ALESSANDRO MANZONI
Alessandro Manzoni nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da Giovanni Verri, ma il
padre anagrafico è il Conte Pietro Manzoni, il quale si separa legalmente dalla moglie Giulia nel
1792 ma avrà comunque un ruolo nell'educazione e negli affetti di Alessandro. Avrà una vita lunga
e vivrà negli anni dei moti risorgimentali dell'unità d'Italia. Sarà proprio lui a fornirci la lingua che
parliamo oggi. Si forma nei collegi milanesi e riceve un'educazione cattolica e clericale; proprio per
questo avrà un rigetto di tutta questa religiosità nel corso della sua vita. In seguito alla
separazione dei genitori, nel 1805 Manzoni ventenne raggiunge la madre a Parigi ed è per questo
che sarà legato ai salotti letterari francesi, i salotti illuministi e nello stesso anno, dopo la morte
dell'uomo amato dalla madre scriverà il carme “In morte di Carlo Imbonati” pubblicato poi nel 1806
. Nel 1807 conosce Enrichetta Blondel di famiglia protestante e la sposa a Milano nel febbraio
1808 con rito calvinista, da cui avrà 10 figli. Nel 1810, a seguito di alcune vicende personali
Enrichetta e Manzoni rinunciano al protestantesimo e il matrimonio viene celebrato secondo il rito
cattolico. Nel cristianesimo sentiamo il sentimento della collettività, esso doveva essere praticato
più che predicato, doveva fornire agli uomini valori etici per vivere correttamente sotto il segno
della giustizia. Nel 1810 Manzoni ritorna in Italia e inizia la stesura dei 5 “Inni sacri”, “La
Resurrezione”, “Il nome di Maria”, “La Passione” e “La Pentecoste”, terminata nel 1822,
caratterizzata da un tono di rimprovero e nella quale si celebra la discesa dello Spirito Santo. In
questo inno vi è un'immagine della Chiesa come l'autore stesso voleva ovvero un'idea del
cristianesimo primitivo visto come uno strumento di vita. La Pentecoste celebra la discesa
miracolosa sugli apostoli dello Spirito Santo dopo 50 giorni dalla resurrezione di Cristo. Il miracolo
assume un particolare significato per Manzoni, in quanto è un miracolo che ha a che fare con la
comunicazione umana, e con le relazioni tra gli uomini. La discesa dello Spirito Santo istituisce la
Chiesa, cioè la comunità dei fedeli, Manzoni vuole fare parte di questa comunità, perché solo nella
collettività dei fedeli si può trovare una vera armonia e una vera realizzazione dell'individuo, che,
in questo modo, può opporsi alla frammentazione della storia. L'inizio dell'inno è drammatico:
viene ricordata la situazione della Chiesa dopo la morte di Cristo. La prima parte dell'inno, quindi,
si concentra sulla situazione di sbandamento della Chiesa delle origini. La sua discesa, per
Manzoni, comporta un rinnovamento profondo della società, che si esprime in una dimensione di
reale ed effettive uguaglianza, attraverso l'amore di Dio. L'inno Pentecoste per essere compreso a
fondo va confrontato con un altro testo del 1821, il Cinque Maggio. In questo componimento
l'autore aveva tematizzato il massimo della grandezza umana e il suo fallimento: Napoleone nella
sua grandezza e potere, aveva fallito. La morte comporta il fallimento di ogni dimensione umana,
se non rapportata alla dimensione dell'eterno. La Pentecoste sancisce che il vero eroismo è quello
del quotidiano, delle imprese della Chiesa, che è la comunità delle persone. La conclusione
dell'inno presenta una preghiera allo Spirito Santo. Nel decennio successivo scrive le due tragedie
“Il Conte di Carmagnola” pubblicata il 1820, e “l’Adelchi” pubblicata nel 1822. Scrive negli
stessi anni le Odi Civili: “Marzo 1821” e il “ Cinque maggio” pubblicate nel 1821. Nel 1823
termina la prima stesura del suo romanzo intitolato “Fermo e Lucia” successivamente poi
intitolato “I Promessi Sposi” e pubblicato nel 1827, anche se l'edizione definitiva dei promessi
sposi appare a dispense a Milano tra il 1840 e il 1842. Enrichetta muore nel 25 dicembre del 1833
e il poeta tenta invano di dare voce allo strazio di questa perdita nei versi disperati dell'incompiuto
“Natale 1833”. Manzoni muore a Milano il 22 maggio 1873.
Per molti versi l'autore ha lo stesso animo di Foscolo; la sua è una scrittura eticamente orientata
perché il fine è quello di essere utile a qualcosa. Per Manzoni l'opera devi avere il vero per
soggetto, l'interessante per mezzo e l'utile per scopo. La scrittura deve avere una finalità etica,
deve servire a formare la coscienza nazionale e ad insegnare i valori positivi derivanti dal
cristianesimo.
Quella di Manzoni è una concezione democratica: la historia è fatta dalle ‘genti umili et
meccaniche’ ovvero la storia appartiene a tutti. L’autore guarda alla storia contemporanea
cercando di dare una soluzione.
Manzoni si dedica alle tragedie che comportano un’innovazione a livello di struttura; nelle tragedie
fondamentale è la funzione del coro perché è utile all'autore in quanto in esso esprime le proprie
opinioni. L'autore non è uno storico perché riconosce una distinzione tra i doveri dello storico e
quello del poeta: Manzoni è un poeta. In base a ciò, distinguiamo il vero storico, che descrive i
fatti come sono avvenuti e il vero poetico che rintraccia e rappresenta i sentimenti che quei fatti
determinano. Tra le tragedie manzoniane troviamo:
Nelle tragedie manzoniane vengono descritti eventi e personaggi davvero esistiti; esse sono
precedute da alcuni testi in cui vengono esposte le fonti storiche a cui Manzoni fa riferimento nelle
tragedie.
Oltre alle tragedie, l’autore si dedica anche alle Odi di cui ricordiamo:
“Marzo 1821”: anno 1821 rappresenta come dato reale ciò che è solo un'aspirazione, cioè il
passaggio del Ticino da parte dei piemontesi, pronti a risollevare le sorti della Lombardia
contro gli austriaci, in vista di un'unificazione territoriale sotto la dinastia sabauda. Anche
nell’ode il rapporto con la situazione politica si allarga ad una prospettiva di meditazione
cristiana. Allo spirito patriottico si unisce un senso di fratellanza soprannazionale, che
comprende anche i nemici, nel nome di tutti i popoli che legittimamente combattono per
difendere o per riconquistare una patria : la libertà dei popoli è difesa dalla legge di Dio. L’ode
si presenta come inno di spirito guerriero, come uno scatto di incitamento alla vittoria; solo in
chiusura però l’ode raggiunge il suo equilibrio. Nell’Ode parla ai poveri di come i popoli devono
raggiungere la propria indipendenza.
“Il Cinque Maggio”: anno 1821 è un inno religioso più che politico, ci riporta nel clima della
meditazione cristiana applicata al mondo storico che è tipica dell’Adelchi. È dedicata a
Napoleone, in particolare ai suoi ultimi giorni, quelli dello strazio sofferto in esilio. In primo
piano risalta la sua miseria, quando la grandezza è un ricordo e il condottiero non è altro che
un vinto al pari di Ermengarda e Adelchi. La ‘superba altezza’ è umiliata, e divenuta follia al
cospetto di Dio, unico arbitro nella storia. Se l’episodio della morte di Adelchi ribadisce il rifiuto
dell’azione e il finale allontanamento dalla vita politica, l’ultima ora di Napoleone rappresenta
un giudizio critico sull’azione compiuta da un eroe. Lode come abbiamo detto è dedicata a
Napoleone, uomo di grandi imprese ma che muore accompagnato solo da Dio.
Manzoni si dedica anche al romanzo che più l'ha reso noto; la prima edizione avviene nel 1823
con il titolo “Fermo e Lucia”. Essa è molto lunga perché sulla linea della storia principale sono
presenti altre storie che procurano carenza e confusione nella linea narrativa , motivo per il quale
Manzoni lo pubblica per la seconda volta nel 1827 con il titolo “Sposi Promessi” (Ventisettana). In
esso rimodula la storia assorbendo le varie storie secondarie. Nella prima edizione del romanzo
troviamo come appendice ‘La Storia della colonna infame’ che è un saggio storico che narra le
vicende che avvengono nello stesso periodo storico in cui è ambientato il romanzo, il 17° secolo e
in particolare durante la peste di Milano del 1630, durante questo periodo fu intentato un
processo, contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio tramite misteriose sostanze,
in seguito ad un'accusa - infondata - da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa. Il
processo, svoltosi storicamente nell'estate del 1630, decretò sia la condanna capitale di due
innocenti, Guglielmo Piazza (commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (barbiere), giustiziati
con il supplizio della ruota, e con la distruzione della casa-bottega di quest'ultimo. Come avviso
venne eretta sulle macerie dell'abitazione del Mora la "colonna infame", che dà il nome alla
vicenda. Solo nel 1778 la colonna infame, ormai divenuta una testimonianza d'infamia non più a
carico dei condannati, ma dei giudici che avevano commesso un'enorme ingiustizia, fu abbattuta.
A differenza di Pietro Verri che ha attribuito all’ignoranza e all’arretratezza del sistema legislativo
la procedura di queste torture, Manzoni sostiene che la responsabilità di queste torture è dei
giudici e della loro corruzione che li ha portati a compiere dei delitti di Stato. Nel castello Sforzesco
di Milano se ne conserva la lapide, che reca una descrizione, in latino seicentesco, delle pene
inflitte. Perennemente insoddisfatto della sua opera, che ripensava, riscriveva e modificava nelle
successive edizioni, Manzoni arrivò infine alla conclusione che la storia fosse troppo lunga, e la
‘Storia Della Colonna Infame’ diventa un romanzo in sé. Nell'edizione del 1827 è presente un
lavoro di revisione linguistica; infatti, egli va a Firenze e prende come modello il fiorentino parlato
dai colti, come avevano fatto Dante, Petrarca e Boccaccio che avevano definito il volgare italiano
e l'idea di stile. Tra il 1840 e il 1842, Manzoni pubblica l'edizione definitiva con il titolo “Promessi
sposi”(Quarantana); essa è ripulita: dai francesismi (Napoleone in Italia), dai Lombardismi
(Milano), dai neologismi (termini di nuovo conio), dai latinismi perché per l’autore la sapienza è un
sapere dal quale non si ricava critica. I promessi sposi è un romanzo che Manzoni rivolge a 25
lettori. È un manoscritto del 600 che racconta personaggi ed eventi del 600, e il vero protagonista
del romanzo è il 600. In questo romanzo è presente il concetto di vero simile, ovvero la capacità
di scrivere eventi e personaggi che abbiano un fondo di verità storica (storia che viene
romanzata); es. storia dell'Innominato, della Monaca di Monza, del cardinale Borromeo e della
peste. Oltre a riprendere personaggi storie reali aggiunge dei personaggi inventati come Fra
Cristoforo, che rappresenta il cristianesimo manzoniano e incarna il modello di Humanitas
manzoniano, Renzo, Lucia e Agnese che vengono descritti come persone vivevano ai tempi del
1600 anno in cui viene ambientato il romanzo. I promessi sposi nascono sul modello dei romanzi
francesi, sulla scorta della lettura di Rousseau e quella inglese; Fa riferimento anche ad alcune
caratteristiche del romanzo veneziano che sono a loro volta riprese dall’Orlando furioso di Ariosto
come i temi del vario e del molteplice. Il romanzo italiano del 1700 per molti versi è autobiografico
fino a Foscolo, ma con Manzoni si perde questa caratteristica in quanto sia una descrizione
storica, informazioni sulle classi di potere, ritratti psicosomatici dei personaggi. Con il personaggio
di Fra Cristoforo, l'autore si ribella in nome di Cristo e con il suo personaggio sottolinea la capacità
di esercizio della propria volontà, che permette di scegliere tra bene e male; Manzoni induce così
gli uomini a vivere una vita eticamente positiva. Nel romanzo, la provvidenza ha il ruolo di
operare attivamente nel libero arbitrio e due sono le visioni della cristianità che emergono nel
capitolo 25: quella del cardinale Borromeo e quella di Don Abbondio. Manzoni nella scrittura
modera stile e lingua a seconda dei personaggi; utilizza molto i puntini sospensivi che indicano un
lasciar sospeso il discorso ed aprono considerazioni personali.
TRAMA DEI PROMESSI SPOSI: Nella Lombardia del 600, dominata dagli spagnoli, in un piccolo
paese vicino al lago di Como due giovani di modeste condizioni, Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella, stanno per sposarsi. Ma un prepotente signorotto del luogo, Don Rodrigo, ha
scommesso con un suo amico che avrà la ragazza per sé e manda i suoi uomini a ordinare al
parroco, Don Abbondio, di non celebrare le nozze. Mentre il povero prete spaventato cerca ogni
scusa per rimandare le nozze le nozze, Don Rodrigo progetta il rapimento di Lucia, che per
fortuna fallisce. I due giovani sono costretti a fuggire e, aiutati da un coraggioso frate del vicino
convento dei Cappuccini, padre Cristoforo, raggiungono Monza. Qui le loro strade si dividono.
Lucia, accompagnata dalla madre, trova ospitalità nel convento di una potente suora dall'oscuro
passato: Gertrude (la Monaca di Monza). Renzo prosegue per Milano, ma in città viene coinvolto
nelle sommosse popolari scatenate dalla carestia e, ricercato dalla giustizia, fugge da un cugino
che possiede una filanda nel bergamasco, territorio della Repubblica Veneta. Intanto Lucia venne
rapita per ordine dell'Innominato, un altro individuo prepotente e crudele, a cui don Rodrigo aveva
chiesto aiuto, e si trova prigioniera nel suo castello. A permettere il rapimento è stata Gertrude,
che non ha saputo resistere alle pressioni di un losco individuo di cui si è innamorata e che anni
prima l’aveva sedotta. A questo punto la Provvidenza si manifesta e avviene l'incredibile.
L’Innominato, preso dai rimorsi per la sua vita violenta e colpito dalla statura morale del cardinale
Federico Borromeo, si converte e libera Lucia. La ragazza, che durante la prigionia ha fatto voto di
non sposarsi, viene accolta con la madre a casa del dotto Don Ferrante, a Milano. Ma altre prove
l’attendono: nella città si diffonde la peste portata dai Lanzichenecchi, le truppe mercenarie
assoldate dalla Spagna in guerra contro la Francia per il controllo del ducato del Monferrato. Le
peste spopola Milano, uccide Don Rodrigo e colpisce anche Lucia, che viene portata con gli altri
contagiati nel lazzaretto. Qui guarisce e viene raggiunta da Renzo, rientrato a Milano per cercarla.
Nel lazzaretto i due giovani trovano anche Fra Cristoforo che, in punto di morte, scioglie Lucia dal
suo voto. Finalmente i due promessi possono sposarsi e iniziare una vita laboriosa e serena,
illuminata dalla fede che li ha sempre sorretti.