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Lezione 26 - 17/11/2021

Vi ricordo la presentazione che ho accennato ieri. Vi faccio vedere un paio di immagini: vi dicevo ieri di una
presentazione del mio ultimo libro Guadagnarsi il pane, scrittori italiani e civiltà della tavola l’invito è per
questa domenica 21 alle 18:00. Occasione per fare giro tra libri e mostre, c’è un sito se vi interessa vederlo
è indicato: salonedellacultura.it e vedere quali sono le opportunità che avete. Chiacchiereremo del libro.
Andrea Kerbaker, che è una firma del Corriere della Sera, esperto di editoria e collabora con la Cattolica,
scrittore a sua volta, la sua presenza si spiega anche per il fatto che è membro storico della giuria del
premio Bagutta, primo premio italiano fondato nel 1926, nato in una trattoria milanese. Paolo Tubini,
insegna in Cattolica e Isabella Fontigrossi, che ha una grossa parte in Cook, il supplemento che esce oggi
mensile del Corriere della Sera dedicato alla cucina, farà un po’ da presentatrice e collegherà le esposizioni
con le sue interpretazioni. Questa è la proposta, tra l’altro vi segnalo anche che Cook è uscito oggi e ha in
apertura un mio editoriale ampio che presenta il libro e in più generale ragiona tra letteratura e civiltà della
tavola, se avete voglia di leggerlo, vi fate un’idea del libro e anche dell’incontro a cui siete interessati a
venire.

Con oggi volevo chiudere su Levi e aprire la pagina calviniana, poi parleremo di Guareschi e infine di Napoli
con una conferma di quel policentrismo geografico del neorealismo: abbiamo la Lucania di Levi, la Liguria di
Calvino, la Bassa Padana di Guareschi e arriveremo a Napoli con Marotta. Sono quattro puntate delle tante
possibili, ma vi danno un’idea e vi confermano il programma conferma quell’impostazione di un
neorealismo come scoperta precisa, analitica e geografica dell’Italia una volta che l’Italia, con la Repubblica
e dopo il fascismo va ricostruita, riscoperta e riraccontata.

Questo è uno schemino che conoscete già, lo utilizzo per riassumere


velocemente quello che ci siamo detti e anche per voi perché applicabile a
tutte le opere che abbiamo affrontato approfonditamente e oggi farò
come sempre una ulteriore approfondimento che vedrete tra poco.

GENERE. Una delle carte vincenti di originalità, di capacità di affermazione di parlare a pubblici diversi del
Cristo è proprio la sua identità di genere.

Genere sfuggente, cangiante è una proposta che scavalca o mescola i generi. Non a caso dice in una lettera
“il mio libro”, non sbilanciandosi rispetto a un’etichetta o un altro. È sicuramente un saggio didascalico
interpretativo per la grande quantità di informazioni dette, un po’, leggendo il romanzo, è come se
avessimo vissuto anche noi quell’esperienza: acquisiamo una serie di conoscenze sul campo straordinarie.
Anche la modalità di rappresentazione di quella sua esperienza ha un corrispettivo antropologico anche
scientifico, nel senso che gli antropologi del Novecento tendono a immergersi in situazioni, in genere
etnograficamente e geograficamente lontane per rappresentare dall’interno, condividendo quelle
esperienze, abitudini, cibi, linguaggi delle popolazioni che studiano. La full immersion è metodo
antropologico aggiornato che Levi adotta, non per scelta personale, ma costretto, sceglie a quel punto di
immergersi in quell’esperienza e raccontarla.

È un saggio di antropologia, di etnologia, un saggio su folklore e cultura popolare, usi materiali e la


componente saggistica è spiccata e notevole. Ma è anche un grande romanzo: per la capacità di
rappresentare un universo perché è una storia con una progressione, l’inserimento, l’accettazione di questo
usi e costumi progressiva da parte di Levi; ha una capacità di fascinazione letteraria, in termini sintetici una
qualità estetica, che naturalmente i saggi non hanno e una componente di invenzione molto notevole. Non
ho detto, fatto importante riguardo al genere, che è un saggio, ma anche resoconto di viaggio coatto, che
all’interno vede il viaggio della sorella da Nord a Sud, da Torino in visita al fratello, il fratello va Torino per il
funerale e poi la chiusura definitiva con il ritorno al Nord, alla capitale da parte di Levi. È una testimonianza
biografica perché la storia è una storia vera, testimoniale, siamo nell’ambito delle scritture dell’io, dove la
storia raccontata è vera, l’autore corrisponde al narratore.

In questo senso, genere: saggio, romanzo, testimonianza autobiografica, resoconto di viaggio, genere
memorialistico, ma appunto tutto ciò comprovato dall’iter editoriale dell’opera: esce come saggio, passa in
collana, contenitore tra la saggistica e la narrativa, filosofia, sociologia, racconto lungo, romanzo che è la
NUE (Nuova Universale Einaudi) e approda ai tascabili Einaudi come classico della narrativa.

Queste sono le 3 tappe fondamentali editoriali: l’uscita in saggi del ’45, il passaggio nella NUE, contenitore
misto (ho scelto un’immagine sola dei tascabili Einaudi).

Ho fatto una piccola digressione sulle copertine: nei saggi nessun’immagine, nella NUE l’immagine
dell’autore, nei tascabili la deformazione artistica, quindi un Levi artista, non solo autore né anonimo
saggista, come all’origine prima edizione. Centralità della mediazione editoriale che orienta la modalità di
lettura dei destinatari, incasellando così un testo all’interno di una collana che ha caratteristiche che un
lettore conosce e che quindi lo portano a leggere quel testo come gli altri racchiusi all’interno della
medesima collana appunto saggi piuttosto che romanzi. Il genere è un punto di forza interessante.

SPAZIO E TEMPO. Vi ricordo il gioco vicino-lontano su entrambi i piani.

È uno spazio-tempo determinato storicamente, una condanna al confino dell’autore, documentata dai
verbali e vissuto sulla pelle di colui quale lo racconta, in un tempo storico preciso, il fascismo, nell’anno 35-
36 (la durata è scandita precisamene in 8 mesi). I luoghi son luoghi geograficamente specifici: abbiamo visto
sintetizzati (e qui parte il gioco vicino-lontano) in quella Galliano che non esiste topograficamente, ma è il
luogo sintetico, mitico del romanzo. In questo senso abbiamo da un lato il radicamento in un et nunc
preciso, in un cronotopo che è verificabile e dall’altro un gioco di allontanameto, di allusione mitica sul
piano del tempo e diciamo sul piano del paesaggio che da un localismo topografico, da quei posti a sud di
Eboli si passa a una dimensione meridionale diffusa, a una dimensione morfologicamente determinata da
quei tufi, da quelle argille, da quei crepacci, da quei spaccati, da quella natura sempre uguale a se stessa,
tendenzialmente avara sin dalla preistoria e la preistoria allusa sin dal titolo del romanzo, che oggi non ho
ripetuto, Cristo si è fermato a Eboli, sotto Eboli non c’è storia, c’è preistoria, non ci sono uomini, ci sono
animali.

La vicenda è interessante perché c’è una convergenza di due piani: le dinamiche interpretative che all’inizio
partono da un Levi straniato, che guarda senza capire, colpito, estraneo questo mondo e le sue dinamiche,
pian piano entra in quel mondo, viene accettato e a un certo punto ne prende coscienza, lo rielabora, lo
interpreta e propone alla fine una soluzione, una proposta federativa.

Dal punto di vista dell’interpretazione argomentativa della dimensione didascalica, dell’aspetto saggistico
dell’opera c’è una netta progressione sul piano della vicenda con questa assimilazione, accettazione,
ammirazione alla fine da parte degli abitanti di questo personaggio a loro volta estraneo, che si conclude
con il doppio colpo di scena  non tre anni, ma otto mesi: se ne va molto prima del previsto senza che
questo susciti nessuna emozione positiva in Levi e d’altra parte abbiamo il rifiuto di sposare la ragazza più
bella del paese con le considerazioni che abbiamo già fatto.

LINGUA E STILE.

Originali, interessante perché è uno stile elaborato, originale, ma che ha una dominante di anti-letterarietà
tradizionale. Elaborato, stile di grande scrittore, ma non letterariamente tradizionale. Non ha all’interno
citazione di opere precedenti, non si rifà a tradizione specifica, abbiamo un alta leggibilità, molto
importante perché romanzo facile da leggere dal punto di vista linguistico e stilistico, affabile, ma insieme
una serie di espedienti che lo rendo unico, fascinoso, le accensioni liriche, le rispondenze interne, le
cadenze musicali, ritmo della prosa che è fatta di ripetizione, di refrain che sottolineano il carattere rituale
del discorso, che si ricollega alla ciclicità delle stagioni, che si collega alla ripetersi degli usi, dei costumi
durante le feste del paese etc.

I modi grammaticali e delle formule che ricalcano il parlato popolare, traducono il linguaggio locale, cioè il
dialetto danno patina di autenticità, di originalità e specificità a quella prosa. Il risultato è di grande fascino,
di grande originalità, antiletterario, ma molto elaborato.

PERSONAGGI.

Mi sono soffermato ieri perché fondamentale, visto che siamo nell’ambito di un testo autobiografico, la
fisionomia del protagonista, del narratore che è colui che narra la sua esperienza. Vi ricordo alcuni tratti di
questo narratore importanti perché qualificano il suo rapporto con il contesto: reticenze su di sé, non ci
dice nulla: il lettore che non conosce Carlo Levi, non ne conosce la biografia, non si fa un’idea precisa di
questo autore e non sa nulla, non vi viene raccontato nulla. Viaggiatore coatto, un confinato di cui non si sa
nulla, che però non pone nessuna enfasi sulla sua condizione di condannato. C’è una reticenza che parte dal
presupposto di una posizione di privilegio: quello di essere un grande intellettuale cosmopolita del nord
rispetto alla vita dei personaggi con cui si confronta in quel luogo. Sullo sfondo c’è quella predisposizione di
dignità che abbiamo visto fin dal titolo. Elemento caratteristico: rifiuto iniziale di chi è vicino a lui o
dovrebbe esserlo, nel senso che i notabili, i maggiorenti del paese vengono conosciuti, ma evitati da Levi,
che ha giudizio pesantissimo, negativo sulla loro attitudine di rapina, la loro indolenza, il loro interesse a
mantenere le condizioni di questi abitanti, la loro incapacità e anche inconsapevolezza, sono ignoranti,
rozzi, godono di una rendita familiare (possedimenti terrieri), privi di ogni consapevolezza e progetto.

Ma altro fatto significativo: non fa amicizia, come sarebbe stato naturale immaginare, con gli altri confinanti
come lui: quelli che come lui parlano la stessa lingua, hanno la stessa consapevolezza, sono lì per ragioni
politiche (comunisti, liberali come nel caso di Levi). Rifiuta assolutamente, nel senso che coglie
l’opportunità di immergersi in un mondo nuovo cercando di proiettarsi su questo mondo senza pregiudizi,
senza esibire la propria conoscenza e senza lasciarsi irretire da conoscenze che lo porterebbero al “Nord”. A
questo rifiuto dei confinati e dei maggiorenti, corrisponde una proiezione verso il mondo contadino e i
singoli contadini, che cura come medico (espediente importante che li permette di fare breccia nel paese) e
che dipinge con molti quadri: quadri di paesaggio e di persone (molti bambini, donne e contadini) che
condividono la stessa tavolozza: dimensione antropologica che unisce paesaggio e la popolazione.

Sui personaggi volevo aggiungere oggi qualcosa di più: se qualcuno di voi ha scelto di leggere il Cristo, dal
punto di vista dei personaggi ci si rende conto che siamo di fronte a una quantità straordinaria di
personaggi, inusitata che in realtà articola, fotografa in un modo straordinariamente articolato una società
che all’apparenza sembra uniforme, statica, uguale a sé stessa.

(Adesso sto mettendo luce sul piano dei personaggi, ma il discorso si potrebbe fare sullo spazio, tempo e
così via e se volete una contro lettura del Cristo, rimando al saggio che ho scritto io che è per i non
frequentanti (no obbligo, a noi non lo chiederà).

I personaggi sono della stessa pasta, l’argilla del terreno, nessuna prospettiva sociale, nessuna evoluzione,
chi nasce contadino, muore contadino, nessuna possibilità di alfabetizzazione ed emancipazione culturale,
situazione bloccata. La situazione di questo piccolo microscopico paese rappresenta la situazione
meridionale nel suo complesso: una situazione di arretratezza, stabilità, immobilismo perpetuo. Ma insieme
a questo Levi introduce altra serie di elementi che vanno nel senso opposto: questo potrebbe far pensare a
mondo uniforme, ma invece sono tantissimi.

Quello che ha scritto Levi per i Calabresi, ma anche per i Lucani: “questo mondo contadino è differenziato,
pieno di personalità e sotto l’apparenza della sua secolare immobilità, è tutta via in movimento, alla ricerca,
attraverso le infinite storie individuali e le sofferenze infinite della quotidianità, di una sua originale
autonomia. Perché i contadini calabresi e così quelli lucani, non sono dei ritratti, ma dei personaggi: ognuno
di essi porta sul viso la sua storia, il suo lavoro individuale”.

Quindi una forte sottolineatura dell’individualità all’interno di un destino comune e tendenzialmente a una
condanna perenne e in nome di questo approccio, che valorizza il singolo, il Cristo ospita una sequela di
personaggi: sono complessivamente 238. Credo che sia numero che colpisce, in un romanzo non lungo: 238
personaggi tutti diversi, individualizzati in modo più o meno approfondito, ma quello che è da un certo
punto di vista, un universo organico, statico, immobile, dall’altro pullula di singoli soggetti. Siamo in un
paese di poche anime e 238 è un numero straordinario. Facendo la media: più o meno una decina ogni
capitolo.

Non sono tanti i romanzi italiani in cui i personaggi sono così numerosi. Sono di vario livello: figure appena
evocate e anonime (vescovo e prefetto), comparse (i vari carabinieri che accompagnano Levi), personalità
storiche (su tutti il più citato: Garibaldi, interessante perché eroe popolare soprattutto al sud e quindi è
invocato negli immaginari o nei discorsi di questi contadini). Ci sono anche degli animali: diventano
personaggi, a partire dal cane Barone che è il compagno più fidato di Levi e dalla capra Nennella che gli fa
compagnia. Ci sono soggetti collettivi: morti della grande guerra o la decina di confinati di cui si legge a
inizio opera e che poi non frequenterà, scegliendo il mondo contadino. Il libro è popolato da individui, ma
anche presenze collettive (qui cito “il popolo italiano non è genericamente indicato, ma descritto nella sua
articolazione: gli studenti nelle scuole, i ragazzi della Gil, i maestri e le maestre di scuola, le donne della
croce rossa, le madri e le vedove dei caduti milanesi, le signore gioattine, i droghieri, i negozianti, i
pensionati, i giornalisti, i poliziotti, gli impiegati mei ministeri di Roma etc. etc.”).

Personaggi presenti, personaggi evocati, personaggi nominati: un universo. Sullo sfondo la massa dei
contadini, dei bambini, delle donne, dei vecchi su cui si stagliano i singoli individui. Da questo punto di vista
allora l’insieme dei personaggi non è un universo atomizzato, frammentato, ma è stratificato, coeso in
relazione perché il punto è che ognuno di questi personaggi ha dei rapporti precisi e specifici con gli altri
in una società, questo mondo preistorico, fisso, immutabili ha una struttura sociale, dei rapporti, delle
relazioni, dei rapporti di forza, di interesse, sentimentali, di potere…
Questi personaggi sono legati da rapporti famigliari, di parentale, di discendenza, di consanguineità, di
vicinato: sono tutte categorie contadine che stabilizzano, fissano rapporti più o meno stretti che fan parte
della struttura sociale di quel mondo. Fermo restante la spaccatura tra i contadini e la classe “dirigente”, da
un lato lo sfruttamento, dall’altro la sudditanza. Questo rimane un dato di fatto stabile.

 Domanda: il fatto che Levi non frequenti gli altri personaggi non è una libera scelta, ma imposto dal
podestà.
Giusto, ma rimane il fatto che ovviamente il podestà vieti la frequentazione perché sono tutti
condannati politici e il confino è un istituto che cerca di isolare. Nulla vieta però che in questa
situazione e con la relativa libertà che c’è, Levi e gli altri confinati potessero aspirare ad avere
contatti, a scambiarsi messaggi a incontrarsi. In questo senso Levi non ha il minimo segno di
interessa, accetta perché non gli interessa, non subisce questo limite, non vorrebbe stabilire un
dialogo con gli altri confinati e quindi in questo senso è ossequioso alle norme che ne regolano la
convivenza in quel posto in cui è stato condannato.

Emerge da qui una concezione importante di Levi che riguarda l’idea di individuo singolo, che a prescindere
da tutto ha una dignità uguale a tutti gli altri singoli individui come lui, per quanto diversi; dall’altro
fondamentale la dimensione relazione dell’individuo: l’individuo esiste in quanto in relazione con altri
individui, l’individuo esiste in quanto è parte di un corpo sociale che può avere caratteristiche molto
diverse, ma questa è la dimensione dell’umanità, che sia contadina o intellettuale di Torino. In questo senso
possiamo leggere un’affermazione che ha fatto Levi, citata molte volte e commentata in senso politico,
mentre io la intenderei in senso letterario: “dobbiamo ripensare al concetto di individuo e al tradizionale
concetto giuridico e astratto di individuo. Dobbiamo sostituire un nuovo concetto che esprima la realtà
vivente: l’individuo non è un’entità chiusa, ma un rapporto, il luogo di tutti i rapporti. Questo concetto di
relazione, fuori dalla quale l’individuo non esiste, è lo stesso che definisce lo stato”.

Individuo costitutivamente relazionale e questa idea applicata pienamente nel Cristo: società fatta da
numerosissimi individui che stabiliscono relazioni di vario genere. Potremmo dire che la natura
propriamente o più profondamente romanzesca del libro sta qua: il Cristo rappresenta un mondo fatto di
soggetti irripetibili, con una biografia specifica, un carattere, dei rapporti che lo definiscono.

Lettura ambivalente: da un lato l’uniformità mitizzata che rappresenta l’intero sud come questione
meridionale, fisso, privo di evoluzione, condannato per l’eternità con una costituzionalità preistorica;
dall’altro un microcosmo fatto di singoli individui che hanno diritto a dignità piena che fanno società, una
società diversa, particolare, tendenzialmente statica, ma con una visione romanzesca: un corpo sociale,
tantissimi personaggi, un mondo fatto di relazioni. Naturalmente in tempo-spazio individuati, di cui
abbiamo già parlato.

Tra i tanti personaggi ce ne sono non pochi che sono personaggi veri: Luisa Levi, sorella di Levi, medico che
davvero va a trovarlo attraverso i sassi di Matera con i bambini. È un personaggio storico, autentico.

Ma c’è uno studio interessante che dimostra come una serie di personaggi, con una piccola variazione
onomastica, sono personaggi davvero esistiti, davvero di quel paese: Luigi Magalone si chiamava Luigi
Garambone, Don Cosimino è Cosino di Stail. Sono nomi che non dicono nulla, ma Levi utilizza tutta una
serie di riferimenti a personaggi storici, reali, concreti, veri autentici a dimostrazione che l’individuo è uno,
irripetibile, unico, autentico: cambia un po’ il nome, ma sono facilmente riconoscibili. Don Traiella in realtà
è Giuseppe Scaiella e anche i bambini: Antonio Fanella, Giovanni Colaiaccovo, Antonio Cardinale sono
personaggi veri che si sono visti rappresentati, che sono stati intervistati e che Levi poi ha rivisto in termini
anagrafici ed effettivi. Persino l’anonimo malato del Pantano ha un nome: contadino Pietro Valente che si
ammalò gravemente. Anche un personaggio secondario, che muore, è un personaggio storico e riproduce
vicenda reale.
ONOMASTICA.

Viene fuori da quanto abbiamo detto. Ci sono figure anonime: personaggi senza nome, ruoli anonimi (il
vescovo, il prefetto, sanaporcelle che è un nome che corrisponde al ruolo), personalità storiche, soggetti
collettivi, dei soprannomi dati dalla comunità: Giulia la santarcangelese, che si chiama Giulia .. e nomi veri.
Massimo realismo anagrafico e onomastico, un ancoraggio alla realtà perché se le singole persone sono
singoli individui irrepetibili che stabiliscono relazioni tra di loro, quel mondo è un mondo unico, specifico,
mitico e dall’altro unico e senza altre repliche nell’universo meridionale. Torna il gioco vicino-lontano,
rappresentazione precisa, mitizzazione. Rappresentazione romanzesca, vivida, evidente, efficace e il
ragionamento interpretativo che si può spostare alla realtà meridionale con la proposta federativa che
chiuda il romanzo.

Con il neorealismo si cerca di rappresentare in modo nuovo e in modo accessibile, l’esperienza che tutti
vivono.

CONTESTO NEOREALISTA.

Potremmo dire, seguendo la monografia classica di Bruno Falcetto, che in questa fase è diffuso il senso, la
percezione del dinamismo della storia. Tutti sono coscienti di far parte, essere testimoni, ma anche
protagonisti di una trasformazione storica in atto, determinante. È una svolta, se ne ha coscienza collettiva
e questo rende tutti consapevoli di fare una parte in questa situazione. E quindi prevale un senso di
partecipazione profonda a un movimento collettivo: c’è il senso della collettività, di esperienza che riguarda
me e come me, tutti. La convinzione di partecipare attivamente insieme, con aspirazione modi diversi, alla
costruzione di una nuova società, una nuova cultura. Il senso di agire anche in un universo culturale nuovo,
dinamico, libero dalla dittatura, dall’autarchia culturale, dal chiudersi all’interno delle proprie tradizioni, il
rifiuto dei modelli straniere, c’è sete, fame di conoscere, di essere aggiornati, di recuperare il terreno
perduto.

Si cercano modelli letterari diversi, internazionali, transnazionali, si provano scritture nuove, miste che si
rivolgono a pubblico più ampio di chiunque sappia leggere, nuovi interlocutori, concreti, tangibili, che
partecipano a questa fase storica straordinaria. Potremmo parlare di cultura dell’impegno: una coscienza
impegnata, nella consapevolezza di un rapporto fattivo con la società, ognuno fa la sua parte insieme agli
altri. Un’idea di collaborazione collettiva.

Vi do due dati quantitativi che sono un po’ il termometro da punto di vista editoriale: nel 1944 i volumi
pubblicati in Italia sono 2666, due anni dopo, nel ’46, sono 6516: triplica il numero dei titoli in due anni, è
questo interesse di conoscenza, di sprovincializzazione, questo desiderio di sapere e di aprirsi al mondo per
incidere nella nuova Italia. Tutto ciò aiuta a definire il neorealismo non un movimento, fatto da letterati con
dei programmi, ma qui siamo di fronte a un fenomeno di massa, a dinamiche collettive.

Alfonso Berardinelli, critico molto brillante, ha parlato di situazione neorealista, per rendere idea delle
varie componenti. Noi potremmo parlare di cultura neorealista: cultura del fare, dello scrivere e del
leggere, cultura dell’aggiornarsi, che va al di là della letteratura, intercetta la politica, la società… D'altronde
è significativo che Carlo Levi sia un grande intellettuale, oltre che scrittore, nel senso che lavora in ambito di
cultura neorealista, politica, pittorica, letterarie, ideologica. Anche Calvino è un grande intellettuale che
nasce in ambiente neorealista, vedremo le sue sfaccettature, ma è critico letterario, funzionario editoriale,
scrittore e traduttore. Ecco perché è riduttivo dire il “movimento neorealista”, è una cultura, una
situazione, va molto al di là della letteratura in senso stretto.

Ma perché neorealismo? L’etichetta vuol die “nuovo realismo”. Al di là dei riferimenti al nuovo realismo
tedesco, è interessante notare come il neorealismo stia a indicare un nuovo realismo in Italia: ritorno a
romanzo realistico, che ha avuto nei veristi dei capisaldi. Infatti, Verga viene riletto, studiato, metabolizzato,
ma con segno opposto all’impersonalità dei veristi, l’oggettività, l’indiretto libero, tecniche di
oggettivazione, abbiamo al contrario una partecipazione testimoniale. L’autobiografismo di Levi è il
contrario dell’Impersonalità di Verga.

Cultura neorealista diffusa, condivisa, non letterariamente elitaria, con riferimenti a letteratura passata
(come il Verismo, ma con il capovolgimento di alcuni aspetti: impegno, no impersonalità), autori
intellettuali non solo letterati: Levi medico, pittore, politico e Varietà di proposte a 360 gradi.

All’interno di questo mondo esordisce Calvino. In programma c’è e ve lo ricordo il profilo fatto da Scarpa nel
dizionario biografico degli italiani: dizionario biografico della Treccani, opera monumentale, molto
qualificata, vi affido la biografia di Calvino per far idea complessiva della sua vicenda come scrittore.

ITALO CALVINO

Vorrei iniziare a parlare di Calvino con alcuni elementi caratteristici della sua biografia fino al Sentiero.
Calvino è un classico, lo conoscete. Si potrebbero fare tanti discorsi sulla sua canonizzazione, evoluzione
letteraria, sarebbe interessante, ma non possiamo farlo.

Pubblica rigorosamente da Einaudi, la casa di Levi e di parte del neorealismo (I Gettoni di Vittorini, ma non
solo con questa collana). La storia di Calvino è una storia di progressiva canonizzazione in vita: quando
muore è già celebre a livello internazionale, criticamente ha una tradizione solidissima di apprezzamento, è
un classico vivente del Novecento. È interessante come i paratesti calviniani vadano sempre più a
restringersi: a un certo punto c’è solo l’elenco delle opere pubblicate, talmente noto che non occorre dire
nulla di lui e sono così attese le sue opere che è inutile anticiparle per solleticare l’interesse del lettore.
Successo straordinario.

Nasce nel 1923 e muore nel 1985: uomo del Novecento. Non nasce in Italia, ma a Santiago de Las Vegas a
Cuba da una famiglia benestante. Il padre, Mario Calvino, è un agronomo di una vecchia famiglia di San
Remo che si trova a Cuba perché dirige una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola di agraria, è
un accademico, professore universitario con competenze da agronomo, grande intellettuale di estrazione
scientifica. La madre, Eva Mameli, originaria di Sassari è laureata anche lei in scienze naturali, lavora come
assistente botanica all’università di Pavia: anche lei intellettuale di estrazione scientifica-agronomica. Molto
spesso i due lavorano insieme, condividono un interessa. Sulla madre è uscito un libro interessante che
mette a fuoco questa figura femminile con profilo da scienziata di primo piano: siamo all’inizio del
Novecento, le donne scienziate e accademiche non sono molte  famiglia d’élite.

L’avventura a Cuba si chiude con il trasferimento a San Remo, dove in realtà cresce Calvino. San Remo oggi
è una città turistico-balneare, con popolazione di pensionati, scelti per il clima, ma all’epoca (inizio
Novecento) era un luogo con una nomea diversa, usando le parole di Calvino: “allora San Remo era una
cittadina piuttosto diversa dal resto d’Italia, ancora popolata da vecchi inglesi, gran duchi russi, gente
eccentrica e cosmopolita e la mia famiglia era piuttosto insolita sia per San Remo sia per l’Italia dall’allora:
scienziate, adoratori della natura, liberi pensatori. Mio padre era di famiglia mazziniana, repubblicana,
anticlericale e massonica, era stato in gioventù anarchico e poi socialista; mia madre di famiglia laica era
cresciuta nella religione del dovere civile e della scienza, socialista, interventista nel 15, ma con una tenace
fede pacifista”.

Due figure assolutamente contro corrente, non allineate al fascismo, con una dimensione ereditata da
Calvino, laica e con un inserimento a San Remo, città cosmopolita. Fino agli anni ’30, alcuni luoghi turistici
all’epoca erano frequentati da intellettuali, artisti, possidenti internazionali, aristocratici. Calvino nasce a
Cuba, ben presto ritorna a San Remo e qua vive non in una cittadina di provincia emarginata, ma in quella
che era ancora un luogo delle élite internazionali, figlio benestante di una famiglia laica aperta a
condividere questi stimoli. Elementi che formano il giovane calvino. Rimane che lui è la pecora nera:
letterato in una famiglia di scienziati, ci sono contrapposizioni, discussioni, ma in realtà Calvino assimila
molto di una mentalità scientifica (l’interesse scientifico rimane sempre), le letture scientifiche saranno
presentissime, tra gli autori che lui apprezza e che hanno dichiaratamente contribuito alla sua formazione
di scrittore: Galileo Galilei, scienziato, Leopardi con le Operette Morali. Calvino scrive: “io pensavo di
pensare ad altro, di fronte alla natura restavo indifferente, riservato, a tratti ostile (si sta riferendo alla
passione naturalistica dei genitori). Non sapevo che stavo cercando anche io un rapporto, forse più
fortunato di quello di mio padre, un rapporto che sarebbe stata la letteratura a darmi”.

La letteratura come mediazione, come modalità di rapporto privilegiato con la natura che non si è
interrotto, ereditato dai genitori e mediato dalla letteratura, un’attitudine naturalistica, sistematica.
Pensate a Palomar, il capitolo dedicato alla vetrina dei formaggi del salumaio con una classificazione
strepitosa dei vari formaggi e la pancia del geco con una descrizione delle scaglie che ne contrassegnano la
morfologia animale. Su queste premesse non ci stupisce che i genitori non gli danno un’educazione
religiosa, quando frequenterà il ginnasio liceo, viene esonerato dall’insegnamento della religione (fatto
inusuale all’epoca).

I genitori sono antifascisti, non impegnati, hanno atteggiamento mentale diverso, snobbano il fascismo e
Calvino non vive in un ambiente dichiaratamente antifascista, anche se più tardi i genitori verranno
imprigionati e rischieranno di essere uccisi.

L’epoca dell’adolescenza (metà anni ’30) è il tempo delle prime letture e della passione per il cinema. C’è un
volume bello “Calvino e il cinema”, che studia questa passione, passione per cui Calvino diceva di andare al
cinema anche due volte al giorno, appassionato al cinema americano e al nuovo cinema.

Avrà dei rapporti personali con soggetti che diventeranno protagonisti della cultura del giornalismo italiano:
amicizia con Eugenio Scalfari (fondatore di Repubblica, giornalista di grande caratura). I due crescono
insieme nella formazione liceale e manterranno un rapporto stretto. Quando muore Calvino, Scalfari è
scioccato, ha già lanciato la Repubblica con successo, decide in un editoriale di dare un’evidenza particolare
alla cultura letteraria. È molto interessante il fatto che quando esce la Repubblica, Scalfari dice “la cultura
non la metto in terza pagina, ma al centro della pagina perché è al centro tra la politica e l’economia ”. Con
la morte di Calvino decide di lanciare un supplemento “Mercurio” con editoriale dedicato a Calvino,
intitolandola a Mercurio, una divinità protagonista delle Lezioni Americane di Calvino.

In questi anni di formazione, legge Pirandello, Vittorini, Cesare Zavattini, Montale, il suo poeta. Dirà più
tardi “l’unico poeta filosofo che io sia riuscito a seguire sistematicamente in gioventù”.

Inizia a scrivere: una serie di prove sappiamo che le ha prodotte, ma sono andate perdute e c’è una
testimonianza dove dice “ero un ragazzo tardo per l’età che avevo ero piuttosto indietro per molte cose. Poi
nell’estate del ’40 scrissi una commedia intera in tre anni, ebbi un amore imparai ad andare in bicicletta ”. È
una forma di emancipazione personale, culturale, letteraria.

A questo punto si innesta, svolta significativa, formativa, fondamentale l’esperienza della Resistenza.
“Sono stati mesi che hanno contato come anni e se riuscissi davvero a ricordarmi come ero mese per mese
dovrei dare tanti ritratti di me completamente diversi: un giovane duttile e nei mesi di forze tensione
procede a sbalzi. Nelle tensioni emotive degli atteggiamenti nelle idee”. Viene a sapere della morte in
combattimento di un giovane medico comunista… e scioccato, questo lo porta alla scelta di schierarsi e di
entrare nel partito comunista italiano. Moltissimi di questi scrittori intercettano posizioni politiche e partiti:
Vittorini lavoro per il Pc, Calvino si iscrive al Pc, Levi fonda Giustizia e Libertà, Anna Maria Ortese si iscrive al
Pc. La militanza si trasforma in quegli anni in militanza politica, in iscrizione a partiti che allora erano di
massa che coinvolgevano intellettuali, ma anche gente comune. Siamo alla fine della guerra e Calvino
partecipa alla lotta partigiana. È a San Remo, va in montagna, qualche azione militare, soggiorni protetti e
nascosti, conosce la prigionia, vive drammaticamente il lungo sequestro dei genitori tenuti in ostaggio dai
nazifascisti. Si salvano, ma rischiano la deportazione.

Con la Liberazione abbiamo la progressiva razionalizzazione di questa esperienza. È ovvio che l’esperienza
partigiana comporti a mescolarsi con persone di estrazione socioculturale diversissima: proletari, contadini,
delinquenti, evasi. Calvino è di buona famiglia, di estrazione intellettuale, già scrittore, fa un bagno di realtà.
Comincia a ragionare su queste esperienze nei termini di conciliazione di un ideale comunista e di un ideale
anarchico. Dice lui “da un parte l’esigenza ideale che la verità della vita sviluppi tutta la sua ricchezza al di
là delle necrosi imposti dalle istituzioni”: l’anarchismo, la libertà assoluta, il vitalismo, la necessità di
esperire al di là della morale, dei limiti sociali; “dall’altro l’esigenza ideale che la ricchezza del mondo non
venga sperperata, ma organizzata e fatta fruttare secondo ragione negli interessi di tutti gli uomini presenti
e venturi”: un ideale comunista, socialista, di condivisione dei beni e di democrazia sociale.

Con il ’45 (data fondamentale per storia nazionale e Calvino) lascia San Remo. Si stabilisce a Torino.
Interessante il fatto che Tornio è il luogo dove si è trasferito Antonio Gramsci perché capitale dell’industria
italiana, con la Fiat e del proletariato italiano, cioè il luogo più avanzato della rivoluzione industriale
dell’Italia dell’epoca. In più a Torino c’è l’Einaudi, la casa editrice che pubblica e pubblicherà la narrativa
neorealista. A Torino si laurea in lettere, con una tesi su Joseph Conrad (uno dei modelli della sua scrittura),
ma dopo essere stato iscritto e aver abbandonato la facoltà di agraria, come se chiudesse i conti con la
tradizione agraria paterna e materna. È interessante che lo scrittore italiano Calvino si laurea in una tesi di
anglistica, con prospettiva aperta e internazionale. Nel ’46 vince ex equo con Marcello Venturi un premio
bandito dall’Unità, quotidiano comunista di Genova, premio riservato a racconti inediti di ambientazione
resistenziale.

Gli anni del dopoguerra sono caratterizzati dall’impegno sia politico nel partito comunista, ma anche
dall’esperienza all’interno dell’Einaudi: esperienza fondamentale per Calvino, il quale comincia a
collaborare da esterno: venditore di libri e di enciclopedie Einaudi porta a porta. Inizia questo rapporto che
lo porterà ad assumere tutti i ruoli della mediazione editoriale, prima come collaboratore esterno e poi
assunto definitivamente e a dargli un’esperienza a 360 gradi del mondo dell’editoria.

Inizialmente vende i libri porta a porta, poi si occupa dell’ufficio stampa (pubblicizzare i libri appena uscita,
ottenere recensioni e premi), poi si dedica a redigere bollettini per i venditori di libri, Notiziario Einaudi,
diventa redattore ed è considerato bravissimo come titolista, nel trovare i titoli dei libri, come autore delle
quarte di copertina, come lettore editoriale: gli arrivano manoscritti, inediti, ne boccia molti di più di quelli
che approva (in 35 anni ha mandato circa 5000 lettere ad autori o aspiranti tali che mandavano i propri
scritti per essere pubblicati: autori, ma anche traduttori perché valutava l’opportunità di tradurre le opere).
Nel 1980 dice Calvino “ho dedicato più tempo ai libri degli altri, che ai miei. Non lo rimpiango. Tutto ciò che
serve a un insieme di una convivenza civile è energia ben spesa”. Da questa citazione è tratto il titolo “I libri
degli altri”, una selezione di letture editoriale di Calvino pubblicate da Einaudi: sono giudizi dove Calvino è
sempre molto attento, riguardoso e preciso.

L’editoria, la letteratura, i libri che servono all’insieme della convivenza civile, idea di letteratura come
collante, carburante della civiltà contemporanea. È stato anche traduttore, ha inventato e diretto per 12
anni una collana bellissima, Cento pagine. Originalità di scelta di titolo di collana che fa rifermento a un
aspetto materiale: il numero di pagine: Cento pagine, cioè libri di circa 100 pagine, il che vuol dire già di
ampio respiro, ma non troppo impegnativo da leggere, si riferiscono a pubblico colto che si portano i libri in
metropolitana, sul treno, che non hanno tanto tempo per leggere, sono tutti romanzi brevi o racconti
lunghi, anche di autori classici, ma tendenzialmente dimenticati, quasi delle novità. Il primo numero ha
come autore Iginio Ugo Tarchetti e si intitola Fosca, capolavoro della Scapigliatura. Pubblicherà altri testi
della Scapigliatura. E grazie alla pubblicazione di questi scapigliati, la critica anche accademica riapre il
capitolo Scapigliatura e ha un’attenzione critica nuova che non aveva fino a quel momento.

Ma con ciò siamo arrivati alle soglie del ’47 e nel ’47 esce l’opera, il libro di esordio di Calvino, che ha già
pubblicato qualche racconto.

Qualche immagine di Calvino.

Questo è un libro del Meridiano (classici italiani Mondadori di grande prestigio). Nei meridiani escono
diversi volumi calviniani: due racconti e romanzi, i saggi curati da Barenghi, le fiabe italiane curate da Fabio
Lavagetto, l’album calvino curato da Baranelli. Una monumentalizzazione sistematica.

Calvino che, come Atlante, regge il mondo (autoironico) che guarda noi in un mondo capovolto e anche lui
che regge il mondo è dentro ad esso: relativismo prospettico, chiave fondamentale per muoversi all’interno
della società, non c’è una soluzione giusta sempre per tutti. Come la figura mitica, Calvino regge il mondo,
un mondo che lo riflette a testa in giù. L’ambiente è rigorosamente urbano. La città è il luogo della
trasformazione, della modernità, del futuro.

Un Calvino alla finestra, grande osservatore. Sempre con in mano dei libri, i libri degli altri che guarda, cioè
guarda perché curioso, partecipe, interessato ma da lontano, mantiene il distacco, vuole capire, ci ragiona,
nessun entusiasmo empatico collettivo

Con l’arma dell’ironia, dell’intelligenza, del sorriso

A Parigi, è una parentesi successivo al Sentiero.

Ritratto da Tulio Pericoli, questa volta il mondo gli fa da scrivania, si appoggia al mappamondo

In ufficio alle Einaudi, sommerso dai libri, dai manoscritti degli altri

IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO

Nel 1947 esce il Sentiero dei nidi di ragno.

Proviamo a metterci nei panni del giovane Calvino: ha una formazione culturale solida, dei fondamenti
scientifici, ma anche delle conoscenze letterarie, ha una apertura internazionale, conosce il cinema. In
realtà legge anche i fumetti, letteratura moderna, veloce, non è schizzinoso. Ha già pubblicato dei racconti,
ha vinto un premio e vuole scrivere un romanzo neorealista. Ci sono delle oggettive difficoltà: si tratta di un
esordio, il primo libro.

La questione è aperta, ne parlerà anche Calvino, è più difficile scriver il primo libro o il secondo? Se il primo
libro ha avuto successo, il secondo è impegnativo: moltissimi scrittori faticano a produrre il secondo libro,
se il primo è stato accolto con favore perché il primo fissa un’immagine di scrittore, delle caratteristiche di
scrittura che l’autore si sente addosso. Esordire però con il primo libro è più difficile. Sono oggettività
dell’esordiente, la difficoltà di chi pubblica il primo libro. Ha già pubblicato racconti e apro piccola
parentesi: ne scriverà molti altri, per esempio il secondo libro “E ultimo vien il corvo” è una raccolta di
racconti, ma Calvino è autore più di romanzi o di racconti? Anche qui si può ragionare, dico solo che ha
scritto tantissimi racconti e che diversi romanzi sono brevi, anche il Sentiero non è molto lungo, la trilogia
dei Nostri antenati è fatta di opere non lunghe, la Nuvola di Smog è un romanzo breve e arriviamo pure a Se
una notte d’inverno un viaggiatore (1978), ultima opera (poi c’è Palomar ma è una raccolta di testi già
usciti) è fatta di 10 inizi di 10 romanzi diversi e ognuno ha una sua autonomia, 10 racconti tenuti insieme in
una cornice romanzesca, ma la cornice a sua volte è un racconto. È un romanzo o è un romanzo costruito
sapientemente sulla misura più breve di un racconto in un complesso organico tendenzialmente uniforme?
Forse non vi ricordate, ma all’inizio del Viaggiator si rivolge con il Tu al lettore e dice “stai per leggere
l’ultimo romanzo di Italo Calvino”, in questo incipit chiaro, semplice, banale, trasparente c’è
un’affermazione di genere. In questo modo Calvino induce il lettore a ritenere che sta per leggere l’ultimo
romanzo di calvino, cioè da una definizione di genere. All’inizio mi orienta la percezione, il lettore è portato
a immaginare che sta per leggere l’ultimo romanzo.

Prima difficoltà: quella dell’esordio.

Seconda difficoltà: ciò su cui fatica e poi trova soluzione, prova a scriver un romanzo pre-esistenziale, ma
finisce sempre per parlare di sé, della sua esperienza, non può che far riferimento quella vicenda personale.
Del resto, la dimensione testimoniale è tipica del neorealismo, non riesce a staccarsi perché si tende a
raccontare ciò che si è vissuto essendo un’esperienza così forte. Ma a lui non va bene, vuole trovare
soluzione diversa.

Terza difficoltà: siamo nell’epoca di contrasti ideologici fortissimi, fascismo e antifascismo, poi democrazia
cristiane e Pc, l’opinione pubblica è spaccata, lettori schierati, ma il libro non vuole dividere i lettori, vuole
rivolgersi a tutti, non vuole assumere posizione politica evidente che divida. Il problema è raccontare per la
prima volta, da autore esordiente qualcosa che tutti sanno ma di nuovo, senza far riferimento alla mia
esperienza personale e senza dividere il pubblico parlando a tutti: scrivere un libro che possa essere
apprezzato, letto con piacere da tutti. Allora il problema diventa tecnico, come faccio? In più sullo sfondo
tenete conto che la produzione neorealista è ricchissima, tantissimi titoli e Calvino ne è coscente: c’è una
concorrenza pazzesca. Calvino scende in campo con una concorrenza qualificata, opere straordinarie e
quindi si trova in una condizione molto molto difficile.

Qual è la soluzione? Non è uno, sono alcune scelte tecniche, ma a partire da una: la carta vincente è quella
di lasciar perdere l’io, di scegliere un protagonista terza, mettendo un filtro tra sé e chi racconta, il
protagonista delle avventure, ma soprattutto scegliere un protagonista che si chiama Pin, cioè è un
bambino. La scelta di un bambino è la scelta geniale e vincente che risponde pienamente agli obiettivi, alle
difficoltà, alle perplessità di prima.

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