Redazione
Gina Cafaro, Esther Celiberti, Milica Marinković, Domenico Mezzina, Domenico Ribatti,
Sara Ricci, Salvatore Ritrovato, Marilena Squicciarini (segretaria), Carmine Tedeschi
In copertina: Teo de Palma, Labile come pallidi sogni, acquerelli, colori vegetali, matita,
tempera, cm 17x24, 2016.
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ISBN 9788867172504
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Finito di stampare nel mese di giugno 2016 presso Grafica 080 per conto di Mario Adda Editore - Bari
Sommario
Editoriale 5
incroci 33
a cura di Curtis Dean Smith e Barbara Carle
con opere originali di Teo de Palma 7
Idilli di Milano
poesie di Andrea Genovese 21
Miniature
quattro racconti brevi di Ülar Ploom 39
Danza e labirinto
una riflessione di Esther Celiberti 84
Recensioni
Il mito è un fenomeno sempre presente nella letteratura e nell’arte in generale. Oggi, più che mai,
viviamo il mito del labirinto ormai staccato dal suo contesto religioso. Vivendo in uno spazio
labirintico, non è facile trovare una via d’uscita. Come abbordare il mitologico in un testo se la
sua presenza si dimostra troppo evidente? Come collegare uno dei più antichi miti greci con la
letteratura contemporanea e i suoi eroi? Facendosi guidare dalla storia di Teseo come filo rosso,
risponde a questi quesiti Milica Marinković, dottoranda in Francesistica presso il Dipartimento
di Lettere Lingue Arti dell’Università degli Studi di Bari che si occupa del sacro e del mitologico
nelle letterature francofone.
incroci 33
dalla sua potenza sacra, esaltata dagli accadimenti che ricordiamo e che riattualizziamo»1.
Quindi, il mito è un corpo vivo che si trasforma da una realtà all’altra e che viaggia
con l’umanità. Se i grandi miti resistono a tutti i momenti della storia, è perché si tratta
dei veri capolavori della civiltà umana. Ecco perché loro, insieme a tutti gli adattamenti,
rappresentano un’eterna fonte d’ispirazione nell’arte e nella letteratura. Perché il mito è
un perfetto legame tra ogni domanda e ogni risposta, tra il sacro e il profano, tra l’arte e la
scienza, tra l’invenzione e la pratica; è un fenomeno che riesce a sopravvivere nonostante
i millenni passati dalla sua nascita ai giorni nostri e merita sempre di essere osservato e
riattualizzato. Perché, in fin dei conti, a noi il mito piace. È un gioco accattivante che in
maniera più semplice possibile spiega gli avvenimenti più complessi. Come, del resto, la
creazione del mondo. E poi, sicuramente è più affascinante credere che, ad esempio, la
causa dei terremoti stia nell’ira di un dio, piuttosto che nelle onde sismiche. Аnche quan-
do le verità che il mito ci offre possono sembrare effettivamente primitive e infantili, noi
siamo incuriositi e ci piace conoscerle.
La presenza del mito e del mitologico nella letteratura e nell’arte in generale non è
difficile da notare. Il problema che si pone è, soprattutto, come abbordarla. Ovviamente,
la sola presenza del mito in un testo letterario non basta per definire mitologico quel
dato testo. E poi, la stessa presenza rappresenta soltanto una delle possibilità dell’analisi
incroci 33
testuale, dato che in ogni testo più testi funzionano, come ci insegna Pierre Brunel, uno
dei più grandi mitocritici. In effetti, un testo nel quale la presenza del mito e del sacro
è evidente può essere interpretato in maniera mitocritica, ovvero cercando le immagini
sociali e culturali del mito, o in maniera mitanalitica, che si avvicina al modello psicanali-
tico, il campo scientifico che si è avvalso tanto dei miti classici. L’analisi testuale dipende
anche dalla natura del mito osservato, il quale può essere etnologico, patrimonio culturale
di un popolo o di una collettività, o letterario, nato nella letteratura stessa, soprattutto
con i suoi eroi, ad esempio con quelli di Don Giovanni, Tristano, Don Chisciotte, Faust
e altri. Infine, il solo testo analizzato può essere mitico – se racconta un mito – oppure
mitologico – se riprende un certo mito e lo riattualizza. Naturalmente, un romanzo non
deve necessariamente appartenere a una delle due categorie presentate, nonostante uno
o più elementi mitologici siano evidenti al suo interno, poiché il mito può essere ripreso
soltanto per allusioni.
Comunque sia, è ben noto che i miti sono delle storie sempre presenti nel nostro
immaginario, i miti sono sempre contemporanei. Tuttavia sembra che ogni tanto un mito
specifico diventi più valorizzato rispetto ad altri e si riattualizzi. È quello che succede col
mito del labirinto, con quella famosa storia sulla ricerca, ovvero sulla quête, che può essere
avvistata in qualsiasi contesto. In effetti, cercare la presenza di un mito si presta già come
una ricerca. E i miti della ricerca sono tanti. La ricerca, la quête, ormai è un archetipo let-
terario che si trova nella letteratura sotto vari aspetti: come la ricerca del ‘santo graal’, come
la ricerca del vello d’oro di Giasone e degli Argonauti, oppure come i viaggi di Ulisse.
1
M. Eliade, Aspects du mythe, Gallimard, Paris 1963, pp. 32-33. La traduzione è a cura dell’autrice.
70 Milica Marinković
Ogni ricerca è innanzitutto un viaggio, un’avventura. E ogni vita è una ricerca, un viaggio.
Altrimenti non sarebbe una vita vissuta. Durante questo viaggio corriamo tanti pericoli, ci
confrontiamo con diverse minacce e sfide, rischiamo. Non si tratta mai di una linea retta,
di un viaggio tranquillo, non abbiamo dei compagni sempre buoni e fedeli. E solo alla fine
arriviamo al centro di questo piccolo labirinto, dove il nostro Minotauro non sarà tanto
pericoloso, ma ciò non significa che esso non sia importante. Il labirinto inteso come una
ricerca è anche una ricerca intesa come uno studio scientifico.
In questo lavoro presenteremo gli esiti di una ricerca su un corpus letterario costituito
principalmente dai romanzi di Anne Hébert, una delle più famose scrittrici del Québec.
Dato che l’autrice non ha mai accettato di rinchiudersi all’interno della sua comunità –
già una forma del labirinto – la sua opera ottiene un valore universale. In effetti, i risultati
della ricerca possono interessare non solo gli studiosi dell’opera di Anne Hébert o della
letteratura quebecchese, bensì tutti coloro che si interessano al mito e al sacro nella lette-
ratura. Osare entrare nei labirinti di uno scrittore significa anche voler uscire dal nostro
labirinto personale. Così una ricerca diventa doppia. Con una ricerca testuale cerchiamo
l’uscita di una ricerca esistenziale.
Il motivo del labirinto non appartiene solo al passato. Al contrario, sembra che esso
non sia mai stato così attuale. Basti pensare alle trasformazioni del mondo d’oggi, alla
incroci 33
confusione di tutti i valori stabiliti, al Minotauro del cancro, al Minotauro della crisi eco-
nomica, al labirinto dei corridoi ospedalieri, alle emigrazioni, alle immigrazioni, insom-
ma, alla condizione labirintica dell’uomo contemporaneo. Perché il labirinto, uno dei più
antichi miti greci, ci affascina oggi più che mai? La risposta è semplice: perché l’abbiamo
creato noi e ne facciamo parte. In effetti, Bertrand Gervais, uno dei più grandi studio-
si odierni del labirinto nell’immaginario contemporaneo, nota che: «[l]o sviluppo del
cyberspazio, in questo senso, non è altro che una tappa in più all’interno della labirintiz-
zazione della nostra esperienza del mondo. Adesso, a un luogo fisico risponde un luogo
virtuale che non è solo un’architettura. […] Internet è un flusso informazionale che si
spiega come il più complesso labirinto a linea spezzata mai concepito»2.
Che cos’è il labirinto? Non esiste una definizione chiara, perché, se consultiamo an-
che un vocabolario, per esempio il Vocabolario Treccani on line, vedremo il termine così
definito:
2
B. Gervais, Géopoétique des lignes brisées: musements, chants de pistes et labyrinthes hypermédiatiques,
in Formes poétiques contemporaines, SUNY Buffalo, Montréal 2014. La traduzione è a cura dell’autrice.
Labirinto. Il mito della ricerca e la ricerca di un mito 71
specchi, nei Luna Park. b. Più genericam., qualsiasi intrico di strade o di sentieri,
serpeggiamento di corsi d’acqua, ecc. (cfr. anche dedalo): Fuggì piangendo, e con
le mani ai crini, Per selve e boscherecci labirinti (Ariosto); onde Che con bei labi-
rinti Trascorrono il sentiero (Chiabrera). Nei giardini e nei parchi (soprattutto
delle ville italiane del ’600 e del ’700), intrico di viali, vialetti e passaggi fian-
cheggiati da alte siepi o muriccioli. c. Gioco di pazienza, incluso di solito tra i
giochi enigmistici, consistente nel trovare, in un intrico di vie, il giusto percorso
che, da uno dei possibili ingressi, porti all’uscita. 3. fig. Affare imbrogliato, situa-
zione complicata da cui non si sa come uscire, viluppo di difficoltà inestricabili,
e sim.: non riesco a orientarmi in questo l. di calcoli; cacciarsi, perdersi in un l.;
Nel laberinto intrai, né veggio ond’esca (Petrarca, con allusione al suo innamo-
ramento per Laura). 4. In anatomia, serie di cavità ossee tra loro comunicanti
(l. osseo), che costituiscono l’orecchio interno dell’uomo e degli altri vertebrati,
sede dell’organo dell’udito e dell’equilibrio; […] 5. Per analogia con il labirinto
dell’orecchio, l. acustico, la configurazione che assume un tubo acustico quando,
per ragioni di spazio, lo si ripiega su sé stesso; è spesso realizzato con una cassa
acustica parallelepipeda nell’interno della quale dei setti opportunamente di-
sposti determinano il tortuoso percorso dei suoni. 6. Classificatore a labirinto:
incroci 33
apparecchio da laboratorio costituito essenzialmente da un recipiente allungato
nel quale alcuni setti, opportunamente disposti, costringono un fluido, che tra-
sporta particelle solide in sospensione, a un percorso tortuoso.
Per quanto riguarda i sinonimi, quelli relativi all’edificio sono dedalo, gomitolo, gro-
viglio, intreccio, intrico, nodo, mentre quelli che si riferiscono a una situazione complica-
ta sono casino, garbuglio, ginepraio, imbroglio, intrigo, pasticcio.
Giustamente, un pasticcio. Come uscirne se si vuole analizzare un’opera letteraria
dove questo mito è evidente? Per poter farlo, dovremo avere in mente la definizione che
troviamo nel Dizionario dei miti letterari, dove André Peyronie definisce il labirinto come
«prima di tutto, un’immagine mentale, una figura simbolica che non rinvia ad alcuna
architettura esemplare, una metafora senza referenza. Innanzitutto, deve essere preso nel
senso figurato e perciò è diventato una delle figure più affascinanti dei misteri del senso»3.
Ovviamente, data la natura del solo mito, anche l’approccio è multiplo, labirintico. Il
mito del labirinto ci racconta una delle avventure di Teseo, re d’Atene, svoltasi nel Labi-
rinto di Cnosso. Il labirinto di Cnosso è soltanto uno dei tanti labirinti creati dalla natura
o dall’uomo durante la storia. In effetti, il labirinto come complesso più essere considerato
secondo tantissimi parametri, come si può leggere ne Il libro dei labirinti di Paolo Santar-
cangeli e nella Prefazione al libro firmata da Umberto Eco. La classifica dei labirinti dello
stesso Eco è ben nota. Egli distingue il labirinto «unicursurale», «manieristico», ovvero
3
A. Peyronie, Labyrinthe, in P. Brunel (a cura di), Dictionnaire des mythes littéraires, Éditions du Ro-
cher, Monaco 1988, p. 916. La traduzione è a cura dell’autrice.
72 Milica Marinković
il labirinto con varie vie, tra le quali una sola è quella giusta, e poi il «rizoma», una rete
infinita d’intrecci. Inoltre, come spazio nell’immaginario, il labirinto può essere accettato
così come lo spiega Umberto Eco in Postille a “Il nome della rosa”:
Il rizoma è quello situato nella nostra testa. È il nostro dedalo mentale. Ecco perché
il labirinto nell’immaginario letterario è l’immagine del nostro caos interiore, come lo
definisce Peyronie. Ma, così come il labirinto di Cnosso non è l’unico dedalo conosciuto,
neanche la storia di Teseo è l’unica a essere legata all’errare. Anzi. Si tratta di una divinità
primaria, Ares-Dioniso, la quale, gettata dall’alto sulla terra e nel buio totale, iniziò a cam-
minare disorientata, intorno, aprendosi così uno spazio chiamato ‘labirinto’. E per poter
farsi un sentiero, si è servita di un’ascia, chiamata labrys. Ecco da dove proviene il nome
‘labirinto’. Quest’ascia bipenne diventerà il simbolo del potere minoico. Se le forme e le
classifiche dei labirinti sono tante, una cosa vale per tutti: il personaggio ci si perde. Egli
si trova sempre rinchiuso all’interno di uno spazio pericoloso. L’uomo contemporaneo
abita il labirinto, la sua condizione diventa labirintica, come del resto la società della no-
stra ‘modernità liquida’, della quale parla Bauman. Quindi, i protagonisti che si trovano
all’interno del dedalo entrano nei panni di Teseo, di Arianna e del Minotauro, mentre il
solo spazio labirintico può essere compreso come un errare, come una quête, che può esse-
re evidente sia come un vagabondaggio, che come una chiusura, che come l’esilio.
Ci possiamo perdere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo. E diventiamo coscien-
ti di vivere il labirinto. Un labirinto ormai staccato dal settore mitologico e religioso, il
quale, però, fa parte della nostra vita. O meglio: esso è la nostra vita. In effetti, quando
pensiamo al labirinto, nessuno si ricorda più della storia di Teseo che ci entra per ucci-
dere il Minotauro, ma alla complessità della nostra epoca. Se l’uomo classico vedeva nel
4
U. Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano 2012, pp. 603-604.
Labirinto. Il mito della ricerca e la ricerca di un mito 73
labirinto un rito di iniziazione, una prova eroica che faceva dell’uomo un eroe, oppure se
l’uomo medievale vedeva in questo racconto un viaggio verso la felicità, collocata al cen-
tro del dedalo, l’uomo contemporaneo vive nel labirinto e vive il labirinto. Non ne può
uscire, perché la vita corrisponde al dedalo, in linea. Egli erra all’interno del labirinto sen-
za alcuno scopo e più cammina, più si allontana dal suo centro. La meta è irraggiungibile.
Il labirinto nel suo senso spaziale e nel suo senso mitologico, con le sue tre famo-
se figure – Teseo, il Minotauro e Arianna – s’incontra nella letteratura, nel cinema, nei
fumetti, nella musica, nelle arti, nei giochi. Per quanto riguarda i classici, il motivo del
labirinto è stato abbordato da Apollodoro, Igino, Ovidio, Catullo e altri. Quello che è
interessante da notare, è il fatto che ogni autore, quando racconta la storia di Teseo, si
sofferma di più sulla sua relazione con Arianna, figlia del re Minosse, oppure su quello che
aspetterà Teseo al rientro ad Atene. Per quanto riguarda la parte centrale del mito, ovvero
la battaglia di Teseo contro il Minotauro e la morte di quest’ultimo, nessuna versione del
mito ci dice in quale maniera il grande eroe ha ucciso la bestia. L’episodio centrale della
storia del labirinto, ovvero la morte del Minotauro, rimane un mistero. In alcune versioni
si dice che Teseo uccide il Minotauro a mani nude, o con la spada, o che lo uccide soltanto,
o, come dice Catullo nella traduzione di Carmine Tedeschi: «Teseo trafiggendo il corpo
del mostro lo vinse»5. Dunque, assistiamo a un vuoto nella narrazione e nella memoria,
incroci 33
dato che Teseo, come esce dal labirinto, non si ricorda di nulla. Ed è esattamente quello
che succede nei testi interpretati in modo labirintico. Dopo ogni atto di violenza, il prota-
gonista subisce uno stato amnesico. Conosciamo diverse versioni che ci raccontano tutto
ciò che è stato precedente o successivo a questo episodio del mito, ma ciò che riguarda il
duello tra il figlio di Egeo e l’uomo-bestia rimane in oscurità. In effetti, il labirinto è l’im-
magine dell’oscurità, del buio mentale. Il labirinto è un immaginario che mette insieme
la memoria, l’oblio, la violenza e una ricerca tortuosa. Tutti gli elementi necessari per una
ricerca identitaria.
Siccome la linea tra il mito e le fiabe della letteratura popolare è molto sottile, è evi-
dente che il motivo del labirinto ha trovato i suoi riflessi in alcune delle fiabe più famose,
perché lo smarrimento è proprio sia del mito che della fiaba. Basta ricordarsi del Pollicino
di Perrault dove il protagonista come filo d’Arianna avrà i sassolini, e dove il ruolo del
Minotauro è interpretato dall’Orco. Oppure, gli elementi labirintici sono evidenti anche
nella fiaba riportata dai fratelli Grimm, Hänsel e Gretel. Quello che è comune alle due fia-
be è il luogo, cioè la foresta. La foresta, o il bosco, è il luogo labirintico per eccellenza dove
il buio, gli intrecci, la vegetazione, la fauna e tutto il contesto contribuiscono a un totale
smarrimento. Lo smarrimento fisico corrisponde quasi sempre allo smarrimento mentale
ed è in effetti soltanto un suo riflesso, come l’immagine nello specchio. Il labirinto è l’im-
magine dell’oscurità, del buio mentale.
Per quel che riguarda la struttura labirintica, il capolavoro che senza dubbio fa pen-
5
G.V. Catullo, Le poesie, int. e trad. di G. Paduano, com. di A. Grilli, Einaudi, Torino 1997. Traduzione
inedita di Carmine Tedeschi.
74 Milica Marinković
sare al dedalo, per l’organizzazione dei canti e delle sue tre parti, Inferno, Purgatorio e
Paradiso, è la Divina Commedia di Dante, dove il sommo poeta vede il Minotauro come
‘infamìa di Creti’6. I due punti di vista a partire dai quali possiamo osservare uno spazio
labirintico sono giustamente i due aspetti che troviamo in quest’opera. Il primo evoca la
verticalità e la profondità, mentre il secondo richiama l’orizzontalità. Questa visione è
evidente anche nei testi che abbiamo analizzato. In effetti, lì vediamo un Teseo gettato in
un labirinto profondo. Gettato niente di meno che da un’Arianna, la quale figura nell’im-
maginario contemporaneo non assume soltanto un ruolo positivo. Una volta entrato nel
dedalo, Teseo inizia il suo errare. Visto in quest’ottica, il labirinto rappresenta un eter-
no errare, un vagabondaggio senza fine. Il tema di un tale viaggio è presente anche nella
già menzionata opera di Dante, e per quanto riguarda la letteratura mondiale, uno degli
esempi migliori; è senza dubbio Ulisse di Joyce. Il viaggio è inteso come un itinerario che
offre numerose avventure le quali, però, possono essere vissute sia in un luogo conosciuto
che sconosciuto.
L’errare in un testo labirintico può essere osservato come un viaggio che offre al suo
protagonista numerose avventure, oppure una ricerca dove c’è un obiettivo. La partico-
larità dei testi intesi come labirintici è in effetti l’oggetto della ricerca. Mentre nei testi
classici o medievali l’oggetto era una cosa sconosciuta, mai vista, mai posseduta, l’uomo
incroci 33
contemporaneo cerca piuttosto una cosa perduta o rimossa. L’obiettivo della ricerca si
nasconde, in effetti, nel ricercatore stesso.
Ovviamente, in questo senso possiamo parlare di una ricerca identitaria personale,
ma anche di quella collettiva. Un popolo in emigrazione non è altro che un Teseo collet-
tivo. E lo stesso scrittore si trasforma in un Teseo viaggiatore, perché vediamo un numero
sempre più grande di scrittori-nomadi, e non si tratta più solo di una letteratura di viag-
gio, ma di nomadismo come uno nuovo stile di vita. In effetti, uno dei massimi esemplari
di questo modo di vivere la vita e l’arte è Jack Kerouac, scrittore di origini quebecchesi,
il padre della Beat Generation. Ormai tutti siamo On the road e chi si ferma più? Ciò
nonostante, non ogni viaggio è un viaggio labirintico, ovvero un viaggio vero, come nota
Raffaele Nigro:
Ma un fatto ho scoperto, i miei viaggi non sono più tali, si sono ridotti a sem-
plici spostamenti. L’aereo ha polverizzato il tempo di traversata, ti addormenti
a Monaco e ti svegli a Chicago. Non sono più un viaggiatore, sono un sacco di
patate che tocca città distanti tra loro e che poi contrabbando per un intero con-
tinente. Spostarsi coi muli e i cavalli, come al tempo di Marco Polo e Colombo,
era pure una fatica, ma era un viaggio. L’esperienza non era il punto d’arrivo, ma
stava nel lungo e ricchissimo tragitto7.
6
D. Alighieri, Comedìa, a cura di M. Sannelli, Fara, Rimini 2010, p. 105.
7
R. Nigro, Angeli, demoni e santi tra Chicago e Pezze di Greco, in «incroci», XV, 29, gennaio-giugno
2014, pp. 92-103:98.
Labirinto. Il mito della ricerca e la ricerca di un mito 75
L’immagine del viaggio che lo scrittore ricorda con nostalgia è quella che può esse-
re confrontata col viaggio narrato nei miti e nelle leggende, ma anche con i viaggi delle
grandi scoperte geografiche. La conquista dovrebbe essere lo scopo di ogni ricerca. Ecco
perché la condizione dei migranti si presta benissimo alla questione del labirinto. E oltre
al mito del labirinto, alla loro condizione è intimamente legato anche il mito dell’origine,
e poi anche la memoria, la nostalgia del paese abbandonato, le radici spezzate. Trovandosi
tra i due mondi, il primo che si abbandona per sempre e il secondo che ancora deve essere
affrontato, trovandosi tra un’identità già formata e una nuova tutta da inventare, da creare
da zero, il migrante abita un luogo utopico, nato dal bisogno di avere un piccolo angolo
tutto suo, dove rifugiarsi sia dalla sua origine, che dal mondo straniero. Quindi, ogni mi-
grante ha due Minotauri. Uno che lo ossessiona nel paese lasciato e l’altro che incombe su
di lui nel paese da scoprire. L’uomo nell’esilio li deve combattere tutti e due cercando di
stabilire uno spazio intimo, ma questo spazio diventerà, appunto, una prigione labirintica.
Dunque, l’errare, le migrazioni e l’esilio formano insieme la condizione di Teseo alla
ricerca, di Teseo che percorre il suo labirinto ogni giorno e che non può esistere senza di
lui. Perché, senza il suo itinerario e senza il suo errare, non sarebbe più Teseo. Perciò la let-
teratura de l’errance, dei migranti o di un popolo sempre alla ricerca della propria identità,
è essenzialmente legata al mito dell’origine, alla materia prima, al primo elemento che ha
incroci 33
generato tutto – l’acqua – e di seguito all’infanzia, dove l’abisso marino diventa un abisso
matrice, e dove il mare si identifica con la madre. Per questa ragione i personaggi dell’im-
maginario labirintico si perdono sempre cercando un luogo perduto. Essi non vanno alla
ricerca di un luogo nuovo, ma di quello perso, spesso rimosso. L’oggetto della ricerca non
è una cosa nuova, ma una cosa antica, molto antica, per cui Teseo dovrà scendere molto in
profondità, verso le origini.
Gli eroi dell’immaginario contemporaneo sono abbastanza simili agli eroi mitolo-
gici, però, dall’altro lato, essi non possono essere completamente identificati con i per-
sonaggi dei miti. Nell’immaginario contemporaneo, soprattutto nei romanzi che abbia-
mo analizzato, pochi eroi possono essere definiti come buoni, altri come cattivi. Per cui,
spesso non possiamo definire un solo personaggio come un puro Teseo, un’eroina come
Arianna e un malvagio come il Minotauro. Non è difficile trovarne una ragione. Questo
accade perché ogni eroe è il Teseo del proprio cammino che combatte il proprio Minotau-
ro, così come è per ognuno di noi, del resto. La gabbia di ciascuno è una doppia gabbia, un
doppio labirinto perché imprigiona la bestia e perché l’eroe ci si perde. Quindi, quando
parliamo dell’immaginario labirintico, lo spazio diventa raddoppiato, mentre il perso-
naggio va oltre la solita dualità dell’individuo e diventa triplo. Ogni personaggio è Teseo
del proprio labirinto, con un Minotauro al suo interno e con Arianna, ovvero con il filo
rosso che si trova nelle sue mani, spesso senza che egli lo sappia. Dunque, all’interno del
suo labirinto mentale Teseo deve uccidere il Minotauro mentale con la forza della propria
consapevolezza. Per poterlo fare, l’eroe si deve necessariamente trasformare nel Mino-
tauro. Ovviamente, accettare la presenza di un mostro al nostro interno non è facile. Per
76 Milica Marinković
questa ragione, Teseo proietta le connotazioni negative su altri personaggi che diventano
i suoi ‘falsi Minotauri’, mentre quello vero si trova dentro di lui. I falsi Minotauri sono di
solito nemici, mariti, padri, insomma, tutti coloro che in qualche maniera molestano la
tranquillità del personaggio. Però, se il Minotauro nasce in una persona, allora c’è anche
una madre che lo concepisce. In effetti, la figura della madre in tutti i romanzi analizzati
è molto problematica. Si tratta sempre di una madre carnivora nei confronti dei suoi figli.
Lei provoca la nascita del malessere, lei diventa Dedalo dei labirinti mentali del proprio
figlio. Il figlio, però, non è un eroe forte e deciso. Ossessionato dal proprio passato, debole,
dipendente dal proprio entourage, decide di seguire il vero percorso labirintico solo quan-
do la situazione diventa veramente insopportabile. In effetti, senza saperlo, lui è la bestia
nascosta all’interno del labirinto, lui è il prigioniero della propria vita. Quando decide di
combattere, deve comprendere che il solo mostro da uccidere è quello che dorme in lui.
Ecco perché in ogni testo analizzato abbiamo notato due tipi di battaglie. La prima inclu-
de sempre Teseo e il (o un suo) falso Minotauro, mentre la seconda sarà quella essenziale,
dove Teseo dovrà combattere il Minotauro interiore, ovvero se stesso. Per arrivare al suo
mostro interiore, le violenze contro i falsi Minotauri si dimostrano quasi necessarie, per
cui, queste bestie risultano, possiamo dirlo, pure positive nei confronti dell’eroe, anche se
lo disturbano e gli fanno del male, lo provocano, e Teseo le uccide o allontana in maniera
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crudele. La conseguenza di tutto ciò trasforma la visione che noi oggi abbiamo di tali eroi.
Mentre nel mondo antico, nei miti, l’uomo che combatteva il nemico veniva visto come
eroe dopo aver superato delle prove, oggi, al posto di diventare uomo, tale personaggio
diventa mostro. Per questa ragione non gli rimane altro che distruggere il mostro, ormai
evidente, dentro di lui.
Anche la figura di Arianna è ambigua. Nell’immaginario contemporaneo non pos-
siamo parlare più di una semplice figura femminile che ingenuamente dà a Teseo il filo per
salvarsi e per uccidere il suo fratellastro, per poi essere abbandonata dallo stesso principe.
Arianna assume un ruolo piuttosto diabolico, cioè la sua presenza disturba Teseo, ma di-
sturbandolo, lei lo fa entrare nel labirinto. In effetti, Arianna contemporanea è più intel-
ligente di quella mitologica perché non offre il filo a Teseo, ma glielo fa scoprire. Questo
filo non viene subito accettato perché porta verso i luoghi che Teseo vorrebbe piuttosto
evitare, i luoghi del suo passato, mai passato in realtà. Ecco perché la figura di Arianna,
dal punto di vista dell’eroe, è percepita soprattutto come una donna malvagia, come una
strega, una diavolessa. Questa donna pericolosa, felina e fatale, incanta con la sua bellezza,
ma anche con la sua voce. Dunque, la figura d’Arianna nell’immaginario dei testi ana-
lizzati si avvicina alla sirena, a Medusa o a Medea. L’ambivalenza di questo personaggio
femminile che distrugge l’eroe, ma dall’altro lato così lo aiuta a trovare la sua salvezza, si
manifesta anche tramite i colori. Nell’immaginario della scrittrice Anne Hébert si tratta
di un mondo elementare, dove i colori non sono molto sviluppati. Quelli più usati sono il
rosso, il nero e il bianco. Per quel che riguarda Arianna, quando ella è in rosso, possiamo
dire che aiuta. Quando invece è in nero, distrugge. Arianna, ovvero il filo rosso, è legata al
Labirinto. Il mito della ricerca e la ricerca di un mito 77
rito di iniziazione, qui di solito sessuale. La diavolessa sveglia nel personaggio la sua natu-
ra animale, le pulsioni umane rimosse, e lo fa agire, spesso in maniera violenta. Dunque,
Arianna deve possedere le caratteristiche cattive e negative perché solo così potrà aiutare
Teseo a svegliarsi dal suo letargo. Il tratto fisico di tutte le Arianne nell’immaginario di
Anne Hébert sono i capelli, sempre lunghi e neri. Come osserva Daniel Marcheix, «loro
[i personaggi femminili] dicono la morte con i loro capelli»8.
In seguito alle nostre analisi testuali, abbiamo individuato diverse forme labirinti-
che, ma il fenomeno più interessante è quello che può essere chiamato una mise en abyme
degli spazi labirintici. All’interno di un labirinto ce ne sarà sempre un altro. Ovviamente,
il nucleo principale del labirinto di un personaggio non è altro che la sua casa, la sua di-
mora. Nei testi che si prestano bene ad un’analisi labirintica si tratta sempre di case isolate
nei boschi o nelle foreste. Ciò non accade a caso, dato che «[l]o scenario dell’esperienza
magica ha una connotazione topica nella foresta, luogo di una duplice reminiscenza. La
foresta circondava il regno dei morti; nella foresta si celebrava il rito di iniziazione; passa
per la foresta la strada che conduce al mondo altro, all’incontro con mostruoso, alla espe-
rienza risolutrice della metamorfosi»9. In effetti, oltre all’aspetto tenebroso dei boschi
labirintici, c’è un’altra cosa importante. Nel bosco ci si perde. Questo succede soprattutto
ai personaggi-bambini nei testi analizzati, il che ci fa pensare alla condizione dei sette fan-
incroci 33
ciulli e delle sette fanciulle inviati ogni nove anni in pasto al Minotauro, i quali si perdono
totalmente entrando nel labirinto, ma ci fa pensare anche all’immaginario popolare e alle
fiabe.
Dunque, il labirinto è un luogo molteplice, con più valori, un luogo ambivalente,
così come lo è l’immagine del Minotauro che ci minaccia, ma che è anche vittima, vittima
del labirinto e poi di Teseo. Come nota Dürrenmatt,
8
D. Marcheix, Le Mal d’origine: temps et identité dans l’œuvre romanesque d’Anne Hébert, L’instant
même, Québec 2005, p. 390.
9
G. Cerina, Archetipifiabeschi: Metamorfosi mostri labirinti, in G. Cerina, M. Dominichelli, P. Tucci,
M. Virdis (a cura di), Metamorfosi mostri labirinti. Atti del Seminario di Cagliari, 22-24 gannaio 1990,
Bulzoni, Roma 1991, p. 25.
78 Milica Marinković
Evidentemente, una casa isolata non basta per poter definirla labirintica. Il secondo
criterio indispensabile è la cattività. Paradossalmente, come nel mito, il mostro è impri-
gionato e bisogna cercarlo, non per liberarlo, bensì per ucciderlo, per distruggerlo. Quello
che è comune a tutti gli spazi labirintici, per tutte le boîtes di un labirinto maggiore, oltre
alla cattività, è anche la quête, la ricerca della libertà e dell’identità del personaggio. La casa
è la sua ‘cella nera’, infestata dai fantasmi del passato e dei ricordi micidiali. Ecco perché in
una casa del genere l’eroe non si sente mai davvero ‘a casa’. La schiavitù dentro la propria
casa è in effetti una prigionia mentale, nata dai desideri rimossi e dalle ossessioni. Il perso-
naggio è rinchiuso tra le mura dei propri sogni e della fantasticheria. A volte accetta una
vita del genere, perché è più facile vivere così, ovvero sopravvivere così, che agire contro se
stessi. A volte il mondo onirico è il riflesso di una realtà rimossa e fa sorgere delle immagi-
ni che possono nuocere al personaggio. Vivendo nell’incubo della notte, l’eroe non potrà
sopportare per sempre la sua condizione. Ecco perché sarà necessario affrontare il proprio
mostro. Gli stati mentali del personaggio si proiettano sui luoghi fisici della loro esistenza
e, viceversa, gli scenari non sono altro che i riflessi del suo interno. Nei testi analizzati gli
incroci 33
spazi fisici sono nel pieno disordine. Però, il disordine fisico è l’immagine di un disordine
mentale. Del resto, il solo aspetto fisiologico del cervello umano ci conferma la natura
labirintica della nostra psiche. Fatto da innumerevoli impasse, linee e curve, il cervello è la
sede del nostro labirinto interiore. Come se già la sua forma anatomica avesse prestabilito
la condizione umana, quella dell’eterno errare e del continuo perdersi. Il luogo delle ver-
tigini, della memoria, dell’oblio, dei sogni, tutto è nella testa. E ancora più significativo,
tutto è chiuso.
Adesso è chiaro perché bastano solo due elementi perché un luogo sia definito come
labirintico. Come conferma Bertrand Gervais, «[q]uanto alla logica della messa in rac-
conto, essa riposa sul principio della quête: una struttura minima costituita da un pericolo
al quale risponde un atto eroico che comprende necessariamente un percorso»11. E sic-
come il mito del labirinto è strettamente legato al mito dell’origine, esso è indispensa-
bilmente un labirinto all’indietro, ovvero un percorso che dirige il personaggio verso la
propria origine. Quando parliamo del labirinto, non parliamo soltanto dello spazio, ma
anche necessariamente del tempo. L’itinerario spaziale diventa un itinerario temporale,
diretto verso il passato. Il personaggio può camminare più avanti solo andando indietro.
Camminare indietro significa dirigersi contemporaneamente su due piani, sia sulla linea
del passato, orizzontalmente, sia scendendo verso le origini rimosse, verticalmente. Dun-
10
F. Dürrenmatt, Il mio labirinto, trad. di B. Zagari, in Il minotauro, trad. di U. Giandini, Marcos y
Marcos, Milano 2012, p. 27-28.
11
B. Gervais, La ligne brisée. Labyrinthe, oubli et violence. Logiques de l’imaginaire, Le Quartanier,
Montréal 2008, p. 24. La traduzione è a cura dell’autrice.
Labirinto. Il mito della ricerca e la ricerca di un mito 79
que, l’eroe cammina decisamente verso un pericolo che d’altronde può liberarlo e farlo
uscire dal dedalo, seguendo un percorso particolare alla ricerca dell’identità e della felici-
tà. Quindi, il tempo diventa lo spazio dell’eroe. Egli si muove su un’asse temporale, cessa
di abitare un luogo per iniziare a vivere un tempo e a rivivere il proprio passato.
In questi spazi temporali, dove l’eroe erra mentalmente, egli prova uno stato di son-
nolenza che distrugge i suoi ricordi. Questo elemento è legato alla memoria e all’oblio,
poiché il labirinto è una storia sull’oblio. E siccome l’oblio rappresenta anche una pas-
sività, ecco perché il mondo labirintico si avvicina al mondo dei morti, soprattutto nei
testi dove la presenza del mitologico è dominante. Non dobbiamo dimenticare che nel
mondo dei Greci, il fiume Lete, fiume del mondo dei morti, aveva il compito di riempire i
defunti di oblio. Del resto, nel mondo greco, la morte era presentata dal suo dio Thanatos,
nonché fratello gemello del dio del sonno, Hypnos. La violenza che conduce alla morte
all’interno del labirinto è essenzialmente notturna, succede nel buio e sfugge all’occhio.
Ecco perché sarà anche un’eterna ossessione per il personaggio che la commette, perché
egli non potrà mai sapere se sia stato visto da qualcuno o no durante il crimine.
Lo spazio della morte è importante nell’immaginario labirintico perché molto spes-
so può rappresentare il campo della liberazione, l’inevitabile scopo della ricerca, anche
se, forse, l’obiettivo iniziale dell’eroe non era quello. Ovviamente, appena la presenza
incroci 33
degli inferi diventa evidente in un testo, non è solo il motivo del labirinto che bisogna
analizzare, ma anche tanti altri miti, come quello di Orfeo. In ogni caso, non dobbiamo
dimenticare che lo stesso Teseo in un momento della sua vita scende nel Tartaro e, come
nota Pierre Brunel: «la rappresentazione del mondo degli inferi raddoppia quella del
labirinto, a meno che non sia l’inverso»12. Nell’immaginario labirintico lo spazio della
morte è spesso rappresentato da uno spazio liquido – mare, oceano, fiume, torrente, lago.
E questo non è un semplice caso. L’acqua ha da sempre rappresentato l’inizio, ma anche
il passaggio verso la fine. E anche secondo Bachelard il mondo labirintico è strettamente
legato all’umidità e alla viscosità. L’umidità è sia quella che fa pensare all’utero e all’ori-
gine, sia quella che evoca le grotte dei morti. Ancora più significativa è la presenza di uno
scenario autunnale nei testi analizzati. La terra umida della pioggia è un’immagine perfet-
ta dell’unione dei due elementi che generano la vita: la terra e l’acqua. In più, essa lega il
mondo della vita con il mondo della morte. La vita è compresa come un ciclo composto
da diversi gradi. Ogni grado deve essere compiuto superando una prova eroica, e in questo
vediamo il significato del labirinto. Alle conquiste eroiche all’interno del dedalo, ovvero
all’interno della ricerca identitaria, sono strettamente legati il rito di passaggio e il rito di
iniziazione. Ogni prova compiuta conduce a un grado superiore. Però, dato che la vita è
eternamente ciclica, l’ultimo grado equivale alla ripresa del primo, alla conquista dell’o-
rigine. L’umidità è estremamente vicina al rito di iniziazione sessuale, considerata una
delle principali prove da superare nel labirinto identitario, molto spesso andate male tra-
sformando i Tesei nei veri Minotauri. Dunque, la quête identitaire deve diventare una con-
12
P. Brunel, L’imaginaire du secret, ELLUG, Grenoble 1988, p. 101. La traduzione è a cura dell’autrice.
80 Milica Marinković
Beato chi, come Teseo, potrà uscire dal labirinto personale, una volta per sem-
pre. Ma la vicenda dell’uomo a cui non arride tanto favore degli dèi è più grave e
il suo errare sarà lungo quanto la vita. Eppure, l’avere raggiunto la camera segreta
anche una sola volta – per illuminazione spirituale o per una meditazione per-
fetta – muterà la sua conoscenza per sempre: «Chi è stato felice una volta, non
potrà mai essere distrutto»14.
In effetti, il Teseo letterario non riesce a uscire dal suo labirinto personale. O combatte
invano o non sa combattere. In ogni caso, c’è sempre una sorta di soluzione, però il viaggio
verso questa soluzione trasforma l’eroe, a causa delle angosce e paure. Teseo, completamente
solo nel suo percorso tortuoso, sente vertigini e paure, commette delle grandi violenze per
proteggersi e, così facendo, non fa altro che trasformarsi nel Minotauro, ovvero svegliare
la bestia in lui, diventare consapevole dell’esistenza del mostro all’interno del suo corpo,
soprattutto all’interno della sua testa, perché non dobbiamo dimenticare l’anatomia del Mi-
notauro, che è una creatura col corpo umano, ma la testa animale. Per cui, questa creatura
non sa dominare le pulsioni né riflettere, ma solo seguire i propri istinti.
Dunque, Teseo, desiderando arrivare fino al centro del dedalo, confida nell’esistenza
di un filo d’Arianna, però la fine del sentiero labirintico coincide con la comprensione che
il filo rosso si è sempre trovato dentro di lui, nel suo cuore e nella sua testa, che doveva
13
M. Eliade, op. cit., p. 103.
14
P. Santarcangeli, Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo, Frassinelli, Milano 1984, pp.
245-246.
Labirinto. Il mito della ricerca e la ricerca di un mito 81
entrarci per uscirne, nonostante un dolore enorme e inevitabile. Ecco perché nell’imma-
ginario labirintico esistono due maniere di distruggere il labirinto: più raramente l’eroe
riesce a uscirne e a liberarsi o, più spesso, l’eroe rimane il prigioniero e si trasforma nel
Minotauro. In questo modo il labirinto è solo apparentemente distrutto, ma in realtà è
rinnovato, come, del resto, leggiamo nel libro di Santarcangeli:
A questo punto, sarà chiaro che nel simbolo del labirinto si manifesta il modo
con cui, nelle varie epoche storiche, l’uomo ha rappresentato a se stesso il pro-
prio destino, sempre restando fermo, tuttavia, un concetto-guida essenziale: la
consapevolezza che noi potremo sempre raggiungere la libertà del nostro ani-
mo; ora per mezzo della fede ed ora con la conoscenza o magari soltanto con
la perseveranza che opponiamo al destino; e questo anche se la via sarà lunga,
anche se l’ideale di una via breve e chiara e diritta resterà, purtroppo, un sogno
non attuabile, una speranza vana15.
Dunque, come possiamo notare, nella maggior parte dei casi il filo rosso si trova nel
ricordo nero. Solo accettandolo, possiamo uscire dal labirinto. E se lo dobbiamo accettare,
prima ci dobbiamo confrontare con la bestia in noi. Paolo Santarcangeli definisce la storia
incroci 33
del Minotauro come «mysterium tremendum» e aggiunge: «Esso ci attira e ci respin-
ge. È mirum, è admirandum, è fascinans; di fronte alla animalità e insieme umanità del
mito, noi siamo colpiti, ad un tempo, da tremor e stupor – per usare la terminologia di R.
Otto»16. Il Minotauro vero è solo quello interiore e solo la battaglia contro di lui signifi-
cherà la vera vittoria di Teseo. Però, Teseo rimane confuso davanti a questa questione. Chi
uccidere per primo? Un falso Minotauro dato che ancora non sa che quello vero dorme in
lui, o se stesso? Chi è l’eroe? Teseo che combatte o il Minotauro da uccidere? Ecco perché
nel momento in cui l’eroe comprende la propria condizione, in lui si produce la battaglia
tra le due pulsioni opposte. Eros e Thanatos, la vita e la morte. L’uomo diventa bestia, o
meglio, agisce come bestia davanti alle pulsioni, soprattutto davanti a quelle sessuali, pro-
vocate da Arianna. Perché, per uccidere il Minotauro, Teseo deve soddisfare il desiderio. E
per soddisfarlo, lo deve nutrire. Non dobbiamo dimenticare che il Minotauro si nutre di
carne umana, di violenza. Ecco perché il principe diventa boia nei confronti dei personag-
gi femminili. Come nota Dürrenmatt, «chiunque vi entri si trasforma in minotauro; una
prigione che per questo motivo non ha alcun bisogno di porte sbarrate, le innumerevoli
porte del labirinto sono aperte, chiunque vi si può smarrire»17. L’eroe diventa bestia che
ha ucciso. Le due pulsioni entrano in fusione e la pulsione della morte diventa quella della
vita. Forse perché l’eroe capisce che, senza la morte, la vita non avrebbe alcun senso.
Ovviamente, tutto ciò è evidente anche nella narrazione. Non pensiamo solo al ro-
15
Ivi, p. 249.
16
Ivi, p. 4.
17
F. Dürrenmatt, op. cit., p. 29.
82 Milica Marinković
manzo poliziesco il quale, per sua natura, è un immaginario labirintico. Nei testi analizzati
che non sono affatto dei gialli, anche se la presenza del crimine è necessaria per la natura
dell’immaginario labirintico, abbiamo notato un’enorme quantità di analessi, le quali cor-
rispondono al labirinto all’indietro narrativo. Dall’altro lato, anche lo scrittore si presenta
come un capace Dedalo, costruttore del labirinto. In effetti, come conferma Dürrenmatt,
«[c]hi schizza il piano del labirinto sa tutto; chi però vi entra, come me ora, tanti anni
dopo i primi timidi tentativi di avvicinarsi all’entrata, non sa nulla – anche nel caso fosse
armato della migliore delle drammaturgie»18. Spesso si tratta anche di testi polifonici,
dove vengono offerti vari punti di vista. Lì il lettore si perde completamente. A chi crede-
re, soprattutto se abbiamo in mente lo stato di sonnolenza e di amnesia che caratterizza
i personaggi? Perciò il disordine dei pensieri e la pluralità delle voci contribuiscono al
dedalo narrativo. Dunque, il problema mentale del personaggio diventa un problema co-
gnitivo del lettore. Il vero Minotauro è la memoria, ancora una volta.
Quando e se l’eroe esce dal labirinto, ci sarà sempre una domanda da porsi: una vita
dopo il labirinto non sarà di nuovo labirintica? La monotonia si può facilmente trasfor-
mare in un Minotauro dell’insoddisfazione. Ecco perché l’uscita non è uguale per tutti,
anche se il filo sembra essere sempre uguale: ritornare al passato, prendere la propria vita
tra le mani e osservarla, guardarsi nello specchio e cercare di capire se c’è un essere estra-
incroci 33
neo che ci guarda negli occhi. Solo così «[l]’eroe porta a termine il viaggio iniziatico
nel mondo altro, vincendo la sfida al labirinto, al suo enigma, personificato in un essere
mostruoso»19. Il filo conduttore verso il passato è da trovare, o meglio, da ritrovare. Dato
che si tratta sempre di un viaggio verso le origini, anche il filo dovrebbe essere lì. Le analisi
dei testi ci hanno dimostrato che già quando nasciamo, veniamo buttati nel labirinto,
mentre il filo che ci legava con la nostra origine ci viene subito tolto. Ovviamente, par-
liamo del cordone ombelicale, qui presentato simbolicamente con il filo rosso. Privi del
nostro filo, siamo disorientati nel nostro labirinto. Quindi, cambia solo ciò che è visibile.
Ciò che non si vede, non muta, così come non muta la psiche umana. Quello invece che
cambia sempre, è il nostro labirinto sociale, ormai virtuale. Schiavi di una Rete globale,
siamo condannati a una vita all’interno del labirinto. L’importante è tenere tra le mani il
motore di ricerca perché non ci perdiamo anche nei labirinti mentali.
18
Ivi, pp. 36-37.
19
G. Cerina, op. cit., p. 30.
Labirinto. Il mito della ricerca e la ricerca di un mito 83
Bibliografia
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Gervais B., Géopoétique des lignes brisées: musements, chants de pistes et labyrinthes hypermédia-
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