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Pietro Bembo

Nato a Venezia nel 1470, con una buona educazione in ambito letterario e filosofico. Da piccolo, grazie al
lavoro del padre, viaggiò molto, e in questi viaggi e nelle relazioni con scrittori e gentiluomini egli definì
sempre meglio la sua vocazione di scrittore e filologo, sia latino sia volgare. La sua vita fu animata da amori
forti, ma segreti, o rischiosi. La sua opera giovanile più famosa è un dialogo d’amore, gli Asolani, tre libri in
prosa, ambientati ad Asolo. Lo sfondo mondano del dialogo si ispira all’elegante conversazione della brigata
del Decameron, e dal punto di vista linguistico cerca di ricalcare la prosa del Boccaccio. Dal nuovo papa
Leona X, Bembo riceve la carica di datario dei Brevi, così entrò nella carriera ecclesiastica. Portò a termine
le prose della volgar lingua, nel 1524 e fu stampato a Venezia nel 1525. Costituita da un dialogo di 3 libri,
tra Carlo, Giuliano de’Medici, Federico Fregoso ed Ercole Strozzi, i quali discutono esprimendo punti di vista
diversi sulla natura della perfetta lingua da usare nelle scritture volgari. L’autore afferma la superiorità del
fiorentino dei grandi scrittori del Trecento, escludendo Dante, la cui lingua appare troppo piena di elementi
umili, sceglie Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. Questa lingua serve come modello assoluto
che permetta di sottrarre le scritture contemporanee alla minaccia del tempo e conferisca come valore
stabile. Il rifiuto radicale di Bembo dei tentativi di sperimentazione letteraria volgare si afferma attraverso
l’ideale di un classicismo moderno, in questo ideale si sente l’influenza della diffusione della stampa. Le
qualità essenziali di questa lingua sono 2, la gravità e la piacevolezza. La forma letteraria che più interessa
Bembo è la lirica. Il trionfo del suo classicismo garantisce alla nuova lingua italiana una continuità con quella
dei primi secoli.

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