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4) L'IMPERO BIZANTINO (SECOLI V-X) E IL MONDO SLAVO

L'ORIENTE ROMANO FRA V E VI SECOLO

Con la morte di Teodosio I(395) la parte orientale e quella occidentale dell'impero di Roma tornarono a dividersi
definitavamente.
Quando l'impero romano d'occidente venne meno (476), non si dissolse l'eredità politica di Roma, che continuò a essere
testimoniata dall'impero romano d'Oriente, organizzato in prefetture, dioecisi e province.
Le storie dell'impero romano d'Occidente e quello d'Oriente furono fin dall'inizio diverse. Mentre l'Occidente si trovò a
subire le pressioni e le invasioni delle popolazioni germaniche, l'Oriente si mosse con un'ostinata fedeltà alla tradizione
romana e con una conseguente emarginazione degli elementi estranei.
Teodosio II ebbe l'iniziativa di raccogliere in un unico codice, il Codex Theodosianus, le leggi promulgate dagli
imperatori cristiani. Verso la fine del secolo, spinti gli ostrogoti verso l'Italia, fu anche possibile risolvere il problema
del popolo degli isaurici, stanziati in Asia Minore.
Ciò che travagliava negli anni a cavallo fra V e VI secolo la vita dell'impero erano le questioni religioso-dottrinarie; tali
controversie vertevano sul rapporto fra la natura divina e umana di Cristo.
In Egitto e in Siria continuava a trovare il più largo sostegno il monofisismo, interpretazione tesa ad attribuire a Cristo
una prevalente natura divina.
Quando, nell'inverno 543-544, Giustiniano pronunciò, con l'editto dei Tre Capitoli,la condanna di alcuni testi teologici,
si diterminò un grave malessere nelle provincie occidentali: ne nacque uno scisma, detto " di Aquileia".

GIUSTINIANO E LA RICONQUISTA DELL'OCCIDENTE

Salito al trono nel 527, Giustiniano si trovò a fronteggiare gravi problemi interni che portarono nel 532 a una rivolta
contro l'eccessiva pressione fiscale. Soffocata la rivolta, l'imperatore prese a organizzare la riconquista di quella che era
stata la parte occidentale dell'impero, rivolgendosi come primo al regno africano dei vandali, che cedette in breve alle
truppe imperiali. I bizantini provvidero a ripristinare l'assetto economico-sociale reimmettendo i superstiti membri
dell'aristocrazia di ascendenza romana nel possesso dei loro latifondi.
L'anno successivo ebbe inizio la guerra goto-bizantina (535-553) contro il rengo ostrogoto d'Italia. L'Italia fu ridotta allo
stremo: vaste aree coltivate si coprirono di boschi e di acquitrini e molte città si avviarono verso un irreversibile
declino.
Conquistate la Sicilia e la Dalmazia, Belisario sferrò un duplice attacco: prima in direzione di Roma e di Napoli, poi,
occupata Rimini e risalita l'Emilia, nell'area padana; rspinti i goti oltre il Po, nel 540 cadde anche la capitale Ravenna.
Con Totila gli ostrogoti continuarono a opporre una strenua resistenza, ma nel 552, nello scontro campale di Gualdo
Tadino, Totila fu sconfitto. L'anno successivo i goti, guidati da Teia, yentarono nuovamente la sorte delle armi
affrontando i bizantini in battaglia alle falde del Vesuvio, ma fu l'ultima e definitiva sconfitta.
Distrutto il regno italico degli ostrogoti, Giustiniano dovette affrontare il problema della sua ricostruzione: restituì ai
latifondisti romano-italici le terre che erano state loro confiscate, risarcì le chiese cattoliche dei danni patiti assegnando
loro pate dei beni delle chiese ariane, intervenne con la "Prammatica sanzione" a disegnare un quadro giuridico,
amministrativo e militare che fosse di valido supporto alle politiche avviate. Tale quadro prevedeva l'introduzione del
Corpus iuris civilis.
L'accresciuta imposizione di tasse a sostegno della politica imperiale di espansione verso l'Occidente generò nella
popolazione un forte malcontento.
Dopo la spedizione in Italia, una spedizione bizantina contro la Spagna visigota portò subito dopo (554) alla conquista
della parte sudorientale della penisola iberica.
Per quanto riguarda il Corpus iuris civilis, il progetto fu porttato a compimento negli anni 529-534: fu articolato in
quattro parti: il Codex, i Digesta, le Institutiones, le Novellae constitutiones.
Sotto il vigile controllo dello Stato fiorirono in età giustinianea e nei decenni successivi i commerci e le attività
produttive. Tale slancio economico fu assistito dalla solidità di una moneta aurea, il bisante.
Lo sforzo messo in atto da Giustiniano per ricostituire l'unità dell'impero di Roma secondo gli antichi confini, ridusse
allo stremo le finanze statali e costrinse a indebolire le difese lungo il confine con la Persia e a nord-est dove premevano
gli slavi.

DA GIUSTINIANO ALL'ICONOCLASTIA

Dopo Giustiniano le strutture amministratve e militari dell'impero conobbero una profonda riorgnaizzazione per
iniziativa degli imperatori Maurizio (582-602) e Eraclio (610-641); fu grazie a loro che l'impero potè venire a capo delle
gravissime difficoltà generandosi in quei decenni al suo interno e oltre frontiera.
Proseguendo l'opera di Maurizio, che aveva dato un nuovo assetto alle province occidentali unificando nelle mani degli
esarchi di Ravenna e di Catagine il potere militare e quello civile, Eraclio ridisegnò le circoscrizioni territoriali
d'Oriente (tèmi) mettendo a capo di ciascuna uno stratega e procedette a distriburvi terre a beneficio di militari,
coltivatori, così da porre le premesse per un esercito che non fosse costituito da merceari ma da soldaticoloni fortemente
motivati alla difesa del territorio.
Fra 626-630 Eraclio riuscì a occupare la capitale della Persia sassanide, Ctesifonte, e a respingere l'assalto lanciato da
avari e slvai contro Costantinopoli. I persiani furono così costretti a cedere ai bizantini le regioni che avevano loro
sottratto meno di vent'anni pria: Siria, Palestina, Egitto, parte della Mesopotamia.
L'offensiva militare degli arabi privò, tuttavia, l'impero di gran parte dei territori orientali, e stessa sorte avrebbero avuto
poco dopo quelli africani. Furono in tal modo vanificati i successi fino allora conseguiti dall'imperatore.
Nel 674 e 687 gli arabi giunsero a minacciare la stessa Costantinopoli.
In tale drammatico contesto fu merito della dinastia "Isaurica" (salita al trono con Leone III 717-741) il contenimento
dell'avanzata araba. Gli imperatori isaurici operarono significativaente anche in campo amministrativo, sostituendo le
prefetture del pretorio con quattro "logotesie" ( ministeri) e ponendo gli strateghi alle dirette dipendenze dell'imperatore.
Il processo di ellennizzazione si manifesta anche sul piano culturale, a seguito del riconoscimento del greco come
lingua ufficiale.
Nello stesso periodo molti furono i mutamenti registrati anche sotto il profilo economico e sociale; il rafforzamento
della piccola proprietà fondiaria amrciò in aprallelo con la crisi dei patrimoni maggiori; crebbe, inoltre, grazie alle
donazioni dei fedeli, la proprietà dei monasteri.
Si inserisce, agli inizi dell'VIII sec. Lo sviluppo, a partire dall'Asia Minore, di quel movimento iconoclasta che si
caratterizzava per l'avversione al culto delle immagini di Dio, Vergine e dei santi ovunque fossero riprodotte.
Leone III impose per decreto la distruzione delle immaigini (726) e ciò costò a lui e ai suoi seguaci la scomunica da
parte del papa Gregorio III. Ben presto la lotta che ne derivò fra iconoclasti e iconoduli, e che vide il figlio di Leone,
Costantivo V, proseguire con fermezza l'azione paterna, assunse coloriture politiche e sociali: le province occidentali si
trovarono contrapposte a quelle orientali. Lo scontro andò avanti per oltre un secolo. Negli anni dell'imperatore
Costantino VI si ebbe a Nicea, con il VII concilio ecumenico (787) un fermo pronunciamento contro l'iconoclastia; il
conflitto si chiuse nel 843 quando Michele II, richiamandosi al concilio del 787, reintrodusse il cuto delle immagini e
delle reliquie.

L'ITALIA BIZANTINA
La conquista dell'Italia da patre dei longobardi non vi cancellò la presenza bizantina.
Tutti i territori bizantini in Italia furono sottoposti all'autorità dell'esarca di Ravenna, nelle cui mani vennero riunite tutte
le funzioni pubbliche. Il ruolo preponderante delle città, il tipo di orgaizzazione fondiaria, il mantenimento come
cardine giuridico del codice di Giustiniano, furono solo alcuni degli elementi che marcarono nelle terre bizantine d?
italia la soppravvivenza dell'eredità romana.
Sotto il proflo sociale vi furono novità significative: funzionari e mercenari bizantini andarono a rafforzare il ceto dei
possessores. Contemporaneamente la frammentazione politica infliggeva un colpo durissimo ai patrimoni dei superstiti
membri dell'aristocrazia senatoria, mentre cresceva il peso economico-sociale e politico del clero e delle istituzioni
ecclesiastiche.
Il servizio in un esercito ormai votato ormai esclusivamente alla difesa dei confini dei vari ducati contro le aggressioni
longobarde, l'inserimento nei ranghi politici e amministrativi locali determinarono nelle popolazioni un forte senso di
appartenenza ai diversi contesti regionali, stimolando un sempre più marcato distacco sia dall'autorità esarcale che dal
potere imperiale.
Nel corso del VII e VIII sec, alla conflittualità che li vide contrapporsi all'espansionismo longobardo, si aggiunse per i
bizantini quella connessa alle dinamiche politiche interne, animate dalle mire autonomistiche dei ducati e da aperte
ribellioni degli esarchi all'autrità imperiale.

RAFFORZAMENTO DEL POTERE IMPERIALE ED ESPANSIONISMO TERRITORIALE


Nel corso dei secoli IX e X la fioritura delle attività artigiane e mercantili conferì notevole impulso alla vita economica
e sociale delle città dell'impero.
Diversamente, in ambito rurale, venne palesandosi la crisi di quella piccola proprietà fondiaria, detenuta da soldati e
contadini liberi. Si preoccuparono di ciò alcuni imperatori, quali Romano Lecapeno, Costantino VII e Basilio II, cui si
devono leggi appositamente elaborate per la difesa della piccola e edi proprietà. Comunque tutto ciò non valse ad
arrestare un processo che l'impoverimento dei ceti rurali, dovuto anche al prelievo fiscale, rendeva non arginabile.
In connessione con le vicende della proprietà, andavano diffondendosi nelle campagne rapporti di dipendenza personale
che rendevano la posizione dei contadini sempre più pesantemente subalterna a quella dei signori.
Nei secoli VIII e IX era intanto venuto consolidandosi il potere degli imperatori che tendeva ad affermare la propria
supremazia anche sul piano religioso (casaropapismo), qualificandosi come rappresentanti terreni del divino, nonchè
supremi difensori della chiesa e della retta dottrina; era l'imperatore a controllare direttamente le elezioni dei patriarchi
e a pronunciarsi in materia di dispute religiose.
Il cesaropapismo determinoò dunque un vincolo strettissimo fra Stato e Chiesa. Eletto nel 858, il patriarca Fozio, cercò
di contrastare le aspirazione dell'imperatore a una completa affermazione anche in ambito ecclesiastico, ebbe però
scarso successo.
I successi militari della dinastia macedone (867-1057) contribuirono al consolidamento delle posizioni imperiali; molti
territori furono sottratti in quel periodo alla dominazione islamica.
La dinastia dovette spendersi molto anche sul fronte dei Balcani e del Mar Nero, specialmente per arginare l'offensiva
dei bulgari e delle flottiglie del principato di Rus. A domare definitivamente i bulgari riuscì Basilio II; con lui tutta l'area
balcanica tornò sotto il controllo di Bisanzio, venendone riorganizzata sotto il profilo politico-amministrativo e sotto
quello religioso.
Anche nell'Italia del Mezzogiorno l'operato della dinastia macedone recò benefici alla dominazione bizantina, ampliata
con la conquista in Puglia e in Calabria.

AI CONFINI DELL'IMPERO: GLI SLAVI

Nel corso del VI sec. L'area balcanica dell'impero fu interessata dall'insediamento degli slavi, la cui migrazione non
conobbe la modalità dell'invasione militare o della razzia armata, ma sis volse con un lento e progressivo spostamento
verso ovest. Gli slavi erano una popolazione di abitudini sedentarie, dedita all'agricoltura e alla pastorizia; erano
originariamente stanziati nelle pianure poste tra Vistola, Dnestr e Dnepr e furono spinti verso ovest dalla pressione degli
Unni.
Dopo ripetuti attacchi contro l'impero bizantino estesero il loro insediamento ai Balcani.
Tra VIII e IX sec. Era possibile distinguere tra gli slavi tre gruppi principali: slavi orientali, slav occidentali e
meridionali.
L'impero carolingio e quello bizantino cercarono di bloccare l'espansione degli slavi, oltre che con le armi, con
iniziative diplomatiche e tentativi di avvicinamento culturale prevalentemente affidati all'evangelizzazione per parte di
missionari cristiani.
La cristianizzazione fu accompagnata dalla formazione dei primi Stati slavi. Nell'ambito delle popolazioni meridionali i
primi tentativi di costruzione di un organismo territoriale si verificarono presso i serbi, che nell'IX sec conquistarono
l'indipendenza dall'impero bizantino. Dalla metà dell'800 fiorì il regno della Grande Moravia ; a nord, nel X secolo, si
ebbe la fondazione del regno di Polonia.
5) I LONGOBARDI

L'INVASIONE DEI LNGOBARDI E LA ROTTURA DELL'UNITà POLITICA DELL'ITALIA

Nella primavera del 568 il popolo germanico dei longobardi si riversò entro i territori d'Italia; si trattava di individui che
procedevano senza un progetto preciso di conquista e di stanziamento, recando al seguito masserizie e armenti.
Provenivano dalla Pannonia.
Quando i longobardi irrupero in Italia erano passati circa 15 anni da quando Giustiniano l'aveva riunificata sotto la
dominazione dell'Impero sconfiggendo gli ostrogoti. La conquista a opera del poolo germanico di parte dei territori
italiani segnò la rottura dell'unità politica dell'Italia.
I longobardi, che operavano sotto la guida dei duchi, occuparono il Friuli, Veneto, Lombardia, Piemonte e Toscana; più
a sud conquistarono i vasti ducati di Spoleto e di Benevento. La loro avanzata non fu ostacolata da resistenze
significative; il fatto che essa non abbia potuto estendersi all'Italia intera dipese probabilmente dalla difesa che i
bizantini approntarono lungo le coste.
Il risultato fu quello di un complesso intreccio di terre sottoposte alle due dominazioni, con l'impossibilità per i
longobardi del Centro-Nord di comunicare con la Longobardia minor ( i ducati meridionali).

LA STRUTTURA SOCIALE DEL POPOLO LONGOBARDO

Alla tesa del popolo longobardo vi era il re, cui competevano le funzioni di capo militare di un popolo-esercito. Il re
veniva eletto dall'assemblea degli uomini liberi, gli arimanni, i quali avevano il diritto-dovere del servizio militare e
della partecipazione alle decisioni politiche. Il lavoro agricolo e pastorale era svolto dai servi, cui nessun diritto era
riconosciuto.
Alla base dell'organizzazione del popolo longobardo era la "fara", insieme di famiglile che costituiva l'unità di
riferimento nelle fasi della migrazione e nella vita militare; più fare obbedivano a un duca.
Al momento dell'invasione i longobardi erano di religione ariana, ma largamente praticavano ancora culti legati alla
tradizione germanica, di cui ci sono molte testimonianze.
L'impatto fra i longobrdi e la popolazione latina fu assai duro: diverse erano le lingue e le religioni e diversa era la
cncezione dello Stato, della politica e dell'amministrazione.
I longobardi non ebbero mano leggera nell'espropriazione delle terre neccessarie al loro stanziamento e alle attività
produttive: molti proprietari romani furono uccisi. Intorno ai gruppi di guerrieri che en garantirono originariamente il
presidio, si organizzarono le terre della "sala", che restarono nella diretta disponibilità dei loro discendenti.
È da ritenere che, sopratutto nelle regioni dove fu più denso il popolamento longobardo, le genti latine venissero
spogliate di gran parte dei loro possessi; per le terre che rimasero nelle loro mani furono costrette al versamento di un
tributo.
Politica, esercizio del potere e delle armi furono prerogative dei vincitori (i longobardi).
Solo con il trascorrere dei decenni, con la progressiva conversione dei longobardi al cattolicesimo, con la sempre più
ampia fusione delle due culture, il contrasto si attenuò fin quasi scomparire nell'VIII sec, quando le due entine appaiono
agli storici quasi integrate e danno l'impressione di costituire ormai un unico popolo.

L'ORGANIZZAZIONE DEL REGNO

Ad Alboino, che aveva condotto i longobardi alla conquista dell'Italia nel 572, gli sucesse Clefi (572-574)e dopo di lui,
per dieci anni, i duchi evitarono di eleggere un successore, liberando la propria iniziativa dall'intralcio che avrebbe
recato una superiore autorità. Nel 584, di fronte al rischio che la dominazione longobarda potesse dissolversi nella
frammentazione, si tornò a eleggere un re : Autari; con lui il potere regio si rafforzò anche patrimonialmente per la
cessione da parte dei duchi della metà delle loro terre. Gli successe Agilulfo (590-616); se Autari aveva cominciato a
porre le premesse della conversione dei longobardi al cattolicesimo, ulteriori passsi in questa direzione si compirono
negli anni di Agilulfo.
La conversione dall'arianesimo al cattolicesimo della famiglia regia non determinò, tuttavia, un'accelerazione forte nel
processo di conversione del popolo, il quale ebbe bisgno di tempi lunghi: solo nell' VIII secolo la conversione potè dirsi
compiuta.
Gia nella prima fase della conquista, il regno longobardo prese a strutturarsi in ducati, ciascuno sottoposto all'autrità di
un duca e territorialmente costruito attorno a una città ubicata per solito lungo una delle amggiori vie di comunicazione.
Alle dipendenze dei duchi operavano funzionari di minore dignità, gli "sculdasci". I beni del fisco regio erano affidati
all'amministrazione di funzionari chiamati "gastaldi", scelti dal sovrano, e dunque amovibili secondo la sua volontà; nel
tempo le funzioni dei gastaldi vennero ampliate alla sfera giudiziaria.
Fra le figure dei re longobardi particolare rilievo assume quella di Rotari (636-652), il quale affiancò a imprese di
carattere militare (conquista della Liguria) altre iniziative intese a una più solida organizzazione del regno.
Fondamentale fu quella di far mettere per iscritto, modificandole secondo le esigenze dei tempi, le antiche leggi e
consuetudini del suo popolo; ne scaturì quell'Editto di Rotari che rappresenta una delle fonti di maggiore interesse per la
storia sociale, economica e culturale del popolo longobardo nel periodo dello stanziamento in Italia.
Nell'Editto si affrontano questioni che attengono alle procedure giudiziarie, al diritto civile, penale e aministrativo; ne
derivano informazioni su un'economia che appare prevalentemente fondata sull'allevamento e sullo sfruttamento delle
foreste e degli incolti, ma sopratutto l'editto interviene a modificare alcuni capisaldi del diritto consuetudinario
germanico, primo fra tutti il ricorso alla "faida": a essa l'editto sostituiva il versamento da parte del colpevole di una
somma di denaro (wertgeld) come rsarcimento del danno inferto; la somma variava a seconda della gravità del delitto e
si rapportava alla posizione sociale dell'offeso.
Di particolare debolezza era nella società longobarda, la posizione delle donne, caratterizzata da una arcata subalternità;
le donne non potevano rivendicare alcun diritto sull'eredità paterna.

L'VIII SECOLO : MATURITà E CADUTA DEL REGNO LONGOBARDO

La conversione al cattolicesimo, la contaminazione fra le culture, il numero crescente di matrimoni misti avevano spinto
verso l'interpenetrazione dei due popoli. Particolarmente significativo risulta il contenuto di un editto emanato da
Astolfo nel 750, con il quale era definito sulla base del censo l'armamento di cui dovevano munirsi i liberi del regno,
longobardi e romani, al momento di prestare il servizio militare.
Della coesione sociale interna e della crisi che investiva i rapporti tra il papato e l'impero d'Oriente a causa
dell'iconoclastia, pensò di approfittare Liutprando (712-744), il quale riprese a operare militarmente per l'espansione dei
domini longobardi. Nel 727 il re invase le terre bizantine dell'Esarcato e della Pentapoli e successivamente penetrò in
quelle del ducato di Roma con l'intenzione di marciare sulla città.
Ad affrontare il sovrano intervenne il papa; Liutprando, di fede cattolica, si piegò alla volontà di Gregorio II, ma
anzichè restituire il castello di Sutri a Bisanzio, lo donò alla Chiesa (728).
Pochi anni più tardi Liutprando riaprì il conflitto con l'impero, giungendo nel 739 ad assediare Roma, impresa che
avrebbe abbandonato solo per correre il sccorso di Calo Martello, impegnato a contrastare gli arabi in Provenza.
Altrttanto aggresiva fu la politica messa in atto contro i bizantini da Astolfo (749-756) e del suo successore Desiderio
(756-774). Fu nel 751 che il primo riuscì a conquistare l'Esarcato, spingendo il nuovo papa Stefano II a definire
un'alleanza con la dinastia franca dei pipinidi. Con due spedizioni in Italia (755 e 756) Pipino il Breve sconfisse
ripetutamente i longobardi e costrinse Astolfo a cedere le terre conquistate alla Chiesa di Roma.
Esito ancor più drammatico avrebbe avuto l'analoga politica espansionistica di re Desiderio, sconfitto e detronizzato da
Carlo Magno e costretto a vedere il Regno Longobardo sottomesso alla dominazione franca.
Dopo la cessione delle terre operata da Astolfo, è stato redatto negli ambienti di curia il Constitutum Constantini, un
falso, secondo cui l'imperatore Costantino, riconoscente per la guarigione da un grave morbo ottenuta da papa Silvestro
I, avrebbe donato alla chiesa di Roma la parte occidentale dell'impero.

I LONGOBARDI DEL SUD

La caduta del regno non mpedì al ducato di Benevento di continuare a esistere salvaguardando la propria indipendenza.
Sconfitto Desiderio dai franchi, il duca Arechi si fregiò del titolo di principes gentis Langobardorum.
Le campagne militari condotte tra 791 e 806 dal figlio di Carlo Magno, Pipino, misero a dura prova la capacità di
resistenza dei duchi; la vicenda potè chiudersi con modeste cessioni territoriali da parte di quest'ultimi.
Benevento stava, intanto, assumendo il profilo di una vera e propria capitale e anche Salerno cresceva notevolmente.
Venuta meno l'incombente minaccia carolingia, il ducto prese però a essere travagliato da continue lotte di potere.
Nell'849 fu diviso in due parti aventi come centri principali Benevento e Salerno.
6) GLI ARABI E L'ESPANSIONE ISLAMICA

L'ARABIA PRIMA DI MAOMETTO

Quando la figura di Maometto si affacciò sulla scena del mondo arabo, la penisola arabica, abitata da tribù nomadi di
beduini e da tribù sedentarie di contadini e artigiani, si caratterizzava per una trama insediativa debole e frammentata
cui davano corpo le rare città e le numerose oasi. L'agricoltura trovava più larga diffusione, grazie al beneficio delle
pioggie monsoniche, nella parte meridionale della penisola, mentre al Centro-Nord prevaleva, data la presenza
dominante del deserto, l'allevamento di cammelli, pecore e capre; anche i mercanti si aggiravano incessantemente nel
deserto, riuniti in carovane.
L'importanza della citta della Mecca era legata all'essere ubicata all'incrocio dei diversi itinerari e al proporsi per questo
come naturale luogo di scambio.
Gli abitanti delle città e i beduini del deserto erano organizzati in tribù che potevano confederarsi o contrapporsi;
politeismo e animismo erano le reliioni prevalenti e vi era, inoltre, la presenza di comunità di ebrei e cristiani.

MAOMETTO E L'ISLAM

Secondo le fonti, Maometto sarebbe nato alla Mecca intorno al 570 da famiglia di mercanti e avrebbe sposato una ricca
vedova conseguendo in tal modo una posizione economica che gli avrebbe consentito di lasciare i commerci e di
dedicarsi interamente alla riflessione religiosa. (Avrebbe avuto l'apparizione dell'arcangelo Gabriele che lo avrebbe
invitato a farsi messaggero della parola dell'unico Dio (Allah); sarebbero così cominciati,nel 610, i suoi contatti col
divino e poco più tardi la sua perdicazione).
La predicazione di Maometto non ebbe difficoltà ad attecchire in un contesto già sensibilizzato alle istanze delle
religione monoteiste.
Maometto proclamava la necessità di un ritorno alle radici, con la totale dedizione del fedele ad Allah, unico Dio, nel
riconoscimento dello stesso Maometto come suo profeta.
L'èlite mercantile che governava la città prese, dunque, a guardare con crescente sospetto l'ampliarsi del numero degli
adepti della predicazione maomettana.
Si giunse nel 622 a indurre Maometto e quanti lo seguivano alla fuga dalla città; i fuggiaschi trovarono ospitalità
nell'oasi di Yathrib, che prenderà il nome di Medina ("Città del profeta"). Qui Maometto avrebbe organizzato i seguaci
della nuova religione, l'islam, in una comunità separata riuscendo in breve a imporsi nel governo della città e a costruire
intorno ad essa uno Stato.
Nel 629 anche La Mecca cadde in potere di Maometto; ne seguì la distruzione degli idoli e la proclamazione del culto
dell'unico Dio.
Le rivelazioni fatte da Dio al profeta perchè si diffondesse fra gli uomini sarebbero state raccolte nel 653, per volontà
del califfo Othman, nel Corano, il libro sacro dell'islam composto in 114 capitoli. Esso annuncia la fine del mondo,il
giudizio divino, il premio per i buoni credenti e individua i "cinque pilastri" della religione musulmana: la professione
di fede secondo cui non esiste altro Dio all'infuori di Allah, l'obbligo di pregare 5 volte al giorno avendo come punto di
riferimento La Mecca, la purificazione attraverso il digiuno nel emse di Ramadan, il pellegrinaggio alla Mecca almeno
una volta nella vita e l'elemosina legale, cui sono tenuti i fedeli benestanti per il sostentamento dei bisognosi.
Oltre Medina e La Mecca, anche Gerusalemme è considerata dai musulmani città santa.
Nel Corano i musulmani ricercano la soluzione dei problemi legati alla vita individuale, familiare e sociale; dove non
soccorra il Corano si fa ricorso alla sunna, legata alla lettura dell'operato di Maometto in specifiche circostanze. È noto
come il diritto musulmano, di cui la sunna è uno dei plastri fondamentali, releghi la donna in una posizione del tutto
subalterna rispetto a quella dell'uomo.

I "QUATTRO CALIFFI" (632-661) E LA PRIMA ESPANSIONE DELL'ISLAM

Maometto, tuttavia, non aveva designato un proprio successore nè aveva indicato i critetri cui richiamarsi per
individuare uno. Alla sua morte, nel 632, il problema si pose, e alcuni dei suoi seguaci riuscirono a imporre con la forza
Abu Bakr (632-634), che del profeta era suocero e a cui fu riconosciuto il titolo di califfo. Egli dovette impegnarsi
sopratutto nel consolidamento delle più recenti conquiste dell'islam, ma già sotto il suo successore Omar (634-644) si
registrò una vigorosa avanzata musulmana in Persia, in Asia minore e nel Nord Africa.
Quando nel 661 ebbe termine la serie dei califfi legati al profeta da vincli di parentela si esaurì con essi la cosiddetta
"età dei quattro califfi" e gli arabi dominavano interamente la Siria, l'Egitto, la Palestina,l'Iraq e la Persia.
L'avanzata era stata resa possibile dal sovrappopolamento della penisola iberica e dalla buona organizzazione militare
che gli arabi seppero darsi sotto la guida di comandanti già sperimentati nella fila degli eserciti bizantino e persiano,
come pure dalla pochezza della resistenza incontrata e anche dal favore delle popolazioni oppresse dall'esoso fiscalismo
bizantino.
I territori conquistati furono organizzati in province, affidati al governo di un emiro, e sottoposti al controllo di presìdi
armati stabili.
A seguito delle comquiste, la società islamica si fece più complessa.i capi delle tribù e dei clan familiari assunsero un
ruolo egemone; la distribuzione delle ingenti ricchezze acquisite determinò una stratificazione sociale ed economica che
veniva a contrastare co gli insegnamenti di uguaglianza del Corano. Altre differenze di status: i "non arabi" convertiti si
trovarono in una situazione di subalternità rispetto ai musulmani arabi in quanto, non erano ammessi nell'esercito e non
beneficiavano di quanto era legato all'esercizio delle armi.
Cristiani ed ebrei non convertiti formavano comunità a sè stanti e potevano conservare la loro religione e la loro
organizzazione sociale, e anche sul piano fiscale non erano sottoposti a prelievi ingenti.
Fra gli schieramenti che sanguinosamente si confrontarono, quello ispirato alla figura di Alì, ultimo dei califfi legato da
rapporti di parentela con il profeta, sosteneva che solo i suoi discendenti potessero accedere al califfato: si tratta della
componente islamica degli "sciiti" che ebbe a confliggere con i "sunniti", i quali, affidavano al califfo il compito di
conciliare la dottrina con le esigenze della comunità. L'assasinio di Alì (661) e l'affermazione del sunnita Mu'awuya
aprirono la strada del potere al clan familiare degli omayyadi, che avrebbe governato l'impero fino a metà del secolo
successivo.

L'ISLAM SOTTO LA DINASTIA OMAYYADE

L'ultimo del "quattro califfi" aveva trasferito la capitale delcaliffato a Kufa, nel basso Iraq. Con l'avvento degli
omayyadi la capitale divenne Damasco,la cui posizione assicurava una presenza più incombente sull'impero
bizantino,un buon controllo delle coste mediterranee e dell'Iraq.
Da Damasco i califfi si proiettarono in incessanti campagne di conquista che dilatarono in ogni direzione i confini del
loro dominio ; Costantinopoli fu assediata più volte, del Mediterraneo divennero be resto padroni, vessando con
incursioni piratesche le popolazioni delle isole e delle coste: in meno di 40 anni furono conquistate le coste dell'Africa
fino a giungere alla costa atlantica.
Nel 711 cominciò da Gibilterra la rapida conquista della penisola iberica , per la quale occorsero solo 5 anni,anche in
ragione della favorevole accoglienza di buona parte della popolazione, stanca dell'inefficente governo dei visigoti. Alla
conquista dei territori iberici fece seguito quella della Gallia.
La sconfitta patita nel 732 a Poitiers a opera dei franchi guidati da Carlo Martello non impedì agli islamici di presidiare
ancora per qualche anno alcuni territori della Provenza e della Linguadoca.
I territori conquistati furono organizzati nell'emirato di al-Andalus che ebbe in Cordova la sua capitale.
L'offensiva dei califfi omayyadi si indirizzò anche verso l'Asia Centrale e l'India.

IL CALIFFATO ABBASIDE

La permanente ostilità degli sciiti e l'irrequietezza di talune province connessa ad aspirazioni secessioniste
determinarono la caduta degli omayyadi e l'avvento della dinastia abbaside. Gli abbasidi si posero nel 747 alla testa di
un'insurrezione che mosse dalla Persia; nel 750 giunsero a impadronirsi del potere.
Cuore del califfato divenne, con la nuova dinastia, l'Iraq dove nel 762 il califfo fondò la città capitale: Baghdad, la quale
crebbe fino a superare le dimensioni e la popolazione di Costantinopoli.
La struttura dello Stato abbaside esaltò la centralità della figura del califfo; l'esercito non fu più reclutato su base tribale
e cessò di essere composto in netta prevalenza da arabi.
Il periodo dell dominazione abbaside fu anche caratterizzato da una grande fioritura delle scienze e delle arti:progressi
si ebbero in numerosi campi disciplinari, quali astronomia, fisica, matematica e medicina.
Anche le diverse attività produttive registrarono progressi considerevoli; ciò accadde particolarmente per l'agricoltura,
con la diffusione della "noria", una ruota meccanica che consentiva l'elevazione delle acque; inoltre nuove piante furono
introdotte dall'Oriente. Contribuirono sgravi fiscali a beneficio del settore, come pure la riorganizzazione del possesso
fondiario e la formazione di vaste proprietà.

VERSO LA FINE DELL'UNITà ISLAMICA

LA solidità del califfato venne minata da spinte autonomistiche e da conflitti sociali intenrni. Nella penisola iberica, un
esponente della sconfitta dinastia omayyade aveva fondato, fin dal 756, l'emirato di Cordova, che ben presto si sarebbe
affrancato da ogni dipendenza da Baghdad, esso stesso trasformandosi nel 929 in califfato.
Grazie a una politica di piena tolleranza, il califfato di Cordova conobbe una grande fioritura sul piano economico e
culturale; cessò di esistere nel 1031 a seguito di insorte difficoltà interne e per la vigorosa offensiva militare messa in
atto dai regni cristiani.
Nello stesso periodo si affermò in Egitto la dinastia dei fatimiti, che fondò un califfato.
Con la seconda metà del IX secolo crebbe nel califfato abbaside il malcontento delle popolazioni rurali per le
inaccettabili condizioni in cui si trovavano a vivere gli schiavi e i contadini poveri. Nelll'869 scoppiò la rivolta degli
schiavi africani e solo nell'882 le truppe califfali riuscirono ad avere la meglio.
Pochi anni dopo fu la rivolta dei karmati, che dopo aver preso La Mecca sottoscrissero nel 939 un trattato di pace con il
califfo. Nonostante le gravi difficoltà, la dinastia abbaside si mantenne al potere fino al 1258, quando i mongoli
entrarono a Baghdad saccheggiandola.
LA CONQUISTA ISLAMICA DELLA SICILIA

Le conquiste militari degli abbasidi furono limitate: deve ricordarsi la conquista, lenta e faticosa, della Sicilia bizantina.
Le operazioni militari ebbero inizio nel 827 e portarono rapidamente alla conquista dei territori occidentali dell'isola.
Si ebbe tra 842 e 843 la presa di Messina e nel 878 quella di Siracusa.
La lentezza con cui fu portata a termine la conquista della Sicilia fu dovuta, oltre che alla resistenza bizantina, ai dissidi
che a più riprese si registrarono fra le diverse componenti dell'esercito islamico; nel corso del secolo, counque, l'isola fu
conquistata nella quasi interezza.
Dopo la conquista, la Sicilia fu istituita in emirato sotto la dinastia dei kalbiti, che seppero garantire all'isola un lungo
periodo di benessere e prosperità.
Notevoli progressi conobbe l'agricoltura. Anche sotto il profilo culturale gli oltre due secoli di dominazione islamica
segnarono positivamente la storia della Sicilia: fiorirono gli studi religiosi, storici, filologici e grande importanza fu
riconosiuta alla poesia.
7) L'IMPERO CAROLINGIO

L'ASCESA DEI PIPINIDI

Nel regno franco del VI secolo, con l'indebolimento del potere regio a seguito delle lotte di successione, ha cominciato
ad acquistare sempre maggiore importanza la carica di maestro di palazzo, che da quel momento passò a designare i tre
funzionari posti dai sovrani a capo dell'amministrazione dei tre regni (Austrasia, Neustria e Burgundia). Sull'Austrasia
si stava affermando una dinasta di maestri di palazzo dal grande futuro. Gli esponenti di questa famiglia, indicata dagli
storici come arnolfingia-pipinide e poi carolingia, riuscirono a rendere ereditaria la carica di maestro di palazzo e
poterono così disporre del vasto patrimonio regio per crearsi una numerosa e potente clientela armata; a tal fine si
avvalsero dell'istituzione del vassaticum.
L'utilizzazione dell'istituto del vassaticum consentì ai pipinidi di crearsi una potente clientela militare fra gli
aristocratici, ricompensata dapprima con i cospicui beni familiari, poi con le terre del fisco regio e con quelle delle
immense proprietà ecclesiastiche.
Fu grazie a questa base militare e politica che i pipinidi conobbero una rapida ascesa, culminata nel 687 con la vittoria
sulla Neustria a opera di Pipino II, che divenne di fatto l'unico maestro di palazzo dei tre regni.
A consolidare i destini della dinastia fu il figlio di Pipino, Carlo Martello, il quale riuscì a respingere una pericolosa
offensiva degli arabi sconfiggendoli a Poitiers (732) in una battaglia che gli conferì il ruolo di difensore della cristianità.
Negli stessi anni, con una serie di campagne militari, respinse le incursioni di sassoni e frisoni e sottomise i ducati di
Alamannia e Baviera. A completare la sua opera, incoraggiò l'evangelizzazione delle nuove terre.
Ormai il amestro di palazzo si comportva di fatto come un re, tanto che quando nel 737 morì il sovrano Teodorico IV,
Carlo Martello lasciò il trono vacante. La formale liquidazione della dinastia merovingia fu compiuta da suo figlio
Pipino il Breve, il quale depose l'ultimo re Childerino III nel 751.

DA PIPINO IL BREVE A CARLO MAGNO

Con l'ascesa al trono della nuova dinastia riprese l'espansionismo militare dei franchi.Per onorare il patto stipulato con
Stefano II, che lo vincolava a soccorrere il pontefice, Pipino condusse due spedizioni in Italia (755-56) e riconquistò
L'Esarcato, ma anzichè ristituirlo ai bizantini lo consegnò al papa.
Roma si legava più strettamente all'Occidente,mentre prendeva vita una progressiva bipartizione del mondo cristiano: in
Oriente il cristianesimo sarebbe rimasto sotto l'autorità degli imperatori fino alla fine del emdioevo, mentre in
Occidente sarebbe passato sotto la guida del papato romano.
Negli stessi anni Pipino conquistava la Settimania, l'Aquitania e avviava una campagna contro i sassoni.
Alla sua morte, nel 768, il regno fu diviso tra i figli Carlo e Carlomanno, ma la morte di Calomanno nel 771 consegnò il
regno al fratello, che riprese la politica espansionistica del padre.
Carlo iniziò contro i sassoni una guerra lunga e sanguinosa (772-804) e si concluse con la conversione forzata al
cristianesimo del capo sassone e della sua gente.
A rendere ancora più stabile la situazione si aggiunse la sottomissione e la conversione degli àvari, popolazione
mongola insediatasi al centro della pianura danubiana.
Nel 778 Carlo si mosse verso la penisola iberica, ma giunto a Pamplona fu richiamato indietro dalla notizia di una
nuova rivolta dei sassoni e sulla via del ritorno, nello stretto passo di Roncisvalle, la sua retroguardia fu attaccata e
massacrata dai baschi; in seguito (813), dopo una nuova campagna, Carlo riuscì a creare un distretto di confine formata
dalla Navarra e da parte della Catalogna. Fra 788 e 794 anche Baviera e Carinzia vennero integrate nel regno franco.
Conquista del regno longobardo: i presupposti vanno cercati nell'allenza con il papato avviata da Pipino e nella
posizione dei vescovi di Roma, sempre più lontani dall'impero bizantino e preoccupati per le mire espansionistiche dei
longobardi.
Desiderio,dopo aver occupato alcune città delle Marche e dell'Umbria nel 773,spinse il suo attacco contro il ducato di
Roma. Adriano invocò allora l'aiuto di Carlo, che si mosse contro i longobardi, li sconfisse e mise l'assedio a Pavia; la
capitale cadde nel giugno del 774 segnando così la fine del regno.
A seguito di tali eventi, Carlo potè aggiungere al titolo di Rex Francorum quello di rex Langobardorum, il reno
longobardo infatti non fu soppresso e continuò a costituire un'entità politica distinta, affidata al figlio di Carlo, Pipino.

L'INCORONAZIONE DI CARLO MAGNO

Basilare per il consolidamento della posizione di Carlo fu l'incoronazione a imperatore, avvenuta a Roma nella notte di
Natale dell'800. L'occasione fu data dalla fuga di papa Leone III, il quale, accusato di spergiuro e di comportamento
scandaloso e imprigionato nel monastero di S.Erasmo, fu liberato per l'intervento di due missi franchi e accompagnato a
Paderborn dove si trovava Carlo; il re ordinò allora che Leone venisse nuovamente scortato fino a Roma, dove lo
raggiunse il 24 dicembre dell'800, al fine di presiedere un tribunale che riabilitasse il pontefice. Due giorni dopo il papa
poneva sul suo capo una corona, mentre Carlo veniva acclamato "grande e pacifico imperatore dei romani".
Se l'incoronazione finiva col premiare anche la Chiesa di Roma confermandone la supremazia nella sfera religiosa,
indeboliva decisamente l'impero d'Oriente. Nell'812 si finì, comunque, per siglare un accordo con il quale l'imperatore
Michele I riiconosceva il ruolo di Carlo in cambio della rinuncia dei franchi a Venezia.

L'ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA DELL'IMPERO CAROLINGIO

Carlo Magno cercò di dare ai vasti domini del regno una struttura politica e organizzativa centralizzata. Il territorio fu
inquadrato in una rete di distretti territoriali, i comitati, che vennero affidati ai comites (conti). I conti appartenevano a
potenti famiglie aristocratiche e dipendevano direttamente dal sovrano, in nome del quale amministravano la giustizia,
convocavano e guidavano l'esercito; come compenso incameravano i proventi dell'azione giudiziaria, le esazioni dei
pedaggi e ricevevano in beneficio terre ubicate all'interno del comitato. Alle frontiere vennero istituiti ducati e marche,
alle quali erano preposti funzionari.
Per sorvegliare l'operato dei funzionari Carlo Magno fece ricorso all'istituto dei missi dominici, che periodicamente
ispezionavano una circoscrizione e riferivano al sovrano; di solito erano nominati a coppie, formati da un vescovo e da
un laico, scelto per lo più tra i funzionari del palatium.
Al centro il governo era costituito dal palatium, che indicava sia la reggia sia l'insieme del sovrano con i funzionari di
corte. Tra questi avevano un ruolo di rilievo i conti palatini, con mansioni giudiziarie, e l'arcicapellano, capo dei chierici
di palazzo.
Per rafforzare il ruolo del governo centrale, Carlo scelse come residenza principale Aquisgrana.
Il potere centrale intervenne nella vita dell'impero anche attraverso un'intensiva attività legislativa, che si concretizzò
nei "capitolari"-leggi costituite da brevi articoli- emanati dal re nel corso di assemblee annuali dette "placiti".
Nonostante questo sforzo di unificazione normativa, i capitolri non riuscirono a sostituire le leggeri dei diversi popoli,
ma si affiancarono a esse.
Allo scopo di rendere più solida l'amministrazione e garantirsi la fedeltà dei funzionari regi, Carlo ricorse ai rapporti
vassallatico-beneficiari. Egli applicò il vassaticum ai rapporti con i funzionari pubblici, scegliendo conti, duchi e
marchesi fra i vassalli dominici (vassalli del re). Era un tentativo di vincere le tendenze centrifughe dell'aristocrazia
rafforzando la subordinazione dei funzionari con il giuramento di fedeltà vassallatica.
Anche l'istituto dell'immunità, già diffuso con i merovingi, fu utilizzato e modificato da Carlo per dare maggiore
coesione al regno. L'immunità consisteva nel privilegio concesso a vescovi, abati e laici di vietare l'ingresso dei
funzionari regi nelle terre sottoposte alla loro autorità; queste venivano così sottratte ai poteri di conti e marchesi e poste
sotto la diretta tutela del re. Carlo cercò di ricondurre anche le terre degli immunisti soto il controllo regio imponendo
loro la presenza di agenti laici scelti dal sovrano o in accordo con lo stesso.

LA "RINASCITA CAROLINGIA"

Con Carlo Magno si ebbe un programma culturale, concretizzatosi in una serie di iniziative che ebbero come centro
propulsore la Schola Palatina (scuola di palazzo), un'accademia sorta presso la corte di Aquisgrana e formata da
intellettuali provenienti da ogni parte d'Europa.
Grazie a questi personaggi la corte di Carlo divenne un luogo di elaborazione della cultura ecclesiastica dal quale
sarebbe partita non solo la riforma della chiesa franca,ma anche una nuova organizzazione scolastica. Gli esponenti di
quel cenacolo aspiravano alla creazione di un linguaggio e di un sistema di istruzione comune che fornisse al clero gli
strumenti per svolgere adeguatamente il ruolo che gli competeva nel governo dello Stato.
Vi fu nello Stato carolingio la diffusione di una nuova scrittura denominata "minuscola carolina".

DOPO CARLO MAGNO: LA FRAMMENTAZIONE DELL'IMPERO

Secondo la tradizione franca, che prevedeva la divisione del regno tra gli eredi, nell'806 Carlo risolse il problema della
successione dividendo i territori dell'impero fra i tre figli maschi; tuttavia la scomparsa precoce di Carlo e Pipino fece sì
che alla sua morte (814) Ludovico fosse l'unico a sopravvivergli. Nella prima parte del suo regno mise al centro della
sua politica il problema dell'unità imperiale. Nell'817 pubblicò una costituzione nella quale proclamava l'uità
dell'impero e lo affidava a suo figlio Lotario; agli altri figli, Pipino e Ludovico, assegnava i due regni di Aquitania e
Baviera.
La situazione rimase stabile sino a quando nell'829, Ludovico decise di modificare la divisione stabilita per favorire un
nuovo figlio, Carlo; ne scaturì un contrasto violento tra l'imperatore e i suoi figli. Nell'840venuto meno Pipino,
Ludovico e Carlo il Calvo si coalizzarono contro Lotario, divenuto nel frattempo imperatore. Dopo averlo sconfitto a
Auxerre (841) i due si incontrarono nell'842 a Strasburgo per stipulare un patto di alleanza. L'anno successivo Lotario
fu costretto ad accettare il trattato di Verdun e a spartire con i fratelli l'impero: a Carlo il Calvo andò la parte
occidentale, a Ludovico quella orientale e a Lotario la parte di mezzo. A succedere a Lotario nel titolo di imperatore fu
il figlio Ludovico II. Il sogno di una restaurazione imperiale parve realizzarsi quando la morte di Carlo II il Calvo
consegnò la corona imperiale a Carlo III,con il quale i territori carolingi furono riunificati un'ultima volta.
Ormai però il potere imperiale era indebolito dall'offensiva della grande aristocrazia; Carlo III fu poi deposto nell'887.
In Franca fu allora eletto re Eude mentre nella parte orientale venne incoronato imperatore Arnolfo di Carinzia:
l'impero carolingio era definitivamente smembrato.
8) AMBIENTE, ECONOMIA, POPOLAMENTO. SECOLI VI-X

DEMOGRAFIA E AMBIENTE

L'impatto sull'Europa occidentale delle migrazioni germaniche che si abbatterono su di essa tra la fine del IV e il VI
secolo produsse un forte immiserimento delle condizioni di vita della popolazione (guerre, razzie, saccheggi
accompagnati da carestie ed epiedemie).
Molte città una volta fiorenti si spopolarono fino a scomparire del tutto, altre subirono un calo demografico vistoso.
Il titolo di civitas rimase ad alcuni insediamenti solo per il fatto di continuare a essere sede episcopale.
Lo scarso numero di uomini impediva che si potesse prestare l'attenzione dovuta alle acque di scorrimento, rinforzando
gli argini di fiumi e torrenti, e alla manuntenzione di fossi e canali artificiali, con il risultato che paludi, acquitrini,
stagni ovunque si generavano mescolandosi alle selve.
Tutto ciò finì col cancellare anche buona parte della rete viaria antica.
Il forte declino demografico e la depressione demica a esso seguita ebbero cause diverse.
Le azioni di guerra e le violenze che caratterizzarono il periodo delle invasioni contribuirono all'elevato tasso di
mortalità; inoltre al flagello delle guerre si univano quelli indotti dalle calamità naturali; da queste derivavano infatti
carestie ed epidemie. Per il periodo tra il VI e VIII secolo sono state contate circa venti ondate epidemiche di vasta
portata.
Per l'Europa del VII secolo si è potuto ipotizzare una popolazione che non raggiungeva i 30 milioni di abitanti, la quale
avrebbe, tuttavia, conosciuto un timido incremento a partire dall'VIII secolo, probabilmente a seguito del miglioramento
delle condizioni di vita.

BOSCHI, PALUDI, COLTIVI

Si è visto come il forte calo demografico che caratterizzò i primi secoli del medioevo abbia determinato un'incontenibile
avanzata delle terre incolte in danno dei coltivi.
Il bosco divenne in breve una risorsa primaria per la sussistenza delle popolazioni; esso costituì il luogo ottimale per
l'allevamento e la caccia. Corsi d'acqua, paludi e stagni offrivano, inoltre, la possibilità di pesche fruttuose.
Il bosco era tanto più prezioso in quanto soddisfaceva ampiamente anche il fabbisogno di legname, che era legato a
esigenze diverse: la costruzione di case, il riscaldamento, la fabbricazione di strumenti agricoli, imbarcazioni e utensili
vari.
Nell'ambito dei coltivi, che a partire dall'VIII secolo presero a guadagnare un pò di superficie, seminativi e vigne
marcavano le presenze più significative. Sui primi si effettuava la semina di una molteplicità di cereali; invece del
frumento, si ebbe una scelta policerealicola che esaltava in particolar modo il segale, per due motivi: 1.maggiore resa
unitaria garantita dai cereali "minori" rispetto al frumento, 2.la volontà di ridurre gli effetti dei fenomeni atmosferici
negativi attraverso la scelta di cereali dal ciclo vegetativo di durata breve.
Anche la viticoltura conobbe, spcialmente nei secoli IX-X, un increento che interessò sopratutto le aree collinari.
Tuttavia, le modeste conoscenze tecniche e gli inadeguati strumenti a disposizione del coltivatore non consentivano
all'agricoltura altomedievale livelli di produttività soddisfacenti.

ORDINAMENTO DELLA CURTIS E PROPRIETà FONDIARIA

Nella curtis ( villa in Francia e Germania) si organizzò, a partire dall'VIII secolo, la grande proprietà fiscale,
ecclesiastica e laica. Per essa ebbe vita quel "sistema curtense" della produzione che caratterizzò gran parte dei territori
dell'Europa occidentale.
Tale sistema era fondato 1.sull'esistenza di un centro amministrativo costituito dalla residenza padronale, dai laboratori
artigianali e dalle dimore dei servi e 2.sulla bipartizione dei terreni della curtis in un settore a gestione padronale diretta
(dominico) e in altro a gestione indiretta (massaricio), suddiviso in mansi. In progresso di tempo il massaricio venne
ampliandosi ai danni del dominico.
Le terre del dominico garantivano almeno in parte attorno alla residenza del proprietario, ma potevano disporsi sul
territorio anche in maniera non coerente, mescolandosi con quelle del massaricio.
La conduzione della parte dominica avveniva con il ricorso al lavoro dei servi e dalle prestazioni d'opera gratuite
(corvèes) cui erano tenuti i concessionari dei mansi, fossero essi di condizione libera o servile.
Proprio le corvèes rappresentavano il collegamento fra le due parti in cui si articolava la curtis, configurandosi come
elemento essenziale per il funzionamento di quel sistema produttivo.
La curtis ebbe il suo impianto originario nei territori tra la Loira e Reno, e da lì prese a espandersi seguendo le direttrici
delle conquiste carolingie. In Italia si affermò dopo la conquista franca del 774, e in molte regioni venne a sovrapporsi a
un'organizzazione fondiaria.
Il processo di concentramento della proprietà fondiaria che portò alla formazione e al consolidamento della curtis
avvenne in Italia parallelamente alla diffusione del contratto di livello; con tale contratto, i contadini liberi, dopo aver
ceduto i propri beni ai maggiori proprietari laici ed ecclesiastici, se li vedevano concessi per la messa a coltura dietro
l'impegno a versare canoni di natura ed entità diverse e a fornire prestazioni di lavoro in numero variabile a seconda
delle situazioni.
La diffusione delle curtes avvenne contestualmente a un lento,ma significativo, processo di colonizzazione agraria e di
lotta agli incolti e alle paludi. In talune zone si determinò così un'eccedenza delle produzioni agricole, che innescò una
trama di scambi commerciali destinati a travalicare i confini dei singoli patrimoni.
L'olio, il sale e il ferro erano fra le merci più commercializzate.

LA CONTRAZIONE DEI COMMERCI

Una rete di mercati e di fiere curtensi e intercurtensi si creò per esigenze locali di distribuzione delle produzioni agricole
e artigianali. Essa fu sostenuta dal conio di monete argentee di modesto valore operato presso le numerose zecche che
valorizzavano le risorse metalliche territoriali. A questa rete di scambi locali altri commerci si affiancavano di raggio
più ampio, che mettevano in contatto fra loro regioni non confinanti e perfino paesi d'Oriente con l?occidente
emditerraneo.
(guarda pag.104-105-106)
9) LE SECONDE INVASIONI E L'EUROPA POSTCAROLINGIA

LE INCURSIONI UNGARE E SARACENE

Una nuova ondata di invasioni investì l'Europa occidentale tra IX e X secolo, modificandone profondamente gli assetti
sociali, politici e territoriali. Ne furono protagoniste popolazioni di diversa provenienza che, con modalità differenti, si
installarono in vaste aree dando vita a nuovi stanziamenti.
L'Europa centrale si trovò sotto la minaccia degli ungari, un popolo nomade proveniente dalle steppe ai piedi degli
Urali, che si era progressivamente spostato fino a raggiungere la Pannonia (fine IX); da qui presero a compiere veloci
scorrerie a scopo di bottino.il loro metodo di combattimento, basato su un armamento leggero e rapidi spostamenti a
cavallo, impressionò gli eserciti occidentali. Tra la fine del IX e il 955 (anno in cui furono sconfitti da Ottone I) gli
ungari compirono numerosi incursioni nella Germania e penetrarono fin nei bacini della Senna,Loira e Rodano.
La loro minaccia cominciò a essere contrastata quando si diffuse anche in Occidente la cavalleria leggera; ne fece uso
Enrico I l'Uccellatore, re di Germania, che li vinse nel 933, m a sconfiggerli definitavemente fu suo filio Ottone I nella
battaglia di Lechfeld nel 955, in seguito alla quale gli ungari si stanziarono diventando agricoltori e allevatori.la
conversione al cristianesimo del re Stefano sancì il definitivo inserimento di questo popolo.
Nello stesso periodo le regioni mediterranee erano minacciate dai saraceni, popolazzioni islamizzate di varia origine
etnica che abitavano l'Africa del Nord; queste continuarono a compiere incursioni e atti di pirateria in danno dei territori
costieri , riuscendo, in più di un caso, a occupare città. In questo modo avvenne la graduale conquista della Sicilia
iniziata nell'827 e culminata nel 902 con la presa di Taormina. Ne fu colpita in primo luogo l'Italia meridionale, ma i
saraceni si spinsero anche più a nord.
Nell'846 la stessa Roma subì un saccheggio che suscitò scalpore in tutta la cristianità e spinse l'imperatore Lotario I ad
organizzare contro i saraceni una spedizione conclusasi con esito sfavorevole.
Il fatto che gli attacchi fossero opera di bande isolate faceva venire meno la possibilità di uno scontro risolutivo. A nord,
nel 973, una coalizzione formata dal conte di Provenza e dal marchese di torino riuscì a espugnare la base di Frassineto:
i saraceni posero fine alle incrusioni interne limitandosi a razzie costiere.
Gli attacchi nel Mediterraneo,invece, conobbero una battuta d'arresto solo quando, nell'XI secolo, il rafforzamento di
poteri locali consentì alle citt marinare di organizzare un'efficace difesa.

GLI UOMINI DEL NORD

Una vera e propria migrazione fu quella che nel IX secolo mise in movimento un insieme di popolazioni scandinave di
stirpe germanica, svedesi, norvegesi e danesi (con il termine generico di Normanni).
La migrazione in breve tempo diede luogo a vere e proprie conquiste territoriali, sviluppandosi principalmente lungo le
grandi vie del commercio internazionale: a sud-est i normanni si diressero verso la steppa russa, a ovest mossero verso
gli arcipelaghi; da qui seguirono le coste dell'Atlantico verso sud per installarsi nella Francia settentrionale e poi far
rotta verso il Mediterraneo. Alla fine del IX secolo colonizzarono l'Islanda (raggiungendo anche la Groenlandia e il
Labrador), mentre in Inghilterra arrivarono a occupare un vasto territorio che prese il nome di Danelaw.
Molti dei loro insediaenti non raggiunsero una solida forma politica ed ebbero vita effimera a causa delle lotte intestine;
altri diedero vita a organismi territoriali duraturi.
Di particolare rilievo sono le vicende dei normanni insediati nel nord della Francia, nella regione che da loro prese il
nome di Normandia. Muovendo da qui essi compivano incursioni nell'interno che misero in difficoltà i re di Francia,
fino a quando, nel 911, Carlo il Semplice diede legittimità al loro insediamento cedendo al capo normanno alcune
contee e conferendogli il titolo ducale. Pochi decenni dopo i duchi di Normandia avevano organizzato un solido
dominio dal quale, nell'XI secolo, sarebbero partite nuove spedizioni militari; obbiettivo di queste spedizioni era la
conquista di nuovi territori. È quando accadde nell'Italia meridionale, dove gruppi di guerrieri normanni riuscirono nella
seconda metà dell'XI secolo a conquistare il Mezzogiorno continentale e la Sicilia.
Non diversa fu la vicenda che portò il duca di Normandia Guglielmo a impadronirsi della corona d'Inghilterra.

LA FRANCIA POSRTCAROLINGIA

Dopo la deposizione di Carlo il Grosso (887) i diversi territori dell'ormai tramontato impero carolingio conobero
sviluppi politici e istituzionali differenti. Nel regno dei franchi occidentali si formarono alcuni potenti principati; questi
signori trasmettevano ereditariamente le cariche comitali o ducali, con i connessi poteri pubblici, e utilizzavano le terre
del fisco come beni personali; alcuni di essi godevano di una amggiore autorità.
La deposizione di Carlo il Grosso fu seguita dall'incoronazione del conte di Parigi, Eude. Per alcuni decenni il regno di
Francia fu conteso fra i discendenti di Eude e gli ultimi carolingi fino a che i primi, nel 987, riuscirono a prevalere con
Ugo Capeto capostipite della dinastia che avrebbe regnato sulla Francia finoa gli inizi del XIV secolo (capetingia).
Tuttavia la corona era debole e la sovranità del re si esercitava unicamente sui territori che egli poteva controllare
direttamente. La su autrità non si differenziava per natura o estensione dei domini da quella degli altri principi; solo il
titolo regio gli conferiva una preminenza formale sugli altri signori territoriali, alcuni dei quali, pur essendo suoi
vassalli, erano più ricchi e potenti di lui.

IL REGNO ITALICO

Il regno d'Italia conobbe, deposto Carlo il Grosso, oltre mezzo secolo di alternanze dinastiche. La debolezza del potere
centrale rafforzò le principali famiglie dell'aristocrazia italica, che a lungo si disputarono la corona. I protagonisti
furono quattro gruppi familiari, i duchi di spoleto e i marchesi di Toscana, Ivrea e Friuli.
Una situazione stabile si ebbe con Ugo di Provenza, che tenne la corona regia d'Italia per 20 anni e attuò una politica di
rinnovamento dei ceti aristocratici.
Costretto, poi, dalla ribellione di alcuni grandi del regno, Ugo ubdicò, infine a favore del figlio Lotario, che morì poi
lasciando la corona di re a Berengario II marchese di Ivrea.
Berengario cercò di eliinare i sostenitori degli avversari e in quest'ottica fece incarcerare la vedova di Lotario, e un parte
dell'aristocrazia italica reagì alle sue manovre.
Adalberto I Atto liberò la vedova e chiese al re di Germania Ottone I di intervenire contro Berengario; Ottone sposò
Adelaide ( la vedova) e a Pavia venne proclamato re (951); l'anno sucessivo in Germania ricvette la sottomissione di
Berengario II.nel 961, tuttavia, chiamato in soccorso dal papa Giovanii XII, che era minacciato dalla politica
espansionistica di Berengario, Ottone varcò nuovamente le Alpi, prese prigioniero il potente marchese e si fece
nuovamente incoronare re d'Italia.

IL REGNO DI GERMANIA E LA RESTAURAZIONE DELL'IMPERO

Nella parte orientale dell'impero, dopo Carlo il Grosso, venne elevato alla dignità regia e imperiale suo nipote Arnolfo
di Carinzia; in Germania il potere dell'aristocrazia laica era molto forte e i vasti ducati regionali erano in realtà entità
statuali autonome, che alla morte di Arnolfo (899) presero a contendersi il titolo regio.
L'elezione di Enrico I di Sassonia detto l'Uccellatore segnò una svolta. Il nuovo re rafforzò le strutture del regno e
investì i duchi della funzione di mediatori tra potere regio e aristocrazia.
Il figlio di Enrico, Ottone I, portò avanti l'opera di restaurazione della sovranità regia stringendo legami più forti con le
grandi abbazie e con l'episcopato. Questo venne associato al governo attraverso la concessione di privilegi e immunità e
di poteri comitali sulle città e i loro territori: in cambio di ciò il re ottenne fedeltà e aiuti militari.
Il controllo della corona sull'episcopato divenne molto forte: Ottone designava i vescovi e gli abati dei monasteri regi,
riceveva i loro giurmenti di fedeltà, li investiva delle funzioni spirituali e dei beni temporali.
Parallelamente il sovrano impegnò le sue energie in una ridefinizione del ruolo dei re di Germania che sarebbe
approdata alla rivendicazione della corona italica e della dignità imperiale.

GLI IMPERATORI SASSONI

Il progresso di Ottone trovava un terreno favorevole nella situazione della penisola. Qui, il regno d'Italia era gravemente
indebolito dalle lotte per la corona e da una profonda disgregazione politica. Nè erano più stabili le condizionni del
papato, che privo del sostegno imperiale, era divenuto ostaggio delle famiglie romane.
Quando all'Italia del Sud, minacciata dai continui attacchi dei musulmani dela Sicilia e dell'Africa, il quadro politico si
presentava frammentato.
Nel 941 Ottone fu sollecitato a interessarsi alle sorti del regno d'Italia da Berengario, il quale ottenne il suo appoggio
per sconfiggere Ugo di Provenza. Negli anni successivi il re di Germania scese più volte nella penisola ottenendo per sè
sia la corona regia d'Italia (961) sia quella iperiale (962).
Fu allora che, per rafforzare la supremazia dell'impero nei confronti della chiesa, emanò il Privilegium Othonis (962),
un documento con il quale confermava la signoria del papa su Roma e altri vasti domini, ma ne subordinava
l'incoronazione alla conferma dell'imperatore.
La responsabilità del regno italico coincolse inevitabilmente i re di Germania nelle vicende dell'intera penisola. Otone
tornò ancora in Italia nel 966 con il proposito di mettere ordine nel regno e assoggettare i territori che non vi erano
compresi. In quell'occasione associò all'impero suo figlio Ottone II e impose la propria autorità ai principi longobardi di
Benevento e di Capua, che si riconobbero suoi vassalli; tentò anche di impadronirsi dei territori bizantini ottenendo
come solo risultato il riconoscimento del titolo imperiale da parte dell'imperatore d'Oriente.
Scomparso Ottone I, il figlio si trovò di nuovo a combattere per imporre la sua autorità in Germania e poi fu costretto a
tornare in Italia per riprendere il controllo del Mezzogiorno, dove alla rinnovata minaccia saracena si era aggiunta la
ribellione dei principi longobardi. Nel 980 Ottone II organizzò una campagna militare nel Sud che si concluse con una
pesante sconfitta in Calabria.
Gli successe il figlio Ottone III, il quale crebbe nel mito della restaurazione imperiale; in questa visione Roma e il
papato assumevano un ruolo centrale, e a Roma egli scelse di porre la sua residenza, allontanandosi così dalla
Germania. Cacciato dalla città nel 1001 formentata dall'aristocrazia locale, morì l'anno dopo senza lasciare eredi. Al
trono salì allora il cugino Enrico II il Santo, con il quale si estinse la dinastia di Sassonia. Egli volse la sua attenzione
alla Germania, dove era chiamato a un duplice compito: rafforzare l'autorità regia minacciata dalla grande aristocrazia
laica e arrestare la pressione degli slavi sulle frontiere respingendo le mire espansionistiche.
Nella penisola, nuclei di potere locale sempre più saldi si opponevano intanto alle iniziative dell'autorità imperiale, e nel
tentativo di liberarsi dalla subordinazione alla Germania, avevano eletto re il marchese Arduino d'Ivrea. Enrico, quindi,
scese due volte in Italia, e dopo aver sconfitto Arduino, vi fu incoronato imperatore (1014).
non avendo lasciato eredi, la corona passò al duca di Franconia Corrado II.
10) L'AFFERMAZIONE DEI POTERI LOCALI (X-XI SECOLO)

LA DISGREGAZIONE DELLE CIRCOSCRIZIONI PUBBLICHE CAROLINGE

Nel regno franco dell'VIII secolo i legami vassallatico-beneficiari si erano diffusi come strumento per la creazione di
una solida clientela militare e di una rete di rapporti con i funzionari pubblici. Questo sistema di rapoprti, se all'origine
svolse il ruolo di elemento di coesione del regno, con la dissoluzione dell'impero e il venir meno del vincolo
dell'autorità regia divenne fattore di sviluppo delle tendenze all'autonomia già affermatesi in seno alle famiglie
aristocratiche.
Queste tendenze scaturivano da elementi interni allo stesso sistema delle relazione vassallatiche. Infatti, i vassalli regi
utilizzarono a loro volta tali legami per creare una propria rete di fedeli armati, che fornirono loro la base sulla quale
fondare l'esercizio dei poteri pubblici indipendentemente dal consenso regio.
Dalla fine del IX secolo, con la crisi della dinastia carolingia, l'autonomia dei grandi signori fondiari si accentuò; come
risultato si ebbe il progressivo smembramento delle circoscrizioni pubbliche per l'emergere al loro interno di nuovi
centri di potere territoriale. Questi traevano origine non da una legittima delega da parte del re, ma dalla capacità dei
potentes di imporsi grazie alla disponibilità di grandi patrimoni fondiari e di vassalli armati.

L'INCASTELLAMENTO

Nel IX secolo vi fu un fenomeno destinato a cambiare il volto delle campagne europee: la diffusione dei castelli, ossia
di nuclei insediativi accentrati e cinti da mura (castra). Questo processo è stato chiamato dagli storici incastellamento.
Uno dei fattori che diede l'avvio al fenomeno fu il clima di insicurezza diffusosi dal IX secolo, a seguito delle incursioni
di ungari e saraceni, contro le quali gli imperatori si dimostravano impotenti. Di fronte all'incapacità del potere di offrire
protezione alle popolazioni, la società si organizzò. I grandi proprietari fondiari presero l'iniziativa e ovunque
comparvero fortificazioni; si fortificarono insediamenti preesistenti come pure si fondarono nuovi castelli in territori
prima spopolati e incolti.
È un capitolare di Carlo il Calvo dell'864 che evidenzia come nella genesi degli abitati fortificati alla motivazione della
difesa se ne affiancassero altre di ben diversa natura: il sovrano ordinava,infatti, l'abbattimento di castelli, fortificazioni
o palizzate costruite senza l'autorizzazione regia dai grandi proprietari, che le utilizzavano come base per le aggressioni
contro i piccoli possessori residenti nel vicus (villaggio) presso cui si trovavano le loro proprietà. Le fortificazioni,
dunque, erano utilizzate dai signori fondiari come strumenti di predominio politico-militare e di coercizione nei
confronti delle popolazioni residenti nel territorio.
Altro fattore di sviluppo dell'incastellamento attinente alla sfera militare fu il moltiplicarsi degli antagonismi tra poteri
locali, sovente accompagnati dalla volontà regia di consolidare con interventi fortificatori la posizione di uno dei
contendenti.
In diverse aree della penisola alla base di molte fondazioni di nuovi insediamenti possono essere individuate
motivazioni economiche: per molti signori il castello rappresentò, infatti, una forma di aggregazione e organizzazione
della forza-lavoro umana da utilizzare per la conquista di nuovi terreni da mettere a coltura. Nel quadro della ripresa
demografica e produttiva dei secoli X-XI, la fondazione di abitati fortificati divenne uno strumento per promuovere il
popolamento di terre prima incolte e disabitate e garantire al signore un maggior numero di sottoposti e un ampliamento
del suo patrimonio fondiario.
L'incastellamento offrì ovunque nuove opportunità all'aristocrazia fondiaria e divenne uno dei fattori di rafforzamento
delle nuove forme di potere locale che si andavano affermando sulla base del controllo territoriale; il signore, infatti,
facendosi forte della protezione militare esercitata sugli uomini che risiedevano nelle pertinenze del castello, si
attribuiva quei compiti di natura giudiziaria che il conte e gli altri funzionari pubblici non erano più in grado di
svolgere.
La diffusione dei nuovi insediamenti fortificati introdusse profondi cambiamenti nel paesaggio e nelle forme di
popolamento; anche le colture si ridistribuirono intorno agli abitati, dando vita a nuovi paesaggi caratterizzati dal
prevalente addensamento delle coltivazioni intensive intorno alle mura del castello.

L'AFFERMAZIONE DEI POTERI SIGNORILI

Sulle forme del potere signorile ve ne sono tre tipi fondamentali: la signoria domestica, quella fondiaria e quella
territoriale.
Con la "signoria domestica" si intende l'insieme dei poteri che il signore esercitava su coloro che risiedevano nella pars
dominica, in sostanza sui servi addetti alla sua casa e alle sue terre.
Con "signoria fondiaria" si intende l'insieme dei poteri che un grande proprietario deteneva, in aggiunta a quelli sui
servi, anche sui coloni di condizione libera che lavoravano le sue terre. Da questi il signore esigeva il pagamento dei
canoni per le terre date in concessione, la consegna di donativi rappresentati da beni in natura (polli,uova, prosciutti,
dolci) e la prestazione di corvèes.
Il terzo tipo di signoria è definito "territoriale", in quanto il potere del signore si estendeva a una circoscrizione
territorialmente definita e "di banno", perchè basata sull'esercizio di forme di comando e di coercizione tipiche della
sfera dei poteri pubblici. La proprietà della terra fu la base a partire dalla quale si svilupparono poteri estesi a un
territorio più vasto del solo possesso signorile, territorio che spesso prese forma intorno a un castello. All'interno di
questa area il potere del signore si estendeva a tutti coloro che vi risiedevano, compresi i proprietari liberi e i contadini
che lavoravano terre appartenenti ad altri signori.
Nella signoria territoriale di banno il dominus aveva il potere di constringere con la forza gli uomini a presentarsi in
giudizio e a sottostare alle sue decisioni, inoltre esercitava la giurisdizione ed esigeva tributi di varia natura. Alcuni di
questi appartenevano originariamente al sistema dei rapporti vassallatici, mentre altri erano di natura pubblica. È il caso
degli oneri di carattere straordinario come il "fodro" e l' "albergarìa", trasformati dai signori in tributi periodici, o di
alcuni diritti di esazione connessi con l'uso di beni regi: il "teloneo", il "ripatico", il "pontatico" e "l'acquaticum".
I signori,inoltre, si impadronirono dei beni di uso comune, come boschi e pascoli, esigendo tributi per il loro
sfruttamento e ponendo limiti alla loro disponibilità da parte delle popolazioni.

LA CITTà VESCOVILE

Mentre nelle campagne si andavano affermando i poteri signorili, nelle città emergevano nuove forme di autonomia. Le
città di origine romana sopravvissute non avevano mai perso del tutto la funzione di centralità nei confronti del
territorio, anche per la presenza della sede episcopale.
La civitas infatti, a partire dal IV-V secolo cominciò a costituire il centro religioso e amministrativo della diocesi,
raccogliendosi la comunità dei fedeli intorno alla chiesa episcopale.
La politica dei carolingi nei confronti dell'episcopato diede nuova importanza al ruolo delle città: ai vescovi furono
conferite importanti funzioni nell'ambito dell'organizzazione amministrativa dell'impero, inoltre, la concessione
dell'immunità creò nuove prospettive per l'ampliamento dei loro poteri politici.
In età postcarolingia, l'episcopato aggiunse al prestigio della carica religiosa nuove funzioni civili, legate all'esigenza si
proteggere la popolazione: di fronte ai problemi di insicurezza che afflissero l'Europa tra IX e X secolo, i vescovi
presero l'iniziativa di costruire o restaurare le mura urbane; il fenomeno assume particolare evidenza nel regno d'Italia.
Quando con Ottone I l'episcopato ottenne anche i poteri comitali di districtus (comando e coercizione) sulle città e il
territorio prossimo, i vescovi furono investiti di poteri pubblici uguali a quelli dei signori territoriali. Li distingueva da
questi, tuttavia, il fatto che il vescovo svolgeva le sue funzioni al servizio della città e si avvaleva della collaborazione
degli esponenti delle maggiori famiglie.
11) CRESCITA DEMOGRAFICA E SVILUPPO AGRARIO (XI-XIII SECOLO)

INCREMENTO DEMOGRAFICO E POPOLAZIONE CITTADINA

Il periodo compreso fra inizi XI e fine XIII secolo è segnato da mutamenti profondi che investono gli aspetti più diversi
della società europea.
La crescita demografica che interessa il continente europeo tra X e i primi decenni del XIV rappresenta un fenomeno al
quale gli storici hanno dedicato una grande attenzione. Pur in assenza di testimonianze si è ritenuto di poter avanzare
stime che vedrebbero un incremento di circa 30 milioni: da 42 milioni di abitanti intorno al Mille a 73 milioni.
La crescita demica interessò tanto le città che le campagne. Nella fase del decollo (X-XI) le regioni che conobbero il
maggiore sviluppo urbano furono perlopiù le stesse che nella tarda antichità e nell'alta età media avevano visto le città
conservare una certa vitalità, nonchè quelle nelle quali più precocemente poterono manifestarsi i segni della ripresa
economica e sociale.
Sotto il profilo insediativo, la nascita e/o lo sviluppo delle città conobeb strade diverse.
Tanto sotto il profilo dell'estensione quanto per l'entità demografica le città mantennero a lungo una dimensione molto
contenuta.
La presenza delle città non era uniformemente distribuita nella penisola. Il Mezzogiorno continentale e insulare, come
anche alcune regioni del Nord, presentavano una densità della trama urbana ben più modesta di quella che
caratterizzava i territori padani (Emilia e area lombardo-veneta)
particolarmente fitto si faceva, poi, nell'Italia centrale fino al Lazio, il reticolo delle città di dimensione piccola e media.
Nessun elemento scandisce lo sviluppo dei centri urbani con evidenza maggiore che l'edificazione di nuove cinte
murarie o l'ampliamento delle esistenti. Il fenomeno, che interessa alcune città italiane già alla fine del IX secolo o nel
corso del X, diviene di riscontro frequente nel periodo compreso fra XI e XIV secolo.
L'incremento demico che fu alla base dello sviluppo degli insediamenti urbani si ebbe sia in ragione del saldo attivo
nascite/morti, sia per il forte flusso immigratorio che, fra XI e XIII, si registrò a beneficio delle città.
La tregua che la peste bubbonica accordò alle popolazioni europee a partire dal IX secolo contribuì certamente alla loro
crescita quantitativa.
Flussi migratori di origine diversa presero consistenza nei secoli XII-XIII; i più importanti furono quelli che videro
approdare alla città i contadini delle campagne circostanti,attirati dalle opportunità economiche che la città urbana
offriva. Nullatenenti e piccoli proprietari vennero a offrire le loro braccia presso i cantieri edili o le botteghe artigiane.
S'inurbarono anche molti fra i campagnoli più agiati.
L'atteggiamento dei governi cittadini nei confronti dell'immigrazione conobbe nel tempo sensibili mutamenti. Nel
periodo della grande espansione urbana, non ci si limitò a guardare con favore all'afflusso di contadini e forestieri, ma
se ne sollecitò l'inurbamento anche attraverso agevolazioni ed esenzioni fiscali.
Nel corso del XIII secolo, l'accresciuta disponibilità di foza-lavoro consigliò di "filtrare" i nuovi arrivi, puntando
sopratutto all'acquisizione di nuclei familiari di condizione relativamente agiata o di lavoratori specializzati.

L'ESPANSIONE DELLE SUPERFICI COLTIVATE: L'EUROPA

L'incremento demografico e il connesso accrescimento della domanda di prodotti agricoli, determinarono (a partire
dall'XI) un sempre più vistoso ampliarsi delle superfici coltivate.
L'estensione dell'agricoltura introdusse mutamenti profondi negli assetti di produzione di quasi tutte le campage
europee. Da un'economia fortemente segnata dalla pratica dell'allevamento, dalla caccia e dallo sfruttamento delle
risorse del bosco, si passò in progresso di tempo a un ordinamento della produzione sempre più strettamente legato alla
lavorazione della terra. A essere ampliati furono sopratutto gli spazi della cerealicoltura.
Disboscamenti, bonifiche e dissodamenti furono opera sovente di singoli coltivatori che il fabbisogno domestico
spingeva a ricercare, poco lontano dal villaggio, sul margine della foresta, lembi di terra nuova da sottoporre all'aratro.
Diversamente andarono le cose quando si trattò di aggredire spazi appena ntaccati dalla presenza dell'uomo; il successo
dell'iniziativa era in questi casi legato alla presenza di nutrite schiere di coltivatori, alla possibilità di mettere in campo
un progetto di bonifica, alla collaborazione e al consenso di quanti godevano diritti di proprietà e/o giurisdizionali sui
territori da colonizzare.
In Germania, nelle vaste distese boschive a est dell'Elba e della Saale, numerosi villaggi furono fondati grazie alla
massiccia immigrazione di contadini tedeschi e olandesi.
Nelle Fiandre si presero a prosciugare mediante dighe e canali,le terre sommerse a causa delle innondazioni marine;
nell'entroterra, al contempo, si lavorav di scure e di vanga per ridurre a coltura la zona di foreste e brughiera.
In Francia l'ondata di dissodamenti e delle bonifiche registra il maggior impulso nel periodo compreso tra metà del XI
secolo e la fine del XII.
A sud, nella penisola iberica, le vicende della colonizzazione e dell'espansione dei coltivi procedettero in stretta
connsessione con quelle della reconquista.
L'ESPANSIONE DELLE SUPERFICI COLTIVATE: L'ITALIA

In Italia, fin dal IX secolo, disboscamenti e bonifiche assunsero nel Nord padano dimensioni tali da indurre
cambiamenti importanti nell'assetto produttivo e nel quadro ambientale. Fu, tuttavia, dopo il Mille, quando all'iniziativa
individuale subentrò quella collettiva, che si onseguirono i risultati più apprezzabili.
È nei primi anni del XIII secolo che si registrò diffusamente il passaggio da una politica di semplice controllo delle
acque a una sistemazione complessiva dei grandi collettori.
Mentre si portava avanti la lotta per l'eliminazione delle acque stagnanti e la regimazione di quelle di scorrimento,
procedeva su più fronti l'attacco alle foreste e agli incolti.
Il fenomeno della conquista di nuove superfici per la pratica agricola non ebbe nell'Italia centrale e meridionale
dimensioni comparabili con quelle che si riscontrarono nelle contrade del Nord. Bonifiche e arroncamenti ebbero qui a
inscriversi nel contesto di una trama insediativa fitta e di genesi antica. Non va, inoltre, dmenticato il caso di regione
che, come la Sicilia e la Sardegna, non onobbero affatto lo stimolo esercitato dalla crescita demica ai fini della
conquista di nuove terre.

NUOVI INSEDIAMENTI, MOBILITà RURALE, RINNOVAMENTO DEI PATTI DI LAVORO

In Italia, come in altri paesi europei, l'espansione dei coltivi passò anche attraverso la fondazione di nuovi insediaenti.
Ville e borghi nuovi, caratterizzati, a seconda dei luoghi, da fisionomi rurale o da tratti urbani.
Il fenomeno rivela nella penisola motivazioni di natura diversa, che vanno da quelle politiche, a quelle strategico-
militari a quelle economiche.
Il popolamento delle terre di nuova conquista avvenne grazie alle eccedenze demografiche dei territori prossimi che
alimentarono talora flussi migratori di un certo rilievo.
L'espansione dei coltivi si accompagnò, a partire dal '200, a un progressivo rinnovamento dei rapporti di lavoro,
caratterizzato essenzialmente dalla crescente diffusione delle locazioni fondiarie a breve termine. È principalmente
attraverso quest'ultime che passò l'iniziativa dei proprietari intesa a cogliere, con maggiore tempestività, le occasioni
offerte del mercato dei prodotti agricoli, a estromettere i coltivatori dal controllo della terra, ad aggravarne gli obblighi.
Fra i primi patti agrari si tratterà di ricordare almeno queli di sòccida (riguardanti l'affidamento di animali da parte di un
proprietario ad un allevatore) e di mezzadria. Quest'ultimi presero a diffondersi in Toscana, e poi anche in Umbria e
nelle Marche; esso prevedeva la ripartizione a metà fra proprietario e mezzadro dei prodotti ricavati dalle terre locate;
una durata del rapporto contrattuale non superiore a 5 anni; l'obbligo della famiglia contadina di abitare entro l'unità
fondiaria concessa.
La diffusione di questo patto si registrò congiuntamente all'ffermazione del podere, l'una e l'altra dipendono dagli
investimenti in beni terrieri operati da cittadini abbienti, come da nobili ed enti ecclesiastici.

FRA CONTINUITà E INNOVAZIONE: STRUMENTI E TECNICHE AGRICOLE

Strumenti e tecniche colturali conobbero miglioramenti ben più modesti di quanto si sia potuto ritenere. Vi furono
alcune novità significative che riguardarono essenzialmente il settore primario dell produzioe, quello cerealicolo.
Si ebbe una smepre più larga diffusione dell'aratro a versoio, provvisto di coltro e talora di ruote e introdusse
nell'equipaggiamento del coltivatore un attrezzo di efficacia maggiore che l'aratro semplice.
Per quanto riuarda l'Italia, l'aratro simmetrico continuò a essere lo strumento in uso nelle regioni del versante tirrenico,
nel Mezzogiorno e nelle isole, mentre in area padana e nelle terre dell'alto versante adriatico si impose il "piò": aratro
pesate, asimmetrico,munito di ruote.
Nei paesi meditteranei continuò a essere il bue l'animale da tiro per eccellenza, mentre nei terreni cerealicoli dell'area
padana fecero la loro apparizione anche gli equini.
Diversamente che al Sud, nell'Europa centrosettentrionale si potè assistere a un alenta sostituzione del tiro bovino con
quello equino.
La trazione risultò, comunque, nei secoli cnetrali del medioevo, non poco potenziata dai nuovi sistemi di attacco che
allora si vennero diffondendo. L'introduzione del collare di spalla consentì di sfruttare a pieno le energie del cavallo.
La crescente produzione di ferro consentì tanto di disporre di un maggior numero di strumenti che di accrescerne
l'efficacia e la resistenz ricorrendo più largamente al metallo.
Vi fu poi la diffusione di "cicli colturali" più razionali e serrati che vennero sostituendo gli avvicendamenti propri
dell'agricoltura di carattere più estensivo. Dalla metà del XII secolo assistiamo alla progressiva affermazione della
rotazione triennale delle colture e al restringersi delle superfici governate secondo il tradizionale ciclo biennale.
L'adozione del ciclo triennale presentava molti vantaggi rispetto al sistema di coltivazione su base biennale, non solo
per il fatto di consentire due raccolti ogni tre anni, a anche in quanto favoriva una equilibrata distribuzione delle
operazioni agricole nell'arco dell'annata e riduceva il rischio cui il coltivatore era esposto della possibilità di sfavorevoli
condizioni climatiche.

(CAP.11 126-141)
12) LAVORO ARTIGIANO E RIPRESA DEI COMMERCI (XI-XIII)

IL LAVORO ARTIGIANO E L'ORGANIZZAZIONE DELLE ARTI

In connessione con la rinascita dei centri urbani e il nuovo slancio che la vita cittadina registrò a partire dall'XI secolo si
ebbe un forte sviluppo delle attività artigianali. Si assistette, dopo il Mille, a un massiccio trasferimento degli addetti
dalle campagne alla città, all'ampliarsi delle specializzazioni produttive e a non trascurabili progressi delle tecniche.
Crebbe in tal modo l'incidenza che gli artigiani vennero ad assumere nel quadro economico, sociale e politico delle
comunità.
Luogo fisico per eccellenza del lavoro artigianale era la bottega, all'interno della quale svolgevano le loro funzioni un
maestro, gli apprendisti, e i lavoranti. Autonomia e primato del maestro erano fondati sul fatto di essere proprietario
della bottega; l'apprendista era il solo cui la trasmissione delle conoscenze tecniche da parte del maestro consentisse
l'avanzamento nella gerarchia del mestiere fino al conseguimento della qualifica di maestro.
Nel XII secolo nascono le prime corporazioni artigiane: organismi nei quali vennero a riunirsi coloro che praticavano
uno stesso mestiere. Le corporazioni (ARTI) perseguirono nella fase iniziale essenzialmente finalità di promozione
economica e di assistenza per i membri, puntando a conseguire nel settore d'interesse il monopolio della forza-lavoro:
vietarono così l'esercizio del emstiere a tutti coloro che non fossero affiliati e preclusero l'inserimento degli artigini
forestieri che volessero insediarsi in città.
Le corporazioni vigilarono sui requisiti della produzione per impedire la concorrenza fra i singoli maestri e garantire,
con la qualità del manufatto, i diritti dell'acquirente.
Tutti gli operatori del settore afferivano all'arte, ma solo i maestri con pienezza di diritti.
L'organizzazione delle arti conobbe le esperienze più precoci nell'Italia comunale. Tale organizzazione tardò apenetrare
nel settore nevralgico delle attività legate all'approvvigionamento in commestibili e ai trasporti: in esso si mantenne a
lungo un'ingerenza forte del potere pubblico, interessato a tenere sotto diretto controllo aspetti così delicati della vita
comunicativa e a evitare che l'associazione degli operatori poterre alterare a proprio vantaggio le dinamiche del mercato
cittadino.

I SETTORI DELLA PRODUZIONE

Fin dalla ripresa dei secoli XI-XII, la lavorazione della lana rivestì una particolare rilevanza, tanto da caratterizzare
l'economia di importanti città. Il ciclo di produzione dei panni era fra i più complessi; perchè dalla materia grezza si
arrivasse al tessuto dovevano intervenire numerosi trattamenti manuali e meccanici, alcuni di antura chimica.
Con il tessile, il settore dell'edilizia fu quello che nel medioevo conobbe una più capillare presenza e il più largo
coinvolgimento di manodopera, qualificata e generica. L'avere nel cantiere (e non nella bottega) il principale luogo di
lavoro conferì all'attività edile alcuni tratti peculiari,fra i quali anche quello di una più debole incidenza
dell'organizzazione corporativa.
Altri mestieri, legati alle esigenze del vivere quotidiano, quali la lavorazione delle pelli, del cuoiame, dei metalli e del
legno ebbero la più ampia diffusione.

LA RIPRESA DEI COMMERCI

Lo sviluppo dell'artigianato ebbe a determinarsi principalmente per lo stimolo rappresentato dall'intensificarsi degli
scambi, che nei secoli XI-XIII si articolarono e consolidarono grazie sia alle nuove dinamiche del rapporto città-
campagna/mercati urbani-mercati rurali, sia al commercio del medio e lungo raggio. (guarda pag. 144-145-146 per
dettagli)

LA FASE MATURA DELL'ESPANSIONE COMMERCIALE

A partire dal XIII secolo si assiste a un ulteriore ampliamento degli orizzonti del commercio europeo. Vengono a essere
interamente coincolti territori slavi e regioni pontiche, dalle quali i mercanti italiani stabiliscono contatti con gli asiatici.
A ovest percorsi nuovi realizzano una migliore integrazione fra i poli europei di più avanzato sviluppo ( Italia padana e
Fiandre), garantendo contatti stabili e agevoli fra gli uomini.
Una quota di gran prevalente degli scambi che si svolgevano nel bacino del Mediterraneo si sviluppava lungo l'asse
oriente-occidente. I mercanti italiani andavano a prelevare sulle coste egiziane, pontiche e siropalestinesi merci pregiate
e di poco ingombro, quali spezie e tessuti di seta.
Per circa un secolo, dalla metà del XIII secolo, notevoli quantitativi di seta furono importati dai paesi del Levante e
particolarmente dalla Cina.
Dall'Oriente i mercanti italiani non importavano soltanto prodotti preziosi, bensì anche materie prime, frumento e
schiavi.
LE FIERE DELLA CHAMPAGNE

Con la ripresa dei flussi commerciali crebbe in tutti l'Occidente il numero delle fiere, che , organizzate in cicli,
coprivano la gran parte dell'anno, costituendo per gli operatori un riferimento essenziale.
Itinerari di mercato regionali e interregionali accompagnarono, ad esempio, fin dal XII secolo le operazioni legate
all'acquisto e alla distribuzione della lana e dei panni. In quest'ambito assunsero particolare rilevanza le fierre della
Champagne.
Nella prima metà del '200 le fiere della Champagne giocarono un ruolo fondamentale nel commercio europeo,
particolarmente in quello dei tessuti. Le produzioni del Nord, acquistate dai mercanti italiani, venivano distribuite in
tutta l'area mediterranea.
Nel corso del XIII secolo la presenza degli operatori di commercio venne organizzandosi nella Champagne sulla base
delle diverse provenienze; i mercanti italiani elessero un console per ciascuna delle città rappresentate; in seguito, riuniti
in un'unica societas et universitas presero a designare un capitano incaricato di rappresentarli anche dinanzi al re di
Francia.
Con la metà del '200 le fiere della Champagne cominciano a perdere la caratterizzazione di mercato internazionale dei
tessuti per acquisire quella di principale centro dei cambi.
Fin dal XII secolo avevano preso a diffondersi quei contratti di cambio che inizialmente si configurarono come semplici
promesse scritte di pagamenti da effettuarsi, per intervento diretto del firmatario o tramite un suo agente, in luogo
diverso da quello di assunzione dell'impegno.
Quando intorno al terzo decennio del XIV secolo il ruolo finanziario delle fiere prese a ridursi, cominciò un'irreversibile
decadenza cui non furono estranee nè le guerre che fra XII e XIV secolo vennero combattute tra conti di Fiandra e re di
Francia, nè lo sviluppo dell'industria tessile toscana e lombarda, ormai in grado di riversare sui circuiti commerciali
stoffe di qualità non inferiore a quella dei tessuti fiamminghi.

IL LAVORO DELLE DONNE

Nonostante la forte rilevanza economica e sociale, le corporazioni non organizzavano nel loro ambito il lavoro artigiano
nella sua interezza ed ancor meno quello legato ai commerci. I comuni urbani impedirono a lungo ai mestieri connessi
al vettovagliamento e ai trasporti di costituirsi in arte, intendendo mantenere un controllo diretto su un settore tanto
delicato.
Non vi è dubbio che il lavoro femminile avesse già nel periodo di cui trattiamo la più larga diffusione anche in ambiti
diversi da quello domestico, tutto ciò acquistando dimensioni di rilevanza sempre maggiore nei secoli della rinascita
urbana e dello sviluppo economico, quando si moltiplicarono e diversificarono e settori d'impiego.
Innumerevoli erano le occupazioni esterne di cui le donne potevano approfitare per incrementare il reddito familiare,
dalla vendita di commestibili nei luoghi di mercato allo svolgimento del lavoro di balia,levatrice o servitrice domestica.
Accadeva di trovare donne anche in situazione non facilmente prevedibili, ad esempio nei cantieri edili. Il salario che si
pagava alle lavoratrici era inferiore a quello riconosciuto agli uomini, spesso pari alla metà.
Largo impiego di manodopera femminile si aveva anche nel lavoro agricolo, come la mietitura, la mondatura dei
cereali, la vendemmia, la raccolta delle olive e delle castagne e la coltivazione degli orti. Era alle donne, inoltre, che si
affidava la custodia di greggi e di mandrie.
13) LE MONARCHIE FEUDALI E LA RICOSTRUZIONE POLITICA DELL'OCCIDENTE

LA COSTRUZIONE DELLE NUOVE MONARCHIE: COORDINAMENTO FEUDALE E TERRITORIALE

Nell'Europa dei secoli XI e XII, contestualmente alla crescita demografica ed economica e allo sviluppo commerciale e
urbano,si affermò l'esigenza di rapporti e ordinamenti politici più stabili. Tale esigenza diede luogo a processi di
ricomposizione politica e territoriale che gradualmente sostituirono un sistema di poteri frammentato, basato su una
moltelicità di signorie e principati locali. A consentirne la realizzazione furono quegli stessi rapporti vassallatico-
beneficiarila cui diffusione tra IX e X secolo era stata alla base della disgregazione del potere centrale e che alla fine del
XI secolo principi e re utilizzarono come strumenti di governo e di coordinazione politica per affermare e consolidare la
propria superiorità rispetto ai signori locali.
Nel legame vassallatico-beneficiario si stava affermando un nuovo termine,feudum, comparso alla fine del IX secolo a
indicare prima la ricompensa per servizi specializzati,poi i beni concessi in beneficio e dalla seconda metà dell'XI
secolo fu utilizzato per indicare il rapporto giuridico stesso.
Si erano progressivamente ridotti gli obblighi ai quali era tenuto il vassallo, in particolare era venuto meno quello del
servizio armato; privando di significato militare il giuramento di fedeltà, l'elemento reale del rapporto (il beneficio)
aveva preso il sopravvento sul'elemento personale (la fedeltà), tanto che si diffuse ampiamente la prassi di prestare
omaggio a più signori, con il conseguente insorere di conflitti.
La patrimonializzazione e la conseguente stabilità del feudo favorirono la diffusione dei rapporti feudo-vassallatici.
Molti proprietari di fortezze preferirono entrare nella feudalità donando i loro beni al signore più potente per poi riaverli
in feudo dopo avergli reso omaggio e giurato fedeltà; entrambe le parti trovavano in ciò una convenienza:il vassallo
riceveva aiuto in una società in cui la conflittualità era molto forte, e il signore otteneva un ampliamento e un
riconoscimento della sua supremazia e consolidava il proprio potere.
Il tal contesto di importanza fu il ruolo svolto dal ceto intellettuale (notai e giurisperiti) impegnati in un'approfondita
riflessione sulla natura e i contenuti del potere pubblico e della sovranità regia.
I giuristi analizzarono le relazioni vassallatiche e i concetti di "autorità" e di "potere pubblico", giungendo a elaborare
un nuovo sistema ideologico e giuridico che individuava nel legame feudale lo strumento per razionalizzare l'intrico dei
poteri signorili. Ne scaturì la creazione di una rete gerarchica di connessioni fra i niversi nuclei di potere, basata sui
rapporti feudo-vassallatici, alla testa della quale si trovava il sovrano: è in quest'epoca che viene elaborata l'immagine
della "piramide feudale".
In alcune zone d'Europa i processi di ricomposizione politica e territoriale approdarono alla costruzione di nuovi
ordinamenti monarchici. Ciò fu reso possibile dall'utilizzazione dei legami feudo-vassallatici e dall'elaborazione di
nuovi contenuti ideologici e giuridici della regalità.
Nell'XI secolo le basi del potere monarchico erano essenzialmente di natura patrimoniale e non differivano da quelle
degli altri signori territoriali. I re fondavano la loro sovranità sul possesso di un grande patrimonio nell'ambito del quale
esercitavano diritti signorili, pertanto una nuova ideologia della regalità si rendeva necessaria per differenziare il loro
ruolo da quello degli altri principi territoriali.
Al centro della nuova concezione della regalità fu posta la natura sacra del potere monarchico. La preminenza dei re
venne ricondotta al rapporto diretto con la divinità, che trovava espressione nelsolenne rituale dell'incoronazione:
durante la quale, il re veniva investito di un potere di natura sacra.

L'INGHILTERRA DALLA CONQUISTA NORMANNA ALLA MAGNA CHARTA

L'efficacia dei rapporti feudali come strumento di governo fu sperimentata in primo luogo dai normanni, che in
Inghilterra e nel Mezzogiorno d'Italia crearono solide dominazione territoriali basate su una rete di raccordi feudali.
L'Inghilterra conquistata da Guiglielmo nel 1066 presentava un'organizzazione territoriale basata su una struttura di
tradizione germanica, le centene, inquadrate in circoscrizioni di livello superiore, contee o shires, nelle quali operavano
gli agenti del re, sheriffs. I gtandi proprietari fondiari (earls) avevano i compiti di coordinamento militare su vasti
territori che comprendevano piu shires.
Guglielmo e suoi successori conservarono centene e shires,ma eliminarono le circoscrizioni controllate dagli earls
sostiuendole con una nuova struttura territoriale costituita da vaste unità fondiarie (manors) facenti capo a casatelli.
Nell'assegnare i manors ai diversi vassalli il re fece in modo che fossero distanti l'uno dall'altro, preoccupandosi di
mantenere il diretto controllo della maggior parte di quelli esistenti in ogni regione, in modo da essere presente ovunque
come il più importante signore territoriale. Allo scopo di prevenire usurpazioni da parte dei baroni, fu avviato un
censimento dei manors, dal quale scaturì un inventario, il Domesday book (1086), contenente la registrazione di tutte le
proprietà fondiarie del regno, con l'indicazione dell'estensione, del numero di abitanti, dei vassalli regi che le
detenevano e dei diritti e doveri connessi a ciascun feudo. Gli agenti regi presenti negli shires furono incaricati della
custodia dei castelli e divennero la base della riorgaizzazione amministrativa.
Inoltre, il re diede il proprio appoggio alle comunità urbane, fulcro dell'espansione mercantile e artigianale,con il
risultato di rafforzare la sua supremazia e incrementare le entrate della corona con i proventi derivanti dallo sviluppo
delle loro attività.
Guglielmo lasciò ai suoi successori due solidi organismi politici ( il rego d'Inghilterra e il ducato di Normandia) che
furono divisi tra i suoi figli, poi riunificati da Enrico I. Alla morte di questo seguì una grave crisi durante la quale la
corona d'Inghilterra fu contesa fra sua figlia Matilde e Stefano di Blois.
Un nuovo periodo di stabilità si ebbe con Enrico II Plantageneto, figlio di Matilde, il quale governò su entrambe le
dominazioni normanne.
In Inghilterra Enrico recuperò beni demaniali e diritti regi usurpati dalla grande nobiltà durante gli anni di guerra da
Matilde e Stefano, sottraendo al controllo dei baroni numerosi castelli, e si impegnò nel consolidamento della struttura
amministrativa messa a punto dai suoi predecessori,per esempio ampliò la potestà regia in materia di giustizia con i
provvedimenti assunti nelle Assise di Clarendon, che attribuirono ai tribunali regi la competenza su numerosi reati in
precendenza giudcati dai tribunali feudali, signorili o ecclesiastici.
I provvedimenti delle Assise scatenarono la reazione del clero inglese, che vide messa in discussione la sua tradizionale
immunità giurisdizionale.
L'arcivescovo di Canterbury, Tommaso Becket, si fece portavoce dell'opposizione alla corona; condannato come
traditore si rifugiò in Francia,ma rintrato in Inghilterra nel 1170 fu assassinato. La reazione scatenata dall'omicidio
costrinse il re a sottomettersi a un'umiliante penitenza e a tentare di placare l'indignazione del papa abolendo le
disposizioni più sfavrevoli alla chiesa.
Andava crescendo, tuttavia, la tensione tra la crona e i grandi baroni, anche per l'aumentata pressione fiscale. Con il
successore di Riccardo,Giovanni senza terra,il prestigio della monarchia fu compromesso dall'incapacità del sovrano di
fronteggiare l'iniziativa politica del re di Franicia Filippo Augusto, che riuscì a sottrargli la maggior parte dei possessi
francesi arrivando a progettare la conquisa d'Inghilterra; Filippo fu fermato, tuttavia, da un'abile mossa di Giovanni, che
nel 1213 si mise sotto la protezione del papa dichiarandosi suo vassallo.
Il re,poi, si trovò a fronteggiare una coalizione formata da baroni,clero e cittàmercantili che mal tolleravano l'aumento
del carico fiscale e gli abusi giudiziari e finanziari dei funzionari regi. Nel giugno 1215 Giovanni fu costretto a firmare
un cocumento, la Magna charta libertatum, nel quale venivano confermati libertà e privilegi di chiese, aristocrazia e
comuni e si ponevano dei limiti all'autorità regia.

LA FRANCIA DEI CAPETINGI (XI-XII SECOLO)

Nell'XI secolo la situazione politica del regno di Francia era caratterizzata da un'accentuata frammentazione del potere.
All'interno dei quadri territoriali formati dalle contee e dai ducati si erano affermate numerose signorie minori.
I capetingi, saliti sul trono nel 987 con Ugo Capeto, esercitavano la sovranità solo sulle terre di dominio diretto.
Nonostante l'oggettiva debolezza del potere regio, la dinastia riuscì a mantenere la corona e si impegnò sia a
razionalizzare la gestione del patrimonio fondiario familiare sia a contenere le tendenze autonomistiche delle piccole
signorie.
Ad accrescere la forza e il prestigio della coron lavorò con successo Luigi VI (1108-1137), il quale si guadangò il
sostegno delle gerarchie ecclesiastiche e delle città.
Luigi VII (1137-1180)rafforzò ulteriormente il prestigio della monarchia ponendosi alla guida del contingente militare
francese nella seconda crociata (1147-1149); subì tuttavia una forte diminuzione di autorità quando il matrimonio della
sua ex moglie Eleonora d'Aquitania con Enrico Plantageneto, futuro re d'Inghilterra, consegnò a questo nuovi domini in
territorio francese.
Luigi si impegnò a razionalizzare l'amministrazione del demanio regio e continuò nella prudente politica di
coordinamento delle forze feudali richiedendo nuove prestazioni di omaggio a duchi e a conti.
Quando Filippo Augusto salì al trono, l'area di dominio dei capetingi non si era estesa, ma il sempre maggiore sostegno
delle forze signorili e cittadine metteva il nuovo sovrano nella condizione di affrontare e risolvere la difficile situazione
creata dall'ascesa al trono inglese dell'angioino Enrico II Plantageneto, signore di tutta la Francia occidentale.

I NORMANNI NELL'ITALIA MERIDIONALE

I primi gruppi di cavalieri arrivarno nel Mezzogiorno d'Italia dalla Normandia nei primi anni dell'XI secolo per
arruolarsi come mercenari al servizio di longobardi e bizantini in contrasto fra loro. In questa parte della penisola la
situazione appariva instabile, dominata da una forte frammentazione politico-territoriale.
Permaneva una situazione di instablità politica che i normanni sfruttarono per costruire proprie dominazione territoriali.
Il primo nucleo nacque con Rainolfo Drengot, conte di Anversa, in ricompensa dell'aiuto prestato al duca di Napoli;
pochi anni dopo due dei figli di Tancredi d'Altavilla, Guglielmo e Drogone, impegnati al fianco di Guaimario contro i
bizantini, ottennero Melfi, da dove si mossero per la conquista della Puglia.
Il pontefice Leone IX,cui si era rivolta chiedendogli protezione la città di Benevento, cercò di fermare l'avanzata dei
normanni e si fece promotore di una coalizione che fu sconfitta duramente nella battaglia di Civitate sul Fortore.
I suoi successori preferirono trovare un'intesa con i normanni, e nel 1059 a Melfi stipularono un accordo in base al
quale, giurata fedeltà al papato, Riccardo d'Aversa ricevette in cambio l'investitura feudale del principato di Capua e
Roberto il Giuscardo (uno dei fratelli di Altavilla) fu nominato duca di Puglia, Calabria e Sicilia.
Gli accordi di Melfi rappresentarono per i normanni il riconoscimento e la legittimazione della loro supremazia nel
Mezzogiorno d'Italia e evidenziarono le mire politiche del papato, intenzionato ad allontanare definitivamente i
bizantini dalla penisola e a cacciare i saraceni dalla Sicilia. I due obbiettivi vennero realizzato in pochi decenni.
Mentre Roberto occupava la Calabria e Bari per risalire poi verso nord e conquistare Amalfi e Salerno, suo fratello
Ruggero avviava nel 1061 la conquista della Sicilia, che fu completata nel 1091.
Ormai la Sicilia e tutta l'Italia meridionale, a eccezzione di Benevento ceduta nel 1081 al papa, erano sotto il controllo
dei normanni. Ruggero II, alla morte senza eredi del duca di Puglia e Calabria Guglielmo, ne rivendicò i domini e riuscì
a impadronirsene, unificando le diverse formazioni politiche normanne. Nel 1130, approfittando dello sisma apertosi
nella chiesa romana con la mrote di papa Onorio II, ottenne dall'antipapa Anacleto II il titolo di re di Sicilia, Calabria e
delle Puglie.

IL MEZZOGIORNO D'ITALIA DA RUGGERO II A GUGLIELMO II

Ruggero II si dedicò alla riorganizzazione dei suoi domini, che al momento dell'unificazione erano privi di coesione
politica e amministrativa e ospitavano genti con religione, lingue e culture diverse.
Per armonizzare le diverse componenti del regno, il sovrano attuò una politica di tolleranza in materia di usi religiosi e
giuridici, ma cercò di rafforzare il suo potere costruendo un efficiente apparato burocratico. Mentre l'aristocrazia laica
veniva inquadrata in una rete di relazioni feudo-vassallatiche, la monarchia si dotava di strumenti di intervento diretto
prendendo a modello le strutture ereditate da arabi e bizantini. L'esercizio dei poteri di governo fu affidato a un corpo di
funzionari regi presenti nel territorio e dipendenti dalla corte di Palermo, incarcati dell'amministrazione della giustizia e
di quella del fisco e delle entrate regie. Per migliorare l'efficienza dell'apparato vennero istituiti uffici finanziari, le
dohanae, ereditati dalla tradizione amministrativa musulmana.
L'azione di Ruggero II non riuscì comunque a eliminare gli elementi di debolezza di una costruzione statuale
disomogenea e messa in discussione dai poteri locali.
Dopo la sua morte i grandi vassalli regi e le città si ribellarono, rivendicando spazi di autonomia più ampi; i suoi
successori, Guglielmo I e Guglielmo II si trovarono a misurarsi con questi problemi in un momento in cui nel
Mediterraneo gli equilibri politici mutavano in senso ostile al regno: da un lato si faceva sempre più forte la pressione
esercitata da Genova e Venezia , in costante rivalità fra loro, e dall'altro sul versante del mondo musulmano, si
registrava una ripresa delle operazioni militari.
Alle minacce dell'espansionismo islamico si aggiungevano quelle dei due imperatori Emanuele Comneno, che non
aveva rinunciato a riconquistare i domini italiani, e Federico I, che dopo aver promesso il suo sostegno alla politca
antinormanna del papato con il contratto di Costanza (1153), iniziava nel 1154 una spedizione in Italia.
Guglielmo I affrontò i bizantini ottenendo una serie di successi militari che portarono nel 1158 alla stipula di una pace
trentennale con l'impero d'Oriente; quanto a Federico I, riuscì a privarlo del sostegno del papato impegnandosi a
stringere una solida alleanza con Roma.
Guglielmo rafforzava così la sua sovranità e consolidava quel rapporto papato-Sicilia che si sarebbe ben presto rivelato
fondamentale per contrastare la politica imperiale in Italia.
Sul fronte interno, tuttavia, dovette misurarsi con una rivolta dell'aristocrazia che fu domata con grande violenza.

LA RECONQUISTA E I REGNI IBERICI

La conquista musulmana della penisola iberica non si era tradotta in un completo assoggettamento del territorio. Solo la
maggior parte di questo, quella più ricca, era divenuta una provincia del califfato omayyade; nelle regioni del Nord e nei
Pirenei sopravvivevano focolai di resistenza, dai quali presero forma alcuni organismi politici: il regno delle Austrie, il
regno di Pamplona e,più a est, alcune contee create dall'intervento dei franchi.
Nel corso del IX secolo gli Stati cristiani riuscirono a resistere alle spedizioni organizzate dagli emiri di Cordova e a
espandersi promuovendo il ripopolamento delle aree deserte; a protezione dei nuovi insediamenti furono eretti castelli e
altre strutture di difesa.
Alla fine del X secolo un'offensiva organizzata dal califfo di Cordova Almanzor fece cadere le principali città
cristiane,ma alcuni anni dopo la morte del califfo, iniziò il declino dello stato omayyade (1031) e gli Stati cristiani
intensificarono l'azione contro i musulmani.
L'obiettivo dei sovrani iberici non fu mai lo sterminio o la cacciata dei musulmani, bensì la loro sottomissione politica.
Nelle regioni in cui la popolazione musulmana era scarsa vennero fondate nuove città; dove erano numerosi, i
musulmani conservarono beni, leggi e religione, ma furono costretti ad abbandonare le principali città o ad accettare di
essere relegati in un sobborgo loro destinato.
Dopo la morte di Sancho II il Grande, re di Navarra, i suoi territori furono divisi dando origine a tre regni destinati a
dominare la scena della penisola iberica per lungo tempo: Navarra, Castiglia e Aragona. Navarra e Aragona rimasero
unite dal 1076 al 1134.
La Navarra, dopo la separazione dell'Aragona, non fu più in contatto con i musulmani e la riconquista fu portata avanti
da Aragona e Castiglia.
L'avanzata degli stati cristiani subì una prima battuta d'arresto alla fine dell'XI secolo per la controffensiva organizzata
dagli almoravidi, una dinastia berbera che conquistò il califfato nel 1086, e nuovamente a metà del secolo succesivo, ad
opera degli almohadi, dinastia proveniente dal Marocco. Ma alla fine del XII secolo i principi cristiani ripresero
l'avanzata verso sud, fino alla decisiva vittoria di Las Navas de Tolosa (1212); alla metà del '200 la reconquista era
ormai conclusa e ai muulmani rimaneva solo un ristretto territorio, l'emirato di Granada.
14) FERMENTI RELIGIOSI E RIFORMA DELLA CHIESA

LE ISTANZE DI RINNOVAMENTO RELIGIOSO

Nel corso dell'XI secolo si affermò nella chiesa una forte esigenza di rinnovamento che diede luogo a un movimento di
riforma della vita e dell'organizzazione del clero destinato a modificare radicalmente i rapporti tra papato e impero.
Oggetto delle istanze riformatrici furono i problemi creati dallo stretto legame che sin dal tempo dei merovingi aveva
unito strutture ecclesiastiche e poteri politici. Questo legame aveva accresciuto la potenza di chiese, episcopi e
monasteri, e al tempo stesso aveva determinato l'ingerenza dei laici nelle nomine religiose, trasformando gli enti
ecclesiastici in strumenti politici in mano a re e signori.
Quanto la subalternità al potere laico permeasse l'intera struttura ecclesiastica lo mostra la diffusione delle cosiddette
ecclesiae propriae (chiese private), ossia cappelle e monasteri fondati dalle famiglie aristocratiche sulle terre allodiali,
con chiare finalità non solo devozionali, ma anche politiche ed economiche.
L'ingerenza laica nelle nomine ecclesiastiche portò a un impoverimento culturale e morale del clero, scelto con criteri
dettati dagli interessi dei proprietari; il risultato fu che presso di esso si diffusero il matrimonio e il concubinato, con la
conseguente dispersione dei beni delle chiese, utilizzati per dotare figli e mogli dei religiosi, e si affermò inoltre la
simonia, termine con il quale si indica il commercio delle cariche ecclesiastiche e dei beni spirituali.

NUOVO MONACHESIMO E RINNOVAMENTO DELLA CHIESA

L'esigenza di una riforma che restituisse credibilità e prestigio alla chiesa divenne molto sentita sia presso i laici che
presso i religiosi.
I primi segni di rinnovamento partirono da Cluny, abbazia benedettina della Borgogna, fondata nel 910 (era una chiesa
privata), nella quale si affermò una nuova interpreazione della regola benedettina: il lavoro manuale fu affidato a servi e
coloni perchè i monaci potessero dedicarsi esclusivamente alla preghiera e allo studio, si introdusse una nuova liturgia e
l'intercessione per i morti e la pratica delle opere di misericordia. L'abbazia aveva ricevuto dal suo fondatore l'immunità
dalla giurisdizione vescovile.
Cluny divenne una delle abbazie più ricche e potenti d'Europa,centro di una vasta rete di monasteri dipendenti che
seguivano la sua interpretazione della regola ed erano governati da priori designati dall'abate cluniacense, a sua volta
dipendente direttamente dal papa.
Altre esperienze di rinnovamento monastico nacquero dal rifiuto del potere e della ricchezza e dall'esigenza di una
religiosità più vicina al modello della povertà evangelica.
Sul finire dell'XI secolo anche in Francia si diffusero nuove esperienze di vita comune dei religiosi orientate, in
polemica con la potente e ricca abbazia di Cluny, verso gli ideali eremitici.
L'ordine certosino prese il nome dalla località in cui sorse il primo monastero; "certose" furono chiamate le filiazioni
all'interno delle quali ciascun monaco viveva in solitudine per gran parte della giornata.
L'ordine cistercense nacque prima del 1099 a Citeaux, con il proposito di tornare all'osservanza letterale della regola
benedettina e di contrapporre al fastoso onachesimo cluniacense l'isolamento e il lavoro manuale. I monasteri
cistercensi erano autonomi; l'ordine era governato da un organismo centrale, il capitolo generale, che si riuniva ogni
anno e prendeva le decisioni valide per tutte le abbazie.
Le istanze di rinnovamento e la critica del clero corrotto vennero portate avanti anche dai laici, tra i quali cresceva la
domanda di partecipazione alla vita religiosa e all'elaborazione dottrinale. In Italia, a metà dell'XI secolo, gruppi
d'ispirazione pauperistica, che predicavano il ritorno alla chiesa delle origini, si svilupparono in Toscana e in
Lombardia, dove nacque un movimento che contestava la validità dei sacramenti amministrati dai chierici corrotti.
Questo movimento nacque a Milano per iniziativa del diacono Arialdo; tra i suoi seguaci non vi furono solo laici,ma
anche esponenti del clero citatdino.

L'IMPERO E LA RIFORMA DELLA CHIESA

Gli imperatori appoggiarono con Enrico III il movimento di riforma. Enrico si impegnò nella moralizzazione
dell'episcopato e si propose di restituire dignità al papato, da tempo ostaggio dell'aristocrazia romana, che controllava
l'elezione dei pontefici. Nel 1046 l'imperatore prese parte al concilio di Sutri, durante il quale depose i tre papi romani
che si contendevano la tiara e nominò un suo candidato, il vescovo sassone Suidgero, che prese il nome di Clemente II.
Sia Clemente che i suoi successori, Leone IX e Vittore II, si impegnarono nella riforma della Chiesa. Leone IX riunì
introno a sè uomini di grande prestigio provenienti da tutta Europa ed esponenti del movimento riformatore, e con il
loro appoggio avviò una campagna contro la simonia e il concubinato, sostenendo la posizione più radicale, che
condannava alla nullità non solo le ordinanze simoniache, ma anche quelle date regolarmente da vescovi simoniaci.
Il pontefice, inoltre, pose le prime basi della teoria della supremazia del papato facendo approvare nel concilio di Reims
del 1049 due canoni che affermavano l'indipendenza degli ecclesiastici dai poteri laici e il primato della sede romana
sulla Chiesa.
La seconda posizione compromise il precario equilibrio sul quale si reggevano i rapporti con la Chiesa d'Oriente: nel
1053 il aptriarca di Costantinopoli Mihele Cerulario chiuse i monasteri e le chiese latine; l'anno successivo la
delegazione latina inviata a Costantnopoli per trovare un accordo fallì il suo obiettivo.
Lo scisma che si aprì in quell'occasione sarebbe divenuto insanabile.
Ad accrescere le difficoltà della Chiesa romana intervenne la politica di Leone IX nei confronti dei normanni: nel 1053
il papa si fece promotore di una coalizione per fermare l'avanzata nel Mezzogiorno, ma essa fu sconfitta e Leone venne
fatto prigioniero; i suoi successori preferirono trovare un accordo con i normanni, riconoscendo le loro conquiste in
cambio di un appoggio politico e militare.
Con la morte di Enrico III e l'elezione al trono del figlio minorenne Enrico IV la collaborazione tra impero e riformatori
della Chiesa ebbe fine. La minorità dell'imperatore offriva al papato la possibilità di sottrarsi finalmente al controllo
della corte tedesca e l'occasione fu colta nel 1057, quando il clero romano elesse il nuovo papa, Stefano IX, senza
chieseer l'autorizzazione imperiale.
Nel concilio lateranense del 1059 papa Niccolò II stabilì un decreto che stabiliva che l'elezione del papa avvenisse a
Roma e fosse riservata ai cardinali, ossia ad un collegio costituito da 7 vescovi delle diocesi situate intorno a Roma, da
28 preti titolari di altrettante chiese romane e da 14 diaconi responsabili delle circoscrizioni assistenziali. Clero e popolo
romano avrebbero approvato e acclamato l'eletto. La corte tedesca,però.rifiutò il legato papale e promosse un concilio
che annullò i decreti pontifici.
Per la chiesa romana era giunto il momento di trovare nuovi appoggi e alleanze; fu così che fu stipulato l'accordo di
Melfi, che garantiva al papato l'aiuto militare di cui aveva bisogno per far rispettare il decreto sull'elezione.l'accordo
divenne subito operante e nel 1061 permise ai cardinali di superare la grave crisi apertasi con l'elezione a pontefice del
vescovo di Lucca, Anselmo da Baggio (alessandro II), non riconosciuto dalla corte tedesca, che elesse un altro papa,il
vescovo di Parma Cadalo (Onorio II).
Alessandro II portò avanti con decisione la politica di affermazione del primato pontificio anche nei confronti della
struttura ecclesiastica e intervenne sempre più di frequente nella vita delle chiese locali.

ENRICO IV E GREGORIO VII

La strada intrapresa dal papato era destinata a scatenare un conflitto con l'impero, cosa che avvenne quando Ildebrando
di Soana divenne papa col nome di Gregorio VII. L'impulso dato da quest'ultimo al processo di centralizzazione delle
istituzioni ecclesiastiche e al rafforzamento del primato assoluto del papa suscitò l'ostilità sia dell'imperatore sia dei
vescovi, che vedevano nella sottolineatura del primato pontificio una minaccia alla loro autonomia.
Gregorio VII si trovò davanti un imperatore deciso a contrastare i progetti pontifici; Enrico fece ricorso all'appoggio di
vescovi e abati fedeli, attribuendo vescovadi e monasteri con criteri che ormai il movimento riformatore qualificava
come simoniaci.
Lo scontro divenne inevitabile quando Gregorio VII depose numerosi vescovi dell'Italia settentrionale e della Germania
ed emanò un decreto con il quale vietava alle autorità laiche di concedere l'investitura di vescovati e abbazie, e agli
arcivescovi di consacrare chi avesse ricevuto l'investitura da un laico.
Enrico IV rispose al pontefice convocando a Worms e a Piacenza due concili di vescovi, che deposero Gregorio VII;
questi, a sua volta, scomunicò l'imperatore e sciolse i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà. La decisione ebbe
immediate ripercussioni in Germania, dove i grandi del regno, che da tempo si opponevano a Enrico IV, si sollevaroo
contro di lui, così che egli fu costretto a cercare un accordo con il pontefice.
Tornato in Germania, Enrico mise fine alla sollevazione dei principi tedeschi e riprese la politica di contrapposizione al
papato. Nuovamente scomunicato e deposto, Enrico IV fece a sua volta deporre Gregorio VII e nominare papa
l'arcivescovo di Ravenna Guiberto, che prese il nome di Clemente III.
Nel 1081 l'imperatore mosse verso Roma e nel amrzo del 1084 entrò in città, constringendo Gregorio a rifugiarsi a
Castel Sant'Angelo e facendosi incoronare imperatore dall'antipapa Clemente; si ritirò, tuttavia, subito dopo la notizia
dell'arrivo dei normanni, che si ernao mossi in aiuto del papa.

IL CONCORDATO DI WORMS E LA LIBERTAS ECCLESIAE

Spentosi Gregorio VII, prese il sopravvento la ricerca di un copromesso per risolvere il onflitto con l'impero.
Un primo accordo fu raggiunto con il re di Francia dal successore di papa Vittore III, Urbano II.
La soluzione, concordata anche con il re d'Inghilterra prevedeva la separazione fra investitura spirituale e attribuzioni
temporali della carica vescovile: il re e i grandi del regno avvrebbero rinunciato all'investitura dei vescovi con l'anelo e
il pastorale per riservarsi quella dei beni temporali dietro giuramento di fedeltà. Si preparava in questo modo la strada
all'accordo con l'impero, raggiunto dopo un lungo confronto che vide protagonisti Enrico V e papa Pasquale II. Essi
trovarno una prima intesa nel febbraio 1111 con il "compromesso di Sutri": Enrico rinunciava alle investiture e la
Chiesa a tutti i beni materiale e alle funzioni pubbliche concesse da re e imperatori, ma l'accordo non fu attuto per
l'opposizione dei vescovi tedeschi presenti a Sutri e di altri esponenti della parte papale, anzi,Pasquale sotto minaccia
dell'esercito imperiale, fu costretto a incoronare Enrico V e a concedergli la facoltà di di investire i vescovi con i
simboli del potere spirituale, anello e pastorale.
Il definitivo accantonamento della soluzione prospettata a Sutri avvenne nel concilio lateranense convocato nel 1116,
nel quale Pasquale tenne un discorso con cui sconfessava le sue decisioni precedenti e affermava il diritto della Chiesa
al possesso dei beni temporali.
L'intesa con l'imperatore fu trovata nel 1122 da Callisto II con il concordato di Worms: l'imperatore rinunciava
all'investitura con l'anello e pastorale dei evscovi eletti dal clero locale,ma conservava il diritto di rpesenziare
all'elezione e la prerogativa e la prerogativa dell'ivestitura di funzioni e beni temporali simboleggiata dalla consegna di
uno scettro. Era una soluzione che epr il momento poneva fine al quali secolare conflitto tra papato e impero.

L'AFFERMAZIONE DEL PRIMATO PAPALE

Nel 1123 Callisto II convocava a Roma un concilio ecumenico al quale presero parte vescovi e abati di tuttol'Occidente;
segnò l'inizio di una serie di assemblee che scandirono la progressiva affermazione della supremaza papale. Il concilio
confermò l'estraneità del laici all'ordinamento ecclesiastico.
Anche l'elezione del papa fu definitivamente liberata da ogni residuo di influenza laica.
La monarchia pontificia intensificò in quel secolo i suoi interventi nei regni cristiani, affermandosi in più di una
occasione come suprema istanza politico-giurisdizionale. Nel frattempo il papat creava nuovi strumenti di governo, per
designare i quali si cominciò a usare l'espressione "curia romana". Il nucleo centrale della curia era il collegio dei
cardinali, che acquistò sempre maggiore importanza; oltre ad affiancare il papa nelle funzioni di governo, i cardinali
svolgevano missioni nei vari apesi della cristianità.
Si formòanche un organismo per l'amministrazione delle finanze, la camera apostolica, mentre la cancelleria, il più
antico ufficio della curia pontificia, vide aumentare notevolmente il proprio lavoro in seguito alle nuove iniziative
diplomatiche e ai più intensi contatti con vescovi e abati di tutta la cristianità.
15) LE CROCIATE

ALLE ORIGINI DELLA CROCIATA

Nel quadro del rinnovamento religioso che si dispiegò nei secoli X-XI, conobbe una crescente diffusione la pratica del
pellegrinaggio (Roma e Gerusalemme). A mettersi sulla strada erano persone appartenenti ai ceti sociali più diversi,
spinte dal desiderio di espiare le proprie colpe.
Alle mete di più antica tradizione si aggiunse nei secoli della reconquista quella di Santiago de Compostela.
Nel novembre 1095 papa Urbano II, condannando le lotte fra cristiani che insanguinavano l'Occidente europeo, esortò
quanti vi erano coinvolti a prendere la strada della Terrasanta per mondarsi dei peccati e contribuire a tenere gli infedeli
lontano dai luoghi della vita di Crsito.
Per emglio comprendere le ragioni che possono aver spinto all'impresa della crociata sarà bene avere presente che
l'Europa della fine dell'XI secolo viveva una fase di forte espansione:la popolazione era in sensibile aumento,
l'agricoltura conquistava incessantemente nuove superfici,i commerci di terra e di mare raggiungevano mercati sempre
più lontani.

LE PRIME SPEDIZIONI E LA CONQUISTA DI GERUSALEMME

L'appello lanciato da Urbano II trovò ascolto immediato in quelle componenti più umili e marginali della società che
con forte slancio già avevano partecipato al movimento di riforma della Chiesa. Già nella primavera del 1096 una folla
di qualche migliaio di persone si mise in marcia verso la Terrasanta, percorrendo le valli del Reno e del Danubio e
cominciando da qui la caccia agli "infedeli" e il loro massacro: ne fecero tragicamente le spese sopratutto le fiorenti
comunità ebraiche della regione. Saccheggi, razzie, uccisioni misero ben presto in allarme nobili e contadini, che in
Ungheria riuscirono a infliggere a questo esercito di disperati una dura sconfitta.
La crociata "ufficiale" ebbe inizio poco dopo e vide la mobilitazione di alcuni fra i maggiori rappresentanti del mondo
feudale europeo, tutti sotto la guida del legato pontificio Ademaro di Monteil. Tanto il re di Francia, quanto l'imperatore
non furono chiamati a partecipare alla crociata, in quanto scomunicati. Un aiuto importante recarono alle operazioni
pisani e genovesi, i cui anvigli agevolarono il trasporto dei crociati; nei decenni successivi colonie e fondachi delle due
repubbliche si moltiplicarono e prosperarono in tutti i centri commerciali delle regioni conquistate.
I singoli contingenti militari confluirono a Bisanziofra l'autonno del 1096 e la primavera dell'anno successivo; nel
giugno del 1097 mossero verso la Terrasanta.
L'accordo definito con Alessio Comneno prevedeva che questi avrebbe provveduto ad approvvigionare gli eserciti e
rifornirli di armi e che, in cambio, tutti i territori che fossero stati sottratti ai turchi sarebbero tornati alla dominazione
bizantina (impegno che i crociati non mantennero).
Posta sotto assedio per cinque settimane e conquistata il 15 luglio 1099, Gerusalemme divenne la capitale dell'omonimo
regno; alla conquista fece seguito lo sterminio di gran parte della popolazione musulmana ed ebraica.
A nord dei territori di Gerusalemme,lungo le coste del Mediterraneo, si erano formati gli Stati Latini della contea di
Tripoli, del principato di Antiochia, dell ontea di Edessa, delregno della Piccola Armenia. Si trattava di stati di impronta
nettamente feudale che i più potenti fra i signori occidentali avevano costituito per assicurare a se stessi e ai propri
vassalli dominazioni e rendite importanti.
Diversi fattori determinavano, però, la debolezza degli Stati latini d'Oriente: le divisioni interne ai gruppi dominanti, un
territorio modesto, lo scrso numero dei crociati, e i difficli rapporti con le popolazioni locali.
A fronte di tale situazione,un ruolo importante finirono dunque con l'assumere quegli ordini religiosi di tipo nuovo, nati
a Gerusalemme e che gli storici denominano monastico-militari, i cui membri erano tenuti alla lotta contro gli infedeli e
alla difesa dei pellegrini che incessantemente giungevano per visitare i luoghi santi.

LA RISCOSSA ISLAMICA E LA DEBOLE RISPOSTA DELL'OCCIDENTE

Neppure il supporto guerresco dei moanc-cavalieri valse a porre le conquiste crociate al riparo dai pericoli incombenti.
Accadde infatti che, quando il turcomanno Imad al-Din Zinki mosse al recupero dei territori perduti dall'Islam, riuscì
senza soverchi problemi a conquistare la parte orientale del principato di Antiochia e della contea di Tripoli, e a
impadronirsi poco dopo di Edessa.
Da ciò scaturì la seconda crociata (1147-48), bandita da papa Eugenio III e fortemente voluta dal cistercense Bernardo
di Chiaravalle, che riuscì a mobilitare alcuni fra i più potenti sovrani: il re di Francia Luigi VII, l'imperatore Corrado III
e il re di Sicilia Ruggero II. Tale crociata, per la rivalità fra i protagonisti e lo scarso coordinamento militare non
conseguì alcun risultato. In particolare, re Ruggero si limitò a scatenare un attacco contro Bisanzio nel tentativo di
impadronirsi dei suoi domini nel Peloponneso.
L'offensiva islamica contro gli Stati latini d'Oriente era destinata ad andare avanti. A seguito dell'unificazione di Egitto e
Siria in un'unica dominazione indipendente da Baghdad, sotto il sovrano Salah ed-Din, si crearono le condizioni per un
ultimo attacco, che fu sferrato nel 1187 e portò alla conquista di Gerusalemme.
La clamorosa caduta della città santa nelle mani dell'islam spinse a una terza crociata (1190-92), che vide impegnare
alcune frale maggiori personalità politiche del mondo occidentale: l'imperatore Federico I, il re di Francia Filippo
Augusto, il re d'Inghilterra Riccardo I Cuor di Leone. Tuttavia, nonostante l'impegno, non riuscirono a liberare
Gerusalemme.

LA QUARTA CROCIATA E L'IMPERO LATINO D'ORIENTE

La morte di Salah ed-Din nel 1193, e la conseguente frammentazione dei suoi domini, segnalavano la possibilità di
nuovi e più fortunati interventi delle milizie crociate. Il bando di una nuova crociata, la quarta, si ebbe nel 1202, per
iniziativa di Innocenzo III.
Confluiti a Venezia al fine di imbarcarsi per la Terrasanta, i crociati si trovarono, tuttavia, a non disporre di una somma
di denaro sufficiente per nolegiare le navi necessarie al trasporto di migliaia di uomini. In loro soccorso venne allora il
doge Enrico Dandolo, il quale si offrì di fornire le imbarcazioni a patto che gli eserciti crociati aiutassero Venezia nella
riconquista della città adriatica di Zara.
Accettate le condizioni ed espugnata per conto di Venezia la cattolica Zara (1202), i crociati pensarono bene di
compiere una seconda deviazione, accogliendo questa volta l'invito di Alessio il Giovane, figlio del deposto imperatore
di Bisanzio Isacco II Angelo, a soccorrere il padre nell'impresa di tornare sul trono estromettendo il fratello che lo aveva
usurpato: oltre che promettere una ricompensa in termini di ricchezze e presidi territoriali, Alessio faceva balenare la
possibilità di riportare la chiesa di Costantinopoli sotto l'egemonia di quella romana.
Nel 1203 Isacco e Alessio entrarono in Costantinipoli riconquistata, am ciò non valse a riportare lapace. Il venir meno di
Alessio alle promesse fatte ai crociati, il malcontento della popolazione spinsero gli occidentali a un nuovo intervento.
Il 13 aprile 1204 Costantinopoli fu assalita, occupata e sottoposta a uno spietato saccheggio.
Sulle ceneri dell'impero di Bisanzio i crociati procedettero a fondare l'impero latino d'Oriente, affidato a Baldovino,
conte di Fiandra.
Al nuovo stato fu assegnato un quarto dei territori già appartenuti a Bisanzio; della parte restante la metà andò a Venezia
e l'altra fu spartita fra i condottieri crciati di maggiore spicco.
A Venezia furono confermati tutti i privilegi commerciali di cui già godeva ed altri ne furono aggiunti.
Le insegne dell'impero di Bsanzio non furno, tuttavia, in tutto ammainate, continuando a vivere in quelle del piccolo
impero anatolico di Nicea, che se ne proclamò l'erede.
Fu questo l'esito anomalo di una crociata che non giunse mai a interessare il Vicino Oriente e i luoghi santi, esaurendosi
paradossalmente in uno scontro fra cristiani.
La scarsa coesione sociale del nuovo Stato e la sua fragilità politico-militare resero possibile la riconquista di
Costantinopoli da parte dei greci di Nicea, sostenuti dai genovesi, insofferenti dello strapotere commerciale veneziano.
Fu Michele VIII Paleologo ad alzare nuovamente, nel 1261, le insegne dell'impero di Bisanzio nella sua capitale. I
territori dell'impero riconquistato erano, tuttavia, ridotti ormai a poca cosa.
La dinastia dei paleologhi sarebbe restata sul trono fino alla caduta di Costantinopoli sotto i colpi dei turchi ottomani
(1453).
In occasione del quarto concilio lateranense (1215)Innocenzo III tornò a promuovere un'altra spedizione per la
liberazione dei luoghi santi (la quinta), sollecitando il massimo coinvolgimento delle gerarchie ecclesiastiche. La morte
del papa fece sì che toccasse al suo successore Onorio III il compito di organizzarla. Nel 1217 i crociati tornarono sotto
la guida di re Andre d'Ungheria, del duca Leopoldo d'Austria e di Giovanni di Brienne, a muovere verso Oriente,
indirizzandosi sull'Egitto, la cui conquista veniva ormai considerata necessaria per accedere alla Palestina. Tuttavia, non
vi furono risultati significativi, visto che tutto si risolse nella provvisoria occupazione di Damietta, città del delta del
Nilo.
Esito non migliore ebbero le due crociate successive, la sesta e la settima. Entrambe videro protagonista il re di Francia
Luigi IX il Santo, che fece di tutto per realizzare il sogno della riconquista di Gerusalemme: nella prima spedizione
(1248-54), però, fu catturato dalle truppe islamiche e liberato solo dopo il pagamento di un ingente riscatto; nell'altra
(1270) incontrò la morte a seguito di un'epidemia di peste.
16) LA RINASCITA CULTURALE DEL XII SECOLO
IL RINNOVAMENTO DEL SAPERE

Le trasformazioni che dall'XI secolo investirono l'Europa appaiono strettamente legate alle novità che nello stesso arco
di tempo interessano il mondo del sapere. Questo conobbe un rinnovamento così profondo che gli storici parlano di
"rinascita del XII secolo": nuovi metodi e nuovi contenuti si affermarono nei più diversi capi del sapere, cambiando il
volto della cultura europea, che cominciò a liberarsi dal monopolio della Chiesa per fare spazio ai laici.
La stessa cultura ecclesiastica si aprì al desiderio di innovazione e alla ricerca del confronto.
Alla base delle molteplici nuove esperienze intellettuali del XII secolo si può collocare l'intensificarsi dei contatti e
degli scambi di idee tra uomini di diversa origine e cultura. Il luogo d'incontro e di comunicazione privileggiato furono
le città.
Negli uffici delle magistrature cittadine, nelle botteghe artigiane, nei tribunali, nelle piazze delle città, nelle cancellerie
delle corti regie, l'uso della scrittura si diffuse sempre più coe strumento per ordinare e classificare informazioni di
natura economica e politica, mettere per iscritto i rapporti giuridici tra privati, dare solidità alle regole della vita
collettiva, tenere memoria di eventi pubblici.
La cultura ecclesiastica continuò a dominare la scena ancora per diverso tempo, ma la produzione di documenti legata
all'attività burocratica dei nuovi regni e delle nuove istituzioni comunali e signorili generò nuovi protagonisti della
scrittura: una uova cultura laica.

NUOVI PROTAGONISTI DELLA CULTURA

Uno dei settori investiti dal rinnovamento fu quello delle scritture notarili. Il notaio, quale oggi lo conosciamo, è una
creazione dell'Italia medievale; fu tra XI e XII secolo che la figura del notaio acquisì un sempre maggiore prestigio,
grazie anche a una più solida formazione giuridica legata alla rinascita dell'insegnamento del diritto romano, giungendo
così a ottenere la capacità di garantire con la sua sola sottoscrizione la validità giuridica dei suoi scritti.
I notai offrirono anche un apporto di grande rilievo alla nascita e allo sviluppo delle istituzioni comunali. I notai al
servizio del comune si collocarono ai livelli più elevati della società e della vita politica: divennero, infatti, custodi della
memoria civica e scrittori di cronache cittadine, dando inizio con ciò alla storiografia laica.

L'ORGANIZZAZIONE DELLE SCUOLE LAICHE

Nell'alto medioevo le scuole erano quasi completamente sotto il controllo della Chiesa. L'insegnamento veniva
impartito presso vescovati, monasteri e solo per l'Italia si ha notizia di scuole private laiche.
La maggior parte delle scuole ecclesiastiche era di livello elementare; solo in alcune si impartiva un insegnamento
superiore. L'insegnamento si basava sulle sette arti liberali, distinte dagli autori lssici in trivio e quadrivio, e prevedeva
che il maestro procedesse alla lettura e al commento di un testo. Lo studio delle materie predette era finalizzato a una
migliore comprensione delle sacre scritture.
All'inizio del XII secolo molte grandi scuole monastiche erano in decadenza, mentre nelle città si moltiplicavano le
scuole laiche sotto la spinta della richiesta di istruzione che veniva dai nuovi gruppi di scriventi.
A partire dal XIII secolo disponamo di maggiori informazioni sulle scuole private laiche, tenute da maestri ingaggiati
con contratti e spesso chiamati a insegnare a casa. Il curriculum scolastico prevedeva, prima di accedere all'università,
tre gradi di scuola. Il primo era rappresentato dalla scuola di base, articolata in due o tre livelli, nel corso dei quali si
insegnava a leggere e a scrivere e si forniva una prima conoscenza del latino; seguiva poi la scuola di grammatica, nella
quale si insegna la grammatica latina; infine, il terzo grado di scuola si incentrava sulle arti del trivio e del quadrivio.
La rchiesta di cultura portò alla creazione di specifiche scuole professionali, come la scuola di abaco,nella quale si
insegnavano i calcoli, anche complessi.
La scuola era frequentata, dopo quella di base, dai figli dei mercanti.
Nel XII secolo le conoscenze matematiche dell'Occidente progredirono notevolmente, grazie ai contatti con la cultura
araba.
Un contributo determinante allo sviluppo della matematica venne dal pisano Leonardo Fibonacci, che contribuì alla
diffusione in Occidente dello zero e del sistema di numerazione che oggi chiamiamo arabo, ma che in realtà era nato in
India.i nuovi numeri permisero sin dal medioevo nuove possibilità di sviluppo dei calcoli.

LA NASCITA DELLE UNIVERSITà

Mentre nelle città si moltiplicavano le scuole laiche, anche nelle scuole ecclesiastiche si diffondeva un'esigenza di
rinnovamento. La circolazione in Europa di nuovi testi modificò non solo i programmi di insegnamento, ma anche
metodi e obiettivi. Nel XII secolo alcuni maestri cominciarono a proporre lezioni innovative, la cui fama attirò studenti
da ogni parte d'Europa.
Nel frattempo a Bologna, nella seconda metà dell'XI secolo, il giurista Pepone aveva dato vita di propria iniziativa
all'insegnamento del diritto romano. L'innovazione della scuola di Bologna, laica e indipendente, fu quella di aver
basato l'insegnamento sulla lettura e il commento del testo integrale delle leggi romane e di aver riportato alla luce la
parte più importante del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano.
A Bologna e a Parigi, tra XII e XIII secolo, studenti e insegnanti cominciarono a unirsi in associazioni spontanee
nell'intento di difendere i propri interessi. Queste associazioni presero il nome di universitates.
A Bologna l'evoluzione avvenne prima del XIII secolo, con la costituzione di università di studenti organizzate in base
alla provenienza geografica, che nel'200 confluirono in due associazioni: una per gli studenti provenienti da oltralpe e
una per gli itaiani.
Ogni università era guidata da un rettore eletto fra gli studenti, al quale spettava fissare i compensi per i professori, i
pieni di studio, i prezzi di alloggi e i libri.
L'esempio di Bologna e Parigi venne imitato in tutta Europa.
Ma fu Federico II ad aprire una nuova strada nei rapporti tra le università e le istituzioni politiche prendendo
un'iniziativa che sarebbe servita da modello per altri sovrani: nel 1224, per evitare che i suoi sudditi andassero a studiare
fuori dallo stato, fondò a Napoli uno studium destinato a formare i funzionari del regno, provvedendo anche a realizzare
tutte le condizioni necessarie per l'afflusso degli studenti. Era la prima università che nasceva per iniziativa di un
sovrano.
Caratteri del tutto originali presenta quella che è tradizionalmente considerata la prima università dell'Europa
medievale, la Scuola medica di Salerno.

LE TRADUZIONI DAL GRECO E DALL'ARABO

è da tenere in considerazione anche l'impulso dato alla rinascita culturale del XI secolo dalla diffusione di molte opere
latine e greche sconosciute nell'alto medioevo. Il desiderio di conoscenza si manifestarono anche nella ricerca di un
contatto diretto con le fonti della cultura classica, che riguardò sopratutto i testi filosofici e scientifici reci divenuti
estranei al patrimonio dell'Occidente da quando si era estinta la conoscenza della lingua greca; mentre quelle opere
avevano continuato a vivere nel mondo bizantino e nelle culture araba ed ebraica , che le avevano tradotte e
commentate.
L'intensificarsi dei rapporti con il mondo orientale e sopratutto con gli arabi mise il mondo occidentale in condizione di
riappropriarsi dei testi originali traducensoli direttamente dal greco oppure dalle traduzioni in arabo o in ebraico.
Alla fine del XII secolo la cultura occidentale si era arricchita di numerose opere: quasi tutti i testi di Aristotele, le opere
complete di Euclide e quelle di altri scienziati greci, come Archimede e Ippocrate, e molti trattati arabi di matematia,
astronomia, scienze naturali e medicina.
17) TRASFORMAZIONI SOCIALI E AUTONOMIE CITTADINE

NOBILTA' E CAVALLERIA

La crescita demografica ed economica che investì l'Europa occidentale tra XI e XII secolo fu accompagnata da profondi
mutamenti del tessuto sociale. L'affermazione delle signorie locali aveva portato alla formazione di un ceto aristocratico
che basava il suo potere sia sulla ricchezza che sulle funzioni militari; esso conobbe tra XI e XIII secolo una complessa
evoluzione: si trasformò da ceto dirigente aperto a tutte le classi sociali che disponessero di un consistente patrimonio
fondiario, in un ceto giuridicamente chiuso, al quale si poteva accedere solo per via ereditaria, caratterizzato da morale e
stili di vita propri ed esclusivi ("nobiltà di diritto").
L'ereditarietà rafforzò il valore dei legami di consanguineità e la coscienza genealogica delle famiglie, offrendo così una
risposta alla duplice esigenza di dare coesione al gruppo familiare e di legittimare il passaggio dei poteri: lo testimonia
la diffusione, dall'XI secolo, di un nuovo tipo di struttura familiare e successoria che si basava sulla sola dscendenza in
linea maschile, più funzionale alla concentrazione patrimoniale.
L'importanza sempre maggiore attribuita alla cavalleria favorì la anscita di un ceto di professionisti della guerra, i
cavalieri, costituito dai proprietari fondiari che potevano permettersi di acquistare cavallo e armatura e dedicarsi al duro
e costante allenamento necessario per combattere a cavallo.
Nello stesso arco di tempo si vennero formando una coscienza e uno stile di vita comune alle famiglie di tradizione
aristocratica e a quelle dei cavalieri di condizione sociale modesta, i quali iniziarono ad adottare i segni di distinzione
propri della vecchia aristocrazia, come lo stemma familiare, la residenza fortificata, il titolo di dominus.
Nell'XI secolo, nell'ambiente ecclesiastico francese, venne creato un modello di comportamento cavalleresco che cercò
di incanalare l'aggressività dei cavalieri attribuendo loro la missione di difendere i deboli e la cristianità, modello che le
crociate in Terrasanta avrebbero contribuito a rafforzare e diffondere.
Fu in questo clima che si affermò la teoria dei "tre ordini" che componevano la società del tempo: oratores,
bellatores,laboratores. I primi dovevano con la preghiera richiedere l'aiuto divino per tutta la società, i bellatores
combattevano per proteggere la cristianità e consentire il pacifico svolgimento delle attività sia degli oratores che dei
laboratores; il terzo ordine aveva il compito di procurare il sostentamento materiale per le due classi superiori ed era
rappresentato dai contadini, artigiani e da chi praticava il commercio.
Agli inizi del XIII secolo l'aristocrazia, di fronte alla minaccia dei ceti cittadini che mettevano in discussione i suoi
poteri, trovò negli ideali e nello stile di vita cavallereschi una nuova coesione sociale.

CONTADINI, SIGNORI E COMUNUTà RURALI

Anche il mondo dei contadini venne investit da radicali trasformazioni per quanto riguarda la posiione giuridica degli
uomini e le loro condizioni economiche e sociali. La messa a coltura di nuovi terreni, l'aumento della produzione
agricola e l'incremento degli scambi commerciali favorirono l'affermazione di un ceto di piccoli e medi proprietari, i
quali non erano più disposti ad accettare che una parte del loro reddito finisse nelle mani dei signori, senza che a quel
prelievo corrispondesse nessuna contropartita in termini di concessioni fondiarie. Inoltre,con l'affermazione della
signoria territoriale si era andata attenuando la differenza tra la condizione dei coloni liberi e quella dei servi.
Emerge un miglioramento della condizione dei servi, che col tempo si erano visti riconoscere la possibilità di formarsi
una famiglia e avevano avuto in concessione case e terre. Quanto ai coloni liberi, invce, tra XI e XII secolo la loro
condizione peggiorò progressivamente, poichè con l'espansione in senso territoriale dei poteri signorili si videro
imporre obblighi e servizi sempre più gravosi, ai quali si aggiunsero imposizioni in precedenza riservate ai servi.
Uomini di diversa condizione, liberi e servi, si trovarono così assoggettati al signore da un complesso rapporto di
dipendenza basato sull'obbligo di risiedere sul fondo e su una serie di obblighi e di prestazioni che abbiamo visto essere
propri del regime signorile: corvees, donativi, oneri di natura militare ecc.
Si trattava di una condizione che la storiografia ha tradizionalmente indicato con l'espressione "servitù della gleba".
Presso le comunità rurali, proprietari liberi e servi della gleba, organizzarono forme di resistenza e di contestazione
contro le pretese dei signori. Un ruolo importante per l'emancipazione dei contadini lo ebbe anche la colonizzzione
degli spazi incolti, poichè per attirare manodopera i signori ricorsero alle "carte di franchigia"= documenti con i quali ai
coltivatori chiamati a dissodare nuove terre e popolare nuovi insediamenti si concedevano la libertà personale, il
possesso delle terre coltivate e privilegi di esenzione fiscale.
Ma queste carte non riguardarono solo i colonizzatori, poichè il movimento per migliorare stato giuridico e condizioni
di vita coinvolse anche gli altri contadini e i signori furoo costretti a venire a patti, spesso anche in seguito a
contestazioni violente nel corso delle quali furono assalite dimore signorili e chiese.
Questi conflitti non avevano l'obiettivo di eliminare l'autorità esercitata dai signori sul territorio, ma puntavano a
limitarla negli aspetti più arbitrari, con la conseguenza che i signori furono costretti a trovare nuove forme di
sfruttamento dei possessi fondiari e di comando sugli uomini.
LA RINASCITA DELLE CITTA'

I principali beneficiari della crescita demografica ed economia dei secoli X-XII furono i centri urbani. Il loro sviluppo
non riguardò solo le strutture materiali, ma coinvolse anche l'economia, la società, la politica e la cultura e si manifestò
attraverso l'acquisizione da parte degli abitanti di una nuova coscienza collettiva che li portò alla conquista
dell'autonomia politica. Per quella parte d'Europa dove più fitta era la trama delle città di origine romana la premessa di
questo processo si può individuare nel ruolo che nell'alto edioevo le città avevano continuato a svolgere, nonostante il
declino determinato dalla crisi demografica.
Stante l'indebolimento del potere centrale, i vescovi avevano preogressivamente esteso le loro prerogative nel campo
religioso-assistenziale a quello civile, arrivando a esercitare tra IX e X secolo poteri di natura pubblica anche nelle
campagne di gravitazione urbana.
Intorno al vescovo si formò un ceto dirigente costituito da funzionari, notai, giudici, provenienti dalle famiglie eminenti,
che operavano nella gestione pubblica secondo un modello di organizzazione della società e un assetto dei poteri che si
ripropose anche nelle città vescovili di nuova formazione.
Lo sviluppo delle attività artigianali e mercantili e la forte crescita demografica che si ebbe a partire dall'XI secolo
fecero affluire nelle città nuova popolazione proveniente dalle campagne (persone di condizione diversa).

AUTONOMIE CITTADINE E AFFERMAZIONE DEI COMUNI

Dalla fine dell'XI secolo vediamo comparire in alcune città italiane e del Mezzogiorno della Francia forme inedite di
autogoverno,legate a magistrature rappresentative (consules, consoli), espressione della collettività urbana che si
oppone al dominio di vescovi e signori e rivendica un'autonoma iniziativa politica.
Le premesse per l'affermazione di una coscienza collettiva si possono ricercare nell'antagonismo tra i diversi gruppi
sociali e nella contrapposizione tra gli interessi di questi e i detentori del potere politico, che nei centri urbani si
sostanziava dello svolgimento di funzioni pubbliche e dell'esercizio di prerogative signorili.
Il dinamismo economico delle molteplici componenti della socetà urbana trovava nel dominio del signore un ostacolo
che ne frenava lo sviluppo, limitando la libertà delle persone con i vincoli del banno (imposizioni di dazi e pedaggi su
strade e mercati, monopoli di varia natura) o le diverse forme di dipendenza.
La reazione contro il potere dei signori laici ed ecclesiastici ebbe come primo obiettivo il raggiungimento della libertà
personale e della libera desponibilità dei beni e fu guidata da gruppi sociali di più rilevante peso economico e di
maggiore capacità politica e militare. Questi organizzarono il "comune", associazione fra i diversi gruppi di cittadini
basata sul giuramento dei partecipanti, che si impegnavano a mantenere la pace e la concordia interna e a prestarsi
reciproco aiuto contro i nemici esterni, rivendicando autonomia di governo nei confronti del signore.
Al di là di questi elementi comuni, l'affermazione dell'autonoia cittadina non conobbe percorsi ed esiti omogenei nelle
diverse aree geografiche.
Un primo elemento di differenziazione rigurda i ceti sociali che diedero vita al comune. Nell'Europa centrale e
settentrionale, dove i traffici commerciali avevano conosciuto un notevole sviluppo, il fenomeno prese corpo per
iniziativa di emrcanti e artigiani; furono essi a rivendicare, nei confronti dei vescovi e del potere regio, dapprima il
riconoscimento per la città di uno stato giurdico privilegiato, poteri di autogoverno più ampi, pur nella dipendenza di un
potere superiore che non era messa in discussione.
Nella francia settentrionale il movimento comunale si incanalò in due direzioni: città "di come" e città "di franchigia";
nel primo caso, fu perlopiù il re a concedere carte di comune che autorizzavano i cittadini a formare un'associazione
volta a porre argine alle pretese signorili, senza che però fossero introdotte modifiche nell'assetto istituzionale della
città. Nel secondo caso le città ottennero dal sovrano carte di franchigia,le quali regolamentavano l'amministrazione
della giustizia, i doveri militari e le imposizioni fiscali, sotto il controllo di un funzionario regio o di nomina del signore.
Non sempre, tuttavia, la nascita del comune avvenne in maniera incruenta: a Laon essa passò attraverso l'assassinio del
vescovo; nella spagna nordoccidentale in diverse città i nuovi ceti urbani si levarono contro i signori ecclesiastici.
Anche in Germania il re intervenne a sostegno dei cittadini organizzati in comune, sopratutto quando si trattò di
contenere lo strapotere di principi e signori. Qui, tuttavia, la vicenda dei comuni subì l'influenza della parte ecclesiastica
e si caratterizzò per la diffusa presenza di famiglie di tradizione funzionariale, ora concorrenti, ora solidali con il ceto
mercantile e finanziario.
In Inghilterra re e signori favorirono la crescita sociale ed economica dei centri urbani, ma ne contennero la spinta verso
ogni forma di autonomia.
Il comune conobbe una genesi e uno sviluppo peculiare nel Mezzogiorno francese e nell'Italia centrosettentrionale. Per
quanto riguarda la Francia, in analogia con l'Italia, si riscontra la pertecipazione al movimento comunale
dell'aristocrazia urbana di tradizione militare o di origine mercantile, cui ad esempio appartenevano i consoli.
Altro elemento distitivo di forte incidenza nella tipologia del fenomeno comunale è costituito dai rapporti del comune
urbano con i territori circostanti la vittà.
18) ERESIE E ORDINI MENDICANTI (SECOLI XII-XIV)

IL PROBLEMA DELLE ERESIE

Fra XI e XII secolo la restaurazione dell'autorità gerarchica della chiesa si manifestò anche con l'eliminazione delle
istituzioni religiose di ogni ingerenza dei laici, il cui sostegno alla lotta contro il clero simoniaco e concubinario era
stato sollecitato dalla chiesa medesima nella fase iniziale dell riforma. Questo processo, con il quale si sottraeva la
gerarchia ecclesiastica al giudizio di chiunque le fosse straneo, approdò all'esclusione dei laici dall'elezione dei vescovi
e del papa, da quel momento riservata solo al clero. Al tempo stesso, però, la diffusione della cultura e la più intensa
circolazione di uomini e idee spingevano il laicato verso una maggiore partecipazione alla vita religiosa e
all'elaborazione dottrinale.
Si trattava di una richiesta di partecipazione tanto più sentita per l'insoddisfazione generata dal malcontento diffuso dal
clero, a fronte del quale gli ideali del ritorno alla povertà e alla semplicità della chiesa delle origini acquistavano nuova
forza, trasformandosi in denuncia delle contraddizioni aperte nella chiesa stessa dagli sviluppi della riforma.
Nel XII seocolo le tensioni riformistiche presenti nel laicato assunsero l'aspetto di una contestazione radicale delle
gerarchie ecclesiastiche e dell'autorità stessa del pontefice e si scontrarono con una Chiesa impegnata in un processo di
definizione ideologica che la spingeva a reprimere ogni movimento non controllabile nè assoggettabile a ua disciplina, a
differenza di quanto era avvenuto con le istanze pauperistico-eremitiche di certosini e cistercensi.
Il disaccordo con il papa divenne una forma di disobbedienza pericolosa per la stabilità dell'ordinamento ecclesiastico e
in certi casi anche per quello politico; per definirla si tornò a aprlare di eresia.
Tra XII e XIII secolo si passò dal piano della disputa dottrinale alla definizione giuridica dell'eresia in termini di colpa
penalmente perseguibile.

I MOVIMENTI ERETICALI

In Italia le prime manifestazioni di eresia si ricollegarono alla critica contro la proprietà ecclesiastica portata avanti dai
movimenti patarinici dell'XI secolo. È il caso degli arnaldisti, seguaci di Arnaldo da Brescia, canonico agostiniano
impegnato in un'intransigente predicazione contro l'attaccamento della Chiesa ai beni terreni. Colpito dalla condanna
pontificia ed espulso dalla sua città, Arnaldo si recò in Francia; egli peregrinò per l'Europa fino al 1145, quando
raggiunse Viterbo per fare atto di ubbidienza al pontefice Eugenio III; questi lo invitò a recarsi in pellegrinaggio di
penitenza a Roma. Qui riprese a predicare l'austerità dei costumi e a cristicare l'attaccamento ai beni materiali da parte
del papa e dei cardinali; le prospettive pauperistiche di Arnaldo trovarono ascolto presso i ceti subalterni, diventando
strumento di sovvertimento sociale; esse divergevano radicalmente dagli interessi dei gruppi drigenti comunali, ai quali
interessava solo ridimensionare il ruolo politico della curia nella città. Così, quando Adriano IV scagliò l'interdetto su
Roma chiedendo l'splusione di Arnaldo, il senato romano obbed' e il fuggitivo finì sul rogo.
Diversa è la vicenda degli umiliati e dei poveri di Lione. Questi, conosciuti come valdesi, erano i seguaci di un
movimento nato dalla conversione a una vita di povertà e di predicazione del mercante Lione Valdo. I motivi del loro
contrasto con le autorità ecclesiastiche risiede nella predicazione: considerata dai valdesi un momento fondamentale
della formazione religosa dei laici, nella prospettiva di una fede vissuta in maniera cosciente e responsabile, essa era
invece vista dalla gerarchia ecclesiastica come una pericolosa forma di concorrenza nei confronti del clero. Espulsi per
questo dalla diocesi di Lione cercarono invano la legittimazione pontificia alle loro richieste e non riuscirono a evitare
la rottura con la chiesa di Roma quando consentirono la predicazione alle donne.
L'atteggiamento dei poveri di Lione si radicalizzò poi fino alla rottura definitiva con Roma, avvenuta dopo la morte di
Valdo, mentre una parte del movimento si riconciliava con la chiesa tornando all'obbedienza romana.
Anche gli umiliati furono recuperati all'ortodossia; il movimento fu condannato come eretico insieme a catari, valdesi,
arnaldisti e altri gruppi,ma al richiesta degli umiliati di vedere legittimate le loro esperienze di vita comunitaria e di
preghiera fu accolta all'inizio del '200 da Innocenzo III, inquadrandoli istituzionalmente nelle forme di un nuovo ordine
religioso.

L'ERESIA CATARA E I NUOVI STRUMENTI DI REPRESSIONE

Diversamente dai movimenti peuperistico-evangelici che si prpoponevano un rinnovamento della Chiesa romana, i
catari sin dall'inizio contrapposero alla Chiesa esistente una tradizione dottrinale completamente diversa e una struttura
ecclesiastica alternativa. Il catarismo si diffuse intorno alla metà del XII secolo in Germania,Italia e Francia
meridionale. I catari fondavano la loro visione religiosa sull'esistenza di due princpi motori dell'universo, Dio e Satana,
bene e male e rifiutavano i beni temporali e la materialità come emanazione del demonio. Il movimento, prima della
fine del XII secolo, appare organizzato come una rete di episcopi e presenta al suo interno una distinzione tra prefetti,
che amministravano l'unico sacramento riconosciuto dai catari, e i fedeli che partecipavano al culto ed erano collegati ai
prefetti da un patto spirituale, detto in lingua provenzale convenensa.
Pur non riuscendo mai a raggiungere l'unità dottrinale, il catarismo si pose in concorrenza con la chisa di Roma,
proponendo un modello di vita alternativo, basato su una rigorosa morale ascetica e modi di vita ispirati alla povertà. Lo
scontro con il cattolicesimo romano fu radicale.
Nel 1184 Lucio III e l'imperatore Federico I strinsero un'alleanza per la repressione delle eresie. Nella decretale Ad
abolendam heresiam erano condannati come eretici catari, patarini, poveri di Lione, arnaldisti, umiliati e altri
movimento minori, si affidava ai vescovi il compito di inquisire i sospetti di eresia e ai poteri laici quello di eseguire le
condanne, infine si stabiliva la scomunica per pprincipi, signori e magistrati comunali che non si fossero impegnati nella
repressione.
Ma il coinvolgimento dell'autorità civile nell'opera di repressione non apparve sufficiente a combattere il movimento
cataro. Fu Innocenzo III il pontefice che promosse una vasta azione tesa a inasprire la lotta contro gli eretici e a dotare il
papato di nuovi strumenti di repressione.
Nel concilio lateranense III i benefici spirituali e materiali previsti per i corciati in Terrasanta erano stati estesi a coloro
che avessero combattuto contro gli eretici albgesi, ossia i catari. Nel 1208, l'uccisione del legato pontificio Pietro di
Castelnau offrì al papato l'occasione per ricorrere a mezzi più decisi: Innocenzo III bandì contro i catari di Linguadoca
la guerra santa. La crociata si trasformò in un bagno di sangue, durato fino al 1229, che segnò la fine della raffinata
tradizione culturale della Francia meridionale e l'eclissi della sua lingua (lingua d'oc); i catari resistettero ancora per
alcuni decenni subendo altri roghi e veri e propri massacri prima di cadere nel silenzio.
Le esperienze compiute nel campo della lotta antiereticale trovarono una definitiva istituzionalizzazione nel nuovo
concilio ecumenico convocato da Innocenzo III nel 1215 ( Lateranense IV). Tra i numerosi temi trattati fu dedicata
un'attenzione particolare alla condanna delle eresie. Vennero confermate le disposizioni della decretale di Verona del
1184, che aveva già creato tribunali incarcati dell'inquisizione degli eretici e affidati ai vescovi, affiancando a questi una
commissione formata da un sacerdote e alcuni laici.

GLI ORDINI MENDICANTI

Di fronte al vasto diffondersi della dissidenza religiosa il papato noon si limitò a inasprire la repressione. Innocenzo III
era consapevole dell'inadeguatezza delle strutture ecclesiastiche tradizionali rispetto alle nuove esigenze religiose dei
laici e della necessità di dare una risposta alla richiesta di rinovamento espressa dalla società cristiana per colmare il
distacco tra gerarchia e fedeli; così si impergnò anche perchè fosse dato sostegno alle nuove forme di vita religiosa al
fine di allontanare dagli eretici chi ne era stato attratto per ingenuità o per reazione ai costumi corrotti del clero. Il
recupero all'ortodossia degli umiliati e di una parte dei valdesi fu una delle direzioni nelle quali il papato si mosse per
disciplinare le diverse sperimentazioni religiose e reintegrarle nella Chiesa riconducendole nell'ambito di esperienze
monastiche o canonicali già consolidate.
Oltre a queste iniziative, la Chiesa lavorò a costituire un corpo di predicatori che combattesse gli eretici con le loro
stesse armi; furono utilizzate le nuove proposte di vita religiosa portate avanti dagli ordini mendicanti, quello dei Frati
minori (Francesco d'Assisi) e dei Predicatori ( Domenico di Guzman).
Francesco d'Assisi nei primi anni del '200 si dedicò a una vita di povertà, peniteza e predicazione. Tra il 1209 e il 1210
ottenne da Innocenzo III la concessione di predicare la penitenza e l'approvazione verbale delle regole di vita che si era
dato insieme con un gruppo di compagni, definitisi "minori", in quanto umili. I seguaci di Francesco si diffusero
rapidamente in tutta Italia.
L'ordine dei frati predicatori deriva da Domenico di Guzman, che nei primi anni del '200 dedicò la sua attività a quella
di un piccolo nucleo di compagni alla predicazione antiereticale nel Sud della Francia, cuore del catarismo. Domenico
scelse di combattere la propaganda e la penetrazione degli eretici con le loro stesse armi, portando l'esempio di una vita
povera e utilizzando lo strumento della predicazione itinerante. Dopo il riconoscimento del vescovo di Tolosa, i frati
predicatori di Domenico ottennero da Innocenzo III l'approvazione della regola e conobbero una rapida diffusione. Il
loro successo li espose all'ostilità dei chierici locali, preoccupati di una concorrenza che svuotava le loro chiese.
Quando Gregorio IX decise di riorganizzare il tribunale inqusitoriale per la lotta contro gli eretici, i frati domenicani ne
divennero i primi titolari; pochi anni dopo Innocenzo IV fissò una nuova procedura per l'inquisizione e autorizzò l'uso
della tortura e affiancò ai domenicani i frati francescani, dividendo fra i due ordini le zne inquisitoriali.
19) I COMUNI ITALIANI E L'IMPERO

I COMUNI ITALIANI

La nascita del comune cittadino si ebbe in Italia nei decenni a cavallo fra XI e XII secolo. Pisa, Asti, Arezzo, Pistoia e
Ferrara sono da annoverare fra i casi più precoci. La genesi sociale del comune italiano e la sua evoluzione politica
ebbero tratti di peculiarità.
Acanto agli esponenti del ceto mercantile e artigianale, agirono per la sua formazione, anche elementi di spicco della
società precomunale, membri dell'aristocrazia militare di radicamento urbano o immigrati dalla campagna per
consolidare le loro fortune sulla nuova dinamica scena del mondo cittadino.
La lontananza del potere centrale e i conflitti fra papato e impero per il controllo delle nomine vescovili, favorirono i
processi di formazione dei comuni, nei quali si ricercò la risposta alle tensioni sociali in atto e il loro superamento.
Tali processi furono molto vari; in alcuni centri il comune nacque dall'opposizione di tutta la collettività contro gli
arbìtri dei detentori del potere, in altri dal contrasto fra le diverse componenti sociali, riconducibili a quella aristocratica
e al ceto mercantile-artigiano, non più disposto a rinunciare al protagonismo politico. In presenza di un forte potere
vescovile, si ebbe per solito un iniziale periodo di coesistenza fra lo stesso e il comune.
A Milano il processo fu innescato dal conflitto tra "capitànei", i grandi vassalli della chiesa arcivescovile, e i vassalli di
quest'ultimi (valvassores). A partire dall'XI secolo i valvassores rivendicarono l'ereditarietà dei loro benefici a
imitazione dei privilegi di cui godevano i capitanei. Intervenne nella contesa l'imperatore Corrado II , che nel tentativo
di indebolire la grande aristocrazia, fece imprigionare l'arcivescovo di Milano ed emanò la Constitutio de feudis, con la
quale riconosceva nel regno italico l'ereditarietà dei benefici dei valvassores; l'editto finì tuttavia col rafforzare la
coesione all'interno dell'aristocrazia militare; si accese allora la lotta tra milites e il populus. I primi ebbero
momentaneamente la peggio e furono costretti a lasciare la città, nella quale rientrarono non appena si diedero le
condizioni per sottoscrivere un accordo con la parte popolare (1044); dalla pacificazione scaturì un riconoscimento di
fatto di quest'ultima e della sua capacità di farsi portatrice di un autonomo progetto di governo.
In tal contesto maturò quella coniuratio (associazione giurata) fra alcune eminenti famiglie, testimoniato nel 1097 con
l'apparizione nei documenti della magistratura consolare.
I consoli costituivano una magistratura collegiale che restava in carica sei mesi o un anno e la cui consistenza variava da
luogo a luogo fra due e qualche decina. Al momento dell'ingresso in carica i consoli giuravano di assolvere ai compiti
loro affidati, che puntualmente si provvedeva a elencare.
Ai consoi spettava decidere sulle questioni di maggior peso; nella fase più risalente della vita del comune, le loro
deliberazioni necessitavano della retifica del "parlamento"= assemblea della quale erano chiamati a far parte i maschi in
età adulta della città.
Per ovvviare il problema costituito dall'eccessiva consistenza numerica di tale organismo, lo si sostituì ben presto con
consigli più ristretti ( consiglio maggiore e minore) aventi poteri distinti.
La produzione e la conservazione di documenti relativi all'attività di governo e ai diritti acquisiti costituirono uno fra i
maggiori elementi di novità introdotti dal comune "consolare".

FEDERICO I BARBAROSSA E LA POLITICA ITALIANA

Alla morte di Enrico V, i principi tedeschi elessero imperatore Lotario di Supplimburgo, della casata dei sassonia, cui
fece seguito un Hohenstaufen, Corrado III. Presero con ciò a delinearsi, nell'ambito della nobiltà tedesca, due
schieramenti,"ghibellino" e "guelfo".
Il conflitto fra le due parti contribuì a mantenere a lungo agiate le acque dell'impero e a limitare i poteri dell'imperatore .
Una piega diversa presero le cose quando, morto Corrado, venne eletto un nipote dello stesso, il duca di Svevia
Federico.
Federico il Barbarossa mostrò subito la volontà di rafforzare l'autorità imperiale, a cui, nella sua visione delle cose,
spettava il dominium mundi: furono recuperati i diritti sanciti dal concordato di worms in materia di elezione di vescovi
e venne pure strappato a papa Anastasio IV l'impegno a incoronare l'imperatore in Roma. Subito dopo, l'attenzione di
Federico si indirizzò all'Italia, dove le città, organizzate nei comuni e ormai emancipate da ogni superiore potere
signorile, erano arrivate a far proprie prerogative imperiali.
Il programma federiciano di recupero degli iura regalia, ovvero le inalienabili prerogative del sovrano e di
realizzazione di un assetto amministrativo pubblico organicamente concepito, era palesemente inconciliabile con le
anomalie della situazione creatasi in Italia.
La prima discesa di Federico in Italia si ebbe nell'autuno del 1154; in quell'occasione eglil negò ai milanesi il
riconoscimento di qualunque esercizio di diritti regi, come pure il diritto di estendere il proprio dominio sui minori
comuni lombardi, che in gran parte sostenevano la politica imperiale.
Ins eguito, Federico raggiunse Roma per esservi incoronato da Adriano IV.
DALLO SCONTRO IMPERO-PAPATO ALLA PACE DI COSTANZA

Nel 1158 Federico tornò ad affacciarsi in Italia e immediatamente pose l'assedio a Milano, che era il fulcro della
resistenza antimperiale. Costretta alla resa, la città dovette rinunciare all'esercizio dei diritti di pertinenza regia che
aveva illegittimamente fatto suoi. L'imperatore emanò due Costitutiones; la prima constitutio de regalibus elencava in
dettaglio e ribadiva le prerogative imperiali, stabilendo che i comuni e i signori potessero esercitarle solo a seguito di
concessione imperiale; la seconda Constitutio pacis vietava leghe fra le città e le guerre private. A tutto ciò si
aggiungeva il tentativo di Federico di legare a sè con rapporti di tipo feudale i titolari di distretti pubblici e i detentori di
giurisdizioni signorili, e la volontà di procedere alla riorganizzazione amministrativa del regno d'Italia attraverso l'invio
di funzionari tedeschi.
Il disegno era chiaro: ricondurre e subordinare all'autorità imperiale tutti i poteri che si esercitavano nell'ambito
dell'impero.
La natura politica del progetto suscitò un'opposizione vasta che vide schierati in prima fila i comuni veneti e lombardi e
lo stesso pontefice Alessandro III. Per nulla intimidito Federico cominciò col sostenere l'antipapa Vittore IV.
Nel 1164 alcune città fra le maggiori del Veneto diedero il via alla Lega veronese, cui fece seguito un'analoga alleanza
di comuni lombardi. Le due coalizioni si fusero nella Lega lombarda, alla quale diede il proprio appoggio Alessandro
III. In suo onore si diede il nome di Alessandria a una città di nuova fondazione che i comuni vollero come strategico
baluardo contro alcuni alleati dell'impero.
Consolidato, nel frattempo, il suo potere in Germania, Federico potè pensare a una nuova discesa in Italia. Qui, si
impegnò in un lungo quanto invano assedio di Alessandria, dopodichè fu assalito a Legnano dalle milizie della Lega che
gli inflissero una bruciante sconfitta. Fu allora che Federico intraprese la strada della diplomazia cercando di
sottoscrivere con i nemici accordi separati. L'impegno ad abbandonare l'antipapa e a restituire alla Chiesa i territori
sottratti gli valse la riconciliazione con Alessandro III.
La pace giunse dopo una tregue di seni anni; fu siglata a Costanza nel 1183 e sancì un compromesso: se da un lato si fu
d'accordo nel riconoscere che ogni potere pubblico discendeva dall'imperatore, questi dovette accordare ai comuni i
diritti di cui si erano appropriati, ottenendo dalle città il versamento di un tributo annuale, la corresponsione del fodro in
occasione delle sue discese in Italia, l'ammissione dei ricorsi alla giustizia imperiale avverso le sentenze dei tribunali
cittadini.
Grazie a questi accordi l'ordinamento politico-amministrativo che le città si erano date venne definitivamente
legittimato, pur continuando formalmente ciascuna di esse a essere parte costitutiva dell'impero.
Qualche anno prima della morte, Federico aveva trovato il modo di concludere con importante successo la tormentata
vicenda dei suoi rapporti con l'Italia: aveva portato a conclusione il matrimonio fra il figlio Enrico e Costanza
d'Altavilla, figlia di Ruggero II, atto grazie al quale il primo potè inserirsi e poi prevalere nelle lotte per la successione
al trono di Sicilia, scatenatesi alla morte di Guglielmo I.
La dinastia sveva riuscì così a insediarsi nel Mezzogiorno d'Italia.

L'EVOLUZIONE SOCIALE E POLITICA DEI COMUNI

Gli anni che seguirono la pace di Costanza videro l'irrobustimento e la strutturazione delle autonomie comunali,
determinate a estromettere del tutto dalla scena cittadina eventuali poteri concorrenti. Ogni forma di intervento
dell'autorità vescovile fu eliminata. Al contempo si procedette a consolidare ed estendere le conquiste effettuate nei
territori prossimi alla città. Al controllo del territorio mirava anche la costruzione dei "borghi franchi"= insediamenti per
solito ubicati sul confine del contado.
Processi sociali in atto da tempo portarono al protagonismo di due schieramenti, popolare e nobiliare. Il primo (populus)
era costituito da mercanti, artigini, giudici, medici e notai ed aveva il primario supporto politico e organizzativo nelle
arti più ricche. ( Esso non includeva le fasce più umili della popolazione urbana).
Il secondo schieramento era dato da quell'aristocrazia cittadina che aveva contribuito alla vicenda comunale degli
esordi.
Il conflitto fra i due schieramenti aveva finito per turbare la vita dei collegi consolari, per comprometterne la stabilità e
renderli inidonei allo svolgimento delle loro funzioni.
Tale mutamento dell'assetto istituzionale scandisce il passaggio dalla "fase consolare" a quella "podestarile" dei comune
italiano.
I podestà furono scelti fra forestieri provenienti da città amiche, ovvero appartenenti allo stesso sistema di alleanze. A
essi si ricorreva per meglio ovviare ai conflitti interni, ritenendo che garantissero maggiore equidistanza fra le parti in
causa e la possibilità di una mediazione. Accompagnati da funzionari di fiducia e qualche armato al loros ervizio, i
podestà restavano in casrica da 6 mesi a 1 anno. Oltre a detenere il potere esecutivo e presiedere i consigli, essi
amministravano la giustizia e svolgevano funzioni di carattere militare.
La funzione mediatrice svolta di podestà conseguì in vari contesti i successi che si era sperato; venne, tuttavia, a perdere
d'efficacia col trascorrere degli anni, quando alle contrapposizioni di ceto si aggiunsero i confitti interni alle parti in
campo. Accadeva che singole famiglie della nobilitas si dessero battaglie nelle vie cittadine.
Intorno alla metà del XIII secolo l'aggregazione dei clan familiari per raggruppamenti contrapposti e aventi riferimento
alle superiori coordinazioni dei guelfi (schieramento filopapale) e ghibellini (schieramento filoimperiale), ricorreva
diffusamente.
Anche il ceto popolare non era al riparo dall'eventualità di dissidi e lotte interne. Non sempre vi era coincidenza fra gli
interessi dei mercanti e quelli degli artigiani; a complicare le cose interveniva, poi, anche l'afferenza al populus di
esponenti della piccola nobiltà e dell'aristocrazia maggiore, in contrasto con gli appartenenti al loro ceto.
Ovunque fu possibile riunire le varie associazioni, la parte popolare si costituì in societas populi, quasi un comune
parallelo, che si dotò di magistrature e consigli e ebbe proprie milizie.
Si produssero in tal modo una molteplicità di centri di potere che indebolirono il comune.

IL COMUNE DI POPOLO

In diverse città le lotte interne approdarono all'affermazione di un governo "popolare".


Al vertice della piramide politica, il podestà fu così afiancato dal capitno del popolo, investito di ampie competenze
militari, giurisdizionali e finanziarie.
I provvedimenti di più forte valenza politica assunti dai governi di popolo furono quelli intesi a impedire agli
aristocratici l'accesso alle più alte cariche cittadine.
Emblematico il caso di Firenze, dove, salite al potere nel 1282, le arti maggiori istituirono come supremo colelgio
politico quello dei "priori delle arti", per poi procedere all'emanazione degli "Ordinamenti di giustizia".
A questo atteggiamento nei confronti dei nobili non corrispose una politica del comune popolare ispirata a solidarietà
nei confronti delle classi più disagiate, che, per far valere i propri diritti, si videro costrette talora all'alleanza con gli
aristocratici, in altri casi alla rivolta.
Gli stessi provvedimenti di affrancazione dei servi, che furono presi da alcuni comuni urbani, sono da attribuire alla
volontà di rafforzare il dominio politico della città in danno dei signori del contado e di accrescere il numero dei
contribuenti, giacchè i servi non potevano essere chiamati a versare le imposte e a sostenere le perstazioni pubbliche.
Meglio si spiega il fatto che, una volta liberati, essi si vedessero vietata l'immigrazione in città, preferendo il comune
vncolarli alla residenza di un contado il cui gettito fiscale risultava essenziale per le finanze cittadine.
La vicenda dei comuni italiani fu accompagnata dalla costruzione di un dominio territoriale gravitante sulla città e
coeso. Di questo territorium civitatis (o contado) i comuni si dotarono con celerità diversa, dipendendo questa tanto
dalla forza militare messa in campo, quanto dall'opposizione incontrata da parte dei signori e delle comunità da
assoggettare.
Spesso l'esito delle lotte fu la sottomissione per parte dei comuni più potenti delle minori comuntà urbane.
L'espansione territoriale,una volta consolidata, dava impulso agli investimenti cittadini in beni fondiari, fenomeno che
assunse dimensioni vistose sopratutto a partire dalla metà del XIII secolo.
20) IMPERO E PAPATO NEL XIII SECOLO

DA ENRICO VI A BOUVINES

Il periodo che sta tra la fine del XII secolo e gli inizi del successivo fu segnato da eventi politici che forteente incisero
su una lunga fase del medioevo italiano ed europeo.
Snodo importante di queste vicende fu la successione sveva al trono normanno di Sicilia, avvenuta alla morte di
Guglielmo II. Sposo dell'erede legittima Costanza d'Altavilla, lo svevo Enrico VI incontrò una fiera resistenza alla sua
ascesa al trono nel partito antimperiale, che gli contrappose Tancredi conte di Lecce. Questi, incoronato re a Palermo
riuscì ad assicurare alla sua causa anche l'appoggio del re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e quello dei papi
Clemente III e Celestino III, che si sentivano minacciati dalla prospettiva dell'unificazione della corona di Sicilia e di
quella imperiale nella persona di Enrico. Morto Tancredi,lo svevo potè tuttavia impadronirsi del regno.
Negli stessi anni Enrico si trovò a fronteggiare in Germania la rivolta del duca di Sassonia Enrico il Leone e di suo
figlio Ottone, sostenuti anch'essi da Riccardo d'Inghilterra; fatto prigioniero Riccardo, Enrico riuscì ad avere l meglio
sugli antagonisti.
Lo Stato su cui venne a esercitare la propria autorità risultò accresciuto sul piano territoriale, ma espose il sovrano a
notevoli contraccolpi, sia per la difficoltà di difendere territori di così variegata composizione, sia per l'inquietudine del
papa che mal tollerava lo stato delle cose.
Ottenuto il vassallaggio dei re d'Inghilterra e di Polonia, Enrico coltivava l'ambizione di costruire una monarchia
universale che guardasse anche allo spazio mediterraneo. L'ardito progetto fu però stroncato dalla morte improvvisa del
sovrano nel 1197.
Federico, il figlio, aveva allora solo 4 anni e fu affidato alla tutela di papa Innocenzo III; nel 1208 egli potè conseguire
il titolo regio.
La morte prematura di Enrico riaprì anche i giochi per la successione all'impero. Un ruolo determinante ebbe l'iniziativa
del papa, il cui sostegnò andò a Ottone di Brunswik, che contendeva la corona all'ultimo dei figli di Barbarossa, Filippo
di Svevia; dal conflitto uscì vittorioso Ottone che fu incoronato imperatore nel 1209, e prese a rivendicare la socranità
dell'impero sui territori centro-italiani che Innocenzo intendeva guadagnare stabilmente all'autorità della Chiesa.
La reazione del papa non si fece attendere:scomunicato Ottone (1210), un nuovo candidato all'impero fu individuato nel
re di Sicilia Federico; il pontefice aveva ottenuto da Federico l'impegno a non riunire le corone di Sicilia e di Germania.
Fu un evento militare di grande portata a decidere la successione al trono imperiale: il 27 luglio 1214 a Bouvines si
affrontarono in battaglia due eserciti che videro impegnati buona parte degli Stati europei: l'uno, a sostegno di Ottone,
vedeva schierati il re d'Inghilterra Giovanni e alcuni dei maggiori feudatari della Francia del nord; l'altro, in appoggio a
Federico, vedeva le truppe di Filippo Augusto re di Francia. A Vincere fu lo svevo, e per Federico, incoronato re di
Germania nel 1212, si aprì la strada al titolo imperiale.

IL PONTIFICATO DI INNOCENZO III

Nel 1198, l'ascesa al soglio papale di Innocenzo III segnò l'inizio di un pontificato destinato a dare pieno sviluppo al
progetto coltivato nell'elaborazione politico-religiosa del XII secolo: quello di affermare sull'impero e su ogni altro
potentato il primato morale e politico del papa e della Chiesa.
Non solo Innocenzo era stato per due volte decisivo nell'individuazione dei candidati al trono imperiale,ma aveva anche
ricevuto nel frattempo l'omaggio feudale di molti sovrani d'Europa: i re d'Inghilterra, Aragona, Portogallo, Bulgaria,
Serbia, l'imperatore latino d'Oriente e il dententore della corona di Gerusalemme.
Un'attenzione costante rivolse anche al consolidamento e all'ampliamento dei territori della chiesa. Nel Lazio, Marche e
Umbria fu formalmente definita la sottomissione di comuni e signori di varia rilevanza, mentre si procedeva a
organizzare l'amministrazione dello Stato per province, ciascuna affidata alla vigilanza di un rettore, massimo
rappresentante dell'autorita pontificia.
Vennero così costituite le province di Campagna e di Marittima, del Patrimonio di S.Pietro in Tuscia e del ducato di
Spoleto e della marca di Ancona.
Si è già visto quanto Innocenzo operasse a tutela del corpo dell Chiesa minacciato dall'espandersi delle eresie, senza
esitare a mettere in atto a tal fine una sanguinosa repressione, e come si misurasse costantemente con il problema della
liberazione dei luoghi santi dagli islamici.

FEDERICO II E IL CONSOLIDAMENTO DEL REGNO MERIDIONALE

Federico II cercò di consolidare i suoi rapporti on i principi tedeschi e di assicurarsene la fedeltà. Ciò gli costò
significative concessioni; fu così che nel 1213 con la Bolla d'oro emanata a Eger il sovrano rinunciò ai diritti in materia
di elezione dei vescovi e degli abati, e si trovò inoltre a dover legittimare l'esercizio da parte dei principi di alcune
prerogative regie, quali la riscossione dei dazi e il battere moneta.
Anche la corona imperiale, ricevuta da papa Onorio III, richiese a Federico l'assunzione di diversi impegni. Il pontefce
volle che fosse rinnovata dall'iperatore la promessa che l'unione della Sicilia con l'impero sarebbe avvenuta solo nella
persona del sovrano, senza dunque che essa assumesse un carattere istituzionale.
L'imperatore, poi, si dedicò a sistemare la situazione nel regno di Sicilia, dove i baroni e i nobili avevano approfittato,
prima della sua minorità poi della sua assenza, per accaparrarsi beni demaniali e prerogative regie. In questo caso
l'atteggiamento di Federico fu improntato alla massima intransigenza, ciò lo portò ad affrontare in armi i feudatari
ribelli.
Altro problema che il sovrano si trovò ad affrontare fu quello dei saraceni, che nuovamente padroni di vasti territori
nella Sicilia interna, lo constrinsero a ripetute campagne militari; una volta sconfitti, Federico li deportò a Lucera, in
Puglia, dove concesse loro di vivere in un insediamento a sè stante.
Di notevole impatto furono anche le iniziative che Federico mise in campo per vivacizzare l'economia del regno: in
quest'ambito particolare cura fu indirizzat dal sovrano alla creazione e organizzazione di masserie regie, le cui pratiche
cerealicole e allevatizie garantivano prodotti da indirizzare con profitto anche all'esportazione.
La struttura amministrativa dello Stato, facente capo alla Magna curia, ebbe pur essa l'attenzione di Federico, che fondò
a Napoli nel 1224 la prima università statale d'Europa.
L'ampiezza e la varietà degli interessi scientifici, filosofici e letterari del sovrano hanno solide testimonianze; Palermo
divenne una delle città europee di più alto profilo culturale.
L'amore che il sovrano nutrì per la cultura araba e per le scienze a carattere magico-astrologico diede occasione ai molti
nemici di parte guelfa di attaccarlo durmente e la scomunica del papa non farà che rafforzare queste posizioni.
Per contro, i suoi estimatori ghibellini legarono alla sua persona grandi aspettative di rinnovamento e di giustizia.

FEDERICO II, LA CROCIATA E I COMUNI ITALIANI

Quando, morto Onorio III gli successe Gregorio IX, l'imperatore comprese di non poter insistere nella tattica dilatoria
che gli aveva permesso fino allora di non partire per la crociata (nonostante gli impegni presi con il pontefice).
Scomunicato dal papa per molte tergiversazioni, nel giugno 1228 si mise sulla rotta d'Oriente, dove riuscì a ottenere la
corona del regno di Gerusalemme, con l'impegno di consentire anche agli islamici la frequentazione dei luoghi santi.
L'andamento del tutto anomalo della vicenda scatenò contro Federico le ire della parte guelfa e men che meno piacque
al pontefice che indisse una crociata contro di lui invadendo i territori del regno. Rientrato in Italia, lo svevo non tardò
ad avere la meglio sulle truppe del papa, costringendolo a sottoscrivere la pace di San Germano (1230); con essa
Federico fu prosciolto dalla scomunica,ma dovette rinunciare a ogni ingerenza nell'elezione dei vescovi e concedere al
clero meridionale la più ampia immunità giudiziaria e fiscale.
Dal 1235 al 1237 Federico dovette trattenersi nuovamente in Germania a seguito della rivolta del figlio Enrico, che fu
fatto prigioniero e privato dei diritti alla successione ( a beneficio del fratello Corrado).
Conclusa con successo l'impresa tedesca, l'imperatore volle risolvere la controversia con i comuni padani, insofferenti
della pressione che il potere centrale era tornato a esercitare e nuovamente riuniti nella Lega lombarda.
L'esercito imperiale si accampò presso Verona, dove fu raggiunto dai contingenti militari inviati dalle città di parte
ghibellina e da importanti signori del Nord. Lo scontro ebbe luogo a Cortenuova nel 1237 e si risolse a favore del
sovrano, senza che ciò piegasse del tutto la resistenza della Lega. A essa andava l'appoggio del pontefice, impegnato nel
dare vita a una coalizione che riunisse tutti i nemici di Federico. Nel 1239 l'imperatore fu colpito da una seconda
scomunica.
Furono anni di aspro conflitto anche sul piano ideologico: se Federico cercò di coinvolgere nella disputa le altre
monarchie europee, la chiesa giunse al punto di indicare l'imperatore come incarnazione dell'anticristo.
Gli ultimi anni della sua esistenza videro Federico alle rpese con le rivolte che divampavano in Germania e con la
rinnovata aggressività militare dei comuni padani, che riuscirono a sconfiggere l'mperatore a Parma nel 1248 e a
Fossalta l'anno dopo.
Ancora coinvolto in numerosi conflitti, il 13 dicembre 1250 Federico morì.

DALLA FINE DELLA DINASTIA SVEVA ALLA PCE DI CALTABELLOTTA

Corrado IV, figlio di Federico, morì pochi anni dopo il padre. Il trono imperiale rimase allora vacante fino al 1273, anno
dell'elezione di Rodolfo d'Asburgo,la cui azione si indirizzò alla cura dei domini avìti, trascurando del tuttol'andamento
degli affari di Germania e d'Italia.
Quanto al regno di Sicilia,la continuità della dominazione sveva fu garantita da un figlio di Federico, Manfredi, che nel
1258 si fece incoronare re.
La politica di Manfredi aiutò le fortune effimere del ghibellinismo italiano, risultando determinante al momento dello
scontro campale con i guelfi fiorentini, avvenuto nel 1269 a Siena, e conclusosi con la disfatta dello schieramento
guelfo.
L'avvento al trono di Manfredi e il suo determinato atteggiamento rinnovarono nei papi la preoccupazione per i rischi
che la presenza sveva nel Mezzogiorno comportava per la loro dominazione temporale. Ne derivò che Urbano Ivnel
1263 investì del regno Carlo conte d'Angiò e di Provenza, fratello del re di Francia Luigi IX. Carlo si impegnava, in
cambio, a versare ogni anno al pontefice l'enorme somma di ottomila once d'oro. Grazie al sostegno accordato dai
mercanti e banchieri fiorentini, qualche anno dopo fu allestita la spedizione militare per l'effettiva conquista del rengo.
La vittoria conseguita a Benevento a febbraio del 1266 aprì ai francesi le porte del sud; Manferdi, sconfitto, cadde
combattendo. Ma il saccheggio di Benevento che fece seguito alla battaglia, creò immediatamente dissensi fra il
pontefice (Clemente IV succeduto Urbano) e Carlo, in quanto la città era sottoposta alla sovranità del papa; altre nuvole
si sarebbero addensate per l'esoso fiscalismo messo in campo dagli angioini.
Di tutto ciò il re ebbe modo di rendersi conto quando, nel 1268, Corradino di Svevia, rispose all'appello dei ghibellini
d'Italia e si affacciò sui territori del rengo: dalla Sicilia partì una rabbiosa rivolta che in breve tempo avrebbe risalito e
acceso gran parte del Mezzogiorno.
Quando a Tagliacozzo nel 1268 Corradino fu sconfitto e fatto prigioniero, cominciò la eroce repressione della rivolta
interna. Al contempo, feudalità, chiesa, amministrazione pubblica prendevano a essere sempre più permeate da presenze
francesi.
La politica di Carlo I non tardò a caratterizzarsi per il duplice intendimento di guadagnare al re la guida del guelfismo
italiano e di costruire attorno al regno meridionale una dominazione mediterranea. Se sul primo fronte furono conseguiti
risultati di rilievo, non accadde lo stesso per il secondo progetto.
La pressione fiscale esercitata dai nuovi dominatori per far fronte al pesante censo da versare annualmente alla Chiesa
di Roma e per finanziare le operazioni belliche e lo spostamento della capitale da Palermo a Napoli, scatenarono il
lunedì di Pasqua del 1282 a Palermo una rivolta del popolo che prese il nome di "rivolta del Vespro".
In chiave antiangioina gli insorti sollecitarono l'intervento di Pietro III d'Aragona (di cui Manfredi era il suocero), il
quale rivendicava il diritto alla successione sul trono che era stato della dinastia sveva. Non fu facile per gli aragonesi
avere la meglio sugli angioini,la cui resistenza ebbe il sostegno di papa Martino IV; questi giunse a bandire una crociata
contro Pietro.
Con l'avvento al soglio pontificio di Bonifcio VIII e il lavoro diplomatico dello stesso messo in campo fu possibile
pervenire al trattato di Anagni (1295), con il quale Giacomo II d'Aragona, in cambio dell'investitura pontificia del regno
di Sardegna e Corsica, si piegò al ricongiungimento della Sicilia con il regno continentale angioino.
Tuttavia, a seguito di una nuova ribellione dei siciliani, il conflitto riprese, per chiudersi nel 1302 con la pace di
Caltabellotta. Con essa la Sicilia veniva assegnata a Federico III, concordandosi che alla sua morte l'isola sarebbe
tornata agli angioini. Ciò in realtà non accadde, giacchè il trono rimase al ramo cadetto della dinastia aragonese. La
Sicilia fu dunque separata dal Mezzogiorno continentale.
21) IL CONSOLIDAMENTO DELLE MONARCHIE NAZIONALI

GLI STATI MONARCHICI DELL'OCCIDENTE EUROPEO NEL XIII SECOLO

Nel '200 si rafforzarono gli ordinamenti monarchici svilupatisi nel corso dei secoli XI e XII in Inghilterra, Francia,
nella penisola iberica e nell'Italia meridionale. I sovrani si vedevano riconosciuta la piena autorità sugli Stati.
Al re, nelle cui mani tendeva a concentrarsi il potere, si affiancavano le forze locali, aristocrazia ed èlites urbane, che
cominciavano a essere coinvolte nella gestione del potere. Nel corso del secolo si ebbe inoltre generalmente
un'espansione territoriale dei regni, fenomeno che comprotò un significativo rinnovamento dell'organizzazione militare,
ma rese necessario un più efficace ordinamento amministrativo e fiscale per far fronte alle crescenti spese di guerra.

IL REGNO DI FRANCIA

Lo scontro militare di Bouvines costituì una tappa fondamentale verso la definizione degli assetti politico-territoriali
delle monarchie inglese e francese: esse videro i propri confini polici avvicinarsi a quelli geografici.
I discendenti di Filippo II Augusto riuscirono ad ampliarne notevolmente i confini.
Servendosi dei preesistenti strumenti di natura feudale e rafforzandoli, il re faceva valere ora la sua sovranità su tutto il
terrritorio. Aveva inoltre la piena potestà legislativa e esercitava la propria utorità in campo giurisdizionale sull'intero
Stato. Per quel che riguarda le istituzioni politico-amministrative centrali, sotto Luigi VIII e Luigi IX si ebbe un
consolidamento degli apparati di governo: l'amministrazione delle risorse finanziarie fu affidata al Tesoro regio, mentre
al Parlamento spettavano le funzioni giudiziarie.
La figura del re era venuta nel frattempo acquisendo i tratti della sacralità. Luigi VIII e Luigi IX riuscirono a rafforzare
la monarchia anche sul piano ideologico.
Fra la fine del XIII secolo e i primi decenni del successivo l'assetto politico istituzionale del regno si consolidò ancora;
si definirono melgio gli organi preposti all'amministrazione finanziaria, Tesoreria e Corte dei conti.

IL REGNO D'INGHILTERRA

Anche la monarchia inglese conobbe un progressivo sviluppo dell'assemblea rappresentativa. Una delle più importanti
novità introdottre dalla Magna charta consisteva nel fatto che all'assemblea dei maggiori vassalli si riconosceva il diritto
di collaborare con il re riguardo ad alcuni aspetti del governo statale. Poco dopo la metà del '200 la Magna curia
divenne un'assemblea regolare.
Il sovrano aveva ampliato i margini del proprio intervento provocando malcontento e rivolte. Ciò aprì una nuova fase
del confronto politico, che portò nel 1258 all'emanazione delle Provisions of Oxford: si attribuiva al re il dovere di
convocare l'assemblea regolarmente, ai amgnati il diritto di prender parte alla scelta dei consiglieri regi. Un ulteriore
passo nella direzione di un'effettiva rappresentanza in assemblea dei diversi corpi sociali fu compiuto nel 1268, da
quando esponenti delle èlites urbane presero a essere convocati con regolarità nel Parlamento ; si ponevano le premesse
per un'evoluzione dell'organismo parlamentare in senso istituzionale.
Durante la seconda metà del '200 si ebbe un rafforzamento dell'autorità regia. Determinante risultò la battaglia di
Evesham (1265) in cui venne sconfitto e ucciso il capo dei magnati Simone di Montfort, che fino a quel momento aveva
guidato l'opposizione alla corona. Questa potè allora riaffermare la propria autorità , ridefinendo e consolidando i
rapporti vassallatici con i nobili: i legami diretti con il sovrano cominciarono a essere imposti a tutti i titolari dei feudi.
A tale rafforzamento della posizione del sovrano si accompagnarono un incremento e un riassetto delle entrate fiscali,
ciò che consentì al re una politica di espansione territoriale: nel 1283 venne annesso il Galles e nel 1296 fu conquistata
la Scozia.

I REGNI IBERICI

Con la vittoria riportata sui musulmani a Las Navas de Tolosa (1212) si avviò nei quatto regni cattolici in cui era divisa
la penisola iberica un processo di rafforzamento istituzionale e di espansione territoriale della monarchia. I re si
trovarono a poter consolidare la propria posizione indirizzando la riorganizzazione politico-amministrativa dei territori
sottratti alla dominazione musulmana: oltre a regolare la ripartizione delle terre conquistate, si ponevano come
principale riferimento politico per le forze che si erano sviluppate nelle areee ricondotte sotto il controllo regio, cioè le
città e le sgnorie territoriali.
La colonizzazione delle terre ià facenti parte del califfato di Cordova si realizzò attraverso la fondazione di numerose
città: si trattava di comunità vitali sotto il proflo economico e sociale.
In un contesto politico caratterizzato dal continuo confronto tra re e poteri locali intraprendenti si determinò nel tempo
lo sviluppo delle cortes: le assemblee rappresentative dell'aristocrazia, del clero e delle comuntà cittadine; tali cortes
iniziarono nel '200 a divenire dei veri organi politici, riuscendo a condizionare il governo regio. Ciò nonostante
l'autorità monarchica si faceva sentire sull'intero territorio del regno. Al personale amministrativo di dipendenza regia
erano affidate responsabilità finanziarie e fiscale anche in relazione alle aree che potevano sfuggire al controllo diretto
da parte della corona; solo dal re inoltre poteva venire il riconoscimento del diritto consuetudinario cittadino; in ambito
urbano,infine, i diritti regi erano tutelati dagli ufficiali che lo stesso sovrano incaricava di operare accanto alle
assemblee.
Anche nella penisola iberica la crescia degli apparati monarchici di governo marciò a pari passo con l'espansione dei
rengi.

GLI ARAGONESI, LA SARDEGNA E LA "VIA DELLE ISOLE"

L'acquisizione della Sicilia da parte degli aragonesi avvenne pochi anni dopo l'infeudazione che i sovrani d'Aragona
avevano ricevuto da papa Bonifacio VIII di un " regnum Sardiniae et Corsicae" di fatto inesistente. Mentre la corsica
rimase sotto il controllo di Genova, si ebbe un reale interessamento della Corona d'Aragona alla conquista della
Sardegna.la faticosa conquista della Sardegna ebbe inizio el 1323; dapprima l'Aragona si scontrò vittoriosamente con
Pisa, che dal XII secolo contendeva a Genova il dominio sull'isola; quindi, fu la volta di quest'ultima, la cui flotta nel
1353 venne sconfitta. Genova fu allora costretta ad abbandonare Alghero,da dove venne espulsa tutta la popolazoine
ligure.
Dalla seonda metà dell'XI secolo i documenti mostrano il territorio sardo diviso in quattro giudicati (o regni)
indipendenti: Cagliari, Arborea, Torres e Gallura. Il regno di Cagliari avrebbe cessato di esistere nel 1258 dopo eventi
militari che videro contrapporsi genovesi e pisani. Negli stessi anni fu la volte del Regno di Torres, la cui fine
sopraggiuse con la morte senza eredi della "giudicessa"Adelasia. Sulla capitale Sassari e i suoi territori avrebbe esteso il
proprio dominio Genova. L'esistenza del regno di Gallura cessò sul finire del XIII secolo con la scomparsa del giudice
Nino Visconti e l'avvento della dominazione diretta del comune di Pisa su quella regione.
Vita più lunga ebbe il regno d'Arborea, il quale giunse a riunire sotto di sè quasi tutta la Sardegna.
La conquista della Sardegna rappresentò un passo fondamentale nella formazione di quella monarchia pluristatuale
aragonese che si completò nel corso del quinto decennio del '400 con l'acquisizione del trono napoletano.

BONIFACIO VIII E IL CONFLITTO CON FILIPPO IL BELLO

La costante compromissione della Chiesa nei conflitti politici e militari che segnarono la storia europea del '200 aveva
generato malessere in molti ambienti della cristianità. Nel 1294 fu accolta con grande speranza l'elezione a pontefice di
Celestino V, legandosi a ciò la prospettiva del ritorno a una Chiesa evangelica in cui avessero piena testimonianza i
valori della povertà e della carità.
Il povero frate non riuscì, tuttavia, a sostenere le pressioni su di lui esercitate da parte degli angioini, e resosi conto di
non potere operare come papa in coerenza con le sue idealità, maturò la scelta dell'abdicazione.
Fu chiamato a succedergli Bonifacio VIII che si preoccupò di eliminare dalla scena il suo predecessore facendolo
trattenere nel castello di Fumone.
Il progetto teocratico che Bonifacio abbracciò con forza si scontrò immediatamente con la realtà delle monarchie
nazionali, che non potevano accettare alcun primato del papa che non fosse meramente religioso.
Avendo il re di Francia Filippo il Bello cancellato l'immunità delle imposizioni regie di cui godeva la Chiesa, il papa
fece opposizione ordinando al clero francese di non versare alcunchè senza la sua autorizzazione; Filippo reagì allora
impedendo che i proventi delle decime raccolte della Chiesa raggiungessero Roma, nè si piegò a un diverso
comportamento allorchè fu miancciato dalla scomuncia.
Un compromesso si raggiunse con il riconoscimento al re del diritto di tassare il clero in presenza di particolari urgenze.
Nel 1300 Bonifacio indisse il primo "anno santo" o giubileo, accordando il perdono dei peccati a quanti si fossero recati
a Roma per pregare sulle tombe degli apostoli. Grande fu il successo conseguito dall'iniziativa pontificia, ciò tuttavia
non aiutò il papa a recuperare il ruolo politico cui ambiva. Lo si vide poco dopo, quando riaccesosi il conflitto con
Filippo il Bello, questi fece arrestare Bernardo Saisset, vescovo di Pamiers, molto legato al papa, e convocò per la prima
volta gli "Stati generali" facendo proclamare dagli stessi (1302) che le prerogative regie discendevano direttamente da
Dio, senza che si rendesse necessaria alcuna mediazione del papa.
La risposta di quest'ultimo fu nell'emanazione della bolla Unam sanctam, con la quale ribadiva che il potere del papa
era superiore a quello di ogni sovrano e che egli poteva giudicare ciascuno, essendo sottposto al solo giudizio divino.
Intervenne a questo punto la decisione di Filippo di istruire un processo al papa dinanzi a un tribunale francese,
chiamando Bonifacio a rispondere dell'usurpazione della cattedra di Pietro. Al fine di catturarlo fu inviato in Italia uno
dei più stretti collaboratori del re. Questi raggiunse il pontefice ad Anagni (1303), ma soccorso e liberato dagli abitanti
di Anagni il papa evitò di essere tradotto in Francia; da lì a poco morì. Tramontò con lui per sempre il progetto
ierocratico che a lungo aveva segnato il cammino della Chiesa.
22) IL TRECENTO. DALLA CRISI VERSO NUOVI EQUILIBRI

TRA PRESSIONE DEMICA E AVVISAGLIE DI CRISI

I primi tra secoli del second millennio costituiriono per la storia dell'Occidente europeo una fase segnata da mutamenti
profondi. Fu l'intensificarsi dei commerci e delle attività artigiane e manifatturiere a giocare un ruolo decisivo per la
rinascita dei centri di antica tradizione cittadina com epure per l'acquisizione della dignità urbana da parte di comunità
che nel passato non l'avevano conosciuta. Tutto ciò diede vita a dinamiche sociali di nuovo tipo che videro l'ascesa di
alcuni ceti e il ridimensionamento di altri. È nei decenni conclusivi del XIII secolo in in quelli iniziali del successivo
che assistiamo al moltiplicarsi dei segnali di esaurimento di questa fase storica: crescono le difficoltà che le popolazioni
incontrano nel dare risposta al fabbisogno alimentare, piùmarcato si fa lo squilibrio fra le esigenze della sussistenza e le
risorse territoriali. Traspare, inoltre, una diffusa consapevolezza del danno che potrebbe derivare dall'estendere
ulteriormente lo sfruttamento del territorio ai fini agricoli.
Il dilavamento di superfici collinari o di montagna, causato da disboscamenti spinti oltre il sostenibile, è attestato a più
riprese; sembra di poter collegare al forte arretramento della copertura boschiva anche il susseguirsi di alluvioni di
gravità insolita.

CRISI FRUMENTARIE ED INVERSIONE DEL TREND DEMOGRAFICO

Per quando si lavorasse a estendere l'arativo, la disponibilità di cereali rimaneva inferiore al fabbisogno. Un marcato
squilibrio fra popolazione urbana e rurale, la stanchezza di suoli tradizionalmente votati alla cerealicoltura,la modesta
resa di molti fra i seminativi di più recente conquista determinarono il moltiplicarsi delle annate di cattivo raccolto e di
carestia.
Gran parte della penisola italiana è travagliata dalla crisi negli anni settanta del XIII secolo come pure nel 1328-30,
1339-40, 1346-47, alllorchè anche il Sud cerealicolo risulta largamente coinvolto; il 1333 fu anno di fame per quasi
tutta la penisola iberica.
La prima carestia di portata più generale fu quella degli anni 1315-17, che interessò gran parte dell'Europa
nordoccidentale. La cisi frumentaria si accompagnò al diffondersi di malattie infettive e a vere e proprie epidemie.
Le condizioni di vita dei ceti sociali più svanaggiati risentirono pesantemente del susseguirsi delle crisi annonarie e
delle carestie. I più poveri si trovarono a sopravvivere in stato di grande denutrizione, risultando più di altri esposti al
rischio della malattia e del contagio. E proprio l'aumento dell'indice di mortalità che si registrò nei primi decenni del
XIV secolo sembra essere stato la causa principale del declino demografico che colpì le popolazioni urbane e rurali
d'Italia.

LA PESTE NERA

La peste tornò tragicamente ad affacciarsi in Europa a seguito dell'intensificato movimento di carovane e di armati che
le steppe eurasiatiche conobero dopo l'avvento della dominazione mongola. Tramite esso i roditori selvatici della
steppa, portatori della peste, poterono attraversare le frontiere ed estendere il contagio ad animali e uomini fin sulle
sponde del Mar Nero.
Il flagello fece la sua apparizione in Italia nell'autunno del 1347 e di lì si propagò per l'intera Europa. Si trattò all'origine
della peste bubbonica, non tardarono tuttavia a comparire quelle forme polmonari e setticemiche che si rivelarono le più
pericolose. A introdurla furono alcune galee genovesiprovenienti dalle colonie del Mar Nero. La prima città a dover
sostenere l'urto epidemico fu Messina; subito dopo il morbo si manifestò anche nelle grandi città portuali, aggredendo
poi le regioni interne; entro giugno si diffuse in tutto il Nord.
A metà del 1348 risultava ormai colpita buona parte della Francia e della penisola iberica; pochi mesi più tardi il morbo
arrivò anche in Inghilterra.
La pandemia trovò una popolazione già duramente provata dalle vicende dei decenni precedenti e che risultava
particolarmente vulnerabile. Non tutti i paesi furono colpiti allo stesso modo: il tributo maggiore fu pagato dall'Italia e
dalle regioni mediterranee della Francia.

I FLAGELLI DEL DOPO-PESTE

A rendere più pesante l'eredità della peste di metà '300 intervenne il fatto che d'allora in poi il morbo prese a investire in
maniera ricorrente le città e le campagne d'Europa
sia per l'estensione dei territori interessati che per il numero delle vittime, alcune epidemie assunsero connotazioni di
particolare gravità: fra di esse quella diffusasi negli anni 1360-62; altra terribile ondata si dispiegò a cavallo fra XIV e
XV secolo.
Gli effetti della peste si sommavano a quelli di altre malattie che nello stesso periodo inferivano sulle popolazioni.
Inoltre, pochi periodi della storia europea sono stati così gravemente turbati dall'imperversare dei conflitti. Le rovine
della guerra dei Cent'anni in Francia, le lotte interne in Castiglia e nel Mezzogiorno d'Italia, il susseguirsi di guerre
locali nello Stato della Chiesa non sono che alcuni fra gli eventi di maggiore portata. I costi di vite umane di questi
conflitti non possono essere sottovalutati; dovette, tuttavia, pesare maggiormente il sistema con cui tali guerre furono
combattute, un sistema che assegnava un ruolo preminente alla distruzione delle messi e delle vigne, al saccheggio dei
raccolti, al furto e alla dispersione del bestiame, all'incendio delle dimore rurali.
Di tale arma si avvalsero quelle "compagnie di ventura" che rappresetarono il più efficace strumento di lotta nelle mani
dei comuni, delle signorie e degli Stati. Agli ordini di capitani che furono detti "condottieri", esse ebbero in progresso di
tempo un'organizzazione sempre più complessa che ne fece da bande di avventurieri quali a lungo erano state, qualcosa
di molto simile a veri e propri eserciti. Combattendo al soldo delle varie potenze, esse puntavano in primo luogo a
colpire il nemico con il saccheggio e la devastazione delle campagne.
Se le compagnie di ventura straniere dominarono il campo per gran parte del XIV secolo, non molto si trattò di
attendere perche venissero costituite anche compagnie italiane.
Eserciti e compagnie di ventura si trovarono a percorrere le campagne europee in quel secolo 1350-1450 che vide Stati
e signori lottare per l'egemonia su territori più vasti. La "guerra economica" che fu tante volte intrapresa significò la
perdita ricorrente dei raccolti, la rovina di migliaia di contadini, la fame per città e castelli.
Il ciclo guerra-maltempo, carestia, epidemia colpì duramente nel periodo in questione.

LE CONSEGUENZE DELLO SPOPOLAMENTO SULL'ECONOMIA AGRARIA

L'interazione dei fattori indicati determinò a lungo per le popolazioni europee l'impossibilità di colmare i vuoti prodotti
dalla peste nera e dalle calamità successive; ciò fece sì che si proponessero scenari diversi anche in relazione alle
principali attività produttive: l'agricoltura e la pastorizia. L'arretramento dei coltivi fu tra i fenomeni di maggiore
evidenza; i terreni marginali, gli appezzamenti di minore produttività presero a essere via via abbandonati. Quasi
ovunque, pianure costiere e terreni di fondovalle, che lavori di drenaggio avevano sottratto alla palude e all'acquitrinio,
sarebbero tornati alla condizione originaria per il venir meno di una sistematica manutenzione dei canali e dei fossati.
Bisgna, però, evitare di evidenziarne solo gli aspetti negativi.
Proprio l'abbandono delle terre peggiori e uno sfruttamento meno spinto dei campi più feritli consentirono l'aumento
delle rese cerealicole. L'espansione dell'incolto nelle sue varie forme potè rendere meno problematica quella coesistenza
fra pratica agricola e pastorale che aveva conosciuto fra XIII e XIV secolo una delle fasi di maggiore difficoltà.
Sulle più alte colline e in montagna, il recupero alla copertura forestale di aree più o meno vaste contribuì a ripristinare
le condizioni di un equilibrio ambientale che disboscamenti dissennati avevano in molti luoghi compromesso.
Una delle conseguenze più dirette e immediate della forte diminuizione degli uomini registratasi dopo la pese nera è da
individuare nel sostenuto aumento dei salari; il fenomeno interessò tutti i paesi europei.
A beneficiare della caduta dell'offerta forza-lavoro furono nelle campagne non solo i salariati, ma anche gli affituari di
terre, per i quali si dava ora la possibilità di stipule più vantaggiose che in passato.
La controffensiva padronale, però, non si fece attendere; il ceto dei proprietari prese a elaborare una risposta che in
parte lo avrebbe messo al riparo dalle richieste crescenti dei lavoratori.
Fin dal 1351, con uno statuto volto a disciplinare l'attività dei braccianti agricoli, degli artigiani e dei commercianti, si
cercò, in Inghilterra, di ancorare prezzi e salari al livello del periodo precedente alla peste. In Italia, delibere di consigli
cittadini e statuti comunali testimoniano ovunque una reazione anticontadina. I doveri dei prestatori d'opera, dei
mezzadri, dei locatori cominciarono a essere definiti nei minimi dettagli, ma sopratutto venne a essere definita per legge
l'entità dei salari, mentre con minuzia si intervenne a regolamentare la giornata del bracciante.

TENSIONI SOCIALI E RIVOLTE NELLE CAMPAGNE


L'inasprimento della pressione signorile sui sottopsoti e la stretta voluta dei proprietari terrieri a tutela della rendita
fondiaria e dell'equilibrio sociale minacciato posero rapidamente fine alla stagione dei salari alti e spinsero nella spirale
dell'indebolimento e dell'emarginazione una quota importante dei lavoratori della terra.
Nella seconda metà del '300, insofferenza e spirito di rivolta presero aserpeggiare fra gli abitanti delle campagne non
meno che fra i ceti subalterni delle città. Gran parte dell'Europa fu interessata dal fenomeno. È in Francia, Inghilterra e
Italia che si verificarono i sommovimenti di maggiore portata.
La Jacquerie francese esplose violenta verso la fine di maggio 1358 nell Ile-de-France.ai ribelli andò ben presto
l'appoggio della borghesia parigina che vide in quest'alleanze la possibilità di ridurre a proprio vantaggio il potere
politico dei nobili e di cancellarne i privilegi, ma il 9 giugno, sul campo di battaglia di Mello, la rivolta fu domata.
Le campagne ripetutamente devastate dagli eserciti nella guerra dei Cent'anni,il eso crescente di una fiscalità sempre più
oppressiva, le disfatte militari patite avevano fatto maturare nei contadini un atteggiamento di particolare insofferenza
nei confronti degli aristocratici rivelatisi incapaci della difesa del regno.
Nel amggio 1381 fu la volta dei contadini inglesi, la cui insurrezione affondava le radici nel malcontento derivante
dall'inasprimento della soggezzione al eto signorile e negli effetti prodotti dalla normativa sul lavoro dipendente
introdotta nel 1351 con lo scopo principale di porre argine all'aumento dei salari.
Diversamente da quanto era accaduto con il repentino ed effimero movimento dei Jacques,si arrivò ad avanzare
richieste percise quali l'abolizione del servaggio, l'aumento dei salari,la parziale ripartizione fra i contadini dei beni
comunitativi ed ecclestiastici. Nonostante l'appoggio dato alla sollevazione dgli artigiani e dal proletariato cittadino,
essa era ormai domata alla metà di novembre quando intervenne un'amnistia regia.
A un ambito territoriale assai ampio è legata, negli anni ottanta del XIV secolo, la vicenda dei "tuchini" che investì i
territori del Piemonte, il Vallese svizzero e alcune zone della Linguadoca. Fu contro la fiscalità sempre più oppressiva
messa in atto dai conti di Savoia e da minori proprietari feudali che si sollevarono i contadini piemontesi, ottenendo
inizialmente successi militari rilevanti e giungendo nell'inverno del 1387 a minacciare Torino; essi finiranno, tuttavia,
col soccombere di fronte all'offensiva congiunta delle milizie sabaude e di alcuni esercizi comunali, non senza aver
ottenuto, comunque, da Amedeo VII di Savoia concessioni significative.
Carattere politico di spiccata originalità ebbe la rivolta che nel 1462 vide protagonisti in Catalogna i contadini de
remensa: lavoratori legati alla terra e costretti, quando volessero lasciarla, a pagare un riscatto al signore. Con
l'appoggio della corona essi diedero vita a un'insurrezione generale. Ferdinando il Cattolico sarebbe intervenuto qualche
anno dopo, a garantire ai contadini ribelli la libertà personale per cui avevano combattuto.

LE RIVOLTE URBANE
Dopo il tumultuoso sviluppo del XIII secolo, disordini sociali non di rado connessi allo scontro tra ceti e fazioni
politiche e alle acuite difficoltà del quadro economico vennero a segnare la vita di molte città europee.
È facile individuare i protagonisti di queste lotte nella vasta schiera dei salariati e nei più poveri fra gli artigiani, la cui
esistenza si andava complicando a seguito delle modifiche intervenute nei processi di produzione, sempre più
largamente dominati dai grandi mercanti. Questi controllavano in taluni settori la distribuzione della mteria prima,
organizzavano le diverse fasi della produzione e puntavano a monopolizzare il commercio del prodotto finito. Ben si
comprende come ciò scardinasse completamente l'assetto di produzione preesistente.
Il malcontento serpeggiante fra i salariati, oggetto di uno sfruttamento sempre più brutale, e l'insofferenza degli artigiani
di più debole condizione di fronte a meccanismi che li avevano ridotti al ruolo di lavoratori dipendenti, restavano privi
di un'espressione politica che potesse fungere da veicolo di proposta e di mediazione.
Gia agli inizi del XIV secolo nelle amggiori città fiamminghe i lavoratori della lana portavano avanti precise strategie.
Le loro organizzazioni avrebbero scalzato le oligarchie urbane dalle posizioni di potere, giungendo anche a sconfiggere
in campo aperto gli eserciti del re di Francia chiamati in soccorso. Il fronte stesso dei lavoratori era, tuttavia, travagliato
da insanabili discordie che impedirono ad artigiani e salariati di prendere stabilmente il sopravvento.
Anche in Francia e Germania si ebbero rivolte urbane promosse dai ceti più disagiati; l'esito dello scontro fu assai vario.
Mentre nelle città della lega anseatica il ceto mercantile mantenne quasi sempre un saldo predominio, nelle regioni
tedesche del Centro e del Sud i "mestieri" giunsero non di rado a imporsi, introducendo significativi mutamenti nella
base sociale del potere cittadino.
In Italia i disordini scoppiarono nelle città dove un maggiore sviluppo delle attività artigiane e forme già avanzate di
divisione del lavoro avevano finito con l'incrementare la schiera dei salariati e col produrre un crescente malcontento fra
gli artigiani più poveri.
La rivolta urbana dalle maggiori implicazioni sul piano politico, economico e sociale fu quella che si accese in Firenze
nel 1378, indicata come "tumulto dei ciompi" ( leggi pag. 265)

LE ATTIVITA' COMMERCIALI. PROTAGONISMO E CRISI DELLE COMPAGNIE MERCANTILI


Il ruolo fondamentale avuto dai mercanti italiani nel quadro dei commerci europei non venne meno col declino delle
fiere della Champagne. Fino al quarto decennio del '300 decisivo fu il loro coinvolgimento nell'esportazione della lana
inglese a indirizzo delle Fiandre e della stessa Italia. Perlopiù i mercanti italiani non agivano da soli, ma riunite in
"compagnie"; si trattava di società dalla struttura centralizzata che potevano contare su competenze di carattere
economico-finanziario di nuon livello e su un'ottima rete di agenti-informatori.
Il capitale di cui le compagnie disponevano derivava dai soci, ma poteva provenire anche dai depositi di clienti con i
quali era stata concordata una remunerazione a un tasso definito. La contabilità "a partita doppia", introdotta prima del
1300, agevolò la tenuta dei conti consentendo di conoscere, nel momento stesso in cui ciascuna operazione veniva
svolta, il passivo e l'attivo, il credito e il debito, i profitti e le perdite. Le tecniche commerciali e finanziarie messe a
punto dai mercanti italiani dei Due-Trecento continuarono a essere utilizzare fino alla piena età moderna.
Dopo Marco Polo, a partire dal secondo quarto del XIV secolo, furono i veneziani e i genovesi a tentare la strada del
contatto diretto con l'India e la Cina; la prospettiva era quella di vendere panni e tele di raffinata fattura, ambra, metalli
e tornare con carichi di seta, spezie e perle.
Venezia e Genova mantenevano il loro protagonismo anche in ambito mediterraneo, intrecciandosi le loro strategie con
quelle della Corona d'Aragona.
A muovere degli anni cinquanta la rivalità fra Genova e Venezia per la supremazia commerciale nel Mediterraneo
determinò uno stato di aperta conflittualità, che culminò con la guerra di Chioggia (1378-81): la flotta genovese
sconfisse quella veneziana e si impadronì di Chioggia e costrinse alla resa Venesia, che subì alcune perdite territoriali.
Già con i decenni a cavallo fra XIII e XIV secolo si erano manifestati, tuttavia, i primi segni di ripiegamento delle
grandi iniziative commerciali: si andava evidenziando la tendenza alla sedentarizzazione di molti dei protagonisti, e si
cominciava anche a investire in beni fondiari i capitali acquisiti con i commerci, eprchè una sempre più stretta
connessione della pratica agricola con i mercati urbani, regionali e internazionali ne faceva un veicolo di profitti sempre
più consistenti.
Le condizioni di pesante insicurezza che si determinarono a muovere dalla emtà del XIV secolo in gran parte dei mari e
dei territori europei nocquero non poco alle attività commerciali.
23) PAPATO E CRISTIANITA' FRA XIV E XV SECOLO

IL PAPATO AVIGNONESE

Sconfitto Bonifacio VIII sul piano politico, Filippo il Bello conseguì nei confronti del papato un altro importante
successo ottenendo che fosse eletto pontefice un proprio candidato e attraendo così la Santa Sede nell'orbita francese.
Nel 1305 a salire al soglio pontificio fu Clemente V e nel 1309 trasferì la sede papale ad Avignone, dove la curia era
destinata a restare per quasi 70 anni. Fra 1309 e 1377 i papi risiedettero ininterrottamente nelle terre del conte di
Provenza e furono tutti francesi.
La lunga lontananza del pontefice da Roma fu giudicata dagli uomini di cultura del tempo in modo assai negativo, quale
segno del completo asservimento dei papi alla corona francese, aggravato da una dilagante corruzione e
mondanizzazione della Chiesa.
In realtà furono piuttosto anni in cui i pontefici collaborarono con il sovrano francese e con gli angioini di Napoli per la
creazione di un sistema di alleanze guelfe che interessava i soggetti politici italiani e europei.
Se la presenza della corte papale ad Avignone favorì un considerevole sviluppo economico della città, la sua lontananza
da Roma non facilitò di certo i rapporti con le terre pontificie. Nel corso della prima metà del '300 si allentò il controllo
effettivo da parte della Chiesa su una gran parte dei territori sottoposti, dove maturarono spinte autonomistiche.
Si inserisce in questo contesto la vicenda del notaio romano Cola di Rienzo che, affermatosi in occasione di una rivolta
popolare e con il prevalente sostegno di mercanti e artigiani, proseguì l'obiettivo di restaurare il potere di Roma e il suo
predominio sull'intera penisola; inoltre ristabilì l'ordine nella Campagna romana, reprimendo le violenze baronali.
All'azione politica di Cola posero fine prima una congiura nobiliare (1350), poi una sommossa popolare (1354).
nel tentativo di far fronte ai problemi, i papi avignonesi inviarono in Italia numerosi legati, donati di ampi poteri.
Risultati consistenti furono raggiunti solamente dal cardinale Egidio di Albornoz, il quale restaurò l'autorità temporale
della Santa Sede riuscendo a sfruttare a vantaggio della Chiesa le divisioni locali. Si registrò nei suoi anni una grande
diffusione dell'istruzione nel vaticano, ciò che consentì di disciplinare in qualche misura le autonomie politiche locali: i
poteri signorili esistenti venivano riconosciuti dalla Santa Sede in cambio di giuramento di fedeltà e del pagamento di
un censo annuale. Altro strumento dell'azione del cardinale fu la costruzione di numerose rocche urbane e rurali
destinate al presidio militare del territorio e a conferire visibilità al governo pontificio.

LO SCISMA D'OCCIDENTE E IL CONCILIARISMO

Con la fine del periodo avignonese ebbero luogo importanti mutamenti sul piano dei rapporti politici internazionali. Nel
1377 Gregorio XI decise il ritorno della Santa Sede da Avignone a Roma; l'anno seguente, con la successione da
Gregorio a Urbano VI, si aprì il cosiddetto scisma d'Occidente. I cardinali francesi dopo qualche mese tornarono, infatti,
sulla scelta operata ed elessero un altro pontefice, Clemente VII. Fino alla ricomposizione dello scisma (1417) la
cristianità occidentale fu così divisa fra due obbedienze, quella romana e quella francese. Si rompeva in questo modo il
legame fra papato e la corona di Francia.
La contemporanea presenza di due papi acutizzò un'esigenza che per tutto il XIV secolo era andato crescendo all'interno
della Chiesa di fronte al carattere assolutistico e centralizzatore assunto dal potere papale: quella di allargare il vertice
decisionale ecclesiastico, riconoscendo maggiori competenze al concilio, cioè l'assemblea di tutti i vescovi. Fra la fine
del '300 e l'inizio di quello successivo maturò così il movimento conciliarista, che rivendicava il primato dell'assemblea
dei vescovi contro l'assolutismo papale: si individuava la possibile soluzione al problema della centralizzazione delle
nomine per il conferimento dei benefici ecclesiastici e a quello della corruzione della curia.
Più consistenti risultati furono raggiunti dal concilio di Costanza (1414-18): il concilio ne uscì autolegittimato e ne sancì
la periodicità; da esso fu eletto papa Martino V che si impegnò a rispettare le decisioni dell'assemblea e a provvedere
alla riforma della Chiesa. A tale scopo convocò per il 1431 a Basilea un nuovo concilio, morendo però prima.
Nonostante l'opposizione del nuovo pontefice Eugenio IV l'opera di riforma dei patri conciliari continuò, giungendo a
un ridimensionamento del potere d'intervento papale nell'attribuzione dei benefici.
Nel 1437 si aprì un altro scisma: Eugenio IV spostò il concilio a Ferrara e fu deposto dai padri di Basilea, che elessero
un nuovo papa, Felice V; a Firenze, dove fu trasferita l'assemblea , venne definitivamente ribadita la teoria del primato
papale in polemica con quanto si continuava a rivendicare a Basilea. Con la fine del concilio di Basilea e l'abdicazione
di Felice V, il papato risultò trionfante sul conciliarismo, avendo riconfermata la concezione monarchica del potere.

ISTANZE RIFORMISTICHE IN EUROPA: IL MOVIMENTO ERETICALE INGLESE E BOEMO

I tentativi dei conciliaristi di riformare in senso collegiale il vertice delle istituzioni ecclesiastiche erano espressione di
una più generale esigenza di rinnovamento della Chiesa.
A muovere dagli anni avignonesi la Chiesa venne vista ancor più come un'istituzione guidata esclusivamente da
interessi politici ed economici, risultando molto lontana dai suoi veri compiti; crebbe la convinzione che fosse
necessario tornare agli insegnamenti evangelici per ritrovare la purezza del cristianesimo delle origini. Fra XIV e XV
secolo spinte riformistiche radicali furono espresse dai movimenti ereticali che ebbero origine in Inghilterra e in
Boemia.
Oltre a condannare il traffico delle indulgenze e a rivendicare il diritto per i principi di espropriare il clero e
amministrare i beni a vantaggio della collettività, John Wyclif elaborò alcune teorie intese a ridimensionare il ruolo
delle istituzioni ecclesiastiche nella comunità dei cristiani. Secondo lui, ogni fedele aveva la possibilità di avvicinarsi
autonomamente alla parola di Dio, senza il ricorso magistero del pontefice o dei sacerdoti; salvezza e dannazione
dipendevano solo dalla volontà divina. Le teorie di Wyclif e dei suoi seguaci, i lollardi, fornirono il supporto ideologico
a una rivolta di contadini e salariati scoppiata nel 1381 a Kent e arrivata fino a Londra. Nel 1388 le idee di Wyclif
vennero condannate come eretiche e il movimento si sciolse.
La dottrina di Wyclif si diffuse, però, ampiamente nell'area orientale dell'impero, dove venne ripresa da Jan Hus; la
predicazione a favore di un ritorno alla povertà da parte della Chiesa e l'aspra critica contro la vendita delle indulgenze
gli procurarono prima l'ostilità dell'arcivescovo di Praga e del re di Boemia, poi quella dei padri conciliari di Costanza e
nel 1415 fu condannato come eretico e bruciato sul rogo.
L'hussitismo ebbe un preciso significato sociale e politico, contribuendo alla formazione di una coscienza nazionale nel
regno di Boemia.
All'interno del movimento hussita si distinguevano due correnti: quella moderata degli utraquisti,destinata a prevalere e
che si poneva come obiettivo la riforma religiosa, e quella dei taboriti, che rivendicava sopratutto l'abolizione delle
differenze e dei privilegi sociali.
Nel 1420 taboriti e utraquisti si accordarono sui “Quattro articoli di Praga”, con i quali si chiedeva il ritorno alla povertà
da parte della Chiesa e che le prediche fossero tenute in ceco.
I successi ottenuti dagli eserciti hussiti anche contro l'esercito crociato inviato da papa Martino V imposero al concilio
di Basilea un compromesso: il riconoscimento dei “Quattro articoli” in cambio della cessazione delle ostilità.
24) GLI STATI EUROPEI NEI SECOLI XIV E XV

GLI STATI TARDOMEDIEVALI

Fra Tre e Quattrocento le diverse formazioni statuali presenti in Europa furono interessate da processi di accentramento
politico che conferirono loro una nuova fisionomia.
Di fronte all'esigenza di controllare più efficacemente il territorio si ebbe ovunque una crescita degli apparati statali di
governo. Andò così potenziandosi la rete di funzionari preposti ai vari settori della pubblica amministrazione:
dipendenti direttamente dal re gli “officiali” esercitavano le proprie funzioni nell'ambito delle strutture di governo
centrali e di quelle che si articolavano nella “periferia” degli Stati. Le necessità legate al mantenimento del corpo degli
officiali determinarono un aumento della spesa pubblica. Dovettero essere così incrementati i roventi delle imposte
indirette, mentre mantenne una larga diffusione la tassazione diretta, che richiedeva il censimento dei contribuenti e
l'accertamento di beni e rendite da sottoporre a prelievo. Ciò portò nei diversi paesi a uno sviluppo dei sistemi fiscali.
Altro elemento caratterizzante fu l'affermazione delle assemblee rappresentative della classi o “corpi” della società; tali
assemblee costituirono generalmente lo strumento che rese possibile un dialogo fra le forze sociali e il potere centrale.
Tutti questi aspetti conferivano agli Stati tre-quattrocenteschi un carattere territoriale e nazionale. Si trattava infatti di
entità politico-territoriali sempre più definite e unitarie, delimitate da frontiere che svolgevano funzione militare e di
individuare lo spazio entro il quale un popolo era sottoposto a un potere centrale. Al contempo si stagliava sempre più
nettamente il profilo di una “comunità nazionale”; tale processo era sospinto dall'uso di una lingua comune .
Nell'ambito di ogni Stato si diffuse inoltre il culto del santo protettore del re o del paese e le chiese andarono acquisendo
un carattere nazionale.

FRANCIA E INGHILTERRA:LE MONARCHIE TRECENTESCHE

Il processo di accentramento politico e di costruzione statale interessò sopratutto la monarchia francese e quella inglese,
infatti fin dal '200 si era andato sviluppando in Francia e Inghilterra un nuovo modello di Stato monarchico,
caratterizzato da un rafforzamento del potere centrale e dall'affermazione di una sovranità dalle connotazioni inedite.
A muovere dai regni di Filippo II augusto e dei suoi successori, Luigi VIII e IX, il regno dei capetingi conobbe una
significativa espansione territoriale e un rafforzamento delle funzioni pubbliche della monarchia; ulteriori progressi
nelle due direzioni si registrarono sotto Filippo IV il Bello, la cui azione politica contro Bonifacio VIII ebbe un ruolo
decisivo nella formazione di una coscienza nazionale. Gli apparati di governo centrali e periferici continuarono a
irrobustirsi nel corso del'300 durante la dinastia dei Valois.
Mentre si rafforzavano gli ordinamenti del governo monarchico, andava crescendo progressivamente anche il peso
politico delle assemblee rappresentative. Gli “stati generali”, cioè la riunione dei rappresentanti dei tre principali corpi
della società- clero,nobiltà e ceti urbani- vennero a costituire lo strumento istituzionale attraverso il quale i diversi poteri
locali riuscivano a intervenire nelle scelte di governo, prendendo così parte alla vita politica del paese.
Un'organizzazione politico-istituzionale comparabile con quella del regno si andava realizzando nel corso del '300
anche nelle regioni francesi che non erano sottoposte alla corona. Nei cosiddetti appannaggi e nei principati che
insistevano lungo i confini del regno, il potere politico si andò strutturando attraverso lo sviluppo di apparati di governo
centrali e territoriali, la formazione di una rete di funzionari specializzati, il crescente ricorso alle assemblee
rappresentative. Nel corso del XIV secolo, dunque, il sovrano non controllava ancora l'intero territorio nazionale.
Precoce fu la formazione di un ordinamento statale in Inghilterra: essa vide lo sviluppo di un reticolo istituzionale
capace di garantire ai plantageneti un sicuro controllo amministrativo e fiscale del territorio.
Nel '300 le strutture del governo regio si rafforzarono e si affermò il Parlamento che assunse un ruolo stabile e
formalizzato come istituzione del regno. Il Parliament era organizzato secondo un modello bicamerale: i lords, cioè gli
esponenti dell'alta aristocrazia componevano la camera alta; della camera bassa facevano, invece, parte i rappresentanti
della media e piccola nobiltà, le èlites urbane, che si esprimevano per mezzo di un portavoce, lo speaker.
Il Parlamento di Londra seppe condurre un'incisiva azione nel governo del paese.
Tratto peculiare dello Stato monarchico inglese risulta in definitiva la centralità politica che le èlites locali andarono
acquisendo fra XIII e XIV secolo, a cominciare dalle conquiste garantite dalla Magna charta fino ad arrivare
all'istituzionalizzione del Parlamento.

FRANCIA E INGHILTERRA: LA GUERRA DEI CENT'ANNI E LE VICENDE DI FINE'400

Proprio l'intreccio di rapporti che legava le due corone e l'esistenza di forti interessi inglesi sul continente furono alla
base della guerra dei Cent'anni, il conflitto che oppose Francia e Inghilterra fra 1337 e il 1453, svolgendo un ruolo
determinante per lo sviluppo delle monarchie in senso nazionale. Se i sovrani inglesi aspiravano alla conservazione dei
propri domini nel Sud-Ovest della Francia e metter radici nelle Fiandre, ai re di Francia appariva non più tollerabile la
presenza in tale ambito di altre autorità.
Causa scatenante del conflitto fu la crisi dinastica apertasi nel 1328 , quando, morto re Carlo IV ed estintasi così la
dinastia dei capetingi, Edoardo III d'Inghilterra rivendicò la successione al trono state il legame di sangue con la casa
regnante di Francia; la corona andò invece a un parente di Carlo di nazionalità francese, Filippo VI, con il quale si
impose la dinastia dei Valois. L'inizio ufficiale delle ostilità si ebbe nel 1337, quando Filippo, rivendicando la propria
sovranità, confiscò a Edoardo le terre d'Aquitania e questi, sbarcato nelle Fiandre, si proclamò a sua volta re di Francia.
La prima fase del conflitto fu nettamente favorevole agli inglesi, che a Crècy e a Poitiers inflissero al nemico una dura
sconfitta.
Il malessere sociale che veniva manifestandosi in ambedue i paesi a seguito del perdurare della guerra e per le
conseguenze della peste nere spinse i contendenti a siglare un trattato di pace (Bretigny 1360), con il quale Edoardo si
vide riconosciuto il possesso di circa un terzo del territorio francese in cambio della formale rinuncia a ogni diritto sul
trono di Francia.
Dal 1369 fu però nuovamente guerra e la tattica di logoramento messa in campo dagli eserciti francesi portò Carlo V a
recuperare gran parte dei territori ceduti con la pace di Bretigny. Gli ultimi decenni del XIV secolo furono segnati da
forti sommovimenti sociali e da crisi dinastiche gravide di conseguenze. In Francia la malattia mentale di Carlo VI pose
di fatto il potere regio nelle mani di due principi antagonisti: Luigi d'Orlèans e Filippo l'Ardito, duca di Borgogna.
L'uccisione del primo, per una trama ordita dal figlio di Filippo, diede vita a due fazioni armate, che divennero
protagoniste di una sanguinosa guerra civile: i “borgognoni” e gli “orleanisti”.
Delle lotte intestine francesi fu pronta ad approfittare l'Inghilterra, dove si era avuta l'ascesa al trono della dinastia dei
Lancaster. Chiamato in soccorso dai borgognoni, Enrico V sbaragliò l'esercito francese (1415) procedendo a occupare
negli anni successivi gran parte della Francia di Nord-Ovest.
Carlo VI dovette sottoscrivere il trattato di Troyes (1420) con il quale gli si imponeva di diseredare il figlio e di
riconoscere come legittimo successore Enrico. Ben presto, tuttavia, i due sovrani morirono lasciando una situazione che
vedeva, a nord della Loira il regno franco-inglese di Enrico VI alleato dei borgognoni e nel Sud della Francia, i territori
del delfino Carlo, figlio di Carlo VI.
In questo contesto un svolta decisiva fu determinata dall'ingresso in campo di Giovanna d'Arco che convinse Carlo VII
a riprendere l'iniziativa militare e ad accordarle il comando di un contingente armato. La città di Orléans fu così
liberata dall'assedio degli inglesi. Nel luglio 1429 Carlo poté essere incoronato re di Francia; l'anno successivo
Giovanna fu catturata dai borgognoni e condannata al rogo per eresia.
Il fatto,però, non non fermò la riscossa dei francesi: nel 1436 fu ripresa Parigi, poi fu la volta degli altri territori già in
mano degli inglesi.
Dopo la fine della guerra, i successori di Carlo VII,Luigi XI e Carlo VIII, completarono l'azione di recupero territoriale.
Con la morte dei duca di Borgogna Carlo il Temerario, svanì il pericolo della formazione di un unico dominio orientale
che, muovendo dai confini della Savoia sarebbe dovuto giungere alle Fiandre; re Luigi occupò allora una parte del
ducato di Borgogna. Negli anni successivi vennero dal re recuperare la Provenza, l'Angiò,la Bretagna, ed altre terre del
Nord-est.
Nel Quattrocento l'autorità regia finì con l'imporsi su quasi tutta la Francia.
Per l'Inghilterra il '400 risultò invece un secolo contrassegnato da una forte instabilità politica. Fu in tal contesto che alla
metà del secolo deflagrò il conflitto dinastico fra i duchi di Lancaster e di York, conosciuto come “guerra delle Due
Rose”.
L'organizzazione degli aristocratici in fazioni contrapposte da tempo affliggeva il paese prevaricando la dialettica
costituzionale fra monarchia e rappresentanze parlamentari, fino al punto di imporre sovrani ed esercitare il controllo
dello stesso Parlamento. La guerra civile si concluse con l'ascesa al trono di Enrico VII della famiglia dei Tudor, che nel
1486, sposando una York, unificò le due dinastie nella propria.
Di fronte a una popolazione stremata, Enrico dispiegò la sua azione per risollevare le sorti del paese e riavviare
un'economia che aveva subito gravi danni. Il sovrano ebbe anche buon gioco per rafforzare l'autorità regia potendosi
avvalere a tal fine sia di strumenti amministrativi di sperimentata efficacia sia degli enormi patrimoni accumulati dalla
corona.

I REGNI DELLA PENISOLA IBERICA

Nel '300 l'assetto geopolitico della penisola iberica era caratterizzato dalla presenza nel Centro-Nord di quattro regni
cattolici: Portogallo, Castiglia, Navarra e Aragona e nel Sud da quella del regno musulmano di Granada.
A proposito dei regni cattolici, sono riscontrabili, fra XIV e XV secolo, sviluppi politico-istituzionali comparabili a
quelli delle altre regioni europee: si rafforzarono gli apparati amministrativi, andò formandosi un'élite di ufficiali regi, si
affermarono progressivamente le cortes, cioè le assemblee rappresentative del clero, dell'aristocrazia e delle città.
Nell'ambito dei diversi regni nobiltà ed élites cittadine riuscirono ad avere un ruolo incisivo nell'azione regia del
governo, vedendosi riconosciuti significativi spazi di autonomia.
A emergere sul piano economico e politico furono i regni di Castiglia e di Aragona, le cui corone si unirono nella
seconda metà del '400.
l'unione fra le due famiglie regnanti si realizzò nel 1469, con il matrimonio di Isabella, erede al trono di Castiglia, e
Ferdinando, erede di quello aragonese.
Gradualmente il potere regio estese il proprio controllo sulle altre forze politiche del paese senza riuscire tuttavia a
cancellare i particolarismi regionali. All'unificazione politica del regno non corrispose in effetti il maturare di una
coscienza nazionale unitaria. Divergenze troppo marcate allontanavano la realtà catalana da quella castigliana. Oltre alle
differenti tradizioni politiche, è da considerare la distanza che separava le due regioni sotto il profilo economico.
L'economia catalano-aragonese fu legata fin dal '200 ai traffici marittimi nel Mediterraneo, al contrario la vita economia
castigliana restò ancorata all'agricoltura e all'allevamento, fin quando, nel corso del '300, castigliani e portoghesi non
cominciarono a realizzare le prime esperienze di navigazione atlantica lungo le coste africane.
Ciò che comunque contribuì ad unificare la realtà castigliana a quella aragonese fu l'iniziativa militare indirizzata a
portare a termine la reconquista dei territori ancora in mano ai musulmani. Interessati all'impresa furono, fra '300 e '400,
prevalentemente i sovrani castigliani; dopo i parziali successi ottenuti dalle forze castigliane fu l'unione delle corone di
Castiglia e Aragona a permettere il compimento della riconquista.

GERMANIA: L'ETA' DEI PRINCIPATI

Nel corso del '300 venne meno ogni aspirazione universalistica del potere imperiale, la cui influenza si esercitò
pressoché esclusivamente sull'area germanica. Dopo il fallimento dell'impresa di Enrico VII, furono le posizioni assunte
nei confronti del papato dagli imperatori Ludovico il Bavaro e Carlo IV a decretare la definitiva scissione fra i due
poteri universali e la completa “germanizzazione” dell'impero. Ai tentativi dei papi avignonesi Giovani XXII e
Benedetto XII di controllare la nomina dell'imperatore, Ludovico il Bavaro e i principi elettori tedeschi risposero
affermando nella dieta di Rhens del 1338 il principio giuridico secondo cui unicamente ai suddetti principi spettava la
designazione del re di Germania, che avrebbe automaticamente ottenuto il titolo imperiale. Tale principio venne
confermato nel 1356 dalla “bolla d'oro” di Carlo IV,la costituzione con cui si codificarono le regole per l'elezione.
In realtà, tuttavia, la Germania era formata da un insieme di territori politicamente autonomi sui quali l'imperatore
esercitava un potere solo nominale: i sovrani non disponevano di entrate fiscali, né di un corpo di funzionari o di forze
militari che ne consentissero l'amministrazione e il controllo.
La fase tre-quattrocentesca della storia tedesca viene definita “età dei principati”.
Ma tutto ciò terminò con l'ascesa al trono imperiale, nel 1519, di Carlo d'Asburgo (Carlo V) che seppe restituire
concretezza al proprio potere concentrando nelle sue mani il dominio sui territori vastissimi.
Anche se alcune città promossero un'organizzazione del territorio, furono i principati laici ed ecclesiastici i veri
protagonisti dello state-building in area tedesca. Il potere statale si organizzò nell'ambito dei Lander, aree regionali o
subregionali che comprendevano città e signorie fondiarie ed erano sottoposte al potere dei principes terrae. Tali aree
presentavano un'estensione e un grado di sviluppo istituzionale differenti.
A proposito degli Stati sorti nell'area linguistica tedesca compresa entro i confini dell'impero,è da menzionare il caso
della Confederazione elvetica. Nata nel 1291 dal Patto federale con cui si unirono per la reciproca difesa dalle ingerenze
imperiali tre cantoni di montagna situati presso il lagno di Lucerna; la Confederazione si allargò gradualmente fra '300 e
'400, includendo altri cantoni, finché nel trattato di Basilea del 1499 non ottenne dall'imperatore Massimiliano
d'Asburgo il definitivo riconoscimento della propria indipendenza.
Il frazionamento dell'assetto politico-territoriale e la fragilità istituzionale dell'impero non impedirono comunque in area
germanica il maturare di un'ideologica nazionale.

LE MONARCHIE DEL NORD E GLI STATI FRA BALTICO,MAR NERO E BALCANI

Le formazioni statali sviluppatesi durante gli ultimi secoli del medioevo in area scandinava e nelle regioni europee
orientali presentavano caratteri simili a quelli degli Stati occidentali: l'assetto politico era ovunque di tipo monarchico-
principesco ed esistevano le assemblee rappresentative.
Caratteristica dei regni di Svezia, Norvegia e Danimarca fu la particolare debolezza dell'istituzione monarchica, che non
riuscì a conferire solidità politica agli Stati.
Al di là dell'affinità linguistica,i vari paesi slavi presentavano significative differenze sul piano economico, sociale e
culturale. L'economia di questi paesi era per lo più ancorata all'agricoltura e all'esportazione di materie prime verso i
mercati occidentali; in Boemia erano alquanto sviluppate l'industria tessile e la vetraria; l'esportazione polacca e quella
ungherese si basavano sui cereali e sul bestiame, mentre quasi esclusivamente alla produzione agricola era legata
l'economia russa.
Accanto alle città bulgare, serbe, croate e russe, dotate di scarsa autonomia amministrativa, si trovavano quelle dalmate,
polacche e boeme, che acquisirono qualche rilevanza politica. A emergere furono particolarmente le città boeme che
andarono a costituire uno dei tre “stati” della società, divenendo interlocutori per il sovrano. Anche sul piano culturale
esistevano profonde differenze fra i vari popoli slavi: verso il mondo occidentale e il cattolicesimo romano si
orientarono polacchi, cechi, slovacchi, croati e russi bianchi, mentre alla chiesa e alla cultura bizantina furono legati
serbi, macedoni, bulgari, russi e ucraini.
Ci furono anche differenze sul piano politico; si consolidarono nel corso del '300 i regni di Serbia e di Bulgaria, nonché
i principati di Moldavia e di Valacchia. Rilievo particolare acquisì lo Stato serbo che raggiunse massima espansione
territoriale.
Sul finire del secolo, di fronte all'inesorabile avanzata dei turchi ottomani, l'assetto politico della penisola balcanica
mutò tuttavia in odo radicale: i turchi sconfissero le forze serbe nel 1389 e quelle ungheresi nel 1396,imponendo a tutti i
popoli della regione una dominazione destinata a durare più secoli.
L'area compresa fra il Mar Baltico, il Mar Nero e i fiumi Elba vedeva la presenza di diverse formazioni politico-
territoriali:la Prussia e la Livonia costituivano lo Stato dell'Ordine dei Cavalieri teutonici; nella regione del fiume Dnepr
si estendeva il granducato di Lituania; fra questo e i confini dell'impero si trovavano i regni di Polonia e Ungheria;
compreso entro i territori imperiali era il regno di Boemia. Fondato in Prussia nel corso del '200 lo Stato dell'Ordine
monastico-militare dei Cavalieri teutonici produsse lo sterminio di buona parte delle popolazioni autoctone, che vennero
a poco a poco sostituite da coloni provenienti dalla Germania. I cavalieri furono impegnati, fra XIV e XV secolo,in
numerose guerre contro il confinante regno di Polonia, che avevano privato dell'unico accesso al mare. Nel '400
l'Ordine subì pesanti sconfitte per opera dell'esercito polacco e nella seconda età del secolo il suo territorio fu
definitivamente inglobato nello Stato polacco-lituano, dando luogo alla Prussia polacca.
Il granducato di Lituania raggiunse la sua massima espansione nel corso del '300.
nel '300 si era affermata in Polonia la dinastia locale dei piasti, sotto la quale la monarchia attraversò il periodo di
maggior sviluppo politico e culturale.

I REGNI DI BOEMIA E DI UNGHERIA

La storia tre-quattrocentesca dei regni di Boemia e di Ungheria fu caratterizzata da dinamiche politiche simili. All'inizio
del XIV secolo si estinsero le dinastia autoctone che fino ad allora avevano regnato nelle due regioni e le corone
finirono sotto il controllo di casate principesche provenienti dalle aree europee occidentali.
Dopo una breve presenza degli Asburgo (1306-10), sul trono boemo si insediarono i Lussemburgo. Il dominio di questa
casata conobbe il periodo di massimo splendore sotto l'imperatore Carlo IV.
Al trono ungherese salirono nel 1308 gli Angiò. Anche l'Ungheria attraversò un periodo di forte intraprendenza politica
e notevole fioritura culturale nella seconda metà del secolo.
Co i regni dei figli di Carlo V ebbe termine in Boemia la monarchia dei Lussemburgo, cui seguì un ventennio di
dominazione asburgica.
Nel 1490 Ungheria e Boemia furono unite in una grande monarchia sovranazionale per opera del re Ladislao VII, che
regnò su ambedue le regioni.

L'AFFERMAZIONE DEL PRINCIPATO DI MOSCA


Per quanto riguarda l'area compresa fra la Lituania e gli Urali, la più antica formazione politico-territoriale fu il regno di
Kiev, un insieme di principati legati prevalentemente da ragioni di difesa militare. Nel corso del '200 il regno crollò
sotto la pressione dei mongoli; l'assetto geopolitico della regione venne allora a caratterizzarsi dalla presenza del
granducato di Lituana e per quella di numerosi principati di modesta estensione, tutti sottomessi all'impero mongolo
tramite rapporti di vassallaggio.
Fra XIII e XIV secolo la fine dell'espansionismo dei mongoli e l'indebolimento della loro presenza politica nell'area
russa consentirono l'ascesa di alcuni principati, come quelli di Novgorod e di Mosca. Fu spostata da Kiev a Mosca la
sede del metropolita ortodosso, mentre sotto Ivan I i principi moscoviti comprarono dai mongoli il titolo di “grandi
principi di tutta la Russia”.
Lo Stato moscovita si consolidò pienamente nella seconda metà del '400, sotto Ivan III il Grande, che si attribuì il titolo
di “zar di tutta la Russia”. Dopo la conquista turca di Costantinopoli (1453), fu Mosca a ereditare il ruolo di capitale
della chiesa cristiana di rito greco.

CARATTERI DELLE MONARCHIE EUROPEO-ORIENTALI


Nel coso del '300 in Polonia, Boemia e Serbia l'iniziativa regia si orientò verso un'unificazione legislativa e giuridica.
Riguardo agli apparati di governo, andò sviluppandosi un sistema fiscale caratterizzato dalla regolarità delle
imposizioni, si formò un corpo di funzionari dipendenti dal sovrano venero organizzate forze militari sotto il controllo
regio. Si diffuse inoltre il culto dei santi protettori nazionali e venne promosso in modo particolare quello dei santi-re;
l'impronta di sacralità acquisita per questa vita dai sovrani contribuiva notevolmente a legittimare il ruolo nei confronti
delle nazioni.
Nel rapporto fra il re e gli altri soggetti politici sono invece riscontrabili significative differenze fra gli Stati occidentali
e le più importanti monarchie dell'Europa orientale. I paesi slavi erano perlopiù caratterizzati da una scarsa articolazione
sociale; era l'aristocrazia il principale interlocutore del sovrano e il rapporto fra monarchi e nobiltà non era tale da
favorire il consolidamento delle strutture statali. Nonostante ciò, nel corso del '300, in Polonia, Boemia e Ungheria si
riuscì a mantenere in un certo equilibrio il rapporto fra la corona e le altre forze politiche.
Il quadro mutò notevolmente fra '300 e '400, quando si accentuò la forza politica delle assemblee e fu esclusivamente
l'aristocrazia a orientarne l'azione. Si consolidarono allora le prerogative degli organismi collegiali, che acquisirono la
facoltà di intervento i ogni deliberazione del sovrano.
Se dunque, in Inghilterra e in Francia l'aristocrazia era partecipe di una struttura amministrativa controllata dal re, negli
Stati europeo-orientali, sopratutto in Polonia e Ungheria, la sovranità regia non poté affermarsi pienamente. Nel '400
prevalsero qui gli spazi di potere signorile: anziché essere in mano agli ufficiali regi, il governo territoriale e la
mobilitazione degli eserciti restarono largamente sotto il controllo della nobiltà.
Particolare risulta essere il caso dello Stato russo: a proposito del principato di Mosca non si può parlare di “monarchia
degli stati”, poiché mancò qualsiasi dialogo fra lo zar e l'aristocrazia. Il potere degli zar fu quindi caratterizzato da
un'accentuata tendenza autocratica.
25) SIGNORIE, REGIMI OLIGARCHICI E STATI REGIONALI IN ITALIA
ALLA FINE DEL MEDIOEVO

ORIGINI E PRIME SPERIMENTAZIONI DEL REGIME SIGNORILE

Nel corso del XIII secolo si evidenziarono le difficoltà che il comune cittadino incontrava nel dare stabilità ai propri
ordinamenti e nel disciplinare l'antagonismo degli autonomi nuclei nuclei di potere. La coesistenza di ceti di varia
connotazione sociale ed economica generava dinamiche politiche di notevole complessità, destinate a risolversi nello
scontro armato (=conflitti e violenze dilagavano).
Ben si comprende come ampi spazi si aprissero in tal contesto all'iniziativa di chi, approfittando della incontrastabile
instabilità della situazione, volesse tentare l'ascesa al potere per insediarvisi più o meno durevolmente. Nacquero le
“signorie” urbane che diedero alla città una nuova dimensione politico-istituzionale, dilatandone gli originali domini.
Fra le prime esperienze di dominazione signorile che maturarono nel corso del XIII secolo alcune ve ne furono che si
proposero non in ambito urbano, ma dall'iniziativa di stirpi feudali saldamente radicate nel contado. Fra queste assunse
particolare rilievo la vicenda di Ezzelino III da Romano, che riuscì a imporre il proprio dominio su Verona,
estendendolo subito dopo a Vicenza, Padova e Treviso. La forza di Ezzelino derivava da una solida base di potere e
dalla presenza capillare di clientele vassallatiche capaci di proiettare la loro azione dai contadi fin entro la città. La
signoria ezzeliniana ebbe termine a seguito della sconfitta subita da Ezzelino a Cassano d'Adda, per parte di un esercito
che riuniva le milizie dei suoi numerosi nemici, agli ordini di Oberto Pelavicino questi, signore di numerosi castelli e
fortezze in area padana, fu protagonista di una vicenda che lo vide pervenire alla signoria su molte città lombarde,
piemontesi ed emiliane. Tale signoria, tuttavia, prese a disgregarsi già prima della morte di Oberto, a seguito della
discesa in Italia degli angioini e dei successi delle milizie guelfe.
Meno effimere delle esperienze signorili legate a dinastie feudali di fatto prive di un vero e proprio incardinamento di
una specifica realtà cittadina furono quelle che scaturirono in via diretta dalla dinamica politica del comune urbano,
quasi sempre a beneficio di famiglie di tradizione militare.
A Ferrara si ebbe l'affermazione degli Este, che nel 1240 ebbero la meglio sui rivali Torelli, ottenendo il formale
riconoscimento della signoria e l'ereditarietà della stessa (1264). Nel corso del secolo la dominazione si sarebbe poi
estesa anche a Moderna e Reggio.
A Verona la signoria scaligera si impose di mantenere la propria egemonia ricorrendo a un dominus che si facesse
garante dei suoi interessi. Con Cangrande, protettore di artisti, il potere scaligero si sarebbe esteso a Vicenza, Padova,
Treviso e alla Marca trevigiana, proiettandosi successivamente anche su Parma, Brescia e Lucca.
In Padova si sarebbe affermata, invece,la signoria dei carraresi.
Vicenda di maggiore complessità fu quella che portò la famiglia dei Visconti alla signoria su Milano. Furono dapprima i
della Torre a ottenere, nei decenni centrali del XIII secolo, il controllo delle magistrature comunali, ma nonostante il
supporto di una vasta clientela, essi non poterono contrastare la parte nobiliare che proclamò signore l'arcivescovo
Ottone Visconti (1277).

Quanto illustrato consente di osservare come l'affermazione di regimi signorili sia avvenuta attraverso l'affermazione di
un potere effettivo che non comportò alcun sovvertimento del profilo costituzionale, bensì procedette permeando gli
organismi del governo comunale e svuotandoli progressivamente delle prerogative politiche. Non mancarono casi in cui
il passaggio alla signoria ebbe un formale riconoscimento nell'attribuzione del titolo di signore o di cariche configuranti
una primazia senza limiti cronologici.

LE SPEDIZIONI IMPERIALI IN ITALIA E LA FINE DEL SOGNO GHIBELLINO

Con gli eventi di natura politico-istituzionale e militare, vennero a intrecciarsi, nei primi decenni del '300, gli interventi
nella penisola di due imperatori: Enrico VII di Lussemburgo (1308-1313) e Ludovico IV il Bavaro (1314-1346).
Salito al trono di Germania, Enrico, anche per porre fine alla crescente intraprendenza del re di Francia Filippo il Bello,
tornò a rivolgere la sua attenzione all'Italia, dove in molti ne invocavano la venuta, guardando a tale circostanza come la
sola possibilità di porre fine alle lotte interne. Messosi in marcia nel 1310, Enrico ricevette corona d'Italia e poi quella
imperiale. Tuttavia, quello che il sovrano si era illuso potesse essere un viaggio trionfale, si rivelò ben presto, per
l'ostilità di quanti mal tolleravano l'intromissione imperiale, un'impresa difficoltosa, e drammatico e fu l'esito: mentre
lungo la via Francigena ripiegava verso nord, Enrico si ammalò di malaria e morì, portandosi dietro le anacronistiche
speranze del ghibellinismo italiano.
Anche il suo successore Ludovico scese fino a Roma per cingervi la corona imperiale in rappresentanza del popolo di
Roma.
La volontà dell'imperatore di tornare a ingerirsi efficacemente nelle vicende d'Italia usciva mortificata dalle spedizioni
di inizio '300, essendosi constatato come lo stesso potesse proporsi al massimo come soggetto coordinatore di uno
schieramento ghibellino sempre meno compatto.
VERSO GLI STATI REGIONALI

L'affermazione dei regimi signorili diede impulso a profonde trasformazioni dell'assetto politico-territoriale dell'Italia
padana. I diversi centri di potere vennero spesso inglobati in entità statuali più vaste, i cosiddetti Stati regionali,
governate da famiglie nobiliari di radicamento urbano; al contempo, città di varia rilevanza il cui assetto istituzionale
era ancora di tipo comunale,si mossero nella stessa direzione, espandendo in varia misura gli spazi delle loro originarie
dominazioni.
Mentre l'Italia del Centro-Sud continuava a essere inquadrata nell'esperienza monarchica, le nuove realtà statuali del
Nord contribuivano a determinare anche in tale ambito una semplificazione del quadro politico. Questo si assestò
gradualmente intorno alle cinque maggiori formazioni: lo Stato principesco dei Savoia, lo Stato dei Visconti, poi sforza,
e gli Stati-repubblica di Genova, Venezia e Firenze.
Nel corso del '300 i giuristi arrivarono ad attribuire la piena sovranità alle città che erano venute configurando come
svincolate da qualsiasi potere superiore. Un fenomeno simile coinvolse anche alcuni di coloro che detenevano i titoli di
vicari imperiali o pontifici, membri cioè delle famiglie che tra Due-Trecento avevano visto legittimato dall'impero o dal
papato il potere signorile esercitato su comunità o aree territoriali. Ricevendo dall'imperatore o dal papa i titoli di duchi
o marchesi, i vicari cessarono di essere funzionari di un superior e suoi sottoposti per divenire del tutto autonomi.

PRINCIPATI E REPUBBLICHE DEL NORD: guarda pag. 302


LO STATO FIORENTINO: guarda pag.307

LO STATO DELLA CHIESA

Nei secoli XIV e XV importanti trasformazioni politiche e istituzionali riguardarono anche le realtà territoriali dell'Italia
centrale e meridionale: lo Stato di tipo monarchico guidato dal papa e i regni meridionali, quello insulare sotto gli
aragonesi, e quello continentale, che in mano agli angioini dal 1266 cominciò a essere denominato non più Regno di
Sicilia, ma Regno di Napoli.
Per quel che riguarda lo Stato della Chiesa, è da dire che gli anni dello scisma segnarono una significativa svolta
politica. La riduzione delle entrate che si registrò spinse i pontefici del '400 ad una crescente attenzione per
l'amministrazione delle regioni sottoposte; risultò necessario controllarle e governarle più efficacemente.
Entro i domini temporali (Romagna,Marche, Umbria e Lazio) l'azione pontificia di governo si svolgeva per mezzo di
apparati istituzionali centrali e periferici. Il principale organo della curia papale era la Camera apostolica: alla Camera e
agli uffici a essa legati competevano l'amministrazione finanziaria e alcune scelte di carattere politico. Gli apparati di
governo periferici erano incardinati nelle grandi circoscrizioni amministrative: Romagna, Marca d'Ancona, ducato di
Spoleto, Patrimonio di S.Pietro in Tuscia, Campagna e Marittima.
Nonostante la precoce organizzazione di una burocrazia centrale e il solido inquadramento istituzionale della periferia
realizzato nel '400, lo Stato della Chiesa non presentava alla fine del medioevo i caratteri di accentramento politico e di
omogeneità giuridica e amministrativa che sarebbero stati propri dello Stato moderno.
Fu particolarmente nella Romagna e in Emilia che signorie cittadine fiorirono mantenendo fermo il riconoscimento
della sovranità pontificia.

I REGNI MERIDIONALI: guarda pag. 311

IL SISTEMA DELL'EQUILIBRIO

Durante la prima metà del '400 vari tentativi egemonici furono essi in atto da parte di singoli Stati o di coalizioni al fine
di ampliare i confini territoriali e dominare la scena politica italiana. Simili disegni fallirono tutti e si arrivò a una
stabilizzazione del quadro politico che le guerre e le relazioni diplomatiche fra le maggiori entità statuali avevano
gradualmente delineato.
Con l'insediamento di Francesco Sforza alla guida del ducato milanese fu risolto il problema della successione a Filippo
Visconti, che era stato causa di scontri accesi. A far cambiare il clima politico fu però sopratutto un fattore esterno al
contesto italiano: la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi Ottomani nel 1453. la fine dell'impero bizantino
indusse Venezia ad abbandonare ogni mira egemonica e a impegnarsi nella ricerca di un'intesa fra gli Stati.
Si giunse così, nel 1454 alla stipula fra Venezia e Milano della pace di Lodi, cui aderirono tutte le altre potenze regionali
italiane: furono fissati e riconosciuti i confini territoriali fra i diversi Stati; venne poi istituita una Lega italica (1455) che
impegnava, per 25 anni, le cinque maggiori realtà statuali- ducato di Milano, repubbliche di Venezia e Firenze, Stato
della Chiesa e regno di Napoli- a mantenere la pace.

26)ASIA E AFRICA: guarda pag.321 e schemi quaderno


27) SECOLO XV. QUADRI ECONOMICI

DEPRESSIONE DEMOGRAFICA E CRISI DEL POPOLAMENTO RURALE

Alla metà del XV secolo il patrimonio demico europeo mostrava con piena evidenza i segni delle catastrofi che su esso
si erano abbattute. Nell'arco di poco più di cent'anni gran parte delle città italiane aveva registrato un calo verticale della
popolazione, né troppo diversa si presentava la situazione nel resto d'Europa.
I distretti rurali furono investiti dalla crisi demografica non meno pesantemente che i centri urbani. Numerosi villaggi e
minori insediamenti contadini furono spazzati via dalla tormenta dei secoli XIV e XV.
La restituzione all'incolto di terre marginali e scarsamente produttive ebbe il suo peso in certi contesti: paesaggi nuovi.

LO SVILUPPO DELL'ALLEVAMENTO TRANSUMANTE

Il contrarsi delle terre seminative comportò l'incremento delle superfici destinate al pascolo; si crearono le migliori
premesse per lo sviluppo della pratica allevatizia.
A beneficiare della situazione creatasi fu l'allevamento transumante, cui prese a indirizzarsi l'attenzione dei governi.
In Italia, la Repubblica di Siena, lo Stato della Chiesa e il regno di Napoli istituirono speciali uffici -le dogane del
bestiame- cui venne affidato il compito di promuovere e organizzare la migrazione delle greggi.
Altre regioni mediterranee conoscevano, al contempo, un forte sviluppo dell'allevamento transumante. In particolare,
una solida organizzazione conobbe la pastorizia nel regno di Castiglia. A un forte incremento della transumanza iberica
portò il fatto che con gli inizi del'300 cessò l'esportazione della lana inglese verso le Fiandre e la Francia, così che
vennero ad aprirsi per la lana di produzione castigliana ampi spazi sul mercato europeo.

MERCANTI-IMPRENDITORI E RUOLO DELLE ARTI IN ITALIA

Se nella fase di maggiore espansione delle attività artigiane tutto il processo di produzione fu nelle mani del maestro,
proprietario della bottega, in progresso di tempo le cose cambiarono. L'inserimento di mercanti e imprenditori pose fine
all'autonomia dell'artigiano, assoggettandolo all'egemonia del capitale commerciale. Pur permanendo il maestro in
possesso della bottega e dei mezzi di produzione, sul piano economico e produttivo se ne ebbe la resa al detentore del
capitale, a beneficio del quale perdette anche il diretto accesso al mercato.
Il passaggio alla dipendenza economica fu più generalizzato in quei comparti della produzione che richiedevano un
maggior investimento di capitali e un più ampio ventaglio di competenze.
A sostegno delle attività artigiane intervenne non di rado l'iniziativa dei governi cittadini, che deliberarono l'adozione di
tariffe commerciali differenziate a beneficio dei produttori locali e misero in atto una politica intesa a favorire
l'immigrazione di manodopera forestiera specializzata ricorrendo a esenzioni fiscali.
Mentre ciò accadeva,si registrava anche il progressivo mutamento della fisionomia delle associazioni di mestiere. Già
dalla fine del XIII secolo la loro influenza sul piano politico era venuta ridimensionandosi, fino a essere quasi annullata
per opera di quei regimi cittadini che andavano sviluppandosi in senso oligarchico o signorile. Cambiò anche la
funzione sociale ed economica delle arti; esse tesero a chiudersi sia ne confronti dei nuovi ceti emergenti, sia verso gli
apprendisti che aspiravano ad acquisire il titolo di maestro: per accordare tale qualifica si iniziò a richiedere agli esterni
somme elevate, privilegiando i familiari dei maestri già associati.
Le arti cessarono in Italia di svolgere un ruolo dinamico rispetto alle attività produttive che persero tra '400 e '500 il
primato in precedenza detenuto in ambito europeo.

INNOVAZIONE NEL LAVORO ARTIGIANO: in alcuni ambiti di produzione si registrarono, nel '300 e
'400, importanti progressi nelle tecniche. LEGGI PAG. 336

LE ATTIVITA' COMMERCIALI: OPERATORI, ITINERARI, MERCI

Nel quadro dei percorsi commerciali, quelli marittimi di lunga distanza mantenevano nel '400 una netta prevalenza; la
flotta anseatica e quelle veneziana e genovese vi avevano il ruolo di protagoniste. A solcare i mari erano imbarcazioni
della più varia tipologia, come caravelle e cocche.
A muovere dalla seconda metà del '300 si incrementò il ricorso all'assicurazione marittima, che copriva tanto i rischi di
naufragio quanto quelli derivanti da episodi di pirateria.
Anche i traffici per via di fiume e canale conservarono fra Tre e Quattrocento una forte incidenza, dal momento che tale
trasporto aveva dei costi di gran lunga inferiori a quelli del trasporto via terra.
L'uso sempre più frequente di carri dovette garantire anche per via di terra trasporti di una certa efficacia e sicurezza,
anche se scarsi restarono gli investimenti nella manutenzione delle strade.
La variazione dei flussi commerciali indusse mutamenti non marginali nella mappa delle fiere di rilevanza regionale,
che mantennero la loro importanza. Accanto al declino delle fiere fiamminghe è da segnalare la crescente fortuna di
quelle del Brabante; nel corso del '400 Anversa divenne un emporio di prima grandezza; un grande sviluppo ebbero
anche le fiere di Ginevra, ma in seguito dovettero fronteggiare la concorrenza di quelle di Lione.
Dalla metà del '300 alla fine del secolo successivo si assisté anche a una eccezionale fioritura delle attività commerciali
delle città della Germania meridionale, i cui mercanti si organizzarono in compagnie di grande dinamismo.
Fu all'area mediterranea che restarono legate le maggiori rotte di scambio, nonché le attività bancarie e finanziarie di
maggior peso e vivacità. Barcellona, Valenza e Palma di Maiorca furono le protagoniste iberiche.
Nei commerci con l'Oriente erano Venezia e Genova a mantenere una marcata egemonia. La prima, a seguito del crollo
dell'impero mongolo e dell'espansione ottomana, si trovò a consolidare la sua presenza nelle aree d predominio
mamelucco.

ESLORAZIONI E SCOPERTE: LEGGI PAG. 339

28) CULTURA UMANISTICA E NUOVI ORIZZONTI: PAG. 343

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