Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
La parola istituzione deriva dal latino istitutiones sostantivo che deriva a sua volta dal verbo latino instituere
che significa insegnare.
DIRITTO
In senso oggettivo il diritto o coordinamento giuridico è un complesso di regole di comportamento che vengono
adottate da una comunità politicamente organizzata. Dal punto di vista del contenuto queste regole di condotta
possono:
• Consentire quando è previsto un potere, una facoltà che viene riconosciuto all'individuo (il diritto di proprietà,
il contratto di compravendita)
• Proibire (il divieto di rubare)
• Imporre (norme del diritto tributario che impongo il pagamento dei tributi)
• Punire ( quando trasgrediscono la norma stessa)
Il termine diritto attiene alle norme giuridiche che compongono l'ordinamento giuridico .
L'uomo per la sua stessa natura di essere razionale, tende a dare un regolamento alle proprie azioni, in
relazione ai fini che con esse intende perseguire. In ogni società umana si afferma pertanto l’esigenza di
enucleare un complesso di regole cui si adegui il comportamento dei singoli, nell'interesse della vita della
società stessa e per i fini che essa persegue: interesse e fini sono individuati di volta in volta in un dato ambiente
sociale dalle forze politiche che governano quella società.
Le norme giuridiche che contengono le regole di condotta che nel loro insieme costituiscono l'ordinamento
giuridico sono quindi poste in essere proprio perché espressione di scelte che quella collettività politicamente
organizzata fa, sono quindi espressione dell'ambiente sociale da cui derivano. Ecco perché le norme giuridiche
non sono fisse, ma sono espressione del fluire degli eventi e della storia anche
Quando parliamo di diritto in senso oggettivo facciamo riferimento a questa regolamentazione dei
comportamenti di coloro che fanno parte di questa società organizzata. Gli interessi e i fini dipendono da scelte
che vengono compiute da quella determinata società in quel contesto socio economico e storico in senso
ampio.
La dimensione della storia è dunque connessa al diritto.
ROMANO
Anche i romani avevano delle regole che disciplinavano i comportamenti tra i singoli, il diritto romano si
compone infatti di tante norme volte o agli interessi del privato e o a quelli della comunità. Abbiamo quindi un
diritto pubblico romano e un diritto privato
L'aggettivo Romano si riferisce alla collettività politica di uomini liberi dell'antica Roma. Uomini liberi perché
nell'ambito del diritto delle persone il diritto romano compie una distinzione tra uomini liberi (non sottoposti al
potere di nessun 'altro) e lo schiavo (sottoposto alla potestà domenicale, al padrone, al dominus). Solo l'uomo
libero può prendere parte alla vita politica di Roma che decideva k3regole di comportamento per gli
appartenenti alla comunità mentre lo schiavo non è parte
integrante della comunità politica ma solo una res, oggetto di diritto.
Da punto di vista cronologico l'epoca storica del Diritto Romano va dalle origini della città di Rona nel VII SEC.
A.C.(754 753 a.C.) fino alla morte di Giustiniano primo imperatore d'oriente il 14 novembre del 565 d.C. si tratta
di una ricostruzione di tempo plurisecolare, oltre 1300 anni di storia giuridica e convenzionalmente sono state
scelte queste date perché si tratta di date che indicano accadimenti di straordinaria importanza, che per la
storia del diritto consentono di ripercorrere anche le evoluzioni che si sono verificate nell'ordinamento
giuridico o che avendo attraversato secoli e secoli di storia è espressione di contesti molti diversi dal punto di
vista sociale, politico ed economico.
Dal punto di vista delle origini Roma nasce nella metà dell'8 secolo a. C dall'aggregazione dei cosiddetti PAGI
ovvero comunità di villaggi che erano stanziate nei pressi dell'isola Tiberina. Si trattava di villaggi di pastori
agricoltori con una società familiare di tipo patriarcale e tra di loro avevano tradizioni, pratiche rituali, di culto e
interessi economici simili. Decisero dunque di unirsi individuando un capo che svolgesse le principali funzioni di
governo ma anche militari e Religiose per assicurarsi che i loro componenti potessero continuare a vivere nei
luoghi in cui erano stanziati, divenendo insieme anche più forti rispetto alle altre comunità anch' esse derivanti
da popolazioni indoeuropee stanziate nella pianura del Tevere il cosiddetto Latium vetus. Queste popolazioni si
unirono nella Lega latina sancita da un apposito trattato internazionale il Fedus Cassianum che consentì a
queste comunità di operare nell'interesse di tutti piuttosto che combattersi tra di loro con il predominio che
però venne riconosciuto a Roma. Con tale evento ha inizio la vita giuridica di Roma
L'epoca del diritto romano termina con la morte di Giustiniano D'oriente che sale al trono nel 527 d.C e vi
rimane fino al 565. A lui si deve la realizzazione del Corpus iuris civilis che emana con forza di legge le singole
opere che lo compongono
• Le institutiones= le istituzioni
• Digesta = digesto
• Code iustinanus= Codice di Giustiniano
opere che raccolgono tutto e solo il diritto che doveva avere vigenza tratto dall'esperienza giuridica precedente
sviluppatasi grazie all'interpretazione dei giuristi e alle costituzioni imperiali
ISTITUZIONI di DIRITTO PRIVATO ROMANO= è un settore particolare del diritto romano relativo al diritto
privato caratterizzato da numerose Definizioni, concetti istituti e discipline delle principali figure giuridiche che
regolavano le relazioni fra i privati.
Alcune regole del diritto romano le abbiamo ereditate e le usiamo ancora oggi.
• È alla radice di principi, istituti e concetti giuridici che si sono perpetrati nel tempo e sono validi ancora oggi.
• il diritto romano evidenzia la connessione tra il fenomeno giuridico e La Storia.
• Il diritto romano insegna il metodo del ragionamento giuridico creato e sviluppato dai giuristi romani, i
cosiddetti iuris prudentes o iuris consulti.I giuristi romani ci hanno dunque trasmesso il metodo del
ragionamento giuridico, il percorso giuridico da seguire per leggere in modo giuridico la realtà e trovare la
norma giusta.
1. Studiare i casi
2. individuarne gli elementi giuridici
3. trovare la soluzione giusta (chi tra i contendenti ha ragione)
2.Tradizione giuridica anglosassone alla base dei sistemi giuridici detti di Common low:
• Gran Bretagna
• Stati uniti
3. Il diritto romano è oggi oggetto di studio anche nella repubblica popolare cinese
MONARCHIA
REX= IL CAPO POLITICO,MILITARE,RELIGIOSO, IL RE è espressione della comunità politicamente organizzata che
deriva dalla fondazione di Roma
,fondazione che è a sua volta stata creata sull'aggregazione delle antiche comunità di villaggio, i cosiddetti pagi i
quali ad un certo punto, in ragione di una serie di affinità che presentavano si uniscono ed scelgono il capo
politico militare religioso della comunità unitariamente intesa.
la formazione della città di Roma deriva dal fatto che le comunità di villaggio stanziate sui 7 colli avevano una
struttura sociale fondata sulla famiglia patriarcale, questo è il primo dato che accomunava queste comunità
chiamate anche PRECIVICHE perché preesistono alla fondazione della città di Roma. La famiglia patriarcale
aveva una struttura di carattere piramidale, a capo vi era il pater familias che aveva il potere assoluto sui beni e
sulle persone che facevano parte di quella famiglia. le comunità di villaggio erano quindi strutturate in famiglie
patriarcali che
quando discendevano da uno stesso capostipite si sentivano unitamente parte di una gens. le più antiche
strutture sociali che si perpetuano dopo che Roma è stata fondata sono le comunità gentilizie delle famiglie
patriarcali. questa struttura sociale che è sempre caratterizzata dal riconoscimento di un capo, perché anche a
capo della gens c'era un princeps gentis influenza anche al momento della fondazione l'individuazione di un
capo politico militare e religioso che appunto è il re.
al re, in quanto capo politico, sono demandate le scelte fondamentali riguardanti la vita della città, decide quali
sono le regole che devono essere rispettate all'interno della comunità, svolge quindi una funzione di carattere
legislativo (fra fonti del diritto arcaico le legis regis)
il re è anche il capo militare, è colui che è titolare del comando dell'esercito, nomina i generali dell'esercito,
indice la leva, decide se fare guerra ma anche se concludere la pace, detiene il potere delle truppe dell'esercito
e proprio questo volere gli consente di imporre il proprio volere nei confronti dei sudditi i quali a loro volta sono
sottoposti ad una coercizione che il re può esercitare nei loro confronti.
il re è anche una importante posizione rispetto alla divinità, fa da intermediario tra gli dei per il fatto che deve
propiziarne verso tutti i membri della comunità cittadini, i re è colui che garantisce la cosiddetta pax
deorum ,cioè garantisce l'alleanza tra gli uomini e gli dei, facendosi portavoce lui stesso dei voleri della
comunità che vengono espressi agli dei e interrogando gli dei sulle decisioni da prendere per il bene della città.
Questi poteri nel loro insieme (politico,militare,religioso e giudiziario) costituiscono la POTESTAS REGIA.
il re è espressione di una scelta da parte della comunità organizzata, viene acclamato nei comizi(l'assemblea
popolare) con l'approvazione del senato ma la sua individuazione è anche di ispirazione divina, se il re viene
meno per una qualche ragione prendono il potere 10 senatori che a turno amministrano tutto ciò che attiene
l'organizzazione cittadina in una forma di governo chiamata inter regnum fino a quando le circostanze e il
volere gli dei consentiranno di individuare un nuovo re. ciò consente di spiegare perché secondo la leggenda i
re di Roma furono 7 in arco di tempo di circa 250 anni. La monarchia termina nel 510 a. c. e quindi dal 754-753
fino alla cacciata di Tarquinio il Superbo (ultimo re di Roma) si sarebbero succeduti 7 re, numero che è
sembrato piuttosto esiguo, la ragione è da ricercare nel fatto che tra un re e l'altro è possibile che vi siano stati
dei periodi di inter regnum
I re della leggenda sono effettivamente esistiti, i primi 4 furono di stirpe latino-sabina i restanti tre di origine
etrusca.
1. Romolo, il più antico re di Roma, fondatore della città, il celebre re eponimo perché a lui si deve il nome della
città di Roma. A lui si riconducono una serie di iniziative riguardanti l'organizzazione della città, la divisone degli
abitanti della citta tra patrizi(i più importanti membri della comunità cittadina perché discendevano dalle
antiche comunità familiari che si erano aggregate e erano e più importanti nell'ambito delle gens , personaggi
importanti anche perché avevano patrimoni rilevanti oltre che delle doti, delle virtù ce li rendevano
particolarmente autorevoli) e plebei ( tutti coloro che si trovavano in condizioni economiche di inferiorità ma
anche in una condizione di inferiorità dal punto di vista socio-politico).inoltre a lui si deve l'istituzione del
Senato,(assemblea degli anziani che rimase sempre in vigore nella storia giuridica di Roma e che sarà
caratterizzato soprattutto nell'epoca più antica dall'esercizio di funzioni consultive, il Senato non può prendere
decisioni politiche che siano rilevanti per la comunità cittadina ma se interrogato dal re può rilasciare un parere
sulla decisione da prendere che però non è vincolante perché il re può discostarsi dal consiglio dato dal senato
attraverso il cosiddetto Senatus consultum anche se normalmente questo parere veniva tenuto in
considerazione proprio perché derivava dai membri più anziani della comunità che erano dotati di grande
autorevolezza) la distribuzione della popolazione in circoscrizioni territoriali che venivano chiamate tribù,
l’assegnazione di porzioni di terreno ai capi famiglia motivo per cui Romolo viene considerato all'origine della
proprietà privata. A lui la norma riguardante il diritto del marito di uccidere la moglie che abbia commesso
adulterio, il diritto che limita il poter del pater familias di uccidere il proprio figlio quando non abbia ancora
compiuto 3 anni a meno che non sia nato deforme
2. Numa Pompilio opera importanti riforme nell'organizzazione religiosa e nell'ambito del diritto Penale= lui
distingue l'omicidio volontario dall'omicidio involontario prevedendo diverse sanzioni:
-chi uccide volontariamente un'alta persone viene messo a morte direttamente dai parenti dell'ucciso, questo
vuol dire che chiunque potrà ucciderlo nella stessa maniera in cui lui ha commesso l'omicidio
- chi ha ucciso involontariamente un'altra persona dovrà semplicemente sacrificare un ariete a favore dei
parenti in linea maschile della persona che era stata involontariamente uccisa.
A Numa Pompilio si riconduce il divieto al padre di vendere il figlio quando abbia dato il consenso alle nozze del
figlio stesso.
3.Tullo Ostilio che aumenta il numero dei componenti del Senato
4.Anco Marcio (l'ultimo di stirpe latina-sabina) a lui si deve la fondazione della colonia di Ostia.
5. Tarquinio Prisco (primo dei tre re di stirpe etrusca che danno un impronta maggiormente dispotica alla
monarchia, rafforzano il loro potere militare e riescono ad imporre in maniera più evidente il proprio valore e
quindi a indurre all'obbedienza i membri della comunità cittadina tendendo atteggiamenti dispotici ) che viene
ricordato per una serie di iniziative riguardanti l'abito urbanistico di Roma, la costruzione di edifici di carattere
monumentale a conferma del potere assoluto che in quanto capo della comunità ha sulla comunità stessa. I re
etruschi manifestano il proprio potere anche attraverso dei simoboli:indossando la toga purpurea una veste di
colore rosso, sedendo sulla cosiddetta sella curulis quindi un trono,facendosi precedere dai fasci e dai littori
quindi assumono una serie di segni esteriori che deve comunicare questo potere assoluto sulla comunità
cittadina
6.Servio Tullio che riforma l'esercito, istituisce le centurie ( nuova forma di ripartizione nell'ambito delle schiere
dei soldati, unità composte da 100 uomini in armi , le centurie sono unità dell'esercito ma diventeranno i
raggruppamenti fondamentali dell’assemblea popolare che sostituirà nel tempo i comizi curati e che è
rappresentata dai comizi centuriati), a lui si attribuisce la previsione che gli schiavi liberati dovessero diventare
cittadini romani
7. Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma passato alla storia per aver assunto atteggiamenti dispotici che
sconfinavano nell'arbitrio e dunque degli abusi nei confronti anche della popolazione e proprio questo
atteggiamento che sfociava nella tirannide ne avrebbe determinato la caciata. Causa scatenate da cui deriva la
cacciata dei monarchi etruschi è il suicidio di Lucrezia Romana, una matrona, una donna nobile dell'aristocrazia
che governava la città, moglie di Tarquinio Collatino a sua volta parente di Tarquinio il Superbo , che viene
violentata dal figlio di Tarquinio il superbo, oltraggio che rischia di mettere a repentaglio la sua virtù e di gettare
disonore su tutta la sua famiglia, quindi per riaffermare la propria onorabilità Lucrezia si suicida davanti al padre
e al marito dopo aver denunciato lo stupro subito dal figlio di Tarquinio il Superbo ma si fa giurare dal marito
che avrebbe vendicato il torto subito, Tarquinio Collatino per vendicare la violenza subita da Lucrezia si mette a
capo si una sollevazione popolare che avrebbe causato la cacciata d Tarquinio il superbo e dei suoi discendenti ,
determinando la caduta definitiva della monarchia a Roma. In realtà è possibile che fossero cambiati gli equilibri
tra gli aristocratici che avrebbe portato all'istituzione della res publica.
ASSETTO COSTITUZIONALE
REX= Capo politico, militare e religioso
SENATUS= ASSEMBLEA DEGLI ANZIANI (SENES, PATRES) originariamente formata da 100 membri che furono poi
portati a 150 e a 200
COMITIA CURIATA =ASSEMBLEA POPOLARE, composta dai cittadini romani maschi che si riunivano nel comizio. I
comizi acclamavano le leggi che venivano presentate del re e il re quando veniva individuato grazie alle
indicazioni degli dei e del senato, partecipavano ad alcuni atti rilevanti come il Testamento ed una particolare
forma di adozione ossia l'Abrogatio
23/09/2021
Pomponio in un frammento della sua opera conservato nel Digesto afferma che
"è noto che ai primordi di questa città i re ebbero ogni potere"
menziona quindi i re, confermando il racconto della tradizione ed evidenzia come questi ebbero ogni potere,
erano i capi assoluti della comunità cittadina e retrocede la presenza dei re ai primordi della città, alla
fondazione della città di Roma
Livio nella sua opera monumentale "ab urbe condita" scrive nella età Agustea,ricorda Romolo e in particolare
afferma che:
"Romolo creò cento SENATORI, sia perché quel numero era sufficiente, sia perché erano soltanto cento quelli
che potevano essere nominati senatori. è certo per la loro dignità essi furono chiamati patres, e patrizi i loro
discendenti"
Livio ricorda quindi che si deve a Romolo l'istituzione del senato, che fecero parte inizialmente del senato 100
senatori che erano persone eminenti, il riferimento alla dignità che si legge nella fonte, riguarda il rango, la
dignitas nella sua accezione più antica, nell’ambito delle fonti romane, riguarda proprio il rango elevato,
aristocratico, che si unisce però alla virtù. Furono chiamati a fare parte del senato i pater familias eminenti che
avevano questo rango elevato, erano aristocratici e furono chiamati patrizi
Varro nel "de lingua latina" ricorda i comizi curiatii affermano che :
"il comitium ha questo nome dal fatto che esso coibant(si riunivano) per i comizi curiati e per le cause giuridiche
"
il comitium è anche il termine che indica nel foro il luogo in cui si riuniva l'assemblea popolare,ed era anche il
ruolo in cui venivano discusse le cause giudiziarie. Comitium, nel passo di Varrone, è quindi un termine che
assume una valenza topografica perché identifica proprio quella parte del foro dove i più antichi comizi curiati,
l’assemblea popolare, si riuniva
Attesta quindi l'esistenza del re e sembra faccia riferimento a delle norme che dovevano essere rispettate dal
re in occasione dello svolgimento di alcuni culti. Importante che in riferimento a queste precise disposizioni
dello ius sacrum, delle regole riguardanti la vita religiosa della città vi sia un’esplicita menzione del re in ben due
punti.
c'era scritto come il re doveva svolgere un sacrificio che avveniva anche grazie a degli animali che dovevano
essere sacrificati, è un’iscrizione legata al culto perché dice chiaramente che cosa il re doveva fare quando
sacrificava e il re sacrificava quando convocava i comizi.
il re è il capo religioso della città ma esistono anche i collegi sacerdotali che svolgevano specifiche funzioni e che
operavano insieme i riti, prendevano insieme delle decisioni sull'attività sacrali religiose,protagao3nisti anche
loro della vita cittadini, indispensabili perché erano il tramite tra la comunità e gli dei
- gli AUGURES tre in tutto che interpretavano il volere degli dei sulla base dei fenomeni naturali e il
comportamento degli animali(volo degli uccelli,terremoti,tempeste,fulmini =presagio di sventura, ira degli dei)
-i FEZIALI venti in tutto , erano designati a vita come gli augures, competenti nella stipulazione dei trattati
internazionali per cui era necessaria la benevolenza degli dei, che partecipavano anche alla dichiarazione di
guerra, ai giuramenti politici che dovevano avvenire alla presenza delle divinità, in particolare di Giove
-I PONTIFICES i più importanti sacerdoti, custodi del diritto sacro e del diritto civile, avevano funzioni sacrali e
giuridiche, i primi giuristi di tutta la città di Roma. A loro fu assegnato il compito di custodire i sacra ossia le
norme riguardanti i rituali sacralità, scandire lo scorrere del tempo con il calendario individuando i giorni fasti e
quelle nefasti, erano detentori degli ANNALI MAXIMI, quindi tenevano nota ufficiale degli avvenimenti più
importanti della città, erano custodi della memoria collettiva della comunità. I pontefici furono in numero
variabile da 3 a 5, ma la caratteristica del collegio pontificale(come degli altri collegi) è che vi potevano accedere
solo i patrizi cioè i membri delle famiglie aristocratiche e questa sarà una delle ragioni delle lotte plebee.
Con la fine della Monarchia, dopo la cacciata di Tarquinio il superbo si realizza un momento di transizione DAL
REGNUM ALLA RES PUBLICA.
Nell'epoca arcaica abbiamo quindi due diversi assetti di governo :alla monarchia segue la repubblica ma nella
sua organizzazione primordiale, non ancora stabile infatti la stabilizzazione degli organi costituzionali
repubblicani si avrà a partire dal 367 a.C.
Il contesto storico che caratterizza il periodo che va dal 509 al 367 a.C. è il contrasto tra PATRIZI e PLEBEI,
determinato dal fatto che i patrizi sono i detentori del potere sulla citta, sono il ceto dirigente, possiedono la
ricchezza fondiaria e il potere politico, solo loro accedono al senato, ai collegi sacerdotali e ai comizi. Il potere di
governo è quindi in mano agli aristocratici.
i plebei sono tutti coloro che non sono patrizi sono dediti alle attività produttive in particolare agli scambi
commerciali e alle attività artigianali, non hanno il possesso dell''ager pubblicus dei fondi, dei terreni che
restano solo in proprietà o nella disponibilità dei patrizi. Non possono accedere ai collegi sacerdotali, alle
magistrature cittadine, alla ricchezza fondiaria.
Questa situazione di inferiorità non è destinata a rimanere immutata perché nel tempo si creano delle occasioni
nei commerci che diventano una fonte importante di acquisizione di ricchezza e quindi all'interno dei plebei si
distinguono plebei ricchi e plebei poveri, accomunati dalla stessa aspirazione, ossia partecipare alla vita politica,
al governo cittadino perché alla monarchia succede una prima forma di governo repubblicano in cui il potere
della città viene attribuito a dei magistrati.
I primi magistrati della storia di Roma furono i consoli, originariamente chiamati pretori( da praetor precede) e
identifica i comandanti dell'esercito ,segno che appunto i pretori originariamente erano i detentori del potere di
comando delle truppe chiamato iMPERIUM
I pretores che vennero poi chiamati consoli esercitavano il potere di governo collegialmente, erano infatti due,
prendevano le decisioni insieme e rimanevano in carica soltanto un anno e soprattutto venivano eletti
dall'assemblea popolare. Questa novità (la collegialità, l’annualità e l’elettività dei due magistrati) si spiega per il
fatto che si voleva evitare di tornare a forme dispotiche di governo.
questo contrasto tra patrizi e plebei dura 60 anni conduce all'emanazione della Legge delle dodici tavole 449
a.C.(=legge che racchiude le più antiche norme della città , per la prima volta nella storia di Roma la legge viene
messa per iscritto ed esposta nel foro)si conclude con un Accordo patrizio-plebeo che trova espressione nelle
Leges liciniae Sextiae 357 a. C a partire dalle quali ci sarà un nuovo assetto repubblicano stabile nel quale si
ammetterà anche la presenza di plebei che avranno accesso al governo cittadino
La norma giuridica è una norma di comportamento che è espressione di una comunità politicamente
organizzata e che ha come destinatari i cosiddetti consociati ossia coloro che fanno parte di questa comunità.
Oltra alla norma giuridica ci sono altre regole di comportamento che possono essere espresse da una comunità
organizzata, regole di comportamento che disciplinano delle relazioni tra soggetti, stabiliscono cioè quale è la
posizione di un soggetto rispetto ad altri. Esistono quindi delle regole di comportamento che hanno la funzione
di regolare i rapporti intersoggettivi, sono delle norme di relazione che però non sono norme giuridiche. Quello
che quindi distingue la regola di comportamento che chiamiamo norma giuridica da tutte quelle altre regole di
comportamento che non sono norme giuridiche è la coattività o coercibilità. La coattività è la doverosità della
norma, nel senso che la norma una volta che viene prevista deve essere rispettata e se non viene rispettata
viene applicata una sanzione per la violazione della stessa che è stata realizzata. Quindi l’altra della regola di
comportamento che impone di tenere quella condotta è la sanzione che opera nel caso in cui quella condotta
prevista e quindi imposta dall’ordinamento giuridico non venga rispettata. La sanzione consiste nell’infliggere a
chi ha violato un dovere di comportamento uno svantaggio che può essere sia di carattere personale sia di
carattere patrimoniale. Ad e sempio chi commette un reato e quindi contravviene ad una norma del codice
penale è sottoposto ad una sanzione che nel caso più grave consiste nella reclusione, che in sé determina una
limitazione della libertà personale, si tratta cioè di una sanzione che comporta uno svantaggio in ordine alla
persona che ha compiuto la violazione della norma penale. La sanzione può però anche consistere in uno
svantaggio di tipo patrimoniale, economico che viene imposto a chi ha violato la norma. Ad esempio il debitore
che è colui che ha il dovere giuridico di eseguire una prestazione, quindi un determinato comportamento a
favore di un creditore, se non adempie incorre nella cosiddetta responsabilità contrattuale che lo sottopone ad
una sanzione di carattere patrimoniale perché egli dovrà risarcire i danni che il creditore ha subito sul piano
patrimoniale a causa del mancato pagamento del debito che gli era dovuto. La norma giuridica è quindi una
norma che impone un comportamento nel senso che laddove questo comportamento non sia tenuto da parte
di chi ne è destinatario vi sarà l’inflizione di una sanzione. Questo implica però che la sanzione deve essere
irrogata tramite organi e strumenti appositamente predisposti dall’ordinamento giuridico: se la norma prevede
la sanzione ma poi la sanzione non può essere attuata è chiaro che ella norma diventa vuota, non ha senso.
Allora la comunità politicamente organizzata che stabilisce le norme giuridiche, quindi norme coattive, ne
assicura ‘attuazione attraverso organi e strumenti che sono proprio diretti ad irrogare le sanzioni che devono
appunto riguardare coloro che hanno violato la norma stessa.
Le regole di comportamento che non sono quindi giuridiche sono ad esempio le regole morali, le regole
religiose, le regole della buona educazione ossia regole che se violate non danno luogo a delle conseguenze di
carattere sanzionatorio , potranno essere rilevanti socialmente perché se un soggetto non rispetta dei principi
morali in cui si riconosce una determinata società potrà essere valutato questo suo comportamento, sarà lui
stesso a sottoporsi ad una autovalutazione in ordine a quello che è il suo foro interno ma al di là della
riprovazione sociale non potrà essere sottoposto ad una sanzione. Lo stesso per quanto concerne le regole
religiose ossia le regole che vengono definite da una comunità che si riconosce in una fede religiosa: chi rispetta
le regole religiose, in realtà, rispetta un comportamento in cui si riconosce perché è parte di quella comunità,
ma se quel comportamento non venga rispettato sarà solo valutato da parte di quella comunità stessa. Le
norme del diritto canonico riguardano ad esempio chi si riconosce nella fede cattolica e se un soggetto tiene un
comportamento contrario ad una norma del diritto canonico non incorre in una sanzione dell’ordinamento
giuridico, ma al massimo incorrerà in una serie di conseguenze che lo stesso diritto canonico dispone ma
all’interno della comunità dei fedeli.
Una altra serie di regole di comportamento sono quelle che attengono alla buona educazione, anche queste
regole se non rispettate possono suscitare un giudizio, una riprovazione sociale, ma comunque non ci sono
strumenti di coercizione per farle rispettare. La regola del saluto ad esempio è una regola di condotta dettata
dalla buona educazione, ma se una persona non saluta non può essere costretta in alcun modo al farlo, al più
potrà essere giudicata per il mancato rispetto di una regola di buona educazione.
Quindi :
-le regole di condotta, che assicurano l'ordine di una collettività, sono dette NORME GIURIDICHE e, nel loro
insieme, ne costituiscono l'ordinamento giuridico.
-l'aspetto distintivo delle norme giuridiche rispetto a tutte le altre possibili regole di comportamento
( morali,religiose,di buona educazione) è costituito dalla loro Coattività consistente nel fatto che la relativa
attuazione è suscettibile di essere imposta con la forza, ciò si traduce , in pratica, nella predisposizione, da parte
della società organizzata per cui il diritto è posto, di organi e strumenti di coazione diretti a colpire con sanzioni
ogni condotta contraria alla regola giuridica.
- Tale forza vincolante nei confronti dei consociati deriva alla norma giuridica dall'essere creata mediante i fatti
e gli atti idonei a produrla e a renderne possibile la conoscenza in conformità all'ordinamento giuridico( le
cosiddette fonti di diritto)
Le norme giuridiche derivano infatti da un particolare procedimento di formazione che risponde alle norme di
produzione normativa che sono in vigore in un determinato contesto socio-politico in un determinato momento
storico. I meccanismi di produzione della norma nel diritto romano cambiano: nell’epoca arcaica sono diversi
rispetto all’epoca imperiale perché nell’epoca arcaica il re legislatore, ma nell’epoca imperiale diventerà
legislatore l’imperatore mentre nell’epoca repubblicana la funzione legislativa sarà riconosciuta solamente alle
assemblee popolari. Quindi i meccanismi di produzione normativa cambiano nel tempo ma sono questi
meccanismi, che sono rispettati all’interno della comunità politicamente organizzata, ad assicurare la coattività
della norma giuridica.
Oggi ad esempio la legge, nel nostro ordinamento giuridico, secondo quanto stabilito dalla costituzione,
racchiude un insieme di norme giuridiche che devono essere discusse nei due rami del parlamento, la Camera
dei deputati e il Senato, devono essere votate e una volta che la votazione abbia esito positivo e quindi la legge
si possa ritenere approvata non entra automaticamente in vigore perché la costituzione impone un ulteriore
passaggio che è quello della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il meccanismo di produzione delle norme di
carattere legislativo è sottoposto ad una serie di passaggi, il cosiddetto ITER PARLAENTARE , che poi si conclude
nell’ultimo atto che consente di rendere nota, conoscibile una legge attraverso la pubblicazione nella Gazzetta
ufficiale
QUALI SONO LE FONTI DI PRODUZIONE DEL DIRITTO ROMANO IN Età ARCAICA?
-il monarca che poteva imporre determinati comportamenti e concedere l’esercizio di determinati poteri
attraverso le cosiddette legge regiae
- Prima però delle legge regiae , come norme che reggevano la comunità, fin dall’epoca delle comunità
preciviche, troviamo i mores maiorum= le più antiche norme giuridiche che si formano attraverso un particolare
procedimento di formazione. Si parla infatti di consuetudini degli antenati: consuetudine significa che da
epoche antichissime, riconducibili alle epoche in cui vivono nelle comunità di villaggio gli antenati delle
comunità familiari che poi si aggregheranno nella città di Roma, venivano rispettati dei comportamenti e questi
comportamenti in progresso di tempo si ritenne che dovessero continuare ad essere rispettati così come li
avevano definiti nel loro agire gli antenati.
“i mores sono il tacito consenso del popolo inveterato in una lunga consuetudine”
Il tacito consenso della generalità dei consociati che costituiscono nel loro insieme il popolo romano implica
semplicemente che questi comportamenti sono reiterati nel tempo senza essere messi in discussione. Sono
quindi dei comportamenti che assurgono a regole di condotta che devono semplicemente essere praticate così
come erano state praticate dagli antenati e si erano reiterate nei secoli. Questo comportamento tacito che
viene reiterato nel tempo nella convinzione della sua doverosità fa si che si abbia una formazione della norma
tramite la cosiddetta consueudine:c’è una doverosità che è indotta dalla ripetizione reiterata di quel
comportamento che viene sentito come un comportamento dovuto, che deve essere assolutamente rispettato,
questo fa si che quel comportamento assurga a regola che diventa consolidata nel tempo e che quindi diventa
definitiva. Tutto questo è possibile perché originariamente queste regole di condotta sono individuate da parte
degli antenati che divengo una sorta di divinità, dei numi tutelari delle famiglie e il fatto che quei
comportamenti risalgano agli antenati significa che comunque devono ancora essere rispettati. Gli antenati li
hanno individuati come comportamenti espressione di un ordine naturale delle cose, immutabile, universale e
devono continuare ad essere appunto rispettati.
DIRITTO ROMANO
Lezione del 7.10.2021
Fonti del diritto romano arcaico (fine periodo arcaico)
MORES MAIORUM= consuetudine degli antenati
L’anno 367 a.C., in cui furono emanate le leggi Liciniae Sextiae, segna una demarcazione tra l’epoca arcaica
e l’epoca preclassica, in quanto segna la fine della più antica epoca della storia giuridica di Roma e l’inizio
di un epoca che introdurrà delle innovazioni dal punto di visto costituzionale, proprio grazie alle leggi
Liciniae Sextiae, e consentirà una significativa evoluzione anche del diritto privato romano.
Dal punto di vista delle storia delle fonti del diritto romano, fino all’emanazione delle leggi Liciniae Sextiae,
accade che le fonti di natura consuetudinaria trovano una sistemazione nell’ambito della legge delle 12
Tavole, la quale è espressione di un accordo che dopo lunghe lotte viene trovato tra i patrizi e i plebei
finalizzato a far sì che le norme della civitas, che fino a quel momento si erano prodotte e che quindi
costituivano il nucleo giuridico dello ius civile, potessero essere disponibili ed accessibili a tutti.
Per comprendere questa sistemazione legislativa delle 12 tavole bisogna riprendere il discorso sui Mores
maiorum, norme originarie e primigenie dello ius civile.
I Mores maiorum sono le consuetudine degli antenati, ossia sono le regole di comportamento
originariamente adottate da parte dei maiore, cioè antenati, individuate sulla base di pratiche che venivano
effettivamente compiute all’interno dei nuclei familiari e nelle relazioni interindividuali senza che fossero
oggetto di una fissione o di una discussione e dunque di una deliberazione nell’ambito di un’assemblea
legislativa.
Queste regole sono attribuite agli antenati perché furono i capi famiglia delle comunità preciviche che per
primi li adottarono, ed inoltre furono coloro che decisero di unire i gruppi gentilizi e dunque anche familiari
fondando la città di Roma.
La convinzione che queste norme si dovessero effettivamente seguire così come le avevano individuate e
praticate gli antenati, ossia la convinzione di questa doverosità e dunque la forza vincolante delle antiche
norme consuetudinarie cittadine, derivava dal fatto che erano stati per primi gli antenati ad aver avuto il
merito di riconoscere l’ordine naturale ed universale delle cose tradotto poi in regole di comportamento,
ordine che si riteneva immanente nella struttura dei rapporti familiari, sociale ed anche economici.
Gli antenati avevano quindi avuto la capacità e la sapienza di individuare delle regole di condotte che non
potevano essere diverse da come loro le avevano individuate perché erano corrispondenti ad un ordine
universale che reggeva la vita degli uomini.
Inoltre, gli antenati veniva rispettati perché si ritenevano delle divinità (numi) tutelari dei gruppi familiari,
per cui si aggiungeva a questa autorevolezza legata al merito di aver individuato le regole di
comportamento il fatto che ad essi doveva essere attributo una specie di rispetto sacrale.
Mores maiorum → sono quindi il frutto di pratiche costanti e ripetute nel tempo di generazione in
generazione nella convinzione della loro forza vincolante, e dunque della loro giuridicità, a prescindere dal
fatte che fossero state oggetto di una decisione presa da un’assemblea legislativa.
Domizio Ulpiano, politico e giurista romano, nella sua opera “Tituli ex corpore Ulpiani” afferma che: «I
mores sono il tacito consenso del popolo inveterato in una lunga consuetudine».
Esempio: La PATRIA POTESTA’ era il potere assoluto del pater familias sui propri discendenti e su tutti i
beni del gruppo familiare, e si trattava di un potere assoluto che era sempre esistito in quanto si riteneva
che non potesse essere diversamente. L'istituto della patria potestà era proprio dei cittadini romani, come
già si evince dalle Istituzioni di Gaio.
Leges regiae
In quest’epoca tanto risalente, in particolare quando il governo della città venne affidato ad un capo dello
Stato dotato di pieni poteri, militari, civili e giurisdizionali e che era anche il sommo sacerdote politico
vengono anche emanate delle leggi, le cosiddette leges regiae = le leggi del re.
Le leggi del re sono in realtà delle leggi che hanno contenuto consuetudinario, in quanto il re pronunciava
solennemente davanti all’assemblea popolare riunita nel comitium quelle che erano delle regole di
comportamento a cui il popolo aderiva passivamente, senza alcuna discussione, per il semplice fatto che
queste norme proposte dal re erano perlopiù dei comportamenti già praticati.
Nonostante quindi si parli di leggi attribuite ai re in realtà sono semplicemente delle pronunce solenni che
il re fa davanti al popolo riguardo a regole di comportamento da adottare nella comunità che però sono già
condivise, quindi non si tratta di iniziative arbitrarie e completamente nuove.
Il rex quindi emanava ordinanze di contenuto ispirato ai mores, allo scopo di rafforzarne il valore giuridico,
infatti una volta approvate dal popolo venivano acquisite ufficialmente e quindi a pieno titolo andavano a
costituire il diritto della civitas.
Ai Mores maiorum si aggiungono le leges regiae come fonti di produzione normative, ma sostanzialmente
presentano entrambe carattere consuetudinario.
Come vengono individuate queste regole di comportamento (mores maiorum) dagli antenati?
Per comprendere l’iter formativo dei mores maiorum è necessario considerare che nella Roma delle origini
e fino a tutta all’epoca arcaica vi è una stretta compenetrazione tra la sfera divina e la sfera umana, che
trova espressione in quella che viene definita pax deorum = pace con gli dèi.
In particolare, con pax deorum si intende un’alleanza che la comunità cittadina stringe con le divinità, ossia
quelle entità sovraordinate alla civitas che esprimono la loro volontà attraverso i fenomeni naturali, una
volontà che indica ciò che per gli dei può essere considerato lecito (fas) e ciò che invece deve essere
considerato proibito (nefas). Si tratta di rivelazione che non sono dirette ma i sacerdoti ritengono che i
fenomeni dirompenti della natura abbiano un senso o un significato ben preciso, considerati delle
rivelazioni degli dèi, quali i terremoti, i fulmini, le tempeste o anche un comportamento particolare degli
animali come, per esempio, il volo degli uccelli.
Originariamente i membri della comunità cittadina si pongono in una posizione di osservazione di questi
fenomeni per individuare il fas e il nefas, ossia il lecito e il non lecito, al fine di evitare di compiere qualcosa
che andasse contro la volontà degli dèi, i quali di conseguenza si sarebbero adirati e vendicati nei confronti
non solo di chi avesse avuto un comportamento illecito ma anche nei confronti di tutta la comunità
cittadina.
In altre parole, alle origini attraverso un attento scandaglio dei fenomeni naturali e dei comportamenti
degli animali, ritenuti rivelatori della volontà divina, era possibile individuare cioè che è lecito da ciò che
non è lecito dal punto di vista della sfera divina.
Questa operazione è preliminare rispetto all’attività esclusivamente umana dell’elaborazione delle regole
di diritto, quindi nel momento in cui vi è la certezza di quello che è non gradito alle divinità rispetto a quello
che è invece gradito si può individuare come ci si deve comportare.
L’operazione di formazione delle regole, quindi, è eminentemente un prodotto dell’attività umana, (non si
tutta quindi di un ordinamento giuridico di carattere teocratico), prodotto che però tiene in considerazione
quella che è l’ispirazione che gli dèi danno agli uomini rivelandosi attraverso i fenomeni naturali.
IUS: insieme di regole di comportamento prodotte dall’attività di elaborazione dell’uomo.
Isidoro di Siviglia, vescovo del V secolo d.C., distingue in maniera molto netta:
Il Fas → è la legge divina
Lo/Il ius → è la legge umana
La religione che permea la vita sociale e politica della città impone che, anche laddove sia l’uomo ad
individuare le regole di comportamento da tenere, siano rispettate determinate formalità.
In sostanza occorre che gli uomini nei loro comportamenti utilizzino sempre dei termini, parole o verba e
modi di fare prestabiliti in ragione degli scopo per cui quelle attività umane vengano realizzate.
Le regole di comportamento che vengono individuate originariamente sono regole di comportamento che
chiamiamo ius ma che possono essere distinte in rapporto alla relazione che l’uomo intende instaurare:
IUS SACRUM: Se l’attività che l’uomo compie è diretta verso la divinità: si tratta di uno ius sacrum e
quindi potremo dire che la direzione delle norme è in un certo senso in verticale. Questo insieme di
regole riguardano tutte quelle forme, solennità e ritualità che dovevano essere rispettate per svolgere
un sacrificio propiziatorio ed a seconda dello scopo e della divinità furono individuate le formule sacrali
e religiose, ed inoltre queste regole di comportamento sono connotate anche dal formalismo.
IUS CIVILE: Ma invece laddove lo ius, e quindi le regole di comportamento, sia individuato per
regolamentare i rapporti interindividuali potremo dire che la direzione delle norme è in un certo senso
orizzontale, perché riguarda gli uomini che instaurano relazioni fra di loro. In questo caso lo ius,
essendo espressione della città, diventerà ius civile.
I congegni verbali e i comportamenti prestabiliti sono indispensabili per regolare relazioni tra i cives
rispondenti a esigenza concrete:
o della vita familiare (es. il testamento, atto giuridico compiuto a causa di morte per regolamentare
la destinazione di tutti i rapporti giuridici soggettivi di cui è titolare il pater famiglia per il tempo
successivo alla propria morta. Il testamentum nell’epoca arcaica deve essere redatto nel rispetto di
solennità specifiche, in particolare non si tratta di un atto privato ma è un atto che assume una
connotazione pubblicistica perché queste volontà devono essere rese note al popolo riunito
nell’assemblea cittadina, quindi davanti ai comizi nel rispetto di determinate formalità, ossia con la
pronunciazione di formule ben precise).
o delle attività socioeconomiche (es. la mancipatio è un atto che viene utilizzato per realizzare una
compravendita ma è un atto complesso che assume delle specifiche connotazione dal punto di
vista formale. In particolare, deve essere svolto in presenza di testimoni, i quali devono essere
cittadini romani puberi, e nel rispetto di formule pronunciate solennemente dal punto di vista
orale. Si tratta di un tipico atto giuridico dell’epoca arcaica che è produttivo di effetti nella misura in
cui tutti i verba e i gesta imposti dall’ordinamento giuridico vengano rispettati.)
o dell’attività processuale (es. la rivendicare la proprietà di un bene impone che ci si rivolga ad un
magistrato, che si chiami in giudizio l’avversario, che alla presenza del magistrato le parti
contendenti esprimano quello che è l’oggetto della loro pretesa in sede giudiziaria utilizzando
determinate formule solenni e anche compiendo determinati gesti.
Il formalismo che attraversa l’epoca arcaica è frutto della compenetrazione nell’ambito della vita sociale e
politica della città con la sfera religiosa perché vi è una superstizione di fondo.
In sostanza bisogna comportarsi in un determinato modo per raggiungere quei determinati fini che la
divinità consente, senza che quelle regole siano violate perché altrimenti non sarà possibile raggiungere
quelle finalità, ed in alcuni casi la conseguenza sarà la vendetta della divinità.
PONTIFICES
Tutto questo fu possibile perché ci fu l’intermediazione di un collegio pontificale qualificato chiamato
collegio dei pontifices.
Il termine pontifex, che viene dal latino pontem facere, significa “costruttore di ponti” in riferimento alla
funzione fondamentale svolta dal collegio sacerdotale ossia di intermediazione fra gli uomini e gli dèi.
I Pontefici erano coloro che ebbero grande parte nello scandaglio della sfera del fas e del nefas, e quindi
furono i protagonisti dell’individuazione dei comportamenti leciti e delle attività lecite umane, ed inoltre
avevano delle funzioni di regolamentazione più ampia nell’ambito della comunità cittadina, quali:
La scansione del tempo: i pontefici dividevano l’anno in giorni, organizzando così un calendario, ed in
particolare stabilivano i giorni fasti dai giorni nefasti, sempre sulla base di un’indagine preliminare della
volontà divina. Per cui durante i giorni nefasti non potevano compiersi le attività giuridiche perché gli
dèi non volevano, al contrario durante i giorni fasti tutte le attività umane erano lecite.
Predispongono i rituali sacri e custodiscono le formule per le invocazioni agli dèi all’interno dei libri
ponteficales, per cui queste regole vennero messe per iscritto.
I Pontefici sono quindi i sacerdoti e i sapienti della città ma sono soprattutto degli esperti di diritti, sono
infatti propriamente dei giuristi, e più specificamente sono i primi giuristi della storia giuridica di Roma.
La loro attività fondamentale è quella di conoscere e custodire il diritto ed in particolare di dare responsi,
cioè in sostanza di rispondere ai quesiti dei concittadini relativi alla conformità di una data attività al ius.
Questa attività del responsum presuppone che i pontifices siano interrogati da chi vuole ricevere una
regola particolare per evitare una lite o anche per risolvere un contrasto che abbia già una sede.
I responsi dati dai pontifices sono fonti di produzione normative, in quanto queste risposte che
riguardano la regola da applicare al singolo caso concreto entrano a pieno titolo come regole di condotta
nell’ambito dell’ordinamento giuridico. Per cui ai mores maiorum e alle leges regiae si aggiunge un’altra
fonte normativa che è la RESPONSA PONTIFICUM.
Il giurista
Per comprendere meglio chi sono i pontifices è necessario prima aprire una parentesi sul giurista.
Il giurista è una figura ineliminabile in ogni ordinamento giuridico di tutti i tempi, laddove vi sia un sistema
di regole di condotte che vengono poste in essere nell’ambito di una comunità politicamente organizzata vi
è necessariamente anche un esperto di diritto che deve compiere un’attività fondamentale, che ad oggetto
ha le norme giuridiche, ossia l’attività dell’interpretazione che consiste nella ricerca del significato
giuridico delle norme in funzione della loro applicazione.
In ogni tempo il giurista compie un’operazione connaturale, propria e imprescindibile dal diritto:
Sia che si prende in considerazione l’attività giuridica, che definiamo propriamente processuale, sia che si
prende in considerazione l’attività giuridica che definiamo negoziale, in realtà laddove si richieda
l’applicazione di una regola di comportamento occorre l’intermediazione dell’esperto di diritto, che è colui
che può effettivamente individuare la norma da applicare ai casi.
L’attività dell’interpretazione presuppone la conoscenza delle norme giuridiche e saperne ricercare il
significato per valutarne, in rapporto ai vari casi,:
L’applicabilità
L’opportunità di estrarre altre “norme” da quelle esistenti
La necessità di creare nuove norme
Il giurista-interprete compie una “mediazione culturale” fra l’ordinamento giuridico come sistema di
norme, cioè di regole di condotta che in sé hanno una dimensione storica, e le mutevoli esigenze della vita
quotidiana.
Età arcaica: giurisprudenza pontificale
A Roma questa attività di interpretazione alle origini è svolta dai pontifices, che danno quindi luogo alla
giurisprudenza pontificale, in quanto sono gli esperti di diritto della città cioè sapienti che avevano anche la
funzione di intermediazione tra la comunità e gli dèi ma erano soprattutto gli unici depositari della ius,
inteso come ius della comunità cittadina, e quindi erano gli unici veri conoscitori in maniera approfondita
delle norme che reggevano la civitas.
L'attività di interpretazione dei pontefici ha ad oggetto i Mores e le leges, che nel loro insieme costituivano
lo ius civile, ossia le regole di comportamento adottate dal Popolo Romano.
L’attività di interpretazione del giurista cambia nel tempo e nell'epoca più antica è un'attività di
interpretazione che si svolge:
in maniera letterale cioè il giurista identifica il significato della norma rimanendo il più possibile
aderente al significato delle parole con cui quella regola di comportamento viene espressa. Quindi
questo fa sì che la regola di comportamento abbia un'applicazione non particolarmente elastica ma
un'applicazione piuttosto rigida, tanto che certi casi non sono coperti dalle norme e il giurista pontefice
non è in grado di andare oltre, di conseguenza la sua attività di interpretazione è limitatamente
creativa perché deve rimanere ancorata a quegli schemi formali con cui le norme stesse sono espresse
e devono trovare manifestazione nei rapporti interindividuali. Salvo alcuni casi in cui l'attività dei
giuristi, prendendo comunque spunto dalle norme già esistenti, riesce ad individuare nuovi istituti:
Un tipico esempio è quello dell'emancipazione: è un istituto che fa parte della regolamentazione della
patria potestà. Il Pater familias infatti non avrebbe potuto, pur volendo, liberare dal proprio potere
assoluto i suoi sottoposti, quindi il suo potere riguardava a prescindere dalla loro età tutti i suoi
discendenti, a un certo punto però si manifesta il limite di questa rigorosa e rigida impostazione
dell'Istituto della patria potestà.
I Pontefici individuano il modo attraverso il quale il Pater familias potrà manifestare la volontà di
liberare i propri discendenti dalla sua potestas ma rispettando determinate regole, attraverso un atto
complesso, che prende spunto da una norma delle 12 tavole che sanzionava la vendita per più di tre
volte del figlio da parte del padre con la perdita della Patria potestas.
Quindi utilizzando questa norma delle XII tavole, attraverso congegni informali indicati dai pontifices
stessi, i Pontifices accolgono l’istanza sociale di fare in modo che la patria potestà potesse avere una
durata limitata, conforme a quella che era la vera volontà del padre famiglia, in modo tale che i propri
discendenti potessero essere liberati dal suo potere anche prima della sua morte, quindi
fondamentalmente la emancipazione è espressione di questa attività limitatamente creativa delle
norme giuridiche che tramite l'interpretazione delle norme già esistenti viene posto in essere da parte
dei pontefices.
in regime di monopolio ossia i Giuristi Pontefici, che sono gli unici ad avere la conoscenza esclusiva
delle norme giuridiche, sono coloro ai quali necessariamente occorre rivolgersi per ottenere
l’indicazione sulla regola da applicare nel caso concreto perché nessun altro al di fuori del collegio
Pontificale ha la conoscenza approfondita del diritto.
Si tratta infatti di un monopolio della conoscenza del diritto e dell’interpretazione in funzione
dell'applicazione delle regole che compongono lo ius, che fa sì che i Pontefici abbiano un grande potere
e che il loro responso sia una sorta di oracolo dal quale non si osa discostarsi, proprio perché la loro
esclusiva conoscenza del diritto ne accresce anche l'autorevolezza.
Motivo per cui nessuno al di fuori del collegio Pontificale conosce le norme dell’ordinamento giuridico
approfonditamente e le sa interpretare, quindi tanto più quello che promana dai Pontefici ha una
valenza quasi oracolare e quindi ha una forza vincolante.
Per questo che il responso diventa fonte di produzione del diritto perché ha una forza intrinseca in
ragione dell’autorevolezza e dunque dell'autorità anche con cui si impone ai consociati.
Tutto questo implica anche che l’attività di interpretazione si svolga nel segreto, nessuno sa come i
Pontefici interpretassero le enorme, quali procedimenti logici e quali metodi dell'interpretazione
adottassero. La segretezza con cui tutto questo veniva svolto accresceva ancora di più questa natura
vincolante del responso che proveniva dai i Pontefici, i quali fino al 300 a.C. erano esponenti
esclusivamente del patriziato, soltanto i membri scelti delle famiglie aristocratiche di Roma potevano
entrare a far parte di questo collegio, che aveva un grandissimo potere perché maneggiava il diritto e
quindi in questo modo indicava delle regole di comportamento che potevano anche non assicurare una
parità di trattamento tra tutti i cittadini.
Nel 300 a.C. i plebei furono ammessi al pontificato ma siamo ormai in un epoca nella quale già si
afferma una più diffusa conoscenza dell'ordinamento giuridico e comincia un’attività di interpretazione
anche al di fuori del collegio Pontificale, quindi si va verso una giurisprudenza che viene detta Laica
perché appunto si affranca da questi meccanismi logici intrinseci alla formazione del diritto e alla
custodia del diritto nell'ambito di una collegio sacerdotale.
Comprendendo queste dinamiche di formazione dell'ordinamento giuridico e quindi dello strapotere
dei Pontefici possiamo anche cogliere meglio il significato che ha la legge delle XII tavole.
Schema riassuntivo delle modalità secondo cui avviene l’attività di interpretazione:
Decemvirato 451-450 a.C.
Nella metà del V secolo a.C., quindi dopo una sessantina circa dall’istituzione della Res pubblica durante la
quale il patriziato e la plebe si erano confrontati in ordine a certi aspetti che i plebei volevano modificare
all’interno dell’organizzazione cittadina, viene istituita una nuova magistratura, in particolare nel 451-450
a.C., che viene definita la magistratura dei decemviri legibus scribundis.
In sostanza tra le tante rivendicazione, che durante le lotte tra patrizi e plebei erano state avanzate, i
plebei avevano, con grande vigore, richiesto che vi fosse una legge che mettesse per iscritto le norme
dell’ordinamento cittadino. Questa rivendicazione aveva effettivamente condotto i patrizi a ritenere che
fosse ormai il tempo di concedere ai plebei una legislazione scritta.
Nel 451 viene quindi istituita questa magistratura straordinaria, e le caratteristiche del collegio di
decemviri legibus scribundis, i quali erano i magistrati, che esercitano il potere di governo sulla civitas, a
cui viene assegnato un compito prioritario che è quello di scrivere le leggi, sono:
istituito con pieni poteri,
sospese le magistrature ordinarie
allo scopo di creare un corpus di leggi scritte
Il primo Decemvirato si compone solo di patrizi, i quali si dedicano alla redazione delle leggi scritte
producendo X tavole della legge, che vengono preventivamente sottoposte ai comizi, però in questa
occasione si fa presente che il lavoro deve essere completato perché ancora delle norme devono essere
sistemate. A quel punto il popolo fa sì che il decemvirato prosegua, ossia che vi sia un secondo mandato a
proseguire il lavoro di messa per iscritto delle norme.
Il secondo Decemvirato in realtà rivela una scarsa attenzione verso la redazione delle tavole, ed in
particolare comincia ad assumere degli atteggiamenti di carattere tirannico nel senso che il potere viene
esercitato dai decemviri in maniera arbitraria con una serie di soprusi soprattutto nei confronti dei plebei.
A causa di un episodio scatenante avvenuto nel 449 a.C., rovesciato i Decemvirato, i Decemviri vengono
cacciati dalla città e si torna alle magistrature ordinarie cioè al consolato, ed i particolare il potere viene
conferito a due consoli: L. Valerio e M. Orazio, i quali presentano ai comizi le tavole della legge, che fino a
quel momento erano state redatte, ossia XII tavole che vengono definitivamente approvate dai comizi.
A partire da quel momento quindi viene emanata e pubblicata la legge delle XII tavole.
La scrittura delle norme e la loro esposizione nel foro è lo strumento ed il momento di passaggio
fondamentale per raggiungere una parità di trattamento rispetto ai patrizi e per avere la certezza del
diritto.
L’episodio scatenante è rappresentato dal sopruso subito da Virginia, una giovane plebea, che era stata
rivendicata in schiavitù da parte del capo dei Decemviri, che era Appio Claudio, ossia un patrizio che aveva
compiuto un atto di forza in quanto pretendeva che la figlia di un suo cliente fosse sua schiava.
A quel punto, dal momento che il padre della giovane plebea volle evitare che la figlia potesse cadere in
schiavitù di questo personaggio la uccise, per salvarne l’onore.
Le rivendicazioni plebee in realtà non erano limitate alla legislazione scritta ma si estendevano anche
all’abolizione di schiavitù per debiti e all’abolizione del divieto di conubium, cioè di nozze legittime fra
patrizi e plebei. Queste due rivendicazioni non furono accolte, ma fu accolta solo quella di redigere leggi
per iscritto. In particolare, la schiavitù per debiti sarà abolita dalla lex poetelia papiria nel 326 a.C. mentre il
divieto di matrimonio tra patrizi e plebei sarà abolito dal plebiscito Canuleio nel 445 a.C. Si tratta di
rivendicazione che avevano un senso profondo perché la plebe con la
richiesta dell’abolizione del divieto di matrimonio tra patrizi e plebei
voleva avere la possibilità di accedere in qualche modo al patriziato,
instaurando del legami familiare, e avere quindi accesso al governo
della città.
Lex XII tabularum
I decemviri misero per iscritto su tavole di bronzo (altri sostengono di
legno o avorio) tutte le norme che fino ad allora erano state raccolte, motivo per cui la legge delle XII
tavole è un corpus, un insieme di norme. Le norme dell’ordinamento furono quindi messe iscritto su tavole
che furono poi esposte in un luogo di passaggio ossia il foro, luogo in cui si svolgeva la vita cittadina, al fine
di rendere le norme giuridiche conoscibile. Inoltre, le XII tavole costituivano il riferimento fondamentale
per assicurare certezza nella loro applicazione e certezza delle norme da osservare.
LEX PUBLICA
Le XII tavole, dal momento che sono espressione di una legge approvata dai comizi, introducono
nell’ordinamento giuridico una nuova fonte di produzione del diritto che è la lex publica, questo comporta:
Una limitazione del potere del collegio dei pontefici, in quanto tutti possono conoscere le norme e
soprattutto possono ragionare sull’applicabilità di queste norme ai singoli casi.
L’attività di interpretazione dei pontefices progressivamente si esaurisce poiché giuristi laici, che non
fanno parte del collegio pontificale, cominciano a formarsi sulla base di quelle norme ormai rese
conoscibili a tutti, che diventano quindi oggetto di studio, riflessione ed in particolare di interpretazione
creativa. Questo cambiamento assicura anche la possibilità di svincolarsi dagli schemi fissi a cui invece i
pontefici si erano sempre attenuti, perché i giuristi laici sono più liberi nella loro attività di
comprensione delle norme giuridiche.
Contenuto delle legge delle XII tavole
Il contenuto delle XII tavole erano regole di carattere consuetudinarie, nel senso che i decemviri
raccolsero in queste tavole delle norme, che erano già adottate all’interno della comunità cittadina,
riguardanti il diritto processuale, le relazione tra privati, norme di diritto penale.
Quindi queste norme, che erano già patrimonio comune della comunità, vengono messe per iscritto in
forma di brevi versetti con prosa in lingua latina arcaica e ritmica, nel rispetto di quella che era la cultura
del tempo ma anche per facilitarne la memorizzazione. Le norme contenute all’interno delle XII tavole noi
le conosciamo solo indirettamente perché, secondo il racconto della tradizione, furono materialmente
distrutte nell’incendio che fu appiccato a Roma dai Galli, che invasero la città nel 390 a.C.
A questo evento nefasto si riconduce la distruzione delle tavole però soltanto da un punto di vista
materiale, in quanto i contenuti di quelle leggi che erano appunto di carattere consuetudinario, quindi
erano già praticati, conosciuti e condivisi dalla comunità, continuarono a perpetuarsi ma oralmente.
Infatti per superstizione queste tavole non furono nuovamente scritte, non furono rimpiazzate le tavole
originarie ma i versetti, ossia le norme contenute nelle leggi originariamente realizzate dai Decemviri,
furono soltanto tramandate oralmente.
Cicerone ricorda come queste norme facessero parte integrante della formazione dei giovani che le
imparavano come carmen necessarium, cioè le imparavano a memoria.
Questo ci fa capire che il diritto era parte integrante della formazione dei giovani, soprattutto dei giovani
aristocratici. La conoscenza che abbiamo delle XII tavole è frammentaria e indiretta, cioè derivante da
attestazioni di fonti giuridiche, letterarie, grammaticali di epoche successive. Quindi, proprio grazie a
citazioni indirette noi siamo in grado di conoscere quelle che erano le norme contenute in questa antica
legge. Le fonti delle epoche successive, quindi, sono state utilizzate per costituire quella che i moderni
chiamano palingenesi delle XII tavole, cioè un’operazione di ricomposizione dei frammenti pervenuti che
vengono messi in sequenza per tentare, con margini di grande incertezza, di ricostruire quello che era il
contenuto delle tavole stesse.
Riassunto schematico di quello che ci è pervenuto:
La particolarità di questa citazione è che questa legge con effetto vincolante generale può anche derivare
dalla plebe, che fin dai primi anni della Res Publica si era organizzata con una propria assemblea, i
cosiddetti concilia plebis tributa, in cui si riuniva e prendeva delle deliberazioni.
Questa organizzazione della plebe si componeva anche di un magistrato, che era il tribunus plebis, che si
faceva portavoce delle istanze plebee presso il patriziato.
Le deliberazioni prese dalla plebe potavano avere anche carattere normativo, in quanto era la plebe stessa
che si dava delle regole da seguire, ed erano i cosiddetti plebiscita, cioè le decisioni che nell’ambito dei
concilia plebis tributa venivano prese dalla plebe riunita.
I plebisciti non avevano carattere vincolante generale, infatti erano espressione di un organo
“rivoluzionario” in quanto i patrizi non avevano dato un riconoscimento ufficiali alle istituzioni derivanti
dall’organizzazione plebea, quindi i plebisciti non avevano forza vincolante fino a quando nel 287 a.C. fu
emanata la lex Hortensia che equiparò alle leggi i plebisciti, tanto che a partire da quel momento le
deliberazioni prese dalla plebe nei concilia plebis vennero talvolta chiamate lex.
Quindi a partire dalle lex Hortensia la legge non è soltanto la rogatio proposta dal magistrato e votata, in
senso positivo, da parte dei comizi centuriati, ma con il termine lex si identifica anche quello che è
propriamente un plebiscito, ossia una deliberazione in ordine a una proposta normativa nell’ambito
dell’assemblea plebea. Di conseguenza progressivamente le istituzioni derivanti dall’organizzazione plebea
entrarono a far parte dell’assetto di governo repubblicano.
Il pretore
Il pretore, istituito nel 367 a.C. con le leges Liciniae Sextiae, è un magistrato che svolge un’importante
funzione ossia l’amministrazione della giustizia, la cosiddetta giurisdizione o iuridictio.
Il pretore è un magistrato che viene eletto dai comizi centuriati e rimane in carica un anno, ed inoltre ha
un enorme potere perché è titolare dell’imperium, ossia il potere di comando che era riconosciuto ai
consoli, alla massima magistratura che governava la città nell’asseto di governo della città.
L’imperium del pretore può essere esercitato nell’ambito di una potestas cioè di una competenza limitata,
perché questo magistrato non ha un potere di generale di comando come i consoli ma ha un potere che si
limita all’amministrazione della giustizia, cioè significa sostanzialmente che il pretore è il punto di
riferimento per l’esercizio dell’attività giudiziaria, svolta attraverso le forme del processo civile nel quale
trovano definizione le controversie tra cittadini romani. La funzione giurisdizionale è espressione di quella
che noi oggi chiameremmo funzione giudiziaria.
PRAETOR URBANUS
Il pretore, istituito nel 367 a.C., viene disegnato come praetor urbanus, la ragione per cui ad un certo
punto si sente la necessità di istituire un apposito magistrato per la funzione giurisdizionale all’interno della
città viene svelata da Pomponio, un giurista che vive nel pieno dell’epoca classica, in un brano al cui al suo
interno afferma: «Dal momento che i consoli erano impegnati in guerre con le popolazioni limitrofe e in
città non c’era nessuno che amministrasse la giustizia, fu istituito anche un pretore, che fu chiamato
urbano, perché amministrava la giustizia nella città»
PRAETOR PEREGRINUS
Nel 242 a.C. viene istituto il praetor peregrinus, il quale assume la stessa funzione giurisdizionale del
praetor urbanus ma con una competenza diversa dal punto di vista dei soggetti che erano in lite, in
particolare del loro status civitatis. Il praetor peregrinus è il pretore degli stranieri, i quali non avendo la
cittadinanza romana non potevano godere delle norme dello ius civile.
La ragione per cui viene istituito è svelata anche qui da Pomponi, il quale afferma:
«Dopo un certo numero di anni quel pretore, cioè il pretore urbano, si rivelò insufficiente, poiché in città
sopraggiungeva una grande massa di stranieri e quindi fu istituito un altro pretore, chiamato peregrinus,
perché generalmente amministrava la giustizia tra gli stranieri (peregrini)»
Breve excursus di carattere geo-politico:
La realtà storica, per quanto concerne Roma, è caratterizzata da una progressiva espansione territoriale.
In particolare a partire dal III secolo a.C. Roma comincia una progressiva attività di campagne militare
volte alle conquiste dei territori limitrofe, che riguardano sostanzialmente la penisola italica, poi
progressivamente estende il proprio dominio oltre mare, determinanti saranno le tre Guerre Puniche (264
a.C.-146 a.C. ) in quanto si conclusero con la vittoria definitiva di Roma su Cartagine che fu distrutta.
A partire dal 146 a.C. Roma diviene la padrona incontrastata del mediterraneo occidentale.
In sostanza si ha una progressiva conquista, in questo arco di tempo, della
Sicilia, Sardegna, Corsica, Africa settentrionale, della Spagna, Dalmazia ed ad
un certo punto Roma comincia anche ad espandersi verso le coste del
mediterraneo orientale ed infine arriva Cesare che annette tutta la Gallia.
Nella conquista di tutti questi territori, inevitabilmente significa che i Romani
entrano in relazioni, soprattutto di carattere economico, con le popolazione
dei territori conquistati. Quindi a Roma cominciano ad arrivare stranieri che
sono delle controparti contrattuali dei cittadini romani. Queste attività di
tipo economico, tra stranieri e romani o anche solo tra stranieri, ad un certo punto danno luogo a delle
relazioni che possono sfociare in controversie e quindi a quel punto vi è l’esigenza del praetor peregrinus.
L’editto
Il pretore eletto dai comizi centuriati, all’inizio dell’anno di carica, emana l’editto, ovvero un proclama che
contiene un programma nel quale vengono resi note le previsioni riguardanti i provvedimenti con cui il
magistrato amministrerà la giustizia. Si tratta di un programma vincolante che viene reso noto dal
magistrato ai concittadini, in modo da sapere in che modo debbano rivolgersi al magistrato in tribunale per
avere giustizia. A questo proposito Pomponio, il quale vive e scrive nel II secolo d.C. quindi nel pieno
dell’epoca classica il libro liber singularis enchiridii che è una specie di manuale adottato nelle scuole ed è
l’unica testimonianza giunta a noi riguardante la storia delle magistrature e della giurisprudenza, afferma
che: «In quel tempo anche i magistrati amministravano la giustizia e affinché i cittadini sapessero quale
diritto ognuno di loro avrebbe pronunciato su qualsiasi argomento, e potessero premunirsi, pubblicavano
degli editti. Tali editti dei pretori costituirono il ius honorarium, chiamato honorarium perché derivante
dalla carica (honos) del pretore»
L’editto ha una funzione che oggi chiameremo di garanzia costituzionale, perché il magistrato tramite
questo proclama si impegna a concedere i provvedimenti che promette di utilizzare laddove nella sede del
processo si rivelerà indispensabile. Quindi è uno strumento che incanala, guida e limita l’esercizio
dell’imperium del magistrato ma è anche uno strumento di garanzia per i cittadini, perché conoscendo
questi provvedimenti in anticipo si possono premunire.
L’editto è espressione dello ius edicendi, quindi della facoltà di emanare disposizioni per lo più dirette a
dirimere controversie, ma queste disposizioni non sono delle norme generali ed astratte, infatti il pretore
non è un legislatore, quindi, non impone di tenere dei comportamenti, ma fornisce tutela giudiziaria ai
richiedenti, concedendo precisi rimedi processuali in base alle circostanze del caso concreto sottoposto alla
sua giurisdizione. Questi rimedi processuali si chiamano formule, usate durante il processo formulare.
L’editto viene emanato a partire dal II secolo a. C., all’inizio dell’anno di carica di ogni magistrato, e viene
pubblicato nel foro e rimane in vigore per un anno, quindi è un programma riguardante l’amministrazione
della giustizia che ha una durata annuale, e corrisponde alla iurisdizio che quel pretore si impegna nei
confronti della cittadinanza ad esercitare nell’anno in cui svolgerà la sua funzione.
EDITTO: aggiornamento anno dopo anno
Edictum perpetuum: dura solo un anno ed il magistrato in carica una volta che lo ha pubblicato non può
modificarlo o sostituirlo,
Edictum tralaticium: viene riconfermato nel suo nucleo di provvedimenti che abbiamo dato esito
positivo all’atto della loro applicazione, quindi di anno in anno si crea un nucleo stabile di rimedi
processuali, che vengono quindi tramandati di pretore in pretore,
Edictum repentinum: l’editto emanato in corso d’anno per far fronte a determinate esigenze.
L’espressione edictum perpetuum è destinata ad assume l’eccezione di editto definitivo ed immutabile a
partire dal 130 d.C. perché l’imperatore Adriano che regna dal 117-138 d.C. prende un’importante
l’iniziativa perché incarica Salvo Giuliano, il più grande giurista della sua epoca, di redigere una versione
dell’editto stabile e definitiva che quindi viene proposta al Senato e approvata.
L’editto da quel momento diventa perpetuo nel senso di immutabile, realizzandosi così una cristallizzazione
dell’Edictum perpetuum.
IUS HONORARIUM
Il diritto onorario o pretorio, la risultante di tutta questa attività di amministrazione della giustizia, quindi
deriva dagli editti. Lo ius honorarium contiene delle regole che trovano applicazione direttamente nel
processo.
Nell’ambito del diritto onorario vi è una parte chiamata diritto delle genti, ius genium, in quanto è
applicabile anche ai peregrini.
Il ius honorarium è il sistema di norme che venne introdotto dai magistrati romani al fine di colmare le
lacune dell'ormai “obsoleto” ius civile, sempre più inadeguato a regolare la crescente società di Roma in un
periodo di grande espansione geografica, militare ed economica.
A proposito del diritto romano Papiniano, giurista tardo classico che vive nell’epoca dei severi tra il II e il III
secolo d.C., in un passo che ci è pervenuto all’inizio del digesto afferma:
«Il diritto pretorio o onorario è quello che i pretori introdussero per aiutare (= confermare) o integrare o
correggere il diritti civile per l’utilità pubblica.»
SENATUSCONSULTA
Un’altra fonte di produzione normativa dell’epoca preclassica è rappresentata di senatusconsulta, cioè
dalle delibere con efficacia normativa indiretta del Senato che in quest’epoca diventano vincolanti per i
magistrati che esercitano la iurisdictio, in particolare queste delibere fissano indirizzi politico-giuridici
vincolanti per i magistrati con iurisdictio.
I senatusconsulti diventeranno vincolanti dal punto di vista delle normazione diretta successivamente, cioè
nell’età del principato, in cui assumeranno forza di legge.
Il diritto dell’epoca preclassica è espressione di una coesistenza di norme che derivano da varie fonti di
produzione normativa, quindi il diritto preclassico si compone:
delle norme derivanti dai mores maioum,
dalle XII tavole,
dall’interpretatio che era sorta sulle XII tavole ed era stata realizzata dai pontifices,
dai responsa che verranno emanati dai giuristi classici,
lo ius honorarium,
i senatusconsulta
Tutto questo insieme di norme, che provengono da atti di formazione diversificati, coesistono e si
integrano ma non vengono sistemati in quello che noi oggi chiameremo un codice.
Queste norme sono tutte espressione di una tradizione giuridica, ossia del diritto del popolo romano, che
non viene a costituire oggetto di una razionalizzazione o sistemazione.
Prima età imperiale
A partire dal 27 a.C. comincia una nuova epoca della storia giuridica romana che è l’epoca classica, epoca
che coincide con la prima età Imperiale.
L’età classica si concluse nel 235 d.C. con la morte di Alessandro Severo, quindi è segnata dall’ascesa al
potere di Augusto e dalla morte dell'ultimo rappresentante della dinastia dei Severi.
Per capire la società al potere di Augusto e necessario ripercorrere brevemente la situazione particolare
che si era venuta a creare al termine dell’epoca repubblicana che è rappresentata dalle guerre civili.
A Roma, a un certo punto, gli esponenti dell'aristocrazia cominciano a essere in contrasto e piano piano
questo contrasto si inasprisce e sfocia in lotte sanguinose per la presa del potere.
Queste lotte però riguardano esclusivamente l’aristocrazia, si distinguevano in particolare l'aristocrazia
senatoria dall'aristocrazia costituita dagli equites cioè dai cavalieri, che erano i cosiddetti nuovi rischi.
Queste lotte portano a destabilizzare il Senato e che in definitiva sono espressione di un’aspirazione, cioè
di una prevaricazione sugli altri e prendere in mano il potere della città.
Questa epoca, cioè la fine dell'epoca repubblicana, che viene attraversata dalle guerre civili è un epoca di
profonda instabilità politica si succedono:
Silla, un dittatore che patteggia per il centro senatorio, ristabilisce il potere del Senato e poi si ritira
dalla vita politica ma non risolve il problema del contrasto all'interno dell'aristocrazia.
In questa epoca si afferma Cesare come grande condottiero militare che ottiene progressivamente un
potere sempre più ampio, in particolare dopo la conquista delle Gallie, grazie al supporto fondamentale
dell'esercito e in particolare dei veterani. Il potere militare gli assicura una posizione di supremazia
anche a livello politico che lo porta a detenere nelle proprie mani il potere assoluto.
Questa aspirazione in realtà non è condivisa dalla aristocrazia senatoria e a un certo punto Cesare cade
sotto i pugnali dei cesaricidi, cioè dei congiurati, che lo uccidono nel 44 a.C.
Alla morte di Cesare le guerre civili si riaccendono, finché il pronipote di Cesare ossia Ottaviano, che era
nel frattempo diventato anche il tuo figlio adottivo, nel partecipare a questa queste lotte sanguinose vince
Antonio nella battaglia di Azio del 31 a.C.
Dopo aver vinto questa battaglia, ed essendosi schierato con il Senato, Ottaviano depone il comando
perché vuole dimostrare al Senato che non ha quelle aspirazioni che aveva avuto Cesare.
Ottaviano è un vero e proprio genio politico e riesce in questo modo a convincere il Senato di non avere
delle aspirazioni personali e di avere soltanto l'interesse della restaurazione dell'Antico ordine
repubblicano. Questo atteggiamento molto cauto di Ottaviano in realtà crea una fiducia da parte del
Senato, che il 16 gennaio del 27 a.C. lo insignisce del titolo onorifico di Augustus.
Il Senato quindi gli riconosce questo grande prestigio che è quasi ammantato di sacralità perché il titolo
Augustus significa sacro, come se quest’uomo fosse stato mandato dagli dèi, e nello stesso tempo
maestoso perché richiama le grandi doti umane che vengono riconosciute ad Ottaviano Augusto.
Augusto consente la consente la ristorazione dell'Antico ordine della Repubblica ma se ne fa garante e
quindi diventa il primo cittadino, ossia il princeps dell'ordine repubblicano restaurato dopo le guerre civili.
In sostanza è come se il senato riponesse in Augusto piena fiducia che sarà lui stesso ad assicurare la
stabilità politico-istituzionale di cui Roma ha profondamente bisogno.
Augusto che si propone come garante fa anche capire che per esercitare questa attività di controllo
affinché la Repubblica continui ad esistere e a funzionare si fa attribuire i più grandi poteri.
Quindi Augusto non è formalmente il capo dello Stato, è solo il primo cittadino dell'ordine repubblicano
costituito, ma di fatto gli viene attribuito il potere sull’esercito e sulle province, ossia imperium maius et
infinitum che è l’imperium proconsolare. Poi gli viene attribuita la tribunicia potesta per cui come un
tribuno della plebe si avvale dell’inviolabilità del potere di convocare le assemblee popolari e quindi in
realtà assomma su di sé tutti i poteri, che gli consentono di avere il vero controllo dello Stato.
Il Principato è una quindi una forma di governo ibrida in cui formalmente esistono le istituzioni
repubblicane ma di fatto il vero detentore del potere assoluto è nelle mani di Augusto.
Nasce quindi una nuova forma di governo: il Principato che dà inizio all’impero romano perché Augusto
viene designato non sono princeps ma anche imperator. Riassunto schematico:
11 novembre
LE PERSONAE
L’introduzione storica è finita ed inizia ora la trattazione vera e propria del diritto
privato romano con le personae.
Sia le institutiones di Gaio che di Giustiniano iniziano con la spiegazione del diritto
delle persone, Gaio fa una premessa e afferma che “tutto il diritto di cui ci serviamo
attiene alle persone, alle cose o alle azioni; e prima guardiamo alle persone.
-- Ci fornisce la tripartizione della materia giuridica per come geli stesso l’avrebbe
insegnata ai suoi studenti, mettendo al primo posto la persona, poi la cosa ovvero la res
intesa come diritti reali e obbligazioni, l’actiones è invece la materia del processo.
Giustiniano segue Gaio e afferma “… infatti si conosce poco il diritto, se non si
conoscono le persone per le quali è stabilito”
--Fa capire chi sono i destinatari delle norme giuridiche che formano l’ordinamento.
Il termine persona deriva dal greco “prosopon” e significa maschera teatrale;
le personae erano gli attori sulla scena del diritto, abbiamo quindi un’idea di persone
considerate nel loro ruolo: personae serviles et liberae (ruolo identificato tra liberi e
schiavi).
Il soggetto di diritto
è il centro di imputazione di diritti e doveri giuridici, è un destinatario/referente di
situazioni giuridiche soggettive favorevoli (diritti o facoltà) e situazioni giuridiche
sfavorevoli (obblighi, imposizioni), quindi sulla base di quanto abbiamo appena detto
ai soggetti di diritto sono imputabili sia diritti che doveri.
In generale possiamo dire che nel nostro ordinamento tutte le persone sono soggetti di
diritto, ma nel diritto romano non è così e vedremo che non tutti gli esseri umani sono
considerati soggetti di diritto e questo è legato alla condizione giuridica degli
individui.
Riprendendo Gaio, dopo aver affermato che la persona è al primo posto per quanto
riguarda il diritto aggiunge che “la prima distinzione circa il diritto delle persone è
questa: che tutti gli uomini sono liberi o schiavi” Gaio pone le indicazioni di base che
ci permette di capire la prima macro distinzione tra uomini liberi e no, infatti sappiamo
che gli schiavi, i servi non sono soggetti di diritto ma sono considerati delle res e
verranno definiti anche “oggetti parlanti” e oggetto di proprietà privata, ovvero
assoggettati alla proprietà del dominus, mentre gli uomini liberi sono soggetti diritto a
tutti gli effetti.
Nelle fonti sono anche presenti altri termini che sono riferibili agli individui ma
nessuno ha la stessa valenza di soggetto di diritto che è frutto del giusnaturalismo che
riteneva che gli uomini dovessero essere intesi sì come persone fisiche ma anche come
soggetti titolari di diritti che gli spettavano per natura in quanto essere biologico,
questa teoria fu separata secoli dopo dalla pandettistica che affermò che la sfera
giuridica dell’individuo non è espressione della natura dell’uomo ma è invece
espressione delle scelte politiche dello stato, lo stato è in una posizione preminente,
che esprime le norme di un ordinamento giuridico che a loro volta definiscono la sfera
di autonomia del privato; gli altri termini che possiamo incontrare nelle fonti sono ad
esempio:
• oSubiectus: chi è sottoposto ad una coercizione fisica
• oPersona: essere umano in generale, ma è troppo generico perché non ci specifica se
si tratta di uomini liberi o no
• oCaput: individuo
• oCapax: chi ha facoltà di pagare o di ricevere un pagamento
• oCapacitas: accezione limitata, ed è circoscritta al diritto delle
successioni mortis causas
Capacità giuridica vs capacità di agire
La capacità giuridica è la idoneità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive,
diritti e doveri imputati ad un soggetto definito.
Il diritto civile vigente afferma che sono giuridicamente capaci tutti gli esseri umani,
anche il fanciullo o l’infermo di mente, e le persone giuridiche.
Mentre nel diritto romano non tutti gli esseri umani sono giuridicamente capaci,
perché l’idoneità di essere titolari di situazioni giuridiche spetta solo agli uomini liberi
e gli schiavi sono perciò considerati come giuridicamente incapaci.
La capacità giuridica non va però confusa con quella che è la capacità di agire, con
quest’ultima si intende l’idoneità a compiere personalmente atti giuridici, viene quini
rilevato un profilo dinamico del soggetto che è capace ad attuare una manifestazione di
volontà che produce effetti giuridicamente riconosciuti (es. una vendita – il venditore
esprime la volontà di vendere una propria res).
Nel diritto civile attuale la capacità di agire è collegata alla capacità di intendere e di
volere, chi non ha questa condizione di capacità sul piano intellettuale (infermi di
mente o infermi in ragione dell’età) la capacità di agire viene modulata in base alle
singole esigenze.
Il diritto romano invece fa delle ulteriori distinzioni; i soggetti giuridicamente capace
non sempre sono anche capaci di agire, si possono avere soggetti capaci di agire che
non hanno la capacità giuridica; ad esempio, gli schiavi non hanno la capacità
giuridica ma sono capaci di agire infatti possono compiere autonomamente atti
giuridicamente rilevanti MA solo quando compiono questi atti per il loro padrone.
A questo punto dobbiamo chiederci chi ha piena capacità giuridica cioè sia capacità
giuridica sia capacità di agire nel diritto privato romano?
Essa presuppone che nel soggetto siano presenti i 3 status che sono tre condizioni base
ossia il soggetto deve essere libero e non schiavo, deve essere cittadino romano e non
straniero e deve essere paterfamilias, non soggetto a potestà.
I tre status che derivano da queste asserzioni sono: Status liberatis—libero,
status civitatis—cittadino, e status familiae—paterfamilias.
E colui che ha tutti questi 3 requisiti è il paterfamilias, il capostipite della famiglia che
ha una serie di diritti e potestà che può esercitare
- Ius commercii: potere di compiere attività commerciali e negoziali
- Testamenti factio attiva e passiva: diritto di istituire eredi in un atto mortis causas,
solitamente il testamento ma anche lui stesso può essere istituito erede
- Patria potestas: Potestà sui discendenti legittimi che non sono solo i figli ma anche
i nipoti e i pronipoti
- Dominica potestas: potestà sugli schiavi
- Ius conubii: diritto di contrarre matrimonio con chi ha a sua volta la cittadinanza
romana (fa parte della condizione di civis, chi ha la cittadinanza), se un cittadino
romano volesse sposare una donna non romana, ad esempio una latina può farlo solo
nel momento in cui la donna ottiene la concessione dello ius conubii, questo serve per
avere una dinastia legittima.
Tutto questo però vale solo per il diritto privato romano e non per quello pubblico, la
partecipazione alla vita politica prescinde da un requisito—quello della condizione di
autonomia all’interno della famiglia, anche se però filiusfamilias che non è
indipendente ma è sottoposto alla potestà del pater può comunque partecipare
attivamente alla vita cittadina ad esempio partecipando ai comizi, avendo diritto di
voto e candidandosi alle competizioni per le magistrature (elettorato passivo); nel
diritto pubblico essere sottoposto a qualcuno come ad esempio il filius familias, non
rappresenta un impedimento.
La domanda che ci poniamo ora è, da cosa dipende la soggettività giuridica?
Abbiamo visto che il paterfamilias la detiene per eccellenza però ci sono delle
condizioni prioritarie che devono sussistere affinché una persona libera possa essere
considerata soggetto di diritto e sono legati alla nascita, innanzitutto il neonato
deve nascere vivo e si può considerare vivo quando emette i primi vagiti, si muove o
respira; questo può sembrare banale e scontato ma non fu così e si discusse anche su
questo infatti c’erano due scuole di pensiero che erano i sabiniani, i quali affermarono
che era sufficiente un movimento del corpo o il respiro, non era necessario il vagito;
mentre i proculianiaffermarono che era necessario che il neonato emettesse anche dei
vagiti.
Altri requisiti che riguardano il neonato sono le fattezze umane, il neonato deve essere
sano e non deve avere delle disabilità o malformazioni in quanto queste due ultime
caratteristiche secondo i romani non erano proprie dell’essere umano e quindi il
neonato che le presentava doveva essere soppresso e veniva gettato giù da una rupe o
annegato o in alternativa abbandonato.
Il feto invece è considerabile soggetto di diritto? No, perché è considerato come parte
integrante dell’utero materno, però si erano create delle particolari esigenze in rapporto
al concepito, perché chi fosse stato concepito ma non era ancora nato poteva essere
destinatario di donazioni e lasciti ereditari, per regolare queste cose si decise di
nominare un curator ventris cioè una persona individuata dal magistrato che avrebbe
dovuto gestire gli interessi patrimoniali del nascituro che veniva
considerato conceptus pro iam nato, si finge che sia già nato e allo stesso tempo
venivano tutelati i diritti di successione del pater familias se la moglie incinta avesse
divorziato dal marito e anche in caso di divorzio durante la gravidanza veniva
nominato un curator ventris che doveva sorvegliare la donna per assicurare che la
gestazione venisse portata a termine con il parto e fosse così garantita la successione.
Altre situazioni riguardano invece alcuni soggetti che pur avendo la capacità giuridica
non hanno la capacità di agire in ragione di:
-età, se erano impuberi e non ancora adolescenti
-minori, puberi ma non avevano ancora compito i 25 anni e l’ordinamento giuridico
afferma che il minore di venticinque nonostante abbia raggiunto e superato l’età
adolescenziale possa comunque essere vittima di raggiri e frodi, in ragione di ciò erano
state istituite delle leggi che tutelavano il minore vittima di raggiri, ad esempio veniva
annullato l’atto che aveva compiuto
-infermità mentali
-prodigalità, colui che ha una propensione a spendere e gli viene tolta la capacità
giuridica per evitare che il suo sperperamento di denaro possa influire sul patrimonio
della famiglia
Ora però ci addentriamo maggiormente nello status delle persone e ricordiamo quanto
afferma Ermogeniano – “poiché il diritto è stato costituito in ragione degli uomini,
parleremo prima di tutto dello stato delle persone” (vedi confermato quanto detto
nelle istituzioni di Gaio e Giustiniano).
Lo status delle persone che danno piena capacità giuridica l’abbiamo già visto e
comprende quello libertatis, civitatis e famliliae; potremo quindi parlare di due
tipologie di persone:
1. 1)Persona sui iuris: persona di diritto proprio, autonoma, non soggetta a potestà
come il pater familias.
2. 2)Persona alieni iuris: persona sottoposta a potestà altrui come al dominium dei
servi, la patria potestas dei filii, mancipium di uomini che sono liberi ma assoggettati
al potere di un altro pater familias in ragione di questioni lavorative e la manus della
moglie che è sottoposta alla potestà del marito e non più del padre.
=Queste due concezioni sono collegate allo status familiae, e ricordiamoci che sono
valide solo nell’ambito privatistico come la famiglia, non per quello pubblico.
A questo punto dobbiamo però tener conto le i 3 status di una persona nel corso della
sua vita possono cambiare, non sono immutabili e questo ce lo spiega
il Capitis deminutio, che è proprio il mutamento di status, il termine deminutio non va
inteso come necessaria diminuzione di uno degli status ma indica semplicemente il
cambiamento della condizione giuridica che può appunto condizionare la libertà, la
cittadinanza e la condizione all’interno della famiglia.
Paulus in un passo conservato nel Digesto afferma che – “Vi sono tre specie di
diminuzione di capacità, massima, media e minima: tre infatti sono quelle che
abbiamo, libertà, cittadinanza e famiglia.
Pertanto, se le perdiamo tutte e 3, la dimunuzione di capacità è totale; se
invece paerdiamo la cittadinanza ma conserviamo la libertà, la diminuzione di
capacità è media; sarà minima se invece si mantengono libertà e cittadinanza e muta
solo la famiglia.”
• •Status libertatis
Distinzione fondamentale che riguarda tutti gli esseri umani che vengono divisi tra
liberi e schiavi; i liberi sono chiamati ingenui o liberti perché possono nascere liberi (la
parola ingenuos indica chi è libero dalla nsscita) ma possono anche diventarlo nel
corso della loro vita (liberti).
Gli schiavi sono invece dei res e per capire a pieno la loro condizione dobbiamo
leggere un passo delle istituzioni di Giustiniano: “La partizione principale del diritto
delle persone è dunque questa: che tutti gli uomini sono liberi o servi. 1. Invero, la
libertà, per cui appunto son detti liberi, è la naturale facoltà̀ di fare ognuno quel che
gli piace. A meno che qualcosa non sia proibito con la forza o dal diritto. 2. La
servitù̀ , invece, è un istituto di diritto delle genti per cui uno è assoggettato contro
natura al dominio altrui. 3. I servi sono così chiamati perché gli Imperatori ordinano
la vendita dei prigionieri e, con ciò, sogliono conservarli e non ucciderli. Sono anche
detti mancipia perché vengono dal nemico con la mano presi. 4. Servi si nasce o si
diventa. Si nasce dalle nostre schiave; si diventa, o per diritto delle genti, cioè per
prigionia, o per diritto civile, allorchè un uomo libero maggiore di venti anni ha
tollerato d’esser venduto per condividere il prezzo. Nella condizione dei servi non ci
sono differenze. 5. Fra i liberi ci sono molte differenze. Sono infatti ingenui o
libertini.”
2. Gli schiavi sono inseriti nel diritto delle genti di tutti i tempi, tutti i popoli
conoscono e hanno conosciuto la servitù, Giustiniano afferma però che si tratta di un
istituto contro natura, in quanto gli uomini in natura nascono liberi e la schiavitù è un
prodotto dell’uomo per soddisfare esigenze concrete e nonostante la consapevolezza
di quest atto contro natura gli uomini non possono farne a meno, la schiavitù è ormai
insita nell’uomo e anche la religione cristiana non la rinnega, anzi San Paolo nelle
lettere a Timoteo e ai Corinzi esorta a rispettare i padroni e ad essere docili nei
confronti di quello che i padroni ordinano, perché ciò che conta è la prospettiva
dell’aldilà e tutti di fronte a Dio sono considerati uguali.
Allora ci chiediamo, visto che la schiavitù è contro natura e non rispetta l’uomo perché
continua ad esistere? La risposta è, per pure regioni pratiche di carattere economico, il
mondo antico non può fare a meno della forza lavoro degli schiavi, l’uomo come gli
animali serve per svolgere tutte quelle attività a servizio dell’uomo ricco.
3. Gli imperatori sono i capi dell’esercito e quando conquistano nuovi territori, le
popolazioni di quei luoghi venivano sottomesse e poi cosa se ne facevano i romani—
un tempo venivano uccisi, successivamente venivano conSERVAti, (servo significa
conservato) e così diventavano utili per i Romani.
4. Schiavi si nasce o si diventa, abbiamo detto che si diventava schiavi in seguito alle
guerre, ma alcuni erano servi fin dalla nascita quando la madre era schiava e la sorte
del bambino nato da padre schiava sarà quello di essere sottoposto al dominio del
padrone della schiava stessa (proprietà del padrone della madre), venne poi deciso che
se in un momento intermedio tra concepimento e parto del neonato la madre fosse
liberata dalla schiavitù allora anche il figlio era libero.
Infine un'altra causa che fa diventare schiavi gli uomini è sempre citata al punto
quattro delle istituzioni di Giustiniano e riguarda un accordo che veniva fatto tra amici
liberi; fingevano di essere schiavi per essere venduti e avere un ritorno economico ma
qualora venissero scoperti diventavano automaticamente veri schiavi; si tratta di una
causa che sopravviene quando l’uomo libero si comporta in frode all’ordinamento
giuridico.
5. Fra schiavi non ci sono differenze e tutti vengono considerati res uguali, ricordiamo
che ad un certo punto nella prima età imperiale a Roma gli schiavi erano moltissimi e
iniziarono a ribellarsi, erano quindi diventati un pericolo per la città così l’imperatore
decise di imporre delle norma molto rigide per gli schiavi, ad esempio viene inserita
una norma di presunzione di colpevolezza per gli schiavi, quando un padrone veniva
trovato morto nella sua abitazione tutti gli schiavi erano indistintamente uccisi, senza
individuare il vero colpevole
Cosa significa essere schiavi per il diritto? – ce lo dicono 2passi tratti dal Digesto e un
frammento di una norma delle leggi delle XII tavole.
Il primo testo del D. dice che per quanto riguarda il diritto civile gli schiavi non hanno
alcuna rilevanza, non è così per il diritto naturale perché tutti gli uomini sono
considerati liberi, ad esempio il luogo in cui è sepolto lo schiavo è lo stesso dell’uomo
libero.
La legge delle XII tavole riguarda il compimento del delitto os fractum (frattura di un
arto), se qualcuno rompe un osso ad un libero, la punizione viene commisurata a 300
assi; se invece qualcuno rompe un osso ad uno schiavo, la punizione è commisurata a
150 assi (disparità di trattamento).
Il secondo testo del D. nomina la legge Aquilia che è la legge che prevede il
danneggiamento come delictum e lo punisce e dispone che chiunque avrà ucciso
ingiustamente uno schiavo o una schiava altrui o un quadrupede a capo di bestiame sia
condannato a dare al padrone il prezzo massimo raggiunto nel corso di quell’anno
(schiavi paragonati agli animali, entrambi sono res).
18 novembre
Manomissio servi
Approfondiamo ora la Manumissio servi, abbiamo detto che la condizione di schiavo può
cambiare
nel corso della sua vita, la definizione etimologica di manumissio ci è data da Ulpiano: “Anche
le manomissioni fanno parte del diritto delle genti, manomissione deriva da “uscita dalla
mano”, ossia è la dazione della libertà: infatti per tutto il tempo in cui qualcuno è in schiavitù è
sottoposto alla mano e alla potestà, una volta manomesso è liberato dalla potestà.”
-- Missio deriva dal verbo mittere che significa lasciare andare, quindi la parola nel suo
significato etimologico indica la dazione della libertà intesa come lasciar andare qualcuno,
liberandolo da un assoggettamento.
Il padrone nell’esercizio della dominica potestas può decidere di liberare il suo schiavo e quindi
la liberazione può anche dipendere da un atto di volontà del padrone, lo ius civile abbiamo già
visto che prevedeva 3 modi di manomissio che ricordiamo sono il testamento, vindicta e
census.
Le prime due modalità sono atti inter vivos, mentre il testamento è un atto mortis causa,
partendo da quest’ultimo sappiamo che acquistava efficacia dopo la morte del dominus e
quest’ultimo doveva esprimere la propria volontà di liberare lo schiavo utilizzando una formula
costituita da parole prestabilite e solenni; per esempio il testatore doveva scrivere o
pronunciare le parole “il mio schiavo sia libero”.
Mentre le altre 2 forme di manomissione che operano inter vivos sono appunto la vindicta e il
census, la manomissio vindicta viene così chiamata perché la vindicta era una bacchetta che
veniva usata al compimento di questo atto solenne di fronte al pretore e in particolare il
dominus doveva recarsi in tribunale insieme ad un’altra persona (come un amico che si
prestava al compimento dell’atto) con la quale era stato concordato di svolgere gli
adempimenti formali che servivano per liberare lo schiavo; veniva inscenato un finto processo
e veniva proclamata solennemente la libertà, (il processo è finto perché il dominus e l’altra
persona si sono messe d’accordo prima), il magistrato non può contestare ma con un unico
verbo “addico” e con la vindicta deve toccare lo schiavo per proclamare la libertà.
Infine la terza forma è la manomissio censo compiuta in occasione del censimento che veniva
redatto ogni 5 anni, questa tipologia di manomissione ci consente di fare una importante
precisazione: le manomissioni del ius civile producevano un duplice effetto, perché lo schiavo
oltre ad acquistare la libertà acquistava anche la cittadinanza.
- Queste forme di manomissioni evolvono nel tempo e Gaio in una sua opera riassunto delle
precedenti istituzioni classiche fa delle precisazioni e afferma che cittadini romani sono coloro
che sono stati manomessi in questi tre modi, cioè per testamento, in chiesa o davanti al
console.
Questo ci permette di capire che le manomissioni sono state rivisitate, vengono infatti
introdotte quelle in chiesa (in ecclesis), davanti alle autorità ecclesiastiche come i vescovi e
quelle davanti al console, non ci si rivolge più al pretore e non si ricorre più al finto processo.
Manomissioni informali
Sono manomissioni in cui il dominus poteva manifestare la propria volontà di manomettere lo
schiavo al di fuori dei tre modi solenni dello ius civile, e che cosa succedeva se il dominus
diceva di voler liberare il proprio schiavo inter amicos, cioè senza la presenza dell’autorità?
Oppure se lo scriveva in una lettera o lo diceva durante un convivium cioè un banchetto? Ci dice
Gaio che cosa succedeva: “Sono latini coloro che sono manomessi per lettera, o fra amici o in
occasione di un banchetto”
-- Sappiamo che erano delle forme di manomissione che non conferivano la cittadinanza romana
ma la condizione di latino, acquistava cioè uno status civitatis diverso dalla cittadinanza romana,
perché anche se la volontà di liberare lo schiavo derivava dal dominus, essa non era
comunque conforme alle 3 modalità previste dallo ius civile, e quindi per il diritto lo schiavo
rimaneva tale e non diventava libero, però proprio perché veniva liberato dal padrone di fatto
viveva come un uomo libero.
Questo era però rischioso perché se il dominus cambiava idea poteva andare dal pretore e
intentava un processo per fare in modo che lo schiavo fosse richiamato alla sua condizione
iniziale; il pretore ritenne opportuno respingere queste richieste di rivendica in servitù avanzate
dai padroni, quindi tutelava l’ex schiavo e gli consentiva di rimanere in quella condizione di
libertà di fatto.
La situazione degli ex schiavi che erano liberi di fatto ma non per il diritto era problematica
perché dal momento che non erano cittadini romani occorreva definire il loro status civitatis,
occoreva quindi andare a colmare una lacuna nell’ordinamento giuridico in quanto questa
situazione non era stata prevista nello ius civile; per colmare questa lacuna interviene la Legge
Giunia Norbana, emanata al tempo del principato di Tiberio e afferma che gli schiavi
manomessi con metodi non completati nello ius civile dovranno essere considerati latini e
prenderanno il nome di Latini Giuniani.
Anche Gaio nelle istituzioni scrive sui latini giuniani e ci spiega perché vengono chiamati così
—“ sono detti latini giuniani: latini perché sono assimilati ai latini coloniari; giuniani perché
ottennero la libertà dalla legge Giunia, mentre prima risultavano essere servi.
La legge Giunia non permette loro tuttavia, né di fare testamento né di prendere da un
testamento altrui , né di essere per testamento dati tutori”
Quindi Gaio ci consente di capire cosa significa essere latini giuniani e quali sono le
conseguenze di una libertà conferita al di fuori dello ius civili.
I latini coloniari sono coloro che abitavano nelle colonie dell’impero e avevano dei diritti che so
o riassunte nell’espressione ius commercii, cioè diritti riguardanti la realizzazione di atti
giuridicamente rilevanti, anche di rilevanza socio-economica; quindi in sostanza i latini giuniani
come i latini coloniari avrebbero avuto lo ius commercii, avrebbero quindi potuto condurre una
vita da soggetti di diritto che in quanto titolari della propria sfera giuridica e patrimoniale
avrebbero potuto compiere tutti quegli atti riguardanti gli aspetti patrimoniali; questa capacità
giuridica e di agire incontrava però una limitazione perché come dice Gaio la limitazione
riguardava la tastamenti factio attiva e passiva e in ordine anche di poter essere istituiti tutori,
siamo quindi in presenza di una condizione giuridica che è ben diversa da quella di un cittadino
normale.
Questa condizione è ben espressa da un letterato/giurista del tempo, Salviano, il quale afferma
che i latini giuniani che diventavano latini vivevano da liberi ma morivano da schiavi perché il
loro patrimonio acquisito in vita non poteva essere oggetto di disposizione testamentaria e alla
loro morte il patrimonio sarebbe spettato al loro ex padrone.
(Le fonti ci dicono che i giuniani, nonostante provenissero da una precedente condizione di
schiavitù erano delle persone molto abili, avevano intrapreso delle attività imprenditoriali che
portavano enormi guadagni, avevano il senso degli affari ed è per questo che gli viene
attribuito lo ius commercii).
La fonte che ci comprende di riassumere tutte le forme di manomissione che venivano attuate
è un passo delle istituzioni di Giustiniano (leggi file, qua c’è solo spiegazione del punto 3)
3) MA nell’ultima parte delle istituzioni di Giustiniano vengono inserite tutte
quelle modifiche o aggiornamenti che venivano fatti mediante costituzioni imperiali
dell’imperatore, e in materia di manomissioni vennero fatti vari interventi, tra cui appunto il
punto 3 di questo paragrafo.
-- In sostanza Giustiniano fa riferimento ad una costituzione imperiale raccolta all’interno della
sua opera e su proposta del questore (che è come l’attuale ministro della giustizia), al
tempo Triboniano, che afferma che tutti coloro che sono stati liberati dalla schiavitù a
prescindere dai metodi utilizzati avrebbero acquistato la cittadinanza romana, perché
all’interno dello stato era l’unica cittadinanza riconosciuta (non esisteva più la concezione di
latini); quindi questo intervento giustinianeo uniforma la condizione dei liberti rendendoli tutti
cittadini.
Ma al tempo dell’epoca romana più che di cittadinanza dovremmo parlare di una sudditanza,
perché gli abitanti dell’impero romano di oriente, dove Giustiniano è imperatore, sono
tutti suoi sudditi e non concittadini che partecipano alla vita politica.
⊗ Ora però occorre tornare indietro nel tempo fino all’età Augustea per vedere come sono
cambiate le manomissioni, in quel periodo sono state inserite delle leggi limitatrici delle
manomissioni ad opere dell’imperatore Augusto per limitare il potere dei dominus; le
leggi sono La legge Fufia Caninia e La legge Elia Senzia.
La legge Fufia Caninia regolamentò le limitazioni per le manomissioni mortis causa, che
venivano compiute nell’ambito di un testamento; mentre invece la lex Elia Senzia pose delle
limitazioni in ordine alle manomissioni inter vivos.
Iniziamo ad analizzare la legge fufia caninia--> emanata nel 2 a.C, Gaio ci dice che il limite che è
stato posto è un limite sia formale che sostanziale:
o Formale: perché questa legge affermava che chi volesseliberare i propri servi per testamento
doveva farlo dichiarando espressamente il servo con il proprio nome e scrivere in successione i
nomi qualora volesse liberare più servi.
o Sostanziale: cioè quantitativo, questa legge aveva infatti stabilito un numero massimo di servi
che potevano essere manomessi in rapporto al complesso del patrimonio servile; se il dominus
aveva un numero di servi compreso fra 3 e 10 ne avrebbe potuto manomettere al massimo la
metà, se aveva un numero di servi compreso tra 11 e 30 poteva manometterne 1/3, se aveva
un numero di servi compreso tra 31 e 100 avrebbe al massimo potuto manometterne 1/4 e
infine se ne aveva un numero tra 101 e 500 poteva manometterne 1/5.
Perché questa legge aveva ridotto drasticamente il numero di servi che si potevano
manomettere?
Per una esigenza legata al mantenimento dell’ordine pubblico e dalla pace sociale, perché si
temeva che una volta dopo che questi schiavi fossero stati manonessi si andavano a creare
problemi e potessero anche creare una destabilizzazione della cittadinanza romana.
Questo è dovuto alla politica di Augusto, che era il restauratore della antica res publica e degli
antichi mores, è colui che è portatore di una logica di conservazione dei valori di romanità della
repubblica.
La legge Elia Senzia invece limitava le manomissioni inter vivos, compiute al di fuori di un
qualunque atto mortis causa; innanzitutto, questa legge vietò le manomissioni in frode dei
creditori, in sostanza chi avesse manomesso degli schiavi per danneggiare gli interessi dei
propri creditori avrebbe manomesso inutilmente perché quell’atto sarebbe stato nullo.
Manomettere in frode dei creditori si ha quando il dominus ha dei debiti nei confronti di
creditori e questi ultimi se non ricevono i soldi dal dominus attaccheranno il suo patrimonio, se
il dominus debitore però in vista che il suo patrimonio sarà attaccato dai creditori abbia
manomesso i propri schiavi che cosa ha fatto? – Ha diminuito il proprio matrimonio e ciò
significa che i creditori che attaccheranno il patrimonio si troverebbero di fronte ad un
patrimonio ridotto che potrebbe non coprire tutti i debiti; quindi manomettere i propri servi=
diminuire il proprio matrimonio, e quando la finalità della manomissione è questa, essa sarà
nulla.
Infatti Gaio ci dice: “Colui che manomette in frode dei creditori non fa nulla perché la legge Elia
Senzia non concede la libertà”.
- Inoltre, sempre la legge Elia Senzia stabilva che al padrone minore di 20 anni è consentito
manomettere solo per verghetta, una volta approvata davanti al consiglio una giusta causa di
manomissione.