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IL MESSIA SCONFITTO:

LA CROCE E IL SUO MISTERO

Amaury Begasse de Dhaem S.I.

Lo specchio di un’epoca ferita

Ogni epoca approfondisce la conoscenza di Cristo, dei testi fonda-


mentali, del simbolo della fede alia luce della propria esperienza esisten-
ziale, partendo da alcuni aspetti che fanno parte della figura iniziale di 417
Gesu, ma spostando gli accenti, ricomponendo il mosaico, riscoprendo
tesori nascosti. Per fare un esempio, non e casuale che il tema del Saba-
to Santo, con la discesa agli inferi, sia emerso con tanta forza, nonche
con tante sfumature diverse, nella teologia del dopo Auschwitz.
Il tema che affrontiamo in questo articolo non sfugge a tale re-
gola. Se, infatti, parlare del mistero della croce e indubbiamente
theologia perennis, l’espressione «Messia sconfitto» sembra invece ti-
pica della nostra epoca, della sua acuta esperienza del male, della sua
«speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Perche, per la tradizione
antica, il Messia, Figlio e Verbo di Dio fattosi uomo, e innanzitutto
il Risorto, il vincitore (Christus victor), il sereno Pantocrator dei mo-
saici. Nel Medioevo, infatti, nonostante l’accento posto sull’umanita
di Cristo, Gesu e il Salvatore, «pieno di grazia e di verita» (Gv 1,14),
non lo sconfitto, icona di una «storia dei vinti» (J.-B. Metz).
Ma, al di sotto delle numerose interpretazioni dell’inesauribile
figura di Gesu Cristo, potrebbe scorrere il flusso potente e cristalli-
no delle acque evangeliche. Proprio perche Cristo, «uno della santa
Trinita», ha sfidato il male nel luogo del suo dominio e lo ha vinto
al prezzo altissimo della croce, ne ha rivelato all’umanita la radicale
cattiveria, l’impossibilita quindi di scendere a patti con esso.
Cos'1, nella misura in cui la fede cristiana, lungo i secoli, ha irrigato
le intelligenze e permeato i cuori, il male ha progressivamente smesso
di essere l’ineluttabile compagno della finitudine umana, per apparire

© La Civilta Cattolica 2015 I 417-429 I 3953 (7 marzo 2015)


ARTICOl.O

sempre piu alle coscienze, affinate dalla rivelazione del Crocifisso, in


tutta la sua orrenda bruttezza e insopportabile assurdita. Sottratto al
fatum, esso e stato sottratto alia fatalita. Nello stesso tempo, piu ere-
sceva la coscienza della sua intrinseca malignita, piu aumentava non
solo la percezione del suo ambiguo commercio con la liberta ferita e
con le sfere inconsce della persona, ma anche la consapevolezza della
sua insuperabile e universale permanenza: permanenza riscontrabile
sia nei cuori umani, compresi quelli dei battezzati, sia nelle strutture
religiose, politiche e sociali derivanti dall’azione umana.
Se un tempo Rm 7 riguardava l’empio prima del suo battesimo,
mentre Rm 8 descriveva la vita del battezzato, oggi nessun cristiano
onesto con se stesso e abituato all’esame di coscienza dubiterebbe che
la sua vita quotidiana rispecchi sia l’uno sia l’altro. «Io non compio
418 il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19), e proprio
percio, con Cristo che mi puo «liberare da questo corpo di morte»
(Rm 7,24), grido nello Spirito: «Abba! Padre!» (Rm 8,15). La nostra
vita e un continuo passare da Rm 7 a Rm 8, cioe un costante morire
e risorgere con Cristo, nello Spirito, verso il Padre.
Il secolo nel quale siamo nati e stato forse il piu vivamente e do-
lorosamente consapevole del dominio del male; il «principe di questo
mondo» (Gv 16,11) si e infiltrato non soltanto nelle ideologic morti-
fere che hanno devastato le societa con la complicita attiva o passiva
di tanti uomini, ma anche nel recesso dei cuori di molti cristiani,
nonostante la vita sacramentale, la preghiera personale, l’inabitazione
trinitaria, i doni della grazia e i buoni propositi della liberta ferita.
Il secolo passato e stato accusato di aver occultato il peccato. Puo
darsi, ma, se fosse cos'1, non sarebbe proprio perche ne ha avuto una
percezione talmente diretta da non poterlo piu guardare in faccia?
La coscienza del XX secolo, che e stata culla della nostra, e quella
della sconfitta, non solamente di tante illusioni, ma anche di tante
speranze e di tante preghiere apparentemente inesaudite (dove era
Dio quando il suo popolo, Israele, era condotto alio sterminio?). E
quindi una coscienza formatasi dall’esperienza non soltanto della
reale sconfitta dell’uomo, ma anche dell’apparente sconfitta di Dio
stesso, della sconfitta cioe dell’uomo-Dio.
Il «Messia sconfitto» e quindi lo specchio della nostra epoca e dei
nostri cuori. Lo e in due sensi. In primo luogo, perche questa imma-
IL MESSIA SCONFITTO

gine rispecchia l’esperienza di tale duplice sconfitta, quella dell’uomo


e quella di Dio: perche Gesu Cristo e, in persona, l’unico vero uomo-
Dio. In secondo luogo, in quanto l’espressione tradisce la speranza,
sempre rinascente, che anche la dove gli occhi del cuore non vedono
che sconfitta, una qualche promessa di vittoria finale rimanga celata,
poiche 11 c’e Dio, e Dio in persona. Al punto che la predicazione del
«Messia sconfitto» potrebbe sembrare l’ultimo e quasi disperato sforzo
della nostra apologetica ad intra per scagionare Dio dal male che ci
circonda. Prima di dargli il suo congedo definitivo dal mondo, con-
cludendo con Nietzsche: «Dio e morto»? O prima di toccare il suo
piu intimo mistero, abbracciando la croce? E la questione alia quale
ora cercheremo di rispondere.

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La via delVumilta: Nativita e croce

Il mistero del Natale, doe di un nascere per morire, e il mistero


della croce, ossia di un morire per nascere, disegnano in chiaroscu-
ro l’arco della vita di Gesu, attraversata da parte a parte dal lumi-
noso e glorioso mistero della risurrezione che la sigilla. Nascita e
morte sono due misteri di assoluta nudita: quella del parto e quella
sulla croce. L’uomo muore nudo, senza armi ne bagagli, come pure
nasce nudo. Francesco d’Assisi, seguendo Gesu, lo cap! alia lettera,
sine glossa.
La nascita e un mistero di travaglio, vulnerability, donazione,
amore che si dischiude, luce interiore che dal seno verginale ri-
splende sul volto e trasfigura l’umanita di Gesu: povera, semplice,
luminosa chiarezza del presepe. La morte in croce (cfr Fil 2,8) e un
mistero di sofferenza, abbandono, sacrificio, amore che si nascon-
de1, tenebre di peccato che avvolgono l’umanita umiliata di Gesu:
cupa, complessa, fitta oscurita del Golgota.
Ne l’uno ne l’altro mistero cambiano il mondo; piu precisamen-
te, non cambiano «mondanamente» il mondo. Anzi, sin dall’inizio,
questo sara il principale argomento dei nostri fratelli maggiori ebrei
contro la messianicita di Gesu. Con il profeta di Nazaret i tempi
messianici non sembrano davvero arrivati. Guerre, carestie, violen-

1. Cfr Ignazio di Loyola, s., Esercizi spirituali, n. 196.


ARTICOLO

ze, oppressioni, forme di schiavitu, giochi di potere, condiziona-


menti psicologici, manipolazioni della vita (eutanasia dei minori),
disaggregazione delle famiglie, assuefazioni, disordini sessuali, de-
pressioni, per non parlare dei rivolgimenti naturali e cosmici, ac-
compagnano l’umanita dopo Cristo come prima di lui, al punto che
i segni preannunciatori del suo ritorno in gloria, enumerati nei di-
scorsi apocalittici dei Vangeli, si possono riconoscere in ogni epoca.
Questo argomento anti-messianico ferisce, perche, nonostante la
nostra apologetica ad extra, se ne riconosce la scandalosa parte di verita
che segretamente colpisce il credente. L’apparente impotenza di Dio,
nella storia del mondo e in quella dei singoli, sembra essere oggi il
primo vettore dell’agnosticismo scettico.
Sin dall’inizio, la Chiesa ha cercato di rispondervi, distinguendo,
420
tra gli oracoli dell’Antico Testamento, tra i detti del Vangelo e nella
vicenda di Gesii stesso, l’annuncio delle due venute: la prima nell’u-
milta della came crocifissa, la seconda nello splendore della carne glo-
rificata. Ma proprio la seconda sara la «sua» venuta, non la nostra: noi,
qui e ora, con la sua venuta intermedia nei nostri cuori, siamo i disce-
poli dell’umile Cristo della prima venuta, ormai glorificato.
Tra il punto alfa e il punto omega della sua vicenda terrestre,
Gesu salva con la sua presenza, con la sua luce, con il suo amore,
con la sua parola e con i suoi gesti di potenza. La sua vita narrata nei
Vangeli non obbedisce a un efficace piano di azione trasformatrice
del mondo. Lo indica sia la sua vita, nascosta fino a circa trent’an-
ni (cfr Lc 3,23) — una vita di lunghezza sproporzionata rispetto a
quella pubblica —, sia lo stile poco «produttivo» della sua vita pub-
blica, per il suo peculiare rapporto con il tempo — umanamente
lento, aperto ad avvenimenti improvvisi, come nei caso dell’epi-
sodio dell’emorroissa, che interrompe inaspettatamente l’urgente
incamminarsi verso la casa dove sta morendo la figlia di Giairo (cfr
Me 5,21-43) — e per il suo rapporto con lo spazio — umanamente
circoscritto: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute
della casa d’Israele» (Mt 15,24).
Gesu annuncia il Regno, non lo impone; chiama alia conversione,
non costringe; suscita la fede, non la produce. Non sfrutta l’ascenden-
te psicologico del maestro; non va contro la liberta dell’interlocutore,
anche se fosse per il bene della persona. Qui e in gioco la sua perfetta
IL MESSIA SCONFITTO

castita, che rispetta e sollecita la collaborazione della liberta umana:


«Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi»2.
La vita di Gesii si riassume nell’Eucaristia, in cui egli offre se stesso
volontariamente al Padre e agli uomini, per significare la scelta libera e
amorosa della via crucis salvifica. Questo e il segno della sua vera potenza,
immune da ogni costrizione estema. Gesu sconfigge realmente la mor-
te, non per il semplice fatto di morire, ma perche la accetta liberamente
e amorosamente per la salvezza degli uomini3. Cos'1 sconfigge il male,
proprio perche il suo e un modo di essere e di agire contrario a quello del
male, che si impone con la violenza, con la seduzione e con l’inganno,
come il serpente delle origini o il diavolo nel deserto (le tre tentazioni).
La leggenda del grande Inquisitore, nei Fratelli Karamazov di Do-
stoevskij, mette in scena l’irriducibile divario tra il messianismo mon-
dano — sia di destra, sia di sinistra — e quello di Gesu. Il primo sogna 421

ideologicamente un programma di riforma delle strutture politiche,


sociali ed economiche, per il bene del popolo e nel suo nome. Invece
Gesu, che «da ricco che era si e fatto povero per arricchirci con la sua
poverta» (2 Cor 8,9), si rivolge al cuore, alia relazione armonica con
Dio, con il prossimo e con se stesso, richiamando all’umile sequela.

La pazza logica della croce

La croce realizza il massimo capovolgimento della saggezza


mondana. Il suo legno, innanzitutto, interroga le nostre rappresen-
tazioni idolatriche di Dio, proiezioni analogiche dei nostri desideri
mondani di salvezza. Il «patire» per amore e il modo umano-divino
di «agire»: «Insultato, non rispondeva con insulti; maltrattato, non
minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giusti-
zia» (1 Pt 2,21).
Frantumando la nostra spontanea immagine di Dio, la croce
mette in crisi la nostra percezione dell’azione umana e della sua ef-
ficacia sociale e politica, concepita a sua volta a immagine e somi-
glianza della nostra rappresentazione di Dio. Rivela e sovverte lo
spirito del mondo, non solo e non tanto in cio che ha di cattivo —

2. Agostino d’Ippona, s., Sermo 169,11, 13: PL 38, 923.


3. Cfr Tommaso d’Aquino, s., Sum. Theol, III, q. 48.
ART ICOLO

questo va da se —, quanto, piu sottilmente, in cio che ha di piu gene-


roso, per cui l’uomo tante volte e pronto a sacrificare i propri simili,
fossero pure familiari o amici, alle cause nobili da lui abbracciate, o a
esercitare sugli altri l’ascendente psicologico sub specie boni.
Per l’ideologo le cause contano piu degli uomini; per Dio e il
contrario: contano piu gli uomini delle cause. Perche quando l’uo-
mo viene assoggettato a una causa, questa ha gia smesso di essere
nobile: si e mutata in idolatria, sinonimo di violenza, perche l’idolo
e sempre assetato di sangue. Questo drammatico ribaltamento pud
essere proprio la tentazione dei migliori, quella dell’Anticristo, de-
scritto dallo stesso Dostoevskij.
Infine, la croce rovescia la logica degli atteggiamenti che presie-
dono ai nostri rapporti umani, quando dispieghiamo tanta energia
422 nel convincere l’altro di aver sbagliato, invece di aspettare pazien-
temente che se ne accorga da solo. Gesu stesso, con i suoi ragiona-
menti, dibattiti, diatribe con i suoi avversari (scribi, farisei, dottori
della legge, sadducei, leviti, sommi sacerdoti), nonostante i nume-
rosi ed evidenti miracoli che accreditavano la sua parola, non sem-
brava aver convinto (quasi) nessuno. Secondo gli Atti degli Aposto-
li, che ci narrano l’ingresso di alcuni di questi avversari nella prima
comunita, questo invece accadde, almeno in parte, con la croce e la
risurrezione.
La croce manifesta la fecondita dell’umilta, della poverta, dell’ab-
bandono, dell’obbedienza, della dolcezza e della soavita, della pas-
sione nel suo duplice senso di passivita e di amore, che disarmano
ogni violenza. Non si vince il male con la semplice forza, ma con
la mitezza, che e la suprema forza. Questo era insito nell’immagine
dell’amo e dell’esca: un Gesu che, con la debolezza della sua carne, ha
ingannato il demonio, secondo una metafora cara a vari Padri della
Chiesa, per descrivere la salvezza in Cristo. S’inganna il male con il
bene, la menzogna con la verita, la morte con la vita, perche queste
sono due logiche tanto diametralmente opposte da non afferrarsi.
Da una parte, la Scrittura ci descrive metaforicamente la sorpresa
di Dio di fronte al peccato, come in Gen 3,9.11 («Dove sei?», disse Dio
ad Adamo; «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo?»), magnificamente
ripresa nei lamenti del Signore, il Venerdi Santo: «Popolo mio, che
male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta». Dio non
IL Ml•'SSI A SCOXFITTO

sembra comprendere il peccato. D’altra parte, il Maligno e sempre


ingannato dall’amore, perche non lo prevede, e non lo puo prevedere.

Unione ipostatica e croce, «mistero di alleanza»

Questo modo divino di operare la salvezza corrisponde alia logi-


ca divina dell’Incarnazione, manifestata nell’unione ipostatica. Dio
non salva con la (sola) potenza divina, anche se avrebbe potuto farlo
(tuttavia non l’ha scelto), ma attraverso la debolezza umana, che egli
ha fatto propria. Le tentazioni e la prova condivisa (cfr Eb 2,14-18),
il cammino dell’obbedienza (cfr Eb 5,8; Fil 2,8), la sofferenza voluta
per amore, la comunicazione della vita attraverso l’offerta del corpo
e del sangue, il dono della vita attraverso la morte sarebbero state
tutte cose impossibili a Dio, se non si fosse incarnato. 423

Questo e il senso profondo della riflessione sull’umanita «stru-


mento» o «sacramento» della divinita, a partire da Atanasio e Cirillo
di Alessandria fino a Karl Rahner, passando per Tommaso dAqui-
no. Questo conferma la perenne pertinenza del criterio di Calcedo-
nia (451), ossia del rispetto di Dio per l’uomo, «senza confusione ne
mutamento, senza divisione ne separazione»4, secondo l’immagine
biblica del roveto ardente5: «assumere senza consumare». Si pro-
lunga poi, nel concilio Costantinopolitano III (681), nell’intuizione
giusta del ditelismo e dienergismo6, perche la salvezza e «mistero di
alleanza»7, 8che comporta il rischio della liberta.
Percio, nell’affermazione Unus de Trinitate passus esf — con la
comunicazione degli idiomi che essa implica — e dawero racchiusa

4. Concilio di Calcedonia, Simbolo difede, in H. Denzinger - P. Huner-


mann (eds), Enchiridion Symbolorum, Bologna, Edb, 1995, n. 302 (d’ora in poi citato
con la sigla DH).
5. Cirillo di Alessandria, s., Quod unus sit Christus, 737 b-c; Leone Ma-
gno, s., Tomus ad Flavianum, in DH 294: «Sicut enim Deus non mutatur mise-
ratione, ita homo non consumitur dignitate» («Come Dio non viene mutato dalla
misericordia, l’uomo non e annullato dalla dignita»); Giovanni Damasceno, s., De
fide orthodoxa, III, 3 = 47 b (aggiunta dei manoscritti M e N, SC 540, 29).
6. Concilio di Costantinopoli III, cfr DH 556-558.
7. J. Galot, La Redemption, mystere d’alliance, Paris, Desclee de Brouwer, 1965.
8. Concilio di Costantinopoli II, X anatematismo, cfr DH 432; cfr Ci-
rillo di Alessandria, s., Ill lettera a Nestorio, XII anatematismo, in Conciliorum
(Ecumenicorum Decreta, Bologna, Edb, 2002, 61: «Se qualcuno non confessa che il
ARTICOLO

«tutta la verita, l’unica verita del cristianesimo»9: il mistero di Dio e


dell’uomo accomunati nella sofferenza, per essere accomunati nella
gloria10. Cio rappresenta il cuore del mistero di Dio rivelato in Gesu
Cristo: Dio e amore, ossia e Trinita di amore. La caratteristica dell’a-
more, come suprema bonta, e di comunicarsi agli altri11, unendo cio
che distingue, distinguendo cio che unisce. La caratteristica dell’a-
mante e di patire la liberta dell’amato, fino a soffrire che «l’amore non
sia amato» (Francesco d’Assisi), sperando che, confuso da tanto amore,
l’amato ricambi l’amore, patendo a sua volta la liberta dell’amante.

Silenzio e contemplazione: primato di Dio e dell’uomo

La logica della croce dovrebbe ispirare il pensare, il dire e l’agire


424
umano, subordinando il pensare alia contemplazione, il parlare al
silenzio, l’agire alia mozione interiore. In tutti e tre i casi e in gioco
il primato di Dio e dell’uomo sull’ideologia, sul discorso, sull’azione.
La logica della croce ci garantisce contro l’attivismo ideologico,
ossia contro la surrettizia tentazione di pensare che potremmo com-
piere noi cio che lo stesso Salvatore non ha realizzato. Mentre, in re-
alta, la logica della croce ci indica che non si lotta direttamente contro
il male con le sue stesse armi, nemmeno con l’intenzione — buona in
se, eppure sbagliata — di toglierlo dal mondo, che e il suo unico luogo
proprio: come uno che sognasse di strappare tutte le erbe cattive che
crescono tra i sampietrini delle strade romane, o di pulire la sua casa
fino all’ultimo granello di polvere, secondo l’immagine di Bernanos.
Questo e stato l’errore dei catari, delle utopie ideologiche, delle
«cause» religiose o mondane anche giuste — per la giustizia, per
gli oppressi, per i poveri —, alle quali, se occorre, si sacrificano gli
uomini sotto apparenza di bene. La storia, prima o poi, — spe-
cialmente quella del secolo scorso — ci insegna che queste utopie

Verbo di Dio ha sofferto nella carne, e stato crocifisso nella carne, ha assaporato la
morte nella carne (Eb 2,9), ed e divenuto il primogenito dei morti (Col 1,18; Ap 1,5),
perche come Dio e vita e da la vita, sia anatema».
9. K. Rahner, «Problemi di cristologia oggi», in Id., Saggi di cristologia e di
mariologia, Roma, Paoline, 1967, 52.
10. Cfr Ignazio di Loyola, s., Esercizi spiritual/, n. 95.
11. Cfr Tommaso d’Aquino, s., Sum. Theol., III, q. 1, a. 1.
IL MESSIA SCONFI'I'TO

falliscono e lasciano delusi i loro propugnatori, schiacciate e morte


le loro vittime. I santi resistono a tali tentazioni: cercano di lavorare
con Dio, mossi dalla sua grazia, dalla loro conversione, chiamando
poi altri a seguire una strada simile.
Offrire il proprio cuore, le proprie tenebre all’azione dello Spirito
Santo, lasciarsi convertire dal di dentro per la nostra umile missione, per
la porzione di vigna in cui il Signore ci ha collocati, questo e il miglior
servizio che possiamo rendere a Gesu, al Vangelo e agli altri. «Fiorisci
dove sei piantato», avrebbe detto Francesco di Sales. Il mondo ha bisogno
di discepoli che saranno tanto piu apostoli di Cristo e araldi del suo Van-
gelo quanto piu saranno contemplativi e mistici.
Nella nona regola della modestia, sant’Ignazio di Loyola descrive cosi
il camminare del gesuita: «L’andare sia senza notevole fretta, piuttosto
moderato, se la necessita non fosse urgente»12. Dietro la decenza dell’an- 425

datura si puo scorgere il desiderio di una relazione ordinata al tempo e


all’agire, che affondi le proprie radici nell’atteggiamento di Gesu stesso
e che ci premunisca dalla presunzione dell’azione, invitandoci a lasciare
un «gioco di inefficienza» nella nostra vita. Il mondo e gia salvato, e non
siamo noi i salvatori del mondo.
Quasi un secolo dopo, il p. Louis Lallemant, con la sua Dottrina spi-
rituale, raggiunse uno dei vertici contemplativi della tradizione mistica
ignaziana. Egli e stato anche maestro dei novizi e istruttore del Terzo
anno di probazione (cioe l’ultimo anno di formazione religiosa) dei mis-
sionari gesuiti della Nuova Francia, molti dei quali sono stati martiri. Ai
piedi della croce, «teologia in ginocchio» e missione apostolica si richia-
mano a vicenda, ognuna secondo la propria vocazione.
Questo contrasta con il fallimento delle ideologic che hanno seel-
to il cammino opposto, anche se gli uomini vogliono sempre conti-
nuare a crederci, nonostante tutte le smentite della storia. Cercandone
il lato positivo, si puo scorgere in questo continuo rinascere della spe-
ranza (I’espoir) la nostalgia di qualche paradiso perduto e il desiderio
ardente della patria beata (I’esperance). Visto dal suo lato negativo, do
porta a innumerevoli nuove delusioni, inquietudini e agitazioni. Solo
l’atto di fiducioso abbandono nell’agire quotidiano da la vera pace

12. Ignazio di Loyola, s., «Reglas de la modestia», in Obras de San Ignacio de


Loyola, Madrid, Bac, 1997, 694.
ARTICOLO

all’anima, quella che scaturisce dalla croce. Cio suppone non vivere
piu in fimzione di cio che sarebbe buono o giusto in se, ossia delle
ideologic, ma in fimzione della mozione interiore dello Spirito Santo.
Questo riassume la vita spiritual come vita nello Spirito, secondo
lo stesso Lallemant. Di la nasce la possibility, nella Chiesa come nella
citta, di un governo veramente spirituale, non ideologico o politico. Ma
quanto e veramente e personalmente presente Dio nella nostra vita quo-
tidiana di battezzati? Quanti di noi sono realmente pronti a vivere «al
ritmo della sua grazia»13, o semplicemente capaci di capire che in questo
consiste la vita cristiana (vita in Cristo, nello Spirito, presso il Padre)?

«Valle di lacrime» e patria beata


426
11 Quarto Vangelo ha messo in luce quanto il mistero della cro-
ce sia un mistero kenotico di esaltazione, che orienta lo sguardo
credente verso la risurrezione del Crocifisso e la sua ascensione, con
le cicatrici della passione, alia destra del Padre. L’Ascensione e un
«sublime» mistero14 di infinita apertura e allargamento dell’orizzon-
te umano. Il dono dello Spirito nella Pentecoste, che conferisce la
liberta interiore che dilata il cuore, vi corrisponde.
L’Ascensione invita l’uomo del XXI secolo a ritrovare il senso
della vita eterna e dell’articolazione tra la vita presente («valle di la-
crime», per colui che languisce sotto il giogo) e la vita futura, che il
XX secolo aveva forse, per qualche tempo, occultato. Non ci siamo
forse lasciati turbare troppo dalle critiche di Nietzsche o da quelle
di Marx, presi dal timore che la considerazione del nostro destino
eterno ci sottraesse alle nostre responsabilita terrestri?
Il «vedere, giudicare e agire» di Joseph Cardijn, fondatore della
Gioventii operaia cristiana, e giusto, se parte da un «vedere interiore*,
che sa scorgere la presenza di Dio nei cuori e negli avvenimenti del-
la storia15, i quali allora diventano veri «segni dei tempi*. Altrimenti,
rischia di essere un vedere cieco e, in quanto punto di partenza, di
corrompere sia il giudizio sia l’azione.

13. Cfr A. Louf, Au gre de sa grace, Paris, Desclee de Brouwer, 1989.


14. Bonaventura da Bagnoregio, s., Lignum Vitae, 37-40.
15. Cfr Ignazio di Loyola, Esercizi spirituals nn. 230-237 (Contemplatio ad
amorem).
IL MESSIA SCONFITTO

Lo sguardo su Dio, sulla beatitudine finale, da una parte ci libe-


ra dall’ansieta deludente del fare, e dall’altra ci permette di abbrac-
ciare la logica della croce in un agire sereno. La citta degli uomini
si costruisce meglio quando si ha lo sguardo rivolto all’incontro con
Dio. «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i
costruttori» (Sal 127,1). In questa conversione che va dall’urgente
effimero alfessenziale perenne e dall’ansia dei risultati immediati
alia raccolta dei frutti nel tempo opportuno, ossia dall’efficacia alia
fecondita, ci aiuta la vita contemplativa: il suo e un ruolo benefican-
te sia per tutta la societa umana, sia per il corpo ecclesiale tentato
dall’attivismo.
Allora questo atteggiamento spirituale permette all’umanita di
raggiungere la via piu alta, quella della contemplazione attiva, o
«contemplazione in azione» (J. Nadal): via piu alta non tanto in se16, 427

ma semplicemente perche e stata quella di Gesu e degli apostoli,


secondo il racconto evangelico.

Dalla ribellione alVazione di grazie

Questo primato dato a Dio come fonte, presenza e orizzonte del


nostro itinerario ci consente di passare, alia luce della beata croce,
dalla ribellione all’azione di grazie. Come gli israeliti a Massa e Me-
riba (cfr Es 17,7), anche noi sempre ci ribelliamo contro la realta che,
invece di piegarsi ai nostri desideri anche giusti, santi, rettamente
ordinati, ci oppone resistenza. Brontoliamo contro il nostro corpo,
la sua salute debole o la sua bellezza insufficiente. Ci lagniamo del
nostro carattere, dei nostri limiti intellettuali o condizionamenti
psichici, degli atavismi ereditati dalla nostra famiglia o dal nostro
ambiente. Ci rammarichiamo del gioco contrario delle liberta al-
trui, della «sorte» che non ci ha risparmiato, della nostra storia, con
le sue occasioni mancate e con le conseguenze dannose delle nostre
scelte sbagliate.

16. Cfr Tommaso d’Aquino, s., Sum. TheoL, II-II, q. 188, a. 6: «La vita attiva
che deriva dalla pienezza della contemplazione, come accade per l’insegnamento
e la predicazione, [...] e preferibile alia sola contemplazione. Com’e maggior cosa
illuminare che brillare soltanto, cosi e preferibile trasmettere agli altri do che si e
contemplato piuttosto che contemplare soltanto».
ARTICOLO

Recriminiamo contro il nostro lavoro o missione, protestiamo


per la mancanza di riconoscimento, per il non sentirci amati. Ci
lamentiamo delle nostre debolezze, infedelta, peccati. Mormoriamo
per i desideri falliti, le preghiere inesaudite, la «notte interiore» o
l’abbandono del Signore. In tutto questo, ci ribelliamo contro Dio,
accusato di essere responsabile, in un modo o nell’altro, di cio che
siamo e di cio che accade nella nostra vita. Il mormorare e il ribel-
larci, con l’invidia relativa, e il peccato fondamentale, quello che ci
accomuna al peccato angelico.
La conversione alia quale ci conduce il «Messia sconfitto» consi-
ste nell’acconsentire alia realta («la cosa piu difficile», avrebbe detto
Francesco d’Assisi), di cui Dio si serve come materia del suo dise-
gno, e di entrare nell’azione di grazie (eucaristia) per tutto il nostro
428 vissuto. Da ribelli siamo chiamati a diventare figli: rendimento di
grazie e filiazione sono gemelli. Gesu stesso e stato apparentemente
sconfitto nelle sue attese (la venuta imminente del Regno, la con-
versione dei cuori), nella sua capacita di avvicinare a Dio (l’oppo-
sizione delle autorita), nel suo dono di attrarre le folle al Padre (la
crisi in Galilea) o di suscitare fedelta nei discepoli (le ambiguita e
l’abbandono degli apostoli, il rinnegamento di Pietro, il tradimento
di Giuda).
I Vangeli mostrano che piu volte Gesu sembra cambiare strate-
gia apostolica. Innanzitutto, egli dovette «indurire la sua faccia» per
salire a Gerusalemme (Lc 9,51). Gesu — dice Tommaso d’Aquino —
consent! con la sua volonta razionale deliberativa alia passione, alia
quale si opponeva non soltanto la sua volonta sensibile, ma anche
la sua volonta razionale naturale17. Fu soggetto della lotta suprema
dell’agonia e del cammino della croce, quando lo awolse l’oscurita
del peccato e della sofferenza.
Lo stesso e accaduto per i discepoli, chiamati ad accettare il fatto
che la vittoria finale — gia acquisita da Cristo — passasse attraverso la
sconfitta immediata, ossia che la vittoria giungesse alia sua pienezza
— il Christus totus: il capo e il corpo — sottomettendosi al tempo e
al gioco delle liberta ferite degli uomini. Il Messia sconfitto ci invita
a vivere con speranza tutte le sconfitte della nostra vita, comprese

17. Ivi, III, q. 18, a. 3-6; cfr q. 21, a. 2-4.


IL MESSIA SCONFITTO

quelle con Dio, le esperienze di abbandono, le notti dei sensi o dello


spirito... Allora «la nube tenebrosa» della nostra vita diviene la nube
oscuro-luminosa, che «illuminava la notte» (Es 14,20).

Penultima e ultima parola

11 «Messia sconfitto» sulla croce e stato la penultima parola del Pa-


dre, pronunciata nel silenzio rappresentabile dell’abbandono (Vener-
d'1 Santo), prolungato nell’abisso irrappresentabile della discesa agli
inferi (Sabato Santo). L’ultima parola e stata la risurrezione: «Morte
e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. 11 Signore della vita
era morto; ma ora, vivo, regna»18. Con l’Ascensione e la Pentecoste,
ora essa si estende senza confini fino al ritorno glorioso dell’umile
429
Cristo19.11 centro di bonta e disceso nelle «periferie» esistenziali del
male, prima di risalire e di sedere con le sue gloriose stimmate alia
destra del Padre.«Cristo non e venuto per sopprimere la sofferenza,
ancora meno per spiegarla: e venuto per riempirla della sua presen-
za», avrebbe detto Paul Claudel.
11 Pantocrator maestoso dei mosaici antichi non va respinto: come
nell’episodio della Trasfigurazione per i discepoli, cos'1 egli anticipa
iconograficamente, agli occhi stanchi di tanti Simone di Cirene, la
vittoria finale che da senso al loro cammino di croce. Allora la croce
appare come «l’unica vera scala del paradiso»20, e con il salmista pos-
siamo pregare: «Per me la sorte e caduta su luoghi deliziosi, la mia
eredita e magnifica» (Sal 16,4-6).

18. Sequenza di Pasqua Victimae paschali laudes: «Mors et vita duello conflixe-
re mirando: dux vitae mortuus regnat vivus».
19. Agostino d’Ippona, s., Confessioni, VII, 24: «Non ero ancora abbastanza
umile per capire il mio Dio Gesu umile».
20. Rosa da Lima, s., «Al medico Castillo», in La Patrona de America, a cura
di L. Getino, Madrid, 1928, 54.
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