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Beethoven suonava da cani!

Domande e Risposte – Ugo Fabietti, Storia dell’Antropologia

– William Robertson Smith, lo studio sulla religione e la società.

Smith, professore di ebraico e poi arabo, si soffermò sulla religione come istituzione nella società. Fu anche
il primo a fare ricerche sul campo, in Egitto e Palestina, per verificare le sue intuizioni. A differenza dei suoi
contemporanei, studiò la religione come fatto comunitario e collettivo affermando che c’era una certa
analogia tra religione e politica. Notò inoltre che il sacrificio non era fatto per la divinità, ma era un modo
per far sì che la comunità si legasse a Dio e che quest’ultimo era l’elemento di coesione del gruppo stesso.
La religione è un modo di confermarsi agli standard collettivi e per sentirsi un membro appartenente alla
società. Insomma la religione non viene considerata tanto per lo spirito, quanto per il bene della
conservazione sociale. Anche Smith, come altri evoluzionisti, vide molti dei rituali e delle credenze della
società araba contemporanea riflettere i rituali eseguiti in passato dai loro patriarchi.

– Cosa intende EvansPritchard per modello segmentario

EvansPritchard è tra le grandi figure dell’antropologia sociale britannica e succedette come professore a
Radcliffe-Brown. Studiò, tra il Sudan e il Congo, la stregoneria, la magia e le procedure seguite dagli
indovini. Ma il lavoro più importante fu quello sugli studi dell’organizzazione sociale e politica dei Nuer del
Sudan, da cui nacque il famoso modello segmentario. Secondo tale modello, le società si fondano sulla
contrapposizione di s. (segmento) di lignaggio che organizzano e controllano il territorio. In un certo
momento e in una determinata sezione del territorio, un s. di lignaggio (per es., un uomo e i suoi figli
maschi) si contrappone a un s. in tutto analogo (un uomo, fratello del primo, e i suoi due figli maschi, cugini
dei precedenti). In una fase successiva gli stessi s. (e dunque le stesse persone) possono riaggregarsi in
un’unità più ampia che, a sua volta, si contrappone a un’unità analoga, appartenente al medesimo
lignaggio. Il sistema politico-territoriale si fonda, dunque, sull’opposizione bilanciata e complementare di s.
di gruppi unilineari di discendenza, che organizza la distribuzione dei gruppi sul territorio definendone i
reciproci rapporti di forza. Elemento tipico di una simile contrapposizione è l’istituzione della faida
attraverso la quale si dà espressione ai processi di fissione e fusione delle unità politiche e territoriali.

—–
Egli puntò l’attenzione sulle dinamiche delle alleanze del conflitto che portarono alla scoperta di sistemi
politici privi di veri e propri capi. Infatti la dinamica politica della società Nuer consisteva nei rapporti di
alleanza o di conflitto che i vari segmenti autonomi della società potevano intrattenere alternativamente
tra di loro. Tali segmenti costituiti dai discendenti dei rispettivi antenati si univano o si allontanavano, per
dare luogo a gruppi contrapposti in modo da creare un opposizione che produceva un equilibrio delle forze
in lotta. Tale equilibrio era la ragione per cui i conflitti venivano poco dopo bloccati. Per queste dinamiche
politiche il modello segmentario

– Cosa intende Clifford Geertz con espressione “la cultura come un libro”

L’antropologo Clifford Gertz riformula il concetto di cultura tyloriano, in primis eliminando quella nozione di
insieme complesso che ormai ha raggiunto il punto in cui rende oscuro molto più di quanto riveli. Quello
che Geertz propone è un concetto di cultura più ristretto a partire dal quale è possibile ripensare l’intero
assetto dell’antropologia. In realtà non dà una definizione a questo suo concetto di cultura che raramente
viene teorizzato in maniera diretta. Una delle definizioni più accurate si basa sull’assunto di Max Weber
secondo cui l’uomo è un animale sospeso fra ragnatele di significati che egli stesso ha tessuto, e afferma
che la cultura consiste proprio in queste ragnatele di significati e la sua analisi, cioè l’antropologia, non è
una scienza sperimentale in cerca di leggi, ma una scienza interpretativa in cerca di significati. La cultura
sarebbe quindi essenzialmente un concetto semiotico, poiché va vista come un testo, scritto dai nativi, che
l’antropologo deve sforzarsi di interpretare pur non potendo prescindere dall’interpretazione dei nativi. Il
sapere dell’antropologo consisterebbe quindi in interpretazioni di interpretazioni. E se interpretare
significa, per Geertz, “imporre un ordine”, quest’ordine resta sempre un ordine a livello locale e il sapere
dell’antropologo resta sempre un sapere locale, una local knowledge.Nell’introduzione dell’opera
Interpretazione di culture del 1973, Geertz espone i principi direttivi della teoria interpretativa della cultura,
ma subito mette in guardia dai rischi di un eccessivo “interpretazionismo”: l’antropologo tende a resistere a
qualsiasi articolazione concettuale, a qualsiasi valutazione di tipo sistematico. Basata solo
sull’interpretazione, questo approccio rifiuta qualunque tentativo di esprimere un concetto in termini
diversi dai propri. Va infine tenuto conto che l’interpretazione dell’antropologo resta un’interpretazione “di
secondo grado”, spiegata da Geertz con la metafora di chi si sforza di leggere sopra le spalle di quelli a cui la
cultura appartiene di diritto. Le interpretazioni dei nativi sono condivise, hanno un carattere pubblico,
sociale, laddove le interpretazioni dell’antropologo non possono che essere soggettive e influenzate dalla
propria cultura, preparazione, sensibilità. Egli compie una distinzione tra i concetti vicini all’esperienza, per
indicare l’approccio interpretativo dei nativi, e i concetti distanti dall’esperienza per intendere invece
l’approccio degli antropologi.
–“Particolarismo storico” di boas e il suo metodo di lavoro

Franz Boas è una figura di rilievo negli Stati Uniti: egli concepiva il lavoro sul campo su singole società e aree
particolari. Rifondò il metodo storico, criticando gli evoluzionisti che avevano indicato un aspetto unitario al
genere umano il quale produceva certe e uguali culture. Il carattere unitario al genere umano, in quanto a
psiche, veniva condiviso da Boas; ma non condivideva l’arbitrarietà degli evoluzionisti i quali affiancavano
fenomeni culturali simili con nature profondamente diverse. L’etnologia, secondo l’antropologo, doveva
scoprire le cause storiche e comprendere la nascita di certi fenomeni relativi a singole aree, da qui nasce il
cosiddetto “particolarismo storico”.

———- Boas condusse delle ricerche tra i gruppi nativi dei Kwakiutl sulla costa del Pacifico settentrionale,
dove analizzò il Potlatch. Quest’ultimo era l’insieme di rituali di ostentazione con cui i nativi distruggevano
tutti i loro beni per affermare il loro prestigio/potere, una sorta di rito per ristabilire l’equilibrio a cui Boas
diede delle spiegazioni al quanto economiche di mercato, che non avevano alcuna valenza presso quelle
società ma che, secondo l’antropologo, la loro capacità psicologica aveva creato. Il Potlach, oggi, viene
considerato un rituale che deve distruggere quei beni poiché, se entrassero a far parte del processo
riproduttivo, provocherebbero l’alterazione della società. Franz Boas sostenne nei suoi studi tre punti
importanti:

ricostruire l’evoluzione culturale umana dai primitivi non aveva senso;

il pensiero dei primitivi è analogo a quello dei civilizzati e l’unica differenza risiede nei contesti sociali in
cui operano;

tra natura (razza) e cultura non c’è alcun legame, mentre invece il razzismo cerca proprio di collegare
questi due aspetti attribuendo alla razza un ruolo determinante nei confronti della cultura

– LevyBruhl: le rappresentazioni mistiche

– LevyBruhl e il prelogismo

Levy-Bruhl fondò, con la collaborazione di altri colleghi, l’etnologia francese. Egli fu interessato alla mente
primitiva e fu questo il suo principale oggetto di studio. Criticò la tradizione dell’evoluzionismo inglese,
affermando che le rappresentazioni collettive erano comuni ad un gruppo sociale e trasmissibili di
generazione in generazione; erano dei “fatti sociali” alla Durkhèim che costituivano i comportamenti
mentali. Levy-Bruhl non voleva studiare gli origini di tali fatti sociali, ma la logica specifica che risiedeva al
loro interno poiché i fatti sociali erano dati in una società anch’essa data. L’universo simbolico del primitivo
era legato all’universo sociale del primitivo. La partecipazione dei primitivi ai rituali è del tutto mistica ed
emozionale, per questo non si creano dei giudizi propri; ciò dimostra che la magia si continuava a praticare
nonostante i risultati proprio perché la rappresentazione collettiva non fa porre ai primitivi l’attenzione sul
risultato. L’antropologo definì per i primitivi un tipo di partecipazione prelogica e quella dei civilizzati di tipo
logica. Il prelogico non sta per irrazionale o inferiore, ma è una differenza di tipo qualitativo.

– Mead: la visione di sesso e genere

Margaret Mead è una delle antropologhe più importanti per il grande pubblico. Nel dopoguerra e dopo la
crisi del ’29 aumentò la delinquenza giovanile e l’emarginazione sociale e l’alcolismo; tutti fenomeni che
evidenziavano un malessere sociale. Per questo molti studiosi, sia di antropologia che di psicologia e
sociologia, si interessarono a contribuire allo studio dell’influenza esercitata dalla cultura sull’individuo, alle
modalità di trasmissione dei valori, al modo di adattarsi a tali valori e ai modelli sociali. La Mead compì il
suo primo viaggio in Samoa, isola della Polinesia, da cui scrisse “L’adolescenza a Samoa” e con cui inaugurò
un piano di ricerca fatto sul periodo temuto dai popoli occidentali e dagli americani stessi. I lavori seguenti
della Mead, “Sesso e temperamento in tre società primitive” (1935) e “Maschio e Femmina” (1949)
portarono ad un’altra faccia dello studio, improntata sulla differenza di genere. Da questi studi emerge che
non vi erano dei tratti di caratteri femminile o maschile naturali, ma determinati dall’educazione e dai
modelli appresi dettati dalla cultura. I differenti valori espressi da culture diverse tendevano a produrre un
carattere tipo come risposta adattativa individuale; in tal modo inaugurava lo studio delle differenze di
genere.

– Hertz: concetto di morte

Robert Hertz, partendo dallo studio di Durkhèim, si soffermò sulla coesione sociale e da lì indagò sul
concetto di morte, sulla preminenza della mano destra e fu l’iniziatore dell’antropologia alpina (dopo aver
compiuto viaggi in Italia nel santuario di San Besso a Cogne). Perse la vita durante la prima guerra
mondiale, ma avrebbe compiuto sicuramente altri viaggi nel Borneo e in Indonesia. Pubblicò il “Contributo
allo studio sulla rappresentazione della morte”, “ La preminenza della mano destra” e “Studio sulla polarità
religiosa”. La morte è un scandalo che viene superato con il rito funebre; infatti la società realizza questi
rituali per permettere all’individuo di continuare il suo cammino in un’altra comunità che è quella dei morti.
La morte può apparire per il gruppo come una sorta di minaccia alla sua stessa coesione; per questo crede
che il membro non si perda, ma che passi alla comunità dei morti. La morte non mette fine solo
all’esistenza corporea visibile, ma essa distrugge l’essere sociale che si sovrappone all’individualità fisica a
cui la coscienza collettiva attribuisce un’importanza più o meno grande. La minaccia che avverte la
comunità è dovuta al fatto che la morte recide il rapporto dell’individuo con il gruppo di cui fa parte e dal
quale trae la sua stessa identità sociale.

– L’antropologia interpretativa di Geertz. limiti e presupposti

Dall’inizio del 1970 se da un verso si intensificano gli studi antropologici, dall’altro si verifica una crisi
teorica, quella che è stata chiamata “crisi della rappresentazione etnografica”: si indaga sulla affidabilità
degli informatori e sulla capacità dell’etnologo di comprendere le culture indigene. L’antropologia
interpretativa, rappresentata da Clifford Geertz, propone di interpretare le culture come fossero dei “testi”,
ipotesi che impone la necessità di una “traduzione”; in questo senso traduzione e interpretazione sono le
due modalità per comprendere le culture altre e diverse.

Come esemplificazione Geertz propone una interpretazione del concetto di persona in tre società diverse
(Giava, Bali, Marocco), considerando la nozione dal punto di vista dei nativi.

A Giava il concetto di persona corrisponde a un’armonia generalizzata del cosmo, per cui ogni singolo
essere è collocato in un punto preciso entro un disegno armonico universale, nel cui ambito il re occupa il
posto più elevato, specchio e immagine della potenza degli Dei.

A Bali il concetto di persona si collega piuttosto alla teatralità della vita rituale, tipicamente balinese, nella
quale ogni persona recita una parte, è un personaggio del grande teatro del mondo.

In Marocco infine la persona è determinata dalla sua posizione topologica, all’interno dello spazio sociale,
che è strutturato a cerchi concentrici: la famiglia, la famiglia estesa, il villaggio, il paese e l’intero mondo. Il
concetto di persona in Marocco è un concetto spaziale e relazionale. Oggi non è più possibile studiare le
comunità native nella loro integrità poiché il sincretismo culturale è l’elemento dominante. Le comunità
sono in contatto reciproco, la civiltà occidentale ha invaso in maniera pervasiva l’intero pianeta,
sconvolgendo gli equilibri sia culturali che ecologici, e imponendo una serie di situazioni che hanno
scardinato le strutture socioculturali originarie dei popoli di interesse etnologico.

– Leenhardt ed il concetto di persona.


Leenhardt è una figura importante dell’etnologia francese e studiò nella Nuova Caledonia i Canak. Egli era
un missionario protestante, ma diversamente dai suoi colleghi cercò di instaurare un ponte tra la sua
religione cristiana e quella Canak. Di fatti cominciò a tradurre la Bibbia nella lingua Canak e fu da quel
momento che si appassionò alla loro cultura, in particolare al mito. Leenhardt si concentrò sulla persona e
non sulla società, il mito veniva legato all’idea di persona inteso come un modo per partecipare al mondo e
alla natura. C’era come una identità di corpo e natura nella mente partecipativa arcaica e questa identità
era espressa nel mito. Il mito, dunque, era lo spazio intellettuale in cui il primitivo costruiva il proprio
mondo, come spazio di partecipazione al mondo tipico della mentalità arcaica. Per Leenhardt, pensiero
partecipativo e razionale convivono l’uno accanto all’altro e non sono distinte nelle diverse epoche della
storia umana.

– Antropologia americana, portare un esempio d’un autore che si è occupato di psicologia e


psicoanalisi.

Franz Boas è una figura di rilievo negli Stati Uniti: egli concepiva il lavoro sul campo su singole società e aree
particolari. Rifondò il metodo storico, criticando gli evoluzionisti che avevano indicato un aspetto unitario al
genere umano il quale produceva certe e uguali culture. Secondo Boas, uno dei compiti fondamentale
dell’etnologia era quello di determinare i processi psicologici che operavano nello sviluppo dei fenomeni
culturali. Egli pose l’attenzione su come l’individuo reagisce alla propria cultura e contribuisce a riprodurre
e a modificare, al tempo stesso, i modelli sociali di comportamento. Tale studio doveva rappresentare una
linea alternativa di ricerca nei confronti della tradizione evoluzionistica o ad una qualunque spiegazione di
tipo deterministica. I processi psicologici, cioè le rappresentazioni che gli agenti di una data cultura si
facevano della propria esistenza sociale, divenivano la realtà oggettiva della vita sociale stessa. Dunque il
criterio, che qualificava come valida una qualunque inchiesta etnografica, risiedeva nel grado maggiore o
minore di fedeltà con la quale l’etnologo sapeva cogliere la realtà sociale nella rappresentazione che di essa
si facevano i membri della popolazione studiata. Boas espresse questa teoria senza svilupparla.

– Antropologia evoluzionista: quali sono i protagonisti e quali i loro paradigmi

In Gran Bretagna tra 1837 e 1901 regnò la regina Vittoria che portò il paese a diventare una grane potenza
militare, coloniale ed economica. Uno degli esponenti più importanti dell’antropologia evoluzionista fu
Tylor, il quale nel 1871 pubblicò “Culture Primitive” in cui spiegava il significato di cultura intesa come un
insieme complesso di modelli, credenze, lingue e tradizioni che venivano apprese dagli individui nelle
società. La sua visione era di tipo evoluzionistico-comulativo come gli illuministi dell’associazione degli
osservatori dell’uomo. Lo stato primitivo in cui si trovavano i popoli barbari era lo stato che avevano
attraversato i loro progenitori. L’uso dell’analisi comparativa era il modo degli evoluzionisti e antropologi di
seguire le ricerche di altri. Spesso però non era affidabile perché distorceva alcuni elementi posti in periodi
diversi e quindi incomparabili; inoltre si poteva parlare solo di evoluzione generale. Altro rappresentate
dell’evoluzionismo fu Robertson Smith che in molti rituali e credenze delle società arabe e contemporanee
vedeva il passato dei loro patriarchi. L’ultimo esponente dell’età vittoriana fu Frazer con il testo “Ramo
d’oro” in cui cercò di spiegare attraverso un processo evoluzionistico la magia, la religione e la scienza. I
primi uomini per ignoranza affidarono alla magia la capacità di controllare i processi naturali; dopo di essi
alcuni uomini si arrogarono il potere di questi processi rituali, dando vita alla religione e quindi ai sacerdoti
come intermezzo tra uomo e Dio. Infine arrivarono gli uomini che cominciarono a guardare il mondo con
uno sguardo scientifico e razionale. In questo periodo, in Inghilterra, ad Oxford, grazie a Pitt-Rivers, nacque
il primo museo che raccoglieva i vari oggetti e ne illustrava l’evoluzione, seguito poi da Mantegazza in Italia
a Firenze.

– Marcel Mauss e il “fatto sociale totale”. Spiega in cosa consiste con un esempio.

Marcel Mauss fu promotore delle ricerche sul campo e quindi della stessa Etnologia, pur non avendo mai
fatto viaggi. Il termine “fatto sociale totale” venne utilizzato dall’antropologo per intendere tutti quegli
elementi del sociale che andavano a coinvolgere una pluralità di livelli sociali. Con il saggio sugli eschimesi
trattò il “fatto sociale totale”; in questo gruppo in Estate vi era un certo individualismo dovuto alla caccia e
alla dispersione dei singoli, mentre durante l’inverno il collettivismo era segnato dallo stare insieme tra
feste e riti. Questo comportava una divisione costituita da opposizioni nell’universo degli eschimesi, una
sorta di bipolarità ciclica. Mauss riteneva che da un aspetto del sociale si potesse giungere ad una
molteplicità di elementi sociali, questo perché si trattava di fatto sociale totale.

“Il saggio sul dono” (1924) fu uno dei suoi lavori più importanti. Egli studiò il Potlach di Boas e il Kula di
Malinowski. Nelle società primitive i riti e gli scambi erano complessi, egli li identificò come fatti sociali
totali. Lo scambio tra individui implicava la reciprocità e lo scambio di doni venne inserito nella categoria
doni a carattere volontario, libero e tuttavia obbligato e necessario. Le tre regole alla base del dono erano:
donare, ricevere e ricambiare. Grazie a queste si strutturava il principio della reciprocità. Una qualità,
secondo Mauss, intrinseca nell’oggetto era “Hau”, cioè lo spirito dell’oggetto. Una volta donato la cosa, il
ricevitore entra in una fase di debito; l’equilibrio può essere ristabilito solo se viene ricambiato il dono.

– Cosa intende Durkhéim con “forme elementari di vita religiosa”


– Come interpretò Durkheim il totemismo

Durkhèim diede vita agli sviluppi sociologici ed etnologici nella Francia del XIX secolo. Egli prese il concetto
di coscienza collettiva come un qualcosa di sovraindividuale e di autonomo applicabile e presente in tutte le
società. Secondo l’antropologo, attraverso lo studio comparativo del più alto numero di società, si poteva
arrivare a determinare leggi universali della vita sociale. Nel 1893 all’interno dell’opera “Divisione del
lavoro sociale” Durkhèim descrive una solidarietà meccanica e una organica: nella prima la vita sociale
influenza tutte le scelte dell’individuo e la coscienza collettiva rispecchia la solidarietà meccanica che unisce
tutti i singoli; mentre nella seconda se i singoli si differenziano con atti individualistici e di adesione
volontaria, ecco che la solidarietà è organica e la coscienza collettiva è presente in minima parte. Nell’opera
“Forme elementari di vita religiosa” (1912) l’antropologo cerca gli elementi che fondano la religione e la
società, per questo si rifà a forme di religione più semplici come il totemismo presso gli aborigeni
australiani. Quest’ultimi si identificano con una pianta, un effetto atmosferico, un animale che viene
rappresentato con il totem. Nel totem Durkhèim individua l’unione del gruppo che viene idealizzata e
l’adorazione da parte degli aborigeni è diretta alla propria unione, senza la quale sarebbero perduti. La
società segue, per Durkhèim, un proprio percorso e scopo; inoltre egli dimostrava che la religione è un
fenomeno unitario in tutte le sue forme. L’antropologo considerava i fatti sociali, che per lui costituivano
l’oggetto specifico della sociologia, come insieme di azioni e rappresentazioni identificabili sulla base del
potere che essi avevano di esercitare una costruzione sugli individui.

– RadcliffeBrown: il gruppo dei fratelli o siblings group

L’antropologo inglese Radcliffe-Brown compie il suo primo viaggio nelle isole Andamane dell’oceano
indiano e scrisse “Gli isolani delle Andamane” (1922). In questa opera cercò di definire la funzione della
religione, interpretata come un qualcosa di invisibile con cui instaurare un rapporto e mantenere
un’armonia. Si soffermò sull’oggetto dell’antropologia e su di un possibile metodo che ne indicasse
l’oggetto stesso. Concluse, dunque, che l’antropologia ha come oggetto le leggi che determinano il
funzionamento della società, e i processi che rendono possibile la riproduzione di forme sociali attraverso
un metodo che individui i meccanismi atti al funzionamento e che formulino leggi valide per tutti. La
struttura sociale è un concetto centrale che indica la trama dei rapporti esistenti tra gli individui messi in
relazione a processo e funzione sociale; per processo sociale si indica l’insieme di azioni degli esseri umani e
la loro interazione, mentre la funzione sociale designa il rapporto tra struttura sociale e processo vitale.
L’antropologo inglese lavorò ai sistemi di parentela utilizzando la sua esperienza in Australia tra gli
aborigeni, dove scoprì il sistema Kairera. In questo sistema il nascituro veniva prima assegnato ad una
sezione diversa da quella della madre e del padre, poi doveva unirsi ad un individuo che non appartenesse
a nessuna delle due sezioni (materne e paterne). Da qui la terminologia, per Radcliffe-Brown, traduceva il
significato dei comportamenti ai sociali reali. Formulò dei principi strutturali tra cui quello dell’unità del
gruppo dei fratelli o Siblings Group, cioè dei figli dello stesso padre e della stessa madre senza distinzione di
sesso. il Siblings Group forma una unità sociale solidale a cui un individuo che non gli appartiene può
riferirsi con gli stessi termini. Con questo principio l’antropologo mise in diretto rapporto la terminologia
parentale e il comportamento sociale.

– Ethos e Eidos

Gregory Bateson condusse i suoi studi prima in Melanesia e poi in Nuova Guinea presso gli Atmul, da cui
scrisse il libro “Naven” riprendendo il nome di un rito. Questo rito comportava il travestimento nel sesso
opposto di ogni singolo membro della famiglia del giovane, che aveva compiuto una azione ritenuta
positiva e di valore nella cultura locale. Bateson interpretò tale rito non come una deviazione psicologica,
ma come un modo per ostentare le movenze, i sentimenti non consoni alla loro identità, di uomini o di
donne. L’antropologo interpretò quest’usanza alla luce di due categorie tipicamente occidentali: ethos
(tono emotivo) ed eidos (l’ideale). L’ideale maschile Iatmul è intriso di una profonda fierezza e crudeltà
(eidos), che non contempla la possibilità di esprimere sentimenti (ethos), attitudine che è considerata
invece esclusivamente femminile. Durante il rituale del naven, grazie al travestimento, gli uomini hanno
modo di esternare sensazioni emotive e le donne possono ostentare fierezza, possibilità negate nel
quotidiano. Per Schismogenesi si intende quell’insieme di interazioni tra individui o gruppi che dà origine a
divisioni tra i gruppi o gli individui stessi. La Schismogenesi è un tipo di circolo vizioso che se non interrotto
da qualche intervento esterno porta al manifestarsi di situazioni distruttive come la schizofrenia.

– Il rapporto di De Martino col meridione e il suo metodo di lavoro

Una svolta decisiva nell’esistenza e nell’attività di De Martino fu determinata dalla sua esperienza di
militante nei partiti della Sinistra e dal proprio impegno ideologico-sociale. Dal 1945 egli si trovò ad agire,
come segretario di federazione del Partito socialista nell’Italia meridionale. Il contatto diretto con i
contadini del Sud impresse un marchio originale sulla personalità dello studioso, che in quell’esperienza
ricevette lo stimolo a muoversi verso un’etnologia o antropologia fatta di ricerche sul territorio. Da allora fu
spinto ad assumere come problema centrale della propria ricerca l’analisi del folklore religioso nella cultura
contadina del Sud. Nessuno aveva fin ad allora affrontato nella sua autonomia il problema della “cultura”
contadina del Sud. De Martino sentì l’urgenza di colmare questo vuoto. L’antropologo si avviò al suo
compito di analisi e interpretazione, valendosi del suo ruolo di storico, utilizzando le tecniche della ricerca
etnologica e attraverso gli scritti di Gramsci. Con una serie di missioni etnografiche dai primi anni ’50, egli
raccolse una quantità di documenti relativi a manifestazioni magico-religiose e ne studiò le origini storiche, i
rapporti con le condizioni storiche e sociali attraverso i secoli, i motivi impliciti che ne giustificavano il
persistere. Oggetto della sua investigazione particolarmente furono: il complesso mitico-rituale della
fascinazione in Lucania (Sud e magia, Milano 1959); le persistenze del pianto funebre in Lucania (Morte e
pianto rituale nel mondo antico, Torino 1958), il tarantismo del Salento (La terra del rimorso, Milano 1961).
Il perdurare di tali rituali e credenze è interpretato come espressione di una resistenza implicita,
inconsapevole e disorganica alla cultura ufficiale cristiana, rappresentata dalla Chiesa. La storia delle varie
polemiche del clero contro tali manifestazioni è, dallo studioso, ripercorsa a prova della sua
interpretazione, che spiega anche gli adattamenti della politica culturale ecclesiastica nell’assorbire e
riplasmare culti e credenze d’origine arcaica. D’altra parte De Martino racconta il perdurare di tali arcaismi
come espressione d’una concezione del mondo propria di una società rimasta per secoli nell’isolamento, da
parte dei poteri centrali e delle istituzioni ufficiali che l’emarginarono e la sfruttarono. La “miseria
culturaleӏ lo specchio di una miseria psicologica determinata a sua volta da condizioni storico-sociali
imposte all’intero Mezzogiorno da un regime di subalternità plurisecolare e che pure in epoca
contemporanea in certa misura persiste. Il folklore religioso appare, dunque, come il riflesso della “non-
storia” del Sud, e cioè della continua repressione subita. Con le sue tre opere s’inaugurò in Italia un
importante filone di ricerche di etnologia della società meridionale. De Martino sviluppò anche tecniche
innovative di lavoro come quella dell’indagine interdisciplinare che adottò soprattutto nello studio del
tarantismo pugliese. Consisteva nell’unione in un’unica équipe di uno psichiatra, di un psicologo, di uno
storico delle religioni, di un’antropologo culturale, di un etnomusicologo e di un documentarista
cinematografico.

– Lo strutturalismo, e la concezione di strutturalismo nel pensiero di LéviStrauss

L’antropologo francese Lèvi-Strauss è il massimo esponente dell’antropologia strutturalista. Lo


strutturalismo può essere considerato come una sorta di “filosofia di carattere antropologico”, che tenta di
dar conto del reale utilizzando idee e principi teorici provenienti da ambiti di sapere eterogenei, organizzati
all’interno di un campo esperenziale non sempre sottoponibile a verifica sperimentale. Con la nascita dello
strutturalismo, si intese creare un ponte metodologico in grado di mettere a confronto culture diverse,
facendole incontrare, e rendendole in questo modo funzionanti come semplici variabili di temi universali
costanti, nella dimensione sottostante lo spirito umano, l’inconscio. L’analisi strutturalista tende ad andare
oltre i specifici ambiti sociali, per ritrovare quelle categorie universali presenti nella mente umana; le
differenze culturali vanno lette come variabili di temi costanti, puntando su di una natura umana sempre
uguale a se stessa, non soggetta alle intemperie storiche e culturali. Cosi facendo, però, si tende a perdere
di vista l’analisi diacronica dei fatti (ossia storica), per concentrarsi sulla ricerca di quelle strutture mentali
nascoste, di cui le varie culture rappresenterebbero la facciata esterna. évi-Strauss, il più rigoroso seguace
dello strutturalismo, ha aperto la strada a una nuova interpretazione di tutti i prodotti culturali dell’uomo,
dalle strutture della parentela, al folclore, alla letteratura, alla mitologia, in una visione unitaria dell’uomo
così come si manifesta, psicologicamente e culturalmente, nella sua vita quotidiana.
– Lévistrauss: parlare dei miti

Nell’ambito dell’antropologia strutturalista, Lévi-Strauss dimostra come ogni mito può essere
rappresentato mediante una matrice, dove ogni elemento figura su una colonna orizzontale e su una
colonna verticale. Le narrazioni mitiche sono esercizio ed espressione del pensiero mitico, e questo
conduce alla comprensione dei valori e dei rapporti latenti, immanenti a tutto il racconto. In realtà, secondo
Lévi-Strauss il pensiero mitico procede dalla presa di coscienza di talune opposizioni e tende alla loro
mediazione progressiva; o meglio, l’oggetto del mito è fornire un modello logico per risolvere una
contraddizione. Nei miti, che vengono dunque presi in considerazione non in rapporto agli elementi isolati
che entrano nella loro composizione, ma in rapporto alla maniera in cui tali elementi appaiono combinati
tra loro, si debbono scoprire le «unità costitutive» o elementi strutturali che corrispondono agli elementi
strutturali del linguaggio, e cioè i «mitemi». Le strutture mitiche, una volta individuate, non hanno tuttavia
una sola valenza identificante, ma possono rivelarsi a più livelli di interpretazione, e cioè possono essere
comprese in base a diversi codici.

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