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LUIGI PIRANDELLO

Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867 da famiglia benestante della borghesia commerciale.
Nel 1887 si trasferisce a Roma e studia alla facoltà di Lettere. Nel 1892 è introdotto da Luigi
capuana nell'ambiente letterario romano. La sua vita è molto turbata sia dal instabilità economica
dell'azienda del padre e sia dalla malattia della moglie, sofferente di gravi squilibri mentali. Ha
raggiunto molto successo come drammaturgo e, dopo aver vinto il premio Nobel nel 1934, muore
a Roma nel 1936. Pirandello rivolge la sua attenzione alla solitudine dell'individuo, alla sua
impossibilità di comunicare con gli altri, all'incoerenza e all'imprevedibilità dei rapporti umani e
sociali. È in questo modo che è riuscito a rappresentare il dramma del contrasto che c'è tra la
sostanza e l'apparenza, tra la verità e la convenzione. Ogni individuo possiede o crede di
possedere la propria verità, conosce o crede di conoscere la propria porzione di realtà, ma non è
altro che abbindolato dall’illusione delle leggi sociali. Il personaggio dei romanzi di Pirandello è un
personaggio che perde la propria identità, che diventa isolato, dissociato, sconosciuto anche a sé
stesso. All'autore spetta di denunciare questa condizione discordante, di prendere coscienza di
questa profonda crisi esistenziale. I principali romanzi sono:
 “L'esclusa” pubblicato nel 1901: in questo romanzo la protagonista Marta pubblicamente
disonorata e scacciata da casa dal marito per un adulterio non commesso è infine riaccolta a
casa quando l'adulterio è stato consumato proprio con l'amante che le era stato attribuito.
 “Il turno” pubblicato nel 1902: Stellina, figlia di Don Marcantonio, viene data in sposa a don
Diego, vecchio e ricco mentre il giovane Pepè, ricambiato da Stellina, deve aspettare il proprio
‘turno’, che non tarderà data l’età di don Diego. Don Diego però accanto alla giovane, si
rianima, è vispo e arzillo, ma Stellina non si rassegna a questo matrimonio e interviene
l'avvocato Ciro Coppa che riesce a far annullare le nozze per vizio di consenso. Pepè si fa
avanti speranzoso, ma Stellina si sposa con l'avvocato. Occorre avere ancora pazienza; il
turno di Pepè arriverà con la morte improvvisa di Ciro.
 “Il fu Mattia Pascal” pubblicato nel 1904: è suddiviso in 18 capitoli e composto in prima
persona, narra la paradossale avventura di Mattia Pascal, un provinciale siciliano che per
vivere fa il ‘guardiano dei libri’. Il suo ambiente è intollerabile con moglie ostile e suocera strega
tanto che scappa in America. A Montecarlo alcune vincite alla roulotte lo rendono ricco.
Durante il viaggio di ritorno verso casa legge sul giornale che al suo paese è stato trovato un
cadavere e identificato con il suo nome. Decide così di ricominciare da zero assumendo il
nome di Adriano Meis, si innamora di una ragazza, che lo ricambia e vuole prendere dimora a
Roma ma all'anagrafe il suo nome non esiste e non può quindi affittare né casa né sposarsi.
Decide, quindi di fingere un suicidio e di ritornare al paese natale. Ritrova le cose molto
cambiate la moglie si è risposata ed è madre, per strada nessuno lo riconosce e ora dunque si
chiede chi è realmente. In realtà non è più nessuno, è uno straniero nel mondo dei vivi è ‘il fu
Mattia Pascal’ perché può solo riconoscersi in quello che è stato, e recarsi in visita alla propria
tomba.
 “Suo marito” pubblicato nel 1911 : illustra la situazione familiare di una giovane scrittrice
Silvia Roncella, moglie di un impiegato; con il successo di Silvia, il marito diviene abile e dotato
di fiuto per gli affari, tratta con gli editori e i giornalisti per far fatturare al meglio le opere di sua
moglie. Questo suo darsi da fare come agente pubblicitario attira la malignità dei colleghi di
ufficio che lo chiamano ‘Roncello’. Visto il ridicolo della situazione, Silvia decide di allontanarsi
dagli uffici, separandosi anche dal marito. I due coniugi vanno quindi incontro all'infelicità, lui
deriso per il suo impegno manageriale fallito, lei ferita in qualità di moglie.
 “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” pubblicato nel 1925: accusa la tecnologia e il
progresso della società industriale e rileva l'alienazione della vita dominata dalla macchina. È
un romanzo in prima persona tracciato dal protagonista stesso e si affida alla voce narrante di
Serafino Gubbio, che è un operatore cinematografico che registra la realtà con occhio tecnico
della sua macchinetta, fino a meccanizzarsi anche lui, ridotto ad uno strumento. Il tema
riguarda anche l’arte, diventata con il cinema pura riproduzione automatica di immagini
artificiali delimitate al regno delle apparenze e condizionate dalle esigenze del mercato.
Serafino Si accorge della pericolosa falsità di questo mondo apparente, ma inevitabilmente ne
resta coinvolto, tanto da non riuscire più a comunicare viene colpito dal mutismo.
 “Uno, nessuno e centomila” pubblicato nel 1926: Ci pone dinanzi ad una rottura della
personalità del protagonista Vitangelo Moscarda. Egli è un sereno benestante signorotto di
provincia, ventottenne che resta turbato una mattina dalla banale osservazione fatta dalla
moglie riguardo il suo naso che secondo lei pende a destra. Questa banale osservazione fatta
dalla moglie, lo fa riflettere e smentire l'immagine che egli stesso ha avuto di sé finora. Col
passare del tempo, Vitangelo crede di essere visto in modo diverso da ogni persona: smarrisce
così la propria personalità nel numero infinito di quelle che il mondo esterno gli attribuisce.
Credeva di essere ‘uno’, un individuo unico e invece era finito per essere ‘centomila’ perché
possedeva tante opposte identità, ovvero quelle che gli altri gli assegnano. Dopo questa
scoperta finisce per riconoscersi come ‘nessuno’ perché non può che identificarsi in una
molteplicità di identità senza limite. Decide di dare un nuovo corso alla sua vita tra tante
vicende, e finendo con l'essere creduto pazzo. Viene lasciato dalla moglie e sceglie di vivere in
un ospizio di mendicanti fondato da lui stesso. Qui, rinunciando all' integrazione nella società,
trova la sua libertà, perché proprio dalla moglie, dalla società, dagli amici e dal lavoro
dipendeva il suo malessere.

Nel saggio “Umorismo” pubblicato nel 1908, Pirandello da un’elaborazione teorica del proprio
sistema intellettuale attraverso cui vengono evidenziati i procedimenti con i quali lo scrittore
‘umorista’ giunge a cogliere le contraddizioni più segrete della realtà. A tale scopo viene introdotta
la distinzione tra l'avvertimento del contrario e il sentimento del contrario. Racconta di un’anziana
signora tutta preparata, truccata e goffamente vestita con abiti giovanili. L’autore avverte che
quella signora è il contrario di ciò che dovrebbe essere, ovvero una rispettabile signora di
quell’età. A questo punto sottolinea questa sua prima e superficiale impressione comica:
avvertimento del contrario. Ma poi procede con il racconto: inizia a riflettere sul motivo per il
quale la signora si presenta in quel modo, pensa che forse la signora non lo fa con piacere ma lo
fa pensando che in quel modo forse riesce a nascondere le proprie rughe e a tenersi stretto suo
marito che è molto più giovane di lei. Allora capisce Pirandello che non può più ridere della
signora perché la riflessione lo ha fatto andare oltre ciò che avvertiva all'inizio. Dall’avvertimento
del contrario è passato al sentimento del contrario. Ed è questa, ci spiega Pirandello, la
differenza tra il comico e l'umorismo.

Pirandello si dedica anche alle novelle scrivendo “Novelle per un anno” formato da 237 racconti. Il
lettore è posto davanti ad una vasta serie di situazioni, di condizioni sociali, di paesaggi e di tipi
umani.
Si dedica anche al teatro: una svolta significativa, si ha con la trilogia di quello che è definito
“Teatro nel teatro” con “Sei personaggi in cerca di autore” (1921), “Ciascuno a suo modo” (1924)
e “ Questa sera si recita a soggetto” (1920). In questi drammi è denunciata l’inadeguatezza
dell’impianto teatrale tradizionale che vuole riprodurre naturalisticamente la realtà sulla scena. La
realtà è inconoscibile, la vita stessa è una commedia in cui ognuno recita la propria parte.
Introdurre la propria vita sulla scena vuol dire fare “Teatro nel teatro”. A queste opere si sussegue
un nuovo capolavoro “Enrico 6°”, che rappresenta un giovane nobile che partecipa per carnevale
ad una cavalcata in costume, vestito proprio da Enrico sesto imperatore della Germania. Durante
la festa cade da cavallo e batte la testa, impazzendo. Così inizia a identificarsi con la figura che
stava rappresentando ovvero Enrico sesto e pretende che tutte le persone che gli sono intorno gli
portino rispetto. La famiglia asseconda questa pazzia e trasforma una villa appartata in una
Reggia, dopo 12 anni il giovane ritorna in sé, ma scopre che la sua amata Matilde nonché
compagna di quella cavalcata è diventata moglie del barone Tito suo rivale e responsabile della
sua caduta da cavallo. il giovane decide di farsi credere ancora pazzo per non tornare alla vita di
prima. A questo punto inizia il dramma, con la visita di Tito e Matilde e la loro figlia ad Enrico, la
situazione subito precipita fino al finale tragico dove Enrico in un momento violento uccide Tito.
Così il finto imperatore si trova con la necessità di continuare a fingere per il resto della sua vita ,
costretto a portare per sempre la maschera. Il protagonista di questo dramma è molto diverso da
Mattia Pascal, egli voleva fuggire dalla sua vita normale per costruirsene una diversa smarrendo
così la propria identità, il destino di Enrico invece è molto diverso non è umoristico ma tragico.
Atti unici: la forma drammaturgica dell'atto unico si ferma nell'ultimo ‘800. 13 sono gli atti unici di
Pirandello di cui ricordiamo “L’uomo dal fiore in bocca” è stato rappresentato per la prima
volta nel 1923 a Roma; il fiore di cui parla il titolo si riferisce in realtà ad un tumore maligno, che si
è annidato sulle labbra di quest'uomo. La scena è molto semplice: i tavoli di un caffè, gli alberi di
un viale. È notte fonda: un viaggiatore ha perso il treno, e deve attendere il prossimo, che arriverà
dopo diverse ore. La sua attesa è interrotta dalla conversazione con uno sconosciuto (L’uomo dal
fiore in bocca), che gli rivolge strani discorsi. Il viaggiatore dichiara solo la propria rabbia per i
piccoli inconvenienti che hanno modificato la propria giornata, molte faccende da sbrigare, si è
ritrovato senza chiavi di casa e il treno perso per un minuto di ritardo. Quello che parla quasi
ininterrottamente è proprio lo sconosciuto, mentre il viaggiatore si limita ad intervenire qua e là. È
chiaro che lo sconosciuto ha un'enorme bisogno di parlare, di comunicare con qualcuno. C'è
anche un terzo personaggio, che costituisce una sorta di presenza muta: si tratta della moglie
dello sconosciuto signore, che segue di nascosto le mosse del marito, senza lasciarlo solo un
istante, per cercare di dimostrargli il proprio affetto. Ma invano: lo sconosciuto rifiuta questa
dedizione ostinata da parte della moglie, che rappresenta per lui un ostacolo al continuo tentativo
di dimenticare la propria condizione di un uomo destinato ad una rapida morte. Come potrebbe
egli dimenticare, quando legge ad ogni istante negli occhi di lei la verità? In realtà, quello che è
l'uomo dal fiore in bocca cerca di evitare è proprio il fatto di dover comunicare con qualcuno. La
sua speciale condizione lo isola dagli altri, lo chiude in una severa solitudine. Egli vorrebbe poter
dimostrare a sé stesso che la vita è sciocca e vana, in modo da rendere meno duro il proprio
distacco dal mondo; ma ad ogni istante egli non fa che scoprire la bellezza della vita che gli si
mostra in tutte quelle infinite cose apparentemente insignificanti che riempiono ogni momento
della nostra esistenza (si sente con quanto amore egli descrive gesti delle commesse dei negozi,
ho il modo di mangiare le albicocche). Dunque, è proprio da questa disperazione che nasce la sua
insofferenza nei confronti dell'unica persona ovvero la moglie che saprebbe dargli vero affetto e
vera partecipazione alla sua sofferenza. Ed ecco allora che tutto il suo fitto colloquiare col
viaggiatore si rivela per quello che è: una finta disposizione al dialogo, che nasconde in realtà la
sua tenace ostilità a tutto e a tutti , ed il suo rifiuto ad instaurare col prossimo un rapporto sincero
di comunicazione. La sua vivissima curiosità, l'apparente allegria con cui egli segue i più minuti
fatti dell'esistenza quotidiana, non implicano una sua attiva partecipazione a quella gioia del vivere
che si riflette in tutte le cose che lo circondano; al contrario, esse indicano solo il suo disperato e
solitario tentativo di restare attaccato alla vita, ‘come un rampicante alle sbarre di una cancellata’.

Il linguaggio pirandelliano è cristallino e colloquiale, basato su un lessico quotidiano con inserti di


tipo giornalistico, senza alcuna ambizione di eleganza o di ricercatezza formale.

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