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Di Valeria Palmisano

La ricerca delle proprie origini dopo l’adozione: quando la voglia di


conoscere il passato si scontra con il diritto

Circa il 50% degli adulti adottivi cercano di recuperare le informazioni circa il proprio passato tra
metodi fai-da-te non sempre sicuri e limitazioni della legge italiana.

Il periodo dell’adolescenza è quello nel quale nelle menti della maggior parte giovanissimi – se non
di tutti – irrompe la domanda: “Chi sono io?”. Sebbene la questione dell’identità sia molto delicata,
è corretto affermare che per i figli adottivi questa raggiunga livelli più alti. È infatti da quel quesito
che ne sorge un altro, altrettanto importante, ossia: “Da dove vengo io?”.

Come illustra il testo «Cara Adozione» di Roberta Cellore, le motivazioni che portano gli adulti
adottivi a ricercare le proprie origini sono diverse e, talvolta, possono nascondere una sorta di senso
di inferiorità nei confronti delle famiglie biologiche causato dal contesto sociale.
«Cara “mamma”» scrive Matteo all’interno della sua lettera indirizzata alla sua mamma adottiva,
sottolineando con le virgolette lo status di madre non biologica.

Non è tuttavia sempre semplice trattare questo tema, specie nell’era contemporanea, quando la
maggior parte delle relazioni vengono esperite tramite Internet, sottolinea la pedagogista Greta
Bellando. A causa dei lunghi tempi necessari per rintracciare i propri genitori biologici in Italia, può
capitare invero che si voglia ovviare a ciò utilizzando i Social Network; attenzione però, perché
questi possono riservare brutte sorprese. La storia di Katie Smith è emblematica in tal senso. All’età
di 14 anni la ragazza ha cercato la famiglia biologica su Facebook, dopo di che è stata minacciata di
morte dalla sorella e stava per essere manipolata dal padre, ecco perché è importante interpellare i
giusti interlocutori, quale, ad esempio, il Tribunale dei Minori.

Ancora oggi, in alcuni casi si possono trovare dei muri invalicabili in Italia, come ad esempio quello
rappresentato dalla richiesta di anonimato da parte delle madri. Qual è il diritto che, in questo caso,
prevale: quello della madre all’anonimato o quello del figlio o della figlia di ricostruire i suoi ricordi
legati ad un passato oramai lontano? Il lavoro che si sta svolgendo in Italia sul tema è ancora in
fieri. La sentenza della Corte Costituzionale n. 278/2013 ha confermato la legge attualmente in
vigore, la quale impedisce la ricostruzione delle origini di un figlio dato in adozione da madre che
non vuole essere nominata adducendo a ciò la salvaguardia di «madre e neonato da qualsiasi
turbamento». Tuttavia, in seguito ad un caso di una donna calabrese che è cresciuta pensando che i
genitori che l’hanno adottata fossero quelli biologici, la Corte stessa ha precisato che «il diritto del
figlio a conoscere le proprie origini […] costituisce un elemento significativo nel sistema
costituzionale di tutela della persona».

La speranza, perciò, risiede nelle mani dei legislatori affinché, ispirati dalle attività effettuate in altri
Paesi, possano trovare delle soluzioni che siano il giusto compromesso tra i diritti degli interessati e
la tutela della privacy, affinché bimbi come Alessandro, che scrive alla «mamma “biologica” (di cui
non sa il nome)», possano conoscere e ringraziare chi ha dato loro «il dono della vita». Tra queste
esperienze è importante menzionare: 1) il Consiglio Nazionale per l’Accesso alle Origini personali
(CNAOP) istituito in Francia nel 2002 per facilitare l’accesso alle proprie origini; 2) le nuove
disposizioni tedesche, le quali affidano ad un’agenzia il compito di conservare i dati delle madri ai
quali possono avere accesso i figli biologici al compimento dei 16 anni; 3) l’esperienza di
Inghilterra, Svezia e Spagna, in cui sono i servizi sociali ad occuparsi del rintracciamento delle
madri e, nel caso in cui si abbia l’autorizzazione di quest’ultima, della condivisione di tali
informazioni.

Tutto ciò, infatti, molto probabilmente permetterebbe la chiusura di un cerchio, quello apertosi
molti anni prima con la scelta di dare il proprio figlio in adozione.

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