Concetti, dogmatica, conoscenze per l’applicazione. Le norme
giuridiche sono strumenti di valutazione del comportamento. Per formulare giudizi sul comportamento è necessario impiegare concetti. L’analisi e l’elaborazione dei concetti prende il nome di dogmatica giuridica. Il concetto non è vero o falso, ma utile o inutile, e la dogmatica è una forma di conoscenza utile per l’applicazione delle norme, è utile se idoneo a spiegare un problema pratico. La dogmatica, perciò, è una forma particolare di conoscenza utile per l’applicazione delle norme. La costruzione e l’elaborazione dei concetti fondamentali non è scelta libera del giurista, infatti il diritto non opera individualmente, ma è prodotto dell’incessante agire degli uomini. Il giurista è responsabile della sua opera: l’attuazione della legalità costituzionale esige l’innovazione dogmatica. Bisogna però conoscere prima la dogmatica acquisita, per poi ricostruire, modificare o anche abbandonare i dogmi non più giustificabili, quali strumenti per l’applicazione delle norme del vigente ordinamento. Conosciuto quindi deve essere il linguaggio usuale degli operatori del diritto. Fatto, effetto, situazione soggettiva e rapporto. Fatto: evento o stato valutato dalla norma. Può essere: umano: detto atto giuridico; naturale: eventi non ascrivibili a volontà consapevole dell’uomo Effetto è la conseguenza giuridica che si collega al fatto; gli effetti sono di tre specie: costitutivo, se in conseguenza del fatto nasce un rapporto giuridico; modificativo, se in “..” si modifica un rapporto giuridico; estintivo, se “..” si estingue un rapporto giuridico. La situazione soggettiva è ciò che si costituisce o si modifica: il fatto è ciò che ha come effetto la nascita, la modificazione o l’estinzione di una situazione soggettiva. Rapporto giuridico è la relazione tra due situazioni soggettive correlate. Dato che la norma è lo strumento della valutazione del comportamento umano, bisogna definire il comportamento rispetto alla norma e la posizione del soggetto: se bisogna pretendere un comportamento o lo si deve tenere, è la norma che lo decide. La situazione del soggetto rispetto alla norma è di potere (situazione attiva) o di dovere (situazione passiva): dovere e potere non sono mai assoluti, infatti vi sono momenti di prevalenza di uno o dell’altro. Il soggetto che può o deve agire è il titolare della situazione soggettiva: il legame tra soggetto e situazione è la titolarità. Il trasferimento della situazione soggettiva è il passaggio di un diritto da un soggetto ad un altro: cambia il titolare della situazione soggettiva. La situazione soggettiva e il rapporto giuridico sono strettamente legati in quanto il comportamento umano è relazionale: ad esempio, se un soggetto ha il potere di pretendere un determinato comportamento (situazione attiva), c’è necessariamente chi ha il dovere di tenerlo (situazione passiva). La situazione soggettiva è categoria generale della quale fanno parte il diritto soggettivo, la potestà, l’obbligo, l’interesse legittimo, ecc…; è strumento di ragionamento. Gli effetti del fatto giuridico sono le situazioni giuridiche soggettive costituite, modificate o estinte. La situazione soggettiva esprime gli interessi, qualificati dalla normativa applicabile in riferimento ad ogni concreto comportamento, qualificato come permesso o dovuto in base alla sit. sogg.va: permesso, se esercizio di sit. attiva, dovuto, se esecuzione di sit. passiva. La connessione delle situazioni soggettive nel rapporto giuridico esprime l’esigenza di valutare il comportamento non solo nel momento statico, quale descrizione dell’effetto, ma anche nel momento dinamico, come regolamento di interessi. Rilevanza ed efficacia del fatto giuridico. Il fatto giuridico è qualsiasi evento idoneo, secondo l’ordinamento, ad avere giuridica rilevanza. La norma valuta il comportamento umano; il comportamento umano è sempre relazionale, dunque se un soggetto ha un potere, vi è necessariamente anche chi ha un dovere che ad esso corrisponde (il concetto di situazione soggettiva è inseparabile da quello di rapporto giuridico). Rilevanza ed efficacia sono due concetti distinti: Rilevanza: è rilevante il fatto valutato da norme giuridiche; Efficacia: efficace è l’atto al quale sono collegabili effetti giuridici (nascita, modificazione ed estinzione di situazioni soggettive). Un fatto non può essere efficace (giuridicamente) se non rilevante, ma non viceversa. Infatti un fatto può essere rilevante ma non ancora (pienamente) efficace quando l’interesse richiede un’ulteriore situazione per la sua attuazione. Il fatto concreto è sempre giuridicamente rilevante; il fatto è rilevante ma non ancora efficace quando l’interesse richiede un ulteriore evento per la sua attuazione, affinché abbia senso riferirlo a comportamenti. Il contratto sottoposto a condizione sospensiva (vendo la moto se sarò promosso) è rilevante, ma inefficace fino a quando non si verifichi l’evento futuro e incerto (la promozione) dedotto in condizione, il che rende attuale il trasferimento. In tal caso la situazione è rilevante, ma non efficace sotto il profilo della sit. finale, bensì solamente sotto quella di aspettativa. Ciò non impedisce che il contratto produca altri effetti, i c.d. effetti preliminari, poiché è attuale l’interesse a proteggere l’aspettativa del trasferimento, a preservare questa possibilità da eventi che renderebbero irrealizzabile il trasferimento (vendita della moto prima della promozione). Non si devono tuttavia confondere rilevanza, inefficacia ed efficacia preliminare: un fatto rilevante può non produrre temporaneamente alcun effetto né preliminare né finale. Per ogni fatto è sempre individuabile la norma o l’insieme di norme in base alle quali qualificarlo, e quindi giudicarlo. Giuridicamente significativo è qualsiasi evento che possa essere spiegato secondo situazioni soggettive, sia che esso sia esercizio o esecuzione di una situazione soggettiva già esistente, sia se costituisca una novità nell’ordinamento, innovando così il quadro delle sit. sogg.ve preesistente. Lo stesso fatto è giuridicamente rilevante non soltanto e necessariamente ad un sol fine, ma a più fini. Esso ha una diversa qualificazione giuridica secondo che rientri in uno o in un altro assetto d’interessi. Ad esempio lo stato di gravidanza: anzitutto è manifestazione dell’esercizio della libertà personale (art. 13 cost.); in secondo luogo, in presenza di un contratto tra la donna ed una clinica per l’inseminazione artificiale, lo stato di gravidanza è il fatto in relazione al quale si valuta l’adeguatezza dei mezzi che costituiscono l’oggetto dell’obbligazione assunta dal medico. Fatto, atto e negozio. Fatto giuridico è ogni accadimento naturale o umano al verificarsi del quale l’ordinamento ricollega qualsiasi effetto giuridico costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico. Il fatto giuridico può essere naturale, quando non è prodotto dalla volontà umana, ma dalla natura (es: temporale); può essere umano, quando è prodotto dall’uomo ed è qualificato come atto giuridico. Gli atti a loro volta si distinguono in atti giuridici in senso stretto e in negozi giuridici: atti giuridici in senso stretto, in cui conta la volontà e la consapevolezza dell’atto, non l’intenzione di produrre effetti giuridici. (es. la richiesta di pagamento da un creditore a un debitore è atto giuridico in senso stretto in quanto i suoi effetti- vd. Interessi- sono indipendenti dalla volontà del soggetto); negozi giuridici, in cui non vi è solo la volontà dell’atto, (come negli atti giuridici in senso stretto) ma anche la volontà di determinati effetti. Il negozio è espressione del potere riconosciuto ai privati di autoregolamentare i propri interessi (Autonomia Negoziale), potere che si estrinseca in modi diversi: libertà di concludere l’atto; libertà di scegliere l’altra parte; libertà di fissare il regolamento. A volte però l’ordinamento interviene, limitando queste libertà. Il negozio può essere: tipico, se è uno schema già disciplinato dal legislatore; atipico, in tal caso il potere di autonomia si concretizza anche nel potere di creare nuovi schemi purchè realizzino interessi meritevoli di tutela. L’atto in senso stretto è tipico se corrisponde ad un fatto umano e i suoi effetti sono interamente preordinati dalla legge. Né il negozio, né l’atto in senso stretto sono definiti dal codice: sono categorie dottrinali. Il negozio è categoria assai più ampia: nell’ambito di questa definizione rientrano entità eterogenee quali il contratto, il testamento, il matrimonio, l’atto costitutivo di una società. Con il contratto si dà vita ad un rapporto patrimoniale fra due o più parti; Il testamento, invece, è un negozio unilaterale; Il matrimonio è un accordo non di tipo patrimoniale, anche se ci sono situazioni di tipo economico. È utile ricordare che fattispecie di effetti giuridici è non soltanto l’atto ma anche l’attività. L’attività è una serie coordinata di fatti umani, unificati da una finalità comune: il possesso, la gestione di affari, la convivenza quale fattispecie costitutiva dei rapporti giuridici della famiglia non fondata sul matrimonio. Dichiarazione e comportamento concludente. I fatti umani sono manifestati mediante comportamenti dichiarativi (dichiarazioni) e comportamenti concludenti. Dichiarazione: è l’atto comunicativo con il quale l’agente trasmette un significato. Può essere: di scienza: l’autore comunica ciò che sa; di volontà: l’autore comunica ciò che vuole. Comportamento concludente: è non intenzionalmente comunicativo; il significato si desume da un comportamento. Ad esempio, chi dopo aver scritto, datato e sottoscritto di propria mano il testamento (art. 602 c.c.), volontariamente lo distrugge nel chiuso della propria camera, non intende comunicare qualcosa a qualcuno. Il comportamento si esaurisce nella distruzione del pezzo di carta, ove è scritto il testamento. La legge attribuisce a tale comportamento un significato: revoca del testamento (art. 684 c.c.). Un altro esempio è costituito dalla convalida tacita (1444²). Nell’ambito della categoria negoziale si è individuata una sottospecie, detta negozio di attuazione, nella quale l’autoregolamento di interessi è realizzato mediante un comportamento immediatamente satisfattivo dell’interesse: ad es. la revoca tacita del testamento attuata con la distruzione del documento che lo contiene. Liceità e meritevolezza. Liceità: è lecito ciò che non è illecito per l’ordinamento. Illiceità: si definisce illecito “qualunque fatto (atto) doloso (intenzionale) o colposo che cagiona ad altri danno ingiusto” (2043 C.C.). Meritevolezza: per meritevolezza si intende meritevolezza di tutela, e dipende dalla valutazione di un atto. Il fatto (s’intende il contratto) è illecito quando è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume (art. 1343 c.c.). Il giudizio di liceità presuppone una valutazione in negativo: è sufficiente la non contrarietà a tali norme sopra indicate. In tema di responsabilità “extracontrattuale” è illecito qualunque fatto che sia doloso, intenzionale o colposo, che procura ad altri un danno ingiusto (2043). La valutazione di un atto implica un giudizio di meritevolezza di tutela: in tal caso abbiamo un giudizio in positivo, con cui dobbiamo verificare se l’atto tende a realizzare interessi meritevoli di tutela. Questo ci richiama ai principi fondamentali dell’ordinamento fra cui quello di solidarietà che trova, nel campo dell’autonomia negoziale, la sua specificazione nel richiamo all’utilità sociale. Quindi l’interesse del singolo viene tutelato nella misura in cui alla realizzazione dell’interesse del singolo, corrisponde anche la soddisfazione dell’interesse della comunità. I principi guida sono quello: Personalistico, che riguarda la tutela della persona, la rilevanza dell’essere che si desume dall’art. 2 della Costituzione; Solidaristico, in cui vi sono non solo doveri in chiave economica, ma anche sociale. Non ogni atto lecito è meritevole di tutela: la semplice liceità esime (libera dall’obbligo) soltanto dalla responsabilità. Struttura e funzione del fatto giuridico. Nel rapporto e nel fatto si definisce un profilo strutturale (com’è) e uno funzionale (a che serve). Per struttura di un fatto si intende il suo processo di formazione. Un fatto così può essere istantaneo, continuativo, periodico, unilaterale, bilaterale ecc.. Riguarda ancora la struttura determinare quante parti sono necessarie per formare un atto; l’atto che richiede la dichiarazione di una sola parte ha struttura unilaterale; se invece esige la dichiarazione di due parti è bilaterale e così via. La struttura non dipende dalla libera scelta dei soggetti (nel contratto) né dal caso: essa si determina in concreto. Quando il giurista valuta il fatto, egli individua la funzione. Intendiamo funzione di un fatto il significato normativo degli effetti. Per questo si dice che la struttura segue e non precede la funzione, perché per ottenere un determinato effetto giuridico è necessario compiere determinati atti giuridici. Da questo si capisce perché una medesima funzione possa realizzarsi mediante più strutture. Pertanto la struttura del negozio si dice che è variabile in astratto, determinata in concreto. L’analisi funzionale del fatto è completa quando oltre al punto di arrivo si tiene conto anche del punto di partenza: la funzione, infatti, si realizza in modo diverso a seconda della situazione preesistente: se essa muta, muta anche il percorso da seguire per raggiungere il risultato. La struttura del negozio è variabile e dipende dalla funzione e dai rapporti sui quali l’atto incide. Un esempio può essere la remissione del debito (art. 1236 c.c.). Esso è un fatto che produce il proprio effetto (estinzione dell’obbligazione) con strutture diverse: Bilaterale, nel contratto si esige dichiarazione del creditore e comportamento dichiarativo, ossia il silenzio, del debitore. Se manca una dichiarazione, la fattispecie non si forma e non si produce l’effetto estintivo. Unilaterale, serve la dichiarazione del solo creditore. Il giudizio sulla necessità o meno della dichiarazione del debitore dipende dall’esistenza di interessi su cui il fatto incide. Nella remissione bisogna accertare se il debitore abbia un suo interesse giuridicamente rilevante antecedente al fatto, cioè se egli ha interesse, deve partecipare alla struttura e la remissione è bilaterale; se non ha interesse, non deve partecipare alla struttura e la remissione è unilaterale. La variabilità della struttura causa 2 conseguenze: 1. se la struttura è variabile, sono ammissibili negozi unilaterali anche in ipotesi non previste (negozi unilaterali atipici): per l’unilateralità del negozio basta che gli interessi siano solo di una parte; 2. il soggetto che non è parte del negozio, cosiddetto “terzo”, può subire sia un beneficio sia un danno; occorre però essere portatori di un interesse rilevante secondo il diritto. L’effetto giuridico. Gli effetti giuridici sono classificabili in costitutivi, modificativi ed estintivi, in conseguenza del fatto, nasca, si modifichi o si estingua un rapporto giuridico: questa tripartizione degli effetti è esclusiva. Le altre specie, a volte utilizzate, sono riducibili alle tre fondamentali: così gli effetti di accertamento, regolamentari, normativi, preclusivi, di qualificazione (di persone, cose o fatti). L’effetto di accertamento è attribuito al negozio con il quale le parti fissano i termini del rapporto del quale sono titolari rimovendo qualunque incertezza circa la sua esatta configurazione. L’efficacia c.d. dichiarativa non innova le situazioni preesistenti, ma ne rappresenta soltanto uno svolgimento interno cosicché le situazioni preesistenti sono rafforzate (es: riconoscimento del debito), specificate (es: ordine del datore di lavoro) o affievolite (es: ipoteca, che limita il diritto di proprietà). Lo stesso vale per l’efficacia preclusiva, un cui esempio è costituito dall’ usucapione. La preclusione è un modo di trattare un concorso di fatti o un conflitto di fatti; nel concorso di fatti, tutti sono idonei a produrre lo stesso effetto, ma se ne sceglie uno in quanto giuridicamente migliore degli altri nel giustificare la pretesa; nel conflitto di fatti prevale un fatto e si nega rilevanza agli altri (es: usucapione). L’effetto regolamentare è un effetto modificativo; i negozi regolamentari mutano la disciplina di situazioni costituite. L’effetto normativo è la determinazione di un regolamento di un rapporto futuro, ad esempio, i contratti normativi che determinano il regolamento di successivi contratti, se le parti decideranno di concluderli. L’effetto eliminativo è un effetto estintivo retroattivo: la situazione soggettiva è estinta e in più si considera tale situazione come non mai esistita. Un esempio è la revoca della stipulazione a favore di terzi (art. 1411² c.c.). L’effetto impeditivo opera impedendo a priori il verificarsi di un effetto, ad esempio, il debitore si può opporre all’adempimento del terzo (art.1180² c.c.). La situazione soggettiva non deve essere qualificata poiché è essa che qualifica i comportamenti, ad esempio, la qualifica di una persona può essere uno status o il nome di un particolare riferimento di valore. Il negozio attributivo di status ha un effetto costitutivo: lo status è una situazione soggettiva; attribuire lo status significa far nascere una situazione soggettiva. Funzione come sintesi degli effetti essenziali. La qualificazione è il procedimento che dalla determinazione della funzione giunge all’individuazione della disciplina. È dalla sintesi degli effetti essenziali (quindi dalla Funzione) che si comprende se il fatto giuridico sia, ad es., una donazione o una diversa figura negoziale e quindi poi ad individuare la relativa normativa da applicare. In questo secondo momento dobbiamo fare delle precisazioni, in quanto c’è una corrente dottrinale che distingue nettamente l’interpretazione del fatto rispetto alla qualificazione del fatto. Di fronte ad una fattispecie negoziale, posta in essere da privati, l’attività dell’interprete si articola in più fasi: 1. interpretazione → cercare di capire cosa le parti hanno inteso realizzare; 2. qualificazione → diamo veste giuridica a quel fatto posto in essere dai privati; 3. sussunzione → riconosciamo poi che in quel fatto ci sono degli estremi dello schema delineato dal legislatore, definito COMPRAVENDITA; 4. applicazione delle regole. Sono quattro fasi distinte l’una dall’altra. Bisogna quindi fare una distinzione tra gli effetti giuridici, possono essere diretti o riflessi (se hanno la loro causa direttamente nel fatto, o se sono l’effetto dell’effetto) immediati o differiti. Gli effetti essenziali sono sempre diretti, ed a questi si deve guardare per la qualificazione della fattispecie. Per la qualificazione della fattispecie bisogna considerare quelli diretti e non quelli riflessi. Questo perché gli effetti essenziali sono sempre diretti, ma non tutti gli effetti diretti sono essenziali: sono essenziali tutti gli effetti che caratterizzano la fattispecie posta in essere, senza i quali una qualsiasi fattispecie avrebbe un altro tipo di effetto Occorre individuare se gli effetti abbiano lo stesso rilievo nella qualificazione del fatto: se determinano la funzione pratico-giuridica sono essenziali, se non la determinano non sono essenziali. Nel valutare quali sono gli effetti essenziali dobbiamo valutare il caso concreto: bisogna considerarli nella loro unitarietà. È la sintesi di questi effetti che mi dà il tipo di atto e quindi la funzione: una volta individuata la funzione, ho qualificato l’atto. Gli effetti essenziali si distinguono in immediati, ossia si possono produrre in modo istantaneo, e differiti: il differimento può essere opera delle parti, ad esempio, l’apposizione di un termine iniziale (differimento) oppure è disposto dalla legge, ad esempio, nella vendita di cosa futura (art. 1472 c.c.). Per es. pongo in essere un contratto di acquisto, però mi accordo col proprietario che il trasferimento avvenga dopo 2 anni: questo effetto differito mi qualifica comunque l’atto perché già aveva posto in essere l’atto 2 anni prima. Se il differimento è di 30 anni, cosa succede? In tal caso viene snaturata la funzione e quindi potremmo trovarci di fronte ad una diversa fattispecie, come ad es. il fatto che sia stata data una somma a mutuo con l’obbligo di restituirla entro 30 anni. Nel caso in cui non riesce a restituire la somma, l’appartamento viene acquisito da chi ha già dato 30 anni prima la somma e quindi non c’è più la compravendita. È importante distinguere effetti diretti e riflessi: l’effetto riflesso, voluto o legale, non ha la sua causa direttamente nel fatto (come l’effetto diretto) ma, invece, è l’effetto dell’effetto. Gli effetti diretti sono quelli voluti dal soggetto agente e solo questi possono essere presi in considerazione nell’individuazione della Funzione; gli effetti riflessi NO perché non c’è congruenza tra l’effetto e la volontà del soggetto. Ad esempio, la rinunzia al diritto di proprietà, dove come primo effetto vi è la perdita della titolarità della proprietà o dismissione del diritto, ha come effetto riflesso, che i “beni immobili che non hanno proprietario sono di proprietà dello Stato” (art. 827 c.c.). Questo fatto non è da intendersi come un mero trasferimento di proprietà, ma è una rinuncia del diritto di proprietà in modo volontario a vantaggio dello Stato, perché la dismissione della titolarità è effetto voluto, il trasferimento è effetto legale.
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