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A differenza delle musiche greche e romane che, non essendo fissate per iscritto,
svanirono gradualmente con lo scomparire delle rispettive civiltà, l’antico repertorio
cristiano riuscì faticosamente ad attraversare i secoli giungendo alla fase della
scrittura, ovvero quel momento di raccolta, trascrizione e conservazione, che ha reso
possibile la sua sopravvivenza fino ad oggi.
Ciò però porta un modo diverse di produrre componimenti sacri, nel campo liturgico
parlando pur sempre della stessa religione cristiana. Verso l’ottavo e nono secolo si
ha quindi un’esigenza importante per quanto riguarda l’unificazione del culto
attraverso la romanizzazione inteso come unico modo per richiamare l’impero
romano.
Il momento liturgico è diviso in due parti: liturgico delle ore e dell’eucarestia o della
messa. Quello che ci perviene oggi, viene preso in considerazione in questo periodo
solo legato all’aspetto del rito e legato al contenuto devozionale del testo.
Nella messa latina sono così denominati (anche in forma italiana, tratto) alcuni brevi
versetti (dai Salmi) che, prima della riforma liturgica conseguente al Concilio
Vaticano II, si recitavano o cantavano nei giorni di penitenza (quaresima, tempora,
vigilie, messa dei defunti, ecc.) di seguito al graduale in luogo dell’Alleluia.
Il tractus, una delle forme più antiche del canto liturgico gregoriano, consentiva
anche l’ornamento di vocalizzi; nella messa era originariamente recitato da un solo
cantore, senza interruzioni (tractim) del coro.
Deus, Deus meus condivide con altri tractus la caratteristica di intonare in prevalenza
i suoi versetti sulla”corda di recita” fa e di avere re come nota di riposo della melodia.
Si può notare come la melodia ascende al fa sulle sillabe accentate mentre rimane su
re in quelle che le precedono.