiriti maligni, e i fatti di possessione diabolica sono abbastanza certi e noti
per chi ha una conoscenza anche superficiale della letteratura sullo spiritismo del nostro tempo.
Anche ai tempi di Gesù c’erano degli infelici posseduti interamente dal demonio. E perché
venissero liberati bastava il comando di Gesù. Al suo cenno il demonio infallibilmente cedeva e se
ne partiva (cfr. Mc 1, 21-28; Lc 11, 14-20).
Oltre ai prodigi sugli uomini e sui demoni, Gesù compì quelli operati sugli esseri irrazionali:
- alle nozze di Cana cambia l’acqua in vino (cfr. Gv 2, 1-12).
- nel deserto compie il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Cfr. Gv 6, 1-15; Mc 6,
35-44).
- cammina sul mare come sulla terra ferma e dà lo stesso potere a Pietro (cfr. Mt 14, 22-33).
- trovandosi poi addormentato sulla barca dei discepoli, quando questi al sopraggiungere
improvviso della tempesta lo svegliano invocando aiuto, Gesù tranquillo risponde: “Perché avete
paura, uomini di poca fede?”. Ed ad un suo comando il vento improvvisamente cessa e il mare si
calma (cfr. Mt 8, 23-27).
Era naturale che la gente delle vicine barche si domandasse: “Chi è mai costui a cui i venti e il
mare ubbidiscono?” (Mt 8, 27). Chi è?
Dopo il ricordo dei vari miracoli di Gesù, giova che facciamo anche noi una simile domanda:
Chi è questi a cui non solo il vento e il mare, ma la natura tutta è docile e ubbidiente? Chi è?
Noi lo sappiamo chi è, ma ci facciamo ugualmente la domanda per dare una più cosciente
risposta. Ebbene: Colui a cui tutta la natura, (si noti bene) tutta la natura, anche la natura
irrazionale, è talmente soggetta che ubbidisce ad un cenno della sua volontà, o è Dio in persona, o
un inviato di Dio che agisce per la virtù infinita di Dio.
Ogni essere finito infatti, appunto perché finito nell’essere, è perciò finito a se stesso e
dipendente nel suo operare (l’operazione segue l’essere, dicono i filosofi). Nel suo operare l’essere
finito dipende dalle condizioni e leggi di natura, non può agire ad arbitrio di volontà. Potrà
fabbricare strumenti meravigliosi come le capsule spaziali e i computers, potrà compiere tante
altre meraviglie, ma in tutto deve seguire le leggi di natura, non può allontanarsene, agire
arbitrariamente.
Quindi Gesù, che agiva al di fuori e al di sopra delle leggi di natura, Gesù, alla cui volontà tutta
la natura è soggetta e docilmente ubbidisce, o è Dio in persona, o è l’inviato di Dio, diretto da
Dio, approvato da Dio. Nell’uno e nell’altro caso la sua voce è voce di Dio, voce infallibile ed
esige la fede, fede assoluta.
La fede a Gesù diventa così una esigenza di ragione. L’obbligazione, la necessità morale, il
dovere della fede diventa così evidente all’uomo ragionevole.
Qui ha termine la ragione e subentra la luce della fede. A questo punto chiunque conosce che la
voce di Gesù è la voce di Dio, non discute più, non può discutere più. Se ha buona volontà crede a
Gesù che parla con l’autorità di Dio, e dalla bocca di Gesù apprende la rivelazione del grande
mistero.
Io – gli dice Gesù – proprio io che ti parlo, sono il Figlio di Dio fatto uomo Non sono un
semplice profeta, no, sono Dio uguale al Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola. Io e il Padre
manderemo lo Spirito Santo. (cfr. Gv 9, 35-38; Gv 10,14-18.30; Gv 16, 7).
Ecco il grande mistero di un Dio fatto uomo, mistero connesso e rivelato con quello dell’Unità e
Trinità di Dio. Ma il mistero l’ha rivelato Dio e non spaventa più l’anima fedele. Essa si prostra
dinanzi all’Uomo-Dio, a Gesù, e liberamente, nella piena consapevolezza di ciò che fa, crede, ama,
adora.
Ecco, il mistero di Gesù l’abbiamo visto, ma non sta tutto qui, il mistero di Gesù continua, e lo
vedremo nelle seguenti catechesi. Ma fin da ora abbiamo rivissuto la nostra somma certezza,
certezza di ragione, che la voce di Gesù è la voce di Dio, e abbiamo rivissuto l’altra nostra
certezza, certezza di fede perfettamente ragionevole, che Gesù stesso in persona è il figlio di Dio
fatto uomo. Lui stesso ce l’ha rivelato.
Per conseguenza, quando parla Gesù, è Dio che parla e quindi mi può dire e mi dice di fatto:
“…Io sono la Via, la Verità, la Vita…” (Gv 14, 6) “…Io sono la luce del mondo; chi segue me non
camminerà nelle tenebre…” (Gv 8, 12).
Seguendo Gesù, ascoltando Gesù io trovo la luce, la gioia e la vita. Seguendo Gesù, ascoltando
Gesù, io conosco meglio me stesso, la mia origine, le mie obbligazioni, il mio fine e il fine del
mondo.
Io non sono per questa terra ma per il cielo. Il mondo dove abito non è la mia dimora
permanente, mi deve essere piedistallo per il cielo. Questo me lo ha detto Gesù, me lo ha detto Dio.
Come tutto s’illumina nella luce di Gesù!
La mia vita avvicendata di gioie e dolori non è una marcia verso l’ignoto, ma verso un punto
certo e luminoso, verso il Paradiso. In Paradiso c’è un posto preparato per me, se me lo saprò
meritare, proprio per me e per ciascuno di voi, se ve lo saprete meritare. “…Io vado a prepararvi
un posto” (Gv 14, 2) disse Gesù prima dell’Ascensione. Queste parole sono parole di Gesù, parole
della Verità, parole di Dio.
Quando Gesù dice: “Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la
propria anima?” (Mc 8, 36); quando dice: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia…” (Mt
6, 33); quando dice: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di
uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella
Geenna” (Mt 10, 28); attenti a queste parole, non è un semplice uomo che ce le dice, ce le dice Dio.
Aprite il Vangelo, leggetelo con fede, e man mano che leggete ogni tanto fermatevi, e riflettendo
dite a voi stessi: queste cose le dice Gesù, le dice Dio, le dice per tutti e le dice per me.
II

IL MISTERO DEL CRISTIANO

Nel capitolo 16 del Vangelo di San Matteo, è riportato il memorando episodio di Cesarea di
Filippo. Gesù si trovava attorniato dagli apostoli e li interrogava: “…La gente chi dice che sia il
Figlio dell’uomo?” (Mt 16, 13); gli apostoli diedero diverse risposte: “…Alcuni Giovanni il
Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti” (Mt 16, 14); e “…Voi” chiese ancora
Gesù, “chi dite che io sia?” (Mt 16,15), allora rispose Simon Pietro e disse: “…Tu sei il Cristo, il
Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16); e Gesù a Pietro: “…Beato te, Simone figlio di Giona, perché
né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16, 17).
Ogni cristiano deve avere tanta luce e tanta forza da poter dire con Simon Pietro,
nell’entusiasmo della fede e dell’amore: Gesù, tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo.
1. Gesù nella luce profetica dei secoli che lo precedettero
A questo scopo, per arrivare ad una fede viva ed entusiasta, il cristiano deve ripensare la sua
fede, deve approfondirne i motivi e viverla più fervorosamente. Rimettiamoci dunque ancora nella
contemplazione di Gesù. Già nella precedente catechesi l’abbiamo visto nella luce della sua
sapienza, della sua santità e della sua potenza taumaturgica, nei molteplici e svariati miracoli. Ed
abbiamo visto come tutto spinge a formulare il giudizio di credibilità ed il giudizio di credentità,
cioè a Gesù si può credere e si deve credere. Egli è veramente il Figlio di Dio fatto uomo, vero
uomo e vero Dio.
Continuiamo a contemplare Gesù, vediamolo ora nella luce profetica dei secoli che lo
precedettero. Così osserveremo che un altro fascio di luce divina converge sulla fronte di Gesù per
darcelo a conoscere come la voce della verità, la voce di Dio, il Cristo Figlio del Dio vivo.
Ai suoi nemici increduli, Gesù amorevolmente diceva: “…anche se non volete credere a me, (mi
dovreste credere in persona, in parola) credete almeno alle opere…” (Gv 10, 38).
“…le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo,
testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Gv 5, 36). E aggiungeva: “Voi scrutate le
Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono
testimonianza” (Gv 5, 39).
Le Scritture a cui si appella Gesù sono i Libri Sacri degli Ebrei. Ed è fuori di dubbio, di ogni
dubbio, che questi libri furono scritti tanti secoli prima della venuta al mondo di Gesù Cristo. Al
terzo secolo a.c. già la collezione di questi libri era completa, tanto che è propria di quel tempo la
traduzione greca dell’originale ebraico.
E custodi fedelissimi di questi libri sono stati e sono finora, tra gli altri, gli stessi ebrei, che non
hanno certamente intenzione di favorire Cristo e i cristiani. Ciò che faceva dire a Sant’Agostino:
“Il giudeo porta il codice con cui crede il cristiano”.
Che c’è scritto in questi libri, in questi codici? Ecco, un fatto singolarissimo,
straordinario.

2. Antiche profezie su Gesù


Verrà un uomo – vi si dice – verrà un uomo che sarà l’inviato di Dio, il Salvatore del
genere umano.
E se ne determinano gli antenati. I suoi antenati saranno: Noé, Abramo, Isacco,
Giacobbe, Giuda, Davide. Ecco la genealogia di Gesù, ma scritta a rovescio, prima
della sua nascita, in linea ascendente.
Ecco il primo annunzio del Salvatore detto Protovangelo: “Allora Il Signore Dio disse al
serpente…: Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà
la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3, 14-15). Ciò vuol dire che il Salvatore (Gesù) sarà
figlio della profetica donna (Maria) e con lei schiaccerà la testa al serpente, sarà trionfatore sul
diavolo e salverà il mondo dal peccato e da ogni male. Questa promessa si fa strada attraverso le
benedizioni date da Dio ai vari patriarchi assicurando loro una larga discendenza (cfr. Gen 9, 1;
Gen 9, 12, 26, 35; 28, 13-16), finché si arriva alle più chiare predizioni dei molti profeti fino a
Davide, dalla cui famiglia nascerà il Salvatore.
E questo salvatore quando verrà? Se ne stabilisce il tempo, la cronologia:
- verrà quando gli Ebrei avranno perduta la loro indipendenza politica “Non sarà tolto lo scettro
da Giuda nè il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a
cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” (Gen 49, 10);
- verrà quando sarà ancora in piedi il secondo tempio di Gerusalemme, e con la sua venuta,
entrandovi, lo renderà più glorioso del primo (cfr. Esd 3, 12; Ag 2, 1-9);
- verrà al compiersi di sessantanove settimane di anni dall’editto per la riedificazione di
Gerusalemme secondo la profezia di Daniele (cfr. Dn 9, 24-27)3;
- e si determina che a metà della settantesima settimana il Cristo sarà ucciso (cfr. Dn 9, 26); il
computo di questi anni coincide esattamente con la data della nascita e della morte di Gesù. Dove
nascerà?
- nascerà a Betlemme di Giudea (cfr. Mc 5,1-5);
- avrà per madre una vergine (cfr. Is 7, 10-17).
- sarà portato in Egitto e al ritorno dimorerà a Nazaret (cfr. Os 11, 1);
- se ne annunziano le virtù e le mansioni;
- sarà buono, umile, dolce (cfr. Zc 9, 9-10; Is 53, 7);
- sarà un grande dottore e profeta (cfr. Dt 18, 15-19), legislatore e re di un nuovo regno
universale, sacerdote secondo Melchisedek (cfr. Sal 109, 4 e Sal 71) e vittima, poiché offrirà se
stesso per i peccati degli uomini (cfr. Sal 21 e Sal 39; Is 53, 3-5).
Farà miracoli: i ciechi vedranno, i sordi udiranno, gli zoppi salteranno (cfr. Is 35, 4-6; 26, 19;
29, 18-19). Questa predizione fu fatta sette secoli prima che nascesse Gesù.
I profeti annunziano inoltre che il Messia (Gesù) farà tanto bene, e nonostante ciò sarà odiato e
ucciso (cfr. Is 52, 7-15; 53).
Infatti entrerà sì, trionfante a Gerusalemme, ma come re umile, povero che cavalca un asinello
(cfr. Zc 9, 9-10), ma poi sarà tradito, venduto per trenta denari e arrestato (cfr. Zc 11, 12-13).
Lo flagelleranno e copriranno di sputi, e verrà condotto a morte con dei malfattori (cfr. Is 50, 6;
53, 12).
Confitto sul legno del supplizio, nella sua sete gli daranno a bere aceto (cfr. Sal 68, 22),
diventerà oggetto di derisioni e di scherni per tutti, le sue vesti saranno divise e la sua tunica sarà
messa a sorte (cfr. Sal 68, 8-22; Sal 21, 17-19).
Egli morrà, ma la sua carne non vedrà la corruzione, risorgerà e il suo sepolcro sarà glorioso
(cfr. Sal 15, 10; Is 11, 10).
Dopo la sua morte, Gerusalemme e il suo tempio saranno distrutti, il popolo sarà disperso, e la
desolazione di quel popolo rimasto senza sacrificio durerà fino alla fine del mondo (cfr. Dn 9, 26-
27).

3. Valore soprannaturale delle profezie


Qui fermiamoci. Credete che io abbia letto il Vangelo? No, noi abbiamo letto la Bibbia del
Vecchio Testamento, tutto quello che nella Bibbia del Vecchio Testamento è stato scritto parecchi
secoli prima di Gesù, prima dei Vangeli. Su ciò non ci può essere alcun dubbio. Non ci vedete la
storia dettagliata di Gesù scritta prima della sua nascita? Tutto è stato predetto e tutto si è
verificato alla lettera. Convergenza meravigliosa tra le predizioni e il loro compimento. Ditemi, è
stata mai scritta la storia di un uomo prima della sua nascita, tanti secoli prima? Chi aveva potuto
sapere a distanza di secoli le cose di Gesù?
Noi possiamo prevedere qualche volta cose lontane. L’astronomo studia le stelle e dice, ad
esempio, tra duecento anni queste due stelle saranno in eclisse.
Ma quando si tratta di uomini liberi che fanno le cose secondo la loro volontà, chi può dire a
distanza, e a distanza di secoli quello che essi faranno?
Il futuro libero, fosse pure a breve distanza di tempo, è assolutamente futuro, totalmente futuro,
non precontenuto in alcun modo nelle cause.
Solo Dio, l’essere infinito per cui non c’è né passato né futuro e a cui tutto è eternamente
presente, solo lui conosce quello che per noi è futuro.
E allora ecco la conseguenza:
La Bibbia, questo libro che parla di fatti liberi che avverranno nel futuro, che parla del futuro
con certezza come di un passato, solo Dio poteva dettarlo. Questo libro è stato scritto per
ispirazione divina, Dio lo ha dettato. E questo libro dice: Egli, cioè Gesù, Egli è l’inviato di Dio, il
Messia da tanti secoli predetto ed aspettato, il Salvatore del mondo.
Ed è proprio per questo che agli inviati di Giovanni Battista che gli chiedevano se fosse lui il
Messia aspettato o ne dovessero aspettare un altro, Gesù diede questa semplice ed eloquente
risposta: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli
storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è
predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me” (Mt 11, 4-6). Tutto ciò
l’aveva predetto il profeta Isaia sette secoli prima dell’ aspettato Messia, come segno per poterlo
riconoscere. E Gesù voleva dire: la profezia si compie in me, quindi sono io l’aspettato Messia.
Proprio per questo Gesù diceva ai suoi nemici: “Se non volete credere a me, credete alle mie opere,
e se non volete credere alle mie opere (se non siete ancora soddisfatti), scrutate, esaminate le
Scritture, esse infatti mi rendono testimonianza” (cfr. Gv 10, 34-38).
È bello qui aggiungere come Gesù si rifà di nuovo a questo argomento delle Scritture, dopo la
sua risurrezione, nella apparizione ai due discepoli di Emmaus. Erano sfiduciati e rimasti delusi in
seguito agli avvenimenti della passione e morte di Gesù, ed Egli ormai risorto dice loro:
“…Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo
sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?. E cominciando da Mosè e da tutti i
profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24, 25-27).
Bellissime, luminosissime, convincentissime queste parole di Gesù! Esse propongono in sintesi,
come conclusione, tutto quanto è stato detto finora.
L’esatto compimento di tutte le antiche profezie in Cristo Gesù sono un miracolo grandioso,
segno certissimo della verità delle affermazioni di Gesù.
Così, contemplando sul volto di Gesù il divino fulgore della profezia, che è vero e grandioso
miracolo di ordine intellettuale, noi arriviamo ancora una volta, anche per questa via, a stabilire
che la fede a Gesù è una assoluta esigenza di ragione, e chi non si lascia impedire da estranei
ostacoli ascolta umilmente e docilmente Gesù, e da lui apprende il grande e fondamentale mistero:
“Io – dice Gesù – proprio io che Ti parlo, sono il Figlio di Dio fatto uomo” (cfr. Gv 4, 26) e crede,
e ama, e adora.

4. Il mistero del Cristo si prolunga nel mistero del cristiano


Noi abbiamo contemplato e rivissuto questo grande mistero nella precedente
catechesi , ma terminando dicevo: il mistero di Gesù non sta tutto qui, il mistero di
Gesù continua. Quindi ora ci mettiamo di nuovo in ascolto per apprendere la
continuazione del mistero di Gesù. L’apprenderemo ugualmente dalla sua bocca.
Ormai il mistero non ci spaventa più, il mistero spaventa chi non ha fede. Noi
sappiamo che quando ci parla Gesù ci parla Dio, e possiamo e dobbiamo credere. Chi ci
può dare maggiore garanzia di verità?
Nel capitolo terzo del Vangelo di Giovanni Gesù ci dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il
suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Sono parole di Gesù, egli non solo stigmatizza l’incredulità “…la luce è venuta nel mondo, ma
gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3, 19), ma
manifesta quale sia il fine della sua venuta nel mondo: la fede e il benefico effetto della fede
“perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. Di quale vita parla? Che cos’è
questa vita eterna?
Qui, proprio qui il mistero di Gesù si prolunga in noi. Qui si vede che il mistero di Gesù diventa
il nostro mistero, il mistero del cri-stiano.
Il cristiano. Chi è il cristiano, qual è il suo mistero? (Notate che parlo del cristiano autentico,
che vive nella grazia di Dio).
Il cristiano è certo un uomo, come tutti gli altri uomini. Come tutti gli altri uomini nasce, si
nutre, cresce, invecchia e muore. Come tutti gli altri uomini sente il freddo ed il caldo, la fame e la
sete, la gioia e il dolore.
Da essere intelligente e libero comprende e vuole, studia, lavora, si diverte, osserva le leggi e
consuetudini civili come tutti gli altri uomini. Fin qui nulla di misterioso, ma il mistero comincia
quando dico che il cristiano è più che gli altri uomini, poiché ha qualche cosa che gli altri uomini
come tali non hanno: ha cioè la vita divina, la vita eterna.
Come intendere questa vita eterna che ci divinizza, che ci fa figli di Dio? È certo un mistero e
come tale non possiamo pienamente comprenderlo. Ma il mistero bisogna pure afferrarlo nei suoi
giusti termini, bisogna pure intenderne qualcosa. Cerchiamo di intendere questo qualcosa del
nostro mistero, poiché se la nostra fede sarà più illuminata, tutta la nostra vita cristiana sarà più
buona, più fervorosa, più felice.
Che cos’è dunque la vita eterna che Cristo comunica a quelli che credono in lui? Ecco, sentite:
- Dio è spirito purissimo, e la vita di Dio, per quanto possiamo parlarne, è una vita del tutto
spirituale, cioè una vita di conoscenza e di amore. Dio si conosce e si ama, conosce se stesso e
ama se stesso perfettamente, infinitamente. Questo è il segreto della sua vita intima, della sua vita
trinitaria che è comunicazione essenziale di vita, e fecondità secondo la conoscenza e secondo
l’amore;
- il Padre conosce perfettamente se stesso e genera il Figlio;
- il Padre e il Figlio si amano infinitamente e da essi procede la terza persona divina, lo Spirito
Santo.
Qui è il grande mistero dell’unità e Trinità di Dio in cui si ha comunicazione essenziale di vita
secondo la conoscenza e secondo l’amore.
Ora Dio, nei limiti del possibile, cioè in modo finito e accidentale, vuole mettere l’uomo a parte
di questa sua conoscenza e di questo suo amore.
Ciò avviene, avverrà per noi pienamente in cielo, dove conosceremo Dio con cognizione diretta,
intuitiva, così come Egli è (cfr. 1 Gv 3, 2), e come noi conosciamo noi stessi. Lo vedremo “così
come egli è”, lo ameremo e saremo beati. Qui è il mistero della visione beatifica che avrà luogo in
cielo se ce ne renderemo degni.
Ma ciò ha inizio qui sulla terra per mezzo della fede e della carità. La fede e la carità sono sulla
terra la vita di Dio in noi, vita di Dio secondo la conoscenza e vita di Dio secondo l’amore. È
questo che anzitutto bisogna capire bene.

5. La fede - la carità - la grazia santificante


Che cos’è infatti la fede? Che significa credere? Se lo comprenderemo, vivremo di fede e per la
fede saremo disposti a morire.
Credere, in genere, è ricevere e far vivere in noi la conoscenza di un altro. Supponiamo che voi
siate dei bravi fisici e dei bravi astronomi e mi parlate della vostra esperienza e delle vostre
scoperte, del movimento dei corpuscoli o del movimento degli astri, ed io che ignoro queste cose,
ma conosco la vostra competenza in materia, vi presto fede e faccio mie le vostre cogni-zioni.
Credere è quindi ricevere e far vivere in noi le cognizioni di un altro, cioè la vita intellettuale di
un altro.
Ora, credere a Dio è ricevere e far vivere in noi la conoscenza di Dio, la vita intellettuale di
Dio, la conoscenza che Dio ha di se stesso e delle altre cose. Nell’atto di fede diciamo: «Mio Dio io
credo fermamente tutto quello che Voi, Verità infinita ed infallibile, avete rivelato».
Per la fede, senza rinunziare alle nostre naturali cognizioni, che sono anch’esse un dono di Dio,
noi accettiamo al di là della nostra naturale possibilità di conoscere, al di là del nostro sguardo
carnale, una maniera di vedere e di giudicare che non viene né dalla carne né dal sangue (cfr. Mt
16, 17), cioè dalla nostra natura, ma è ispirata da Dio.
Per la fede noi aderiamo a delle verità a noi inevidenti e misteriose, solo perché Dio che le
conosce ce le ha rivelate.
Per la fede noi portiamo, sulle stesse cose della terra, un giudizio nuovo, le vediamo e le
apprezziamo dal punto di vista di Dio, come egli le vede e le apprezza. Certamente meglio di noi.
In breve: per la fede facciamo vivere in noi l’oggetto e il motivo della conoscenza divina, la cui
luce deve illuminare tutta la nostra vita.
Così per la fede partecipiamo della conoscenza di Dio, della vita intellettuale di Dio. Ecco cos’è
la fede.
E la carità, che segue la fede, che cos’è la carità? Se la fede è la partecipazione della
vita divina secondo la conoscenza, la carità è la partecipazione della vita divina
secondo l’amore, la partecipazione della carità divina.
Se la fede è lo sguardo di Dio innestato in noi (il divino telescopio con cui arriviamo a
conoscere le cose che naturalmente non potremmo conoscere, cioè i misteri), la carità è, per così
dire, il cuore di Dio, l’amore di Dio trapiantato in noi. Essa, la carità, trapianta in noi l’oggetto e
il motivo dell’amore di Dio.
Dio mette in noi il suo amore vivente come ha messo in noi il suo sguardo vivente, affinché per
la carità noi amiamo lui e le cose fuori di lui come lui le ama, proprio alla stessa maniera che per
la fede vediamo lui e tutte le cose come lui le vede.
Ne segue che il fervore della nostra carità dipende dalla vigoria della nostra fede. Nella misura
in cui noi vediamo le cose come Dio le vede, possiamo amarle come Dio le ama, facendo nostri gli
oggetti, i motivi, le inclinazioni del suo amore creatore.
Che bellezza! Per mezzo della fede e della carità noi riceviamo la vita di Dio, la vita della
conoscenza e dell’amore di Dio. Tra gli uomini si reputa fortunato chi può venire a contatto con
una grande mente e con un gran cuore per ricavarne la luce e il calore. Che dire del contatto con
Dio per mezzo della fede e della carità?
È questo contatto vitale con Dio che ci può fare felici, veramente felici anche qui sulla terra, in
mezzo alle pene della vita.
“Chi crede nel Figlio – dice Gesù – ha la vita eterna…” (Gv 3, 36). La fede e la carità, come
abbiamo detto, sono la vita divina, la vita eterna. Ma esse sono vita in atto, cioè attività divina che,
come ogni attività esigono un loro principio vitale. In noi uomini, la conoscenza e l’amore, a livello
naturale esigono il loro principio vitale che è l’anima, procedono dall’anima. Ugualmente a livello
soprannaturale la fede e la carità esigono il loro proporzionato principio vitale che è la grazia
santificante, detta anch’essa vita divina.
Che cos’è la grazia santificante?
È una qualità spirituale, soprannaturale, creata, inerente all’anima nostra, simile alla luce il cui
splendore, come avvolgendo e penetrando l’anima ne cancella le macchie dei peccati e le comunica
la divina bellezza e la divina virtù, la vita divina.
La grazia santificante è come l’anima dell’anima nostra. Il corpo umano senz’anima è morto,
l’anima senza la grazia santificante è spiritualmente morta. Perché il peccato grave si dice
mortale? Proprio perché priva l’anima della sua vita che è la vita divina, la vita della grazia.
Diciamo anche che la grazia santificante è la partecipazione della natura divina. La natura di
un essere è infatti il suo principio di attività. E se la grazia, come abbiamo detto, è in noi il
principio dell’attività divina, è chiaro che ci rende, come dice S. Pietro “…partecipi della natura
divina…” (2 Pt 1, 4).
E fatti partecipi della natura divina è chiaro che ci possiamo dire veri figli di Dio, poiché è vero
figlio di un altro chi da lui ne deriva la natura.
Diventiamo figli di Dio, non per essenza, come lo è Gesù, Dio uguale al Padre, ma figli di Dio
per grazia, per partecipazione o, come si dice pure, per adozione, figli adottivi.
È da notare però che si tratta qui di un’adozione totalmente diversa da quella che si pratica tra
gli uomini. Questa non cambia nulla nell’adottato, mentre l’adozione divina ci cambia
interiormente, ci assimila a Dio, ci divinizza.
Pensate al ferro, nel fuoco, che si riscalda e diventa incandescente, lo diciamo infuocato,
partecipe della natura del fuoco. Così colui che è in grazia viene assimilato a Dio, diventa
partecipe della sua natura, non è Dio ma è divinizzato.
Ecco il mistero del Cristo continuato nel mistero del cristiano, ecco il mistero del cristiano: il
Figlio naturale di Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse figlio adottivo di Dio, partecipe
della sua vita divina, della grazia.
Oh la bellezza di un’anima in grazia, la bellezza di un figlio di Dio!
“La sua perfezione sorpassa tutto il bene sparso nell’universo” (San Tommaso
d’Aquino).
Se tutti i cristiani capissero bene che cosa significa essere in grazia, essere figli di Dio! Essi
sarebbero disposti a perdere tutto pur di non commettere un peccato e perdere la grazia. Questa è
stata la logica di milioni di martiri, memori della parola di Gesù. “Perché chi vorrà salvare la
propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Mc
8, 35).
Luisa di Francia, figlia di Luigi XV, in un impeto di collera disse un giorno alla sua governante:
“dimenticate che sono figlia del Vostro Re?”. E l’altra, che era una brava cristiana replicò subito:
“E voi dimenticate che sono la figlia del vostro Dio?”.
Che dignità, che fierezza e che verità!
Noi pensiamo grande un sovrano, uno scienziato, un filosofo, un astronauta ma nulla è
paragonabile alla grandezza di un figlio di Dio, di un’anima in grazia!
Un bambino è portato in chiesa per essere battezzato… un peccatore si confessa umilmente, si
pente sinceramente e riceve l’assoluzione dei peccati. Tutti e due ricevono la grazia di Dio, la vita
divina, la vita eterna.
Ecco il mistero del cristiano, è il mistero della grazia, della vita divina, dell’adozione a figlio di
Dio. È un mistero, ma è la verità che abbiamo appreso dalla bocca di Gesù, dalla bocca di Dio. È
un mistero, ma è la buona novella, è il vangelo, e chi non conosce questo, non conosce niente del
cristianesimo.
“Voi dunque - disse Gesù - pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo
nome (Mt 6, 9). Ma per chiamare Dio come Padre ed entrare nel regno dei cieli dovete rinascere,
aggiunse Gesù, dovete diventare veri figli di Dio. Lo disse a Nicodemo in questi termini: “…In
verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio” (Gv 3, 3).
Nicodemo si meravigliò di questa affermazione, e con un sapore di spontaneità tutta particolare
domandò: “…Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta
nel grembo di sua madre e rinascere?” (Gv 3, 4).
E Gesù gli rispose: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, (cioè per
il battesimo, per la grazia) non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e
quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto.”
(Gv 3, 5-7). Replicò Nicodemo: “…come può accadere questo?” (Gv 3, 9). Gli rispose Gesù: “Tu
sei maestro in Israele e non sai queste cose?” (Gv 3, 10).
Noi siamo cristiani e dobbiamo sapere que-ste cose. Già siamo rinati a suo tempo per il
Battesimo e siamo diventati, per grazia, figli di Dio. Ma lo siamo ancora? Conserviamo il grande
dono della grazia? Non abbiamo bisogno di convertirci e rinascere?
Papini, il grande scrittore cattolico dell’inizio del secolo scorso, nel suo ultimo libro, scritto
poco prima della sua morte, e pubblicato postumo dalla editrice Vallecchi, parla della sua
conversione come della sua seconda nascita. È proprio questo il titolo del libro. Ivi racconta che,
partecipando alla Prima Comunione delle due sue figliole, nella cappella delle Suore Dome-nicane
a Firenze, trovò sulle panche un libro. Lo prese, lo aprì a caso, e vi lesse queste parole del Credo:
“Credo in un solo Signore Gesù Cristo… Dio da Dio, luce da luce…”. Si fermò a riflettere e poi
disse: “Luce da luce”, come è bella questa definizione del Cristo! E subito annotò: “Ma allora
l’anima mia era spenta, nera, notturna”.
Fermiamoci qui e riflettiamo: com’è in questo momento la nostra anima? È in grazia di Dio,
risplende della luce di Dio? Possiamo dirci, come vuole il Vangelo, figli di Dio, figli della luce,
realizzando così il mistero del cristiano?
Che la nostra anima non sia mai spenta, nera notturna! Che se lo fosse non rimanga tale, che si
converta con una conversione radicale così da rinascere e risplendere della luce vera in Cristo
Gesù.
III

IL MISTERO DEL
CRISTIANESIMO

Cominciamo con la lettura di una pagina del Vangelo di San Giovanni:


“Doveva (Gesù) perciò attraversare la Samaria. Giunse pertanto ad una città della Samaria
chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe, suo figlio: qui c’era il pozzo
di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.
Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi
discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: «Come mai
tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non
mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e
chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato
acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo;
da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci
diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?».
Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io
gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che
zampilla per la vita eterna». «Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia
più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi
ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”;
infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli
replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta (e voleva dire: “Poiché solo un profeta può
leggere, come fai tu, nel fondo dei cuori”). I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e
voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare»… In quel momento giunsero i suoi
discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. …La donna intanto lasciò la
brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che
ho fatto. Che sia forse il Messia?»” (Gv 4, 4-30).
Termino qui questa lunga citazione del Vangelo, con questo interrogativo della donna
samaritana: (Gesù) “mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” (Gv 4, 29).
Sì, certamente, noi lo sappiamo e l’abbiamo precedentemente provato: Gesù è il Cristo, il Figlio
di Dio vivo, e anche qui ci fermeremo a contemplarlo, a studiarne la divina figura per scoprire in
lui nuova luce, e per confermarci sempre più nella fede. Questa nuova luce sta nella sua virtù
profetica.

1. La virtù profetica di Gesù – il grande profeta del Nuovo Testamento


Stretti intorno a lui, gli Apostoli nel cenacolo, poco prima dell’imminente passione, gli dice-
vano: (Maestro) “Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per
questo crediamo che sei uscito da Dio” (Gv 16, 30).
Gesù sa tutto, le cose più occulte, gli intimi segreti della coscienza, ed anche il futuro. E se
prima lo abbiamo visto come oggetto delle profezie del Vecchio Testamento, qui lo vogliamo
contemplare come il grande Profeta del Nuovo Testamento, così come i profeti antichi lo avevano
annunziato. Trattando dei suoi miracoli lo abbiamo visto come dominatore della natura tutta, ora
lo vedremo come dominatore del tempo.
Che cosa predisse Gesù che poi si è verificato alla lettera e lo dimostra vero profeta, grande
profeta, degno della fede più assoluta?

2. Profezie di Gesù sulla sua persona


Riguardo a se stesso Gesù predisse, fin nei minimi particolari, i fatti della sua passione, morte e
resurrezione: Giuda lo avrebbe tradito (cfr. Mt 26, 21-25).
Gli altri discepoli lo avrebbero abbandonato fuggendo nel momento del pericolo (cfr. Mt
26, 56).
Pietro capo degli Apostoli lo avrebbe rinnegato tre volte prima del canto del gallo (cfr. Mt 26,
69-75).
E poi egli, Gesù, sarebbe stato arrestato, con-segnato ai principi dei sacerdoti che lo avrebbero
condannato a morte, lo avrebbero insultato, gli avrebbero sputato in faccia, lo avrebbero fla-
gellato e lo avrebbero fatto morire in croce. E a corona di tutto ciò Gesù predisse la sua
risurrezione: il terzo giorno risorgerò (cfr. Mt 20, 17-19).
Tutto annunziato dettagliatamente, con tanti altri particolari, prima del compimento, prima del
fatto.

3. Profezie su Gerusalemme, il tempio e il popolo ebreo


Come castigo della passione e morte che il suo popolo gli preparava, Gesù predisse la prossima
distruzione del tempio e della città santa, Gerusalemme, in un tempo in cui le circostanze
lasciavano pensare altrimenti.
“Verranno giorni - disse un giorno ai suoi Apostoli che gli mostrarono ammirati la magnificenza
del tempio - in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra” (Lc 21, 6).
E avvicinandosi un’altra volta a Gerusalem-me, guardandola pianse sulla sua prossima sorte e
disse: “Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: Se avessi compreso anche
tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per
te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte;
abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai
riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19, 41-44).
“In verità - disse poi agli Apostoli che gli chiedevano il tempo di questi avvenimenti - In verità vi
dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada. Il cielo e la terra passeranno,
ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 34-35).
Con la distruzione di Gerusalemme Gesù predisse le sorti del popolo ebreo, che quel popolo in
parte sarebbe rimasto ucciso, ed il resto disperso presso tutte le genti, e rimasto così disperso fino
al compimento della predicazione del Vangelo in tutto il mondo (cfr. Lc 21, 20-24).
Chi non conosce, non dico soltanto la totale distruzione della città santa e del tempio nell’anno
settanta, ma anche la storia del popolo ebreo pellegrino errante in tutto il mondo durante questi
venti secoli di cristianesimo fino ai nostri giorni?

4. Profezie di Gesù sulla sua Chiesa


Gesù predisse inoltre tutto l’avvenire della sua Chiesa da lui fondata per continuare quaggiù la
sua missione di Dottore e di Redentore, una Chiesa visibile, unica, sotto l’autorità degli Apostoli
con Pietro e i loro successori.
Quindi disse agli Apostoli:
“Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo insegnando loro ad osservare
tutto ciò che io vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt
28, 16-20). “Chi ascolta voi, ascolta me: chi disprezza voi, disprezza me. E chi disprezza me,
disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10, 16).
“…«Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo,
alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi
non li rimetterete, resteranno non rimessi»” (Gv 20, 21-23).
“In verità vi dico: Quanto legherete sulla terra, sarà legato in cielo: e quanto scioglierete sulla
terra, sarà sciolto in cielo” (Mt 18,18).
E affinché la sua Chiesa fosse “un solo ovile sotto un solo pastore”, Gesù promise, e poi conferì
l’ufficio di capo supremo della Chiesa all’apostolo Pietro.
Pietro aveva riconosciuto la dignità mes-sianica e la divinità di Gesù dicendogli: “Tu sei il
Cristo, il Figlio di Dio vivente”. E Gesù disse a lui: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la
carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e
su questa Pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te
darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò
che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16, 15-19).
Dopo la sua risurrezione Gesù mantenne la promessa e disse a Pietro: “...«Pasci i miei agnelli»
…«Pasci le mie pecorelle» …«Pasci le mie pecorelle»” (Gv 21, 15-17). Pietro veniva così co-
stituito supremo pastore della Chiesa.
Certamente desta meraviglia che Gesù, a persone così umili, illetterati e in gran parte pescatori,
abbia affidato compiti così difficili e sublimi, i poteri di insegnare, santificare e reggere i suoi
fedeli in tutta la Chiesa. Eppure egli, sfidando il futuro previsto difficile, come a predire l’efficacia
dei loro ministeri, il successo della loro predicazione, così disse loro quando li incontrò la prima
volta e li invitò a seguirlo: “…Seguitemi, vi farò pescatori di uomini” (Mt 4, 19). Dopo la pesca
miracolosa disse a Simon Pietro: “…Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5, 10).
Com’è divina questa profezia! Tanto più meravigliosa quanto più semplice e categorica. Si vede
bene che Gesù parlando così ha chiarissimamente presente tutto l’avvenire della Chiesa.
La Chiesa sorta da così umili inizi sarebbe stata come il granello di senape, piccolissimo seme,
ma che a poco a poco si sviluppa fino a diventare un grande albero (cfr. Mc 4, 30-32). Destinata
infatti a tutte le genti, si propagherà progressivamente su tutta la terra. Il Vangelo sarà predicato
in tutto il mondo, e molti verranno dall’oriente e dall’occidente per partecipare ai beni messianici e
divini (cfr. Mc 16, 15-16; Mt 28, 18-20). Tutto ciò è predetto nonostante che Gesù sappia la sua
fine ignominiosa sulla croce.
La Chiesa sarà un regno di santità, come il buon lievito che deve fermentare poco a poco tutta la
massa; ma sarà pure come un campo di frumento in cui cresce anche la zizzania, come una rete che
accoglie in se i pesci buoni e cattivi (Mt 13, 24-51). Nella Chiesa quindi ci saranno sempre buoni e
cattivi, santi e peccatori. Non mancheranno falsi cristi e falsi profeti che cercheranno di indurre in
errore anche gli eletti. Non mancheranno scandali, scismi ed eresie tra i seguaci del suo Vangelo
(cfr. Mt 24, 21-26; Lc 21, 12-19).
La Chiesa subirà odio, persecuzione e martirio nei suoi figli, ma questi non avranno nulla da
temere, perché Gesù sarà con loro tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli (cfr. Mt 10, 16-
42; Gv 15, 18-27).
Le potenze del male muoveranno una guerra continua e spietata contro la Chiesa, ma non
potranno prevalere, poiché la Chiesa è come una casa fabbricata sulla roccia. E la roccia è Pietro,
il capo degli Apostoli, a cui (come già qui sopra è stato detto) predisse con la indistrut-tibilità e
perennità della Chiesa, la perennità del suo primato (cfr. Mt 16, 16-19). La Chiesa sarà sempre
combattuta, ma anche sempre vittoriosa, sempre debole, ma sempre forte.
Agli altri Apostoli Gesù predisse che avrebbero fatto miracoli come lui e più di lui (cfr. Gv 14,
12).
Ometto qui tanti altri particolari delle predizioni di Gesù, ma per ultimo mi piace ricordare la
glorificazione di Maria Maddalena. Di lei che aveva sparso il profumo in suo onore disse:
“Dovunque sarà predicato il mio Vangelo, in tutto il mondo, si dirà quello che questa donna ha fatto
a me” (Mt 26, 13).
Anche qui, che semplicità di annunzio, che sicurezza, e poi che grandiosità di
realizzazione! Poiché il Vangelo si legge e si proclama dovunque, in tutto il mondo.
5. Valore delle profezie di Gesù
Come vedete, non si tratta qui solamente di qualche predizione casuale e semplice, si tratta della
storia di due popoli, del popolo ebreo e del popolo cristiano, predetta con una moltitudine di
particolari dei quali non tutti sono stati qui ricordati.
E tutto si è finora realizzato senza possibilità di smentita, tutto si va realizzando oggi sotto i
nostri occhi.
Com’è meraviglioso, grandioso questo accordo tra le predizioni e le realizzazioni!
Non vi pare questo fatto veramente straordinario, inaudito, umanamente inspiegabile? Si tratta
del futuro libero, complesso, dipendente dalla volontà di moltissimi uomini, di intere popolazioni, e
si tratta anche di un futuro che dipende esclusivamente dalla libera volontà di Dio, come ad
esempio la risurrezione e l’ascensione di Gesù, la discesa dello Spirito Santo, il compimento di
miracoli da parte dei discepoli.
Solo Dio può conoscere tale futuro. Solo Dio a cui tutto è presente e per cui nulla c’è di passato
o di futuro. Qui il soprannaturale, il miracolo è evidentissimo.
E per conseguenza Gesù, che conosce il futuro come fosse presente e lo annunzia con certezza
“il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 35) questo Gesù è un vero
profeta, un grande profeta dominatore del tempo.
La sua voce è la voce di Dio e merita fede, fede divina, fede assoluta.
La ragione dunque per diverse vie, e quelle fin qui esposte non sono le sole, ci conduce alla
fede. La fede diventa per noi esigenza di ragione.
Anche noi, dopo quanto abbiamo detto, siamo più pronti a dire, come gli Apostoli: “Ora
conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che qualcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei
uscito da Dio” (Gv 16, 30).
Ci mettiamo dunque di nuovo in ascolto per continuare ad apprendere da lui i divini mi- steri.
6. Il mistero del Cristo e del cristiano continua nel mistero del cristianesimo
Nella prima catechesi ci siamo fermati ad ascoltare la rivelazione del Mistero del Cristo, il
Mistero dell’Uomo-Dio: “Io, io che ti parlo, non sono soltanto il figlio di Maria, disse Gesù, io
sono il Figlio Unigenito del Padre, io e il Padre siamo una cosa sola (un solo Dio)” (cfr. Gv 3, 16-
18; 10, 30).
Nella seconda catechesi abbiamo ascoltato e contemplato il Mistero del Cristiano come
continuazione del Mistero del Cristo. Infatti il Figlio naturale di Dio si è fatto uomo perché l’uomo
diventasse figlio adottivo di Dio, figlio di Dio per grazia, vivente di questa grazia che è la
partecipazione della vita divina, della natura divina, della vita eterna.
È stato detto tutto del Mistero del Cristo e del Mistero del Cristiano? Non ancora. Per la piena
conoscenza di questi due misteri dobbiamo stare ancora in ascolto ed apprendere dalla bocca di
Gesù un terzo mistero: il Mistero del Cristianesimo.
Ecco, parla Gesù, ascoltiamo: “Io sono la vera vite, - dice Gesù - e il Padre mio è il vignaiolo.
Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti
più frutto. … Rimanete in me e Io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non
rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in
me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene
gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano” (Gv
15, 1-6).
Sotto questa metafora, semplice immagine della vite e dei tralci, ci viene presentata la realtà
soprannaturale dell’unione dei cristiani con Cristo e tra di loro, unione assolutamente necessaria
perché essi ricevano la vita divina della grazia, e così uniti vitalmente con Gesù, Figlio naturale di
Dio, diventino anch’essi, per grazia, per adozione, figli di Dio.
Attenti a questa unione di Gesù Cristo, del cristiano e dei cristiani, poiché è proprio in questa
unione tutto il mistero del Cristianesimo. Uniti singolarmente a Gesù i cristiani diventano anche
uniti tra di loro e formano un tutt’uno vivente. Proprio in questa unione vivente il mistero del
Cristo e del cristiano diventano il mistero del Cristianesimo, della Chiesa.
Il Cristianesimo infatti non è altro che la Chiesa, il regno di Dio, la società dei veri cristiani, un
regno come gli altri regni, una società come le altre società.
Che cosa è il regno, la società se non l’unione morale e stabile di molti uomini che tendono ad
un fine comune, con mezzi comuni, sotto una comune autorità?
Realizzando in sé questa definizione della società, possiamo dire che la Chiesa è una
società come le altre società. E fin qui nulla di misterioso.
Ma è proprio qui che comincia il mistero, il mistero del Cristianesimo, il mistero della Chiesa.
Poiché, come abbiamo detto che Gesù è un uomo, vero uomo, ma è più che uomo, è l’Uomo-Dio; e
come abbiamo detto che il cristiano è un uomo, vero uomo, ma è più che uomo, è l’uomo
divinizzato; ora diciamo che la Chiesa è una società come le altre società, ma ha in più qualche
cosa che le altre società non hanno. Infatti:
- la Chiesa non ha soltanto un capo supremo visibile, il successore di Pietro, ma anche un capo
invisibile, Gesù, l’immortale ed invisibile Re dei secoli;
- essa, la Chiesa, non è soltanto una unione morale, di molti uomini uniti tra di loro e col capo per
mezzo di vincoli morali e giuridici (diritti e doveri);
- essa, la Chiesa, è anche e soprattutto una unione vitale, notate il termine: unione vitale dei
cristiani con Gesù e tra di loro;
- i cristiani sono figli di Dio perché possiedono la vita divina della grazia, e questa vita fluisce in
loro dal Capo, da Gesù, come, secondo la citata metafora, la vita dei tralci discende dal tronco
della vite. Come il tralcio non può concepirsi vivo se non sia unito al tronco della vite, così la vita
divina dei cristiani è strettamente legata alla loro unione con Gesù e tra di loro. Io sono la vite -
disse Gesù - e voi i tralci. Chi non rimarrà unito a me sarà come il tralcio staccato dal tronco
della vite, seccherà e non sarà buono che ad essere bruciato (cfr. Gv 15, 1-6).
È una immagine, qualcosa di sensibile che serve a farci capire la realtà soprasensibile. Gesù
conosce bene la nostra natura, sa che conosciamo lo spirituale attraverso il sensibile e vi si adatta
divinamente.
San Paolo segue il suo esempio e ci presenta la stessa dottrina con un’altra
immagine, un’altra metafora, eccola:
- l’unione di noi cristiani con Cristo, è simile alla unione del capo col corpo nell’essere fisico
dell’uomo. Uniti vitalmente con Cristo per mezzo della grazia, noi diventiamo con lui come un
uomo nuovo, una creazione nuova;
- noi siamo le membra del Cristo, le parti organiche di un tutto di cui Cristo è il capo che influisce
vitalmente in tutto il corpo. Sì noi, cioè la Chiesa, tutti i credenti, siamo veramente le membra del
Cristo, egli è il nostro capo, noi il suo corpo e riceviamo da lui la vita divina della grazia, e così
con lui vitalmente uniti, formiamo un tutt’uno vivente;
- le membra di questo corpo non hanno tutte lo stesso compito, la stessa funzione, lo stesso ufficio.
Come nel corpo fisico dell’uomo, non tutte le membra sono occhio, o bocca, o piede, così nel
Corpo di Cristo che è la Chiesa, non tutti sono apostoli, o evangelisti, o dottori, o ministri. C’è
chi insegna, c’è chi ascolta, c’è chi dirige e c’è chi ubbidisce, c’è chi amministra le cose sante e
c’è chi le riceve. Ma in tutti è il medesimo Gesù Cristo vivente ed operante.
Nell’amministrazione dei sacramenti i sacerdoti pongono il segno sensibile istituito da Gesù
Cristo, pongono la materia (per esempio: l’acqua nel battesimo, il pane ed il vino nella eucaristia)
e la forma, cioé le parole pronunziate “Io ti battezzo” … nel battesimo, e “Questo è il mio corpo”
… nella eucaristia, con l’intenzione di fare quello che intende Cristo. Ma è Gesù, lì presente, che
dà la vita della grazia per mezzo di quei segni esterni. Il sacerdote gli serve di semplice strumento.
È Gesù che vivifica le anime. Ed ogni vero credente con l’occhio della fede vede lì Gesù vivente ed
operante per mezzo del suo sacerdote.
Ma per la stessa ragione, quando io vedo il più piccolo dei miei fratelli che ascolta, che riceve i
sacramenti, il più povero, il più colpito dal dolore, io non vedo semplicemente un uomo, ma con la
fede, con l’occhio di Dio io vedo Gesù Cristo in lui: Gesù Cristo umile, povero, sofferente.
Anch’egli, quel povero, quel sofferente è il membro del Corpo di Cristo, e forma con Cristo una
cosa sola.
Se voglio bene a questo mio fratello, se gli faccio del bene, ciò è fatto a Cristo, come se gli
faccio del male, se lo perseguito, faccio tutto ciò a Cristo. E ciò dimostra la stretta unione che
esiste tra Cristo e i cristiani, tra il capo e le membra, tra Cristo e la Chiesa. Tutti formiamo una
cosa sola in Cristo Gesù, un tutto vivente della stessa vita divina.

7. La Chiesa “Corpo Mistico”


Certo i cristiani conservano la loro personalità distinta dalla personalità di Cristo, il loro essere
fisico distinto dall’essere fisico di Cristo, ma la loro unione con Cristo e tra di loro è più che
morale (fatta solo di diritti e doveri), è più stretta che nelle altre società naturali. Oltre ai vincoli
morali e giuridici (diritti e doveri), c’è nella Chiesa la grazia soprannaturale, la vita divina che dal
Capo Cristo fluisce nella membra, da Cristo nei cristiani.
Questa unione tutta speciale, che non è perfettamente fisica, né solo morale, ma vitale, unione
vitale, si suole chiamare anche mistica, unione mistica (misteriosa), in quanto risulta dal mistero
della grazia. E il corpo sociale che ne deriva si suol chiamare “Corpo mistico”. Ad indicare poi
insieme il capo e il corpo, Cristo e i cristiani, si suole dire anche il Cristo Mistico, il Cristo Totale.
È questa la magnifica unità voluta da Cristo e per cui egli pregava: “…Padre santo, custodisci
nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola…” (Gv 17, 11).
Questa unità vivente della vita divina di Cristo è il mistero della Chiesa, il mistero del
cristianesimo, continuazione del mistero di Cristo e del mistero del cristiano.

8. La necessità della Chiesa per la salvezza


Bisogna far parte di questa unità, essere membri della Chiesa per essere santi, figli di Dio,
viventi della vita di grazia così da potersi salvare. Chi “colpevolmente rifiuta di fare parte della
Chiesa non può salvarsi”4. Per lui, fuori della Chiesa, non c’è salvezza (cfr. LG 14).
Ma, attenti, ciò non significa che tutti i cristiani, seguaci di Cristo e membri della Chiesa per ciò
stesso siano santi e giusti e si salvino. Così dovrebbe essere secondo l’intenzione di Cristo e della
Chiesa (tutti santi, tutti viventi nella grazia e nell’amore di Dio). Ma i cristiani come tali non
perdono il dono della libertà, e quindi insieme con la possibilità di provare a Gesù la loro fedeltà,
il loro amore, conservano pure la triste possibilità di peccare. Essi devono combattere il male per
mantenersi fedeli e non peccare. E per questa esigenza, che è in tutti, la Chiesa qui sulla terra viene
detta Chiesa militante. Chi non combatte è vinto.
Molti di fatto non combattono, si lasciano vincere dal male, peccano, peccano anche
mortalmente così da rompere il vitale contatto con Gesù, perdono la grazia di Dio. Il peccato
mortale costituisce il taglio, la rottura tra il cristiano e Gesù. Si tratta spesso di una rottura
interna, di un peccato occulto. Esternamente il cristiano peccatore continua a professarsi e vivere
da cristiano, forse è stimato un galantuomo, come si dice, ma la vita divina non c’è più, quel tale
sembra vivo, ma è spiritualmente morto.
Quanti cristiani che sembrano vivi, ma non hanno la grazia di Dio e sono morti!
Ritornando alla immagine della vite e del corpo umano: la vite non ha spesso qualche tralcio
secco ancora attaccato al tronco? Esso non riceve più linfa vitale. Il corpo umano non può trovarsi
con un braccio paralizzato, atrofizzato, non più sotto l’influsso vitale dell’anima? Certo, anche
questo suole avvenire.
Ebbene, quello che è il tralcio secco nella vite, quello che è il braccio paralizzato nel corpo
umano, ciò è il peccatore nella Chiesa.
La vita di Gesù circola in tutto il corpo della Chiesa, ma si arresta dinanzi al peccatore. Povero
infelice! Egli è nel regno della vita e dorme il sonno della morte.
Non vi meravigliate della presenza dei peccatori nella Chiesa. Gesù la previde e la predisse
quando annunziò la Chiesa come un campo in cui crescono insieme grano e zizzania (cfr. Mt 13,
24-30).
Auguro a tutti di essere buon grano e non zizzania nella santa Chiesa!
Dopo quanto è stato detto nella prima catechesi sul mistero del Cristo, nella seconda sul mistero
del Cristiano, e in questa terza sul mistero del cristianesimo, si capisce meglio la gravità del
peccato.
Anzitutto come rifiuto del grande dono di Dio: la grazia, la vita divina che ci fa figli di Dio ed
eredi del cielo, uomini divinizzati. Questo rifiuto, come offesa della maestà di Dio infinitamente
buono e benefico, è il primo e principale motivo per cui si deve odiare e aborrire il peccato.
Secondo motivo è il gravissimo male che ne deriva a chi pecca: la perdita dello stesso dono
divino, cioè la grazia, che costituisce la nostra più grande ricchezza. Perciò leggiamo nel Salmo
62, al versetto 4: “Poiché la tua grazia vale più della vita…”.
Qualcuno potrebbe dire: Se la grazia è un dono di Dio, io ci rinunzio, io non voglio vivere da
figlio di Dio, faccio a meno della vita divina, mi basta vivere da semplice uomo. No, ciò non può
essere. Chi non vive da figlio di Dio, nel presente ordine di Provvidenza, non vive neppure da
uomo, perché non vivrebbe secondo ragione.
La fede, e ciò che ne segue, dopo la divina rivelazione è ormai una esigenza di ragione. Rimane
un atto fisicamente libero, ma moralmente obbligatorio. Non si può essere uomini ragionevoli e
onesti se non accettando di essere cristiani. Gesù disse agli Apostoli: “…Andate in tutto il mondo e
predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà
sarà condannato” (Mc 16, 15-16). Ciò significa che la fede e la vita di fede è un dono che non si può
rifiutare, lo esige la ragione, lo esige la esplicita volontà di Dio che di questo dono, fino al suo
finale svolgimento, che è l’immortale beatitudine, fa lo scopo ultimo e unico della nostra vita.
Per vivere quindi da uomo ragionevole bisogna vivere da cristiano. Non c’è vero umanesimo se
non l’umanesimo cristiano. E l’uomo più ragionevole e più umano è colui che più si dà, nella fede e
nell’amore a Cristo Gesù.
Io ho finito, e mi sembra di aver mantenuto l’impegno preso con voi all’inizio di queste
catechesi: l’impegno di dirvi la verità. Io l’ho detta la verità, essa ha un solo nome: Gesù (il
Cristo).
Egli si presentò e ancora oggi si presenta al mondo con questa colossale affermazione: ...“Io
sono la via, la verità e la vita...” (Gv 14, 6) “…Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel
mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,
37).
Volete sapere, vogliamo sapere se siamo dalla parte della verità, se camminiamo
nella verità? Apriamo e leggiamo il Vangelo, e Gesù ce lo farà sapere. Tutto ciò che
concorda con Lui è verità, tutto ciò che lo contraddice è falsità. Non c’è alternativa
alcuna alla verità di Gesù, come non c’è alternativa alcuna alla verità che due più due
fa quattro.
IV

L’ALDILÀ E LA
RISURREZIONE DEI CORPI

Primordiale bisogno dell’uomo: La cer-tezza dell’aldilà


Il Mistero del Cristo, del Cristiano e del Cristianesimo ha il suo epilogo e coronamento nel
mistero della salvezza eterna, della felicità eterna. Non solo dell’anima ma anche del corpo, poiché
Gesù Cristo è venuto a salvare tutto l’uomo, anima e corpo. È quindi chiaro che la trattazione
dell’aldilà e della resurrezione dei corpi è in stretta relazione con quanto finora è stato detto. E
bisogna parlarne, anche perché molta ignoranza e molti errori si notano in proposito.
Tempo fa il settimanale “Oggi” pubblicò questo fatto veramente sorprendente: L’arcivescovo
cattolico di S. Francisco, in California, Joseph Tomas McGucken è stato citato in giudizio da un
cittadino americano per una causa che forse non ha precedenti nella storia. Il presule infatti è
chiamato a precisare se esistano e dove si trovino esattamente il Paradiso e l’Inferno.
Il motivo di questa citazione in giudizio è semplice: un tale, David Supple, morendo aveva
lasciato alla Chiesa tutto il suo patrimonio, valutato oltre cento milioni di dollari, e il suddetto
americano, che è uno degli eredi rimasto “a bocca asciutta”, intenta la causa alla massima
autorità ecclesiastica californiana accusando la Chiesa di aver promesso al defunto “un posto in
cielo”.
Questa accusa, dice l’articolista, non è sostenuta dalla minima prova, nessuna promessa
ultraterrena è stata fatta, ma l’avvocato Hallman, che ha formulato l’accusa, lascia sperar bene al
suo cliente, poiché – afferma – che non esistono né Paradiso né inferno, e anche se ci fossero la
Chiesa non sa dove siano situati.
Che ve ne pare? Ecco, questo strano episodio ci pone subito di fronte al problema dell’aldilà:
dopo questa vita ce n’è un’altra? E se c’è, quale sarà in essa la nostra sorte?
1. Esiste un aldilà dopo la morte?
Quattro diversi atteggiamenti possono e sogliono prendere gli uomini di fronte a tale problema.
1. Atteggiamento di negazione.
L’uomo, dicono alcuni, finisce tutto con la morte. Dopo la morte egli rientra e si annulla nel tutto
materia (materialisti e sensisti), o si annulla nella vita della realtà universale (panteisti e
idealisti), o si annulla nel susseguirsi di altri atti, percezioni, fenomeni umani (energetisti,
fenomenisti). Insomma, tutti questi sono d’accordo nel dire che l’uomo con la morte finisce del
tutto, si annulla e non esiste un aldilà.
2. C’è poi l’atteggiamento del dubbio.
Nessuno, dicono altri, nessuno può sapere con certezza se dopo la morte c’è un altro mondo,
un’altra vita; nessuno dopo la morte è venuto mai dall’aldilà. La realtà per costoro è solo quella
controllata dall’esperienza diretta. Sono i positivisti. Esistenza ed immortalità dell’anima
sarebbero al più, come afferma Kant, un postulato di ordine pratico, ma la ragione teoretica non
può darci alcuna certezza. Quindi è meglio non pensarci. Si rimane nel dubbio.
3. E c’è anche l’atteggiamento di indifferenza.
Per alcuni è solo pratica, ma da altri viene eretta a sistema. “Pensiamo a vivere oggi, si dice,
che ci importa del domani?” L’interesse del futuro, il pensiero dell’aldilà, ci distraggono dal
presente, ci turbano, non ci pensiamo.
4. In ultimo c’è l’atteggiamento della affermazione.
È di quelli che scoprono in se stessi il desiderio dell’immortalità e le ragioni efficaci per
ritenerla come certa. La ragione della certezza assoluta ed ultima dell’aldilà la trovano però
nella fede.

2. La ragione respinge la negazione, il dubbio, l’indifferenza


Di fronte a questi quattro atteggiamenti diciamo: chi ha ragione? Non di certo i materialisti. Il
materialismo si esclude non appena si pone il problema dello spirito. Non potremmo neppure avere
l’idea di materia contraddistinta dallo spirito se tutto fosse materia. La bestia non si pone il
problema della materia e dello spirito, non si pone problema alcuno.
E non hanno certo ragione i panteisti ed i fenomenisti. Non i primi perché è di immediata
esperienza il nostro “io”, che per i suoi caratteri di limite e di contingenza non si può confondere
con Dio; e per il suo carattere di stabilità, come soggetto di un avvicendarsi di fenomeni non si può
confondere neppure con questi stessi fenomeni.
Ogni uomo di mente sana comprende di non essere l’Assoluto, di non essere Dio; e comprende
anche di non essere un semplice avvicendarsi di fenomeni, ma di essere una persona che porta in
sé, col senso della defettibilità e della responsabilità anche il senso della stabilità e della
immortalità, ciò che faceva dire al poeta latino Orazio: “non omnis moriar”, io non muoio
interamente, dopo la morte continuerà a vivere il mio spirito, ci sarà quindi un aldilà dopo la
morte.
Tutto ciò sarà vero? Forse, dicono alcuni, ma non è certo. E si fermano nell’atteggiamento del
dubbio. Ad essi diciamo.
Il dubbio è comprensibile, poiché ci troviamo di fronte ad una realtà che sfugge al controllo
diretto dell’esperienza, ma questo dubbio non è ammissibile. Noi, nella vita individuale e sociale,
ammettiamo tante cose che sfuggono al controllo diretto dell’esperienza. Ciò avviene
continuamente in ciò che riguarda la fede ragionevole fondata su valide testimonianze. Perché
escludere ciò in quel che riguarda la vita futura? Di essa noi possiamo avere conoscenza certa
anche se indiretta. La massima parte delle nostre conoscenze sono indirette, anche in campo
scientifico, come ad esempio è per molti tutto ciò che riguarda la fisica atomica. Il dubbio quindi
non è ammissibile. Si può e si deve uscire dal dubbio, non ci si può adagiare in esso, rimanendo
indifferenti.
Arriviamo così a considerare il terzo atteggiamento di fronte al problema dell’aldilà,
l’atteggiamento di indifferenza. E diciamo subito che questo atteggiamento è irrazionale.
Si dice: “Che m’importa dell’aldilà, per ora penso al mondo di qua”. Ma, come, possiamo
essere indifferenti rispetto a ciò da cui dipende il valore e l’impostazione di tutta la vita? Se dopo
la morte non c’è più nulla, se non c’è vita futura, allora la vita presente dovrebbe avere un valore
assoluto. Ma come dare valore assoluto alla nostra vita se essa tende al nulla? Sarebbe l’assurdo.
Se poi c’è una vita futura, allora la vita presente non può concepirsi se non relativa al futuro,
dev’essere vista e vissuta nella prospettiva dell’aldilà, come chi cammina e corre, il quale fa tutto
nella prospettiva del traguardo da raggiungere. Sarebbe irrazionale fare diversamente.
Essere o non essere dopo la morte? Ecco il problema dinanzi a cui nessuno può dirsi
razionalmente indifferente. È il problema di suprema importanza, non si tratta di un caso
fantasioso, di una disquisizione filosofica, teorica, ma di un quesito spontaneo, naturale, vitale.
La più importante delle ricerche, la più importante indagine umana è quella intorno a Dio: se
esista o no un ente supremo distinto dal proprio “io”, un creatore che spieghi l’esistenza di tutte le
cose. La ricerca più importante, ho detto, ma la questione più interessante sul piano pratico-
psicologico è un’altra: se l’uomo abbia un’anima immortale, se dopo la morte ci sia un’altra vita.
Qui si tratta direttamente di noi stessi, della nostra realtà. Davanti al problema di Dio si resta
pensosi e riverenti, davanti al problema dell’anima e dell’aldilà si trema.
Dopo il nostro ultimo respiro che sarà di noi? Vivremo o non vivremo? Dove? Come?
Un problema dell’aldilà, dell’altra vita esiste dunque, molto se n’è discusso, e non è da persona
intelligente eluderlo con uno sbrigativo “non è vero niente, non ci voglio pensare”. Con ciò non si
risolve la questione né si annulla una eventuale realtà.
La sola supposizione che dopo questa vita ce ne sia un’altra è tale che, se per la risposta
affermativa ci fosse una probabilità su diecimila, la questione meriterebbe di essere seriamente
considerata.
Ma non si tratta di probabilità, no, poiché, la ragione, l’autorità di tutto il mondo civile e la fede
soprannaturale, cioè tutte le fonti sicure della verità, si accordano nel darci la certezza dell’aldilà.
Scienza e fede, fede naturale e fede soprannaturale si danno la mano.

3. Falsità dello slogan: “Nessuno è mai venuto dall’aldilà”


“Nessuno è mai venuto dall’altro mondo” si suol dire. Dunque, che ne segue? Fosse pure vero
che nessuno sia venuto dall’aldilà, non ne segue – come concludono i positivisti e gli scettici – non
ne segue che dell’aldilà non possiamo sapere nulla di certo e che l’altro mondo proprio non esista.
La ragione infatti dimostra e l’esperienza conferma, che possiamo avere e già abbiamo vera
certezza di tante cose di cui non abbiamo diretta immediata esperienza.
Ciò si verifica in tutto quello che conosciamo mediante la fede a persone che hanno visto, udito
e toccato quello che ci riferiscono, anche in campo scientifico.
Così pure avviene in tutto ciò che conosciamo indirettamente, per mezzo di strumenti lanciati
dall’uomo negli spazi astrali o nelle profondità abissali dell’oceano dove ancora nessuno è potuto
arrivare. Dai dati certi di quegli strumenti, per via di ragionamenti induttivi e deduttivi l’uomo
arriva a conoscenza certa, benché indiretta, di ciò che ancora non può conoscere direttamente.
Nella recente storia dell’astronomia possiamo ricordare che il pianeta Nettuno è stato scoperto
per via di ragionamenti su dati sperimentali molto tempo prima dell’osservazione diretta.
Simile processo si ha oggi nei sondaggi che si vanno facendo per conoscere le condizioni astrali
prima che l’uomo si lanci per i suoi viaggi spaziali, prima che vada a farvi esperienza diretta e poi
ritorni a dircene qualche cosa di più.
Dunque, dove ancora non si arriva direttamente coi sensi, si può arrivare per via di induzione e
deduzione con l’intelligenza, col ragionamento.
In ciò consiste precisamente la differenza tra l’uomo e l’animale: l’animale è chiuso nel cerchio
ristretto delle sue percezioni sensibili, senza mai poterne ricavare una nuova conoscenza.
L’intelligenza umana, al contrario, è in grado di uscire dal dominio dei sensi, di gettare ponti a
distanze indefinite e di lanciarsi alla conquista di quelle verità che sfuggono alla conoscenza
immediata, ma che sole sono capaci di dare un senso completo alla vita e al mondo.
La meta ultima di quei ponti sta oltre la terra: è il mondo dell’aldilà, è innanzitutto Dio.
Ma la meta intermedia è l’anima immortale, fatta, strutturata proprio per il mondo dell’aldilà.
Infatti, osservando e scrutando fin nelle sue profondità l’essere umano, noi arriviamo a conoscere
con certezza:
- che noi non siamo solo materia;
- che in noi sperimentiamo qualche cosa che supera, vivifica e dirige la materia: è il principio
vitale che chiamiamo anima;
- e osserviamo che quest’anima, essendo principio di azioni totalmente spirituali, per necessaria
conseguenza è veramente e perfettamente spirituale, e perché spirituale è anche immortale,
poiché lo spirito è incorruttibile.
Ecco la conclusione a cui si arriva con facile esperienza e semplice ragionamento: l’anima è
immortale, durerà sempre, va oltre la morte. E se il pagano Orazio arrivò a dire: “Io non muoio
interamente”, la cristiana Santa Teresa di Gesù Bambino, moribonda, ripeteva: “Io non muoio, io
entro nella vita”, nella vita eterna. Spinto dagli stessi sentimenti il poeta Giovanni Testore
confessa: “Sono un individuo che sempre s’interroga: Qual è il senso del mio essere nel mondo?
Perché sono nato con questo bisogno di eterno che non riesco mai a saziare? Perché devo
morire?”5. Si vede che il vero grande problema è qui: Sopravviveremo? Come?
È proprio dall’intima natura dell’anima, in quanto trascende i limiti angusti del mondo
sensibile, che sgorgano quei sentimenti e quei desideri che, perché sono naturali, rilevano il
termine a cui tendono: il mondo di là, l’eternità.
Ora, “un desiderio naturale non può essere vano”, dice S. Tommaso D’Aquino. Questa frase
profonda significa, non già che ogni desiderio naturale trovi sempre la sua soddisfazione, ma che
ad ogni desiderio naturale corrisponde un termine reale e non illusorio.
Il desiderio acuto di un’infinita felicità pur nella quotidiana esperienza del limite; il
presentimento certo di un futuro migliore pur tra la precarietà di tutte le cose; gli sforzi eroici del
genio e del santo pur tra l’opacità della materia in cui lo spirito umano s’incarna; la certezza di
una giustizia perfetta pur tra l’esperienza dolorosa delle ingiustizie più sfacciate: tutto questo sta
all’origine di profonde riflessioni che, attraverso passaggi logici legittimi ed indubitabili,
conducono l’uomo a concludere che quanto manca in questa vita sarà eredità dell’altra vita dopo
la morte. Naturalmente ciò si spera per chi vi si prepara convenientemente.
È lo stesso ordine universale ad esigerlo. Sarebbe infatti assurdo che l’uomo, sul quale
s’accentra tutto l’universo come sul suo massimo valore, fosse l’unica eccezione alla legge
finalistica alla cui attrazione tutto è sottoposto, e per la quale ogni cosa, nell’universo, riceve il suo
posto ed ha il suo valore.
Dopo tutte queste considerazioni diciamo: certo esiste nell’uomo un desiderio naturale,
universale, assoluto, insopprimibile della immortalità, della felicità, della giustizia. Ora: se questo
desiderio naturale di una vita immortale non si realizzasse, noi avremmo l’assurdo di un effetto
senza causa.
Posta dunque la tendenza all’immortalità, deve esistere l’immortalità. E dato che perfetta
felicità e perfetta giustizia non si raggiungono in questo mondo, come l’esperienza dimostra, il
desiderio naturale ed irresistibile della felicità e della giustizia esige che ci sia un’altra vita al di là
di questa, dove questo desiderio venga soddisfatto pòstene le premesse.
In altri termini: le supreme aspirazioni dell’uomo oltrepassano i limiti di questa terra ed
attendono la loro soddisfazione in un mondo di là. Dunque l’aldilà esiste se non vogliamo cadere
nell’assurdo di negare ogni senso alla vita umana ed all’universo intero.
4. Dalla voce della ragione all’autorità di tutti i popoli
Questa è la voce della ragione. E ad essa fa eco la voce di tutti i popoli, eco che raccogliamo sul
labbro dei principali esponenti del mondo antico. Ascoltiamo Platone il quale, nella sua opera
“Delle leggi”, II tomo, libro XII, seguendo le antiche tradizioni, dice che: “L’anima è totalmente
distinta dal corpo, costituisce il nostro ‘io’, ed è veramente immortale. Noi non crediamo -
soggiunge -, noi non crediamo che questa massa di carne che sotterriamo sia l’uomo, noi sappiamo
che quel figlio, quel fratello, quel parente che deponiamo nella tomba è realmente partito per un
altro paese, dopo aver terminato ciò che aveva da fare in questo”. E conclude: “Questo è certo.
Per negarlo bisogna aver perduto il senno”. Così Platone (dal Nicolas).
Ascoltiamo ora Socrate, che è morto martire delle sue convinzioni sull’aldilà. Nel momento di
varcarne la soglia afferma: “Niente nelle nostre ricerche abbiamo trovato di più salutare e di più
certo, cioè la vita immortale oltre la tomba”. Così si esprime Socrate!
Ora ascoltiamo Cicerone. Nel trattato Sulla Vecchiaia (De Senactute) egli dice: “La natura non
ci ha posti in questo mondo per abitarlo sempre, ma solo per albergarvi di passaggio. O beato quel
giorno nel quale io partirò per quella celeste assemblea, per quel divino consiglio delle anime !
(Beato quel giorno) nel quale io partirò da questa turba, da questo fango terrestre !… Solo a
questa speranza io devo ciò che fa la vostra ammirazione…”. E vuol dire: solo questa speranza
sostiene la rettitudine e la moralità della mia vita. E continua: “Noi crediamo che i nostri cari
defunti vivono ancora di quella vita che sola è degna di un tal nome. E lo crediamo mossi non
soltanto dagli argomenti e dalle prove, ma ancora dall’autorità dei filosofi più illustri”.
Quanto Cicerone dice del suo tempo e per i secoli che lo precedettero, può dirsi ugualmente per
i tempi che seguirono fino a noi.
Da quanto abbiamo detto risulta che le prove di ragione e l’autorità umana si accordano nel
darci la certezza naturale dell’esistenza dell’aldilà. Dell’esistenza, dico, poiché per quanto
riguarda la modalità della nostra vita futura rimane grande incertezza alla luce della sola ragione,
e sarebbe troppo lungo presentare qui le diversissime, strane ed erronee opinioni in cui gli uomini
si sono trovati divisi.
Si pensi qui tra l’altro alla tanto discussa dottrina della reincarnazione. Io in questo momento
penso al presidente francese Mitterand il quale, minato dal cancro e temendo prossima la morte, si
rivolse al suo vecchio amico filosofo Jean Guitton e gli disse: “A lei che è uno specialista del tempo
e dell’eternità vengo a chiedere: che cos’è la morte? Che cosa c’è dopo la morte? Che cos’è
l’eternità?”.
Era incerto, al buio anche lui che, come sembra, non era un credente.

5. La fede cristiana: Gesù, il grande ambasciatore dell’aldilà


Qui però, in questa carenza di chiarezza e di certezza, subentra la divina soprannaturale fede
cristiana che viene in aiuto all’umana debolezza. Essa, la fede, non solo ci conferma la certezza
della vita futura, ma ci assicura anche quanto alla sua essenza e modalità. E benché di tutto ciò
non abbiamo l’esperienza diretta, pure abbiamo l’assicurazione di colui che viene proprio
dall’aldilà, dall’altro mondo.
“Nessuno è mai tornato dall’altro mondo” afferma lo slogan dell’incredulità, ed è tutto quello
che solo sa dire quanto alla questione della vita futura. Si risponde: fosse anche vero quanto voi
dite, rimane sempre valida la nostra prova della conoscenza indiretta dell’altro mondo, dettata
dalla ragione e dall’autorità del mondo civile.
Ma quello slogan è falso, non è vero che nessuno è mai venuto dall’aldilà. La porta misteriosa di
quel mondo si è aperta e si apre di tanto in tanto, e lascia penetrare splendidi raggi di luce nelle
tenebre di questo mondo.
Parecchie sono le apparizioni documentate di gente che, permettendolo Dio, si è fatta vedere
dopo la morte, e ha dato assicurazioni sul suo nuovo stato. Per rendersene conto basta leggere la
storia critica dei santi.
Ma al primo posto sta la testimonianza di Gesù Cristo, il grande ambasciatore dell’aldilà. Egli è
venuto di là una prima volta, e per farsi credere ha dato le più certe garanzie: le opere dell’aldilà,
le opere divine, i miracoli, e anzitutto il miracolo della sua sapienza, della sua bontà.
“Sono disceso dal cielo” – disse – e mi dovreste credere in parola, per quello che io sono. “E se
non volete credere a me, credete alle mie opere”; e se non siete ancora persuasi, “aprite le
Scritture”, “perché anch’esse mi danno testimonianza” (cfr. Gv 5, 39).
Poi promise che sarebbe ritornato dall’aldilà dopo che l’avrebbero messo a morte, e
fedelissima-mente è ritornato con la sua mirabile risurrezione dai morti.
Di questa Gesù diede prova nelle sue numerose apparizioni da risorto, e le conclude dicendo
che verrà un’ultima volta alla fine del mondo per il giudizio universale, epilogo della storia. Allora
i giusti andranno alla vita eterna (salvezza) e i cattivi all’eterna dannazione (cfr. Mt 25, 46).
Come mezzo di salvezza Gesù richiede la fede “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi
non crederà sarà condannato” (Mc 16, 16).
È da notare qui:
- la fede che salva non è la semplice adesione intellettuale alla verità rivelata, ma la fede vivificata
dalla carità e fruttificata nelle buone opere;
- l’eterna dannazione viene determinata non da Dio, ma dal peccatore incredulo, impeni-tente. Dio
fino all’ultimo gli offre la salvezza nella fede. Il peccatore persiste nel non voler credere
all’amore di Dio che vuole salvarlo. Allora Dio, direi a malincuore, ratifica quel rifiuto che
possiamo chiamare autocondanna.
Detto ciò di passaggio, come triste epilogo della perseverante incredulità, torniamo a ripeterci
la consolante verità: “Chi crederà… sarà salvo”. Sarà una salvezza totale che riguarda tutto
l’uomo, non la sola anima, ma anche il corpo.
Ce lo assicura Gesù. Ai Giudei che gli rimproveravano di aver guarito il paralitico in giorno di
sabato, Gesù dice: “ In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti
udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno.[…] Poiché verrà l’ora
in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per
una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5, 25-29).
A chi gli chiedeva un segno dal cielo per poter credere in lui, Gesù dice: “...Io sono il pane
disceso dal cielo…” (Gv 6, 41) “...il Padre mio vi dà il pane dal cielo...” (Gv 6, 32) “Questa infatti è
la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo
risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 40). “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita
eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 54). Questa è parola di Dio, di Gesù che prima
della resurrezione di Lazzaro disse. “…Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se
muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 11, 25-26).
Come vedete, Gesù ci dà la certezza assoluta della futura risurrezione. Come la vita eterna, così
anche la risurrezione dei corpi è un domma di fede, domma consolantissimo.
Non possiamo essere cristiani, cattolici, se non ci crediamo, o anche se dubitiamo. Come fa pena
sentire talvolta dei cristiani che dicono di questa consolantissima verità: “Ma è proprio vero?”,
dicono, “Ma sarà proprio così?” e dubi-tano.
A quelli che dubitavano della risurrezione dei corpi S. Paolo scrive così: “Ora, se si predica che
Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?
Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato,
allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi
testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non
lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche
Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.
E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo
soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.” (1 Cor 15, 12-19).
Ma non è così, poiché “…Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.” (1
Cor 15, 20). Certo è un mistero, conclude San Paolo, ma veramente risorgeremo tutti, anche se non
tutti per la gloria. Questo nostro corpo corruttibile e mortale sarà rivestito di incorruttibilità, di
immortalità. Allora potremo dire: “Dov’è, o morte, la tua vittoria?” (1 Cor 15, 55).
Nella lettera ai Filippesi lo stesso Apostolo ci assicura che nella risurrezione il nostro corpo
sarà conforme al corpo glorioso di Gesù (cfr. Fil 3, 21).
Bellissimo, consolantissimo questo domma della risurrezione dei corpi! Strano che tanti non
afferrano questa certezza che viene da Cristo per poi andar dietro a tante fantasticherie e assurdità
come quella della reincarnazione che è assolutamente inaccettabile.
Noi crediamo l’aldilà e la risurrezione dei corpi sulla parola di Gesù, sul fatto della sua
resurrezione, sulla certezza della sua divina onnipotenza. Egli ne è il più autorevole testimone, e ci
assicura con un linguaggio da nessuno mai usato: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole
non passeranno” (Mt 24, 35). Così dice Gesù dopo aver parlato della sua venuta alla fine del
mondo.
Non crederemo dunque a Gesù? Venti secoli di storia non hanno potuto smentire alcuna delle
sue parole, e il compimento di ciò che si verifica dinanzi ai nostri occhi nella vita della Chiesa ci
dà certissima garanzia che si compirà tutto il resto che Gesù ci ha predetto e pro-messo.
Non crederemo a Gesù? Gli increduli – bontà loro – sono giunti ad ammettere che Gesù Cristo è
il più sapiente e il più santo di tutti gli uomini. Ebbene, questo personaggio, il più sapiente e il più
santo, durante la sua vita mortale ritenne ed insegnò sempre, dal principio alla fine, quell’aldilà
che ci attende.
Se si deve prendere sul serio Gesù Cristo, bisogna prenderlo sul serio proprio su questo punto,
sul mistero dell’aldilà. Accettarlo precisamente come uomo-Dio, rivelatore e maestro infallibile
dell’altra vita, è la conclusione che s’impone a chi crede nel valore della storia.
Al valore della storia e a Gesù hanno creduto i santi, persone tra le più qualificate e sagge. E
milioni di martiri durante venti secoli di cristianesimo, fino ai nostri giorni, sono morti appoggiati
alla certezza di fede nell’aldilà e nella risurrezione dei corpi. Erano sicuri delle parole di Gesù:
“Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt
10, 39), “Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria
anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?” (Mt 16, 26).
“Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a
ciascuno secondo le sue azioni.” (Mt 16, 27). “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo,
ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e
l’anima e il corpo nella Geenna.” (Mt 10, 28).

6. Tutta la vita presente va vista nella prospettiva dell’aldilà


Secondo il Vangelo tutta la vita presente va vista nella prospettiva dell’aldilà. Tutto il Vangelo ci
mette dinanzi al traguardo della nostra vita terrena, alle soglie dell’aldilà eterno, nella imminenza
dell’inappellabile definitivo giudizio di Dio a cui seguirà la sorte eterna di ciascuno nell’unica
alternativa:
Salvezza o dannazione;
premio o castigo;
paradiso o inferno;
per sempre, in eterno.

Attenti quindi, solo chi crederà sarà salvo. Crediamo a Gesù, a Gesù si può credere
e si deve credere, la sua credibilità è fuori di ogni discussione, al di sopra di ogni
ragionevole dubbio. Se nel mondo c’è uno che merita fede, questi è certamente Gesù, il
suo Vangelo.
Apriamo il Vangelo, il Vangelo dell’aldilà, della vita eterna. Questa ci viene presentata con la
metafora di una “grande cena”, un banchetto, una festa di nozze, una festa che durerà in eterno
(cfr. Mt 25, 1-13; Lc 14, 15-24). La vita qui presente nel tempo rappresenta la vigilia, il periodo di
preparazione a questa festa. Ad essa dev’essere ordinato tutto, tutto dev’essere visto in questa
prospettiva, proprio come si suole nelle famiglie alla vigilia di un matrimonio di questo mondo.
Quanto affaccendarsi di tutti allora, quanta fatica, e come veramente tutto si svolge in quella
prospettiva!
Ora, volendo esprimere a livello di fede la grande realtà della festa eterna il poeta6 canta così:
Il mio penare
Il mio penare è una chiavina d’oro…
Piccola, ma che m’apre un gran tesoro.
È la croce, ma è la croce di Gesù:
Quando l’abbraccio, non la sento più.
Non ho contato i giorni del dolore:
so che Gesù li ha scritti nel suo Cuore.
Vivo momento per momento, e allora
il giorno passa come fosse un’ora.
Mi han detto che guardata dal di là,
la vita tutta un attimo parrà.
Passa la vita vigilia di festa:
muore la morte… il Paradiso resta.
Due stille ancora dell’amaro pianto,
e di vittoria poi l’eterno canto.

Certamente passa la vita, poiché tutti siamo di passaggio in questo mondo, e questo
mondo certo finirà. Il tempo presente ci viene dato unicamente come vigilia per
preparare la festa eterna.
Muore la morte, certamente, perché Gesù ci ha dato la certezza assoluta della risurrezione dei
corpi, e della felicità eterna di tutto l’uomo, anima e corpo.
Il Paradiso resta, certamente, ma a chi se l’è meritato.
Ma io non credo a tutto questo, dirà qualcuno, non credo al Paradiso e non credo
all’inferno.
Mi dispiace, si risponde, ma per andare all’inferno non c’è bisogno di fede, anzi tanto
più facilmente e sicuramente ci si cade, quanto meno ci si crede. Come chi, avvisato di
un precipizio non crede, e disattento e sbadato continua il suo cammino.
Per andare in Paradiso, invece, c’è bisogno di fede: “Chi crederà sarà salvo”. La fede è dono di
Dio e Dio la dà a tutti, che siano umili, ben disposti e preghino. Questi, o presto o tardi, nell’ora
del Signore, arriveranno alla fede e alla salvezza, alla gioia della festa eterna che ha il suo inizio o,
come dice il poeta, la sua vigilia qui sulla terra, mentre siamo ancora nel tempo.
Qui segue, anzi qui s’impone un’esaltante conclusione: Rallegriamoci nel Signore, sempre,
sempre, non angustiamoci di nulla, cacciamo via ogni tristezza, essa è incompatibile con la nostra
fede nel Cristo risorto che ci assicura la nostra futura risurrezione. Noi sappiamo “Che tutto
concorre al bene di coloro che amano il Signore” (Rm 8, 28); tutto fa parte della preparazione alla
festa eterna. Per quanto attraversata da inesorabili fatiche e dolori, la nostra vita presente
nell’intimo del cuore dev’essere sempre una festa, “perfetta letizia” la dicono San Giacomo e San
Francesco d’Assisi (Gc 1, 2; I Fioretti di San Francesco).
“Non dimenticherò mai – dice Don Luigi Mistò – un’esperienza che mi ha inconfondibil-mente
segnato. Un giorno stavo parlando con una giovane suora di clausura quando, all’improvviso e
con semplicità disarmante, ella mi confidò: «Vedi, don Luigi, io vivo ogni giorno come se domani
fosse sempre festa». In queste semplici parole si racchiude uno stupendo programma di vita,
straordinario per la sua disarmante aderenza alla realtà. Già oggi è possibile sperimentare la
gioia, già questo è il tempo della festa, ma solo il preludio della festa più bella, quella eterna, senza
fine. È la vigilia, colma di speranza, della festa che non avrà mai tramonto!
Questa è vera nascita, è vita nuova, perché è nascita alla vita della gioia.
Ai cristiani spetta, così, il compito di testimoniare la gioia, la serenità, l’ottimismo generati dal
vivere nella festa; una festa vera e luminosa, ma ancora al suo inizio, in attesa dello sposo che già
è venuto, nel bambino di Betlemme, vero uomo e vero Dio, nel Crocifisso risorto di Gerusalemme,
Salvatore e Signore dell’universo, ma che deve ancora venire nella pienezza della gloria, quando ci
saranno cieli nuovi e terra nuova.
Allora si, quel giorno ci sarà una grande festa, una festa mai vista, con gli angeli e con i santi,
alla quale tutti noi saremo invitati, e la nostra presenza costituirà la ragione della gioia di Dio”6.
Veramente questa quarta catechesi sull’aldilà e la risurrezione dei corpi presenta il termine,
l’epilogo, il coronamento di tutto lo svolgersi del mistero di Cristo. Con la morte tutto finisce e
tutto comincia. “Secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali
avrà stabile dimora la giustizia”(2 Pt 3, 13). “Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né
affanno, perché le cose di prima sono passate”. Allora il Signore dirà: “«Ecco, io faccio nuove tutte
le cose»… e aggiunge «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci»”(Ap 21, 4-5).
Nell’attesa la Chiesa canta:
“Vinta sarà la morte
in Cristo risorgeremo
e nella gloria di Dio
per sempre noi vivremo”.
CONCLUSIONE

Al termine della stesura di queste pagine oso sperare che gli attenti miei lettori ne
ricavino soddisfazione ed entusiasmo, crescano nella conoscenza e nell’amore di Gesù
fino ad innamorarsene, fatti desiderosi di conoscerlo e amarlo ancora di più, per farlo
conoscere ed amare anche agli altri.
E si facciano convinti che solo Gesù è il Salvatore di questo mondo tanto agitato e sconvolto.
“In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia
stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12); convinti quindi che solo Gesù è la luce vera per il
mondo che, lontano da Lui, brancola nelle tenebre e non trova la via della pace da tutti cercata e
invocata; convinti che solo Gesù morto e risorto, primizia della nostra futura risurrezione, Egli
solo è la fonte della vera e duratura gioia, la gioia pasquale di Lui che, una volta risorto, non
muore più.
Oso sperare che i miei lettori, traboccanti di tale gioia, la sappiano gridare al mondo, fatti
protagonisti della Nuova Evangelizzazione.
È vero che il mondo va male e che la vita è difficile, “ma Cristo è risorto!” E noi non possiamo
tacere, lo diremo a tutti esultanti di gioia e cantando “Alleluia!”. Lo diremo a dispetto di tutte le
nostre difficoltà, delle nostre miserie, di tutti i nostri fallimenti. Lo diremo con quella pienezza di
fede che del famoso sindaco di Firenze Prof. Giorgio La Pira ha fatto un santo dei nostri giorni. A
chi, durante una sua conferenza, gli gridò: “La Pira, tu sei un fallito”, egli subito rispose: “Forse
hai ragione, ma Cristo è risorto!”.
E se Cristo è risorto, Egli è veramente il nostro Dio Salvatore, e non c’è più difficoltà
insuperabile, ogni problema è risolto. Lo diceva persino un non credente, Emilio Greco, uno dei
più grandi scultori contemporanei, di Catania, morto nel 1995. Diceva: “Se riuscissi veramente a
vedere in Cristo il Figlio di Dio, allora tutti i miei problemi sarebbero risolti in un colpo solo, e
non dovrei più aver paura della morte, dal momento che Cristo diventerebbe per me una garanzia
sicura di vita eterna”7. “Se riuscissi veramente a vedere…”, disse, e speriamo che ci sia riuscito
prima di morire.
Come si vede, Cristo per Emilio Greco era una ipotesi meravigliosa di soluzione all’angoscia di
vivere e alla paura di morire. Ma per Giorgio La Pira, e per tutti i veri credenti, Cristo non è una
meravigliosa ipotesi, Egli, Gesù Cristo, “è una presenza viva, una speranza immensa, che dà ogni
giorno la forza di operare e di attendere, speranza che maturerà e sboccerà come un fiore. Allora
tutti i problemi avranno, per ciò che mi riguarda, la loro felice soluzione”8. Così scrisse Giorgio La
Pira al suo amico Amintore Fanfani poco prima di morire. E questo io auguro, cari lettori, che sia
proprio così anche per me, per voi e per tutti. È l’augurio più bello, poiché tutto è bene quel che
finisce bene. “Allora tutti i problemi avranno, per ciò che ci riguarda, la loro felice soluzione”.
Cari lettori, leggete e rileggete questo libro che la Divina Provvidenza ha messo nelle vostre
mani, e oso veramente sperare che ne ricaverete molto bene. Sarà aumento di fede, di speranza, di
carità, di gioia. E di entusiasmo per la Nuova Evangelizzazione. Io vi accompagnerò con la mia
preghiera.
Ci guidi, ci assista, ci protegga, ci benedica la Santissima Vergine Maria, madre di Gesù e madre
nostra, Stella della Nuova Evangelizzazione.

APPENDICE

1. SULLA CONOSCENZA DI GESÙ

2. IL TESORO NASCOSTO: L’AMICIZIA DI GESÙ

3. GESÙ: UN COMPAGNO NEL DOLORE


1. SULLA CONOSCENZA DI GESÙ
“Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a
motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della
conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste
cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in
lui... E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la
partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza
di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3, 7-11).
Tutto perde valore, tutto è nulla di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo
Gesù. Questi sentimenti, espressi nel citato testo di San Paolo, debbono essere propri
di ogni vero credente. Poiché chi conosce Gesù sa, deve sapere, che Gesù non si conosce
mai abbastanza. Egli supera ogni nostra pur vera conoscenza, e questa, proprio perché
vera, lascia nell’anima il vivo desiderio di conoscerlo ancora. Ad eviden-ziare tutto
questo ci aiuteranno le parole del Papa Paolo VI nelle citazioni che qui seguono.

Discorso di Paolo VI
nel Concilio Vaticano II
dall’Osservatore Romano, 2 febbraio 1967
Il discorso pronunziato da Paolo VI all’inizio della seconda sessione del Concilio
Vaticano II è stato considerato da tutti, Padri conciliari ed osservatori di altre
confessioni, come uno dei momenti culminanti del Concilio. Il Papa in quel discorso
esortava i Padri conciliari a riprendere il cammino segnato dal Papa Giovanni XXIII, e
domandava:
a) ma d’onde parte il nostro cammino, o Fratelli?…;
b) quale via intende percorrere?...;
c) e quale meta vorrà proporsi?
E rispondeva: «Queste tre domande semplicissime e capitali hanno, ben lo sappiamo,
una sola risposta che qui, in quest’ora stessa, dobbiamo a noi stessi proclamare e al
mondo che ci circonda annunziare: Cristo è la sola risposta - Cristo nostro principio,
Cristo nostra via e nostra guida; Cristo nostra speranza e nostro termine.
Oh! Abbia questo Concilio piena avvertenza di questo molteplice ed unico, fisso e
stimolante, misterioso e chiarissimo, stringente e beatificante rapporto tra noi e Gesù
benedetto, fra questa santa e viva Chiesa, che noi siamo, e Cristo, da cui veniamo, per
cui viviamo, ed a cui andiamo. Nessuna altra luce sia librata su questa adunanza che
non sia Cristo, luce del mondo; nessuna altra verità interessi gli animi nostri, che non
siano le parole del Signore, unico nostro maestro; nessuna altra aspirazione ci guidi,
che non sia il desiderio di essere a Lui assolutamente fedeli; nessuna altra fiducia ci
sostenga, se non quella che fiancheggia, mediante la parola di Lui, la nostra desolata
debolezza: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
Oh! Fossimo noi in quest’ora capaci di elevare a nostro Signore Gesù Cristo una voce
degna di Lui! Diremo con la sacra Liturgia: “Te solo, o Cristo, noi conosciamo (Te,
Christe, solum novimus)”.
Si, dobbiamo conoscere Gesù, conoscerlo meglio; non basta un ricordo convenzionale;
non basta un culto nominale; dobbiamo renderci conto circa la sua vera, profonda,
misteriosa Entità, circa il significato della sua apparizione nel mondo e nella storia,
circa la sua missione nel quadro della umanità, circa il rapporto che intercede tra Lui
e noi, e così via.
Non avremo mai finito di sondare il mistero della sua Personalità (una Persona,
quella del Verbo di Dio, vivente nelle due essenze di Gesù, la natura divina e la natura
umana).
Non avremo mai finito di ascoltarlo, come Maestro, di imitarlo, come esempio, di
amarlo, come Salvatore...
Non avremo mai finito di scoprire la sua attualità, la sua importanza per tutte le vere
e grandi questioni del nostro tempo.
Non avremo mai finito di sentir nascere in noi, con esperienza spirituale unica, il
desiderio, il tormento, la speranza di poterlo alla fine vedere, incontrarci con Lui, e di
capire e di gustare, fino alla suprema felicità, che Egli è la nostra vita, nuova e vera, la
nostra salvezza.
Adesso vi invitiamo a salutare Gesù, Nostro Signore, come mediatore tra due altre
conoscenze che a Lui si collegano e da Lui partono in due diverse direzioni. Gesù,
diciamo, è il Mediatore tra Dio e l’uomo (cfr. 1 Tim 2, 5); Gesù, aggiungiamo, è
Rivelatore di Dio e dell’uomo. Se vogliamo veramente conoscere Dio, dobbiamo
rivolgerci a Gesù; e se vogliamo conoscere veramente l’uomo, ancora dobbiamo
chiederlo a Lui. Da Gesù parte la via che sale alla vera conoscenza del Padre celeste, e
dall’intima infinita vita di Dio, la Santissima Trinità; da Gesù parte la via che
discende alla vera conoscenza dell’umanità, al mistero dell’uomo, della sua natura, del
suo destino.
Gesù ci rivela Dio-Amore e l’uomo bisognoso di salvezza, Dio-Padre e gli uomini
fratelli. Nella paternità di Dio sta il principio supremo della fraternità umana; se, per
cercare l’umanità, perdessimo la fede e la grazia della Paternità divina, perderemmo
insieme la ragione di chiamare fratelli gli uomini... Cristo è la via che c’introduce nel
mondo divino, così come è la via che si apre sugli orizzonti della vita umana; l’una e
l’altra si toccano e si comunicano all’incontro, che Sant’Agostino ha più volte descritto
nelle due famose parole: miseria (l’uomo) e misericordia (Dio)» (cfr. Enarr. in Ps. 32,
P.L. 36,287; cfr. Congar, Jèsus Christ, I).
Tutto questo ci dice quanto lo studio di Cristo (associato alla preghiera) ci deve
interessare e appassionare; e come avendo incontrato Cristo ...non potremo più
staccare da lui gli occhi del nostro spirito».

Discorso del Papa Paolo VI a Manila


29 Novembre 1970
“Noi predichiamo Cristo a tutta la terra”
«“...Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9, 16). Io sono mandato da lui, da
Cristo stesso per questo. Io sono apostolo, io sono testimone: quanto più è lontana la
meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è l’amore che a ciò mi
spinge. Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (cfr. Mt 16,
16).
“Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15), è il
fondamento di ogni cosa (cfr. Col 1,16-17). Egli è il Maestro dell’umanità, è il
Redentore. Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia del
mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della
nostra vita. Egli è l’uomo del dolore e della speranza. È colui che deve venire e che
deve un giorno essere il nostro giudice e, come noi speriamo, la pienezza eterna della
nostra esistenza, la nostra felicità.
Io non finirei più di parlare di lui. Egli è la luce, è la verità, anzi egli è “...la via, la
verità, la vita...” (Gv 14, 6). Egli è il pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per
la nostra sete, egli è il pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il
nostro fratello.
Come noi, e più di noi, egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore e paziente nella
sofferenza. Per noi egli ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo,
dove i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di cuore ed i
piangenti sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono
rivendicati, dove i peccatori possono essere perdonati, dove tutti sono fratelli.
Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare, anzi voi, la maggior parte certamente, siete
già suoi, siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo
annunzio: Gesù Cristo è il principio e la fine, l’alfa e l’omega. Egli è il re del nuovo
mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il
mediatore, il ponte fra la terra e il cielo, egli è per antonomasia il Figlio dell’uomo,
perché egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte
le donne, sua madre nella carne, e madre nostra nella partecipazione allo Spirito del
Corpo mi-stico.
Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annunzio, è la voce che noi facciamo
risuonare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli».
Dal discorso di Papa Paolo VI
ai lavoratori
domenica 15 marzo 1964
dall’Osservatore Romano, 18 marzo 1964
«I figli del nostro tempo hanno più che mai bisogno e necessità di porsi dinanzi al
Salvatore, di approfondire il Vangelo, di fissare lo sguardo sul volto di Gesù e leggere,
nel mistero infinito della psicologia divina ed umana di Lui, quale sia la sublimità di
un dovere, la bellezza di un’adesione. Abbia ognuno l’intelligenza, la capacità di
rispondere con profondo convincimento alla domanda fondamentale: chi è Gesù Cristo?
Se la risposta sarà quella giusta ed esatta, non solo si compirà un primario dovere
religioso, ma si troverà la soluzione vera dei problemi umani, poiché Cristo è al centro
dei destini del mondo. Se sapremo chi Egli è, sapremo che cosa siamo noi e
conosceremo profondamente il senso della nostra vita.
Chi sia il Signore lo ha detto Lui stesso: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non
cammina nelle tenebre”(Gv 8, 12). Seguendo questo fulgore si potrà agevolmente
superare qualsiasi stato d’animo di indifferenza o di ostilità; tutti potranno godere di
inestin-guibile fiducia ed agire come figli di Dio. Arrida a tutti la certezza che Egli è
veramente il Salvatore del mondo.
Convinti di ciò, poiché è la grande verità, dovremmo avere fame e sete
dell’insegnamento di questo divino Maestro, aprire il cuore alle irrompenti energie
della grazia che ci renderanno per sempre buoni, puri, innocenti. Anche nell’ambito
delle attività materiali, stando con Cristo, saremo veramente uomini, troveremo cioé
una soluzione al problema più grave dell’umanità contemporanea che spesso ci mostra
i segni di cupa angoscia e di mortale disperazione. Gesù dona la vita, l’amore, la
speranza. Egli mette ordine in ciascuno di noi, ci largisce la possibilità di vivere bene,
di conservare in pienezza il concetto vero dell’esistenza.
È questa in una parola la raccomandazione del Papa. Nessuno rimanga assente,
lontano da Cristo. L’incontro con Lui è una cosa grande, decisiva, stupenda; è dono così
alto e provvido da far piangere e cantare di riconoscenza e di gioia. E per incontrarsi
bene con Cristo occorre avere l’anima rinnovata, aperta, come quella del bambino che
sa di poter trovare nei genitori tutto quanto è necessario per superare la propria
debolezza ed inesperienza. A Gesù diremo la nostra fede assoluta e il nostro sconfinato
amore.
Cristo deve essere celebrato da noi per quello che Egli è: la Via, la Verità, la Vita».

2. IL TESORO NASCOSTO: L’AMICIZIA DI GESÙ


Nella nostra società in cui tutto sembra sofisticato - tanto è diffusa la falsità, la
menzogna - si sente imperioso ed urgente il bisogno della sincerità, della autenticità,
della verità.
Si cerca il vero vino di uva, il vero olio di oliva, la vera lana di pecora... ma
particolarmente si cerca il vero amico, quello sincero e fedele. Infatti di falsi amici che
lasciano l’animo deluso e sconcertato se ne incontrano, e non pochi. Non è facile
trovarne uno che soddisfi pienamente.
Così si spiega l’ammonimento della Sacra Scrittura: “Se intendi farti un amico,
mettilo alla prova; e non fidarti subito di lui. C’è infatti chi è amico quando gli fa
comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura” (Sir 6, 7-8). Tuttavia la vera
amicizia esiste, i veri amici ci sono pure, e lo stesso sacro autore prosegue dicendo che
“Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova trova un tesoro. Per un amico
fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore” (Sir 6, 14-15).
Ed è proprio così, il vero amico è di altissimo valore, e l’amicizia intesa come amore-
carità interpersonale, come intenso e disinteressato voler bene al prossimo e
nell’esserne ricambiati con uguale amore di benevolenza, è tra le cose più belle, più
necessarie e più soddisfacenti.
Tale autentica amicizia, a livello soprannaturale, coincide col Regno di Dio
annunziato da Gesù e da Lui paragonato al tesoro nascosto e alla perla preziosa. Chi li
scopre è fortunato e va con gioia a vendere tutto e a privarsi di tutto, pur di acquistare
quel tesoro, quella perla (cfr. Mt 13, 44-46).
Il tesoro nascosto, la perla preziosa, il Regno di Dio è l’amicizia di Gesù, la unione
intima con Lui, è la persona stessa di Gesù che ci ama con cuore di uomo, ma di Uomo-
Dio, e da noi dev’essere conosciuto ed amato come il primo e supremo amico, amico di
tutti gli uomini e di ciascuno di essi in particolare.
L’amicizia di Gesù è il Vangelo, la Buona Novella. Gesù entra nella scena della
storia come l’Amico Divino che viene a stabilire l’unione degli uomini con Dio e degli
uomini tra di loro sotto il segno dell’amore di amicizia. Il duplice comandamento
dell’amore di Dio e del prossimo ha l’espresso significato interpersonale di amicizia.
Gesù, quasi annullando l’infinita distanza che lo separa dalle sue creature, tratta da
amico i suoi discepoli e li chiama espressamente suoi amici (cfr. Lc 12, 4; Gv 15, 14-15).
E proprio perché essi sono suoi amici, rivela loro i propri intimi segreti (cfr. Gv 15, 15)
e convive con loro come lo sposo con gli amici nei giorni delle nozze (cfr. Mt 9, 15),
sollecitando e gradendo il loro amore. Ci tiene molto a questo amore di amicizia, lo
offre, e vuole esserne ricambiato: “Rimanete in me ed io in voi - dice - ...rimanete nel
mio amore”. (cfr. Gv 15, 4-9).
Rimanere uniti a Gesù significa anche dover essere sempre a Lui presenti come Egli
lo è con noi, come l’amico con l’amico. Gesù sa che la presenza, lo star vicini quanto più
è possibile, è esigenza primaria dell’amicizia. Per questo, quando visibilmente deve
lasciare la terra per ritornare al Padre, assicura a tutti gli amici discepoli la sua
ininterrotta divina presenza come una proroga infinita della sua amicizia nel corso dei
secoli: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
È certo che Gesù, come divino Amico è sempre con ciascuno di noi senza smentirsi,
vive al nostro fianco in ogni istante della nostra giornata, veglia su di noi durante la
notte, vivo e vero così da poterlo prendere sottobraccio, così da potergli parlare e
andare a spasso con lui.
In ciò che è proprio dell’amicizia, Gesù fa la parte sua ed aspetta che noi facciamo la
parte nostra; questa sarebbe che noi teniamo sempre lo sguardo fisso su Gesù, sapendo
ed avvertendo che Egli ha sempre lo sguardo fisso su di noi. Dobbiamo saperlo, vederlo
e sentirlo sempre accanto a noi ed in noi, nella preghiera e nel lavoro, nella veglia e nel
sonno, quando siamo soli e quando in compagnia di altri, col suo sguardo fisso su di
noi, pieno di comprensione e pieno di amore, sempre pronto ad aiutarci in ogni nostro
bisogno, a cooperare con ogni nostro minimo atto.
Dalla vita di San Francesco di Sales risulta che il santo vescovo viveva talmente
faccia a faccia con Gesù che, quando si addormentava, era come se Nostro Signore
posasse con Lui il capo sul guanciale per essere di nuovo lì, la mattina dopo, per
riscaldare della perennità della Sua presenza la quotidiana vita del Santo.
Così vivevano i Santi, perché veri amici di Gesù, sempre alla Sua divina presenza,
attingevano da Lui la luce della verità, il calore della carità, la fortezza nelle difficoltà,
la pace, la gioia, il vero senso della vita.
Com’è grande e sublime questa amicizia di Gesù scoperta e corrisposta dai Santi!
Tuttavia per molti essa rimane ancora, purtroppo, un tesoro nascosto.
Bisogna che i cristiani scoprano questo tesoro, questa perla preziosa dell’Amicizia di
Gesù, che imparino ad apprezzarla e gustarla intimamente. E chi ne ha fatto
esperienza senta imperioso il desiderio, il bisogno di comunicarla quanto più è
possibile, di evangelizzarla, per attirare il cuore di tutti al Cuore di Gesù, re e centro
di tutti i cuori. Questo è Vangelo, il Vangelo più essenziale, più intimo.
L’evangelizzazione cominci con la preghiera. Parecchi anni fa il nostro Papa Giovanni
Paolo II raccomandava agli ascritti dell’Apostolato della Preghiera proprio questa
intenzione: “Perché impariamo ad apprezzare e gustare intimamente l’Amicizia di
Gesù che ci ama con cuore di uomo”.

3. UN COMPAGNO NEL DOLORE


Tutti portan la croce quaggiù. È questo un fatto innegabile, una realtà angosciosa, è
il gravissimo problema del dolore, tanto reale ed universale che i poco illuminati
concludono affermando che il Signore ci ha fatti per soffrire; mentre è certamente e
assolutamente vero proprio il contrario. Poiché il Signore ci ha creati “per amore, per
amare e per godere, per farci partecipi della sua eterna e infinita felicità”.
Ma la premessa di quella falsa conclusione rimane tristemente vera: “Tutti portan
la croce quaggiù”, anche quelli dei quali neppure si sospetterebbe. E a questo proposito
si sogliono citare i ben noti versi:

“Se a ciascun l’interno affanno


si leggesse in fronte scritto,
quanti mai che invidia fanno
ti farebbero pietà”.

Nel libro dei Salmi si legge: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i
più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo” (Sal
89, 10). Ed è pu-re espressione di un continuo sentimento di do-lore quello che
troviamo nel Salmo 118 al versetto 107: “Sono stanco di soffrire, Signore...”.
Ecco la triste realtà: dolori morali e fisici, dolori causati dal prossimo, dagli
avvenimenti, dalle diverse situazioni che vengono a trovarsi nella vita, dolori causati
anche da noi stessi, dai nostri desideri insoddisfatti, dalle nostre aspirazioni anche
buone e sane... e tutto questo cumulo di sofferenze noi lo chiamiamo croce.
Ebbene, quando il dolore bussa alla nostra porta, quando la croce si appesantisce
sulle nostre spalle, allora si sente il bisogno di qualcuno che ci sappia comprendere e
compatire, che sappia dirci a tempo giusto la parola adatta alla nostra situazione, e
che soprattutto sappia e voglia prenderci per mano e farsi nostro compagno lungo la
via della croce.
Questo compagno nel dolore, disposto ad accompagnarci e a portare la croce con noi
c’è, bisogna conoscerlo e farlo conoscere: è il Signore Gesù. Come il nostro più vero e
più fedele amico Egli sta sempre con noi, pronto a soccorrerci e sostenerci, a
confortarci e consolarci, realizzando a perfezione l’esigenza della vera amicizia: la
presenza. Ce l’ha promesso solennemente questa sua presenza, come lui solo poteva
farlo, dopo averci dato tutte le garanzie di verità e fedeltà, quando prima di salire al
cielo, accomiatandosi da noi, disse: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo” (Mt 28, 20).
È proprio così, Gesù è sempre con noi e non si smentisce. Dobbiamo dunque vederlo
e sentirlo sempre a noi vicino, nostro fedele compagno di viaggio. Non ci deluderà.
Basta solo che ci affidiamo a Lui ponendoci sotto la sua protezione con fede e fiducia, e
allora Egli parla così riferendosi a ciascuno di noi: “Lo salverò, perché a me si è
affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e gli darò risposta;
presso di lui sarò nella sventura, lo salverò e lo renderò glorioso. Lo sazierò di lunghi
giorni e gli mostrerò la mia salvezza” (Sal 90, 14-16).
Purtroppo molti non conoscono Gesù, non hanno la luce della fede che illumina il
mistero del dolore, della sofferenza, della croce, e si credono soli nel cammino della
vita. Quindi si sfiduciano, si disperano, si ribellano e anche bestemmiano.
Qui il male, il dolore, tocca il fondo. Poiché il più grande guaio della vita non è che si
soffre, ma che non si sa soffrire.
Se si sapesse soffrire in unione con Gesù, per amore di Gesù e, come Gesù, per la
salvezza dei fratelli, per migliorare il mondo! Infatti il dolore accettato per amore,
secondo l’insegnamento e l’esempio di Gesù e in unione con lui, diventa sacrificio, atto
virtuoso e meritorio, strumento di redenzione, di elevazione e di salvezza. In virtù di
questo principio, il più grande male, quale fu la condanna a morte di Gesù, è diventato
il più grande bene: il sacrificio di Gesù per la salvezza del mondo.
Ma se il dolore per amore di Gesù e in unione con Lui diventa di un valore
inestimabile, pure esso rimane il più delle volte un tesoro sciupato in chi non sa o non
vuole amare. L’amore è libero, il non voler soffrire ci fa soffrire di più, mentre la libera
accettazione del dolore, per amore, ci arricchisce e ci fa raggiungere la felicità.
Il celebre gesuita francese Padre Duval, che da bravo musico e poeta, compose e
diffuse canti religiosi per arrivare così, attraverso il canto, a far penetrare la luce
della fede in ambienti assai refrattari, girò il mondo con la sua chitarra, venne anche a
Catania, e dopo la sua esibizione (canto al suono della chitarra) nel Metropolitan, il
più grande teatro della città, fu intervistato. Gli chiesero: “Padre, che cosa canta?”. Ed
egli rispose: “Io canto l’amore, il dolore, la felicità. Tra l’amore e la felicità c’è il dolore.
Beato chi lo capisce e chi lo canta, beato chi lo utilizza e non lo sciupa, beato colui che
alla scuola del Divino Paziente impara l’arte di saper soffrire”.
Ecco: il dolore passaggio obbligato tra l’amore e la felicità! L’arte di saper soffrire! Il
Divino Paziente nostro modello! È importantissimo il saper soffrire, poiché tutti
soffrono, “tutti portan la croce quaggiù”. Certamente possiamo difenderci da tutto ciò
che ci fa soffrire, ognuno naturalmente sfugge il dolore, ma finalmente bisogna
accettare l’inevitabile e non disperarsi.
Per non rigettare la croce, per non sciupare il dolore, per utilizzare ogni piccola
sofferenza occorre capire che nel presente ordine di Provvidenza (dopo il peccato) il
dolore, la croce sono un passaggio obbligato per raggiungere la felicità. “...è necessario
attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14, 22). E Gesù non ci
poteva parlare più chiaramente quando disse: “...Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23).
Da ciò si spiega come i Santi, superata con l’aiuto della grazia ogni naturale
ripugnanza alla croce, sono giunti a cercarla, ad amarla, a farne motivo di gioia.
“...Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione” (2 Cor 7, 4).
E San Francesco d’Assisi: “Tanto è grande il ben che aspetto, che ogni pena mi è
diletto”. Parla quindi della perfetta letizia nel portare la croce per amore di Gesù. Così
tutti i Santi hanno sperimentato, anche qui sulla terra, la “pienezza di gioia”(cfr. 1 Pt
1, 6). Ma per questo è necessario ricordare che Gesù non ci lascia soli, è sempre con noi
tutti i giorni per consolarci ed aiutarci, solo che noi vogliamo restare uniti con Lui. Egli
non abbandona se non è abbandonato.

Presentazione .......................................... pag. 7


Introduzione ............................................ » 13

I. IL MISTERO DEL CRISTO ................ » 15


1. La sapienza di Gesù ............................ » 21
2. La santità di Gesù ............................... » 24
3. La potenza di Gesù: i miracoli ............ » 29
II. IL MISTERO DEL CRISTIANO........ » 35
1. Gesù nella luce profetica dei secoli
che lo precedettero .............................. » 36
2. Antiche profezie su Gesù..................... » 37
3. Valore soprannaturale delle profezie . » 40
4. Il mistero del Cristo si prolunga
nel mistero del cristiano ...................... » 43
5. La fede - la carità - la grazia santificante » 46

III. IL MISTERO DEL CRISTIANESIMO » 55


1. La virtù profetica di Gesù - il grande profeta
del Nuovo Testamento ......................... » 57
2. Profezie di Gesù sulla sua persona..... » 58
3. Profezie su Gerusalemme, il tempio
e il popolo ebreo.................................... » 58
4. Profezie di Gesù sulla sua Chiesa....... » 60
5. Valore delle profezie di Gesù .............. » 64
6. Il mistero del Cristo e del cristiano
continua nel mistero del cristianesimo » 65
7. La Chiesa “Corpo Mistico” .................. » 70
8. La necessità della Chiesa per la salvezza » 71

IV. L’ALDILÀ E LA RISURREZIONE DEI CORPI » 77


Primordiale bisogno dell’uomo: la certezza dell’aldilà » 77
1. Esiste un aldilà dopo la morte?..........pag. 78
2. La ragione respinge la negazione,
il dubbio, l’indifferenza ....................... » 80
3. Falsità dello slogan:
“Nessuno è mai venuto dall’aldilà”..... » 83
4. Dalla voce della ragione
all’autorità di tutti i popoli ................. » 88
5. La fede cristiana: Gesù, il grande
ambasciatore dell’aldilà ...................... » 90
6. Tutta la vita presente va vista
nella prospettiva dell’aldilà ................ » 96

CONCLUSIONE..................................... » 103

APPENDICE » 107

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