1. Premessa
2. Sapere scientifico e tecnologia
Il “sapere scientifico” è un sistema di organizzazione della conoscenza, complesso e
articolato, che emerge in Europa alla fine del XVI secolo. La scienza è intesa come l’insieme
dei metodi di conoscenza e dei relativi prodotti che risalgono alla sistematizzazione
galileiana e che ha fornito la spinta per la Rivoluzione Industriale, contribuendo alla
costruzione del mondo nel quale viviamo. Con questa definizione collochiamo la scienza
all’interno delle pratiche e dei processi che l’hanno generata e che essa continua a
plasmare evitando così di aggiudicarle un carattere autonomo e avulso dal sociale.
Per comprendere a pieno il Sapere Scientifico bisogna considerarlo insieme a un altro
sapere, quello della Tecnologia. La tecnologia definisce l’insieme delle competenze
intellettuali e pratiche che consentono lo svolgimento delle attività umane. Per molto
tempo il progresso della conoscenza tecnica è stato separato dalla conoscenza scientifica. Il
lavoro degli artigiani era separato da quello dei sapienti e vigeva una distinzione tra le arti
“liberali” e le arti “tecniche”. Le arti liberali erano la filosofia, la poesia e la musica, ed erano
considerate arti delle classi superiori. Mentre le arti tecniche erano svolte dai servi, dagli
schiavi e dalla gente che apparteneva alle classi inferiori. Tra questi due mondi la
separazione era netta: difficilmente una persona appartenente alla classe superiore si
sarebbe occupata delle tecniche e delle arti pratiche. Eppure, a dispetto di questa forte
distinzione il sapere tecnico nel corso dei secoli si è evoluto, fornendo soluzioni di
adattamento agli uomini nel loro ambiente. Sono state migliorate le tecniche agricole, le
tecniche di guerra, la tecnica della lavorazione dei metalli ecc.
Karl Marx nel Capitale, ha colto il carattere della tecnologia quale raccordo tra gli esseri
umani e la natura attraverso un comportamento attivo che condiziona le relazioni sociali.
3. La scienza nuova
Paolo Rossi definisce la Rivoluzione scientifica come quel processo in cui la conoscenza di
tipo speculativo e teoretico che aveva per oggetto la natura, si è saldata con quello della
tecnica, tipica delle arti e dei mestieri. L’epoca Moderna è caratterizzata proprio dall’unione
tra sapere scientifico e tecnica. Grazie a questa unione è stato possibile raggiungere livelli di
benessere che non erano neanche immaginati nel passato. Rossi ricorda che durante il
Rinascimento si è attribuito un forte valore al lavoro tecnico e al sapere pratico e questo
comportò un forte cambiamento nei valori sociali e si diete dignità alle attività pratiche
umane. La conoscenza non ha più un carattere individuale ma viene condivisa e diventa
conoscenza pubblica grazie al linguaggio e ai metodi che sono condivisi da un’intera
comunità, quella degli scienziati.
4. Il periodo aureo della scienza e della tecnica
Tra la fine del Settecento e gli inizi del Novecento si ha un’alleanza tra scienza e tecnica che
viene ricordata come “periodo aureo”. L’unione tra sapere scientifico e sapere tecnico ha
dato vita ad allungare i tempi di deperibilità degli alimenti, scoprire medicine in grado di
debellare malattie mortali, invenzione del motore a vapore, scoperta dei fertilizzanti chimici
e l’ingresso delle macchine agricole in agricoltura. Ma si deve notare che tutte queste
innovazioni hanno riguardato solo il mondo occidentale, e con le molte innovazioni sono
andate emergendo anche le profonde disuguaglianze tra gli esseri umani perché non tutti
potevano permettersi dei costi così alti.
5. La sociologia per la scienza
Auguste Comte con la sua “legge dei tre stadi” ha affrontato il ruolo del sapere tecnico e
scientifico nell’ambito dell’evoluzione sociale. Il sapere positivo, infatti, è un traguardo sia
per il singolo che per l’intera umanità. Uno stadio conclusivo raggiunto il quale l’umanità
potrà conseguire livelli di prosperità e benessere mai conseguiti prima. Comte affida agli
scienziati il compito di plasmare il nuovo livello di società. Il sapere scientifico permette la
fine dello stato di guerra continua che fino ad allora aveva caratterizzato l’umanità. Per
Comte le Scienze vengono classificate in base al loro livello di complessità. Le prime scienze
a raggiungere lo stadio positivo sono le scienze come l’astronomia dette SCIENZE PIU’
SEMPLICI dopo queste ci saranno scienze via via più COMPLESSE quali la fisica e la biologia.
Comte considera la SOCIOLOGIA una delle discipline scientifiche più complesse che
raggiunge per ultima lo stadio del pieno sviluppo positivo.
6.La sociologia della scienza
Le principali questioni affrontate dai sociologi che si occupano di scienza sono: come viene
prodotto il sapere scientifico? Come è costruito l’ethos dello scienziato? Quali sono le
dinamiche materiali e sociali che permettono uno sviluppo tecnico e scientifico?
7.Robert k. Merton: genesi e principi dell’ethos scientifico
Il primo approccio sistemico in sociologia della scienza è stato proposto dal sociologo
statunitense Robert K. Merton. Egli vuole dare una spiegazione sulle modalità con cui il
sapere scientifico viene prodotto e diffuso all’interno di una comunità di scienziati. Merton
parte dal presupposto che per la prima volta sono gli scienziati ad essere l’oggetto degli
studi sociologici attraverso uno schema classico che deve trovare la genesi e le
caratteristiche di un ETHOS comune a tutti gli scienziati di una comunità.
Gli scienziati si definiscono come coloro che condividono un ETHOS basato sui principi:
universalismo, comunismo, disinteresse e scetticismo organizzato. Attraverso questi principi
la scienza porta al termine il suo fine che è quello di accrescere la “conoscenza verificata”.
-l’universalismo indica che si può giungere alla verità scientifica senza tener conto delle
caratteristiche personali del ricercatore quali, razza, lingua, religione ecc.
-comunismo è per Merton un elemento dell’ETHOS scientifico che serve per promuovere la
collaborazione sociale nella produzione della verità scientifica, la quale non è mai opera di
un solo scienziato
-disinteresse l’attività scientifica non deve mai avere un interesse a provare la verità
scientifica di una certa teoria.
Il dubbio sistemico impone allo scienziato di non dare nulla per scontato, Merton considera
questo dubbio una grande risorsa per la scienza che pone delle frizioni nel rapporto tra lo
scienziato e la società esterna ai laboratori. Infatti molto spesso la società pretende delle
certezze dagli scienziati e dalla scienza che non sempre sono in grado di dare.
8. Il programma forte
Molti sociologi all’inizio degli anni Sessanta si allontanano dalla teoria di Merton e dalla
concezione positivista della scienza.
David Bloor sociologo dell’università di Edimburgo, crea un Programma Forte per lo studio
sociologico della conoscenza scientifica. Secondo questo Programma, la sociologia della
scienza ha il compito di studiare il processo di produzione della conoscenza scientifica,
come ad esempio cosa accade nei laboratori alle persone in carne ed ossa che ci lavorano.
Secondo Bloor, gli elementi sociali entro cui si produce il fatto scientifico devono essere
tenuti presenti come elementi che sono parte integrante di questa pratica e non considerati
come dei semplici elementi di disturbo rispetto a ciò che prescrive il metodo.
Le linee guida di questo programma sono:
-la causalità: che indica la necessità della sociologia della scienza di indagare sulle condizioni
storiche, sociali e psicologiche che stanno a monte della produzione del sapere scientifico.
-l’imparzialità: secondo il programma, quando il sociologo studia e valuta le pratiche di
laboratorio non deve farsi condizionare dal fatto che un certo esperimento ha avuto esito
negativo
-simmetria: le spiegazioni devono valere sia per i risultati positivi che negativi
-la riflessività: i criteri dello studio della produzione del sapere scientifico si riversano sulla
conoscenza sociologica.
In definitiva questo Programma tende a superare due concetti: Il modello teologico che
considera la conoscenza scientifica orientata verso la realtà naturale, e vuole superare il
modello empirista che lega la conoscenza all’esperienza individuale
9. Gli studi di laboratorio
I sociologi Bruno Latour, Steve Woolgar e Karin Knorr-Cetina hanno creato un nuovo stile
di ricerca basato su un approccio microsociologico, basato sulla quotidianità della ricerca
scientifica. Questo approccio studia il laboratorio dove operano gli scienziati con i loro
saperi, passioni, difetti, momenti di depressione e di euforia. Una delle tesi di fondo di
questo approccio è la messa in discussione del lavoro concreto degli scienziati e la
discriminazione che ne risulta, per esempio, negli articoli scientifici.
Secondo Latour un documento diventa scientifico quando le sue asserzioni finiscono di
essere isolate e quando il numero delle persone coinvolte nella sua pubblicazione sono
molte ed esplicitamente indicate nel testo. A questo punto dopo averlo letto è il lettore che
si sente isolato. La realtà secondo l’autore diventa quindi una conseguenza del fatto
scientifico. Egli introduce il termine “agonismo” dove vuole intendere le attività degli
scienziati che non sono orientate ad un criterio di verità o di attinenza alla natura ma sono
attività caratterizzate da dispute, rapporti di forza e capacità di stringere alleanze.
10. Alcune questioni relative alla tecnologia
Nel senso comune la tecnologia è l’insieme di tutte quelle applicazioni e conoscenze che gli
scienziati fanno nel chiuso dei loro laboratori. Secondo questa linea troppo semplicistica a
monte, nei laboratori, gli scienziati producono le scoperte, al centro ci sono i tecnici che le
traducono in invenzioni, manufatti e nuove pratiche e infine a valle le persone comuni
inseriscono questi manufatti nella vita quotidiana.
Le scienze sociali da quando si occupano di tecnologia, sono chiamate a rompere questa
visione lineare della tecnologia e rendere omaggio alla complessità e all’articolazione dei
processi tecnologici.
11. La costruzione sociale della tecnologia
Nell’ambito degli studi sociali di scienza e tecnica, i prodotti della tecnologia sono
considerati degli artefatti, vale a dire dei prodotti di pratiche sociali complesse,
caratterizzate da interessi molteplici. Tra gli approcci più importanti agli studi di tecnologia
vi è quello detto della costruzione sociale della tecnologia. In un testo fondamentale per
questa prospettiva, Bijker, Hughes e Pinch mettono in luce tre significati del termine
“tecnologia”:
- In un primo luogo, vi è il livello degli oggetti fisici o artefatti, per esempio le biciclette,
le lampadine. Bakelite.
- In secondo luogo, il termine tecnologia può essere riferito ad attività o processi,
come per esempio la produzione dell’acciaio o la forgiatura.
- In terzo luogo, il termine tecnologia può essere riferito a ciò che le persone sanno
così come a ciò che fanno, un esempio è il “know how” che entra nella progettazione
di una bicicletta o nell’operare con un apparecchio ad ultrasuoni in una clinica
ostetrica.
Quindi acanto agli aspetti tecnici, è necessario tenere conto degli aspetti sociali e politici.
Tenere nel giusto conto significa che si intendono superare due opposti determinismi: da
un lato quello tecnico, secondo il quale è il contenuto tecnico ad indicare le linee di
sviluppo e di usabilità dell’artefatto; dall’altro il determinismo sociale, parimenti pericoloso
che riduce tutto alle dinamiche sociali. Secondo Pellegrino il cambiamento sociale e quello
tecnico avvengono insieme quindi si devono comprendere entrambi.
Due sono i fondamenti che costituiscono questa teoria:
-Il primo è l’Empirical Programme of Relativism (EPOR) che studia come una certa scoperta
si basi sulla FLESSIBILITA’ INTERPRETATIVA. Un esempio tipico di questo modo di
interpretare i percorsi di sviluppo di una certa tecnologia è offerto proprio da Bijker. Si
pensi al percorso di sviluppo di una bicicletta. In un primo momento si trattava di ruote di
ferro o di legno, una caratteristica che per gli utenti di allora, soprattutto i maschi
utilizzavano a scopi agonistici, non rappresentava affatto un problema il fatto che le
vibrazioni fossero forti. Al fine ti attrarre l’uso della bici anche verso il mondo femminile,
Dunlop introdusse lo pneumatico di gomma che permise di ridurre in modo decisivo le
vibrazioni. Ma la cosa interessante, oltre all’uso femminile dell’utenza dei bicicli, fu che
dopo un primo momento di perplessità anche il pubblico maschile che prima era orientato
all’agonismo, iniziò ad apprezzare quell’innovazione che riusciva non solo a minimizzare le
vibrazioni ma riusciva anche ad aumentare la velocità. Quindi ogni innovazione è portatrice
di significati e potenzialità differenti per ogni gruppo di utenti. Ma la FLESSIBILITA’
INTERPRETATIVA ad un certo punto si esaurisce quando lo sviluppo di un artefatto si
stabilisce sulla linea di sviluppo considerata naturale. Questa fase coincide con la sua
MATURITA’.
-Il secondo è la Social Construction of Technology (SCOT) che è orientato a identificare i
gruppi sociali che hanno un interesse perché un certo artefatto si affermi oppure no e che
quando questo avvenga, avvenga con determinate caratteristiche. Secondo Bijker, sempre
con la bicicletta. I giovani sportivi hanno avuto un ruolo importate per via delle loro
richieste sul chiedere sempre maggiori performance velocistiche. Dobbiamo parlare anche
della formazione di anti-ciclisti che riescono anche loro a incidere sullo sviluppo delle
biciclette con le loro azioni di boicottaggio.
CAPITOLO 11 CONSUMI, PRATICHE E STILI DI VITA
1. La rivoluzione dei consumi
Nell’ambito dello studio dei consumi troviamo diverse interpretazioni del momento storico
in cui è nata la società dei consumi. La comprensione del fenomeno del consumo rientra in
uno scenario sociale nel quale si sono realizzate talune specificità storiche. La prima è il
dominio dell’industria sulla distribuzione delle forze di lavoro, sulla formazione e
distribuzione del reddito e sui processi di accumulazione. Si assiste infatti a una vera e
propria ideologia del lavoro. Per capire il ruolo dei consumi si deve capire il diverso ordine
sociale che si è andato a creare nelle epoche. Con la grande trasformazione si assiste al
definitivo passaggio da una società ascrittiva, nella quale gli individui godevano di privilegi
di status derivanti dalla nascita, a una società acquisitiva, fondata sul mercato libero in cui
gli individui si pongono in maniera autonoma, creando una stratificazione non più per stati
ma per classi. Il passaggio da una società all’altra ha dato vita al terzo stato, in cui la
possibilità di emanciparsi non dipende più dalla nascita, ma è il frutto di meccanismi che
danno la possibilità a tutti gli individui di scegliere il proprio destino. Con la rivoluzione
industriale le modalità tradizionali di produrre e consumare mutano: i beni vengono
prodotti in misura maggiore di quanto sia necessario. Nasce così un vero e proprio modello
consumistico, che secondo Campbell deriva dal diffondersi dell’etica romantica e dal suo
culto dell’espressività individuale (possibilità di esprimere la propria unicità e specificità, al
di là del duro lavoro, delle privatizzazioni autoimposte e della disciplina che impone l’etica
protestante). La società capitalistica, per continuare a crescere, non può prescindere solo
da masse di lavoratori ma anche da masse di consumatori; il far soldi e consumare
diventano imperativi della società capitalistica ai quali gli individui non possono sottrarsi
perché essi costituiscono il motore centrale della società. George Ritzer sostiene l’esistenza
di una vera e propria teoria dei consumi alla quale milioni di consumatori in tutto il mondo
non possono sottrarsi di professarne il culto.
2. Il consumo nei classici del pensiero sociologico: classi, ceti e status symbol
La sociologia dei consumi nasce nel 1899 con l’opera di Thorstein Veblen “La teoria della
classe agiata. Studio economico sulle istituzioni”. Nella sua interpretazione, così come in
quella di autori come Marx – Simmel – Weber, il consumo appare in grado di riflettere i
fenomeni e le dinamiche della società in cui si inserisce. Il paradigma dell’homo
oeconomicus, proposto dagli economisti neoclassici, sostiene che i consumatori sono
individui isolati che si approcciano al mercato sulla base del loro reddito e in base ai bisogni
considerati universali. Il modello del self interest teorizza un soggetto definito dall’agire
razionale rispetto allo scopo, motivato solamente dal perseguimento di interessi economici
tramite l’utilità, ossia la capacità dei beni di soddisfare i bisogni. Per la sociologia i
comportamenti economici sono, invece, il frutto del mutamento degli equilibri sociali. Con
l’interpretazione fornita da Marx la produzione produce l’oggetto del consumo, il modo di
consumo e l’impulso al consumo. Attraverso il concetto di alienazione egli giustifica
l’adattamento degli individui alle mutevoli esigenze della produzione; l’alienazione è una
condizione in cui gli individui sono dominati dalle forze che essi stessi hanno creato e si
contrappongono a loro come forze aliene. Simmel ritrova nella mobilità sociale e nei
rapporti tra classi ordinate gerarchicamente una delle chiavi di lettura del fenomeno della
moda proponendo due livelli di analisi:
-Imitazione-differenziazione: insita nel rapporto individuo società che si manifesta nel
conflitto e consenso esistente in ogni relazione sociale. La moda in quanto imitazione
permette un senso di appartenenza al gruppo, al contempo però, consente di porsi in
posizione antitetica al gruppo medesimo, apportando trasgressioni allo scopo di
differenziarsi.
-Rapporti tra classi: le classi superiori modificano le mode e lo stile di consumo per rendere
faticosa la rincorsa all’ascesa sociale.
Attraverso l’analisi degli autori classici si è pervenuti alla definizione dell’agire di consumo
come agire sociale dotato di senso, di un significato, socialmente comprensibile se collocato
nelle dinamiche della società industriale organizzata in classi e ceti dell’inizio del
Novecento.
3. Il consumo come linguaggio: pratiche e stili di vita
Dopo quasi settant’anni dall’opera di Veblen il tema del consumo torna a essere di grande
rilevanza collocandosi all’interno di una riflessione più ampia. Come affermano Horkheimer
e Adorno nell’opera “Dialettica dell’illuminismo”, il consumo è il fine ultimo a cui tende
l’industria culturale. L’industria culturale ha come scopo quello di portare la cultura alle
masse e le comunicazioni di massa hanno lo scopo di promuovere un adattamento
generalizzato al sistema sociale e sostenere il mercato invitando a consumare i prodotti
standardizzati, le merci, su cui si fonda il sistema capitalistico Baudrillard e Bourdieu, con
un’analisi critica del consumo, affermano che la vita degli oggetti non si esprime solo nella
loro materialità e nel loro uso, ma nel significato simbolico che essi hanno (studiano la vita
immateriale degli oggetti materiali). Così come il linguaggio non esiste per la necessità
individuale di parlare ma serve per assicurare la comunicazione tra soggetti, allo stesso
modo si scambiano oggetti-segni, cioè gli status symbol, per la loro capacità di comunicare
informazioni sulla posizione sociale e sulla differenza degli individui, dei gruppi e degli strati
sociali che entrano in relazione. La differenza deve cogliersi a partire dalla
manipolazione e dall’organizzazione degli oggetti-segni all’interno di specifiche
grammatiche di classe. È la sintassi che ordina la combinazione oggetti-segni, che funge da
elemento fondamentale di discriminazione tra le classi e gli individui. Ciò significa che il
codice che detta le regole cambia a seconda della diversa posizione delle classi nella
stratificazione sociale e dal livello culturale da esse posseduto. Il consumo come struttura di
scambio è un linguaggio universale a cui tutti possono accedere (Baudrilard ci parla di
consumo come alibi democratico) ma vi sono veri e propri dialetti di classe che si
contrappongono al linguaggio ufficiale. A sua volta, dietro i dialetti di classe, si nascondono
delle vere e proprie strategie di preservazione dello status delle classi superiori. Nel sistema
del consumo il rapporto con gli oggetti è mediato dal codice del proprio gruppo di
appartenenza che fa sì che gli individui all’interno del gruppo possano esprimere le loro
posizioni, le loro ambizioni e anche eventuali frustrazioni; forte è anche l’influenza della
semiotica per la quale sono le regole grammaticali a dare vita ad un linguaggio e a
precedere le singole parole. I singoli oggetti come singole parole, come segni, in un discorso
la cui significazione dipende dalla grammatica, ovvero dalle regole combinatorie che li
preesiste. Come asserisce Bourdieu, esiste un rapporto tra gusto e struttura di classe, quindi
tra gusto e differenze esistenti all’interno del sistema sociale che fondano il processo
sociale della distinzione che deriva dalle dimensioni complessive del capitale posseduto dai
soggetti delle varie classi (capitale economico-culturale-sociale).
-capitale economico, è quello legato alla ricchezza e alla professione;
-capitale cultuale, legato alla cultura acquisita all’interno dell’ambiente familiare e legato
alla cultura acquisita grazie al sistema educativo;
-capitale sociale legato al nome, al prestigio, alla reputazione, alla gloria, all’autorità.
Tra questi capitali c’è un rapporto di interdipendenza che mette in luce la differenza in un
primo livello dove le diverse classi possono suddividersi tra coloro che più usufruiscono del
capitale e coloro che ne sono sprovvisti; in un secondo livello invece c’è una
differenziazione all’interno delle stesse classi.
Poi, definisce il concetto di habitus come capacità di produrre pratiche e opere classificabili,
di distinguere e di valutare queste pratiche e questi prodotti e costituisce il gusto, mediante
il quale viene costruito un determinato immaginario sociale e un preciso stile di vita
L’habitus appare nella sua DIMENSIONE STRUTTURATA, nei termini in cui genera e
organizza pratiche e sia nella sua DIMENSIONE STRUTTURANTE, delimitando il campo delle
possibilità di pensiero e di azioni effettive.
4. Il consumo nella società individualizzata.
Negli ultimi anni la sociologia si è focalizzata sulla dimensione micro del consumo, piuttosto
che su quella macro delle strutture. L’esperienza del consumo, fondata sul piacere, sembra
rispondere a quella richiesta di senso che oggi gli individui non riescono a trovare in
maniera organizzata. Si tratta di una teoria del comportamento del consumo che,
indagando sulle motivazioni che conducono i consumatori alla scelta di acquisto, svela
ancora una volta una dimensione critica: la capacità del sistema capitalistico di
autoriprodursi.
CAPITOLO 12 LA CULTURA
1. Cultura e analisi culturale nelle scienze sociali
Il concetto di cultura nelle scienze umane è una categoria di giudizio, un concetto di valore.
La cultura è, secondo M. Arnold “quanto di meglio è stato detto e scritta dall’uomo”.
Parlare di cultura significa adottare un principio selettivo e elevarla a norma universale.
L’antropologia culturale che si interessa dello studio dell’uomo in quanto essere culturale
ha contribuito ancora di più a rendere problematica la nozione di cultura nella disciplina
sociologica. Gli antropologi si sono specializzati nello studio delle culture umane, culture al
plurale, per sottolineare la diversità e la pluralità dei modi di essere e di vivere degli uomini,
i sociologici, invece, si sono interessati allo studio delle strutture sociali e delle forme di
organizzazione sociale. Quindi agli antropologi era affidato lo studio dei sistemi culturali
mentre ai sociologi quello dei sistemi sociali. La cultura è l’oggetto fondamentale per la
sociologia perché, gli oggetti culturali popolano le nostre società e le nostre vite nella
società, pensiamo all’importanza che hanno i romanzi, i film, le canzoni, vestiti, i programmi
televisivi nelle nostre vite; quindi, viviamo in un mondo pieno di oggetti e immagini che
sono carichi di significati e di simboli. La cultura della società elementare, la società che una
volta era chiamata “primitiva”, era piena di oggetti e pratiche religiose, mentre la cultura
della società moderna si esprime nelle arti, nei media e nella moda. La divisione del lavoro
tra antropologi e sociologi è andata scomparendo quando le società primitive si sono
evolute e sono trasformate in società sempre più complesse e interconnesse. Pensiero
comune ai sociologi e agli antropologi è che non esiste STRUTTURA SOCIALE senza una
STRUTTURA CULTURALE e viceversa. La cultura è una costante fondamentale nella vita
sociale. Dove si attribuiscono significati, dove ci si chiede il senso delle cose e degli eventi lì
c’è cultura. Gli esseri umani esistono socialmente nella misura in cui interpretano e danno
senso al proprio agire e a quello degli altri, e così facendo producono e usano la cultura.
Lo scienziato sociale opera su due strutture quindi: sulla struttura sociale e su quella
culturale. Infatti, non ci può essere struttura sociale senza cultura, così non ci può essere
cultura senza struttura sociale.
2. L’invenzione del concetto di cultura in senso socio-antropologico
In senso socio-antropologico, le fonti del concetto di cultura sono due.
1)Il termine cultura è stato usato nella prima metà dell’Ottocento dai tedeschi che
definivano “kultur” per indicare ciò che in Francia veniva definita società.
Gustav F. Klemm, filosofo e storico, ha definito la cultura come categoria centrale per la
comprensione e ricostruzione della storia universale dell’umanità, secondo uno sviluppo
evoluzionistico unilineare fondato su tre stadi: lo stato selvaggio, l’addomesticamento e la
libertà. Tylor invece definisce la cultura in termini antropologici, affermando che la cultura è
quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il
costume e qualsiasi altra abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società.
Quindi con il termine “cultura” si intende quell’insieme complesso che l’uomo acquisisce e
conosce vivendo nella società attraverso il contatto sociale. Secondo questa linea di
pensiero, non tutte le società non partecipano alla cultura con lo stesso grado di perfezione.
2) La seconda fonte è da individuare nell’opera del filosofo post-illuminista Johann Gottfried
Herder che afferma che le società umane sono troppo diverse tra loro per far parte di un
unico processo lineare. Egli quindi afferma che gruppi sociali diversi hanno culture diverse.
Herder è il padre del RELATIVISMO CULTURALE. Herder è ricordato quindi per la sua teoria
di CULTURE DI POPOLI, al plurale, riconoscendo a queste culture tre principali
caratteristiche:
-l’essere comparabili e aperte alla contaminazione con altre culture;
-l’essere prodotti di un’interazione sociale, per cui la lingua gioca un ruolo fondamentale nel
costruire un mondo di senso e di sentimenti condivisi;
-l’essere trasmesse in fora di tradizione secondo lo sviluppo storico dell’umanità.
Lo storico Herder definisce due tipi di culture: una relativista e una universale. La
concezione relativista della cultura sta ad indicare i differenti modi di vivere e di pensare dei
popoli, ai loro costumi morali e caratteri nazionali; mentre la concezione universale indica il
livello generale di sviluppo delle facoltà umane. Le due accezioni herderiane di cultura
(relativista e universale) avranno come erede Alfred Weber.
3. Origini della sociologia culturale tedesca simmel, m. weber e a. weber.
La sociologia culturale tedesca trae le sue origini da due presupposti: la distinzione tra
natura e cultura, e la distinzione tra cultura e società. Queste due distinzioni non sono
due poli
Opposti ma anzi hanno elementi in comune quali:
-hanno in comune il concetto di SPIRITO, che è espressione dell’interiorità dell’uomo;
-hanno in comune l’idea che i fenomeni culturali non sono soggetti a leggi universalistiche
delle scienze naturali ma sono soggette ai mutamenti della società in cui si manifestano
Per Simmel sono due gli aspetti fondamentali:
La fondazione della sociologia come nuova scienza della cultura,
La fondazione della sociologia come nuova scienza della cultura, la tensione tra
cultura oggettiva e cultura soggettiva che sta all’origine dei processi di
individualizzazione della modernità.
La sociologia si presenta come una scienza “riflessiva” che indaga le forme di sociazione.
Queste si distinguono a seconda del numero e dell’intimità dei rapporti reciproci esistenti
tra persone. Il processo culturale della modernità si spiega secondo Simmel grazie a una
tensione creatrice (spirito soggettivo) che spinge l’uomo ad innalzare la qualità della
propria vita producendo “cose”. Con la crescita smisurata della cultura oggettiva aumenta
però anche la distanza di questa dallo spirito soggettivo fino a giungere a una loro
contrapposizione. Mentre la soggettività interiore è infatti sempre più frammentata, la
cultura oggettiva diventa sempre più organizzata in SFERE CULTURALI DI VALORE che
possiedono un senso proprio e si pongono come forze autonome. Nella metropoli, cuore
della cultura moderna, questa contrapposizione si sviluppa secondo una dinamica precisa:
quando aumentano gli stimoli esterni della cultura (esempio, i negozi con le merci, i
continui rapporti con gli sconosciuti ecc) così si ha un’intensificazione della vita nervosa
(spirituale) nell’uomo. Per proteggersi dall’eccesso degli stimoli esterni della cultura,
l’individuo sviluppa un atteggiamento BLASE’, CIOE’ SI DISTACCA EMOTIVAMENTE VERSO
CIO’ E VERSO CHI LO CIRCONDA. Il denaro è un esempio di questo processo di
oggettivazione culturale poiché trasforma le differenze qualitative in differenze
quantitative, diventando MEDIUM principale delle relazioni sociali urbane. Questo alla fine
produce nell’individuo, un desiderio di distinguersi che si esplicita in fenomeni di ordine
estetico come la moda e che si incarna soprattutto nella figura dell’eccentrico. Max Weber
si sofferma sull’idea DI RELAZIONE AL VALORE per indicare l’interesse umano verso
segmenti strappati dalla corrente degli avvenimenti del mondo e dotati di SENSO
INTERSOGGETIVO. Secondo Weber le scienze culturali sono interessate a realtà empiriche
che sono collocate all’interno di spazio e tempo, come ad esempio nazioni o epoche, che
diventano culturali quando vengono messe in relazione con idee al valore da individui
posizionati nella storia. Poiché le idee al valore sono mutevoli e non si possono spiegare
attraverso le leggi di casualità deterministica, è necessario allora limitarne l’arbitrarietà.
Questa funzione di limitazione è offerta dagli idealtipi, che sono modelli costruiti su
elementi concreti della realtà che il pensiero astrae e mette insieme in immagini di senso.
Negli studi sul protestantesimo, Weber mette in relazione due fenomeni culturali: l’etica
protestante e lo spirito del capitalismo. Secondo Weber l’etica protestante ha in sé sia lo
spirito capitalista che lo spirito della modernità poiché porta gli individui verso una
CONDOTTA DI VITA RAZIONALE, che si fonda sull’idea di professione. Quindi l’elemento
cardine della cultura moderna occidentale è la crescente razionalizzazione in ogni ambito
della cultura. Alfred Weber, fratello minore di Max, pone l’attenzione sui due concetti di
cultura relativista e universale di Herder, influenzato dalla forte contrapposizione
nell’Ottocento tra il concetto di civilizzazione e quello di Kultur, la civilizzazione diventerà il
carattere dell’artificiosità della cultura francese mentre la Kultur sarà sinonimo
dell’autenticità dello spirito del popolo tedesco. Secondo Alfred i processi di civilizzazione
seguono un percorso lineare del progresso (tecnico scientifico), mentre i movimenti
culturali (kultur) seguono l’evoluzione della coscienza umana verso stadi sempre più
consapevoli e riflessivi dell’io.
4 In America
La tradizione herderiana avrà come massimo esponente l’antropologo Franz Boas,
antropologo nato in Germania e poi emigrato negli Stati Uniti che diventerà la figura di
spicco di tutta l’antropologia culturale americana. Per Boas, le caratteristiche culturali delle
differenti popolazioni sono da ricondurre a cause esclusivamente culturali. La teoria si basa
sulla società americana del XX secolo dove il concetto di cultura era influenzato da nozioni
di tipo biologico-raziale, da cui Boas prende subito le distanze. Egli critica anche la teoria
dell’evoluzionismo culturale di Tylor, dove afferma che le società con simili modelli culturali
si trovano a un simile stadio di evoluzione. Boas non è interessato a trovare delle leggi
universali che governano i processi culturali ma vuole cercare di comprendere i singoli
processi storici delle culture. Questo tipo di approccio consente di comparare differenti
culture e fare delle generalizzazioni sulla base di casi etnografici ben definiti. Si guarda
quindi alle pratiche degli individui in uno specifico contesto socio-culturale e a come gli
individui si comportano verso l’ambiente naturale, verso gli altri gruppi, verso i membri
del proprio gruppo e se stessi.
La teoria culturale di Robert Ezra Park ha origine dall’osservazione della città di Chicago nei
primi decenni del Novecento. Chicago, infatti, è una metropoli caratterizzata da un mosaico
di popolazioni e culture urbane segregate. Per Park questi differenti mondi tendono a
integrarsi secondo quattro processi distinti: competizione, conflitto, accomodamento e
assimilazione, così la vita urbana sembra essere un complicato tessuto di relazioni sociali.
Questa complessità rilancia da un lato la questione dell’ordine sociale (dei comportamenti
devianti rispetto ai modelli di vita sociale normali) e dall’altra offre ai singoli degli stimoli e
un senso di libertà. Per capire la vita delle metropoli Park ci parla dell’uomo considerato
marginal man (uomo marginale), che è il prodotto dei processi di immigrazione e
acculturazione che avvengono all’interno della metropoli. Il marginal man non è né un
emarginato né un outsider ma è colui che vive ai confini di una cultura ed è a contatto con
altre culture, tra loro diverse e potenzialmente antagoniste. Il marginal man ricopre nello
stesso momento sia il ruolo di cosmopolita che quello dello straniero. A differenza
dell’uomo simmeliano però l’uomo marginale non assume una posizione di osservatore
distante dalla società in cui vive, ma incorpora una situazione di passaggio dalla propria
cultura di origine a quella di arrivo. La sua assimilazione culturale non si risolve con
l’assorbimento nella cultura dominante, ma semplicemente la sua esperienza urbana sui
generis diventa con il tempo normale. In questo senso quindi l’uomo marginale è
considerato agente di cambiamento culturale perché è espressione non solo di una nuova
soggettività, ma anche di una nuova forma di vita moderna, segnata da crisi e mutamenti
continui che Park chiama URBANITA’.
Negli stessi anni in cui opera Park, Talcott Parsons, il più importante esponente dello
struttural-funzionalismo americano, costruisce la sua teoria DELL’AZIONE SOCIALE. Parsons
riprendendo la teoria di Weber sull’agire come “intenzionalmente orientato verso uno
scopo”, trasforma la relazione scelta-valore dell’azione dove la relazione è di tipo
NORMATIVA. Gli attori sociali hanno una limitata possibilità di scelta all’interno di un frame
di norme e valori che condividono con gli altri membri della società, per cui l’integrazione
sociale risulta dal comportamento umano. Parsons nell’opera The social system, rielabora
questa teoria affermando che il sistema culturale è quell’insieme di valori, credenze e
simboli che svolge la funzione di mantenere o ristabilire l’ordine sociale. A questo sistema
culturale sono da ricondurre anche i comportamenti normativi degli attori che agiscono
secondo le aspettative reciproche legate ai ruoli che ricoprono all’interno della società.
Parsons affronta anche il rapporto tra società e cultura, cioè tra sistema culturale e sistema
sociale, dove riconosce alla cultura gli elementi dell’astrattismo e la riduzione dei significati
culturali a schemi normativi predeterminati dal sistema culturale della società.
Un altro importante antropologo che definisce il sistema culturale è Clifford Geerz, che non
considera la cultura come un sistema di adattamento normativo degli individui alla società
ma la cultura è una rete di significati attraverso cui gli attori costituiscono un ordine di
senso che fa da fondamento alle loro pratiche. L’etnografia si occupa di portare alla luce la
gerarchia delle strutture di significato che si sono insediate nel tempo. Geerz infine,
distingue tra diversi livelli di comprensione: il senso comune, che è vicino all’esperienza
diretta, il pensiero scientifico, che si basa sull’astrattezza e sulla riflessività, e il pensiero
estetico, che trova espressione attraverso il linguaggio metaforico.
5. Cultura e analisi culturale nel marxismo.
Marx basa la sua teoria sulla cultura sulle fondamenta della teoria hegeliana. Marx ci parla
di materialismo storico basato sulle teorie di Hegel. Per Hegel ‘umanità, dopo aver scoperto
la propria spiritualità, si aliena ad essa nella natura, per tornare infine su se stessa in forma
di “spirito assoluto”. La materia del mondo (natura), è quindi solo una tappa del processo
dello spirito. Per Marx questo rapporto si deve invertire. La storia dell’umanità non è il
riflesso di un’idea assoluta che si dispiega nel tempo, ma dipende dall’evoluzione dei
rapporti di produzione. Questi costituiscono la struttura della società, mentre le forme
religiose, politiche e filosofiche (in breve la cultura) ne rappresentano la sovrastruttura,
sono cioè il prodotto delle forze materiali di produzione che stanno alla base. Marx
sottolinea anche l’importanza della dimensione simbolica: le stesse merci, come il denaro,
sono riconosciuti nel loro carattere di feticcio, ed è in questa loro forma immaginaria che
sono oggetti di adozione da parte degli uomini, cioè dei loro umani produttori e
consumatori, snza che questi siano consapevoli della loro genesi umana. Marx chiama tutto
questo REIFICAZIONE, cioè la trasformazione che si opera nelle coscienze umane dei
rapporti tra persone. La dimensione simbolica in questo caso può contribuire alla
riproduzione dell’ordine sociale fintanto che esso riflette le strutture materiali, economiche
e produttive attraverso cui gli uomini si garantiscono la loro sopravvivenza appunto
materiale, fisica, organica e corporale.
Sulla base del materialismo storico di Marx si sono sviluppate tre prese di posizione che
hanno una caratteristica in comune: denunciare il determinismo economico.
Il primo è l’italiano Antonio Gramsci, che parla del concetto di egemonia. Per Gramsci nelle
società, l’egemonia della classe dominante non è assicurata solo da apparati coercitivi, ma
soprattutto da apparati ideologici, quali la scuola, l’arte e la letteratura. Queste fanno da
struttura e da sostegno a quelle che Gramsci definisce senso comune, o folklore, cioè una
sorta di “filosofia spontanea” delle classi subalterne, che è come un conglomerato
incoerente di frammenti di visioni del mondo che hanno origine da varie epoche storiche. Il
senso comune può essere scalfito perché non risponde a nessuna legge di natura, ma
piuttosto costituisce la coscienza più superficiale che deriva da quanto è stato fino ad allora
assimilato in modo acritico. Gramsci riconosce poi alle masse una seconda coscienza, il
buon senso, che si manifesta sono occasionalmente e in modo improvviso nelle attività e
azioni favorendo così delle rotture nel corso della storia. La teoria marxista viene ripresa
anche in Germania, da un gruppo di studiosi della scuola di Francoforte. Questi affermano
due punti fondamentali.
1) l’idea che i sistemi di pensiero sono strutture della coscienza spiegabili solo in relazione a
definite posizioni sociali e a una determinata epoca.
2) la dialettica è un processo aperto, per cui non esiste conciliazione tra pensiero e
condizioni materiali dell’esistenza. Adorno ci parla di INDUSTRIA CULTURALE. In quanto
questa trasformerebbe i beni culturali, beni spirituali per antonomasia, in merci
standardizzate, pensate intenzionalmente per essere consumate dalle masse che trovando
in esse facili strumenti di evasione e intrattenimento garantiscono ingenti profitti ai loro
produttori. Adorno parla di acquisizione di cultura che è un processo di appropriazione che
attraversa un lungo processo di apprendimento e ha come fine l’autonomia del soggetto.
L’industria culturale fa avvicinare i soggetti alla cultura in modo facile attraverso l’acquisto
di standardizzati beni semi-culturali, che usufruiscono in modo parassitario del prestigio dei
beni culturali senza condividerne la loro funzione critica. Negli anni Sessanta e Settanta in
Gran Bretagna, nell’Università di Birmingham nascono i cultural studies. Questi hanno come
idea di fondo che le merci culturali (in particolare, i prodotti massmediatici) operano come
“testi” insiemi polisemici e multivocali dei segni, e quindi siano pertanto aperte alle
interpretazioni più disparare da parte di differenti pubblici. Il termine cultura per i cultura
studies non ha un’accezione umanistico o estetico bensì politico.
6. La tradizione francese: da Durkheim a Bourdieu
A partire dagli anni Sessanta e Settanta dalla Francia arrivano nuovi stimoli e nuovi impulsi
sul ripensamento del concetto di cultura. Nelle scienze sociali francesi del XIX secolo,
all’interno dell’Illuminismo, il concetto di cultura è poco usato e limitato alla sua versione
più elitaria come spirito di individui “colti”, mentre dominanti sono il concetto di
universalista di “civilizzazione” Emile Durkheim padre fondatore della sociologia e
dell’antropologia francese, non usa mai il concetto di cultura. Per Durkheim i fenomeni
sociali hanno una dimensione culturale in quanto sono allo stesso tempo “fenomeni
simbolici”. Per Durkheim ogni civiltà contribuisce alla civilizzazione umana, respingendo
così ogni differenza per natura tra primitivi e civilizzati. Durkheim definisce la
civilizzazione come RAPPRESENTAZIONE COLLETTIVA. Per rappresentazione collettiva si
intende il prodotto di credenze e convinzioni condivise che fano da collante tra i membri
di una società. Ispirando sentimenti di solidarietà e unità organizzano le relazioni sociali tra
individui, come nel caso della religione. Per Durkheim, infatti, la religione è un insieme di
credenze e pratiche religiose che cementificano una comunità di credenti delimitando
uno spazio-tempo sacro, distinto da quello quotidiano nel quale i membri della comunità
proiettano inconsciamente l’immagine idealizzata della società stessa. Le rappresentazioni
sociali mediano il rapporto tra cultura intesa come sistema di categorie mentali e
classificazioni simboliche, e società intesa come struttura del gruppo sociale. La cultura
nella concezione durkhemiana non è un semplice specchio o riflesso della società (come
nella concezione marxista), ma è una rappresentazione collettiva con una propria
dinamica e logica, sia perché è prodotta da individui che si relazionano ad altri individui,
sia perché rappresenta e quindi rende presente a quegli stessi individui, l’esperienza
collettiva e i sentimenti del gruppo sociale a cui essi appartengono.
La cultura quindi è per D. quello che consente al gruppo sociale di esistere dentro e fuori
le coscienze individuali e di persistere a riprodursi nel tempo.
La concezione di cultura accolta dal movimento intellettuale dello strutturalismo francese
affonda le radici nel pensiero durkheimiano. Lo strutturalismo francese presenta sei
caratteristiche essenziali.
1. Distingue tra un livello profondo di realtà e uno superficiale che è determinato dal
primo;
2. 2. Il livello profondo è strutturato: la priorità è qui data all’organizzazione degli
elementi piuttosto che a essi presi singolarmente;
3. La struttura ha carattere oggettivo e necessario;
4. La struttura è più importante dei processi;
5. La struttura è più importante delle azioni che vengono spiegate attraverso la struttura
stessa (sono cioè determinate dalle sue reti di relazioni);
6. La cultura è un linguaggio da decodificare.
Principale esponente dello strutturalismo francese è l’antropologo Cloude Levi- Strauss per
il quale il linguaggio è la condizione stessa di possibilità della cultura: quindi non solo il
linguaggio è cultura, ma la cultura è linguaggio e funziona come linguaggio. La cultura è
ciò che sottrae l’umanità dal caos: organizza l’esperienza del mondo secondo regole che
sono radicate nella mente umana. Le istituzioni sociali (dal matrimonio ai riti locali, dai miti
alla cucina) vengono generate dall’organizzazione di categorie universali (freddo-caldo,
crudo-cotto, terra-cielo), secondo un codice oppositivo binario. Quindi culture differenti si
sviluppano da uno stesso sistema di unità elementari e seguono leggi universali che
regolano le strutture profonde della mente umana.
La teoria di Bourdieu nasce dalla contaminazione e dalla combinazione di elementi
durkheimiani e weberiani discostandosi sia da una visione funzionalista della cultura, la
quale presuppone codici simbolici già dati attribuendogli una funzione integrativa, sia da
un determinismo economico per cui la cultura è una sovrastruttura simbolica che deriva
da una struttura economica. Lo strutturalismo di Bourdieu è detto STRUTTURALISMO
GENETICO perché si riferisce alla dimensione storica dei fenomeni sociali e culturali. Dallo
strutturalismo classico Bourdieu ne conserva il PRINCIPIO DI RAZIONALITA’, per cui i
significati non sono mai intrinseci ma sono sempre legati al sistema da cui sono stati
generati, come le parole hanno significato solo rispetto alla lingua di cui sono elementi). B.
come Durkheim usa poco il termine “cultura”, ma lo scompone in più termini quali: habitus,
pratica, capitale culturale, doxa. Con il termine HABITUS, B. indica una GRAMMATICA
GENERATIVA di pratiche sociali che orienta il comportamento degli attori secondo schemi
interpretativi e di classificazione inconsci, divenuti una seconda natura, che sono stati
appresi nei primi anni di vita ma la cui origine è stata dimenticata. Habitus è strumento di
conoscenza pratica, che consente di elaborare strategie, adattarsi a nuove situazioni tutto
secondo le possibilità che ci viene offerto dalle strutture costitutive dell’ambiente in cui si
è formati e in quello in cui ci si trova ad operare. L’ambiente delle società moderne si
presenta sempre più differenziato in spazi sempre più specializzati (quello economico, quello
politico, quello religioso, quello scolastico, quello artistico). Gli agenti a questo punto, si
muovono all’interno di campi secondo il proprio habitus, per il mantenimento o il
miglioramento della propria posizione sociale in essi. La struttura sociale di ciascun
“campo” è così definita da relazioni oggettive, ossia dai rapporti di forza tra gli attori
sociali o classi di attori sociali che occupano una posizione simile. Quindi il concetto di
campo serve per definire una struttura sociale gerarchica e conflittuale mentre l’habitus è
quel dispositivo che consente la riproduzione ma anche il cambiamento. Bourdieu afferma
che le posizioni degli attori sono definite sia in base alle risorse economiche, sia in base alle
risorse culturali che questi hanno a loro disposizione. Il CAPITALE CULTURALE è ciò di cui
dispongono gli attori in relazione alla sfera culturale e si presenta in tre orme: capitale
culturale incorporato, espresso principalmente attraverso l’habitus e legato all’ordine
sociale; capitale culturale istituzionalizzato, espresso sotto forma di titoli scolastici, e altre
certificazioni; capitale culturale oggettivato espresso in beni e oggetti culturali (dai libri ai
dischi) di cui si dispone. La DOXA è l’oggettivazione del punto di vista
dominante sul mondo sociale, così il sistema di gerarchie, di preferenze e convenzioni
sociali egemoni viene naturalizzato cioè dato per scontato. Il MONDO SOCIALE non è
percepito come luogo di conflitto tra gruppi differenti con interessi antagonisti, quanto
invece è considerato come un ORDINE SOCIALE. Attraverso la doxa viene legittimata la
riproduzione della struttura sociale esistente. Quindi è interesse dei membri della classe
dominante, affinché mantengano la loro autorità e il proprio prestigio, questa non deve
essere messa in discussione.
7. Lo studio della cultura nella sociologia contemporanea.
Lo studio sociologico contemporaneo della vita culturale si basa su due prospettive
analitiche. La prima è quello dello studio dei processi e dei meccanismi che regolano la
produzione e il consumo di oggetti e beni culturali siano essi romanzi, fumetti, opere d’arte,
programmi televisivi ecc. Questa prospettiva si basa su ciò che sta a monte e a valle dei
contenuti simbolici. La seconda che è basata su una sociologia culturale più radicale, entra
nella trama dei significati che costituisce la sfera culturale riconosciuta come dimensione
costitutiva e più profonda della vita sociale in ogni sua forma, inclusa quella della
materialità economica e politica.