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LE GUERRE D'INDIPENDENZA

Prima guerra d'Indipendenza 1848 - 1849


Genn. '48: un'insurrezione nel Regno delle Due Sicilie porta alla concessione di una Costituzione presto seguita dagli
altri Stati.
I moti del '48 a Vienna provocano l'insurrezione di Venezia e di Milano (Cinque giornate, 18-23 mar. 1848).
Carlo Alberto interviene contro l'Austria,: Prima Guerra d'Indipendenza. Strategia incerta: dapprima si schierano con
lui Stato della Chiesa, Toscana e Regno delle Due Sicilie, poi intimoriti dall'Austria e contrari a incrementare la potenza
piemontese, si ritirano.
Carlo Alberto da solo, in un primo momento vince, poi perde a Custoza (presso Verona).
I democratici e i mazziniani riprendono la guida della lotta nazionale. Roma insorge e il papa PioIX è costretto alla fuga
e si forma la Repubblica romana. Lo stesso accade in Toscana. Ma la situazione nazionale e internazionale non è
favorevole al successo dell'iniziativa democratica. Carlo Alberto riprende le ostilità, ma viene definitivamente sconfitto
a Novara: il re abdica in favore del figlio Vittorio Emanuele II (1849-1878).
Le città italiane che si erano liberate, cadono.
La rivoluzione del 1848 segna una svolta profonda nella storia italiana: dal fallimento dei moti rivoluzionari guidati
dalle forze democratiche, infatti, prende le mosse una nuova stagione segnata dalla centralità della politica
piemontese e dal protagonismo di Camillo Benso conte di Cavour.

1850 - 1858
Si afferma, quindi, la figura dello statista Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861) in Piemonte. È un moderato
che difende borghesia e aristocrazia, contro la democrazia. Punta all'unificazione d'Italia per favorirne lo sviluppo
socio-economico con la modernizzazione dell'agricoltura e lo sviluppo dell'industria tessile, meccanica e siderurgica;
viene migliorato il sistema finanziario e potenziata la rete ferroviaria.
Cavour cerca di inserirsi nel gioco diplomatico europeo per ottenere le alleanze e le neutralità necessarie ad avere la
meglio sulla più potente Austria. Nella guerra di Crimea tra inglesi e francesi contro i russi, egli invia un corpo di
spedizione piemontese per portare alla luce il problema italiano al congresso di pace di Parigi (1856).

Seconda guerra d'Indipendenza 1858 - 1861


La seconda Guerra d'Indipendenza scoppia il 26 mar. 1859, dopo gli accordi segreti di Plombières tra Piemonte e
Francia, nei quali Napoleone III si impegna ad entrare in guerra al fianco del Piemonte nel caso quest'ultimo fosse
attaccato dall'Austria. Vittorie a Magenta, San Martino e Solferino.
La situazione risulta subito favorevole ai franco-piemontesi, ma Napoleone III firma con gli austriaci l'armistizio di
Villafranca (1859) in base al quale l'Austria cede la Lombardia alla Francia, che a sua volta la dona al regno di
Sardegna.
In Toscana, Parma, Modena e i domini pontifici insorgono e decidono, con un plebiscito, l'annessione al Piemonte.
Spedizione dei Mille. Progettata dal Partito d'Azione è affidata a Garibaldi. 1860: sbarco a Marsala dove l'esercito
garibaldino sconfigge le truppe borboniche. Battaglia di Milazzo. L'isola è liberata. 7 sett.: Garibaldi a Napoli.
La Sicilia, tutto il mezzogiorno, le Marche e l'Umbria votano l'annessione al Regno di Sardegna. Tuttavia nascono
contrasti con il Piemonte per i timori di Cavour che nelle terre liberate venga indetta la repubblica. Nello storico
incontro di Teano, Garibaldi consegna il potere al re piemontese.
17 mar. 1861: il parlamento nazionale acclama Vittorio Emanuele II re d'Italia.
Il Regno di Sardegna, in sostanza, procedeva all'annessione di tutte le tessere del "mosaico" italiano, estendendo ad
esso la sua legislazione, le sue strutture di governo, la sua burocrazia e il suo esercito.

Terza guerra d'Indipendenza 1866 - 1871


Per completare l’unità d’Italia (mancava il Veneto e Roma) è necessario trovare nuovi alleati. In quegli anni il Regno di
Prussia aspira a diventare la principale potenza del mondo germanico. Entra quindi in contrasto con l’Austria.
Nell’aprile del 1866 Italia e Prussia stipulano un trattato che prevede la guerra contro l’Austria. L’Italia avrebbe
ottenuto in cambio il Veneto.
Poco dopo, nel giugno del 1866, la Prussia attacca l’Austria, e subito l’Italia si schiera al suo fianco: inizia così la Terza
guerra d’indipendenza. L’esercito italiano è numerosissimo, ma male armato e poco organizzato.
A Custoza è duramente sconfitto. Il governo italiano cerca di rifarsi della brutta figura, e vuole ingaggiare una battaglia
navale a Lissa, un’isola di fronte alla Dalmazia, nel mare Adriatico. La flotta italiana, benché superiore come mezzi,
subisce gravi perdite e due grandi corazzate vengono affondate.
Solo Garibaldi riesce a tenere alto l’onore italiano. Dopo aver battuto gli Austriaci a Bezzecca (Trentino), si dirige verso
Trento. Ma nell’agosto del 1866 viene firmata la pace, e Garibaldi riceve l’ordine di fermarsi. A quest’ordine Garibaldi,
per nulla d’accordo, risponde con un celebre telegramma di una sola parola: “Obbedisco”. In base agli accordi stabiliti
in precedenza, l’Austria è costretta a cedere il Veneto all’Italia.
Trento e Trieste restano però all’Austria.
Particolarmente sentita è la questione romana: cioè il problema che riguarda l’annessione di Roma all’Italia. La città è
considerata la naturale capitale d’Italia. Ma i cattolici sono contrari ad un attacco allo Stato pontificio.
Soprattutto Napoleone III non vuole dispiacere ai cattolici francesi, e si è impegnato fin dal 1849 a difendere la sede
papale. Il governo italiano deve per forza adeguarsi all’imposizione del suo principale alleato. Nel 1864 viene stipulata
con la Francia la Convenzione di settembre, un trattato in base al quale l’Italia rinuncia ad ogni pretesa su Roma. Per
dimostrare di aver accettato definitivamente questa situazione, il governo decide anche di spostare la capitale del regno
da Torino a Firenze.
La conquista di Roma è sostenuta, però, con particolare energia da Giuseppe Garibaldi. Questi ha un enorme seguito
fra le masse popolari: il suo motto è: "O Roma, o morte!" I volontari garibaldini tentano più volte di entrare in Roma.
Nel 1862 sono bloccati dall’esercito italiano mentre si organizzano in Aspromonte. Nel 1867 l’armata francese
interviene direttamente per respingere un nuovo attacco.
Per Roma la soluzione viene dalla mutata situazione internazionale. Nel 1870 scoppia la guerra franco-prussiana, e la
vittoria tedesca porta al crollo dell’Impero di Napoleone III. Ne approfitta il governo italiano, che si sente libero di
agire.
Il 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani entrano in Roma e la occupano dopo brevissimi combattimenti. Dopo circa 12
secoli, lo Stato della Chiesa non esiste più. Pio IX si rifugia nei Palazzi Vaticani e dichiara di essere prigioniero.
Pochi mesi dopo, nel 1871 Roma è proclamata capitale d’Italia. Nel maggio dello stesso anno il Parlamento
italiano vota una legge che regola il rapporto tra Stato e Chiesa. Questa legge, detta legge delle guarentigie, cioè delle
garanzie, stabilisce:
- l’assegnazione al Papa dei palazzi del Vaticano e del Laterano, oltre ad alcune residenze nei dintorni di Roma. A
questi edifici viene riconosciuta l’extraterritorialità. Formano cioè uno Stato indipendente, la Città del
Vaticano, di cui il Papa è il capo;
- l’impegno da parte dello Stato italiano a versare ogni anno una somma di denaro adeguata al mantenimento
della Città del Vaticano;
- il riconoscimento per la Chiesa cattolica dell’assoluta libertà di organizzazione e di propaganda all’interno dello
Stato italiano.
Ma il Papa rifiuta il riconoscimento dello Stato italiano, e quindi della legge delle guarentigie. Ribadisce d’essere
prigioniero in Vaticano, scomunica il Re, il governo italiano e vieta ai cattolici di partecipare all’attività politica
nazionale. Persino di andare a votare.
Da quel momento, per circa cinquant’anni, i cattolici sono impegnati soprattutto in attività culturali o sociali, in aiuto
dei più poveri. Bisognerà attendere il 1919 prima di veder nascere un partito cattolico.
In conclusione
Il Risorgimento nazionale fu la sintesi di molteplici spinte:
​ l'iniziativa piemontese
​ la strategia diplomatica di Cavour
​ la pressione democratica e mazziniana
​ ma anche l'influenza esercitata dalle potenze straniere – soprattutto dalla Francia – sugli equilibri interni della
penisola
​ e il peso che le vicende politiche europee ebbero sullo sviluppo degli avvenimenti italiani.

Mondadori: Le basi della storia; vol 2

Il Risorgimento, una "rivoluzione fallita"?

Vari autori e personaggi politici hanno dato luogo a diverse letture circa il fenomeno dell'unificazione italiana, spesso
con prospettive ed esito differente, ma accomunate dall'essere alternative rispetto a quelle della storiografia
risorgimentale consolidata. Le reinterpretazioni degli eventi non hanno un'unica origine e si muovono lungo diversi
filoni di ricerca. La messa in discussione degli assunti della storiografia risorgimentale proviene sia da una parte ristretta
del mondo accademico, sia da diversi studiosi indipendenti, tra cui numerosi saggisti, che hanno riesaminato tale
periodo secondo molteplici approcci interpretativi.

All'indomani dell'unificazione prevalse una ricostruzione storica "conciliante".


Nasce il "mito" del Risorgimento, tendente ad unire i protagonisti: Mazzini, Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II che
si fissarono nella memoria collettiva grazie ad opere letterarie e monumentali.
Ma, alla fine dell'Ottocento, il periodo risorgimentale venne "ripensato" e analizzato più criticamente da diversi
intellettuali.
​ Per gli storici fascisti e nazionalisti, il Risorgimento portò alla costruzione di uno stato unitario terminato con
l'avvento di Mussolini
​ Per il filosofo Benedetto Croce, ha favorito i valori laici e di libertà contro il regime dittatoriale.
​ Piero Gobetti, intellettuali perseguitato dai fascisti, afferma nell'incipit del saggio "Risorgimento senza eroi":
"Il Risorgimento italiano è ricordato nei suoi eroi. In questo libro mi propongo di guardare il Risorgimento
contro luce, nelle piú oscure aspirazioni, nei piú insolubili problemi, nelle piú disperate speranze:
Risorgimento senza eroi. Il dramma del Risorgimento è nei tormenti della sua preparazione e della sua
mancata preparazione." egli afferma ciò in quanto sottolinea l'aspetto di "rivoluzione fallita" poiché il popolo
non ne era stato coinvolto.
​ Antonio Gramsci, fondatore del Partito comunista italiano nei "Quaderni del carcere", sostiene che non venne
debitamente affrontata la "questione agraria" e non definì sufficientemente il problema tra proprietari terrieri e
contadini nell'Italia meridionale.
Odiernamente si tende a considerare il Risorgimento come un avvenimento che ha comunque coinvolto persone di
estrazione e orientamento diverso.
G. Pecout (storico francese) nel suo libro Il lungo Risorgimento: la nascita dell'Italia contemporanea afferma: "...La
rivoluzione nazionale rappresenterebbe... l'incontro, o lo scontro, fra una rivoluzione popolare e una imposta dall'alto;
ed è evidentemente quest'ultima che finisce per prevalere....ma questi due Risorgimenti...non sono sempre così
distinti.....L'unità è il risultato di un'evoluzione ideologica, sociale ed economica iniziata con i Lumi e accelerata dai
moti europei del '48, o non rappresenta invece che il prodotto di circostanze abilmente sfruttate da uomini come il re di
Sardegna, Cavour e gli appartenenti alla sua cerchia a partire dal 1859? Evidentemente la verità sta un pò dappertutto...
"

Mondadori: Le basi della storia; vol 2

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