Studio del diritto per problemi. Diritto privato, pubblico e civile.
Il diritto è diviso in una pluralità di settori in base al rapporto che disciplinano Propriamente sono di diritto privato le regole e i principi relativi alla disciplina del comportamento individuale riconducibili al principio di eguaglianza. Sono di diritto pubblico invece le norme che istituiscono una differenza tra soggetti comuni ed enti investiti di autorità. Più che diritto privato si deve quindi parlare di diritto civile, tutti uguali di fronte alla legge. Personalismo e solidarismo costituzionale. Il personalismo è la dottrina che riconosce l’uomo come individuo che si realizzi nella sua personalità. La persona ha dignità in quanto in relazione diretta con l’assoluto nel quale soltanto ha compimento. La Costituzione “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (2 cost.). La Costituzione riconosce anche la solidarietà intesa come la cura dell’altro, che esprime la cooperazione e l’eguaglianza dei diritti fondamentali di tutti. Il principio di tutela della persona è il supremo principio costituzionale, inseparabile da quello di solidarismo: la cura dell’altro fa parte del concetto di persona. Tutto è in posizione servente rispetto alla persona. Principio di democraticità. Inseparabile dalla eguaglianza e dal valore della persona è la democrazia, procedura di decisione che richiede un libero confronto di opinioni non sopprimibili (eguaglianza), tra le quali prevale la maggioranza sulla minoranza, senza però negare a quest’ultima i suoi diritti insopprimibili (valore della persona). La democrazia è uno dei principi cardini del nostro Stato: essa è una procedura di decisione con un libero confronto di opinioni e con deliberazioni raggiunte dalla maggioranza. L’attuazione della democrazia nella società si manifesta mediante il rispetto reciproco, l’eguaglianza morale e giuridica: ricordiamo i sindacati e i partiti che devono essere a base democratica. Principio della divisione dei poteri e principio di legalità. Per prevenire abusi di potere si è ricorsi alla tripartizione dei tre principali poteri: legislativo: Parlamento esecutivo: Governo giudiziario: Magistratura e giudici Tutti e tre coesistono in condizione di equilibrio e di reciproco controllo impedendo la prevaricazione dell’uno sull’altro. La Costituzione poi affida funzioni non riconducibili a questa tripartizione ad altri organi quali il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale ecc.. Un importante potere è quello giudiziario, che riconosce l’indipendenza e stabilità del magistrato (art. 107 cost.). Il giudice è soggetto solo alla legge (art. 101 cost.) pretendendo una ragionevolezza nell’emanazione della sentenza, in quanto non può giudicare secondo le proprie visioni del mondo. La legalità è fedeltà alla legge e rispetto per le norme. La legalità derivante dalla Costituzione non si riduce a quella del codice civile: è legalità di uno Stato sociale di diritto, fondato sulla libertà, sulla solidarietà e sull’eguaglianza. Principio di eguaglianza. Con l’art 3 tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge (1), senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere “ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Eguaglianza non vuol dire egualitarismo, non si prevede l’uguaglianza di tutti in tutto, a prescindere dai meriti personali; quel che si richiede è che ogni disparità di trattamento sia giustificata come attuazione dei principi costituzionali. La distinzione tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale è arbitraria: l’una e l’altra sono in funzione reciproca; entrambe esprimono un unico principio, quello dell’eguaglianza nella giustizia sociale. Si è cercato di fare a meno dell’eguaglianza sostanziale, riducendo l’eguaglianza alla mera parità di trattamento. In tal modo si perde di vista il nesso tra eguaglianza, pari dignità e sviluppo della persona; si perde di vista la centralità del rispetto dei diritti fondamentali a favore di quelli patrimoniali. La prima parte della norma, nell’affermare il principio di eguaglianza formale, considera l’individuo nella sua astrattezza, indipendentemente dalle condizioni materiali e sociali in cui egli concretamente si trova. Il principio d’eguaglianza sostanziale, invece, sancisce il passaggio dall’ordinamento liberale classico (in cui la società era organizzata sulla base della proprietà privata e dell’assoluta libertà economica) allo Stato sociale ed interventista, che si impegna a creare le condizioni necessarie per consentire l’accesso di tutti a determinate utilità sociali messe a disposizione della comunità, come la salute [v. 32], il lavoro [v. 38], l’istruzione [v. 34]. Quindi essa è attuata non soltanto con la redistribuzione dei beni e con discipline diversificate in ragione della disuguaglianza di fatto, ma anche con la garanzia di un’effettiva partecipazione degli individui alla dinamica dei rapporti di diritto civile. Funzione legislativa e giustizia costituzionale. Sono limiti della funzione legislativa l’irretroattività e la riserva di legge. Irretroattività: la legge è idonea a regolamentare i rapporti giuridici venuti ad esistenza in un momento successivo a quello nel quale essa è entrata in vigore. Essa è regola di rango costituzionale solo nella materia penale. Negli altri ambiti l’irretroattività è un principio: le leggi retroattive sono legittime purché non contrastino con eguaglianza, ragionevolezza e legalità. Riserva di legge: è la previsione implicita o esplicita nella Costituzione di materie che devono essere disciplinate soltanto con legge. Il Parlamento non può rimandare la funzione legislativa a fonti secondarie, quali i regolamenti del potere esecutivo. Si distinguono in: riserve di legge assolute: il legislatore deve specificare nei dettagli la materia riservata; riserve di legge relative: il Parlamento deve regolare la disciplina di principio, lasciando a fonti secondarie quelle di dettaglio; riserve di legge rinforzate: nel caso in cui la Costituzione suggerisca anche quali siano i contenuti di valore della legge. La riserva di legge garantisce il diritto fondamentale delle minoranze e il principio di legalità. La Corte costituzionale, a seguito di domanda di accertamento di costituzionalità di una legge, può emettere sentenze di: inammissibilità: si dichiara semplicemente l’inammissibilità della questione e non si accerta nemmeno se vi sia costituzionalità o meno; di rigetto: la Corte accerta l’infondatezza della questione di costituzionalità e la disposizione di legge resta in vigore; di accoglimento: con sentenze di accoglimento, totale o parziale, quando la Corte accerta l’incostituzionalità della legge e la elimina tutta o in parte. Esistono anche le sentenze interpretative di rigetto, quando la legge è dichiarata costituzionale perché interpretata in un certo modo e interpretative di accoglimento, quando la legge è dichiarata incostituzionale perché interpretata in un certo modo. La differenza tra le due sentenze di interpretazione è che con quella di rigetto la disposizione resta in vigore, perché non ha una forza legale vincolante; mentre con quella di accoglimento essa viene eliminata e non può essere applicata da nessuno Esiste anche la sentenza additiva, quando la legge è dichiarata incostituzionale non per quello che dice, ma per quello che non dice (ad es. quando un diritto deve essere esteso a più categorie). L’attività della Corte incide comunque nella funzione legislativa e impone una collaborazione con il Parlamento. Quindi la Corte si pone non pochi problemi nel dichiarare sentenze di incostituzionalità. Si diffondono allora, i modelli di intervento: sentenze monito: la questione è decisa con una sentenza di rigetto e si auspica un intervento del Parlamento, perché si teme che si possa determinare un “vuoto legislativo”; sentenze di incostituzionalità sopravvenuta: si impedisce che gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità siano retroattivi, per ridurre il costo della sentenza; sentenze a incostituzionalità differita: si assegna un termine al legislatore per provvedere, ritardando gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità; sentenze attuative dell’eguaglianza “verso il basso”, nelle quali, piuttosto che estendere un benefico a categorie non comprese da una legge, si preferisce toglierlo a chi lo ha attualmente, con un risultato opposto a quello delle sentenze additive di prestazione; sentenze additive di principio, nelle quali, invece di imporre allo Stato una prestazione a favore di una determinata categoria, la Corte dichiara incostituzionale una legge vigente e indica non la regola, ma il principio. Funzione legislativa e funzione di mercato. La legge non può in conflitto con il mercato perché non solo è tutelato dalla Costituzione (es: la libertà di iniziativa economica art. 41 cost.), ma è indirettamente una fonte (es: i contratti e gli accordi di lavoro). Quindi, il mercato pretende una certa indipendenza dallo Stato, il quale non solo lo aiuta, ma può intervenire nei casi in cui sono lesi i diritti fondamentali dell’uomo. L’intervento dello Stato nel mercato si configura tramite: intervento pubblico (impresa pubblica e società private a partecipazione pubblica), aiuto finanziario pubblico all’impresa privata (sgravi fiscali, finanziamenti a tasso agevolato o a fondo perduto) e l’antitrust (regolamentazione giuridica della correttezza del mercato). L’antitrust trova i suoi fondamenti nella Costituzione: la libertà di concorrenza è implicita nella libertà di iniziativa economica, essa è un mezzo per realizzare l’utilità sociale o l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione economica e sociale del Paese. Nonostante ciò la tutela del mercato trova un maggiore sviluppo a livello comunitario (Trattato di Amsterdam dal 1° maggio 1999), tramite il divieto di alcune azioni da parte delle imprese, come ad esempio: divieto di intese pregiudizievoli al commercio tra gli Stati membri e restrittive della concorrenza all’interno del mercato comune (art. 81) disponendo la nullità delle intese, eventualmente concluse, con efficacia retroattiva; divieto, alle imprese che hanno una posizione dominante nel mercato comune, di farne un esercizio abusivo (art. 82); disciplina delle relazioni finanziarie tra i poteri pubblici e le imprese pubbliche, nonché le imprese alle quali gli Stati affidano la gestione di servizi nell’interesse generale (art. 86); regolamentazione degli interventi degli Stati membri nell’economia, per impedire che gli aiuti economici alle imprese generino limitazioni e modifiche al libero esplicarsi della concorrenza (artt. 87-89). In particolari settori, come formazione educativa e informazione, l’antitrust assume un ruolo politico e istituzionale, perché rappresenta lo strumento di difesa del diritto all’istruzione e all’informazione. Numerose sono le leggi speciali a riguardo, fra cui la Legge 416 del 1981, che vieta le concentrazioni quando comportino l’assunzione di una posizione dominante nel mercato editoriale, indipendentemente da ogni abuso; la Legge 223/1990 sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, che ha esteso le regole antimonopolistiche e di trasparenza dell’editoria a tutto il settore dell’informazione. È stata inoltre istituita l’Autorità garante per la radiodiffusione e l’editoria poi soppressa e sostituita dall’Autorità garante per le telecomunicazioni. Antitrust e intervento pubblico sono giustificati, dal punto di vista costituzionale e comunitario, solo se finalizzati al miglioramento delle condizioni di vita, alla socialità, all’attuazione del sistema dei valori costituzionali.
giudiziario (Magistratura). Tutti e tre coesistono in condizione di
equilibrio e di reciproco controllo impedendo la diritto privato disciplini il rapporto tra privati. Queste definizioni non possono più valere, perché lo Stato agisce delle volte da privato. Queste definizioni non possono più valere, perché lo Stato agisce delle volte da privato.