APPUNTI 19/03/21
Quando parliamo di sistemi classificativi, possiamo distinguere:
Un sistema di classificazione categoriale
Un sistema di classificazione dimensionale: è di ausilio quando dobbiamo fare una
psicoterapia, non ci costringe solo ad un ambito ristretto ma di valutare anche in assenza di
una patologia conclamata gli aspetti più problematici
Quando non si riesce a condividere l’obiettivo terapeutico, c’è bisogno dello sforzo del terapeuta
per capire dov’è l’elemento problematico del paziente.
Spesso avere in mente un sistema di classificazione dimensionale ci consente di iniziare a vedere
come aiutare un paziente, per esempio nei disturbi di personalità.
Sul piano categoriale i disturbi dell’umore possono dividersi in:
Disturbi depressivi
Disturbi bipolari
Secondo il criterio categoriale dobbiamo avere cinque o più dei seguenti sintomi (umore
depresso o perdita di interesse o piacere).
Aldilà della classificazione categoriale nello spettro depressivo abbiamo l’area dell’affettività,
del pensiero, quella somatica e la psicomotricità. È importante valutare la personalità
premorbosa: esempio la paziente presenta sempre una tonalità depressiva, quindi non presenta
uno scatto improvviso. La paziente dice di star bene da sola. È importante identificare lo stile di
attaccamento del paziente; quando facciamo l’ipotesi dobbiamo fare per prima cosa una
confutazione (potrebbe essere un attaccamento ambivalente, andiamo a disconfermare
quest’ipotesi). La paziente ha avuto sempre questo spettro depressivo, dobbiamo vedere se e
quanto compromette il suo iter esistenziale. Possiamo chiedere per esempio degli episodi
concreti (mi racconta la giornata di ieri) per rilevare l’elemento patologico, quello che
compromette la sua vita. L’aspetto interessante è capire con la paziente gli elementi che non ci
fanno raggiungere la libertà. C’è una venatura di tristezza cronica e continua, la vergogna
determina umore triste e apatia perché la paziente vive sempre dentro casa, questo è connesso a
un pensiero pessimista di impotenza (connesso al tema della vergogna, dell’autosufficienza e
autoinsufficienza); questo sostiene una rappresentazione di sé come inadeguato e dell’altro
come minaccioso. Bisogna fare un percorso che vede nella risoluzione della vergogna il primo
passaggio fondamentale, andando a lavorare su queste due rappresentazioni, rendendo il
paziente meno impotente e più agente. Questo vuol dire presentare l’obiettivo e il compito,
stiamo presentando un lavoro congiunto sui suoi problemi e stiamo già gettando le basi per
l’alleanza terapeutica (fattore che ci permette di capire se la terapia avrà un buon esito oppure
no). Quando l’alleanza terapeutica è in crisi aumentano di molto le possibilità di un drop out da
parte del terapeuta. L’alleanza terapeutica è costituita da 3 obiettivi fondamentali: i goal
(obiettivi), i task (strumenti e le aspettative del paziente rispetto agli obiettivi) e il bond (legale
affettivo). Il clima di fiducia reciproca è l’elemento fondamentale; se manca l’obiettivo
terapeutico si può riformulare, quando manca l’idea di come raggiungere gli obiettivi si può
riparare, mentre quando vi è una crisi del bond c’è un problema. Il bond implica il fidarsi
dell’altro (il terapeuta deve fidarsi del paziente e viceversa).
Questa è una definizione ateoretica, ha una valenza importante e condivisa in tutto il mondo.
L’alleanza terapeutica è fortemente condizionata da 3 elementi che la definiscono:
È dimensionale: può essere migliore o peggiore. Un tempo i cognitivisti pensavano che essa
fosse come le posate per mangiare, è ovvio che ci sta e ci deve stare; veniva percepita come
una cosa dicotomica (o c’è o non c’è). Se aumenta la cooperazione aumenta la capacità
metacognitiva. Se vediamo che la cooperazione è correlata in maniera molto significativa con
la metacognizione, è possibile ridurre i sintomi: la metacognizione diventa sia un goal che un
task. Possiamo dire che quando cala la cooperazione cala anche la metacognizione e quando
cala la cooperazione si riduce l’alleanza terapeutica. All’interno della relazione terapeutica la
cooperazione cresce e si abbassa rapidamente.
È dinamica: cambia nel tempo, a seconda di una situazione
Nasce dall’interazione tra paziente e terapeuta: lo psicoanalista era uno schermo sul quale il
paziente proiettava le sue fantasie; con la svolta relazionale (anni 70-80) è l’interazione tra
paziente e terapeuta che crea la relazione basata sull’alleanza.
Attraverso la svolta relazionale l’alleanza terapeutica diventa una terapia tra due menti.
Utilizzando le 4 aree funzionali possiamo ravvisare una particolare area gravemente
compromessa, quella della diffusione dell’identità, mancata integrazione tra le parti. la presenza
di quest’area compromessa e la mancanza di altri tratti patologici ci consente di dire che si parla
di una personalità borderline. Parliamo di disorganizzazione dell’attaccamento quando parliamo
di rappresentazione di me e dell’altro come caotiche, discontinue, disorganizzate. Questa
disorganizzazione in alcuni casi può essere il presupposto per la dissociazione, la
disintegrazione, in quanto ci sono rappresentazioni incompatibili tra loro. Questa
disorganizzazione dei modelli operativi interni può rappresentare la genesi del disturbo
dissociativo.
Nella paziente notiamo anche abulia, rallentamento psicomotorio; per quanto riguarda gli
indicatori neurovegetativi la paziente non presenta alterazioni. Pazienti con disturbi alimentari e
con disturbi ossessivi fa difficoltà a parlare di questi indicatori, quando lo fanno vuol dire che
hanno buona fiducia nel terapeuta.
Il paziente depresso si sente in colpa perché magari con gli sbagli ha provocato il malessere
della famiglia, fino al delirio di colpa. Mostra anche difficoltà a concentrarsi, disturbi mnesici.
A volte è difficile distinguere tra diagnosi di depressione e pseudodemenza, soprattutto se il
paziente ha un’anamnesi negativa.
Nel paziente depresso maggiore bisogna valutare attentamente la possibilità di suicidio,
soprattutto se il disturbo affettivo è in comorbidità con i disturbi di personalità.
In psichiatria l’unica vera emergenza è il rischio suicidario; se esso è alto è importante fare una
cooterapia con lo psichiatra. Se c’è una patologia depressiva maggiore o una comorbidità con
disturbo borderline bisogna pretendere che si vada a recuperare. Quando c’è in rischio molto
grande il paziente necessita di ricovero. Ci possono essere anche ideazioni di sparizioni.
26/03/21
Epidemiologia del comportamento suicidario
Tra le condotte suicidarie c’è il parasuicidio: tentato suicidio
Il mancato suicidio è una situazione più grave, le modalità sono appropriate e quindi il paziente
è salvo per miracolo. Il nostro atteggiamento è quindi diverso.
Nei paesi freddi del nord Europa il tasso di suicidio è più alto, inoltre il suicidio è molto più
frequente negli uomini di tutte le età. Le donne tentano il suicidio 3 volte più degli uomini.
Quando abbiamo davanti un paziente ci sono dei self report che ci consentono di valutare questo
rischio, ma non sono molto predittivi; non sempre ci possiamo basare solo su questi indicatori.
È anche molto importante il giudizio clinico. Gli indicatori di rischio sono:
Il sesso maschile
Celibe o persona priva di supporto parentale
Disoccupazione
Lutto recente
Pensionamento recente
La perdita del ruolo implica la perdita dell’identità, perdita delle aspettative degli altri nei propri
confronti e quelle nei confronti di sé stesso. Tutto ciò incide sul piano della vergogna: spesso si
uccidono quelli che hanno un disturbo evitante di personalità, che evitano il confronto con gli
altri e con sé stessi. Da questo confronto la persona ne esce sconfitta, quindi emerge il tema
della vergogna in cui gli altri giudicano. Se percepisco un senso di sconfitta non riesco a
sopravvivere perché non mi sento più meritevole. Il tema della vergogna identitaria è legato alla
perdita dell’identità, concetto più globale; parliamo di qualcosa che è difficilmente riparabile
con una psicoterapia, impossibile senza di essa. Le persone che connettono la bravura,
l’eccellenza all’amabilità, un fallimento in queste persone coincide con un fallimento
identitario. A ciò è legata la sindrome dell’impostore, secondo cui la persona anche se ha
raggiunto il massimo di quello che doveva raggiungere crede che qualcuno possa vedere che ho
sempre truffato e che posso essere scoperto.
Diversa è la vergogna funzionale, che si riferisce invece a quello che fai. (Es se sono bocciata a
un esame in cui ho studiato due giorni lo farò alla sessione successiva; ho funzionato male
perché ho studiato poco).
Fenomeno del puntamento dell’osso: gli psichiatri transculturali hanno osservato che esiste un
fenomeno per cui se la persona fa qualcosa che non doveva fare il capo della tribù punta un osso
fatto a Y su questa persona. Il puntamento dell’osso indica esclusione dal gruppo, una
punizione. In questi casi le persone andavano spesso incontro a fenomeni di psicosi reattiva
breve fino ad arrivare alla morte. La vergogna, in questo senso, implica anche fenomeni di
morte improvvisa, ma sicuramente maggiormente disturbi psicotici brevi e reattivi.
Capire il comportamento suicidario a posteriori è molto difficile, almeno che il paziente non ci
lasci una lettera.
Altri fattori di rischio sono l’età avanzata, con un picco dopo i 45 anni, ma vi è un forte aumento
dell’incidenza di suicidio fra i giovani. Inoltre anche la dipendenza da alcol e sostanze, la
presenza di malattie croniche o terminali (persona che ha un tumore e che non ha più speranze
di vita); inoltre comportamenti suicidari pregressi o pazienti con una storia personale di malattia
mentale (disturbi affettivi, schizofrenia). Infine, la famigliarità per malattia mentale o l’avere
altri suicidi in famiglia.
Quando una persona sopravvie a un trauma importante accade un cambiamento del DNA; se
cambia la struttura chimica del DNA, diventa ereditario (si trova anche nei figli).
Es. una ragazza che ha avuto una esperienza traumatica, il nonno abusava di lei da piccola.
Secondo lei dopo quello che è successo c’è stato un cambiamento chimico: si parla di
neuroepigenetica.
Le ore del mattino sono le preferite per l’esecuzione di atti suicidali, aspetta di essere solo. Per
esempio nelle depressioni in cui c’è un enorme componente ansiosa, l’ansia aumenta di mattina.
L’impiccagione, la precipitazione e l’allegamento e l’avvelenamento sono i modi più utilizzati.
È stato effettuato uno studio su 95 pazienti che presentavano autolesionismo e tentativi di
suicidio. La fobia sociale e il disturbo bipolare sono associati al tentativo di suicidio. Predittori
di questo comportamento sono per esempio l’abuso infantile e i disturbi di personalità del
cluster B.
Fattori di rischio per la ripetizione del tentativo di suicidio:
Età superiore ai 65 anni
Sesso maschile a qualsiasi età
Disturbi depressivi
Disturbi di personalità
Sintomi psicotici
Abuso alcolico
Impulsività
Basso livello sociale
Utilizzo di un mezzo violento nel primo tentativo
Occultamento attivo dei propositi autolesivi (se una persona non ne parla o comunque lo fa
con difficoltà)
Altri segni premonitori sono:
Cambiamento nelle abitudini alimentari o nel ritmo del sonno (es una persona che inizia
a svegliarsi alle 5 di mattina per saltare la corda; oppure la persona inizia a chiudersi nel
bagno a mangiare merendine, caramelle, le nasconde e incomincia a vomitare)
Allontanamento dagli amici, dalla famiglia e dalle normali attività (negazione di
abitudini di convivenza nella famiglia, cambia le sue normali attività)
Azioni violente, comportamenti di ribellione, tendenze a fuggire
Uso di alcol e droghe
Scarsa cura della propria persona
Significativo cambiamento nella personalità (con i comportamenti molto diversi dal
solito)
Persistente stato di noia, difficoltà di concentrazione, diminuzione della resa a scuola o
sul lavoro
Continue lamentele di disturbi, come mal di pancia, mal di testa, fatica ecc, spesso legate
ad emozioni
Perdita di interesse nelle attività di svago
Insofferenza nei confronti di elogi o riconoscimenti
9/04/21
Qual è il focus del lavoro? Prevedere i problemi del paziente e le eventuali ricadute negative; per
evitare le ricadute dobbiamo rilevare gli elementi di gravità:
Bisogna capire se il paziente è a rischio suicidario
Bisogna vedere se il paziente ha un esordio psicotico oppure no. L’esordio psicotico è
l’esordio schizofrenico che generalmente avviene intorno ai 18 anni; poi bisogna valutare se
è schizofrenico oppure no (questa è l’eventualità peggiore). L’esordio psicotico è
generalmente schizofrenico ma non è per forza così. Potrebbe esserci un esordio psicotico
che ha un andamento più positivo e meno grave di quello schizofrenico. Si ha una psicosi
quando una persona scambia il mondo interno con la realtà. In questo caso la diagnosi
precoce non è un elemento importante, tutt’altro, perché potrebbe essere uno stigma che
comporterebbe il focalizzare l’attenzione del clinico solo su alcuni sintomi.
Il farmaco serve al paziente per “accendere la luce nella stanza buia”. In molti contesti è utile la
co-terapia, ossia l’uso dei farmaci da parte dello psichiatra insieme ad una buona psicoterapia.
CASO ANDREA
Andrea è stato presentato dai genitori come un ADHD complesso con problematiche di rabbia
(incapace di regolare i suoi stati emotivi) e di isolamento sociale, ma già nel primo incontro si è
dimostrato molto più grave di come era stato descritto (fa autolesionismo tagliandosi sul collo,
brucia oggetti in bagno, distrugge casa ogni volta che si arrabbia (reazione pantoclastiche)). Ieri sera
ha detto “sua sponte” che per un paio di settimane è stato convinto di vivere in un reality show, tipo
The Truman Show, perché tutti lo fissavano e si sentiva circondato da attori. Parla di una
convinzione di due settimane fa, è come se riuscisse a commentare criticamente un pensiero che è
stato abbastanza delirante. Mentre il terapeuta indagava questa sua convinzione per capirne la
solidità e la pervasività, ha detto che da due anni sente delle voci, che sa che provengono dalla sua
testa, ma alle quali non riesce a non obbedire. Il terapeuta ha mantenuto la calma e ha indagato.
Solo loro a ordinare gli atti autolesivi e la distruzione di oggetti e gli dicono che nessuno lo ama e
che non vale niente. Momento più difficile è stato quando il terapeuta si è concentrato sul “qui e
ora” perché ha notato che ha iniziato ad innervosirsi, si strofinava gli occhi e prima di rispondere
restava molto a lungo in silenzio e alzava lo sguardo come se ascoltasse qualcosa...
L’utilizzo della metafora di Harry Potter è stato vincente perché permette di accedere all’emisfero
dentro con le immagini chiare. Il significato è una rappresentazione che il paziente conosce bene.
La terapeuta ha fatto un rapido monitoraggio degli stati emotivi del paziente. Percepisce la
vulnerabilità del paziente, si attiva il sistema di accudimento.
I genitori non avevano comunicato lo stato psicotico del figlio, il quale è stato portato da uno
psichiatra che gli ha prescritto Haldol e mezza compressa di Resilient. L’Haldol ha aumentato le voi
del paziente, causandogli più agitazione e confusione mentale, nonché insonnia e aumento
dell’ansia.
Sintomi
A. Sintomi caratteristici (due o più dei sintomi seguenti, ciascuno presente):
1. Delirio
2. Allucinazioni
3. Eloquio disorganizzato (es frequenti deragliamenti o incoerenza)
4. Comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico
5. Sintomi negativi, cioè appiattimento dell’affettività, alogia, abulia
Nota: è richiesto un solo sintomo del Criterio A se i deliri sono bizzarri, o se le allucinazioni
consistono di una voce che continua a commentare il comportamento e i pensieri del
soggetto, o di due o più voci che conversano tra loro.
Il paziente può avere un delirio o comunque un’ideazione molto bizzarra (es credere che
tutti ce l’abbiano con me); il clinico deve capire dove finisce un disturbo schizotipico e
inizia un delirio (che quindi assomiglia alla schizofrenia), la psicosi. A volte è proprio
difficile riconoscere un delirio, ma se questo effettivamente altera il comportamento e il
modo di sentire parliamo di un delirio che ha una certa consistenza. Es delirio “la gente ce l
‘ha con me”
Delirio
Idea falsa e non criticabile che viene sostenuta dal paziente, con certezza e
convinzione
È del tutto personale, soggettiva, bizzarra (privata)
Implica isolamento (privativa)
Non è riferibile al retroterra culturale e sociale del paziente
Tipologie:
Deliri di colpa: paziente crede di aver commesso un peccato o qualcosa di terribile
Deliri di grandezza: paziente crede di avere poteri o capacità speciali
Deliri di persecuzione: paziente è convinto che qualcuno trami contro di lui o lo perseguiti
Deliri di gelosia: paziente è convinto il proprio coniuge lo tradisca
Per fare questo possiamo utilizzare tutte le risorse, dobbiamo raccogliere tutte le informazioni che
provengono da tutte le fonti di cui disponiamo.
L’intervistatore deve essere empatico, sensibile, facilitare un grado di collaborazione.
DISTURBI DI PERSONALITA’
Cosa sono i disturbi di personalità? Sono pattern esperienziali e comportamentali stabili,
durevoli, significativamente devianti sul piano cognitivo, affettivo e sociale. Sono inflessibili (sono
rigidi) e pervasivi in più aree. Sono responsabili di marcata sofferenza e disagio relazionale
(impairment). Sono presenti sin dall’infanzia/adolescenza. Non sono dovuti ad altri disturbi mentali
e non sono dovuti all’uso di sostanze o ad altre condizioni mediche. Le persone affette da un
disturbo di personalità riescono sempre a riconoscere mondo interno e mondo esterno (sono quindi
meno gravi dei disturbi psicotici)
Manuale DMS 5: disturbi di personalità
In questo manuale abbiamo un sistema ibrido che ci consente di fare sia una diagnosi categoriale
(senza alcuna indicazione di gravità) sia dimensionale (con la sezione terza ci permette di fare una
valutazione più raffinata e ci permette di capire quali sono gli aspetti gerarchicamente più
importanti). Nella prima fase della terapia bisogna identificare gli obiettivi (impliciti ed espliciti) e
non è così semplice. Dobbiamo prima affrontare gli obiettivi espliciti ma il paziente non è ancora
consapevole di tanti schemi interpersonali perché non sa riconoscere i suoi desideri. L’obiettivo
impliciti potrà diventare esplicito solo dopo che sarà completo il lavoro sulle strutture interne del
paziente.
Il sistema categoriale:
DISTURBI DI PERSONALITA' DEL GRUPPO A
- Disturbo Paranoide di Personalità
- Disturbo Schizoide di Personalità
- Disturbo Schizotipico di Personalità
Criticità:
Assenza di indicazioni per il trattamento
Difficile con pazienti meno consapevoli e più manipolativi
Difficile capire quando un tratto è patologico
Disturbo di personalità schizotipica: disagio nelle relazioni interpersonali e ridotta capacità nelle
relazioni strette, distorsioni cognitive e percettive, eccentricità nel comportamento.
1. Pensiero magico
2. Esperienze percettive insolite quali illusioni corporee
3. Ideazione paranoide
4. Affettività inappropriata o coartata (più spesso inappropriata)
Disturbo borderline di personalità: instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e
dell’umore e impulsività.
1. Profondo sentimenti di instabilità e incertezza circa la propria identità
2. Paura cronica di essere abbandonati
3. Drammatica instabilità nelle relazioni affettive
4. Marcata reattività dell’umore (rapide oscillazioni del tono emotivo fra depressione, euforia,
irritabilità e ansia)
5. Frequenti esperienze di collera immotivata.
6. Cronici sentimenti di vuoto interiore.
7. Transitori, ma ricorrenti sintomi dissociativi (depersonalizzazione, amnesie lacunari, stati
oniroidi di coscienza) oppure di ideazione paranoide.
8. Comportamenti auto-lesivi impulsivi e incontrollabili (abbuffate compulsive, promiscuità
sessuale senza attenzione a rischi di infezioni o di gravidanze indesiderate, cleptomania,
abusi di alcool e droghe, ferite auto-procurate).
9. Minacce o tentativi ricorrenti di suicidio.
Il disturbo borderline viene aggiunto nel DSM-III includendo quei pazienti che venivano di solito
diagnosticati all’interno della schizofrenia di tipo latente.
Il 68% era stato abusato sessualmente (Herman et al. 89)
Vengono individuati diversi sottotipi e viene anche raffigurato un continuum in cui il disturbo
narcisistico rappresenta il punto più alto mentre il vero paziente borderline è situato nel punto più
basso.
Il 91% ha una diagnosi aggiuntiva mentre il 42% ne ha due o più di diagnosi
I due terzi dei pazienti borderline diagnosticati sono donne poiché spesso i pazienti maschi vengono
spesso diagnosticati come affetti da disturbi narcisistico o antisociale.
La prevalenza nella popolazione clinica è intorno al 20% e nella popolazione generale oscilla tra il 2
ed il 4%.
Dopo 5 o 6 anni di trattamento, in studi a lungo termine, i pazienti borderline spesso cominciano a
mostrare un sostanziale miglioramento. La percentuale di suicidi è circa del 7-8%, minore cioè a
quella dei pazienti affetti da schizofrenia-15%-o da disturbi schizoaffettivi-24% circa. La maggior
parte dei suicidi avviene durante la prima decade della malattia, con una notevole riduzione dopo i
30 anni d’età.
Relazione del borderline con i disturbi affettivi: Benché il Disturbo borderline sia nato come
patologia marginale, cioè al confine con la schizofrenia, con il passare del tempo è stato messo in
relazione soprattutto con i disturbi affettivi piuttosto che con la schizofrenia (Mc Glashan 1983,
Rinsley 1881, Stone 1980, 1987). Questi autori suggeriscono una sovrapposizione del 40-70% tra
queste due patologie.
CARATTERISTICHE IN ORDINE DI IMPORTANZA (Gunderson, 1987)
Relazioni instabili e intense
Autolesionismo
Paure abbandoniche croniche
Affettività disforica
Impulsività
Scarso adattamento sociale
SOTTOTIPI DEL BORDERLINE (Grinker, 1968)
Versante psicotico, comportamento non adattivo e esame di realtà a volte alterato
Nucleo della sindrome, affettività e inconsistente identità
Gruppo come-se, relazioni non spontanee “sono come tu mi vuoi”, anaffettività
Versante nevrotico, aspetti nevrotici narcisistici
SOTTOTIPI DEL BORDERLINE (Rosenfeld)
Psicotici
Infantili
Come-se (finti sani)
Abusati
Narcisisti
30/04/21
Quando ci troviamo di fronte ad un caso clinico, il primo colpo d’occhio aiuta l’osservatore esterno
a capire cosa ha davanti. Poi passiamo a descrivere lo status (disturbi del pensiero, dell’affettività,
della psicomotricità, disturbi delle percezioni, disturbi della coscienza). Dopo aver fatto uno status
prendiamo in considerazione la storia.
Mostra una psicomotricità affettivamente coartata e un disturbo dell’affettività che possiamo
chiamare disturbo d’ansia. Esso può essere primario o secondario. In questo caso è primario. C’è
anche uno sviluppo depressivo, svalutazione e un tentativo di suicidio. Si tratta di un disturbo
d’ansia generalizzato.
Iniziamo il ragionamento con uno status, dopo aver fatto un esame fenomenologico dei sintomi
raccogliamo la storia. Valutare la personalità premorbosa. Incominciamo a fare una diagnosi e poi
vediamo anche la storia di attaccamento che ha avuto e iniziamo ad impostare un’alleanza
terapeutica, cioè il momento in cui iniziamo a definire l’obiettivo.
Disturbo evitante di personalità: ci sono sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio
negativo.
Evitamento di attività lavorative che implichino uno stretto contatto interpersonale
Inibizioni delle relazioni intime per paura di essere ridicolizzato
Riluttanza ad assumere rischi personali
Il nucleo di questo paziente è la vergogna.
Disturbo dipendente di personalità: eccessivo bisogno di essere accuditi, che determina un
comportamento sottomesso e dipendente, al fine di evitare la separazione.
Difficoltà a prendere decisioni autonome o a esprimere disaccordo a iniziare progetti
Si fa carico anche di compiti spiacevoli pur di ottenere accudimento da altri
Quando termina una relazione stretta ne ricerca urgentemente un’altra come fonte di supporto
Timore non realistico di essere lasciato a provvedere a sé stesso
Nel disturbo dipende invece il nucleo è la perdita della figura d’attaccamento.
Modello dimensionale: è presente una compromissione del sé o interpersonale in almeno due delle
4 aree di funzionamento.
7/05/21
Caso in corso di svolgimento, paziente molto problematica. Primo incontro vede lei e la madre. Ha
34 anni, non si capisce se è attraente oppure no. È molto curata, si presenta bene. Lei è molta
apparenza ma sotto si fa fatica a capire chi è. Si presentata come una persona tutto sommato
dimessa, è stata capace di mantenersi da sola ed essere autonoma. Conosce bene 3 lingue. È figlia
di una preside, una donna molto colta.
Non presenta nessun disturbo del pensiero, è però dimessa nei contenuti che esprime. Lei è stata
un anno con un uomo con il quale conviveva, un uomo ricco, litigavano molto spesso. Queste
litigate finiscono che lui punta le pistole. Lei è inconsapevole del rischio e sempre piuttosto
autentica. Lui viene descritto come uno che si bombarda di porno, è molto sadico sul piano
dell’intimità, intrattiene diverse relazioni in parallelo. Una volta le ha sparato a salve. Lei lo
giustifica molto. Lui a settembre a lascia e la caccia da casa. Lei inizia a bere. Lui quando lei
chiamava faceva rispondere da altre donne. Si rimettono insieme e le impone una sorta di
decalogo (quello che puoi e non puoi esigere). Lei non vede il pericolo ma delle sceneggiate per
far paura.
La madre inizia a scrivere al terapeuta perché lei in casa diventa molto violenta, con la madre. È
un atteggiamento ambivalente. La figlia va a provocare la madre e le dice “tu non mi vuoi
abbastanza bene”, la madre risponde, si lascia provocare e poi la picchia. Dice che prende il
farmaco ma probabilmente non l’ha mai preso, anche se dice di averlo preso.
Questo aspetto della bugia, dell’inganno è un aspetto molto importante.
Nella seconda e terza seduta racconta la storia famigliare. I genitori sono separati, la moglie ha
cacciato di casa il padre perché beveva e metteva la cintura intorno al collo.
Parliamo di un aspetto predatorio, che sconfina in atteggiamenti che non sono all’interno di una
relazione sana. Riusciamo a definire un obiettivo terapeutico. La signorina ha una dipendenza
affettiva, non riesce a sottrarsi. Nel corso delle sedute lei lo denuncia e lui che deve rendere conto
alla polizia incomincia a stringere. Inizia una situazione al contrario, si ribalta.
C’è un triangolo drammatico, la vittima diventa la persecutrice. Lei lo chiama, lui la blocca su tutti
i canali.
Quando lei ha fatto la terapia è stata piuttosto puntuale, attenta a mantenere questo rapporto.
Ha tanti amici, ma non tante amicizie vere.
Ragionamento in termini diagnostici:
sul piano psichiatrico, psicopatologico, cos’ha? in prima visita dobbiamo chiedere quali sintomi
lamenta: si sente ansiosa, come se parlassimo di una tossicodipendente. Si può notare in termini
affettivi.
Chiedere alla paziente cosa ha fatto ieri. Avrebbe detto: ieri sono stata a casa, ho guardato i social
e ho visto cosa faceva, dove andava. Poi ho litigato con mamma perché mi deve dire cosa devo
fare. Ho spaccato un televisore, le ho detto che è stata una madre di merda perché non mi ha detto
cosa dovevo fare. Poi sono tornata in camera e ho chiamato lui.
Quali sono i sintomi che dobbiamo approfondire? Si tratta di una rabbia non solo dal punto di
vista psicomotorio. Emerge una tematica dell’impulsività, non è solo una rabbia ma è una rabbia
disregolata. Lei ha comportamenti pericolosi.
Lei non ha una paura delle cose oggettive, ma ha paura dell’abbandono. Tutti questi aspetti
emotivi sono disregolati. Impulsività e disregolazione sono aspetti importanti a livello emotivo.
Prima si sente arrabbiata perché non si sente accudita e poi perché li ritiene colpevoli della sua
disregolazione. Queste persone disregolate tendono a trovarsi un salvatore, lei si lamenta che lui
non le da più le stesse attenzioni, lei è capace di dire scusa (cambiare il comportamento, non
riconosce che anche lei ha un ruolo). Non solo diventa il salvatore che non salva, ma lo devo
punire. Questa storia la sentiamo principalmente da pazienti che vivono un’esperienza traumatica,
che si trovano coinvolti in un triangolo drammatico.
Lui è un dominante, denunciando lei si sente che lui lo chiama perché vuole che lei ritiri la
denuncia. Lei si accorge della manipolazione. Lei ha acquisito un potere dopo questo episodio.
Lei è anche triste, l’umore si abbatte, ma perché non può avere una figura di attaccamento. Lui fa
delle videochiamate con gli amici dove la ridicolizza, le fa fare le cose da marionetta, la utilizza in
questo modo, lei dice che non le piace ma lo fa sempre, è completamente sottomessa. Ci sono
delle tonalità sadomasochiste di questo ragazzo, il sadico le chiede qualunque cosa e lei è
sottomessa.
Lei ha degli aspetti depressivi. Per capire se e quanto è depressa, dovremmo chiedere alla paziente
quando è triste (dice che è triste quando lui non le risponde), e cosa fa per reagire alla tristezza
(esempio fare a botte con mamma). Per alcune persone questo può essere rivitalizzante.
La domanda è: che cosa metti in atto per rivitalizzare questa tristezza? La tristezza dipende
unicamente da lui e la rabbia dipende unicamente dalle sue attese di essere accudita da parte della
madre, che vengono deluse.
Quando abbiamo rappresentazioni caotiche, dobbiamo lavorare sulla diffusione identitaria, non ha
una chiara idea di sé né della figura di attaccamento. Le strategie controllanti sono punitive e
servono a comprendere lo sviluppo di queste persone. Quando abbiamo un modello operativo
interno accudente alcuni sviluppano strategie interne aggressive.
Nelle rotture si aprono delle finestre sul mondo interpersonale del paziente.
C’è una tristezza che dipende dal fatto che lui c’è o non c’è (la tristezza è secondaria). Per vedere
se è depressione ci devono essere altri criteri (disturbi del sonno, alimentazione, sfera sessuale,
l’edonia, sintomi fisici, vissuti vergogna e senso di colpa, psicomotricità). Bisogna anche chiedere
se ci sono ideazioni suicidarie, se la paziente ci pensa e come ci pensa. Bisogna anche capire in
questo caso e ci sono delle impulsività molto importanti. Queste sono le domande che ci
permettono di capire se è depressa oppure no, poi dobbiamo capire se è primaria o secondaria (in
questo caso è secondaria). Poi bisogna analizzare l’impulsività, in questo caso la paziente sembra
borderline e con un disturbo dipendente di personalità.
Criteri diagnostici per il disturbo borderline di personalità. Chiedendo gli episodi, possiamo
identificare le emozioni, che vanno a segnalare l’attivazione dei sistemi motivazionali. Bisogna
capire se la rabbia della paziente è una rabbia da attaccamento, una rabbia disregolata dal
sistema di attaccamento ma anche da altri sistemi motivazionali (il sistema agonistico, o
competitivo o di rango perché quando facciamo l’ipotesi dobbiamo capire la rappresentazione di
sé e dell’altro che c’è dietro questa rabbia). La rabbia agonistica rappresentata da lei che vuole una
risorsa e lui che vuole la stessa risorsa lo possiamo riscontrare (nella denuncia c’è chiaramente una
rabbia agonistica). È una rabbia agonistica e in questo caso una rabbia dominante. Se c’era una
rabbia quando lei veniva presa in giro davanti ai video c’era una rabbia agonistica legata alla
sottomissione. Il fatto che lui vede altre donne mostra ce c’è anche una rabbia da gelosia (lei ha
paura di perdere l’oggetto amato). C’è anche l’invidia rispetto alle altre donne (rabbia agonistica
da invidia nei confronti del conspecifico competitor).
Quindi c’è attaccamento, accudimento e il rango dominante.
90. Ci facciamo raccontare degli esempi (soddisfa il criterio numero 1)
94. Criterio della diffusione dell’identità, rispetto alla diffusione dell’identità soddisfa i criteri?
95. Lo schema è coerente, c’è una continuità, c’è una riconducibilità, questo aspetto tutto sommato
non lo soddisfa. Si merita magari una sottosoglia.
Con la SCID 2 è emerso che non soddisfa tutti i criteri del borderline. Presenta un sottosoglia
(soddisfa 4 criteri e non 5).
14/05/21
Un dipendente fa delle scelte che sono consone a delle vulnerabilità specifiche. Questi pazienti
non conoscono le emozioni e no hanno attività metacognitive molto sviluppate. La rabbia può
essere regolata da diversi sistemi (es rabbia da attaccamento, ossia la rabbia per essere accuditi e
protetti e quella da accudimento). Due serpenti si incontrano e uno sta invadendo il territorio
dell’altro, si scacciano, non fanno gruppo; mentre i ratti si scontrano e fanno gruppo, c’è una
rigida gerarchia, entra in gioco il rango. La territorialità è un sistema motivazionale non
interpersonale, nella territorialità o predazione i serpenti o si scacciano o si ammazzano.
Se tu utilizzi il sistema del gioco si rafforzano i legami all’interno del gruppo. Es i leoni quando
giocano sembrano che si accoppino ma non è finalizzato a quello. Anche nell’uomo ci sono questi
sistemi, ma i sistemi rettiliani vengono armonizzati da un sistema dell’intersoggettività (è un
sistema dell’ultimo livello, che modula i livelli più bassi).
Il disturbo schizo affettivo si presenta come uno schizofrenico, con disorganizzazione del pensiero
e alterazioni dell’umore.
SISTEMA DI DIFESA
È un sistema rettiliano, che abbiamo in comune con lucertole, pesci. È un sistema di attacco-
fuga: fight-flight-freezing-faint (morte apparente). Coinvolge emozioni di paura estrema e di
collera distruttiva. Non è sempre facile capire se i comportamenti violenti derivano a una
percezione di pericolo. Inibisce, quando è attivo, le capacità riflessive e la costruzione di
memorie autobiografiche episodiche (amnesia e intrusione di frammenti mnestici). Il sistema di
difesa disattiva la metacognizione. Tutti i sistemi che vengono modulati da quello
dell’intersoggettività sono senza nessun freno e quindi ci sono comportamenti disorganizzati.
DISORGANIZZAZIONE DELL’ATTACCAMENTO
Lutti e traumi non elaborati nel caregiver. Disorganizzazione del sistema di accudimento nel
caregiver. Atteggiamenti che incutono paura nel bambino o lo disorientano perché il caregiver
“abdica” alle funzioni di accudimento oppure è “dissociato”. Paura senza sbocco nel bambino.
DINAMICA MOTIVAZIONALE NELL’AD
Il sistema di attaccamento e il sistema di difesa funzionano normalmente in sinergia. Nell’AD, i
due sistemi entrano in conflitto, creando una situazione di paura senza sbocco (fright without
solution).
MODELLO OPERATIVO INTERNO DELL’AD
La figura di Attaccamento è rappresentata come vulnerabile, minacciosa e protettiva allo stesso
tempo (essa è tanto forte quanto soluzione della paura del bambino). Analoga è la
rappresentazione di sé (salvatore, persecutore e vittima della FdA, ma anche salvato da essa).
Frammentazione del Sé, esperienza cosciente di tipo dissociativo.
Si tra configurando quello che nelle situazioni impegnative è un triangolo drammatico, che ruota
e il terapeuta si trova spinto in un ruolo che è lontano dalle sue intenzioni (da salvatore diventa
persecutore).
L’AD INFLUENZA LO SVILUPPO DI:
Processi mentali dissociativi e reazioni dissociative a traumi fino a all’età adulta
Diregolazione delle emozioni
Deficit di mentalizzazione
Disturbi dell’interosoggettività
Ostilità, oblatività, impotenza, indegnità personale