dell’America. Si pensava che gli Indiani fossero schiavi a coloro che avrebbero potuto costituire il
fondamento di una nuova res publica cristiana, e ci si chiedeva se la loro razza fosse superiore o
inferiore. Possiamo affermare che alcuni aspetti di fondamentale importanza circa gli attuali
principi inalienabili dell’uomo, il rifiuto di ogni forma di razzismo ecc, traggono spunto dalle
riflessioni di alcuni intellettuali, tra cui Montaigne e Tommaso Moro, proprio sulle descrizioni degli
Indiani. Occorre sottolineare inoltre, che il relativismo culturale trova il suo fondamento nel
commento sui sacrifici umani e sul cannibalismo dei Tupinambà redatto da Montaigne. Ad oggi,
grazie ad alcune recenti ricerche antropologiche, possiamo affermare che gli Indiani siano dal
punto di vista genetico molto simili alle popolazioni della Cina e del Giappone, e dal punto di vista
antropologico siano discendenti di alcune bande di cacciatori abitanti dell’Asia nord-orientale ai
tempi dell’ultima glaciazione. Questi gruppi di persone giunsero in America in seguito a una
colonizzazione involontaria, provocata dalla necessità di seguire gli animali e di disporre di aree
disabitate, e secondo le ultime ricerche, colonizzarono la Beringia tra i 30000 e i 20000 PP; un
territorio emerso dopo l’ultima glaciazione, grazie all’abbassamento del livello del mare. Da lì, si
spinsero poi verso sud, approdarono in Messico e, superando l’istmo di Panama, raggiunsero
l’America Meridionale per poi spargersi in Amazzonia. In seguito a questo contatto, e dopo
millenni di isolamento, l’America presentava una situazione molto variegata; alcune regioni erano
abitate da bande di cacciatori, altre da orticultori o ancora da popolazioni che praticavano
agricoltura intensiva; le popolazioni erano organizzate in tribù, bande e Stati: ciò ha permesso di
suddividere il territorio da nord a sud in diverse aree culturali, i cui confini erano piuttosto
variabili. Non potendo analizzare tutte le aree, prenderemo in considerazione quelle più
complesse e articolate: La Mesoamerica e il Perù.
La Mesoamerica
Il Perù
L’area peruviana confina a ovest con l’oceano Pacifico, a est con la Ceja de Selva, a sud con la zona
desertica delle Ande e a nord con la steppa umida dell’alta montagna. Da un punto di vista
strettamente culturale, troviamo relazioni più profonde e antiche con i territori confinanti,
nonostante ciò ha sviluppato tratti tipici culturali tra cui l’uso delle stesse piante alimentari, la
presenza dei camelidi, l’enfatizzazione del vestito e del tessuto, una visione dualistica della società
e l’utilizzo di abachi per fare i calcoli. Verso il 500 d.C., due piccoli Stati della Sierra del Sud e
dell’altopiano attorno a Titicaca,Huari e Tiahuanaco iniziarono una politica espansionistica che in
poco si concluse con l’affermazione dei primi due grandi imperi della zona delle Ande centrali. La
ragione del loro collasso, del tutto ipotetica,giace nelle avversità climatiche di una zona al limite:
oltre 3800 m s.l.m. In seguito alla loro scomparsa riemersero le tradizioni locali, con l’affermazione
della cultura Chimù, che arrivò a formare uno stato con capitale Chan Chan. A partire dal 1438 gli
Inca tentarono di fondere i territori conquistati, ma la debolezza del potere sfociò in una guerra
civile che facilitò l’invasione straniera.
Da diversi anni non vengono più pubblicati libri di sintesi circa le culture nate in America prima
dell’arrivo degli Europei. E’ pertanto chiaro che non si supera la “barriera del significato”, quando
per spiegare alcune manifestazioni di ciò che definiamo l’ ”altro”, si fa ricorso a spiegazioni che
anche un bambino potrebbe dare. E’ sufficiente pensare a come per anni gli studiosi delle clulture
mesoamericane hanno descritto scrupolosamente i calendario di 260 giorni, senza chiedersi da
dove esso aveva origine.
In Mesoamerica la fine delle grandi potenze si concluse in modo traumatici; si è ricorso a due
modelli per spiegare questo fenomeno: quello delle “invasioni barbariche” e quello dell’
“insurrezione dei contadini”, nonostante non fossero molto soddisfacenti. Un modello
decisamente più attendibile è quello di Matos Moctezuma, ovvero che la fine violenta delle
potenze dominanti è dovuta alla fragilità del tipo di stato che si era affermato in Mesoamerica; si
mantenevano sovrani e leggi locali e ci si limitava a riscuotere il tributo. Cosi facendo si allargava il
dominio, aumentando però progressivamente il numero di nemici, senza aumentare le forze di
coesione; questi ultimi si coalizzavano per poi liberarsi dello stato egemone.
Ad oggi è rimasta aperta la questione delle culture precolombiane, poiché sono condannate ad
una alterità ferma a cinquecento anni fa che, sebbene sia molto affascinante, risulta molto lontana
e incomprensibile. E’ ovvio che nessuno potrà mai immaginare cosa avrebbero realizzato queste
culture se il loro sviluppo non fosse stato interrotto dall’invasione europea; in questo caso sono di
grande aiuto i grandi della letteratura ispanoamericana, i quali ci hanno permesso di rivivere
frammenti di realtà che non avremmo mai immaginato e che avremmo potuto perdere per
sempre. Tra questi incontriamo Miguel Angel Asturias, in Hombres de maiz, ci mostra come il
nagaulismo dei Maya, ovvero la credenza nel nagual, un’anima individuale esterna alla persona
fisica, ritenuta uno spirito ausiliario, può essere una visione del mondo accettabile anche ai giorni
nostri. In conclusione, ci sono diverse domande che tutti si pongono; ad esempio che posto
occupano le culture precolombiane nella storia dell’uomo o ancora quanto possano essere fondati
i giudizi di repulsione ammirazione che hanno suscitato in noi sin dal XVI secolo.