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BIBBIA
ISTF 02 – 6 CFU
Questa sparte del corso si suddivide in tre parti: 1) Il canone della Bibbia;
2) l'ispirazione della Bibbia; 3) l'interpretazione della.
Per canone si intende la lista ufficiale, la raccolta normativa dei libri biblici.
Ma perché questi libri e non altri, pur magari interessanti ed edificanti? Cos'è che
tiene uniti testi letterari così differenti tra loro quanto al contenuto e allo stile
(cf. i testi narrativi di Esodo, quelli poetici dei Salmi e del Cantico, quelli epistolari
del Corpus Paolinum e quelli visionari come il libro di Daniele e dell'Apocalisse)? Si
parla infatti sia di "Bibbia", insistendo sulla pluralità (= i libri, ta biblia, ta. bibli,a),
sia di "Sacra Scrittura", intendendo un'unità letteraria unica.
Per ispirazione invece si intende il processo che garantisce l'origine divina di
uno scritto redatto da autori umani; in altre parole si tratta di comprendere perché
la Sacra Scrittura è, nello stesso tempo, parola di uomini, scritta da persone in
carne ed ossa nel pieno possesso delle loro facoltà, ma anche Parola di Dio,
ossia ha come Autore Dio stesso.
L’ultima parte, riguardante l'interpretazione, ha come obiettivo quello di
mostrare le modalità di comprensione di un testo molto lontano dal linguaggio
e dalla cultura contemporanei. Risponde alla domanda: come capire un testo
biblico? Quali sono i metodi per intendere e non fraintendere un brano, un
capitolo, un'intera opera biblica? Qui il problema è più a carattere ermeneutico.
Come si può notare da queste osservazioni preliminari il corso presenta
un'identità ricca e articolata, dal momento che toccano questioni esegetiche,
teologiche ed ermeneutiche . 1
3
1 In questa parte si seguono grosso modo le riflessioni di CITRINI T., Identità della bibbia, Brescia 1982.
4
consueto ed è altrettanto normale che una fede universale abbia l'intenzione di
attraversare i secoli affidandosi non solo alle forme della parola parlata (più
viva, più immediata, più intensa) ma anche a quelle della parola scritta (più
rigida, fissata una volta per sempre, ma anche più capace di diffusione e di
durata).
Più originale, invece, è l'autorità che la fede cristiana riconosce a quello scritto
(o insieme di scritti) che chiamiamo Bibbia. Alle parole che esprimono la fede e
ai documenti che le riportano viene riconosciuto un valore diversissimo; ma tra
essi la Bibbia è senza pari, ha un'autorità nel suo genere assoluta. Tanto è vero
che viene anche indicata come «la Scrittura» (anche senza l'aggettivo
«sacra»). Il termine teologico tecnico per esprimere l'autorità della Bibbia circa
la fede e la sua trasmissione è canonicità ("canone" indica la misura, la regola).
Prima di addentrarci nei problemi relativi al canone, può essere utile
un'annotazione: la canonicità della Bibbia è un dato "indisponibile". La Chiesa
la riconosce, l'accoglie, ma non la saprebbe creare, né abrogare, né estendere,
né limitare: la Chiesa non ne può disporre arbitrariamente. È un dato, dunque,
di cui non può liberamente disporre, non è "disponibile". Indubbiamente il popolo
di Dio e la tradizione della sua fede, come anche i suoi pastori e maestri, hanno
una funzione attiva, responsabile e necessaria nel discernimento e nella
dichiaazione del canone biblico.
Questa rivelazione soprannaturale, secondo la fede della chiesa universale,
proclamata dal santo concilio di Trento, è contenuta «nei libri scritti e nella
tradizione non scritta che, ricevuta dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo, o
trasmessa quasi di mano in mano dagli stessi apostoli, per ispirazione dello Spirito
Santo, è giunta fino a noi. Questi libri dell'Antico e del Nuovo Testamento, nella
loro interezza, con tutte le loro parti, così come sono elencati nel decreto di
questo concilio e come si trovano nell'antica edizione latina della Volgata,
devono essere accettati come sacri e canonici. La chiesa li considera tali non
perché, composti per opera dell'uomo, sono stati poi approvati dalla sua
autorità, e neppure soltanto perché contengono senza errore la rivelazione; ma
perché, scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come
tali sono stati trasmessi alla chiesa» .
2
Spiegando perché la Chiesa ritiene «sacri e canonici» gli scritti dell'Antico e del
Nuovo Testamento, il concilio Vaticano I ha esplicitamente escluso l'ipotesi che
essi risultino tali perché «approvati successivamente dalla sua [della Chiesa]
autorità, essendo stati composti per sola opera umana». Anzi, aggiunge che
«come tali [cioè sacri e canonici] alla Chiesa stessa sono stati trasmessi,
consegnati (traditi sunt)». In altre parole la Chiesa non fa che accogliere la
canonicità della Bibbia. Con questo non si vuol escludere un ruolo "attivo" della
Chiesa nei confronti del canone, ma vedremo in che senso. Se dunque
possiamo parlare di una trasmissione della Bibbia come canonica non solo nella
Chiesa ma alla Chiesa, ecco che l'esame storico delle origini di questa tradizione
alla ricerca di questa «consegna» si fa particolarmente interessante.
5
2 Concilio Vaticano I, Constitutio dogmatica Dei Filius de fide catholica, II.
6
Non solo la canonicità della Bibbia si presenta come un dato che ci precede,
ma anche il canone della Bibbia, cioè l'elenco, il catalogo degli scritti che la
compongono "viene prima". Tra canone e canonicità, del resto, vi è
necessariamente una connessione molto stretta. Prima di riprendere il
cammino proviamo a darne una definizione sintetica: Il canone indica la lista
ufficiale di quei libri che la Chiesa ufficialmente accoglie e riconosce come
facenti parte della sua fondazione a comunità di fede; ma in quanto canonici,
quei libri servono come norma profetica e apostolica di ciò che è proprio e
legittimo nella trasmissione della verità rivelata e nella strutturazione della vita
cristiana .
3
In altre parole col termine canone s'intende l'elenco dei libri riconosciuti
autorevoli e fondamentali per delineare l'identità di fede della comunità che li
utilizza; tale lista chiusa definisce la collezione di libri (Bibbia) che esercita nei
confronti della comunità un'autorità vincolante in materia di dottrina (fede) e di
comportamento (morale).
Noi siamo abituati alla determinatezza del canone e in questa abitudine si
traduce la coscienza della fede. Il Concilio di Trento, l'8 aprile 1546 nel decreto De
canonicis Scripturibus, ci offre un elenco di 73 libri (46 dell'AT e 27 del NT) . Ma il
4 5
8
perché essa è intrecciata con la storia della formazione degli scritti stessi e
della coscienza della loro canonicità. Proviamo, allora, a disegnare il quadro di
questa problematica, ripercorrendone le tappe salienti.
9
6 Questa rapida carrellata storica segue pedissequamente il contributo di S KA, J-L., "Formazione del
canone delle Scritture ebraiche e cristiane", Il libro sigillato e il libro aperto (Bologna 2005) 119-134.
1
1.2.1Il Siracide (180 a.C.)
La Bibbia ebraica esisteva prima dei manoscritti di Qumran, (redatti fra il
150
a.C. circa, data della fondazione della comunità, e il 68 d.C., data della sua
distruzione). Una delle prime attestazioni di una raccolta di libri sacri, si trova
nel prologo della traduzione greca del libro del Siracide (scritto verso il 180 a.C.), in
cui si menzionano tre parti della Bibbia: la Legge, i Profeti, e un terzo gruppo
non molto bene definito: «Molti e profondi insegnamenti ci sono dati nella Legge,
nei Profeti e negli altri Scritti (Ketūbîm) successivi e per essi si deve lodare Israele
come popolo istruito e sapiente… ». Questa terza parte corrisponde
probabilmente ai cosiddetti
«Scritti» della Bibbia ebraica (Salmi, Giobbe, Proverbi ecc.). La traduzione fu
fatta dopo il 138 a.C.
1
Nel NT sono davvero numerose le allusioni alla Scrittura, ma riguardano
quasi sempre la Legge e i Profeti. In un solo caso si presenta un'espressione
che si
1
riferisce alla Bibbia intesa come un insieme composto di tre parti. In Lc 24,44-
45, infatti, il Risorto dice ai discepoli: «Sono queste le parole che vi dicevo
quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di
me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente
all'intelligenza delle Scritture». Dunque Luca ci mostra la Bibbia ebraica
considerandola come un trittico di libri.
I Salmi, poi, vennero usati ben presto nella riflessione della primitiva comunità
cristiana per dimostrare l'appartenenza della passione, morte e risurrezione di
Cristo al disegno salvifico di Dio, rivelato nelle Scritture (anche se non è del
tutto sicuro che in quell'epoca si fosse già fissato il salterio "canonico" di
centocinquanta salmi così come lo conosciamo oggi).
Anche nel vangelo di Giovanni incontriamo un'altra attestazione del
carattere ispirato dei Salmi. In Gv 10,34 Gesù, rifacendosi al Sal 82,6 per
dimostrare la sua figliolanza divina, lo annovera tra i testi della Torā: «Non è forse
scritto nella vostra Legge: "Io ho detto: voi siete dèi" (Sal 82,6)? ». Per il quarto
vangelo, dunque, i Salmi vengono equiparati alla Legge, e di conseguenza
vengono riconosciuti come Scritture sacre.
Il NT, quindi, conosce una Bibbia composta dal Pentateuco, una serie di libri
profetici, il libro dei Salmi e diversi altri libri (gli Scritti). Ciononostante mai in
nessun passo neotestamentario viene fornita la lista precisa dei libri appartenenti a
queste tre categorie.
Nel testo del NT, d'altronde, compaiono numerose citazioni di libri canonici del
futuro canone ebraico, ma pure di libri deuterocanonici (assenti nel canone
ebraico e presenti nel canone greco) come Siracide, Sapienza, 1-2 Maccabei,
Tobia, e addirittura citazioni di scritti non canonici, considerati in quel tempo come
"autorevoli", come i Salmi di Salomone, 1-2 Esdra, 4 Maccabei (presenti nel
canone greco ma non riconosciuti poi nel canone cattolico) e l'Assunzione di
Mosè ed Enoc 7. Questa situazione sta a dimostrare che all'epoca della
redazione del NT il canone delle Scritture non sia ancora stato fissato: ci sono libri
conosciuti, l’autorevolezza dei quali non è in discussione, ma le frontiere fra libri
«canonici» e libri «non canonici» sono ancora abbastanza flessibili.
7 Nel NT non compaiono mai citazioni di: Giosuè, Giudici, 2 Re, 1-2 Cronache, Esdra, Neemia, Rut,
1
Cantico, Qoelet, Ester, Lamentazioni, Giuditta, Baruc, Abdia, Sofonia, Naum.
1
tempo del NT il canone non è del tutto stabilito e bisogna aspettare il III – IV secolo
d.C. per arrivare a decisioni chiare in merito. Il cristianesimo, quindi, non ha
ricevuto dall'ebraismo un canone già fissato.
Melitone di Sardi (II sec.), Origene (185 ca.-254 ca.), Cirillo di Gerusalemme
(313/315-386), Atanasio (295-373), Gregorio di Nazianzo (330 ca.-390 ca.), Gregorio
di Nissa (335 ca.-395 ca.), Epifanio (315 ca.-403 ca.), Ruffino d’Aquileia (340 ca.-
410 ca.), Gerolamo (347 ca.-420 ca.), Gregorio Magno (540 ca.-604 ca.), Giovanni
Damasceno (fine del VII sec.-749 ca.), Ugo di San Vittore (morto a Parigi nel
1141), Nicola di Lira (1270/1275-1340) e il cardinale Caietano (1469-1534). Come
si può facilmente notare anche all'interno del cristianesimo sono convissute a
lungo posizioni differenti (la questione del canone non era stata definitivamente
risolta).
Yohanan ben Zakkai da buon fariseo accettava fra i libri ispirati non solo la
Torā, ma anche i Profeti, e una serie di «scritti» . I farisei, contrariamente a
10
quanto si pensa, erano «progressisti», rivolti cioè verso il futuro, ed erano più
aperti di altri gruppi (i sadducei ad esempio erano più «conservatori» e legati al
culto). Per quanto riguarda il canone, i gruppo dei farisei asseriva accanto alla
«Legge scritta», l'esistenza di una «Legge orale», che risaliva allo stesso
Mosè e che
8 Il nome Settanta (LXX) proviene dalla Lettera di Aristea, che contiene un racconto
leggendario sull'origine della traduzione greca della Bibbia. Il re Tolomeo ad Alessandria
d'Egitto avrebbe chiesto a settanta traduttori di tradurre la Bibbia per la sua biblioteca. Essi
lavorarono, ciascuno per conto proprio, su tutto il testo biblico in settanta giorni, e produssero, con
stupore di tutti, settanta traduzioni perfettamente identiche.
9 Un detto rabbinico recita: «Quando gli ebrei non ebbero più l'edificio di pietra (Tempio)
celebrarono il culto nell'edificio di carta (Torā)».
10Tra le discussioni più accese c'era quella su quali fossero i testi che "sporcavano le mani" (=
1
sacri, per cui si rendeva necessaria la purificazione dopo il loro uso). Ad esempio non c'era
unanimità sul Cantico dei cantici, in cui manca il nome divino.
1
permetteva di adeguare la Legge scritta alle circostanze nuove. Probabilmente,
essi rintracciavano l'origine di questa tradizione orale nei Profeti e negli Scritti e per
questa ragione li consideravano come «ispirati». Spesso riguardo all'attività
dell'accademia si parla di un «concilio di Iamnia» che ebbe luogo, forse, verso il
90
d.C. Purtroppo le notizie su questo supposto «concilio» sono esigue . Gli ebrei, in
11
questo periodo perturbato dagli interventi armati dei romani, insistono molto sulla
centralità della Legge, tralasciando i libri apocalittici (che pullulavano in quel
tempo), perché "pericolosi", specialmente dopo le fallite ribellioni (del 66-70 e del
131-135 d.C). Accanto a questi motivi prettamente storici se ne ritrova un
altro, legato ai libri di Esdra e Neemia.
È abbastanza chiaro che gli ebrei vedono nei libri di Esdra e Neemia
un'anticipazione e una legittimazione della propria attività. Questi libri descrivono
la ricostruzione del tempio e della città di Gerusalemme. Esdra è uno «scriba
esperto nella legge di Mosè» (Esd 7,6) che torna dall'esilio portando la legge
del suo Dio con il compito, datogli dal re di Persia Artaserse, di farla rispettare dal
suo popolo (7,14). Con ogni probabilità, gli ebrei radunati nelle accademie di
Iamnia e altrove hanno visto in Esdra e nella sua missione una prefigurazione della
propria missione nei confronti del popolo d'Israele. Il resto della storia d'Israele
era molto meno interessante, e non aggiungeva niente a quello che era
considerato necessario per permettere al popolo d'Israele di sopravvivere. Il
canone così definito, almeno nelle sue grandi linee, iniziava con la Torà data
da Dio a Mosè e finiva con la proclamazione di questa Torà da parte di Esdra.
La scena della lettura pubblica della Torà da parte di Esdra in Ne 8 è una scena
che ha dovuto apparire fondamentale agli occhi degli ebrei dopo la distruzione
di Gerusalemme. In questa Legge, il popolo tornato dall’esilio aveva posto la
sua fiducia e la sua speranza. Anche dopo la seconda distruzione del tempio e
della città di Gerusalemme, gli ebrei erano chiamati a ricostruire la propria identità
sullo stesso fondamento . 12
L'unico libro posteriore ad Esdra che è entrato nel canone ebraico è quello
di Daniele, molto probabilmente perché i racconti sugli israeliti fedeli che
vengono perseguitati (cf. l'episodio dei tre giovanetti gettati nella fornace a
causa del loro rifiuto di prestare un atto di culto all'idolo: Dn 3) venne
percepito come un testo adatto alla situazione degli ebrei dopo la disfatta di
Gerusalemme (70 d. C.).
Ritornando al nostro tema si può affermare che una lista definitiva non c'è. «Le
frontiere del canone non sono ancora fissate in modo definitivo. Almeno non
abbiamo elementi certi per poter dire che il canone breve della Bibbia ebraica
sia stabilito prima del IV secolo d.C.» . 13
11 Sarebbe meglio evitare di parlare di «concilio» di Iamnia, perché le decisioni prese non
ebbero, in alcun modo, la forza decisionale dei decreti di un concilio simile a quelli celebrati
dalle Chiese cristiane.
12 SKA, J-L., "Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane", Il libro sigillato e il
libro aperto, 133.
1
13 SKA, J.-L., "Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane", Il libro sigillato e il
libro aperto, 134.
1
Per completare il quadro va ricordato che di fatto esitono differenti "liste"
circa il canone ebraico: il canone dei samaritani (composto dei soli libri
del Pentateuco, perché nei Profeti e negli Scritti si insiste sulla centralità di
Gerusalemme, tema assente nei primi cinque libri. Illoro culto infatti si teneva sul
Garizim); il canone dei sadducei (composto del solo Pentateuco, come quello
samaritano, ma il motivo della loro esclusione dei testi profetici è legato da una
parte al rifiuto della critica mossa dai profeti nei confronti del culto e dall'altra
alla loro diffidenza verso le speranze escatologiche presenti negli insegnamenti
profetici) e il canone degli esseni (di cui sopra).
2
15 SKA, J-L., "Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane", Il libro sigillato e il
libro aperto, 142.
2
permanente sta nel fatto che è un popolo liberato da Dio: «Io sono il Signore, tuo
Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù» (Es
20,2). Di questo elemento Israele non può fare a meno. Allora la storia delle
sue origini e i libri che la custodiscono godono della normatività più alta rispetto a
tutti gli altri libri dell'AT, tanto che sono attribuiti alla personalità più autorevole
in assoluto: Mosè ne è l'autore . 16
1.3.2I Profeti
Poi si trovano i Profeti o Nebî’îm, che Accanto alla Torā formano un dittico
anche per il NT18. Il canone ebraico distingue tra profeti anteriori (che i cristiani
classificano piuttosto come libri storici: Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re) e
profeti posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i cosiddetti dodici profeti «minori»:
Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo,
Zaccaria, Malachia). I profeti "leggono" la storia alla luce della parola di Dio di
cui sono portatori, dunque la loro esperienza e i loro insegnamenti sono
autorevoli e normativi proprio per questo rapporto diretto con la parola divina. In
questo senso l'autorità dell'oracolo profetico è sorgiva. Ciononostante essi non
sono mai sganciati e autonomi dalla Legge (Torah), alla quale fanno sempre
riferimento. L'ultimo libro della raccolta dei libri profetici presenta proprio una
raccomandazione al riguardo molto esplicita: «Tenete a mente la Legge del mio
16 Questa è stata per lunghissimo tempo la convinzione al riguardo (invece si tratta di più autori e
di diverse epoche).
17 SKA, J-L., "Il canone ebraico e il canone cristiano dell'Antico Testamento ", Il libro sigillato e il
libro aperto (Bologna 2005) 103-104.
18 Cf. Lc 24,27: «… e cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che
si
2
riferiva a lui». Ma cf. anche Lc 24,44: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me
nella
Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».
2
servo Mosè, al quale ordinai sull'Oreb, statuti e norme per tutto Israele» (Ml 3,22).
Anche 2Re – considerato appunto un libro profetico nel canone ebraico –
contiene un'affermazione analoga: «Il Signore, per mezzo di tutti i suoi profeti e
dei veggenti, aveva ordinato a Israele e a Giuda: Convertitevi dalle vostre vie
malvage e osservate i miei comandi e i miei decreti secondo ogni legge, che io
ho imposta ai vostri padri e che ho fatto dire a voi per mezzo dei miei servi, i profeti»
(2Re 17,13).
«I profeti sono anzitutto custodi e interpreti della Legge» . 19
1.3.3Gli Scritti
È già stata presa in considerazione la menzione nel prologo greco al
Siracide, in cui l'autore, accanto alla Legge e ai Profeti, aggiunge un'altra
categoria di libri, detta genericamente altri Scritti (Ketūbîm) . Quanto 20
all'entità di questo terzo gruppo di scritti l'autore non fornisce elementi per
valutarne l'estensione; inoltre al tempo della formazione del canone degli scritti
cristiani questo gruppo non era ancora stato riconosciuto dagli ebrei stessi in
modo unanime.
La collezione degli Scritti secondo il canone ebraico comprende: Salmi,
Proverbi, Giobbe, Cantico, Rut, Lamentazioni, Qohelet (Ecclesiaste), Ester, Daniele,
Esdra, Neemia, 1 e 2 Cronache. Nella traduzione greca della Bibbia (LXX) accanto
a questi compaiono pure Tobia, Giuditta, Sapienza, Siracide (Ecclesiastico), Baruc
(più la Lettera di Geremia), 1-2 Maccabei, e le parti di Ester e di Daniele scritte
in greco e assenti nella versione ebraica. Questi ultimi libri, la cui canonicità
era discussa, non entreranno a far parte del canone ebraico, mentre saranno
riconosciuti in quello cristiano: i cattolici li chiamano deuterocanonici (riconosciuti
come canonici solo in un secondo momento), mentre i protestanti li
considerano apocrifi (non nel senso che diamo noi agli scritti apocrifi, di cui
oltre) .
21
Anche in questo caso gli Scritti non aggiungono nulla al Pentateuco (Legge),
ma servono per approfondirlo e meditarlo. Basti ricordare la prefazione del
libro dei salmi, il Sal 1, che fornisce in qualche modo l'intonazione dell'intera
raccolta:
«Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei
peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della Legge del
Signore, la sua legge medita giorno e notte» (Sal 1,1-2).
In sintesi riguardo alla complessa questione circa il canone e la storia del
suo riconoscimento si possono tirare le seguenti conclusioni:
1) Con la distruzione del Tempio nel 70 d.C. la religione giudaica divenne
sempre più una religione «del Libro»: questo implicava la necessità di un
canone normativo definitivo. Ma la strada fu più lunga e complessa di quello
che si immagina. Mentre c'era sostanziale accordo per il Pentateuco e i Profeti,
per gli Scritti restava una situazione "fluida", non ancora ben cristallizzata.
19 SKA, J-L., "Il canone ebraico e il canone cristiano dell'Antico Testamento ", Il libro sigillato e il
libro aperto (Bologna 2005) 109.
2
20 «Molti e profondi insegnamenti ci sono dati nella Legge, nei Profeti e negli altri Scritti successivi…
»
21 Bisogna precisare che in pratica i libri più studiati non sono i deuterocanonici (o apocrifi).
Nelle
biblioteche specializzate i commentari e gli studi dedicati a questi libri sono molto meno
numerosi di quelli consacrati ai libri più «classici» del canone breve
2
2) Le dispute sorte all'interno del Giudaismo, in particolare tra Farisei e sette di
tendenza apocalittica (vengono redatti in questo periodo moltissimi libri
apocalittici), hanno costituito uno stimolo ulteriore alla fissazione di un canone,
sollecitato in qualche misura anche dalla stessa "concorrenza" dei libri cristiani.
L'accoglienza di alcuni libri in ambito cristiano ha fatto sì che questi stessi libri
(deuterocanonici) venissero esclusi dal canone ebraico.
3) Anche se nel I sec. d.C. si poteva parlare dell'accettazione popolare di 22
o 24 libri come sacri, per la comparsa di un canone ebraico fissato bisogna
attendere il III-IV secolo.
4) L'assunzione del canone più ampio fatta dai cristiani tramite la versione
greca dei LXX può essere stata se non la causa principale comunque uno dei
motivi più rilevanti, in base al quale il giudaismo limitò il canone dell'AT ai libri che
di fatto circolavano allora nella lingua originale ebraica o aramaica.
Il canone ebraico invece termina con i libri di Esdra e Neemia e i due libri
delle Cronache. Questi ultimi due ripercorrono tutta la storia del mondo dalla
creazione sino all'editto di Ciro, che permette agli israeliti di fare ritorno a
Gerusalemme. I libri di Esdra e di Neemia invece ne formano la continuazione
logica del tutto naturale, poiché narrano l'attuarsi dell'editto di Ciro: il ritorno
degli esiliati, la ricostruzione del tempio e la riorganizzazione della comunità
(come si vede l'ordine cronologico non è rispettato, dunque la collocazione
"forzata" è voluta).
22 Si seguono sostanzialmente le considerazioni di SKA, J-L., "Il canone ebraico e il canone cristiano
dell'AT", Il libro sigillato e il libro aperto (Bologna 2005) 101-103 e 110-113.
2
23 In Is ci sono molti annunci messianici (7,13; 9,5-6; 11,1-9; 61,1-2; i carmi del servo: 42,1-4; 49,1-6; 50,4-9;
52,13–53,12).
2
Nel canone cristiano, invece, Esdra e Neemia vengono dopo 1-2 Cronache.
Se la Bibbia ebraica compie questa inversione forse è proprio per il desiderio di
concludere l'intera Bibbia con le parole dell'editto di Ciro: «Dice Ciro re di Persia:
il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha
comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque
di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta (2Cr 36,23).
Dunque notiamo due orientamenti differenti nella comprensione dell'AT: il canone
cristiano indirizza l'AT alla venuta del Messia e del suo precursore; il canone
ebraico, invece, è orientato verso la salita o ritorno a Gerusalemme.
ha solo potuto vedere il paese, l'ha potuto anche attraversare ma non ha mai
goduto il diritto di proprietà e non si è potuto stanziare stabilmente in questo
territorio, perché lui era soltanto un migrante, e non un proprietario. Una scena
analoga la incontriamo con la figura di Mosè, il quale prima di morire può
vedere il paese che Dio ha promesso ad Abramo e ai suoi discendenti, ma non
vi può entrare (Dt 34,1-4) 26. Il Pentateuco, quindi, terminando con la morte di
Mosè, si conclude senza che il popolo di Israele sia entrato in possesso della
terra promessa. Sarà Giosuè ad introdurlo nel territorio, facendogli attraversare il
fiume Giordano. E in fondo (come già detto) tutto l'AT si conclude con
quest'anelito alla terra (il ritorno a Gerusalemme e la ricostruzione del tempio:
cf. 2Cr 36,23). «L'AT è dunque una "sinfonia incompiuta". Quando il popolo farà
ritorno nella propria terra?» 27.
Certamente la monarchia ha incarnato quest'anelito, realizzando
un'indipendenza territoriale identificata nella nazione governata da un sovrano
(Davide). Ma la speranza messianica (l'attesa del discendente davidico) andrà
oltre la pura materialità di una restaurazione futura della monarchia davidica.
Infatti il NT, pur accogliendo pienamente tale attesa, l'ha anche radicalmente
24
«Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: "Alza gli occhi e dal
luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e
l'occidente. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre.
Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della
terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Alzati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io
lo darò a te"»
25
Cf. SKA, J-L., "Il canone ebraico e il canone cristiano dell'AT", Il libro sigillato e il libro aperto
(Bologna 2005) 110.
26
«Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a
Gerico. Il Signore gli mostrò tutto il paese: Gàlaad fino a Dan, tutto Nèftali, il paese di Efraim e di
Manàsse, tutto
il paese di Giuda fino al Mar Mediterraneo e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città
delle palme, fino a Zoar. Il Signore gli disse: "Questo è il paese per il quale io ho giurato ad
Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l'ho fatto vedere con i tuoi
occhi, ma tu non vi entrerai!"»
2
27
SKA, J-L., "Il canone ebraico e il canone cristiano dell'AT", Il libro sigillato e il libro aperto
(Bologna 2005) 111.
2
"contestata", dilatandone gli orizzonti: la speranza della «terra promessa» ai
patriarchi e l'attesa di un «regno davidico» fiorirà nell'annuncio dell'inaugurazione
del «regno dei cieli» o «regno di Dio». Nella predicazione di Gesù incontriamo,
infatti, una reinterpretazione radicale di questa attesa. Per questa ragione i
vangeli iniziano dal Giordano, dove predica il Battista e ha inizio la vita pubblica di
Gesù, che comincia proprio con la notizia del regno di Dio imminente 28. Ora,
Mosè si è fermato davanti al Giordano, senza poter introdurre Israele nella
terra promessa, ingresso realizzato con Giosuè. In fondo il Battesimo di Gesù è
interpretabile come un "passaggio" del fiume Giordano, come un approdo dal
deserto alla terra promessa, e lo scontro con il diavolo alle tentazioni è
paragonabile allo scontro affrontato da Giosuè per liberare dalle tribù nemiche
il territorio di Israele29.
Infine non va dimenticata una precisazione di grande interesse. Lo stesso NT
presenta una struttura "aperta". E anche in questo caso le conclusioni dei libri sono
indicative. I vangeli si concludono con l'orizzonte sconfinato dell'invio missionario
dei discepoli da parte di Gesù a tutte le genti (apertura geografica).
L'Apocalisse, che chiude il canone neotestamentario, ha come battuta finale
una promessa e una supplica orientati al futuro escatologico (apertura
cronologica): «Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni,
Signore Gesù» (Ap 22,20).
3
169- 193.
30
In queste osservazioni si seguono le riflessioni di CITRINI T., Identità della bibbia, Brescia 1982, 25-30.
3
Scritture che Gesù ha assunto e cui «ovviamente» faceva riferimento, per noi non
è affatto ovvio. Con un'analisi dettagliata si evince che preferenzialmente gli scritti
del NT citano o alludono alla traduzione greca dell'AT, la versione dei LXX (con
un'eccezione: Apocalisse, infatti, quando rinvia all'AT si riferisce al testo ebraico e
non a quello greco). Possiamo comunque dire che la testimonianza
neotestamentaria è globalmente favorevole al canone esteso.
3
piano è Gesù.
Emblematico al riguardo è il «Ma io vi dico» del discorso della montagna (Mt
5,22 ecc.), per mezzo del quale Gesù rilegge e riformula sulla propria autorità
3
personale i capisaldi dell'Alleanza. Il che non significa che Gesù abbia fondato
una legge totalmente nuova, gettando via l'antica ormai superata. Gesù
riprende il senso originario della Legge contro tradizioni interpretative che
soffocavano lo spirito della Legge stessa (cf. ad esempio Mc 7,1-13 e Mt 19,1-9).
Gesù non proclama una nuova legge, ma dà invece una nuova
interpretazione dell'antica legge […]. Gesù dunque non si presenta come un
nuovo Mosè, ma piuttosto come il più autorevole commentatore di Mosè, colui
che dà alla legge una interpretazione nuova e definitiva 31.
Per questo motivo Gesù «pone se stesso come colui che dalla torah fa scaturire
vene sorgive che la torah stessa non sapeva liberare»32; infatti egli
afferma di essere venuto «non per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17).
L'intento di Gesù è diretto contro la mentalità legalistica. Egli voleva che
l'uomo adempisse con tutte le proprie forze la volontà di Dio. Matteo orienta in
modo più deciso la direttiva di Gesù nel senso della legge. Secondo la sua
interpretazione, Gesù ha portato a compimento la legge, ossia ha annunciato la
definitiva volontà di Dio […]. L'autorità con cui Gesù parla non può essere
precisata nel senso che egli si sia rivolto contro l'autorità di Mosè, ma consiste
invece nel modo di interpretarla. Egli non fonda la propria idea, cioè la volontà
di Dio da proclamare, su passi scritturistici, come erano soliti fare i capiscuola,
ma parla come chi è liberamente investito di pieni poteri 33.
Paolo di conseguenza dirà che la legge è confermata, ma anche abrogata
(cf. Rm 3,31. 7,1-6 ed Ef 2,15). L'AT in questo modo riceve una riqualificazione
ermeneutica, perché raccoglie più la speranza di Israele che la sua memoria, e
pone al centro dei tempi non il passato ma il compimento dei tempi stessi,
l'eschaton, il quale si dà nell'avvento del regno di Dio, nella figura del Figlio
dell'uomo e nel mistero della Nuova Alleanza. Anche i profeti, più che
autorevoli difensori ed interpreti della Torā, diventano in questa prospettiva
anzitutto testimoni a favore di Gesù (Lc 9,30-31 34; 24,25-27.44-47). Potremmo
dire così: se prima il baricentro delle Scritture era il Pentateuco, autorità più
alta all'interno dell'insieme dei libri biblici, ora con Gesù questo baricentro s'è
definitivamente spostato sulla sua persona e sul suo insegnamento.
Se il canone dell'AT è assunto senza essere modificato, la dinamica interna
della sua canonicità invece è capovolta. Già s'è notato come la tensione verso
la terra (il tempio e Gerusalemme), che connota il canone ebraico, è
riformulata dal canone cristiano come attesa di una figura ventura (il Messia).
D'altro canto una rilettura cristocentrica delle Scritture veterotestamentarie fa
emergere linee di forza diverse, gettando luci nuove di comprensione e di
strutturazione teologica, le quali, se reinterpretano e rileggono l'AT, non ne non
autorizzano però l'archiviazione.
31
SKA, J. L., "Mosè – Giosuè – Gesù", in La strada e la casa. Itinerari biblici (Bologna 2001) 184
32 CITRINI T., Identità della bibbia, Brescia 1982, 28.
33GNILKA, J., Il vangelo di Matteo (Brescia 1990) 301.
34 Mosè ed Elia con la loro presenza attestano e ratificano che la passione di Gesù è il
compimento delle Scritture: «Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi
nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita (esodo) che avrebbe portato a compimento a
3
Gerusalemme» (Lc 9,30-31).
3
Anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel suo sangue, tuttavia i libri
dell'AT, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e
manifestano il loro completo significato nel NT, e a loro volta lo illuminano e lo
spiegano (DV 16, nn. 14-15).
3
libro aperto, 149.
3
della fede cristiana, dunque, bisognava affidarsi a mezzi più attendibili e
durevoli della pura memoria e del semplice racconto orale. b) La scomparsa dei
primi testimoni oculari (gli apostoli) e il ritardo della parousia (ritenuta almeno
inizialmente imminente) costrinsero le comunità cristiane a far subentrare alla
tradizione orale altri mezzi più duraturi – i testi scritti –, adatti a consegnare
alle generazioni future e per un lungo periodo il patrimonio della fede. c) Le
controversie con il giudaismo e quelle interne al cristianesimo (in particolare
alcune affermazioni critiche di Paolo nei cfr. dell'Antica alleanza) obbligarono le
Chiese cristiane a rivedere il loro parere nei confronti dell'AT. Anche la
posizione avversa di Marcione verso l'AT (di cui vedremo in seguito) provocherà
i cristiani a difenderne la validità.
3
che furono scritte da Paolo (homologoumena: "riconosciute"); di altre, invece, se
ne mette in dubbio la paternità letteraria (antilegomena: "discusse"), anche se
si riconosce la derivazione paolina del pensiero teologico. Le lettere
riconosciute sono: 1 Tessalonicesi, 1 e 2 Corinti, Romani, Galati, Filippesi,
Filemone. Le lettere discusse sono: 2Tessalonicesi, Colossesi ed Efesini37, 1 e 2
Timoteo, Tito (cosiddette pastorali).
37Colossesi ed Efesini assieme a Filippesi e Filemone, sono dette le lettere della prigionia.
38 SKA, J-L., "Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane", Il libro sigillato e il
libro aperto, 156.
39 Il dibattito sulla datazione dei vangeli non è ancora del tutto chiuso circa le date precise. Sul
periodo però c'è ormai consenso unanime: fine del I secolo, 60 – 100.
40 GIUSTINO, Apologia 1,39.66-67; Dialogo con Trifone, 103.
4
accordare la preferenza ad un vangelo in particolare, ignorando gli altri
(criterio di selezione), o combinare diversi vangeli in uno (criterio di fusione).
Infatti questa posizione riduzionistica da una parte indusse Marcione ad
accogliere solo Lc (selezione) e a respingere gli altri, e dall'altra spinse Taziano
a comporre il Diatessaron (fusione)41. L'uno e l'altro tentativo furono respinti
come tentazione 42. L'uso anche successivo delle chiese continuò a manifestare
preferenze per questo o quel vangelo, ma sulla base della compresenza dei
quattro, e cercò di spiegarne la complementarità in modi diversi, appellandosi
alla storia della loro origine e alla diversità della loro impostazione.
Ireneo (fra il 170 e il 180) teorizza con un'argomentazione più simbolica che
teologica la necessità del numero quattro riguardo ai vangeli, collegandolo ai
quattro venti e ai quattro punti cardinali, ai quali è destinata la predicazione
apostolica43. Non si conoscono con esattezza i motivi e le tappe storiche della
compaginazione e affermazione quadriforme del corpo dei vangeli. Rimane
comunque una questione di natura teologica, che già sollecitava gli
antichi: perché quattro vangeli? Che è mai questa testimonianza, perché essa
giunga a noi in quadruplice forma canonica? Anche se originariamente la loro
origine è da collocarsi in chiese e per chiese diverse e, quindi, inizialmente
almeno potevano essere percepiti come scritti alternativi, la loro compresenza
nel canone suggerisce che essi siano stati lentamente compresi come
testimonianze complementari, che si integrano ed arricchiscono
reciprocamente. Comunque le considerazioni di Ireneo non furono certo
ininfluenti nell'accoglienza della canonicità dei quattro vangeli.
Diversi sono i motivi che hanno contribuito al successo dei quattro vangeli
canonici. Il più importante fu quasi certamente la loro origine «apostolica», diretta
per Matteo e Giovanni, e indiretta per Marco (discepolo di Pietro) e Luca
(discepolo di Paolo)44. I quattro vangeli canonici potevano rivendicare una
maggiore antichità e una maggiore diffusione, inoltre provenivano da comunità
più influenti (Mt in Siria, Mc a Roma, Lc ad Antiochia o alla Grecia, e Gv ad Efeso).
Infine, la preferenza è spiegabile anche per il fatto che Mt, Mc, Lc e Gv sono più
completi, presentano una ricca varietà di tradizioni (discorsi, narrazioni, parabole,
singoli detti, racconti completi sulla passione e la risurrezione), sono scritti in
uno stile semplice e accessibile, e soprattutto si presentano meno unilaterali
rispetto ai vangeli di Pietro, di Tommaso, e al protoevangelo di Giacomo, ed
erano quindi più adatti alle varie esigenze delle comunità cristiane. Tra il II e il III sec.
il " corpo quadriforme dei vangeli" è ampiamente diffuso e utilizzato.
Infine va sottolineato il fatto che Mt, Mc, Lc e Gv hanno acquistato lo statuto
canonico non isolatamente ma insieme, come gruppo. Diverse, tuttavia, erano
le modalità di "catalogazione". In occidente prevaleva un ordine di
«autorevolezza»
41 Il termine te,ssarej indica il numero 4, diatessaron significa "[uno] per mezzo dei quattro". Si tratta
dunque di un compendio riassuntivo desunto dai quattro vangeli.
42 Anche se nelle Chiese orientali della Siria il Diatessaron di Taziano fu utilizzato per lungo
tempo. 43 IRENEO, Adversus Haereses, 3,11.8-9.
44 Anche alcuni vangeli apocrifi, pur attribuiti ad apostoli furono comunque esclusi dal canone: il
4
Vangelo di Pietro e il Vangelo di Tommaso.
4
circa l'autore: Matteo e Giovanni (apostoli) precedevano Marco e Luca
("soltanto" discepoli). In oriente, invece, prevaleva un ordine cronologico (come si
riteneva allora): Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Questa, tra l'altro, è la
collocazione canonica a noi pervenuta 45.
Circa lo scritto "Atti degli Apostoli" esso fa parte di un dittico composto da Luca
verso l'80 come un'unica opera letteraria in due tempi: Vangelo e Atti. Gli At
mostrano che la predicazione degli apostoli Pietro e Paolo continua l'attività di
Gesù e realizza la diffusione del vangelo nei paesi che si affacciano sul
Mediterraneo. At diventa un libro popolare dopo Marcione (150 c.a), che lo
esclude dal suo «canone», e acquista uno statuto "quasi canonico" verso il 200.
45 In realtà Matteo precede Marco perché Matteo è stato ampiamente utilizzato nella catechesi
a causa della presenza di numerosi discorsi. L'ordine attuale risale alla scelta di S. Girolamo nella
sua traduzione latina, la Vulgata (400 ca.), che si impose come versione ufficiale nella Chiesa latina.
46 SKA, J-L., "Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane", Il libro sigillato e il
libro aperto, 160.
4
Gerusalemme (350), Atanasio di Alessandria (367), Gregorio di Nazianzo (400),
Agostino (400), liste poi sancite dai concili di Ipponio (393) e di Cartagine (397).
Comunque solo Atanasio di Alessandria ci offre una lista di ventisette libri senza
avere alcun tentennamento a proposito dell'uno o dell'altro libro 47;
Eusebio, invece, non si mostra sicuro verso alcuni scritti sulla cui canonicità
fatica a pronunciarsi (Eb, Gc, 2Pt, 2 e 3Gv, Gd e Ap). Le discussioni si
protrarranno certamente fino alla fine del IV secolo, soprattutto a proposito
della Lettera agli Ebrei e di Apocalisse, accolte nelle chiese di Occidente, ma
guardate con riluttanza in Oriente.
Le prime "edizioni" complete di un testo del NT risalgono attorno al IV-V sec 48. Il
primo codice completo è il Codex Vaticanus49 (IV sec.), c'è poi il Codex
Sinaiticus50 (IV sec., ma leggermente più recente del Vaticanus) infine il Codex
Alexandrinus51 (inizio del V sec.) Questo fatto attesta che «le discussioni sul
canone si sono protratte per lungo tempo. Si può pensare che la possibilità, nel
IV secolo, di produrre codici capaci di contenere tutta la Scrittura abbia spinto
le autorità ecclesiastiche in oriente e in occidente a stabilire in modo più chiaro
le frontiere del canone».