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Pedagogia Musicale (CODD/04)

Il panorama di riferimento storico e teorico: termini e definizioni


LA PEDAGOGIA: è una branca della filosofia che si occupa della formazione e dell’educazione. Essa è la riflessione su come insegnare ed è una
disciplina di disciplina (limitata ad un argomento specifico, non univoca). Le varie discipline da cui attinge sono:
- Psicologia
- Antropologia
- Tecnologia
- Storia
- Linguaggio
METADISCIPLINARE: riflessione sulla disciplina, come si ha intenzione di organizzare la disciplina.
LIFE LONG LEARNING: una continua esigenza di imparare per tutta la vita.
DIDATTICA: la declinazione specifica di alcune competenze che ti portano ad imparare qualcosa dii nuovo. Tutti gli insegnamenti acquisiti
possono dare vita ad una nuova didattica (la propria).
Tipi di pedagogia esistenti:
 SPERIMENTALE: riflessione sulla pedagogia.
 SPECIALE: situazioni collaterali (alla disabilità ecc..)
 MUSICALE
 PSICOPEDAGOGICA: caratterizzata da una forte gradazione psicologica.
 SOCIALE
 DEGLI ADULTI: che insegna ad essere adulti in un’epoca diversa dalla propria (in cui si è cresciuti).
 DELLA TECNOLOGIA: insegnare ad utilizzare la nuova tecnologia e gestirla.
 Ecc..
La PEDAGOGIA DELLA MUSICA è complessa perché:
- Questioni storiche: abbiamo innumerevoli performance musicali, stili e metodi più di qualunque altra epoca storica.
- Mancanza di certezze: in passato si era certi sulla differenza tra suono e rumore. Adesso si ha una coesistenza di stili che ci rende insicuri del
fatto che la musica del passato fosse “pura” rispetto all’odierna.
- Principi retorici: che spesso si tramandano di generazione in generazione.
- Contestualizzazione: si deve sempre contestualizzare l’opera, lo stile e il carattere dell’autore all’interno della sua epoca. Non bisogna mai
eliminare o discriminare una musica a scapito di un’altra. Bisogna capire l’epoca in cui il tuo allievo vive.
- La musica è alla base della cultura e dell’identità di una persona : non bisogna mai cercare di sradicare le certezze musicali che i giovani hanno.
- Campo di pertinenza: il pedagogista musicale deve essere in grado di utilizzare tutti gli strumenti per fare musica, deve poter affrontare i
problemi della musica con gli strumenti che la società fornisce anche, e soprattutto, se sono tecnologici.
Esistono 3 tipi di insegnamento:
1) FORMALE: insegnamento presso un’istituzione.
2) NON FORMALE: insegnamento al di fuori dell’istituzione ministeriale.
3) INFORMALE: tutte le forme di insegnamento non pensate come tali (internet, parlando con gli altri ecc..)
Esistono varie modalità di apprendimento:
1) BLENDER LEARNING: insegnamento misto che utilizza LIM e materiale elettronico.
2) FLIPPER CLASSES: insegnamento inverso, la parte dell’acquisizione si fa a casa e la parte pratica scuola.
3) I LEARNING: autodidatta.
4) MOBILE LEAARNING: imparare con il cellulare.
1.Educazione musicale e curricolo
DELLA CASA, MAURIZIO, Educazione musicale e curricolo, Bologna , Zanichelli, 1985.
Capitolo 1: La Razionalizzazione dell’insegnamento
Programmazione: complesso delle tecniche/operazioni mediante le quali il curricolo si definisce, assumendo una struttura riconoscibile.
Differenza tra programma e curricolo:
Il programma ha un carattere centralizzato e uniforme. Esso fornisce un insieme di principi educativi e di orientamenti di contenuto e di metodo a partire
dai quali l’insegnante è chiamato ad elaborare il proprio curricolo. La sua funzione è quella di indicare determinati obiettivi complessivi propri
dell’intero processo formativo.
Il curricolo difatti è l’organizzazione delle possibilità offerte dalla situazione scolastica ordinata allo sviluppo educativo dell’adulto; esso è un progetto
organizzato d’insegnamento elaborato dagli operatori scolastici che pianificano il proprio lavoro adottando soluzioni calibrate sulle esigenze del
contesto. La sua funzione è di individuare concretamente itinerari e attività specifici, sulla base di variabili come l’ambiente, gli insegnanti, gli alunni, i
mezzi a disposizione.
È necessario che siano ben chiari:
1) I fini cui si mira
2) Strategie e mezzi funzionali
3) Verifiche dei risultati, in modo da calibrare i tempi di insegnamento e attività
Il curricolo è composto da:
1) Enunciazione dei fini e degli obiettivi.
2) Selezione e organizzazione dei contenuti.
3) Uso di modelli di insegnamento e apprendimento (metodi).
4) Programma di valutazione dei risultati.
Gli obiettivi come ipotesi di cambiamento
L’obiettivo è un intento che descrive un cambiamento che ci si prefigge di realizzare in un allievo. È la descrizione di un modello di comportamento che
l’allievo deve sapere esibire. Esso è perciò un cambiamento controllabile mediante indici comportamentali.
Tipi di obiettivi:
a)In relazione al tempo di realizzazione si distingue tra:
- Obiettivi finali
- Obiettivi intermedi
- Obiettivi immediati
b) In relazione al settore o area di sviluppo si distinguono:
- Cognitivi
- Affettivi
- Psicomotori
c) In relazione al grado di specificità si distingue tra:
- Finalità
- Obiettivi educativi: obiettivi all’interno del contesto di insieme.
- Obiettivi specifici: specifici della disciplina insegnata.
d) In relazione al grado di generalità abbiamo:
- Obiettivi generali
- Obiettivi più specifici come gli obiettivi educativi o transdisciplinari
Ogni disciplina ha la sua finalità che costituiscono le mete più generali del processo educativo che possono essere:
- Fini conoscitivi (conoscere e capire le opere musicali e il linguaggio sonoro).
- Fini produttivi (saper usare il linguaggio musicale per esprimersi e comunicare)
- Fini pratici (acquisire una maturazione affettiva e psicomotoria)
I requisiti degli obiettivi sono:
 Essere centrato sull’argomento
 Essere adeguato all’alunno, quindi in base alle sue capacità.
 Essere ben definito non ambiguo
 Essere configurato in termini di singole operazioni
 Essere osservabile e verificabile
Capitolo 2: Il modello disciplinare strutture e funzioni.
Secondo la visione di Phenix, le varie discipline si classificano in:
1) Sistemi simbolici (matematica, lingua, arti)
2) Sistemi empirici (scienze)
3) Sistemi estetici (arti in genere)
4) Sistemi sinnoetici (psicologia, filosofia)
5) Sistemi etici (teologia, morale)
6) Sistemi sinottici (religione, filosofia, storia)
Secondo la visione di Aristotele invece si distinguono in:
1) Discipline conoscitive o epistemiche (matematica, scienze tra cui quelle musicologiche). Hanno per fine la conoscenza quindi avremo concetti,
regole, principi, procedure di scoperta e rappresentazione.
2) Discipline poietiche o produttive (arti tecniche, musica intesa come pratica compositiva ed esegutiva). Hanno per fine il fare, il produrre quindi
avremo repertori espressivi, regole di codificazione.
3) Discipline pratiche (etica, politica).
Le funzioni formative principali si dividono in:
a) Conoscitive: il suono/musica è il mezzo per conoscere.
b) Linguistico-comunicative: la musica è un linguaggio che permette di esprimersi e di comunicare sia in senso recettivo (ascoltare) sia in senso
produttivo (fare musica).
c) Cognitive: la musica esercita e sviluppa le capacità di pensiero.
d) Culturali: la musica rappresenta un patrimonio di opere e idee parte della cultura umane.
e) Critiche.
f) Estetiche.
g) Affettive: la musica educa l’affettività.
Capitolo 3: Bisogni, competenze, obiettivi generali
I bisogni si dividono in:
1) Relativi alla sfera dell’esperienza individuale ed extrascolastica:
- Riconoscere l’informazione sonora.
- Capire i diversi passaggi musicali.
- Esprimersi attraverso la pratica attiva della musica (suonando, arrangiando)
2) Relativi alla sfera scolastica:
- Realizzare ricerche audiovisive.
- Capire la realtà antropologica, artistica e ideologica.
- Utilizzare le valenze fonico espressive
Capitolo 4: Contenuti metodi e unità didattiche.
I contenuti sono implicati negli obiettivi ma non coincidono. Essi si dividono in:
- Concettuali o strutturali
- Concetti materiali
Nell’obiettivo invece identifichiamo due costituenti:
1) Uno di testa, che indica la natura e la qualità dell’obiettivo
2) Un costituente complementare ì, che indica l’oggetto o ambito di implicazione.
Individuare dei contenuti significa fare delle scelte; Nicholls definisce 4 criteri a cui attenersi:
1) Validità: contenuti che devono essere fondati su fonti certe.
2) Significatività: contenuti importanti ed essenziali.
3) Interesse: contenuti interessanti per gli alunni.
4) Possibilità d’apprendimento: devono essere adeguati agli alunni.
Scelta del repertorio musicale
Bisogna mirare ad una “liberalizzazione” del repertorio musicale:
- Dai “criteri classici”, bisogni aprirsi a tutti i generi musicali.
- Aprirsi nello spazio e nel tempo, senza utilizzare opere “ritualizzate” dall’insegnamento classico.
- Non bisogna chiudersi in un universo musicale occidentale.
I metodi
I metodi sono l’insieme delle strategie adottate dall’insegnante per conseguire la realizzazione degli obiettivi. Si distinguono in:
1) Metodo trasmissivo-addestrativo: l’informazione viene insegnata attraverso la lezione.
2) Metodo euristico-guidato: l’informazione è prodotta per mezzo di un’attività problematica.
3) Metodo dell’attivismo spontaneo: è dominante l’attività libera degli alunni al di fuori di modelli prestabiliti.
Mezzi e strumenti
Si intendo le apparecchiature di cui ci si serve nella realizzazione delle attività didattiche. Essi sono:
- Mezzi bibliografici
- Strumenti musicali in senso proprio
- Apparecchiature elettroniche
- Supporti (schede elaborate dall’insegnante)
Le funzioni di ciascun mezzo sono:
- Stimolazione- presentazione: introdurre il discorso in modo stimolante.
- Ricerca e studio
- Esercitazione e recupero
L’unità didattica
L’unità didattica può essere definita come un ciclo minimo di insegnamento/apprendimento la cui durata non può essere fissata in maniera rigida.
Essa si compone di:
- Obiettivi.
- Contenuti
- Mezzi-strumenti
- Le fasi e le metodologie di lavoro
Fasi Cosa fa l’insegnante Cosa fanno gli alunni Modalità di lavoro
1
2
3
Ecc..
- Le verifiche
- I correttivi
La programmazione

Capitolo 12: Strumenti per la verifica.


Le verifiche si collocano in tre momenti essenziali dell’itinerario didattico:
1) All’inizio: prove diagnostiche d’ingresso.
2) Durante lo svolgimento: verifiche formative.
3) Alla fine: verifica sommativa o finale.
Per quanto riguarda le modalità di attuazione di una verifica occorre distinguere due momenti:
1) La RILEVAZIONE: analisi e la raccolta dei dati della prestazione degli alunni (osservazione). Carattere tecnico.
2) La VALUTAZIONE: momento in cui i dati vengono giudicati. Carattere interpretativo.
Le verifiche sono considerate valide quando:
a) Si stabilisce con precisione quali obiettivi devono essere accertati.
b) Si offrono stimoli adeguati.
c) Si predispone la prova in modo strutturato cercando di garantire completezza e organizzazione.
Tipi di verifica:
1) Verifica oggettiva: crocette, scelta multipla, associazioni, completamento basate su un’indicazione numerica non discutibile.
2) Risposta breve o saggi
3) Domande strutturate: c’è un’esposizione introduttiva poi altre domande più specifiche.
4) Questionario
5) Problema musicale
6) Osservazione del lavoro di gruppo: soprattutto nei laboratori.
DOMANDE
1) In merito alla competenza musicale Della Casa afferma che:
Non è più possibile concepire un solo modello valido.
2) L’obiettivo può essere definito come ipotesi di:
Cambiamento.
3) Tra i bisogni relativi all’esperienza extrascolastica Della Casa individua:
Esprimersi individualmente e socialmente attraverso la pratica attiva della musica.
4) Tra le prove oggettive della verifica troviamo:
La prova di completamento
5) Il linguaggio d’espressione di una disciplina sono quelli:
Specifici o caratterizzanti la disciplina stessa.
6) La ripartizione classica aristotelica classifica le discipline in:
Discipline epistemiche, poietiche e pratiche
7) Gli obiettivi di una disciplina secondo il curricolo di Della Casa devono essere incentrati su:
Bisogni caratteristiche e ambiente dell’alunno
8) Tra le prove oggettive di una verifica troviamo:
La prova per corrispondenze e associazioni
9) I linguaggi di categorizzazione/interpretazione, nell’ambito dell’educazione musicale, prevedono:
L’uso della lingua verbale e del linguaggio grafico.
10) Tra le funzioni formative principali troviamo quelle:
Conoscitive, cognitive e culturali.
11) Gli obiettivi di una disciplina secondo il curricolo di Della Casa devono essere centrati- tra l’altro- su:
I bisogni, le caratteristiche e l’ambiente dell’alunno.
12) Tra i requisiti degli obiettivi disciplinari troviamo:
La configurazione in termini di singole operazioni
13) In relazione al tempo di realizzazione si distingue tra:
Obiettivi finali, intermedi, immediati.
14) Tra le prove oggettive di una verifica troviamo:
La prova per corrispondenze e associazioni.
15) I linguaggi di categorizzazione/interpretazione, nell’ambito dell’educazione musicale, prevedono:
L’uso della lingua verbale e del linguaggio grafico.
2. Le Unità Didattiche e le UDA
FARE UNA UDA DI RIFERIMENTO PER ESAME.
L’Unità di Apprendimento (UdA) è la modalità progettuale suggerita dalla riforma.
Essa si configura come uno strumento importante da mettere in atto in funzione della
personalizzazione dei percorsi di apprendimento.
Gli obiettivi formativi
Uno dei punti distintivi dell’UdA è il diverso modo di rapportarsi agli obiettivi che
diventano “obiettivi formativi”.
Negli approcci tradizionali gli obiettivi del processo formativo venivano definiti
come risultati intenzionalmente prefigurati, espressi in termini comportamentali.
Nell’approccio per UdA, l’obiettivo non può essere deciso a tavolino, in modo
rigido, come capitava negli approcci ingegneristici che pretendevano di parcellizzare
rigidamente ruoli e compiti, ma va ridefinito in itinere, sia attraverso la
partecipazione autoriflessiva dei soggetti in apprendimento, sia attraverso le
osservazioni dell’insegnante-tutor durante il processo di apprendimento. In secondo luogo, l’obiettivo formativo non potrà più essere articolato al dettaglio, ma dovrà
piuttosto porsi come una sorta di visione complessiva, globale, che permetta di modificare i singoli obiettivi specifici.
Le procedure per la costruzione di UdA
La realizzazione di un’UdA comporta soprattutto l’assunzione di un atteggiamento di fondo flessibile nei confronti
della progettazione didattica, procedendo secondo ipotesi di lavoro sempre modificabili in corso d’opera.
Per la costruzione di un’UdA si possono seguire le seguenti fasi (tenendo sempre presente che la successione proposta non intende disegnare un percorso lineare ma
circolare, con possibilità di andate e ritorni):
1) PRE-ATTIVA: IDEAZIONE-PROGETTAZIONE:
-Analisi della situazione (bisogni/risorse) degli alunni. I bisogni andrebbero analizzati in relazione alle diverse dimensioni del rapporto sé–mondo che consentono di
costruire e progettare il curricolo e a cui corrispondono diverse strutture didattiche: conoscenze ➝ discipline; valori ➝ esperienze; progetto ➝ problem solving;
- Analisi del PECUP e individuazione dei bisogni/risorse degli alunni con riferimento a OGPF (Obiettivi generali del processo formativo) e OSA (Obiettivi specifici
di apprendimento).
- Scelta e analisi del bisogno.
- Analisi del problema didattico: individuazione e scelta degli elementi disciplinari o interdisciplinari più adeguati a soddisfare il bisogno di apprendimento
individuato.
Solo in seguito si possono individuare temi e percorsi interdisciplinari attraverso:
a. Definizione dei requisiti in uscita (Obiettivi Formativi).
b. Definizione delle conoscenze, abilità, comportamenti da promuovere in tutti gli allievi.
c. Prime ipotesi su possibili attività da realizzare e sui tipi di prodotto attesi.
d. Prime ipotesi di possibili percorsi personalizzati, differenziati per abilità e interessi.
e. Ipotesi di articolazione delle attività (canovaccio o scenario di azione) con esplicitazione di metodi, mediatori, tempi, organizzazione, raggruppamenti, strumenti...
e delineazione di possibili alternative.
f. Definizione del “compito in situazione”, che consentirà poi di verificare fino a che punto la capacità si sarà trasformata in competenza.
2) FASE ATTIVA
Mentre l’insegnante mette in atto le varie fasi dell’UdA, rileva i bisogni/risorse specifici/ che di ciascun/a alunno/a e progetta gli aspetti di personalizzazione.
Concretamente, per ciascun alunno, si tratta di individuare:
-punti deboli da migliorare
-punti forti da valorizzare e da potenziare ulteriormente
3) POST-ATTIVA: CONCLUSIONE
Verifica degli obiettivi formativi attraverso:
 Verifiche specifiche
 Prodotti
 Riflessione sull’attività svolta, da inserire nel portfolio.
 Scelta di elaborati da inserire nel portfolio secondo determinati criteri.
 Valutazione congruente con i criteri espressi.
 Controllo, revisione e formalizzazione dell’UdA.

3. Le “condotte musicali” di François Delalande


DELALANDE, FRANÇOIS, La musica è un gioco da bambini, Milano, Franco Angeli, 2001. Introduzione all’edizione italiana/Prefazione/Primo
dialogo/Secondo dialogo/Terzo dialogo (Tutto fino a pag. 50)
Introduzione: Il bambino nel suo gioco spontaneo con i suoni, fa già dai primi mesi di vita, della musica.
CONDOTTA: Una serie di azioni coordinate tra loro in una strategia con un fine. Due sono gli elementi che la caratterizzano:
- Il coordinamento di più azioni
- L’avere una finalità
Il pensiero di Delalande è maturato in un clima musicale in cui la tradizionale distinzione tra “suono” e “rumore” era messa totalmente in discussione; la nostra
attenzione si sposta sulla qualità di tutti i suoni prodotti e producibili e sulle concrete azioni e condotte che si possono impiegare per esplorare i suoni e usarli per
esprimersi.
GIOCO SENSO-MOTORIO: o d’esercizio la condotta esplorativa, basata sul lavoro di scoperta e sperimentazione sonora.
GIOCO SIMBOLICO: si realizza a livello musicale nella condotta espressiva. È la fase in cui il bambino attribuisce al suono la capacità di rappresentare, di avere un
senso in un certo contesto, di evocare personaggi, movimenti, situazioni. La musica del bambino è il risultato intenzionale della volontà di esprimersi con i suoni.
GIOCO CON REGOLE: corrisponde alla terza condotta, la condotta organizzativa. Il bambino scopre, tra i cinque e i sette anni, il piacere di applicare delle regole ai
propri giochi, ma soprattutto, di crearne di nuovi.
L’EDUCATORE deve essere una figura che affianca il bambino nella sua progressiva scoperta del suono, che gli offre nuove occasioni di sperimentazione, che gli
propone esperienze significative per esplorare i suoni, esprimersi con essi e attraverso la loro organizzazione. Il ruolo dell’educatore è di fare da guida, come un
facilitatore della crescita musicale del bambino.
La prima esperienza musicale è corporea e l’educazione al ritmo deve avvenire attraverso il movimento. Per Delalande la musica d’oggi sta tornando ad essere una
musica del suono e del gesto. La musica si fa con le mani e con il soffio e il suono è la traccia del gesto che lo produce. Nel versante musicologico nasce la
SEMIOLOGIA DEL GESTO MUSICALE che in senso pedagogico si traduce aiutando il bambino a sviluppare il controllo della sua gestualità attraverso
l’osservazione del suono. Per un bambino produrre suoni significa soprattutto concatenare gesti; l’educatore deve abituarli a spostare l’attenzione dal gesto al suo
risultato sonoro, ma senza mai separarlo dalla sua radice corporea. L’educatore non impone al bambino un determinato sistema musicale, ma lo aiuta e lo sostiene
nella sua crescita musicale, offrendogli occasioni per “risvegliare” le sue attitudini, capacità, desideri di comunicare in forma sonora.
Prefazione: Gli educatori invece di insegnare delle conoscenze e delle tecniche, devono incitare i bambini a fare ciò che già fanno, cioè ad interessarsi agli oggetti che
producono rumore poi ad agire su questi oggetti per agire sui suon, a prolungare questa esplorazione sonora in modo da realizzare delle sequenze musicali. Si tratta di
scoprire e incoraggiare comportamenti spontanei e di guidarli a delle invenzioni musicali. Bisogna stimolare i bambini attraverso gli stimoli della facoltà di ascolto e
di invenzione.
I tre principi fondamentali per la musica come per la pedagogia sono:
 Che i comportamenti musicali, anche dell’adulto, sono molto vicini ai comportamenti di gioco del bambino.
 Che la musica ha molto a che vedere con il gesto.
 Che il ritmo non è così universale né così fisiologico come si crede.
Quale musica, quale pedagogia?
La finalità dell’educatore è di formare i bambini a tutto ciò che possa precedere le acquisizioni tecniche: quanto più l’esperienza preliminare di ricerca sonora e di
creazione sarà stata approfondita e avrà sviluppato il senso musicale, tanto più il lavoro tecnico, dopo, sembrerà naturale e necessario.
Cosa significa fare musica?
Sviluppare un gusto per il suono, una certa sensibilità per la sonorità che si accompagna all’abilità d’ottenerla sullo strumento.
La musica contemporanea
Si può sviluppare l’ascolto in sé grazie ad un “risveglio sensoriale”. Ci vuole attenzione all’ascolto, ma l’attenzione è soprattutto una questione di motivazione. Il
modo migliore per motivare all’ascolto è fondarlo su un’esperienza di produzione. Bisogna lasciar inventare i bambini la loro musica senza l’assillo di verificare se sia
giusta o sbagliata.
Suonare/ giocare
La ricerca del suono e del gesto non è altro che un gioco senso-motorio, l’espressione e il significato in musica si congiungono con il gioco simbolico e
l’organizzazione è un gioco di regole. Inoltre i tre tipi di gioco corrispondono a età differenti del bambino. Con i più piccoli l’attività verrà concentrata piuttosto sul
suono e il gesto; con i bambini della materna si svilupperà il carattere simbolico e infine con i più grandi il gioco musicale si dovrà dare delle regole.
La musica come gioco senso-motorio
Il gioco d’esercizio domina il primo periodo di vita fin verso i due anni: è l’esperienza sensoriale e motoria attraverso cui il bambino si adatta al mondo esterno. Egli
arricchisce progressivamente il proprio repertorio di “schemi sensoriali”. Il bambino si compiace di esercitare a “vuoto”, senza necessità immediate, le proprie
possibilità motorie. Lo stesso schema viene prolungato più tardi nei giochi infantili in cui si fa lavorare il corpo unicamente per il piacere di farlo.
La musica come gioco simbolico
È il gioco del far finta, che mima il reale e lo aggiusta a modo proprio: la musica mima il reale, evoca un movimento, una situazione vissuta, dei sentimenti; perché i
sentimenti sono associati a precise esperienze del movimento e il proprio respiro. Si è vivaci quando si è allegri, lenti quando si sogna. Le condotte musicali hanno in
generale uno scopo simbolico, vale a dire che la produzione di suoni e di strutture sonore non è fine a sé stessa e che l’intenzione dei musicisti è anche quella di
rinviare a qualcosa di altro dal suono, e che questo “altro” è fatto di immagini, emozioni o storie fantastiche.
La musica come gioco di regole
Il gioco di regole in musica rappresenta tutto ciò che può essere fonte di piacere nell’applicazione del sistema musicale.
Le forme ripetitive
La raffinatezza del gesto sta nel fatto che il bambino non si accontenta di ripeterlo, ma lo varia effettivamente in da variegarne gli effetti. Questo definisce la
CONDOTTA SPERIMENTALE. È la variazione a far sì che l’interesse si sposti dalla causa, cioè dal semplice colpo, all’effetto, cioè al suono.
L’educazione musicale: salvare il gioco
Educare i bambini significa sviluppare un’attività ludica che già è presente in loro e che è in definitiva la sorgente stessa del gioco musicale. Si scopre il reale senso di
“non direttività”. Non si tenta di portare il bambino a un risultato predeterminato. Esiste in lui una tendenza e noi in definitiva la rispettiamo. Si assiste ad una
rivalutazione della corporeità che musicalmente significa fare spazio al gesto. La musica è anche l’arte del gesto, in quanto il gesto disegna il suono completamente,
dall’inizio alla fine.
I brani contemporanei
I pezzi contemporanei sono molto plastici, molto cinetici. Possono evocare traiettorie, pressioni, espansioni. Esistono tre tipi di gesto:
1) Il gesto delle dita o dell’apparato respiratorio che è necessario per produrre il suono.
2) Il gesto non specifico, attraverso cui lo strumentista confezione un involucro, un fraseggio.
3) Il gesto che richiama implicitamente la partitura attraverso l’esplicitazione delle linee, delle cadenze, dei ritardi armonici che l’interprete a volte sottolinea e altre
volte contraddice.
Per un bambino al posto dei gesti della mano, saranno i movimenti di tutto il corpo, comprese le espressioni del volto, che serviranno da partitura vivente. Le persone
sensibili alla musica sono quelle capaci di decifrare il gioco di gesti e di movimenti dietro ai suoni, precisamente perché essi sono portatori del carattere espressivo
della musica.
DOMANDE
1) Tra i riferimenti fondamentali della teoria pedagogica di Delalande troviamo:
La musica concreta e l’antropologia della musica.
2) I tre tipi di gioco -senso/motorio, simbolico e di regole- applicati alla musica, secondo Delalande:
Possono coesistere, anche se in genere uno dei tre si rivela più fecondo
3) Il gioco senso motorio del bambino:
è basato sulla condotta esplorativa, che è un lavoro di scoperta e sperimentazione sonora.
4) Tra le attività pedagogiche di Delalande occupa grande importanza:
La musica concreta.
5) “Toccare” uno strumento è una condotta:
Senso motorio.
6) Trasmettere un sapere o sviluppare una sensibilità sono due obiettivi:
Diversi.
7) Per Delalande la musica d’oggi sta ritornando ad essere:
Musica del suono e del gesto.
8) I “dispositivi” nella prospettiva pedagogica di Delalande si riferiscono:
Alla scrittura musicale
9) La struttura degli oggetti sonori e la ricerca delle costanti nei processi cognitivi afferiscono:
Al gioco simbolico
4. Pedagogia musicale e semiologia
NATTIEZ, JEAN-JACQUES, Il discorso musicale. Per una semiologia della musica, Torino, Einaudi, 1987.
MOLINO: “tutte le forme dell’espressione umana possono essere definite forme simboliche”, quindi oggetto di semiologia, nella misura in cui vi si
possono riconoscere 3 dimensioni che rappresentano la tripartizione semiologica:
1) Processo poietico, cioè l’insieme di strategie grazie alle quali alla fine dell’atto creativo esiste un’opera che prima non esisteva e che dunque può
essere oggetto di analisi.
2) Processo estesico, cioè l’insieme delle strategie messe in atto dalla percezione del
prodotto dell’attività poietica. È un processo attivo di costruzione: gli
interpretanti attribuiti dall’emittente all’opera che egli produce non sono
necessariamente gli stessi che il destinatario proietta sull’opera.
3) Tra questi due processi c’è l’oggetto materiale, la traccia sulla carta dell’opera. È
compito dell’analisi del livello neutro (questo), descrivere l’organizzazione
immanente dell’oggetto, e questa si dice neutra perché è una descrizione non necessariamente dotata di pertinenza poietica o estesica.
Per analizzare le situazioni con la tripartizione semiologica si deve considerare che:
- Il discorso sulla musica è un metalinguaggio: la conoscenza della musica è mediata dal ricorso al discorso verbale oltre che a quello sonoro.
- Il discorso della musica appartiene al fato musicale totale: la semiologia dei parametri musicali è dunque allo stesso tempo semiologia degli
oggetti trattati e semiologia del discorso che li descrive.
- Il discorso sulla musica è una forma simbolica: dunque può essere a sua volta oggetto di un’analisi semiologica.
La semiologia dei parametri musicali è doppia:
1) C’è la semantica. Uso degli interpretanti (sostantivi o aggettivi) per definire la musica, e poiché il significato di una parola dipende dalla
situazione, un termine che apparentemente ha significato univoco, cambia senso a seconda del contesto.
2) La semantica dei termini basilari ci rimanda alla musica stessa poiché il loro significato è costituito dai tratti della sostanza musicale che sono
stati così qualificati, dagli interpretanti che l’analisi semiologica del fatto sonoro tenta d’isolare e di descrivere.
La costruzione di una teoria musicale è l’organizzazione di una selezione data di interpretanti e dipende dall’idea che ci si è fatta di questi aspetti del
fenomeno musicale. Il discorso sulla musica possiede un versante poietico:
- L’origine culturale delle teorie segnata da un relativismo culturale
- L’esistenza di un principio trascendente, cioè un’idea fondamentale, semplice, che l’autore pone alla base del suo edificio e che spesso traduce
l’essenza del fenomeno considerato, come egli la vede.
Il problema delle teorie musicali, come di quelle scientifiche sta nella loro validità. Pronunciare la parola “musica” significa delimitare tutta un’altra
serie di fenomeni del mondo come della “non-musica”, si partirà dunque dal concetto che la musica indica una famiglia specifica di eventi sonori e ci si
ripropone di esaminare attentamente la questione tra suono e rumore in rapporto alla definizione di musica. Poiché l’ascolto interiore suppone la
preesistenza del sonoro: occorre che il sonoro sia stato presente anche se nell’esperienza in questione non viene attuato.
“Il musicale è il sonoro costruito e riconosciuto da una cultura”: è musica ogni fenomeno che un individuo, un gruppo o una cultura accettano di
considerare come tale; non è possibile analizzare le diverse definizioni di musica al di fuori di un quadro antropologico. Il fatto musicale presuppone
l’esistenza di suono che è il risultato di un’intenzione creatrice (livello poietico) e dipende da un’attitudine d’ascolto (livello estesico): io decido che ciò
che sento è musica.
SCHNEBEL/MAUSS: “La musica è un fatto sociale totale.”
RUSSOLO: “Il mondo non è più un posto silenzioso, la natura ha il suo suono. Con l’introduzione nella musica del numero e della varietà dei rumori è
terminata la limitazione del suono come qualità o timbro ed è pure tolta la limitazione del suono nella sua quantità. Così la differenza vera e
fondamentale fra suono e rumore è che il rumore è molto più ricco di suoni armonici di quanto lo sia generalmente il suono”. Russolo adopera ciò che
Schaeffer tematizzerà con il nome di “ascolto ridotto”. Il rumore deve perdere tutto il suo carattere di risultato e di effetto legato alle cause che lo
producono. L’ascolto ridotto è un ascolto acusmatico.
VARESE: il genere compositivo in lui rimane predominante: “è il compositore che in ultima analisi decide quali rumori conviene inserire nell’opera”.
CAGE: “Grazie al silenzio, i rumori irrompono definitivamente nella mia musica, le esperienze permettono al silenzio di una partita i scacchi di apparire
in ciò che è: un silenzio pieno di rumori”. Vi sono dunque due tipi di silenzi, il silenzio fuori musica e il silenzio in musica. Cage ha un atteggiamento
diversi dai suoi colleghi: definisce un nuovo atteggiamento dell’ascolto “più si scopre che i rumori del mondo esterno sono musicali e più c’è musica”.
Cage pratica un nominalismo radicale, qualsiasi suono o rumore può andare con qualsiasi altro.
MURRAY SHAFFER: prende da cange creando il paesaggio sonoro, un libro in cui si parla di ecologia sonora, il mondo è un mondo che va ascoltato.
Bisogna recuperare un’ecologia sonora, recuperandola da un mondo inquinato. Possiamo modificare il suono in determinate situazioni. Esistono i “non
luoghi”, luoghi di passaggio. Andiamo a cercare i posti dove il suono è ancora pulito. Crea archivi sonori della città.
Schizofonia: mettere insieme schizofrenia a livello sonoro.
SCHAEFFER: Si è sforzato di far notare che il suono della nostra musica classica ha anche del soffio, è granuloso, presenta un urto all’attacco, è
fluttuante, costellato da impurezze. Il compositore concreto deve mantenersi sul terreno degli oggetti adatti, quelli per i quali sentiamo istintivamente che
sono più favorevoli al musicale. Da descrittiva la sua impresa diventa normativa. “il fatto è che l’istinto musicale rimane profondamente soggettivo”.
Suono e rumore
È lecito ritenere che sia possibile distinguere suono e rumore in termini acustici, essendo il suono il risultato di vibrazioni periodiche e regolari, e il
rumore il risultato di vibrazioni aperiodiche, “il rumore è una vibrazione erratica intermittente o staticamente aleatoria”. In pratica si chiama rumore
“ogni suono che assume per noi un carattere sgradevole, inaccettabile, qualunque sia peraltro questo carattere, la nozione di rumore è dunque anzitutto
essenzialmente una nozione soggettiva”. I criteri da un punto di vista percettivo possono essere l’intensità elevata, l’assenza di altezze definita o la
mancanza di organizzazione. Si noti che questi criteri vengono definiti sempre in rapporto a una soglia di accettabilità ma che è a sua volta definita solo
arbitrariamente come norma. La posizione di scrive sulla musica e il rumore può essere riassunta in questi termini: proprio come la musica è ciò che si
riconosce come tale, il rumore è ciò che si riconosce come ciò che disturba e/o è sgradevole all’orecchio. Il confine tra musica e rumore è sempre
definito culturalmente, e ciò implica che all’interno di una stessa società esso non si colloca sempre allo stesso posto, ovvero che raramente vi è
consenso. I compositori nel XX secolo come Russolo, Varese e Schaeffer, pur manifestando divergenza tra loro, hanno in comune che la loro
integrazione del mondo dei rumori nel musicale non significa l’abbandono della responsabilità compositiva.
La nozione di nota viene a trovarsi sorpassata dal concetto più vasto di oggetto sonoro, termine nato dalla tecnica del nastro magnetico, che può
applicarsi alla musica strumentale. La sostanza musicale è altrove: nell’estrema opposizione delle due dinamiche pp e ff in uno stesso accordo. Si tratta
di una universalità del fenomeno musicale sotto le spoglie del sonoro. Si conquistano tutte le possibilità.
WEBERN: Chiede agli strumentisti di realizzare oggetti musicali. Ciò che conta non sono più le relazioni tra altezza e durata che potrebbero esserci nella
partitura, ma lo sfruttamento del materiale sonoro ottenuto mediante sottigliezza esecutive.
CHION: “ciò che questa nuova musica sogna è di essere un sovra-musica, di convocazione di tutti i suoni dell’universo, di esplorazione di tutte le
possibilità acustiche”.
DOMANDE
1) Varese ha elaborato una poetica in cui:
Il genere compositivo risulta ancora predominante
2) Pierre Schaeffer è:
l’autore del Traitè des objets musicaux
3) Il discorso sulla musica è:
Un metalinguaggio
4) Russolo ha contribuito a spostare il confine tra musica e rumore:
Non abbandonando la responsabilità compositiva.
5) In semiologia della musica il livello neutro si definisce in relazione:
All’opera.
6) Molino definisce la musica come:
Fatto sociale totale.
7) Murray Shafer è:
Il pioniere della teoria del paesaggio musicale/sonoro.
8) Secondo Nattiez il problema delle teorie musicali riguarda:
La loro validità.
9) In semiologia della musica il livello poietico può definirsi in relazione:
Al progetto compositivo.
10) Suono e rumore secondo Nattiez:
Non hanno significato univoco.
11) Nella concezione di Molino la dimensione estesica è:
Un processo attivo di costruzione di senso
5. Gino Stefani e la pedagogia musicale in Italia
“Essere qualcuno musicalmente”. Stefani dopo una breve autobiografia musicale, sottolinea la non linearità dei percorsi del vissuto musicale e nel
cercare di definire chi era musicalmente, evidenzia le interazioni tra le diverse sfaccettature dell’identità personale e l’interazione che tale identità ha
necessariamente con le culture. L’orizzonte non è la musica ma la musicalità: si sposta quindi l’attenzione dalla musica come corpus di saperi
disciplinari ai comportamenti, alle condotte, alle motivazioni di chi fa musica.
Differenza tra strategia e tattica
TATTICA: approccio fatto da chi NON domina il campo, da chi si deve arrangiare. L’arte di arrangiarsi in musica da parte dei non specialisti
STRATEGIE: processi attuati dai professionisti, da chi domina la materia.
6. Specchi sonori: identità e autobiografie musicali
DISOTEO MAURIZIO – PIATTI MARIO, Specchi sonori. Identità e autobiografie musicali, Milano, Franco Angeli, 2002. Tutto fino a pag. 95
(compresi i “Punti di vista”)
Occorre prendere consapevolezza della propria identità, e trovare il modo di descriverla, delinearla, esplicitarla, per trovare i punti di contatto, di
somiglianza, di diversità con altre identità.
I contenitori concettuali che ci permettono di individuare i tratti costitutivi dell’identità musicale sono:
- Imprinting originario: cioè le esperienze primarie.
- Vissuto: cioè la propria esperienza.
- Valori: ciò che costituisce il fondamento “morale”.
- Abilità e conoscenze: le competenze musicali.
Identità e autobiografie: indicazioni di metodo.
L’identità di ciascuno non è uno stato, un dato definitivo, immutabile e monolitico, ma piuttosto un processo continuo di integrazione delle diverse
esperienze di vita. Se l’identità si modifica in relazione al flusso inarrestabile di incontri e di eventi che caratterizza la vita di ciascuno, se davvero non
cessa mai di trasformarsi e di ricostruirsi, essa può essere descritta soprattutto in forma narrativa e in particolare autobiografica. L’elemento
fondamentale indispensabile è la memoria. Essa è il primo più importante meccanismo di selezione dei dati che entrano a formare l’identità di ciascuno.
Alla memoria fa specchio l’oblio, cioè il dimenticare altri fatti, eventi e situazioni che non entrano nella nostra storia di vita. Memoria e oblio possono
agire, nella nostra mente, sia in modo volontario che involontario. La memoria è in buona misura una memoria che sceglie, che seleziona e discerne cosa
dovrà entrare nell’autobiografia e come. Quest’ultima parla di sé stessi ma non perde di vista la presenza degli altri, anzi li interroga e li coinvolge. Nella
società d’oggi la riconquista della capacità di riflettere sulla propria storia e sulle proprie relazione è un’esigenza primaria.
Narratività e autoriflessività
Secondo Bruner, nella nostra mente coesistono due diverse forme di pensiero, che si completano e si integrano tra loro e che non vanno viste come
impermeabili, ma che comunque sono irriducibili l’una all’atra:
- Pensiero logico-scientifico o paradigmatico: si occupa delle cause di ordine generale e del modo per individuarle, e si serve di procedure atte ad
assicurare la verificabilità referenziale e a saggiare la verità empirica. Il suo linguaggio è regolato dai requisiti della coerenza e della non
contraddizione.
- Pensiero narrativo: si occupa di intenzioni e delle azioni proprie dell’uomo o a lui affini, nonché delle vicissitudini e dei risultati che ne
contrassegnano il corso. Esso si applica particolarmente al mondo sociale, crea pertinenze e nessi, è la voce di un narratore che entra in risonanza con
quella dell’ascoltatore. La narrazione può essere ascoltata ed interpretata in modo molteplice e con costruzioni di
senso diverse, nella sovrapposizione e nella reazione tra l’esperienza del narratore e quella dell’ascoltatore. La
narrazione mette in rapporto passato, presente e futuro all’interno di una storia che può essere validata solo attraverso
il rapporto tra i suoi attori, tra i pensieri e le azioni del narratore.
L’identità narrativa
La bilocazione cognitiva è la capacità di essere contemporaneamente nel presente e nel passato narrato, nel qui e
nell’allora; è la capacità di separarsi da sé stessi, di prendere una distanza da ciò che si è stati e da ciò che si è per dare
anche un’interpretazione di sé, grazie proprio alla possibilità di diventare qualcun altro da sé. Ecco perché l’identità che
emerge dall’autobiografia è un’identità narrativa. Una seconda bilocazione cognitiva sta nella capacità di rivisitare il
presente attraverso il passato, individuando proprio nel passato tracce delle continuità e delle discontinuità che caratterizzano la nostra vita.
L’identità narrativa è caratterizzata dal continuo frammentarsi e ricomporsi dell’identità, anzi, della pluralità di identità che rispondono a diverse
narrazioni di noi e a differenti contesti culturali. Se essa può essere definita al plurale, si crede che l’autobiografia di ciascuno possa essere immaginata
come un contenitore di più autobiografie e storie di vita, ovviamente anche in questo caso in comunicazione e interazione tra loro.
Prendere parola
Il primo passaggio per creare un’autobiografia è proprio quello in cui il soggetto può iniziare a testimoniare la sua esperienza. Prendere parola significa
diventare protagonisti del proprio progetto di formazione, affermare la soggettività e la particolarità del proprio percorso di formazione e infine aprire
una riflessione sul contesto formativo.
Il termine di ricerca comune è stato introdotto da Stefani con un doppio significato: quello della ricerca condotta da persone comuni, con le loro
motivazioni ed esperienze e praticata in comune. Il punto di partenza della ricerca comune è quindi l’esperienza del soggetto o meglio ancora dei
soggetti. Il metodo della ricerca comune presuppone come passaggio necessario che i partecipanti al progetto prendano la parola sulla musica e
soprattutto sulla loro esperienza personale della musica. La ricerca è lettura ed interpretazione di esperienze musicali individuali o collettive che possono
essere pertinenti sia alla formazione individuale che alla formazione cooperativa tra i partecipanti a un laboratorio.
Passaggi della vita
L’interesse non si estende a tutti i fatti della vita, ma i concentra su quelli che il soggetto ritiene importanti e determinanti. Questi fatti vengono definiti
eventi marcatori, cioè eventi che hanno segnato delle svolte significative e importanti nel percorso formativo.
Mito e fato
IL MITO sembra essere, nella narrazione delle storie di vita, un elemento ricorrente e frequente. Rispetto al senso che le persone attribuiscono alla parola
mito in relazione alla loro storia di vita, Castiglion ci indica 4 diversi significati:
1) Una parte consistente degli intervistati riconduce la nozione di mito a delle persone che, pur nella particolarità delle loro storie di vita,
rappresentano degli esempi o dei modelli di riferimento oppure degli incontri relazionali salienti all’interno della loro storia di vita.
2) Frequente è anche il riferimento alla mitologia classica, a figure e temi mitologici precisi, tra i quali particolarmente frequenti sono Ulisse,
Prometeo, Ercole, Giasone, Edipo con particolare attenzione ai miti delle origini e di trasformazione del mito consistente.
3) Il mito può anche assumere il carattere di simbolo e archetipo, rimandando a una dimensione diversa dalla realtà, come propensione continua
verso la compiutezza.
4) Quando il mito assume la forma di un incontro relazionale effettivo, si può parlare dell’entrata di mentori che ci hanno indirizzato, consigliato,
aiutato nella nostra formazione e nei nostri cambiamenti. L’incontro di un mentore può comunque avvenire anche in forme meno dirette, come
quando si tratta della scoperta di artisti, scrittori, pensatori che assumono un ruolo importante nella nostra formazione.
I mentori posso essere anche figure fatali, che hanno segnato in modo indelebile il nostro percorso di vita, sia che l’incontro con loro sia stato voluto o
casuale. In ogni caso mito e fato sono presenti nelle nostre storie di vita anche se evidentemente il mito è quasi sempre frutto di una tensione volontaria
al cambiamento, alla trasformazione, alla compiutezza della propria esistenza mentre le figure fatali non prevedono necessariamente una nostra
volontarietà nell’incontro.
Strumenti e pratiche dell’autobiografia
Qualunque insegnante, formatore o animatore che voglia impiegare nella sua attività il metodo autobiografico deve anzitutto sperimentarlo su di sé.
Pensare di usare le pratiche autobiografiche senza averle sperimentate in prima persona e senza
esserne profondamente implicati rappresenta un non senso. Ci sono nel processo autobiografico
due fasi fondamentali:
1) La ricognizione autobiografica, si basa sul ricordo ed è la fase dedicata propriamente alla
costruzione di un percorso introspettivo-narrativo, vale a dire ricordare e raccontare il
proprio passato.
2) L’interpretazione, è quella in cui i dati emersi dalla ricognizione sono sottoposti a una
interpretazione, che può essere individuale o di gruppo attraverso l’analisi di quanto narrato,
la riflessione e la rielaborazione.
Gli strumenti di lavoro individuale sono il diario personale, la produzione di testi tematici o di
un testo creativo, la ricerca di testimonianze materiali, la costruzione di oggetti complessi e
plurilinguistici, rielaborazioni materiali quali filmati o indagini.
Gli strumenti di lavoro faccia a faccia sono invece in buona parte l’intervista, i questionari, l’uso
di metodi proiettivi quali immagini, suoni o simboli, l’indagine critico-clinica sul processo
cognitivo, il metodo back-talking, vale a dire la restituzione riflessiva dell’intervista e la co-
costruzione di significati tra intervistato e intervistatore.
Un altro problema viene posto a proposito del rapporto tra:
- Oralità: gli atti linguistici appaiono di carattere performativo.
- Scrittura nella narrazione autobiografica: sono più importanti le asserzioni e le
contestazioni.
Nel doppio lavoro di ricognizione e di interpretazione del racconto, possono essere individuate le due forme di pensiero: se è vero che la ricognizione e il
racconto autobiografico sono in forma narrativa, e rispondono alle dinamiche e alle strutture della narrazione, il lavoro di riflessione, di interpretazione e
di rielaborazione può rispondere in gran parte a una forma di pensiero di carattere logico-paradigmatico, che tende a individuare costanti e cambiamenti
e a proporre regole e generalizzazioni. Immagini e musica possono essere utilmente impiegate come momenti rappresentativi del proprio lavoro mentale
e dei propri processi cognitivi.
Il vincolo
Il vincolo è la possibile scelta, da parte di un formatore, di porre dei vincoli e delle limitazioni all’attività autobiografica di un soggetto. Chiedere a
qualcuno di raccontare la propria storia di vita, senza porre alcuna limitazione e senza dare alcuna consegna, possa produrre degli effetti banalizzanti,
delle storie stereotipe e con pochi collegamenti tra loro, oppure provocare smarrimento o consentire un eccesso di autodifesa. Quando si parla di vincolo
non bisogna pensare ad un limite invalicabile ma piuttosto ad una tematica, di un argomento, rispetto al quale si chiede a una persona di prendere una
posizione, di definire la propria storia e la propria soggettività. Il vincolo, in questo senso, appare più uno stimolo alla riflessione intorno a un oggetto
preciso e al proprio rapporto con esso che non una limitazione all’espressione della persona. La situazione dettata dal vincolo è stata vista come la
creazione di un’opportunità; in effetti ogni vincolo costituisce anche una possibilità per creare, immaginare e distinguere.
Il formatore autobiografico
Il lavoro autobiografico, per sua natura, vive del dubbio, dell’interrogarsi ed è sempre incompiuto. Il formatore o l’insegnante che voglia assumere come
proprio il metodo autobiografico deve essere quindi cosciente del profondo riorientamento del suo lavoro. Il rapporto tra formatore e persona in
formazione deve essere fondato sulla disposizione all’ascolto di sé e degli altri. Se si pensa che uno degli obiettivi del lavoro autobiografico è anche
quello di migliorare la relazione con sé stessi e con l’altro, la disposizione all’ascolto non può essere considerata solo un prerequisito del lavoro ma
anche un suo obiettivo. Il metodo autobiografico richiede una massima attenzione e rigore scientifico, una grande attenzione alle persone e alle relazioni,
alla predisposizione dei materiali e all’uso delle tecniche. Se il metodo autobiografico si presenta con modalità più “democratiche” rispetto ad altri
metodi di formazione, ciò non comporta affatto una deresponsabilizzazione del formatore.
Fare autobiografia con bambini e adolescenti
La biografia cognitiva indica che una parte importante della nostra identità è costituita dal lavoro della nostra mente che inizia nei primi giorni di vita e
che ne segue tutto lo scorrere. Parlare di autobiografia cognitiva significa riconoscere che ciascuna persona può ricostruire i passaggi della propria vita.
Sapere come funziona la propria mente significa anche ricordare quando si è cominciato a pensare e apprendere. I bambini sanno ricostruire episodi e
fatti della loro vita anche se a volte, nel narrare, essi oltrepassano i confini della realtà. Un fatto che resta sempre vivo nei bambini e adolescenti è la
presa di coscienza delle proprie capacità personali e del progresso del proprio sapere. La riflessione su di sé innesta processi metacognitivi che
costituiscono la premessa allo sviluppo del pensiero introspettivo.
DEMETRIO: La crescita di ognuno di noi è infatti scandita al suono e al ritmo di incontri e la musica è presente nella memoria, ci aiuta a costruire quel
che fummo e divenimmo. La musica ci miglior poiché la sua verità appartiene sì alle forme sensibili, ma è soprattutto incontro filosofico. Essa serve per
lo sviluppo del pensiero interiore, perché sa esprimere sé stessa senza l’interferenza delle parole.
LIETTI: è importante far sentire la nostra musica e non soffermarci, nell’ambito del docente, a correggere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma
imparare ad ascoltare la musica dei nostri allievi. Dobbiamo esserci fino in fondo in ciò che facciamo.
Autobiografi musicale
Esiste un legame molto forte tra attività musicale e identità cognitiva nella vita di un musicista. La musica si intreccia profondamente ai 4 ambiti
essenziali della vita umana: affettività, dolore, lavoro e amore. Prima di iniziare a scrivere una autobiografia musicale bisogna analizzare:
- Inizio e motivazione: perché abbiamo iniziato lo studio della musica? (motivo familiare/affettivo, sociale, casuale)
- Insegnanti: è speso una figura “fatale”, che viene ricordata più per il suo influsso negativo che positivo, soprattutto in relazione ai primi anni di
studio. Le condizioni costrittive che si vivono a scuola, spesso danneggiano particolarmente la possibilità di sviluppare adeguatamente l’attività
musicale.
- Emozioni e prove: non è raro trovare il riferimento alla migliore conoscenza di sé causata da un’esperienza musicale.
- Il mito musicale: può essere rappresentato da una figura di riferimento oppure da un mito classico. Il mito di riferimento entra nella vita musicale
sotto forma di persona, strumento o genere e talvolta è determinato da un incontro fatale positivo.
- Durata, ritmo, cibo: praticare composizione, essere uno strumentista d’orchestra o un solista determina una diversa pratica cognitiva; la musica può
quindi essere vissuta e concepita diversamente.
- Ascolti e riappropriazioni: l’ascolto tra appassionati e professionisti cambia radicalmente; questi ultimi ascoltano con orecchio critico-tecnico non
presente a chi non ha avuto una specifica formazione musicale. Comunque si evita l’eccessivo tecnicismo nell’ascolto, per ritrovare delle modalità di
approccio alla musica più spontaneo.
- Riflettere sulla propria musica: la musica ha un forte fattore di mediazione nelle relazioni ed esistono situazioni in cui la pratica musicale o
l’identificazione con un genere costruiscono parte dell’identità. Nel periodo dell’adolescenza la musica ha un forte valore nella formazione e nel
riconoscimento identitario; ruolo che persiste anche in seguito, ma nell’età adulta essa contribuisce particolarmente alla consapevolezza culturale di
sé stessi. Nell’età anziana invece, ricordare una musica significa ripensare a un momento preciso della propria vita. Per i non professionisti, sono
soprattutto le canzoni ad esercitare questo ruolo piuttosto che la musica colta; ciò si evidenzia dal fatto che le canzoni tramontano e sorgono in un
momento specifico della vita, mentre la musica colta non tramonta mai.
FACCI: La scoperta della variegata complessità studentesca è una difficoltà del maestro che da solo deve affrontare le diversità di una classe,
modificando la percezione musicale degli alunni focalizzandola nelle ragioni, motivazioni, valori della musica e creando un rapporto di rispetto
reciproco e comprensione. Una classe è una piccola comunità e l’insegnante deve riuscire ad entrare in questo microcosmo e far ragionare sulla musica
attraverso la conoscenza di sé, le opinioni e compiendo una ricerca sulla realtà sonoro-musicale in cui il nostro tempo e cultura ci immerge.
SPACCAZZOCCHI: Bisogna osservare e valutare i nostri allievi:
- Homo audiens: quante e quali immagini musicali hanno chiare e ferme nella memoria e di che genere sono. Ci sono deficit uditivi?
- Homo loquens: quanto è ricca o povera la vocalità intesa come pratica fonetica, ritmica e intonazione. Ci sono limiti fonetici, espressivi?
- Homo movens: come il soggetto realizza le diverse pratiche motorio-musicali. Ci sono handicap fisici?
- Homo cantas: si manifesta il canto nel soggetto? Quali motivi canta, da quale cultura provengono, si immedesima con il cantante e con la canzone?
- Homa sonans: quali potenzialità di manipolazione e produzione di suoni e ritmi dimostra?
- Homo videns: ha problemi di vista? Riesce a comprendere le notazioni musicali, utilizza il pentagramma o altro?
- Homo sapiens: quali nozioni sulla musica ha il soggetto? Questo sapere è coerenta alla sua cultura e identità musicale?
Scatole di montaggio
Per eseguire al meglio un laboratorio di autobiografia musicale si consiglia seguire i diversi punti:
 Essere in due a condurre il laboratorio aiuta ad essere più attenti alle necessità dell’udienza.
 Il luogo deve essere piacevole, accogliente e silenzioso.
 Il tempo deve essere a sufficienza per concentrarsi solo sul redigere la propria autobiografia.
 Il numero dei partecipanti non deve essere molto alto ma compreso tra i 10 e i 15.
Altre attività che aiutano una preparazione maggiore ad un’autobiografia sono:
1) L’intervista autobiografica: la migliore è semi-strutturata non direttiva, cioè condotta attraverso una griglia ordinata di domande non seguita alla
lettera ma che traccia un riferimento per l’intervista e in cui l’interlocutore possa divagare e proporre diversioni. La seconda fase di questa attività è
la trascrizione.
2) Album fotografico: rappresentano frammenti visivi vissuti e come la musica, evocano ricordi ed emozioni. In modo particolare si pensi alla prima
foto musicale che si possiede, quali canti infantili ricordo, le foto di circostanza, foto che vorrei strappare o inserire nell’identità musicale.
3) Alea: una delle correnti musicali contemporanee è quella aleatoria, basata sull’intervento del caso nel processo compositivo oppure in quello
esecutivo.
4) Ascolto: proponendo ascolti di musica contemporanea con un certo margine di ambiguità interpretativa, chiediamo di scrivere una breve storia in
prima persona ispirata alla musica ascoltata. Troveremo che tutti avranno scritto cose diverse influenzate dal proprio spazio personale.
5) Autoritratti: guardando l’immagine di un ritratto ciascuno di noi individua un’alterità. L’immagine dell’altro ricostruita da noi invece appare come
specchio. I processi di identificazione di individuazione hanno nei ritratti il filo visibile della propria storia. Si può fare un autoritratto con:
a) Parole e fantasia: ognuno immagina di essere un personaggio fantastico e di creare una storia musicale, decidendo se rimanere vicini alla
propria esperienza o decidendo di utilizzare solo la fantasia. Il valore metodologico di questo tipo di attività, risiede nello scambio relazionale e
nella capacità affettiva e cognitiva che si sviluppa con il racconto fantastico.
b) Musica: l’autoritratto musicale definisce il nostro carattere, le nostre scelte dovrebbe fornire un’immagine sonora di noi che diventa metafora
di chi pensiamo di essere in quel momento o di un lato particolare del nostro carattere.
6) Biografie: scrivere la biografia musicale di un compagno.
7) Carta d’identità, corpo, cronologie, curriculum vitae, diari e lettere.
8) Raffigurarsi come emozioni, figure fatali e mentori, forme e generi, gioco dell’oca, immagini e miti, piante o animali.

DOMANDE
1) “Prendere la parola” nel contesto autobiografico significa:
Diventare protagonisti del proprio progetto di formazione.
2) Il pensiero “paradigmatico”:
è tipico del ragionamento scientifico.
3) Il mito musicale, in senso autobiografico:
è una figura esemplare e ricorrente.
4) Il pensiero narrativo, secondo Bruner:
Si occupa delle intenzioni e delle azioni proprie dell’uomo, nonché delle vicissitudini e dei risultati.
5) Tra “le figure fatali” mitologiche troviamo:
Il mentore
6) Tra i musicisti intervistati in contesti autobiografici circa l’ascolto emerge:
Il bisogno di prendere le distanze da un possibile eccessivo tecnicismo dell’ascolto.
7. L’audiovisione
CHION, MICHEL, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Torino, Lindau, 2001.
Capitolo 1.
VALORE AGGIUNTO: è il valore espressivo e informatico di cui un suono arricchisce un’immagine data, sino a far credere che quell’informazione o
quell’espressione derivino naturalmente da ciò che si vede, e siano già contenute nella semplice immagine. Esso funziona soprattutto nel quadro del
sincronismo suono/immagine, per il principio della sincresi (relazione immediata e necessaria tra qualcosa che si vede e qualcosa che si sente). A livello
primario, il valore aggiunto è quello del testo all’immagine perché il cinema è verbocentrico e vococentrica. Quest’ultimo valore aggiunto (del testo
sull’immagine) va ben oltre un’opinione applicata su una visione e influisce sulla strutturazione stessa dell’immagine, inquadrandola rigorosamente.
Uno dei più importanti effetti del valore aggiunto è la percezione del tempo dell’immagine, ed esso ha tre aspetti:
-Animazione temporale dell’immagine
- Linearizzazione temporale dei piani
-vettorializzazione
MUSICA EMPATICA: la musica esprime direttamente la propria partecipazione all’emozione della scena, rivestendo ritmo, tono, fraseggio e
sentimenti.
MUSICA ANEMPATICA: musica che mostra una grande indifferenza alla situazione, dispiegandosi in maniera uguale, impavida e ineluttabile.
Capitolo 2
3 tipi di ascolti:
 ASCOLTO CASUALE: che consiste nel servirsi del suono per informarsi sulla sua causa, sia che sia visibile sia che sia invisibile.
 ACOLTO SEMANTICO: basato su un funzionamento estremamente complesso, ha costituito l’oggetto della ricerca linguistica ed è stato il meglio
studiato. Esso è puramente differenziale.
 ACOLTO RIDOTTO: Pierre Schaeffer ha battezzato questo tipo di ascolto come l’ascolto rivolto alle qualità e alle forme proprie del suono,
indipendentemente dalla sua causa e dal suo senso. Il suono è oggetto di osservazione. L’ascolto ridotto implica dunque la fissazione dei suoni ed è
scarsamente naturale. Esso altera le abitudini e le pigrizie radicate, e apre a colui che vi si avvicina un mondo di problemi che, prima, egli neppure
immaginava di potersi porre. Schaeffer ha mostrato che è possibile formulare proposizioni descrittive sui suoni, pur facendo astrazione dalla loro
causa, aprendo la strada, proponendo un sistema di classificazione nel suo Traitè des Objets Musicaux. Quindi, l’ascolto ridotto apre l’ascolto e
affina l’orecchio del registra, del ricercatore o del tecnico in quanto nel cinema e nei video i suoni vengono impiegati soltanto per il loro valore
figurativo, semantico o evocativo in riferimento a cause reali o suggerite.
Schaeffer pensava che la situazione acusmatica potesse incoraggiare di per sé stessa all’ascolto ridotto, cioè a staccarsi dalle cause o dagli effetti. Spesso,
però, accade l’inverso, almeno in un primo tempo, poiché l’acusmatico esaspera in partenza l’ascolto casuale, privando del soccorso della vista.
SITUAZIONE ACUSMATICA: Situazione in cui si sente il suono senza vederne la causa e quindi si può modificare il nostro ascolto e attirare la nostra
attenzione su caratteri sonori che la visione simultanea delle cause ci nasconde.
L’ascolto ripetuto di uno stesso suono nell’ascolto acusmatico dei suoni fissati, ci permette gradualmente di staccarci dalla sua causa, e di percepire
meglio i suoi caratteri propri.
SUONO EXTRADIEGETICO: colonna sonora, un suono off, che sta fuori, non lo sentono gli attori ma solo i fruitori.
I tre gradi dell’ascolto sono in contemporanea e sono inseparabili da quella dell’udire. L’ascolto impone di udire, ma questa imposizione è tale che in
esso difficilmente possiamo escludere, selezionare e sezionare qualcosa. La conseguenza di ciò, per il cinema, sono che il suono è, più dell’immagine, un
mezzo insidioso di manipolazione affettiva e semantica.
DOMANDE
1) Il “valore aggiunto” in ambito audiovisivo si riferisce:
Il testo, alla musica e ai rumori in relazione alle immagini
2) Attraverso l’effetto empatico:
La musica esprime direttamente la propria partecipazione all’emozione della scena
3) La tipologia d’ascolto che fa riferimento a un codice o a un linguaggio per interpretare un messaggio è:
L’ascolto semantico
4) L’ascolto ridotto fa riferimento:
alla teoria di Pierre Schaeffer.
5) Tra le caratteristiche del valore aggiunto troviamo:
Il vococentrismo
6) L’effetto anempatico riguarda:
Nella maggior parte dei casi la musica, ma può essere anche utilizzato coi rumori.
7) La tipologia d’ascolto che consiste nel servirsi del suono per informarsi sulla sua causa è:
Nessuno dei tre precedenti (NO ridotto, semantico o analitico)
8) L’ascolto ridotto analizzato da Chion si basa sugli studi di:
Pierre Schaeffer.
9) Nel rapporto tra suono e immagini:
L’orecchio analizza, lavora e sintetizza più in fretta dell’occhio.

Titolo uda: Music-amando insieme


Contesto: Classi quarte e quinte della scuola primaria
Durata: 30 ore di lezione articolate in 15 incontri settimanali (ognuno da 120 min)
Numero max. partecipanti ammessi: 20
Obiettivo generale: Promuovere la formazione globale degli alunni offrendo loro una più completa esperienza musicale e occasioni di maturazione
artistica, espressiva e comunicativa. Fornire agli alunni, attraverso lo studio di uno strumento musicale, occasioni di integrazione sociale e di crescita
culturale. L’UDA propone: Lezioni di musica di gruppo, in cui gli alunni sono suddivisi in microgruppi in base allo strumento (vi sarà una sezione
ritmica, una armonica e una melodica e ogni allievo verrà assegnato ad una delle categorie in base alle proprie attitudini). La didattica si incentrerà sulla
partecipazione attiva e creativa di ciascuno, oltreché su una rielaborazione e collaborazione di gruppo.

Obiettivi Cosa fanno gli allievi Casa fa l’insegnante Mezzi/strumenti Verifiche/ correzioni
1) Favorire lo sviluppo psico-fisico 1) Interagiscono con i vari 1) Espone tutti gli Strumenti ritmici: In fase di attuazione
dell’allievo attraverso strumenti ascoltando le strumenti tamburelli, nacchere e verranno rilevati i
l’apprendimento musicale: indicazioni del docente e si descrivendone tamburi. livelli di gradimento e
potenziamento della comunicazione e ha un primo approccio caratteristiche e Strumenti armonici: di
della creatività, miglioramento delle musicale. funzionalità. tastiere e chitarre. partecipazione degli
capacità di ascolto e concentrazione. 2) Ascoltare le potenzialità di 2) Eseguire dei ritmi, Strumenti melodici: alunni allo scopo di
2) Potenziare il linguaggio, ciascun strumento e melodie o brevi flauto dolce e violini. introdurre i correttivi
l’espressività, la capacità d’ascolto e identificare la differente canzoni con ciascun metodologici e
l’autocontrollo emotivo, stimolando natura di ciascuno (armonica, strumento per esporli didattici ritenuti
il processo di autoconoscenza e ritmica e melodica) agli alunni. necessari a garantire il
l’impegno a mettersi in gioco. 3) Provano gli strumenti in 3) Spiegare gesti raggiungimento degli
3) Sviluppare senso ritmico, prima in modo istintivo e semplici adeguati a obiettivi e la riuscita
coordinazione motoria, integrazione successivamente con un ciascun strumento del progetto. La
con il gruppo. approccio guidato con la finalità di valutazione terrà
4) Acquisire alcune abilità di base ritmicamente e gestualmente creare un ritmo conto sia delle
rispetto all’uso di tecniche specifiche dal docente. semplice. competenze acquisite
(senso ritmico, coordinazione 4) Interagire con i compagni in 4) Creare microgruppi dagli alunni
motoria). piccoli gruppi e impegnarsi divisi per strumento e che dei riflessi
5) Educare al rispetto dell’impegno nell’esecuzioni di brevi insegnare loro brevi positivi rilevati sul
assunto e al rispetto dei ruoli dei misure. misure ritmiche, piano affettivo e
compagni. 5) Imparare ad aspettare il melodiche o relazionale.
6) Creare un’occasione di proprio turno e a suonare armoniche.
intrattenimento costruttivo, insieme. 5) Unire gruppi sempre
favorendo la percezione dello spazio più estesi fino alla
scolastico come luogo di formazione formazione finale
e relazione anche al di fuori dell’orchestra.
dell’orario di lezione.
7) Saper lavorare responsabilmente in
modo cooperativo per elaborare un
prodotto finale, frutto delle attività
svolte.
8) Riflettere sui propri atteggiamenti in
rapporto all’altro in contesti
multiculturali

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