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La formazione dei principati porta alla nascita di una schiera di intellettuali che facciano ciò

che è capitato con Augusto. Il medioevo che si era fondato sul teocentrismo, il potere
sincretistico della religione con potere temporale… cominciava ad avere falle, a portare
problemi a causa per esempio della corruzione e della mancata riuscita delle esigenze dei
fedeli, ma anche per le nuove scoperte scientifiche. Tutto questo diventava abbastanza poco
credibile, portando le persone nello sconforto poiché prive di un credo: motivo per cui si fa
riferimento al passato, paragonando le nuove idee con quelle antiche, prive di menzogna.
Dunque, a partire dall’umanesimo la storia non è più scritta sotto l’influenza di convenzioni
religiose, ma sulla base di documenti, per cui si ha l’inizio della storia moderna.
Gli umanisti si dividono in due specie: quelli della prima ora si esprimono esclusivamente in
latino, recuperando le opere nella lingua in cui vengono scritte, chiarendo che il latino è la
lingua riguardante la formazione, mentre il volgare è quella dei giochi; dall'altra parte
abbiamo una serie di intellettuali che affiancano alle opere in latino una produzione in
volgare, attualizzando i contenuti antichi in una lingua che permetta la comprensione alla
maggior parte delle persone.
Una seconda generazione di umanisti si dedicherà esclusivamente al volgare, cercando di
renderla lingua della cultura (Flavio Biondo, Leonardo Bruni...) e cominciano a formare la
filologia, scienza che tenta di riportare i testi alla loro purezza. Altri, come Leon Battista
Alberti, cominceranno ad attuare un umanesimo finalizzato alla costruzione di un’etica
sociale. Ci sono, nell’ambito dei primi umanisti, alcuni “particolari” che vanno oltre alla loro
considerazione del latino come lingua della cultura, poiché ritengono che possa essere ancora
una lingua viva, in particolare abbiamo Poggio Bracciolini, il quale finisce anche per indicare
qual è la strada del volgare letterario nel “liber facetiarum”, 273 racconti brevi che ricalcano
le novelle della beffa di Boccaccio. L’umanesimo ebbe anche un risvolto di carattere politico,
in quanto alcuni umanisti, legati alla corte pontificia, si preoccuparono di innalzare
nuovamente la figura della chiesa; tuttavia alcuni ricercatori come Lorenzo Valla, proprio
tramite la ricerca, smascherarono altri inganni della chiesa stessa, per cui era impossibile
salvare la reputazione della chiesa: la cultura e la ricerca non deve dunque avere fini pratici,
ma deve essere base per la formazione di una nuova etica civile.
L’ambiente in cui si forma Alberti è certamente di area Toscana, la quale diventerà il centro
dell'Italia con Lorenzo De Medici. Alberti vive nella prima metà del 400 e fa l’architetto,
tuttavia il rovescio economico della sua famiglia lo porta a dover lavorare per la corte papale,
permettendogli di avere un patrimonio di libri e testi importanti. Il Papa gli attribuisce il ruolo
importante di mediatore culturale, facendogli legare delle immagini positive al papato in
ambito culturale. Una volta a Firenze dunque organizza un certame coronario sull’amicizia a
cui egli stesso partecipa. Scrive i “libri della famiglia”, un dialogo di 4 libri, genere principe
di tutto il rinascimento. Il dialogo è infatti il genere più naturale per gli
umanisti-rinascimentali, esprimendo una cultura che nel medioevo era di tipo enciclopedica
prodotta attraverso la trattatistica. Il dialogo è invece molto più adatto agli umanisti, in quanto
fonte continua di ricerca e curiosità, per cui riproduce quel meccanismo che aiuta nella
comprensione il ricercatore stesso. La bravura del dialoghista sta nel realizzare in modo più
credibile il personaggio che esprime la sua idea piuttosto che colui che scrive l’antitesi.
Dunque questi libri della famiglia sono il primo esempio in volgare di un dialogo umanistico:
gli insegnamenti scaturiscono dal confronto tra le varie voci del dialogo e non da un elenco.
La lingua diventa veramente colloquiale, supera le intuizioni di Boccaccio, riproduce un
volgare che non è solo costruito, ma è un volgare come lingua viva che viene espresso in
letteratura. In questi libri fa la sua comparsa il ruolo della fortuna, tema speculativo di tutta la
produzione del ‘500. Nel medioevo non esisteva il problema della fortuna a causa del credo,
invece l’etica laica funziona diversamente, pochè non affida gli avvenimenti positivi e
negativi a Dio, ma alla fortuna, forza tipica di una realtà antropocentrica e non più
teocentrica. Ciò non implica che gli umanisti siano atei, ma smuove Dio in una dimensione
altra. Comportarsi secondo le regole non serve in prospettiva del paradiso, ma per avere
“successo” e “gloria” nella vita: un colpo di sfortuna non implica il fallimento di un intero
buon percorso. Nella stessa epoca, tra gli umanisti, abbiamo Lorenzo De Medici, colui che
rende Firenze il fulcro non solo della politica italiana ma anche di quella europea: decide di
ampliare anche il suo potere culturale circondandosi di intellettuali di un certo calibro e lui
stesso ha una produzione dal punto di vista letterario molto vasta e varia. Per cui è sia un
grande uomo politico, affrontando i dissidi di Firenze, sia un grande intellettuale. Fa parte
degli umanisti di seconda generazione, per cui tenta di ampliare la sua produzione in volgare;
in particolare ci sono i “canti carnascialeschi” e la “nencia da barberino”. Poliziano è
l’emblema dell’intellettuale umanista: in lui c’è il perfetto connubio della ricerca e del
risvolto pratico attualizzante; in lui convivono la scrittura latina e quella volgare, questo
perché la scrittura in due lingue prevede una grande conoscenza di entrambe le lingue, per cui
riesce a scrivere un volgare umanista, superiore a quello di molti altri, compreso Boccaccio,
grazie alla sua importante conoscenza del latino. La sua produzione in latino si concentra
nelle Silvae, una serie di trattati scritti quando è nominato professore di eloquentia: sono
infatti una serie di lezioni di letteratura classica rivisitate in senso moderno. Ogni Silva ha un
nome proprio e tratta di un argomento differente(ambra, elogio del ritiro; nutricia, storia della
poesia contemporanea in latino; Manto; Rusticus).
Nelle stanze per la giostra Poliziano mette in atto quello stile che sarà poi punto cardine della
letteratura cinquecentesca, mettendo a fuoco quanto il mondo classico possa ritenersi
attualizzabile. Vengono pubblicate per la prima volta in occasione dell’alleanza di Firenze
con Milano e Venezia nel 1478. Nel 1484 viene pubblicata incompleta, ma nonostante ciò è
interessante in quanto prima testimonianza di epica in volgare. Viene interrotta nel momento
in cui dovrebbe cominciare la giostra, che porterà Giuliano a vincere l’amore di Simonetta.
L’altro testo fondamentale di Poliziano è la fabula di Orfeo, scritto a Mantova dopo
l’allontanamento dalla corte di Firenze, ed è il primo esempio di opera teatrale in volgare,
recitata da nobildonne e gentiluomini per puro divertimento.

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