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L'alito della libertà di Danilo Zolo (Feltrinelli, pp. 184, euro 15) è un
libro utile. Per capire la cultura del «secondo Novecento». E per meglio
comprendere la figura d'«intellettuale militante» di Norberto Bobbio, ora,
a cent'anni dalla sua nascita.
È, in primo luogo, il resoconto articolato, complesso, multiforme (ci
sono saggi, articoli su quotidiani, confronti a due voci, un carteggio di
venticinque lettere) di un dialogo vero: un confronto serrato tra due
intellettuali che condividono il medesimo quadro valoriale, che
appartengono allo stesso campo per quanto riguarda i «valori politici», e
però non la pensano allo stesso modo su una quantità di questioni
significative. E non se lo nascondono. Proprio per questo - per la
chiarezza nel confronto -, è anche un libro che ci restituisce di Bobbio un
profilo estremamente nitido. Attraverso l'asprezza di alcuni momenti di
confronto distribuiti fra la metà degli anni '70 e la fine degli anni '90 (la
possibile o impossibile «rifondazione» del marxismo come scienza, il
grande tema della democrazia interna e nelle relazioni internazionali,
soprattutto la lacerante questione della guerra e in particolare della prima
guerra del Golfo) ci permette infatti di identificare i punti forti di quello
che potremmo considerare come il profilo del Bobbio «intellettuale
militante», nel senso che egli diede al termine nel titolo del libro Una
filosofia militante dedicato a Carlo Cattaneo, in un certo senso colui che
fornì l'imprinting del suo modello di intellettuale. I nodi del secondo
Novecento Quel profilo può essere sintetizzato nei tre titoli, della
sterminata bibliografia bobbiana, che Zolo cita e commenta nel saggio di
apertura del libro, scritto nel 2004 in occasione della morte di Bobbio:
Politica e cultura (del 1955), Quale socialismo? (del 1976, dedicato alla
questione del rapporto tra Il marxismo e lo Stato), e Il futuro della
Democrazia (del 1984). Tre libri che sono anche tre fulcri di altrettanti
dibattiti significativi che hanno scandito la vicenda della cultura politica
italiana nella seconda metà del «secolo breve». Ne potremmo aggiungere
un quarto, che compare nella seconda parte del volume: Il problema
della guerra e le vie della pace. Sono, in fondo, queste le quattro
coordinate fondamentali intorno alle quali si definisce la figura di
«intellettuale impegnato» di Bobbio. E credo che Zolo lo identifichi,
questo tratto qualificante, quando dice giustamente che la sua specificità
culturale non sta tanto in un «sistema filosofico» (Bobbio non è un
sistematico, sarebbe fatica inutile cercare nella sua immensa opera un
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Quaderni Jura Gentium - Feltrinelli
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Quaderni Jura Gentium - Feltrinelli
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Quaderni Jura Gentium - Feltrinelli
pieno della polemica con Bianchi Bandinelli: «Non è che io non veda il
vizio capitale della politica comunista e quindi il pericolo che essa
costituisce per la cultura. Ma io credo di aver imparato dal marxismo
tante cose che non avevo prima compreso e quindi non me la sento di
sbarazzarmene con un'alzata di spalle. Vedo nel comunismo una grande
forza di rottura di una società corrotta e decadente, mentre non riesco a
vedere nulla di tutto questo nel cattolicesimo come si presenta ai nostri
occhi».
La stessa «aporeticità» - altri la vorranno chiamare «ambivalenza», che
tuttavia in questi casi è un merito - la ritroviamo nel dibattito sulla
democrazia e sul suo (impervio) futuro, così come emerge nel libro di
Zolo: una visione tormentata, fratta tra necessità valoriale e crescenti
difficoltà strutturali, così distante dalla visione patinata della vulgata che
vorrebbe un Bobbio placato nella concezione «proceduralistica» della
democrazia. E anche, soprattutto, nell'ultima questione affrontata da
Bobbio. La lacerante discussione sulla «guerra». Sulla «guerra giusta».
Quel concetto di «guerra giusta» che negli anni Sessanta aveva
considerato improponibile nell'epoca della minaccia nucleare, e che
all'inizio degli anni Novanta utilizzò invece a proposito della Guerra del
Golfo. A quella questione - e a quelle aporie - è dedicata una parte del
libro e del carteggio, di grande interesse.
Lette tutte di fila, queste pagine, ci aiutano a capire perché, e in quale
misura, Bobbio sia stato testimone del suo tempo: di un Novecento per
sua natura spezzato, fratto, «antinomico». Tragico, appunto. Quanto,
dunque, il suo «centenario» sia attuale. E ci parli non solo del nostro
passato, ma del nostro presente e del nostro «aporetico» futuro.