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SONO QUI PER VOI

di
Loredana Corrao e Pietro Romano

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PRIMO TEMPO

AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA

A sipario chiuso.

CORO Aggiungi un posto a tavola


che c’è un amico in più
Se sposti un po’ la seggiola
stai comodo anche tu.
Gli amici a questo servono:
a stare in compagnia
Sorridi al nuovo ospite
non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l’allegria. (2 volte)
PIETRO La porta sempre aperta
la luce sempre accesa.
CORO La porta sempre aperta
la luce sempre accesa.
PIETRO Il fuoco sempre vivo
la mano sempre tesa.
CORO Il fuoco sempre vivo
la mano sempre tesa.
La porta sempre aperta
la luce sempre accesa.
PIETRO E se qualcuno arriva
non chiedergli: “Chi sei?”
CORO No, no, no,
no, no, no, no!
PIETRO E se qualcuno arriva
non chiedergli: “Che vuoi?”
CORO No, no, no,
no, no, no, no,
no, no, no!
PIETRO E corri verso lui con la tua mano tesa
E corri verso lui
spalancagli un sorriso e grida: "Evviva, evviva!”
CORO Evviva, evviva, evviva, evviva, evviva,
evviva, evviva, evviva, evviva, evviva.
PIETRO
E CORO Aggiungi un posto a tavola
che c'è un amico in più
Se sposti un po' la seggiola
Se sposti un po' la seggiola
starai più comodo tu
Gli amici a questo servono:
a stare in compagnia
Sorridi al nuovo ospite
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non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l'allegria
Aggiungi un posto a tavola
e così… e così… e così… e così
così sia.

PIETRO Buonasera, buonasera pubblico. L’attesa è stata lunga, ma sono tornato!


Benvenuti, benvenuti davvero a tutti! Benvenuti agli abbonati, che erano obbligati dar
momento che hanno già pagato da settembre, a chi ha scelto di venire qui oggi stesso, a
chi ha pagato il ridotto, a chi non ha pagato e s’è imbucato come quando passi i tornelli
della metropolitana attaccandoti alle spalle di quello che te sta davanti e un benvenuto
anche a chi nun ce voleva proprio venì e l’hanno costretto, magari con un ricatto: “Se mi ci
porti dopo te la do… l’amicizia su Facebook…”. Perché oggi te la danno solo su
Facebook… l’amicizia... Comunque, io sono commosso, commosso nel vedervi così in
tanti. Commosso, soprattutto al pensiero di quante cose avete fatto per essere qui con me
questa sera. Magari, avete posteggiato la macchina chissà dove, oppure l’avrete messa in
divieto di sosta, avete chiamato la babysitter che a quest’ora starà già regolarmente
dormendo sorvegliata dai vostri bambini che invece staranno co’ du’ occhi così…
sveglissimi. E le signore? Tutte dal parrucchiere per la messa in piega, tutte a fasse belle
(guarda la sala)… qualcuna c’è pure riuscita (si volta e si spaventa)… qualcuna no… tutte
indaffarate con i loro vestiti: ne vedo molte in lungo, qualcuna anche in largo… (ad una
signora) Ha pagato il doppio biglietto, signora? Me occupa du’ posti! E gli uomini?
Qualcuno avrà addirittura rinunciato al solito cinepanettone con la Belen di turno nuda.
Beh, sono lusingato… Il fatto che abbiate preferito me vestito a Belen nuda… beh, mi
lusinga. Tanto nun ce voleva un film pe’ falla spojà… a me me fa strano quanno so’
vestite, nun ce so’ abituato. Avete lasciato i vostri appartamenti alla mercé dei ladri,
oppure avrete messo l’antifurto che suonerà soltanto quando rientrerete in casa voi.
Questi antifurti so’ come i cagnolini, abbaiano solo quando rientra il padrone. Certo, non
sono perfezionati come quelli che stanno nei musei, quelli non sonano mai. Neanche
quando entrano li peggio ladri, tipo il ministro dei beni culturali. A parte che se oggi vai in
un museo non c’è rimasto più niente, un po’ perché c’è passato il ministro (gesto di chi
ruba) e un po’ perché co’ ‘sta crisi se so’ impegnati tutto… infatti la guida dice: “Lì c’era la
Madonna del Pinturicchio, lì c’era la Madonna del Caravaggio, lì c’era la Madonna del
Cardellino” – “Ma ve le hanno fregate tutte?!” – “Sì, ma cosa vuole in Italia di questi tempi,
abbiamo tante di quelle madonne!”. Ma adesso usciamo dal museo ed entriamo in teatro,
dove la realtà è la fantasia di chi vi racconta una storia e io sono qui per raccontarvi una
bella storia, bella perché vorrei omaggiare due immensi personaggi che ne hanno
raccontate tante di belle storie, ci hanno fatto vedere mondi fantastici, regalato
meravigliose melodie come quella del brano che avete appena ascoltato, hanno inventato
un genere che in Italia non esisteva, ma non voglio dirvi tutto adesso sennò nelle prossime
cinque ore che famo? Perché tanto dura lo spettacolo. A proposito, se dovete avvisà
qualcuno a casa fatelo ora o mai più. Comunque, tornado al brano, ve lo ricordavate? Chi
non lo conosce, è diventato un inno, è quasi come il nostro “Inno Nazionale”, anzi, se
dovessimo cantarlo, credo conosciate più il testo di “Aggiungi un posto a tavola” che non
quello de l’Inno di Mameli. Perché l’Inno ce l’hanno sempre imposto e a noi le cose
imposte ce stanno antipatiche, a noi le imposte ce rimangono qua (indica lo stomaco)...
Soprattutto se ce le fanno imparà a cantilena, senza spiegarcele. Basta vedé i giocatori
della Nazionale prima della partita, non lo sanno, l’inciafrugliano… per i non romani
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“inciafrugliare” è riferito ad un modo di parlare dicendo cose volutamente incomprensibili.
Ve faccio un esempio: (canta) “Fratelli d’Italia”… - E fin qui, cantano forte perché se lo
ricordano – “l’Italia s’è desta”… - E già su “desta” semo meno sicuri pure noi, quindi,
abbassiamo un po’ il tono della voce, infatti c’è chi dice: mesta, chi dice destra, chi dice
Vespa, quello de “Porta a Porta” – “dell’elmo di Scipio”… – su Scipio l’espressione che ci
accomuna è più o meno questa (espressione di chi non capisce cosa stia dicendo) che,
poi, si lega ad un pensiero altrettanto comune: “Ma che è ‘sto Scipio?” – Pare una località:
Scipio, ridente cittadina adagiata a pochi chilometri dal confine, là dove le acque del fiume
si uniscono a quelle del mare. - Però famo finta de gnente e continuiamo a cantà, perché
se sa, chi s’estrania dalla lotta… cià la mamma che lavora in proprio… e guadagna pure
bene. – “S’è cinta la testa”… – E qui non capendo che stamo a dì, presi dalla disperazione
più totale, cominciamo a cercare una nostra lettura del testo, perché ce la dovemo dà ‘na
spiegazione, no? – “Dov’è la vittoria?”… – Su questa domanda, ad alcuni, je se comincia
ad aprì un mondo, cominciano a dì: “Ah, ecco chi è stato, è tutta córpa de Adelmo…” –
“Adelmo, e chi è?” – “Come chi è? Adelmo de Scipio. Ha messo incinta Vittoria, che
siccome che se vergognava, è scappata. Mó er farabutto la sta a cercà, dice: ‘Dov’è la
Vittoria?’”. - Qua le signore de ‘na certa età se scatenano: “Sto zozzone de Adelmo, chissà
che j’ha fatto a sta pòra fija pe’ falla scappà? Dev’esse uno der norde” – Perché essere
ignoranti, non significa non sapere proprio tutto, la signora sa benissimo che se davanti ad
un nome se mette l’articolo determinativo si è settentrionali: la Pina, la Maria, la Giovanna,
la Vittoria. – “le porga la chioma”… - E adesso? Come continua? Boh, chi se ricorda. Da
qui in poi, comincia una sorta di gramelot, ognuno dice la prima cosa che gli viene in
mente e che si avvicini maggiormente alla parola originale, poi, quando ha finito le frasi di
riserva, guarda il vicino per cercare di cogliere qualche informazione, come quando a
scuola non sapevamo svolgere un compito e cercavamo di copiare dal compagno di
banco che, con tutta la generosità della quale era capace e con scatto fulmineo, metteva
una mano davanti al quaderno e tu preso dalla disperazione eri costretto a cedere al solito
ricatto: per avere il suo aiuto, gli dovevi allungà la tua merendina. Però, negli anni mi sono
vendicato, tiè, guarda che siluette: come vedete non ho problemi di linea, mentre lui co’
tutte le merendine che m’ha estorto, adesso fai prima a sartallo che a giraje intorno…
Dicevamo che “Aggiungi un posto a tavola” è diventata per diritto un inno, fa parte della
storia della musica, ma da dove proviene questa canzone? Da una delle più belle
commedie musicali mai scritte alla quale presta proprio questo titolo. Chi l’ha scritta?
Garinei e Giovannini, musicata da un altro straordinario personaggio che ci ha lasciato da
poco, purtroppo: Armando Trovajoli! (Pietro fa cenno all’orchestra di alzarsi in piedi e lo
farà anche il pubblico, per un omaggio al grande Maestro recentemente scomparso). Ma
chi sono Pietro Garinei e Sandro Giovannini? Sono i padri della commedia musicale
italiana! Senza di loro non avremmo avuto titoli quali: Rinaldo in campo, Enrico ’61,
Alleluja brava gente, Un paio d’ali, Un mandarino per Teo, Accendiamo la lampada, Il
giorno della tartaruga, Rugantino… potrei stare qui una mezz’ora a dire i loro titoli, ma non
voglio fare una lezione di storia del teatro musicale, voglio invece, perché credo sia
doveroso, omaggiare questi due grandi maestri. Ed io “Sono qui per voi” perché senza de
voi, che ce venivo a fa’? Che me mettevo a parlà co’ le poltrone? Così me pijavano pure
pe’ matto. A parte che se dovessero pijà pe’ matti tutti quelli che parlano da soli, pe’ strada
nun girerebbe più nessuno… e comunque molti adesso so’ guariti… sì, da quando esiste
l’auricolare. Se pò parlà benissimo da soli. Ma sono qui anche per Loro! Garinei e
Giovannini. Quante volte ho sognato di poter calcare le tavole del loro teatro, di quello che
è stato definito il tempio della commedia musicale italiana: “Il Sistina”. Che ve lo dico a fa’?

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È un desiderio sempre vivo, perché è iniziato tutto proprio da lì… e dopo tanti anni quel
sogno non mi ha mai abbandonato, anzi, continuo a cercarlo…

IO CERCO UN SOGNO

PIETRO Io cerco un sogno


Un sogno ca nun hai sunnato mai
cume na ninna-nanna cca nisciuno
nisciuno m'ha cantato mai.
C'era ‘na fiata
nu povero bastardo
ma poi se seppe
ch'era figghio d'un re...
Io cerco un sogno
come un ricordo di
di tanto tempo fa...
forse il sapore di lu latte
ca mea matri non m'ha dato mai.
Ma stu sogno
è o cchiù beddu del mondo
è na smania ca sento
ma nun sacciu qual è.
Nu re
senza caballo senza spada né curona
ma nellu core
tanto bene e tante spine
e tanti pecché...
pecché pecché se vivo
ce dev'esse uno motivo
pecché
si un omo nasce ce deve esse
na ragione
ce dev'esse nu pecché.

PIETRO Scritta da Domenico Modugno per Alleluja brava gente, cantata da un giovane
Proietti che arrivò all’improvviso chiamato a sostituirlo, c’è chi dice per una fastidiosa
sciatalgia, ma forse non è andata proprio così... Vabbè, ma questa è un’altra storia… Vi
stavo raccontando della mia prima volta al Sistina: Era il 1990 ed io frequentavo una
scuola di recitazione… Dice: “Ma perché tu hai frequentato pure una scuola di
recitazione?”. Lo so, nun me se vede, però è così. Un giorno a fine lezione alcuni
compagni del corso degli adulti, che nun è che facevano cose vietate ai minori, è che io
frequentavo il corso per ragazzi, avevo 16 anni, insomma questi allievi si stavano
organizzando per andare a vedere uno spettacolo che proprio quella sera debuttava al
Sistina. Io che mi trovai a passare per caso in mezzo al loro discorso sentii: spettacolo
bellissimo, non si può non andare, è assolutamente da vedere. Figuratevi la curiosità di un
ragazzino di 16 anni, dissi subito: “Vengo con voi! Ma dove andiamo?” – “Al Sistina per
Aggiungi un posto a tavola”. – “Ah, e che è un ristorante?” – E tutti giù a ridere. Da lì capii
che forse ero tagliato per il genere comico. Comunque, per farla breve, arrivammo davanti
al teatro: me ricordo questa facciata piena di lampadine, il titolo e il nome dei protagonisti
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sulla luminosa, che adesso non c’è più… Entrammo, il foyer era pieno zeppo di gente, io
me diressi, anche un po’ trascinato dalla folla, verso la platea, poi me sentii acchiappà dal
giubbotto da uno vestito de rosso che mi disse con estrema gentilezza: “‘N do’ vai?” –
“Eh?” - “‘N do’ vai-i?” – “Non ho capito; può parlare in italiano, per favore?” - “In dove stai
da andando?” - “Dentro.” – “E ‘r bijetto?” - “Non ce l’ho.” – “E allora resti de fora.” – “Non
posso, dobbiamo assolutamente entrare!” – “Ah, perché nun sei solo?” – “No, siamo un
gruppo.” - “Allora ce l’avranno loro er bijetto tuo?” – “Non so!” – “Ho capito, sei imbucato!”
– “No, lo fa mia madre il bucato, mica io.” – “Viè con me, mòvi le cianche.”. Insomma me
portò dal direttore di sala dove trovai pure tutti gli altri compagni, che, preso da
compassione, decise di farci entrare. Ovviamente, ci sparpagliarono un po’ ovunque, in
base ai posti rimasti liberi: io andai a finire nelle poltronissime, la famosa botte de…
fortuna. Improvvisamente si fece buio, si aprì il sipario gigantesco che nascondeva una
scenografia enorme, effetti luce mirabolanti, cambi scena sul palco girevole… E chi
l’aveva mai vista una cosa così!? Infatti, dissi: “Meco...mplimento!”. E poi, canzoni,
balletti… E quando si racconta la danza nella commedia musicale italiana, l’omaggio va
assolutamente a chi ha fatto danzare fiabe, miti e leggende, a chi ha coniugato con la
propria arte testi e musiche sublimi, completandone l’eccellenza attraverso l’armonia del
linguaggio del corpo: il maestro Gino Landi! Questa favola musicale, com’erano soliti
chiamarla i due Autori, nasce negli anni ‘70. Il tutto si svolge in un piccolo paese di
montagna immaginario dove il protagonista, un giovane prete interpretato, in quelle
indimenticabili edizioni, da uno straordinario Johnny Dorelli, vive sereno e benvoluto da
tutti i paesani, ma la tranquillità del nostro parroco viene interrotta all’improvviso…

LA TELEFONATA

Squillo di telefono. Pietro ha indossato la talare.

SILVESTRO Pronto!
LA VOCE DI LASSU’ Finalmente!
SILVESTRO Chi parla?
LA VOCE DI LASSU’ Dio.
SILVESTRO Chi io?
LA VOCE DI LASSU’ (con impazienza) Dio, Dio, il tuo Dio.
SILVESTRO (ironico) Ah, Dio! Scusa, non ti avevo riconosciuto. E ti credi spiritoso? Ti
diverte rompere l'anima alla gente?
LA VOCE DI LASSU’ Mai fatto niente di simile... Caso mai il contrario.
SILVESTRO Insomma chi è lei e cosa vuole?
LA VOCE DI LASSU’ Te l'ho detto; io sono il Signore Dio tuo e voglio parlare con te della
fine del mondo.
SILVESTRO Va’ alla Mecca!
LA VOCE DI LASSU’ Alla Mecca! Dalla concorrenza? Avessi per caso sbagliato numero...
Ma tu sei Don Silvestro?
SILVESTRO Sì. E tu sei un idiota! (riattacca, arrabbiatissimo)
LA VOCE DI LASSU’ Come ti permetti! Figliolo, devi essere impazzito!
SILVESTRO (sussulta, guarda il telefono, lo rialza, lo riattacca)
LA VOCE DI LASSU’ Nessuno aveva mai osato attaccare il telefono in faccia a Dio.
SILVESTRO (si guarda intorno spaventato, alza gli occhi al cielo) Dio, Dio mio! (si butta in
ginocchio) Padre nostro che sei nei cieli...

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LA VOCE DI LASSU’ (con impazienza) Lo so benissimo dove mi trovo… Alzati, per favore,
e stammi a sentire. Ho deciso di organizzare un secondo diluvio universale.
SILVESTRO No!
LA VOCE DI LASSU’ Sì.
SILVESTRO Signore… hai intenzione di annegare tutti di nuovo?
LA VOCE DI LASSU’ Precisamente. Tu costruirai un'arca e con essa salverai il tuo paese.
SILVESTRO Il mio paese? E tutti gli altri innocenti che moriranno nel resto del mondo?
LA VOCE DI LASSU’ (urlando) Innocenti? Quali innocenti?... Sai tu che fine farebbe tra
poco il mondo, se lasciassi fare a questi innocenti...
SILVESTRO E già, forse hai ragione...
LA VOCE DI LASSU’ Forse!?
SILVESTRO No, hai ragione e basta quale forse!... Ma perché hai scelto proprio me, e
questo paese?
LA VOCE DI LASSU’ E perché no?
SILVESTRO E questo diluvio quando dovrebbe avvenire?
LA VOCE DI LASSU’ Avverrà. Mercoledì sera. Ti do tre giorni di tempo.
SILVESTRO Solamente…
LA VOCE DI LASSU’ All'alba di domani suonerai le campane, chiamerai a raccolta i tuoi
parrocchiani e darai loro la novella.
SILVESTRO Figurati, quelli quando gli do la novella…
LA VOCE DI LASSU’ Comincerete a lavorare all'alba del giorno secondo, in quanto la
prossima notte, la prima, l'ho destinata alla procreazione. Ogni uomo si giacerà con la sua
donna e genererà un figlio. Concepiti in questo vecchio mondo, essi nasceranno nel nuovo
e dal vecchio erediteranno.
SILVESTRO Genesi, capitolo 18.
LA VOCE DI LASSU’ Bravo! Vedo che hai studiato. Ragazzo, sarai degno del tuo
compito?
SILVESTRO Non mi crederanno, mi rideranno in faccia, mi faranno ricoverare in
manicomio.
LA VOCE DI LASSU’ Arrangiati, amico. lo mi rifarò vivo di tanto in tanto, ma… ricordati:
solo tu potrai sentirmi.
SILVESTRO Signore.
LA VOCE DI LASSU’ Che altro c'è?
SILVESTRO Non avrò mai il coraggio di suonare le campane…
LA VOCE DI LASSU’ Tu farai quello che io ti ho detto, Silvestro.
SILVESTRO Ma non posso andare in paese e mettermi a suonare le campane.
LA VOCE DI LASSU’ È un ordine.
SILVESTRO Sissignore!
LA VOCE DI LASSU’ E le campane suoneranno. Te lo garantisco io. Ora ti saluto,
Silvestro. A me!
SILVESTRO Come?
LA VOCE DI LASSU’ A me. Addio… a me! Eh…
SILVESTRO Eh, già. Addio… a Te! Oddio... Ho parlato con Dio... Dio Padre Onnipotente...
Onniveggente... Onnisa...

SONO CALMO

SILVESTRO Calmo
mantenere la calma
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perché se non mi calmo
mi viene il cardiopalma
Calmo
con la mente tranquilla
Adesso mi preparo
un po’ di camomilla
Eppure
il telefono ha squillato
La voce
del Signore m’ha parlato
M’ha detto…
m’ha detto esattamente…
Sì, m’ha detto esattamente…
Che m’ha detto esattamente?
Aiuto!
Non ricordo un accidente!
Calmo
ipersuperstracalmo
e per restare più calmo
ora recito un salmo
“Qui facit misericordiam”
Calmo io?
È una parola
Il Dio che atterra e suscita
che affanna e che consola
ha parlato con me!
Sì, va bene, lo so che prima di me
fece un discorso simile a Noè
No, eh!
(parlato) Signore, scusami.
Grazie
il cuore è regolare
il polso?
Benissimo… cammina
Adesso
mi posso addormentare
E venga
ben venga domattina
Calmo
calmo come una salma
son contento e felice
son felice e contento
oramai m’addormento
in un mare di calma
ecco, sì, m’addormento
in un mare di calma.
Oddio
Ho parlato con Dio!

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PIETRO Certo, bisogna sottolineare che Garinei e Giovannini, prima di arrivare a questa
forma di spettacolo, la “commedia musicale”, hanno dovuto affrontare un lungo percorso
evolutivo cominciato nel lontano giugno del 1944. Pietro e Sandro, che in quel periodo
erano due giovani giornalisti sportivi, rispettivamente de “La Gazzetta” e de “Il Corriere”,
da autori satirici di articoli del giornale “Cantachiaro”, si trasformarono in autori di una
rivista dallo stesso titolo che ebbe l’onore di essere presentata sulle scene romane niente
popò di meno che da Anna Magnani. Questo spettacolo, che aveva un impianto innovativo
perché affrontava temi di attualità e di politica in modo leggero, basato prevalentemente su
sketch, su parodie di celebri canzoni e su coreografie un po’ arrangiate, ebbe molta
fortuna, tanto che i due Autori si trovarono successivamente a mettere la loro penna al
servizio della grande rivista tradizionale, che invece disponeva di sontuose scene, grandi
balletti, fastosi costumi, del comico e delle mirabolanti apparizioni della soubrette per
antonomasia: Wanda Osiris. Quando si parla della Wandissima, non si può non ricordare
la famosa discesa dalle scale, tanto che venne definita “la regina degli scalini”, presenti in
tutti i suoi spettacoli. Per non parlare, dell’altrettanto, famoso lancio delle rose alla platea
diventato uno dei momenti più attesi dal pubblico, il tutto accompagnato dagli ormai celebri
versi di G&G su musica di Pasquale Frustaci… Che entri la scala! Certo noi nun ce
possiamo permette la scalinata della Osiris, ma mejo de ‘n carcio sulle gengive…

(potrebbe entrare una scaletta per lavori di montaggio)

PIETRO È con permesso? Dovrei discendere dalle scale, si può?

SENTIMENTAL

WANDA Sentimental
questa notte infinita
questo cielo autunnal
questa rosa appassita.

Tutto parla d’amore


al mio cuore che spera
ed attende stasera
la gioia di un ora
di un ora con te…

Sentimental
come un bacio perduto
Sentimental
come un dolce segreto
Sentimental
come un sogno incompiuto
come questo saluto
che il cuore sa dar…
Sentimental (3 volte)

All’inizio degli anni ‘60 i musicals, (rivolto ad uno spettatore) è inutile che me guarda
strano, è plurale se dice: musicals, co’ la esse finale. Dicevo, i musicals che in America
spopolavano, cominciarono ad arrivare in Italia dal cinema e dai palcoscenici di Broadway.
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Insomma, tutti rimasero colpiti da questa nuova forma di spettacolo! A parte mi’ nonna che
diceva che pe’ fà er vero Broadway ce voleva la gallina e no er dado… infatti, fu proprio
lei, che inventò il famoso detto: gallina vecchia fa buon Broadway… (allo stesso spettatore
di prima) Mó fa bene a guardamme male, questa me la potevo risparmià…
Nell’estate del 1951 Garinei, decise ‘spontaneamente’ di partire per New York…
‘spontaneamente’… a dilla tutta se la giocarono a testo o croce e je toccò de partì a lui…
per meglio comprendere quale fosse il vero segreto di tanto successo. Hai capito? E, io
secondo voi, potevo essere da meno? Potevo non seguire le orme del Maestro? No.
Allora, sapete che ho fatto?

IL VIAGGIO

Pure io ho deciso de partì pe’ gli States, me so’ detto: se voglio fare questo mestiere, devo
andare in American per documentarmi, per vedere come stanno le cose lì… stanno bene!
E, poi, il buongiorno, già si vede dalla partenza, perché io, sono partito con un jumbo
dell’American Airlines seven four seven, sette quattro sette, vorgarmente. Mica ho preso
l’Ali-taglia, seh… Dice: “Guarda, che si dice Alitalia. E, poi, stanno dimezzando i voli.” –
Ebbè, e io che ho detto: Ali-taglia (gesto con la mano). Poi, gli americani so’ gentilissimi,
talmente gentili che se scegli de volà co’ loro, sei ospite del comandante. Sapete come se
chiamava il comandante dell’American Airlines? William Chapman, che già te tranquillizza
er nome e invece il comandante dell’Ali-taglia se chiama Capparuccini, che come arriva
sopra l’aeroporto Kennedy di New York gli fanno: “Come si chiama, lei?” – “Capparuccini”
– “Vada ad atterrare a Viterbo, cammina” – Nun lo fanno manco scenne. Io, invece, sono
stato ospite del comandante Chapman in cabina. Bello Chapman, tutto americano, parlava
americano, cor vestito americano, s’è tirato giù la cuffia ha cominciato a dialogare con la
torre di controllo, je faceva: (versi gramelot, poi gesto dei motori in accensione) Ha acceso
quei popò di quadrimotori, capirai… Lo sai come fanno i quadrimotori dell’Ali-taglia?
Ahhh!!! Ahhh!!! (come fosse un lamento) Quando stanno sulla pista fanno: “Ahhh… ‘n
d’annamo? Ahhh… arimettetece nell’hangar, nun je la famo.”. Invece l’americani (versi
motore potente). Poi, quando ad un certo punto, tutte le lucette dell’aereo erano accese
(vari versi), Chapman ha detto: “Roger…”. J’ha detto ‘sto nome: Roger. Che è una
convenzione americana che cianno loro quanno tutto è ok, quello je dice ‘sto nome:
Roger… e l’aereo SCIUFHH! Decolla! Qui, da noi, che nome vòi dì? Fernando…
Fernando! Fernando!!! Nun se move ‘n cacchio da noi, ahò. Niente. Tutto fermo, così.
Capirai, qui da noi già rimane tutto bloccato all’aeroporto, figurati se si muove l’aereo sulla
pista. Dice: “Personale a terra?” – “Bloccato.” – Defatti, perché si chiama personale a
terra? Perché sta a terra, così (gesto). Bloccato, nun te danno più manco le valigie. A noi,
all’estero, ci riconoscono perché andiamo sempre coi vestiti fuori stagione: ce ridanno le
valigie dopo sei mesi, ce ridanno. Perché noi, lo dobbiamo ammettere andiamo negli
aeroporti con una mentalità da stazione ferroviaria, da FFSS. A noi, ci prende il panico
negli aeroscali quando si sente la signorina per l’altoparlante che chiama il volo: “DIN
DON! Attenzione, prego: è in partenza il volo Alitalia AZ415 per Milano uscita numero
wuauau…” – Dice: “Che uscita ha detto? Uscita 9?” – “No, mi sembrava 19” – “Ma no, ha
detto 29, glielo dico io” – Arriva l’ultimo de córza co’ la valigia, dice: “Scusi, è uscito il 31?”
- È un disastro! Questo succede in Italia, che è parlato tutto in italiano, scritto tutto in
italiano: se chiedi un’informazione te la danno in ottantasette, magari sbagliata, ma te la
danno. All’estero, che è tutto scritto in inglese, detto in inglese, se non sai l’inglese sei
fregato: t’aggiri per i meandri dell’aeroporto come un disperato in cerca d’un geroglifico,
poi, ad un certo punto, pure lì, senti: “DIN DON! Attention please: the flight AZ four one
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five is leaving for boarding number eight.” – (faccia disperata) “Eh? Che ha detto? Ch’è er
nostro?” – L’occhio dilatato dalla paura, gli italiani li riconosci dal terrore che gli si dipinge
sul volto, allora, vedi un drappello di connazionali che parte sparato e va verso i cessi, un
altro va all’edicola, un altro va al ristorante… Il primo che ce indovina sparge la voce! È
qui, che l’italiano diventa un popolo: viva l’Italia! Questo, finché siamo con i piedi a terra,
poi, come siamo in aereo, dopo un attimo di transizione, avviene il cosiddetto attacco
dell’arma bianca, perché c’è l’assalto a li mejo posti: trecento forsennati che te zompano
addosso, te calpestano, buttano le ventiquattrore ‘n do’ capita, poi, come l’aereo ha
decollato tanto così dal suolo (indica), tutti (sorride al vicino): “Vuole mettere lei il gomito?”
– “No, prego, si appoggi lei.” – “Ma si figuri” – Perché la strizza rende fratelli, questa è la
realtà. (versi del motore italiano) “Attenzione, è il comandante che vi parla…” – (fa le corna
in senso scaramantico) “Oddio…”. Quando parla il comandante, senti un brivido per tutta
la schiena, non parla mai. Dice: “E mó, o ce dice de vedé l’Isola d’Elba alla nostra sinistra,
perché ce lo dice sempre, oppure so’ guai.” E lì, cominciano scongiuri: corna, toccate di
chiavi, mani che spariscono… ognuno cià le zone sue, ahò. La pelle è pelle, eh. Nun c’è
niente da fà. Chi nun cià le zone sue, se le fa prestà dar vicino (distende una mano sulle
parti basse del vicino)… c’era ‘na signora che ciaveva ‘na paura, stava così, stava (c.s.
con tutte e due le mani). Io, in aereo, certe avventure, sempre mettersi agli ultimi posti.
Beh, insomma, finalmente sono arrivato a New York. Ammazza, lì è tutto un altro mondo…
Figuratevi che può aver visto anche Garinei all’epoca: pensate, stette in America una
settimana spostandosi da un teatro all’altro e ne rimase talmente impressionato, che dopo
solo qualche ora, inviò un telegramma a Giovannini, dicendo: “Siamo indietro di decenni.
Stop…”. E, così, diedero inizio alla vera rivoluzione del teatro italiano: nacque finalmente
la Nostra Commedia Musicale e Aggiungi un posto a tavola, è uno tra gli spettacoli record
per il numero delle repliche e la quantità di pubblico, di tutta la produzione teatrale italiana
del dopoguerra. Si era realizzato quello che diceva Garinei: “tirar via dal musical tutti gli
ingredienti da quattro soldi: la cartapesta, i lustrini, i finti esotismi, le smancerie giulebbose,
per far rimanere la nervatura della recitazione, del canto e del movimento…”.
Le musiche, come dicevamo, erano state affidate al genio del Maestro Armando
Trovajoli… E quando Trovajoli incontrava un pentagramma, un sentimento diventava
amore, fosse anche il meno probabile, come quello tra Toto e Consolazione, tra lo scemo
del villaggio e la prostituta che arriva in paese con l’intento di distogliere gli uomini
dall’ultima notte prima della partenza, quella destinata alla procreazione… E qui Dorelli je
dava giù con una canzone da brivido…

NOTTE PER NON DORMIRE

SILVESTRO Notte da non dormire


da fare giorno
da stare in due
Notte da innamorare
Che dolce nido
le braccia sue
Notte da far l’amore
come se fosse la prima volta
il primo sì
È per voi, è per voi
per voi due
CORO Notte da non dormire
10
da innamorare
da far l’amore
fatta per noi
SILVESTRO Notte da ringraziare
stupenda notte
è qui per voi
Notte da naufragare
nel mare caldo
degli occhi suoi
Magica è questa notte
le stelle piovono su di noi
Tutto sussurra e grida
Sussurra amore e grida amore
e a tanto amore non si può dire
di no.
CORO Notte da non dormire
da naufragare
nel mare caldo
degli occhi tuoi.
Notte da non dormire
da fare giorno
da stare in due
SILVESTRO Notte da innamorare
che dolce nido
le braccia sue
Magica è questa notte
le stelle piovono su di noi
SILVESTRO
E CORO tutto sussurra e grida
Sussurra “amore” e grida “amore”
SILVESTRO e a tanto amore
non si può dire di no.
CORO Notte da non dormire
da innamorare
da far l’amore fatta per noi
SILVESTRO È per voi.

PIETRO Don Silvestro è un puro, uno che ce crede davvero, uno che ha investito tutta la
sua vita nella vocazione… ma l’amore umano non lo dispensa dall’imbarazzo e
Clementina, la figlia del Sindaco, essendone perdutamente innamorata, non perde
occasione per corteggiarlo… fino a che il povero parroco… scivola in un bacio…

HO BACIATO CLEMENTINA

SILVESTRO (si nasconde la faccia tra le mani) Dio mio, Dio mio… che ho fatto!
LA VOCE DI LASSU’ Che hai fatto?
SILVESTRO (deglutisce) Ho... baciato Clementina…
LA VOCE DI LASSU’ T'ho visto.
SILVESTRO E non dici niente?
11
LA VOCE DI LASSU’ Auguri e figli maschi.
SILVESTRO Ma, i preti non possono baciare le ragazze e tutto il resto… I… i… il celibato!
LA VOCE DI LASSU’ Celibato? Che celibato?
SILVESTRO Dio, Dio!
LA VOCE DI LASSU’ Silvestro, Silvestro…
SILVESTRO L’obbligo al celibato… I preti non possono sposarsi… È una delle tue prime
regole… Non lo hai stabilito tu?
LA VOCE DI LASSU’ Io? Ma siamo impazziti? Come: io invento un modo per procreare
che, modestia a parte, è una delle mie cose meglio riuscite, e poi ne vieto l'uso proprio ai
miei collaboratori diretti. Ma dico, Silvestro... siamo logici...
SILVESTRO Dicono sia peccato...
LA VOCE DI LASSU’ Chi lo dice? Ma come si permettono!
SILVESTRO Signore, abbi pazienza... Sono secoli che i preti e le monache... È la prima
regola... In seminario non ci parlavano d'altro: "Rinuncerai alla donna", mi è stato sempre
ripetuto.
LA VOCE DI LASSU’ Ma davvero tu mi dici...
SILVESTRO Giuro su Dio …
LA VOCE DI LASSU’ Ma che giuri! Ti credo. Mi auguro almeno che di questo celibato non
ne tenga conto nessuno.
SILVESTRO Al contrario: tutti! Beh, quasi tutti... Comunque, io sì.
LA VOCE DI LASSU’ Bravo… Era proprio tempo che organizzassi un nuovo diluvio... Le
cose devono cambiare.
SILVESTRO Anche?
LA VOCE DI LASSU’ Anche.
SILVESTRO Signore!
LA VOCE DI LASSU’ Sì?
SILVESTRO Se non esistessi bisognerebbe inventarti!
LA VOCE DI LASSU’ Grazie!
SILVESTRO Grazie a te!

CLEMENTINA

SILVESTRO Clementina, prodigiosamente è cambiato tutto.


È quasi inverosimile.
È come in una favola
All’improvviso tu sei qui
Non sei più una musica proibita
Tu sei qui
Clementina
Clementina proibita
Clementina lontana
Clementina perduta
Clementina no
Clementina
Clementina da non guardare
Clementina da non pensare
Clementina da far paura
Clementina mai
Clementina
12
notizia aspettata per la vita
ed arrivata
quando non ci speri più
lungo sogno sognato ogni sera… sì, ogni sera
Clementina
Clementina ora
Clementina qui
Clementina
Clementina sempre
Clementina sì.

(Pietro si toglie la talare)

PIETRO Eh, l’amore… L’amore è stato sicuramente un ingrediente vincente nelle


commedie di G&G, ma non il solo! Un altro elemento era sicuramente affidato alla bravura
degli attori dell’epoca, tra questi non si può non nominare Renato Rascel che oltre ad
essere un grande interprete era uno straordinario ballerino, un ottimo cantante, nonché,
autore musicale delle commedie che lo vedevano protagonista. Era uno dei pochi che
sapeva fare bene tutto. Ecco cosa manca agli attori di oggi per diventare bravi come
Rascel, la preparazione, c’è poco da fà, ci vuole tanto studio. È per questo che gli attori
americani, per esempio, stanno avanti rispetto a noi, quelli studiano tutto il giorno, stanno
sempre in sala prove: cantano, recitano, ballano… Noi siamo più settoriali, o famo ‘na
cosa o ne famo ‘n’antra: o cantamo o ballamo. Tutt’e due insieme se rischia l’ictus. Io, per
esempio, sul ballo ho sempre trovato difficoltà…

LEZIONE DI VALZER

MAESTRO (entra) Buongiorno. Buongiorno.


TUTTI Buongiorno maestro.
MAESTRO Buongiorno. L’ho detto buongiorno?
PIETRO Me pare de sì.
MAESTRO Dunquo, il tema della lezione di oggi è il valzer, celebre danza di giro che ha
dato origine, attraverso vari incroci, alla polka, mazurka, alla Varsoviana, al Boston e
persino all’English Waltz. Chi è il primo?
DONNE Noi signor maestro!
MAESTRO No, no le signorine no!
PIETRO A questo le signorine je fanno schifo.
MAESTRO Mamma, che orrore.
PIETRO Senti chi parla de orrore!
MAESTRO Venga leio…
PIETRO (prende un ballerino e lo spinge verso il maestro) Lelio! Vòle a te. Meno male, me
annata bene.
MAESTRO Cosa fa? No, leio. Tuio
PIETRO Ah, no Lelio, vòle Tullio. (all’altro ballerino) Tullio te tocca.
MAESTRO Fozza.
PIETRO Eh?
MAESTRO Tuio, fozza.
PIETRO A Tullio, devi annà lì e fa’ ‘na fossa, così lo sotterramo e se lo levamo.
MAESTRO Cosa fa?
13
PIETRO Annamo a cercà ‘na pala pe’ la fossa.
MAESTRO Ma no, fozza. Voio luio.
PIETRO Nun la vòle adesso, la vòle a luglio. Eh, ma cor cardo se suda a scavà.
MAESTRO Pasta!
PIETRO Mó vòle magnà. E dove la famo?
MAESTRO Quaio. Fozza.
PIETRO Ahò… o famo ‘na fossa o famo la pasta, sceji.
MAESTRO Quante storie. (prende per mano PIETRO e lo porta al centro della scena)
PIETRO Ma che c’entro io? C’era prima Lelio e Tullio.
MAESTRO Non importa, venga venga. (avanzano al proscenio) Non abbia paura. Sono
strambaco?
PIETRO De nome? Piacere Pietro.
MAESTRO Dunquo, conosco il valzer?
PIETRO Che me lo chiede a me? Se nun lo sa lei?
MAESTRO Ma no aio. (battendo un piede a terra) Voio.
PIETRO Se pistato ‘n piede? Ce deve sta attento…
MAESTRO Diceva: no aio, voio.
PIETRO Seh, e peperoncino.
MAESTRO Non capiscia?
PIETRO Eh?
MAESTRO Perché non capiscia?
PIETRO Ma che domande so’?
MAESTRO Aio diceva che valzer è danza viennese, danza di salotto, elegante, vaporosa,
romantica, un pochino capricciosa, ma non troppo. Con garbo, con misura, richiede lo
sguardo frivolo, ma non troppo. Ogni giro un giro di spensieratezza, ogni giro un giro
intorno alla vita. Infatti la vita tutto sommato che cos’è?
PIETRO Tutto sommato che cos’è?
MAESTRO La vita è un va…
PIETRO È un va…
MAESTRO Un va…
PIETRO Un vaff… (si tappa la bocca)
MAESTRO Un valzer.
PIETRO Io lo stavo a di’, ma lei m’ha fermato. (il maestro è passato, dicendo la battuta a
sinistra)
MAESTRO È facilissimo, lei imparerà subito; guardi: il valzer è questo: uni, dui, trei… uni,
dui, trei… uni, dui, trei… (ritorna a destra)
PIETRO Un, due, tre… un, due, tre… è facile davvero. Io già l’ho imparato.
MAESTRO Questi sono i tempi. Quando i tempi sono bene entrati in testa, debbono
scendere nelle estremità inferiori.
PIETRO Lei a capito male. Le estremità mie je conviene lascialle stà.
MAESTRO Dunque è facilissimo, molto semplice. Vaporoso, elegante, romantico…
Quando che dama che vedi che fa… (incomprensibile) che gira, che gira, che gira, che
prendi che braccio, che gira, che gira, che gira, che prendi altro braccio, che gira, che gira,
che gira, che prendi altro braccio…
PIETRO Ma quante braccia cià?
Ricordi il salotto… spensieratezza. Posizione. (allarga le braccia)
PIETRO Ahò, guardi che nun ciò capito niente.
MAESTRO Vaporoso, spensierato… salotto. Posizione.
PIETRO (abbraccia il maestro) Bravo, me complimento!
14
MAESTRO Cosa fa! Posizione per cominciare la danza.
PIETRO Se nun me lo dice io che ne so.
MAESTRO Perché io chi sono?
PIETRO Non me lo faccia di’.
MAESTRO Non abbia paura, dica.
PIETRO Nun me vorrei sbaglià. Me può aiutà?
MAESTRO Ma certo: sono un m… un m…
PIETRO Un mostro!
MAESTRO Ma no, un maestro. Però adesso tolgo i panni del maestro.
PIETRO No, la prego, se li tenga.
MAESTRO Non posso, devo assolutamente toglierli.
PIETRO Guardi, che se lei se toglie i panni qua rimanemo soli, se svòta er teatro.
MAESTRO Non si preoccupi, lasci fare.
PIETRO Sì, che me preoccupo. Ciò messo tanto a falli venì, mó li famo scappà, scusi.
Abbia pazienza.
MAESTRO Lei non ha capito. Volevo dire, che tolgo i panni del maestro per fare un d… un
d…
PIETRO Un deficiente.
MAESTRO Ma no. Un dama. E dove c’è dama c’è?
PIETRO ‘Na bisca.
MAESTRO No gioco dama. Io sarò la sua dama.
PIETRO Ma vedi d’annattene.
MAESTRO Ma perché?
PIETRO Perché nun sei il tipo mio.
MAESTRO Se lei non fa finire discorso, scusa.
PIETRO E finisca.
MAESTRO Io diceva, che dove c’è dama c’è schermaglia!
PIETRO Io sapevo che c’era scacchiera, comunque…
MAESTRO No, schermaglia. Dunque: posizione… Qui bel morbido… morbido, morbido,
elegante, vaporoso, salotto… lo sguardo non preoccupato, facilissimo imparerà presto.
(Accennando alla posizione del braccio destro) Questa è l’altra posizione… Vede che
linea… Vede che linea… Vede che linea… (appoggia la mano sul fianco di PIETRO che si
ritrae perché solleticato) Ma dove va? Vaporoso, ma non troppo.
PIETRO Ho capito, ma se lei me fa er solletico…
MAESTRO Dunque, riprendiamo! Posizione… (riferito al braccio sinistro) Qui bel
morbido… morbido, morbido, elegante, vaporoso, salotto… lo sguardo non preoccupato,
facilissimo imparerà presto. Altra posizione… (appoggia la mano destra nella posizione
c.s.) Vede che linea…
PIETRO Vede che linea… Vede che linea…
MAESTRO Dunque incominciamo: uni, dui, trei… (il maestro retrocede di un passo nel
mentre PIETRO avanza e poggia il piede sinistro su quello destro del maestro) Guardi…
guardi…
PIETRO E la sto guardando.
MAESTRO No, giù giù…
PIETRO Nun ciò er coraggio.
MAESTRO Il suo piede è sopra il mio… Sa perché?
PIETRO Perché cià du’ belle fette.
MAESTRO Perché bisogna incominciare col destro…
PIETRO Ah, ecco…
15
MAESTRO Dunque… Qui bel morbido… morbido, morbido, elegante, vaporoso, salotto…
lo sguardo…
PIETRO Non preoccupato.
MAESTRO Facilissimo imparerà presto. Altra posizione…
PIETRO Vede che linea… Vede che linea… Vede che linea…
MAESTRO Dunque incominciamo: uni, dui, trei… (maestro retrocede di un passo c.s. ed
PIETRO poggia il suo piede destro su quello del maestro. Reazione a soggetto) Guardi…
guardi…
PIETRO In dove?
MAESTRO Giù… il suo piede sopra il mio.
PIETRO Sì, ma è il destro.
MAESTRO Sa perché?
PIETRO No.
MAESTRO Perché va là.
PIETRO Ah! Va bene… Spostiamo tutto là. (alza la sua gamba e quella del maestro e la
sposta di lato)
MAESTRO No, quello del cavaliere va là… Quello della dama rimane qui. Su, su, su
ricominciamo. Qui… (prende il braccio sinistro di PIETRO)
INSIEME Bel morbido… morbido, morbido, elegante, vaporoso, salotto… lo sguardo non
preoccupato, facilissimo imparerà presto. Altra posizione… Vede che linea… Vede che
linea… Vede che linea…
MAESTRO Dunque, uni… uni… uni… (fa compiere il primo passo di danza, ma si arresta
ogni volta) Ma cosa fa?
PIETRO Per forza, se lei me lo leva come glielo metto sopra?
MAESTRO No. Sa perché: uni, dui, trei… Fermi… Dunque: uni, dui, trei.
PIETRO Fermi. (resta fermo mentre il maestro retrocede di un passo)
MAESTRO Cosa fa?
PIETRO Sto fermo.
MAESTRO Ma le pare questa una posizione elegante… Salotto…
PIETRO Beh, i salotti moderni mó li fanno pure così. Se chiama “Älvros”.
MAESTRO Ma cosa dire? Dove avere visto?
PIETRO All’Ikea.
MAESTRO Lasciare stare. Sa perché?
PIETRO Perché costa poco.
MAESTRO No. Sa perché?
PIETRO Perché te lo devi da montà da solo.
MAESTRO Ma no.
PIETRO Ma sì.
MAESTRO Ma non c’entra?
PIETRO E ce lo famo entrà. Magari non lo montamo tutto, ne montamo metà.
MAESTRO Faccia finire discorso…
PIETRO Finisca.
MAESTRO Perché: uni, dui, trei, fermi. Poi, si ricomincia. Uni, dui, trei, fermi.
PIETRO Stanno sempre in sciopero, se sa.
MAESTRO Poi si ricomincia… e col destro. (Soggetto) Dunque: uni, dui, trei. Guardi,
guardi, guardi…
PIETRO Dove devo guardà stavolta?
MAESTRO Giù, sempre giù… il mio piede… Sa perché?
PIETRO Perché lei è pieno de piedi.
16
MAESTRO No. Una volta il destro, l’altra il sinistro, provi: destro, sinistro, destro, sinistro.
Provi. (PIETRO saltella sul piede del maestro) Ma non sul mio piede… che, oltretutto, è
quello della dama.
PIETRO Mi scusi, signora.
MAESTRO Su, su, ricominciamo… lo sguardo… (si rimettono in posizione per iniziare la
danza) Uni, dui, trei… uni, dui, trei… uni, dui, trei… (iniziano a danzare) No.
PIETRO Non va bene?
MAESTRO No.
PIETRO Me ne vado?
MAESTRO No. Non è male…
PIETRO Ah…
MAESTRO Il sorriso, un po’ di più… (PIETRO esegue) ancora di più… (PIETRO c.s.)
ricordi è una danza che richiede lo sguardo frivolo. (PIETRO c.s.) Ma non troppo.
PIETRO Me s’è ‘nceppato ‘n occhio.
MAESTRO Può fare anche una risata, se vuole… (PIETRO ride comicamente) Una
signora la sta guardando, ricambi lo sguardo, con garbo, con delicatezza… Uno sguardo
buttato lì… (soggetto sguardo) Bravo! E adesso si rilasci.
PIETRO (cade piegando indietro la gamba destra) Vede che linea? Vede che linea?
MAESTRO (rialzandolo) Ma non così, non così. Lei mi imbruttisce…
PIETRO Guardi, che c’è arrivato da casa così.
MAESTRO Imbruttisce la mia danza. È tutta una vita che ballo.
PIETRO Nun je se vede pe’ niente.
MAESTRO Anni di studio, di scuola.
PIETRO Eh, ma l’ha trovata sempre chiusa.
MAESTRO Io che non ho nulla in meno di Bolle.
PIETRO Sì, lei de bolla ce n’ha una sola, ma bella grossa, però.
MAESTRO Tuio e la danza essere cosa impossibile. Non c’è speranza, non c’è rimedio,
non c’è soluzione. (esce disperato)
PIETRO A sòr maé, nun se arrabbi, infondo domani è domenica, ho bisogno di riposarmi
un po’, pure nostro Signore la domenica s’è riposato.

DOMENICA È SEMPRE DOMENICA

PIETRO È domenica pei poveri e i signori


ognuno pò dormì tranquillamente
Né clacson, né sirene, né motori…
si sveglia la città più dolcemente.
Persino il gallo, molto premuroso,
non fa chicchirichì.
Ha scritto sul pollaio “buon riposo,
ritorno lunedì”.

Domenica è sempre domenica.


Si sveglia la città con le campane
Al primo din-don del Gianicolo
Sant’Angelo risponde din-don-dan

Domenica è sempre domenica


e ognuno appena si risveglierà
17
felice sarà
e spenderà
‘sti quattro soldi de felicità. (2volte)

FINE PRIMO TEMPO

18
SECONDO TEMPO

CARE SALME

EZZELINO Care salme


state calme
et paura non habere
nel sentir lo meo linguaggio
nel vedere lo deambulaggio
in codesto pio recinto.
Io non sono un caro estinto
sono un vivo de passaggio.
Chi è? Ah, ‘mbe’!
Care salme
state calme
dalle tombe non sortite
fuochi fatui non facite
ne rumori de misterio
che se sto allo cemeterio
dopo l'ora de clausura
è perché non ho paura.
Boni,
trapassati state boni,
è questione de minuti.
Pace
requiescate in santa pace
sotto l'alberi pizzuti.
E intanto io canto
spensierato me la canto
canto e ballo
e sghignazzo addirittura
perché non ho paura.
CORO Ahhh!
EZZELINO Oh, Deo, che è?
CORO Ahhh!
EZZELINO Ma che succede?
CORO Ahhh!
EZZELINO Ahò, ma chi parla?
Bono,
Ezzelino statte bono
esta è solo suggestione.
Tiette,
ce so’ pure le civette
qui me pija er mammatrone.
E intanto io canto
qui sto proprio ch’è un incanto
quasi quasi ce verrei in villeggiatura
perché non ho paura.
Ajo,
19
quasi quasi me la squajo
qui i rumori so’ un fottìo.
Senti,
qualche teschio batte i denti.
Porco Giuda, ma so’ io.
E intanto io canto
più ce provo e meno canto
qui me trema tutta quanta l'ossatura
perché ci ho ‘na paura.
Ciò paura come un pollo
quanno sta a venì Natale;
ciò paura come er sale
quanno sta pe' cascà a mollo;
ciò paura come er fieno
quanno sta a arrivà er cavallo;
come er Re der Portogallo
quanno vede er Saraceno;
ciò paura come er cane
prima d’esse bastonato;
ciò paura come er pane
quanno vede l’affamato;
ciò paura come er dente
quanno sta arrivà er dottore.
Ciò paura, brava gente
so’ invasato dar terrore!...
E intanto io canto
ma che cavolo me canto
quasi quasi me ne torno in sepoltura.
Perché? Ma perché ciò paura, no!

PIETRO Questo brano è tratto da Alleluja brava gente, commedia musicale scritta nel
1970 ed ambientata nel 999. Solo Garinei e Giovannini ebbero il coraggio di portare sulla
scena il dramma psicologico che colpì il mondo nell’Anno Mille: “Lo finismundi” come
dicevano i latini - gli abitanti de Latina… - . Temendo la fine del mondo, chi non aveva
condotto una vita irreprensibile, si affrettava a farsi perdonare i peccati, quasi si sentisse
già il calore delle fiamme dell’inferno, un po’ come c’è successo a noi a dicembre coi Maya
che dicevano che non saremmo arrivati al 2013… Hanno provato a fregacce pe’ la
seconda vorta!
Lo spettacolo venne scritto per Rascel e Modugno, i quali, tra l’altro, ne composero le
musiche, ma, come dicevamo all’inizio, non arrivarono insieme al debutto: sembra che
Modugno temesse che Ademar - il suo personaggio - fosse meno forte di Ezzelino -
interpretato da Rascel - tant’è vero che Mister Volare rinunciò alla parte. Venne, quindi,
sostituito da un giovanissimo Luigi Proietti – allora si chiamava così – pescato nei piano
bar o in qualche teatro classico… Anche in questo caso, G&G ebbero un’altra grande
intuizione: in quel giovane c’era un genio! E così fu. Lo spettacolo ebbe un successo
straordinario e Proietti fu una rivelazione di cui ancora oggi abbiamo conferma! Li
dobbiamo ringraziare anche di questo!

AMARO FIORE MIO


20
PIETRO Amaro fiore mio,
amaro fiore mio,
povero fiore
che si sbagliò stagione
fiorì quando non è tempo d'amore.
La voce tua se perde nello vento
la mano tua me strigne e non la sento…
te guardo eppure nun te vedo cchiù…
perché
Amaro fiore mio,
io nun sarei più io
se rimanessi.
Chi tene l’ali nun se po’ ligari
Sorrideme, Belcore,
regalame un addio,
poi scòrdate pe’ sempre il nome mio,
povero fiore.
(parlato) Povero fiore mio,
amaro fiore mio,
tu capisci che sarebbe un tradimento
se restassi, se adesso rinunciassi
per sempre al sogno mio.
No, no, no, no…
(canta) Un omo quand’è omo
Dice addio
pure all’amore (2 volte)

PIETRO Pensando al grande Modugno, non si può fare a meno di associarlo alla Sicilia,
perché, oltre ad aver scritto canzoni con quelle sonorità, ha anche interpretato più volte
personaggi legati proprio a quella terra, ma come molti sapranno, Mimmo non nasce in
Sicilia, ma a Polignano a Mare, un paesino in provincia di Bari. Sembra, invece, che la
leggenda del "Modugno siciliano", ebbe inizio grazie alla sua partecipazione ad un film dal
titolo "Carica eroica", dove interpretava la parte di un soldato siciliano che cantava la
"Ninna Nanna" ad una bambina. Il mio ricordo personale, invece, è che quando appariva
in televisione, mi incantavo ad ascoltarlo e come molti, provavo ad imitarlo parlando
siciliano come faceva lui, pur essendo pugliese. Ma come tutte le grandi esperienze, è sul
campo che raggiungono la massima esponenza: perfezionai questa mia passione per i
suoni dialettali quando feci la mia prima tournée, proprio in Sicilia, perché la sera, dopo lo
spettacolo, andando a cena nei ristoranti dell’isola cominciai a prendere spunto dal modo
di parlare dei ristoratori… Voglio affidare proprio a tre diversi camerieri siciliani la sottile
differenza che esiste tra i tre fondamentali dialetti…

Pietro indossa la giacca da cameriere.

I TRE CAMERIERI SICILIANI

Buonasera, io mi chiamo Totuccio e sono il cameriere di Palermo, mi hanno pregato di


fare un intervento sulle differenze che ci sono fra i dialetti in Sicilia; ma noi altrci
21
palemmitani non è che ciabbiamo un dialetto vero e proprio, casomai, al massimo, si
putissi pallari, che sàcciu, di cantilena. Per esempio, nell’esercizio delle nostre funzioni di
cameriere a Palermo, che mi può capitare che devo pigliare un’ordinazione? “Senti
Guddiermo, (tutta di un fiato) che è pronta quella porzione di fettuccine che ce la devo
pottare al tavolo numero cinque che è arrivato il commendatore cha se purtau sa socera,
sa cognata, sa nanna e sa ziavra cha ancora non hanno manciato niente, mi pare d’avere
capito che hanno un sacco di fame?”. Ora, onestamente, va… non è che è un dialetto, è
un arco giottesco di musicalità. L’unica cosa, sulla quale forse, effettivamente, a noi altrci
palemmitani, volendo, ci possono piddiari un pochettino in giro, dice che, effettivamente,
noi altrci palemmitani, ciabbiamo il vizio dei diminutivi. Per esempio, che c’è a tavola una
bambina che si chiama Concetta? La matri la chiama subbutu subbuto: Cuncettuzza; se
c’è la zia presente a tavola, vedova, che si contendono l’amore filiale della povera
bambina, alla bambina la chiama: Cuncettinuzzinedda; la sorella maggiore dice: “Così la
state viziando a Cuncettinuzzineddanininuzza.”. Il padre dice: “Ce lo posso fare fare
perlomeno il giro dell’isolato a Cuncettinuzzineddanininuzzinedda?”
Cuncettinuzzineddanininuzzaniddinedda
Cuncettinuzzineddanananuzziniddinununininuddiniddineddanananuzziniddinuddunananuz
ziniddinedda! (fa un giro su se stesso)
Io invece sòno il cammeriere ddi Catania je palliamo motto lento noi a Catania, e non c’è
bbisogno de gridare: si ne vonnu sèntere, ne sentunu e s’unne vonnu sèntere è u stissu
precisu. Io mi chiamo Alfio. Dice che a noi catanesi ci accusano sempre che quando
palliamo ci ddimentichiamo ddi pronunciare la erre, ‘a salita camurria dda ‘a potta apetta,
‘a colomba motta, a cannevale mi voglio vestire di osso peloso, ma a’ cliente i’ fatto ca io
mi sto mangiando la erre e chi ci ‘u ‘ncucchia? Ch’è benuto pe’ mangiassi la erre, lei
signora? Signora, comunque se a lei la erre non ci piace, ci pozzu puttari una pietanza ddi
Catania ca si chiama pasta chi ‘i patate… non ce ne sono erre; se lei mi dà un piccolo
pemmesso, ci pozzu puttari un’altrcia pietanza ddi Catania ca si chiama pasta chi ‘ì
cipudde… che c’è una erre, ma è nascosta tra due di manco la sente, lei; dice: “Sa’, ho
cambiato idea… mi vulissi fari una scoppacciata di erre.”. Signora, passiamo a’ secondo,
ca ci pozzu puttari? Chi sàcciu: una frrrittata, ca solu a pinzari a quanto erre ci sono ‘nda
frrrittata, mi viene male di testa! Ora se a lei non ci bastano manco tutte le erre ca sono
contenute ‘nda frrrittata, mi facissi una cottesia pessonale, signora, s’innissi a manciari a
Messina, che è capace che se insiste a Messina ci pottano una pietanza locale ca si
chiama: frrrittura di frrrutti frrreschi ddi mmare appena rrraccolti! (gira su se stesso)
Io invece sugnu u cammerere de Messina e noi altrci a Messina dice ca simu tammente
veloci ddi pallari ca ‘a gente ‘un capisce nimmancu una parola quannu parlamu, ca dice ca
simu tammente veloci di pallari ca ‘na manciamo i paroli, ca gente non capisce nimmanco
una parola ca dice ca simu troppo veloci… Dice: “Ma picchì site accussì veloci ddi pallari
ca gente non capisce nimmanu una parola e vi manciate i paroli?”. C’è un motivo
geografico preciso: picchì siccome è stato dimostrato geograficamente che la Sicilia piano
piano se ne sta scivolando verso la Libia e a noi altrci siciliani cianno promesso e ru tempu
de Garibaldi che ci dovevano annettere al resto dell’Italia, palliamo veloci sinnò j’è capaci
che n’annettono ‘a Libia! Ora, naturalmente, però, cu ‘u fattu ca semu accussì veloce ddi
pallari, ci sono ddei problemi anche di ccarattere, come dire, anagrafico, no; pecchi io, per
esempio, anagraficamente, di battesimo mio, io mi chiamassi Giuseppe, no… mi’ patri, pe’
ffare prima mi chiama: “Pepè”. Accussì ci arrivo prima quannu mi chiama… mia matri che
voli fari ancora chiù prima di mi’ patri ca mi chiama: “Pepè”, mi chiama solo: “PE-PE-
PEEE!”. Accussì ci arrivo subbito subbito. Naturalmente ci sono dei problemi anche di
carattere professionale, pecchi per esempio c’è una nostrcia cliente, una signora ca
22
s’assetta a tavola avé fame, mi oddina una pietanza longa longa e io pe’ fare prima cià
potto cutta cutta: signora, o mancia o mancia. Chiama u diretturi e m’ammassacrìa ‘e
bastunati a mmia. Ma daltrcia parte voi altrci lo sapiti che noialtrci missinisi simu accussì
veloci di pallari je pecchì ci contestate ‘sta cosa? Pecchì, io sono messinese, faccio per
esempio un discorso di riciotto parole… mi ni mancio trentasei u duppiu precisu; ma anche
nel caso ca facissi un discursu di trentasei parole… me n’hai a manciari pe’ forza
sittantarue, no; ‘na vota, mio nonno a Messina, ancora se lo ricoddano è riuscito a fare un
discorso completo di sittantarue parole… si nni manciava centoquarantaquattro: ni ‘stu
minuto stia facennu nu discursi di centoquarantaquattro parole… e già me n’hai manciate
ruecent’ottantotto… ma anche nel caso ca facissi nu discursu di ruecent’ottantotto
parole… ni je sempre cinquecentosettantasei mi ni hai a manciari, no… sempre u doppiu
sempre u doppiu sempre chiù veloci… Arrivederci.

Toglie la giacca.

PIETRO C’è da dire che una mente eccelsa come quella di G&G ebbe l’astuzia di non
fermarsi solo alle proprie opere, ma di spaziare in collaborazioni di incredibile spessore
artistico e culturale. Mi viene da pensare alla straordinaria penna di Gigi Magni, al quale
dobbiamo moltissimo della romanità che ha arricchito di sé set cinematografici e
palcoscenici vari: nel 1989 debuttò al Sistina I 7 Re di Roma. Ma come nasce questo
spettacolo? Le cose andarono così: Magni aveva scritto la storia di Roma da Tiberino alla
Repubblica, tra il fiabesco e il mitologico, attribuendo agli stessi re caratteri, emozioni,
sentimenti, che forse nessuno aveva mai nemmeno immaginato. Garinei ebbe un’altra
delle sue straordinarie percezioni. In quella favola scritta per la carta stampata, c’era una
leggenda teatrale, anzi, una ‘leggenda musicale’ che andava sceneggiata e messa in
scena. Gigi Proietti superò se stesso interpretando in modo magistrale tutti i personaggi in
un’irripetibile performance…
PIETRO (Pietro indosserà una stola) Sentite come Romolo racconta la nascita di Roma
attraverso la penna di Magni…

ROMOLO

ROMOLO (piange) Ho ammazzato mi’ fratello… Abitavamio infonno a ‘sta palude, io co’
mi’ madre e mi’ fratello Remo... Poi Remo se cambiò, se fece amico de li più peggio bulli,
e quanno a mamma je piava la malattia der lupo, io solo je corevo appresso. Mamma
invecchiava, cor tempo se spelacchiava tutta, nun s’areggeva più sulle zampe. Io cor
fiatone dicevo a mi’ fratello: “Ah Re’, ah Re’! Qui coro solo io, penzace pure te a trotta’
appresso a mamma tua, no? Remo me fece ‘na risata ‘n faccia... Ieri a matina che
successe er fatto, me parve de senti come ‘na lotta. Mamma aveva azzannato co’ li denti
‘na pecorella, ma così, pe’ scherza’, senza intenzione, quanno un pecoraro ‘mbriacone je
da’ ‘na tortorata ‘n testa… mamma dà ‘no strillo e casca longa longa… Arriva Remo e fa:
“Mamma, mamma mia!” E ce potevi penza’ prima, a bojaccia, a ‘nfamone, a scellerato... E
mentre la lupa moriva e piano piano ripiava la figura umana de persona, ce svelava, così,
er segreto della nascita... Basta. Marciamo su Albalonga, ammazzamo Amulio e
rimettemo nonno Numitore sur trono. Nonno ce fa: “Ragazzi, io sono vecchio, penzatece
voi a fare li re che siete de nascita reale e de stirpe divina”. Remo je fece ‘na risata ‘n
faccia... pure a nonno. Ma io un’ideuccia ce l’avevo già... dico: “Ah Re’, fondamo ‘na città
pe’ conto nostro, così da nomadi e pecorari che semo, se straformamo in stanziali e
contadini, ‘nzomma, dico, famo ‘n sarto de qualità, no? Remo me fece na risata ‘n faccia...
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E voi adesso me chiedete come io posso èsse arivato a tanto... come la mano mia ch’è
stata avvezza a maneggià la lima cor martello, co’ tanto sangue freddo e sicurezza abbia
spaccato er core a mi’ fratello… Basta. M’attacco l’aratro ar collo e traccio er solco de la
città quadrata. Me faccio ‘na sudata che manco ‘na bestia... per un perimetro de 1500
metri, mentre dall’artra parte Remo me guarda e nun fa gnente. Manco ‘n soriso stavorta.
Poi quann’ho finito zompa. Tira fori er cortello e zompa er fosso. Me je buttai come ‘na
iena addosso, e j’agguantai la mano, e je strappai er cortello, poi viddi tutto rosso e giù
menai!… Menai!… Menai!

PIETRO Così è nata Roma… Come inizio non c’è male, no? Poi ce se stupisce se ancora
oggi ce pijamo a tortorate… I processi, a quei tempi, venivano svolti davanti ai senatori, i
quali, avevano anche il potere di sentenziare la colpevolezza o meno dell’imputato… La
difesa, invece, poteva essere assegnata anche ad un parente del presunto colpevole. Se
avete studiato un minimo di storia romana… a guadarvi in faccia, me pare de no…
comunque chi l’ha studiata dovrebbe ricordarsi il capitolo degli Orazi contro i Curiazi, la
famosa battaglia delegata e combattuta dai campioni in rappresentanza degli eserciti. Ve
la ricordate? Vabbè, ve la dico io: “Al primo scontro due Orazi cadono, il terzo, illeso,
scappa via, i Curiazi lo inseguono, ma sono feriti e perciò si distanziano l’uno dall’altro,
cosicché Orazio, che ha inventato la prima ritirata strategica della storia, li affronta uno per
volta e li ammazza tutti e tre...”.
Che entrino i senatori! Uno solo? E gli altri trecentoquattordici ‘ndo’ stanno? Ahò, so’
passati secoli ma n’è cambiato gnente. Già c’era l’assenteismo, mah… (esce)

IL PADRE DEGLI ORAZI

SENATORE (legge) “Il Senato e il Popolo Romano contro Orazio…”, Orazio, non si sa
bene come, perché il nome generico di Orazio accomuna tutti e tre i fratelli senza
distinzioni personali… “In conseguenza del delitto ascritto e consumato ai danni di una
concittadina…” di cui non si conosce il nome, ma che noi, in analogia agli altri chiameremo
Orazia… “l’imputato Orazio è condannato alla pena di morte mediante impiccagione.
L’imputato ha la facoltà di appellarsi al popolo.”. Ti appelli?
ORAZIO Mi appello!
ORAZIO S. (da dietro) Un momento…
GIANO È Orazio, padre degli Orazi e dell’Orazia: Orazio pure lui!
ORAZIO S. (entra barcollando sostenuto da due donne) Un momento… E un momento…
Parlo io a nome der popolo romano: cittadi… (perde l’equilibrio, le due donne lo aiutano)
Cittadini de Roma, insino a ieri io c’avevo quattro fiji: tre femmine e un maschio… No?! Tre
maschi e ‘na femmina?! Sì. La femmina m’è caduta pe’ la Patria… No?! Er maschio?!
No?! Tutt’e due?! Tutt’e due! Ma nun ce n’avevo tre? Ma er terzo ‘ndo’ sta? Eccolo là! È
stato lui che m’ha ammazzato la femminuccia. Adesso se volessi usare la “patria potestas”
che come padre de famija ma da er diritto de vita e de morte sulla moje, sui fiji, su’ le fije,
sui fratelli, su’ e sorelle, sui cognati, su’ e cognate, su’ i cugini, su’ e cugine… (Si
addormenta)… Sui nipoti, su e nipoti e sur personale de servizio… Che stavo a di’? Ah!
Adesso Orazio ‘o strangolavo co’ le mani mie. Ma perché io non l’ho fatto? Eh? Ma nun
t’aricordi gnente, ‘n t’aricordi! Ma perché io nun l’ho fatto? Si… Bona questa… Ma perché
io non l’ho fatto? E che ne so? Adesso cor permesso de’ re e de tutti l’artri, che e’ re è ‘n
omo d’onore e tutti l’artri sono tutti omini d’onore, sono venuto a parlare qui, ar funerale de
Cesare… me sa proprio de no… Ma chi è Cesare? E te chi sei? Io te conosco a te… Nun

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me ricordo in do’ t’ho visto, però te conosco! …sai a ‘st’età se comincià ad avé quarche
problemuccio…

Il BACUCCO

NUMA: Ciò l’anni der cucco me scrocchiano l’ossa,


so’ vecchio bacucco sto in pizzo alla fossa.
Se faccio le scale ciarivo sfiatato,
se provo a chinamme rimano piegato.
So’ mezzo cecato me guardo allo specchio,
pe’ quello che vedo so’ un povero vecchio,
so’ vecchio, so’ rotto, ‘no sforzo e davero
c’è er caso sicuro che qui faccio er botto.
Ma da quanno m’hai guardato
tutt’un botto, in petto, er core
m’è zompato, s’è svejato,
s’è rimesso a cammina’. No!
Ciò l’anni der cucco me scrocchieno l’ossa,
so’ vecchio bacucco, sto in pizzo alla fossa.
So’ stanco, so’ rotto, nun ciò più capoccia,
me scordo de tutto, ma sai che me scoccia?
Che dicono “bravo, la prendi con carma”,
Embè, se capisce, so’ quasi ‘na sarma:
ciò l’occhi abbottati, li denti cariati,
ciò l’ore contate, l’esequie pagate…
Ma da quanno m’hai guardato,
tutt’un botto, in petto er core,
m’è zompato, s’è svejato,
s’è rimesso a cammina’…
‘Ndo stai, aho!
EGERIA: Ma da quando m’hai guardato
tutto a un botto in petto er core,
t’è zompato s’è svejato,
s’è rimesso a cammina’.
NUMA: EGERIA:
Ma che me succede? Me viene da ride, Ma da quanno m’hai guardato
so’ vecchio bacucco, c’ho crampi e dolori, Tutto a un botto in petto er core,
so’ vecchio bacucco, ma solo de fori, t’è zompato s’è svejato,
so’ sordo de recchie nun sento rumori, s’è rimesso a cammina
so’ vecchio d’età solo de fori
che sotto a sti panni è come se avessi
ancora 20 anni 20 anni d’età

PIETRO (toglie parrucca e barba) Fateme toje de dosso tutti ‘sti secoli, va… Roma, Roma
e ancora Roma… Come se fa a nun amalla… E anche la Premiata Ditta G&G ha voluto
ambientare la maggior parte delle proprie favole nella splendida città eterna. Ma c’è n’è
una su tutte…

LA BALLATA DI RUGANTINO
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RUGANTINO Ecchime qua… So’ sempre un ber paino,
un gran ber bocconcino
So’ libero, zitello, indipendente
e nun ci ho da fa’ niente.
Ma pensa che bellezza
nun ciò niente da fa
Porcaccia la miseria
nientissimo da fa
e rompo li stivali a tutta quanta la città
perché n’ ciò niente da fa.
CORO Rugantinì… Rugantinà…
nemmeno è giorno e già voi rugà
Rugantinì… Rugantinà…
tranquillo e bono nun ce poi sta
RUGANTINO Sto proprio, come un Papa
anzi mejo, Santità
Perché Lei gira gira
quarche vorta ha da sgobbà
io, viceversa, sgobbo solamente si me va
perché n’ ciò niente da fa.
CORO Rugantinì… Rugantinà…
ciai sempre voja de sta a scherzà
Rugantinì… Rugantinà…
ma nun ciai voja de lavorà (2 volte)
RUGANTINO Voglia de lavorà
sarteme addosso
ma famme lavorà
meno che posso.
Nun posso perde tempo
nun ciò niente da fa
Levateve de mezzo…
fate largo a sua maestà
arriva Rugantino che cià voja de rugà
perché
n’cià niente da fa.
CORO Rugantinì… Rugantiné…
che vai cercanno se po’ sapé
Rugantinì… Rugantinà…
sta smania in corpo chi te la dà.

PIETRO Rugantino! So’ una maschera del teatro romanesco dei burattini, popolano
litigioso, inconcludente. “Rugantino”, infatti viene da “ruganza”, cioè arroganza. Non so
frenà la lingua, nun me so azzittà, tanto che ciò pe’ motto: “meglio pèrde ‘n amico che ‘na
battuta”. So’ sarcastico, arguto e strafottente!
La commedia di Garinei e Giovannini è ambientata nella Roma papalina dell'800, dove il
protagonista è, appunto, Rugantino: un ragazzo tanto sfrontato quanto pauroso, amante
della vita e delle donne, quanto allergico al lavoro. Vive giorno per giorno di espedienti,
grazie anche ad Eusebia – storicamente interpretata dall’irripetibile Bice Valori – che, pur
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di “scroccare” vitto e alloggio al "frescone" di turno, fa passare per sua sorella. Il
"frescone" di turno è Mastro Titta, proprietario di un’osteria nonché boia per lo Stato
Pontificio. Fu interpretato nelle prime due edizioni da uno straordinario, indimenticabile
Aldo Fabrizi. Ve racconto una chicca: pare che Fabrizi venisse spesso rimproverato,
soprattutto da Garinei, per non tener fede al copione… forse se stufava de dì tutte le sere
le stesse battute… tanto che durante una cena dopo teatro, fece trovare dentro i tovaglioli
dei due Autori questa ‘letterina’ in versi firmata da “Mastro Titta”:

“A Pietro e Sandro”

Ormai so’ tre Natali e Rugantino


a ‘sto monno e a quell’antro se fa onore;
e fijo de gente sana e sangue e còre
se vede che funzioneno a puntino.
Mastro Titta però, sarà un destino,
n’ sera si e na’ sera sissignore
fa pèrde la pazienza ar Direttore
pe’ via che gioca come un regazzino.
E pure si ner carcere s’impegna
‘na lagrima nun basta a riscattallo
si dopo un G s’incazza e un G s’infregna.
Però se ognuno ha li difetti sui,
a Natale direi de perdonallo
perch’er primo a soffricce è proprio lui.
Benanche che dar pubbrico s’avverte
che invece de soffricce se diverte.

PIETRO Momento fondamentale per la trama è la scommessa con la quale Rugantino si


impegna con i suoi amici: sedurre la bella Rosetta, moglie del gelosissimo Gnecco, detto
“er matriciano”. Nel giro di poco tempo, complice l'assenza ‘der marito’ che è stato bandito
da Roma accusato di omicidio, Rugantino, quasi per un incidente di percorso, si innamora
veramente di Rosetta e, ricambiato nei sentimenti, decide di perdere la scommessa
regalandole il silenzio. Ma Rugantino sempre Rugantino è… e perderà Rosetta quando lei
si accorgerà, invece, che non è stato capace di mantenere la sua parola: pur di
riconquistarla dichiarerà, mentendo, di essere l’assassino di Gnecco, ucciso in realtà da
un altro…

IL CARCERE

Entra, col mantello rosso da boia sul braccio, Mastro Titta. Rugantino lo sente e solleva la
testa.

RUGANTINO Allora?
MASTRO TITTA (è al massimo della commozione) Fammi riprendere fiato, da stamattina
ho girato tutta Roma per via tua e non c’è stato niente da fare.
RUGANTINO Sarebbe a dì?
MASTRO TITTA Sarebbe a dire che… è per domani.
RUGANTINO (si siede) Domani? Ma li mortacci…

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MASTRO TITTA (fermandolo commosso) Non lo dire… Ti danneggeresti perché da
domani fra i morti ci starai pure tu…
RUGANTINO Proprio, nun c’è sta gnente da fa?
MASTRO TITTA Dovrebbe morire giusto il Papa, allora la grazia ti spetterebbe di diritto.
RUGANTINO E come sta?
MASTRO TITTA Bene.
RUGANTINO (si dà i pugni in testa) Ma dimme te… ma dimme te… perché?… Perché?
MASTRO TITTA Non ti angustiare Rugantì, fino all’ultimo momento non si può mai sapere
niente… (gli mette una mano sulla testa come a consolarlo, poi gli scopre il collo.
Rugantino lo ricopre di nuovo) Poi ti mando il barbiere. Ti fai fare la sfumatura alta. È la
regola, sai. (pausa) Scusa un minuto… (mano sul collo) Buono. Sei pure tenero di noce.
RUGANTINO È mejo o è peggio?
MASTRO TITTA (negando visibilmente la verità) È meglio…
RUGANTINO (si alza) Ma io nun so’ ‘n assassino, io nun ho mai fatto male a nessuno, so’
sempre stato ‘n cacasotto, io... Nun pò esse… nun pò esse: io parlo… me vojo sarvà!
MASTRO TITTA E stai buono, Rugantì: non ti ci mettere pure tu, fallo per l’amor di Dio, io
già ci ho questo peso sul cuore e… invece di facilitarmi il compito…
RUGANTINO E come no? Magari domattina vengo addirittura co’ la capoccia ‘n mano,
così ve risparmio er dolore e la faticata… (pausa) Stateme a sentì. Quella sera de Gnecco
io stavo co’ una de Ripetta. Lei pò testimonià… quanno semo arrivati sotto casa de
Rosetta, Gnecco era già morto…
MASTRO TITTA Ma che dici?
RUGANTINO La verità. Ve lo giuro su la testa mia.
MASTRO TITTA (fa un cenno come a dire che è un giuramento di poca importanza)
Capirai…
RUGANTINO Ve prego… ve prego, Mastro Tì, annate a Ripetta e ritrovateme quella, nun
ve potete sbajà.
MASTRO TITTA Ma chi c’è stato mai a Ripetta.
RUGANTINO Ma la riconoscete subito, è ‘na roscia gajarda.
MASTRO TITTA Ma che conosco le roscie gajarde, io?
RUGANTINO Ve giuro che ve sto a dì la verità, è tutto vero.
MASTRO TITTA Ma allora, se è tutto vero, perché non ti sei fatto uscire il fiato al
processo? Che ti sei messo pure a ridere quando t’hanno condannato a morte… (urlando)
Perché?
RUGANTINO Perché… perché m’ero montato la testa. Ecco perché. Perché m’avevano
detto che non ero più ‘n pupazzo, che ero diventato ‘n omo. Ma mo’ che me frega (si
inginocchia), ve prego Mastro Tì, aiutateme voi, io nun vojo morì!… annate a Ripetta…
ritrovateme quella…
MASTRO TITTA E come si chiama?
RUGANTINO E che ne so. Ma che a quelle je se chiede er nome e cognome? E poi
chiedetelo all’antre: fra de loro se conosceranno…
MASTRO TITTA Va bene, ci proverò… del resto come si fa a dirti di no, con quello che ti
aspetta… (si alza e fa per uscire)
RUGANTINO Siate bravo… Correte…
MASTRO TITTA A correte... (esce)
RUGANTINO Guardalo come córe, poraccio… Me vòle bene…
ROSETTA (appare alla finestra) Rugantì, Rugantino…
RUGANTINO (si volta, la vede, con un balzo è alla finestra) Rosetta…

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ROSETTA (tendendo una mano che Rugantino afferra) M’hanno sempre ‘mpedito de
vedette… mo che ce so’ riuscita, te vojo sta’ vicina tutta la notte…
RUGANTINO (toccandole i capelli) Ma che hai fatto?... chi t’ha ridotto la testa così?
ROSETTA Me so’ tagliata li capelli… e nun me devono cresce più. (dolce) Avevo fatto un
voto… avevo detto: “Madonnella mia, me tajo li capelli ma salvatelo…”
RUGANTINO Ma se erano così belli…
ROSETTA Apposta me li so’ tajati… Ma che me ‘mporta… passa co’ te la bellezza mia…
Mó la gente pe’ strada se deve voltà solo pe’ di’: “Guardala, quella era la donna de
Rugantino”. Così tu ce lo sai, ce lo saprai pe’ sempre che nun ciò più grilli pe’ la testa… E
te vojo chiede scusa.
RUGANTINO De che, anima santa.
ROSETTA De tutto… De quanno ho detto che nun eri ‘n omo… Mó se devono levà tutti er
cappello davanti a te… davanti all’omo mio… io me ne vanto de te… E tutta Roma lo deve
sapé che avemo fatto l’amore… Te vojo bene…
RUGANTINO Pur’io, Rosé… Te vojo bene pur’io…
ROSETTA Tu oggi all’occhi mia… sei l’Angelo de Castello. (compaiono due guardie)
GUARDIA Ahò, e che stai a fa? Viè giù…
ROSETTA E voi che volete? (la afferrano) Lasciateme… Vojo sta qui.
RUGANTINO (tenendola per la mano) Nun te n’annà, Rosé…
ROSETTA Nun me ne vado… Me porteno via, Rugantì… Ma io resto qui attorno tutta la
notte… Quanno me voi, damme ‘na voce… Chiamame… chiamame, Rugantì … (quasi
urlando) Te vojo bene…
RUGANTINO Pur’io… Te vojo bene pur’io… Ciumachella mia…

CIUMACHELLA DE TRASTEVERE

RUGANTINO Ciumachella ciumachella de Trastevere


sei l’ottava meravija de Roma mia
Se un pittore te volesse pitturà
nun saprebbe da che parte incomincià.
Ciumachella ciumachella de Trastevere
che miracolo che ha fatto mamma tua
A creà ‘sto non plus urtra d’armonia
Ciumachella ciumachella de de Roma mia
Sei ‘na rosa, sei un biggiù, ‘na sciccheria
Ciumachella, tu se nata pe’ incantà.
Ciumachella ciumachella de Trastevere
che miracolo che ha fatto mamma tua
A creà ‘sto non plus urtra d’armonia
Ciumachella ciumachella de de Roma mia
Se un pittore te volesse pitturà
Butta li pennelli e sta a guardà.

MASTRO TITTA (rientrando in cella) Non sono riuscito a trovarla, ho cercato dappertutto,
perfino a Tor Sanguigna, a Panico, dappertutto. Non si trova…
RUGANTINO (disperato, piangente) Nun era vero gnente.
MASTRO TITTA Di cosa?
RUGANTINO De quella de Ripetta.

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MASTRO TITTA Ma come non era vero? Mi hai fatto fare una corsa che a momenti mi
scoppiava una vena al cuore e adesso mi dici che nun era vero niente di quella di Ripetta?
RUGANTINO So’ alegro… Ciò voja de scherzà.
MASTRO TITTA E allora, di’ pure che sono il buffone tuo e buonanotte… E già, tu ormai ti
sei messo l’anima in pace… Tu hai risolto il problema… Ma quello che ti deve ammazzare
sono io… non ci pensi a questo?
RUGANTINO (sorridendo tristemente) Ma voi n’avete tajate tante de capoccie…
MASTRO TITTA E che vuol dire? Quella era tutta gente che non mi aveva fatto niente, ma
tu me n’hai fatte tante… Tu a cinque anni eri più impunito di adesso… Scommetto che
neanche te la ricordi più la prima volta che mi sei capitato tra i piedi… mi facesti la
cianchetta… e io camminavo pure con le mani in tasca… che se non avessi avuto questa
povera pancia, mi sarei spaccato la fronte in due… Fortuna che rimasi come un cavallo a
dondolo (indica). Quel giorno, davvero, te l’avrei staccata la testa.
RUGANTINO E vabbè, me la staccate domani…
MASTRO TITTA Sempre in giro m’hai preso… T’accostavi al bancone che neanche ci
arrivavi e con la faccia da santarello mi domandavi: “Che ci avete una bottiglia di
Calabui?”. E io: “Cos’è ‘sto Calabui?”. E tu: “Il vino dell’antenati tui”. E ti mettevi a
correre…
RUGANTINO Li chiamavo antenati… allora ero più educato.
MASTRO TITTA Mi facevi uscire il sangue dagli occhi… sempre in giro m’hai preso:
“Mastro Tì, è arrivata vostra moglie.”. E io come un tontolone: “Lucrezia…”. E la cosa
d’Eusebia? “È mia sorella… è uscita adesso dal collegio… mi posso fidare?”. Con questa
scusa ti sei mangiato mezza osteria… Niente, me ne hai fatte troppe non ti posso
ammazzare io, potrebbe sembrare che lo faccia per vendicarmi, per antipatia, per odio,
magari… Ma io non t’odio… anzi… No. No, guarda non ti posso ammazzare… magari…
Mi butto malato… Do le dimissioni…
RUGANTINO Ma che state a di’? Ma che ve sete ammattito? Nun lo potete fa… La mia è
la trecentesima capoccia… ve scatta er premio pontificio… potete chiede’ l’annullamento
alla Sacra Rota… Macché nun ve lo ricordate? (si tappa la bocca)
MASTRO TITTA (sospettoso) Guarda, adesso mi dici come l’hai saputo questo, sennò io
vado a finire al manicomio stavolta… (urlando) Come lo sai?!
RUGANTINO Ve ricordate quanno sete annato a confessavve da Don Fulgenzio? Beh,
quello dentro al confessionale nun era lui, ero io: “All’occhio materno della Chiesa nun je
scappa gnente”.
MASTRO TITTA (portandosi istintivamente le mani alla testa) Pure questo m’hai fatto… Mi
hai preso in giro dentro una chiesa… ma lo vedi che non ti posso ammazzare… che te
possino ammazzatte, lo vedi?
RUGANTINO (scattando sinceramente) Nun me la potete fa’ ‘sta carognata.
MASTRO TITTA Vattene.
RUGANTINO E siate bono, tajatemela voi, io so che voi sete bravo, ciavete la mano
leggera (indica)… Siate cristiano, tagliatemela voi! Io, poi, magara, la notte pe’
ricompensavve, ve vengo a trovà ‘n sogno!
MASTRO TITTA Pure… Lo vedi che meglio che non ti ammazzo… Io voglio dormire la
notte.
RUGANTINO Ma che avete capito? Io ve do li numeri der lotto… Così voi vincete li sordi e
fate sta’ bene mi’ sorella…
MASTRO TITTA (guardandolo) Ancora con la storia di tua sorella…
RUGANTINO Scusate, ma per me Eusebia è come ‘na sorella vera... E poi, vall’a sapé…
MASTRO TITTA Che?
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RUGANTINO Che nun semo… (gesto) Semo tutt’e due fiji de…
MASTRO TITTA Di chi?
RUGANTINO De enne enne…
MASTRO TITTA Anche questa…
RUGANTINO Anzi, è mejo che domani nun ce la portate a vedè quando darò sta
capocciata… A proposito, dove l’appennerete la capoccia mia? Vojo un posto bello…
MASTRO TITTA Te la metto sul groppone di Marc’Aurelio a cavallo…
RUGANTINO Lì è bello… Sur Campidojo… Ma su in cima alla torre, sennò li regazzini me
vengheno a fa er tirassegno co’ la mazzafionna…
MASTRO TITTA Al primo che si azzarda gli stacco la testa… Ma che mi fai dire…
RUGANTINO Tutta Roma se deve venì a caccià er cappello davanti a ‘sto grugno mio,
sinnò che moro a fa’?
MASTRO TITTA Io non ti capisco, non riesco…
RUGANTINO Mettète er caso che uno pe’ tutta la vita sia stato un pupazzo bono solo a
chiacchierà. Be’, mò je capita l’occasione all’occhi di chi je vo’ bene de passà pe’ uno che
je fumeno, ahò, e pure si te costa la vita, te conviene. Perché uno diventa quello che ha
sempre voluto esse.
MASTRO TITTA Ma quando sei morto…
RUGANTINO Morto un Rugantino, se ne fa ‘n artro, dieci, cento, mille. Perché noi romani,
semo tutti Rugantini. Tutti co’ la voja de sembrà duri, screpanti, gente che ce sanno fa’…
(improvvisamente grida alla finestra) Rosé… Rosetta… A Rosé, stai ancora lì?
ROSETTA (lontana, ma urlante) Sto qui, Rugantì…
RUGANTINO Chi so’ io pe’ te?
ROSETTA Sei l’angelo de Castello…
RUGANTINO (a Mastro Titta) Avete inteso? E certo che ce moro! (prende il mantello rosso
e lo dà a Mastro Titta) Io so’ pronto. A Mastro Tì, me raccomanno… ‘na botta e via!

TIROLLALLERO

RUGANTINO Tirollallerolallà
Tirollallero…
Tirollallerolallà
Tirollallero

La barca nun cammina senza vento


La tela nun se tesse senza trama
Chi fabbrica e nun fa bon fondamento
la casa casca e lui co’ chi reclama...
Così so’ io c’ ho fabbricato ar vento
Perché ho voluto bene a chi nun m’ama
Io te saluto… Vattene co’ Dio
Tu per il fatto tuo… io per il mio…

Tirollallerolallà
Tirollallero…
Tirollallerolallà
Tirollallero

Una candela nun pò fa du’ lumi


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e si li fa nun li po’ fa lucenti…
Una funtana nun pò fa du’ fiumi
e si li fa nun li pò fa corenti…

Così è ‘na donna quanno cià du’ amanti,


che tutt’e due nun li pò fa contenti
mejo che all’uno e all’antro dia licenza.
Bella, si tocca a me….ce vo pazienza

Tirollallerolallà
Tirollallero… (3 volte)

Ringraziamenti su musica di ROMA NUN FA’ AL STUPIDA STASERA con solista finale di
Pietro.

PIETRO Roma, nun fa’ la stupida stasera


damme ‘na mano a faje di’ de sì
Sceji tutte le stelle
Più brillarelle che pòi
e ‘n friccico de luna tutto pe’ noi
Faje sentì ch’è quasi primavera…
manna li mejo grilli pe’ fa’ cri cri…
presteme er ponentino
più malandrino che ciai
Roma, reggeme er moccolo stasera
CORO UOMINI Roma, nun fa’ la stupida stasera
CORO DONNE Manname ‘n friccico de luna
PIETRO Roma, tu sola la pòi fa’.

PIETRO Garinei e Giovannini! Vorrei ringraziarli a nome mio e a nome di tutti gli artisti che
hanno amato le Loro opere. Grazie anche per averci lasciato questo straordinario
patrimonio! L’augurio che ci facciamo tutti è che nel futuro non venga disperso, ma che si
trovi il coraggio di continuare a mettere in scena in modo degno le Loro favole con il giusto
rispetto che questi immensi Autori meritano… E per finire, l’ultimo ringraziamento va a Voi,
sì voi che avete mollato quello stramaledetto telecomando e siete qui con noi questa sera.
Grazie.

SIPARIO

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