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ROMANTICISMO

Il romanticismo è un movimento letterario, artistico e culturale, sorto in Germania e in Inghilterra


negli ultimi anni del 700 e quindi diffusosi in tutta l'Europa nel corso del diciannovesimo secolo. Il
romanticismo si contrappone al Neoclassicismo che fino ad allora aveva dominato la scena
culturale, portando un nuovo spiritualismo e soprattutto una nuova sensibilità religiosa. Dal punto
di vista filosofico, il Romanticismo si pone come reazione all’Illuminismo rifiutando la concezione
materialistica della vita: l’uomo romantico non era costituito dalla sola ragione ma possedeva
facoltà come il sentimento e la fantasia che influivano nella sua vita. Dal punto di vista della
poetica, secondo i romantici l’arte non doveva imitare i classici ma rifiutare tutti i modelli
precostituiti e le regole, l’età del Romanticismo coincide con gli anni in cui la borghesia si afferma
come classe dirigente e toglie il potere ai nobili. Con il romanticismo si ha l’eliminazione della
mitologia utilizzata dalla tradizione classica, e si va alla ricerca di un rapporto più ampio con il
pubblico , al di là della cerchia dei lettori tradizionali come gli ecclesiastici e gli aristocratici. Così
avviene l'apertura verso il genere popolare del romanzo e verso il rinnovamento del linguaggio
che diviene moderno e comunicativo. Il 1816 e l'anno inaugurale del Romanticismo italiano e
nello stesso anno avviene lo scontro tra il classico – romantico a seguito della stampa di un
articolo sulla “Biblioteca Italiana”, da parte di Madame de Staël nel quale invitava gli italiani a
conoscere e tradurre le letterature straniere come mezzo per rinnovare la propria cultura. In Italia
abbiamo quindi una divisione: coloro a favore delle nuove idee (Giovanni Berchet ed Ermes
Visconti) e coloro che invece difendono i classici (Giacomo Leopardi e Pietro Giordani).
Inevitabilmente, tutti i letterati che operano all’inizio dell’800 entrano in contatto con questa nuova
poetica: entrano tra le priorità l'esigenza di verità, la poesia dialettale e l’espressione del proprio
mondo soggettivo. Due sono i grandi autori che maggiormente si affermano in questi anni e
risentono della poetica romantica, questi sono Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni, grazie ai
quali si avvia il Romanticismo letterario italiano e la letteratura italiana cambierà per sempre.

ALESSANDRO MANZONI
Alessandro Manzoni nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da Giovanni Verri, ma il
padre anagrafico è il Conte Pietro Manzoni, il quale si separa legalmente dalla moglie Giulia nel
1792 ma avrà comunque un ruolo nell'educazione e negli affetti di Alessandro. Avrà una vita lunga
e vivrà negli anni dei moti risorgimentali dell'unità d'Italia. Sarà proprio lui a fornirci la lingua che
parliamo oggi. Si forma nei collegi milanesi e riceve un'educazione cattolica e clericale; proprio per
questo avrà un rigetto di tutta questa religiosità nel corso della sua vita. In seguito alla
separazione dei genitori, nel 1805 Manzoni ventenne raggiunge la madre a Parigi ed è per questo
che sarà legato ai salotti letterari francesi, i salotti illuministi e nello stesso anno, dopo la morte
dell'uomo amato dalla madre scriverà il carme “In morte di Carlo Imbonati” pubblicato poi nel 1806
. Nel 1807 conosce Enrichetta Blondel di famiglia protestante e la sposa a Milano nel febbraio
1808 con rito calvinista, da cui avrà 10 figli. Nel 1810, a seguito di alcune vicende personali
Enrichetta e Manzoni rinunciano al protestantesimo e il matrimonio viene celebrato secondo il rito
cattolico. Nel cristianesimo sentiamo il sentimento della collettività, esso doveva essere praticato
più che predicato, doveva fornire agli uomini valori etici per vivere correttamente sotto il segno
della giustizia. Nel 1810 Manzoni ritorna in Italia e inizia la stesura dei 5 “Inni sacri”, “La
Resurrezione”, “Il nome di Maria”, “La Passione” e “La Pentecoste”, terminata nel 1822,
caratterizzata da un tono di rimprovero e nella quale si celebra la discesa dello Spirito Santo. In
questo inno vi è un'immagine della Chiesa come l'autore stesso voleva ovvero un'idea del
cristianesimo primitivo visto come uno strumento di vita. La Pentecoste celebra la discesa
miracolosa sugli apostoli dello Spirito Santo dopo 50 giorni dalla resurrezione di Cristo. Il miracolo
assume un particolare significato per Manzoni, in quanto è un miracolo che ha a che fare con la
comunicazione umana, e con le relazioni tra gli uomini. La discesa dello Spirito Santo istituisce la
Chiesa, cioè la comunità dei fedeli, Manzoni vuole fare parte di questa comunità, perché solo nella
collettività dei fedeli si può trovare una vera armonia e una vera realizzazione dell'individuo, che,
in questo modo, può opporsi alla frammentazione della storia. L'inizio dell'inno è drammatico:
viene ricordata la situazione della Chiesa dopo la morte di Cristo. La prima parte dell'inno, quindi,
si concentra sulla situazione di sbandamento della Chiesa delle origini. La sua discesa, per
Manzoni, comporta un rinnovamento profondo della società, che si esprime in una dimensione di
reale ed effettive uguaglianza, attraverso l'amore di Dio. L'inno Pentecoste per essere compreso a
fondo va confrontato con un altro testo del 1821, il Cinque Maggio. In questo componimento
l'autore aveva tematizzato il massimo della grandezza umana e il suo fallimento: Napoleone nella
sua grandezza e potere, aveva fallito. La morte comporta il fallimento di ogni dimensione umana,
se non rapportata alla dimensione dell'eterno. La Pentecoste sancisce che il vero eroismo è quello
del quotidiano, delle imprese della Chiesa, che è la comunità delle persone. La conclusione
dell'inno presenta una preghiera allo Spirito Santo. Nel decennio successivo scrive le due tragedie
“Il Conte di Carmagnola” pubblicata il 1820, e “l’Adelchi” pubblicata nel 1822. Scrive negli
stessi anni le Odi Civili: “Marzo 1821” e il “ Cinque maggio” pubblicate nel 1821. Nel 1823
termina la prima stesura del suo romanzo intitolato “Fermo e Lucia” successivamente poi
intitolato “I Promessi Sposi” e pubblicato nel 1827, anche se l'edizione definitiva dei promessi
sposi appare a dispense a Milano tra il 1840 e il 1842. Enrichetta muore nel 25 dicembre del 1833
e il poeta tenta invano di dare voce allo strazio di questa perdita nei versi disperati dell'incompiuto
“Natale 1833”. Manzoni muore a Milano il 22 maggio 1873.

Per molti versi l'autore ha lo stesso animo di Foscolo; la sua è una scrittura eticamente orientata
perché il fine è quello di essere utile a qualcosa. Per Manzoni l'opera devi avere il vero per
soggetto, l'interessante per mezzo e l'utile per scopo. La scrittura deve avere una finalità etica,
deve servire a formare la coscienza nazionale e ad insegnare i valori positivi derivanti dal
cristianesimo.
Quella di Manzoni è una concezione democratica: la historia è fatta dalle ‘genti umili et
meccaniche’ ovvero la storia appartiene a tutti. L’autore guarda alla storia contemporanea
cercando di dare una soluzione.

Manzoni si dedica alle tragedie che comportano un’innovazione a livello di struttura; nelle tragedie
fondamentale è la funzione del coro perché è utile all'autore in quanto in esso esprime le proprie
opinioni. L'autore non è uno storico perché riconosce una distinzione tra i doveri dello storico e
quello del poeta: Manzoni è un poeta. In base a ciò, distinguiamo il vero storico, che descrive i
fatti come sono avvenuti e il vero poetico che rintraccia e rappresenta i sentimenti che quei fatti
determinano. Tra le tragedie manzoniane troviamo:

 Il Conte di Carmagnola 1820: rappresenta la vicenda del condottiere piemontese Francesco


Bussone, detto Conte di Carmagnola, valoroso uomo di milizia. Per la fama raggiunta, per la
fierezza del carattere per il prestigio goduto presso l'esercito, il Conte è ostacolato dal duca
Filippo, che mal lo ripaga di molti servizi e dell'assoluta fedeltà. Passato al servizio della
Repubblica di Venezia, il Carmagnola riesce vittorioso sul l'esercito del suo antico signore nella
battaglia di Maclodio. Ma la generosità del Conte, che non inferisce sui vinti e lascia libero il
campo ai prigionieri, accende i sospetti dei commissari veneziani. La generosità dell'uomo è
denunciata come prova di una segreta intesa con il nemico. Il Senato Veneto, per liberarsi del
Conte divenuto troppo potente, lo accusa di tradimento e decide di richiamarlo in città con
l’inganno per catturarlo. Il senatore Marco tenta una difesa dello Carmagnola, poiché suo
amico, ma gli è imposto di firmare una dichiarazione che lo obbliga a partire subito da Venezia,
senza riferire al Conte le decisioni prese nei suoi confronti. Giunto in città il Conte viene
arrestato e decapitato. In questa tragedia il Carmagnola viene descritto da Manzoni come un
uomo nobile e caritatevole, persino verso i nemici, ed è vittima di un'istituzione ottusa e tiranna
che, ciecamente, metteva italiani contro altri italiani. Proprio perché portatore di questi alti
valori umani, il Conte è “sacrificato” sull’altare del potere politico. Egli assume così i tratti anche
d’un eroe “cristiano”, che nel finale chiede alla moglie e alla figlia di perdonare chi lo ucciderà.
Molto significativo in questa tragedia è anche la figura del senatore Marco che, legato in
amicizia al Carmagnola, si trova diviso tra il proprio ruolo di politico e la propria fedeltà di
amico. Vince in lui il dove dell’uomo pubblico e sacrifica l’amicizia: questo contrasto lo rende
un personaggio drammatico.
 L’Adelchi 1822: la vicenda della seconda tragedia è ambientata durante la caduta della
dinastia longobarda negli anni 772-774, nelle figure del re Desiderio e del figlio Adelchi
associato al trono, e l'inizio della dominazione dei franchi di re Carlo appoggiati dalla chiesa.
Rispetto al Conte di Carmagnola, questa volta il conflitto diviene interno non ad un
personaggio secondario come il senatore Marco, ma allo stesso protagonista Adelchi.
L’Adelchi narra di una donna di nome Ermengarda, figlia di Desiderio, re dei longobardi, che
viene respinta dal marito Carlo Magno a causa di ragioni di stato. Desiderio allora decide di
vendicarsi e vorrebbe far incoronare dal Papa i figli di Carlomanno, fratello già defunto di Carlo
Magno, che hanno trovato rifugio presso di lui alla morte del padre. Carlo Magno, a capo dei
Franchi, non ci sta e manda un ultimatum a Desiderio, il quale rifiuta e gli dichiara guerra.
L’esercito di Carlo Magno riesce ad avanzare velocemente fino a Pavia, grazie anche al fatto
che i duchi longobardi hanno tradito il loro re. Intanto Ermengarda, ritiratasi dalla sorella
Ansberga nel monastero di San Salvatore a Brescia, viene a sapere che Carlo Magno si è
risposato e distrutta dal dolore, muore. Intanto, grazie all'aiuto di traditori, Carlo Magno riesce a
conquistare Pavia e a far prigioniero re Desiderio. In tutta questa vicenda assistiamo agli inutili
tentativi di Adelchi, figlio di Desiderio e fratello di Ermengarda, di scongiurare la guerra contro i
Franchi. Non essendo riuscito nella sua impresa, finirà per dover combattere fino alla sua
morte. Infatti, viene portato ormai in fin di vita davanti a Carlo Magno e a Desiderio: qui chiede
pietà per il padre e cerca di consolarlo per il trono perduto. E gli spiegherà con il suo ultimo
fiato che non avendo ormai più nessun potere, non sarà più costretto a subire o fare dei torti.
Qui si delinea il carattere di Adelchi che è un virtuoso. Se nella prima tragedia il Conte urta
contro la ferocia delle istituzioni politiche, ora il conflitto esplode nella coscienza del
personaggio: gli ostacoli sono dentro di lui. Adelchi è lacerato dal dissenso tra opposti
sentimenti che condizionano l'agire: da un lato, il dovere di obbedienza al padre che lo spinge
ad una guerra di espansione ai danni della Chiesa; dall'altro la volontà retta e la fede del
credente che gli mostrano l’impresa voluta da Desiderio ‘né giusta né gloriosa. In Adelchi,
guerriero e cristiano, convivono il senso della regalità, dell'onore, insieme alla sete di gloria che
però vuole soddisfare sul campo contro un nemico colpevole e non contro un avversario che è
dalla parte della ragione. Egli non può sottrarsi al rispetto verso il padre che lo induce ad
impugnare le armi e a trovare la morte per una causa però che egli disapprova. Accetta di
combattere, ma con l'animo di chi si sente perduto nella lotta, qui patisce il fallimento dei propri
disegni, la dolorosa rinuncia che lo costringe ad una colpa involontaria, la frattura tra il suo
impulso all'azione etica e la realtà storico familiare che lo pone dal lato degli usurpatori.
Accanto a Adelchi, a condividerne la sorte di vittima incolpevole sacrificata per ragioni di stato,
è presente la sorella Ermengarda. Il nesso tra i protagonisti e gli eventi storici è più articolato e
complesso rispetto alla prima tragedia. Nel primo coro dell’Adelchi è evidente il pathos per le
sofferenze delle folle anonime dei latini dimenticate dalla storiografia ufficiale; il secondo coro è
dedicato alla sorella di Adelchi, in esso si arresta la figura del drammaturgo per dare spazio a
quello del romanziere, andare al di là dei grandi personaggi storici con piccoli protagonisti che
vivono giorno per giorno, personaggi umili.

Nelle tragedie manzoniane vengono descritti eventi e personaggi davvero esistiti; esse sono
precedute da alcuni testi in cui vengono esposte le fonti storiche a cui Manzoni fa riferimento nelle
tragedie.

Oltre alle tragedie, l’autore si dedica anche alle Odi di cui ricordiamo:
 “Marzo 1821”: anno 1821 rappresenta come dato reale ciò che è solo un'aspirazione, cioè il
passaggio del Ticino da parte dei piemontesi, pronti a risollevare le sorti della Lombardia
contro gli austriaci, in vista di un'unificazione territoriale sotto la dinastia sabauda. Anche
nell’ode il rapporto con la situazione politica si allarga ad una prospettiva di meditazione
cristiana. Allo spirito patriottico si unisce un senso di fratellanza soprannazionale, che
comprende anche i nemici, nel nome di tutti i popoli che legittimamente combattono per
difendere o per riconquistare una patria : la libertà dei popoli è difesa dalla legge di Dio. L’ode
si presenta come inno di spirito guerriero, come uno scatto di incitamento alla vittoria; solo in
chiusura però l’ode raggiunge il suo equilibrio. Nell’Ode parla ai poveri di come i popoli devono
raggiungere la propria indipendenza.
 “Il Cinque Maggio”: anno 1821 è un inno religioso più che politico, ci riporta nel clima della
meditazione cristiana applicata al mondo storico che è tipica dell’Adelchi. È dedicata a
Napoleone, in particolare ai suoi ultimi giorni, quelli dello strazio sofferto in esilio. In primo
piano risalta la sua miseria, quando la grandezza è un ricordo e il condottiero non è altro che
un vinto al pari di Ermengarda e Adelchi. La ‘superba altezza’ è umiliata, e divenuta follia al
cospetto di Dio, unico arbitro nella storia. Se l’episodio della morte di Adelchi ribadisce il rifiuto
dell’azione e il finale allontanamento dalla vita politica, l’ultima ora di Napoleone rappresenta
un giudizio critico sull’azione compiuta da un eroe. Lode come abbiamo detto è dedicata a
Napoleone, uomo di grandi imprese ma che muore accompagnato solo da Dio.

Manzoni si dedica anche al romanzo che più l'ha reso noto; la prima edizione avviene nel 1823
con il titolo “Fermo e Lucia”. Essa è molto lunga perché sulla linea della storia principale sono
presenti altre storie che procurano carenza e confusione nella linea narrativa , motivo per il quale
Manzoni lo pubblica per la seconda volta nel 1827 con il titolo “Sposi Promessi” (Ventisettana). In
esso rimodula la storia assorbendo le varie storie secondarie. Nella prima edizione del romanzo
troviamo come appendice ‘La Storia della colonna infame’ che è un saggio storico che narra le
vicende che avvengono nello stesso periodo storico in cui è ambientato il romanzo, il 17° secolo e
in particolare durante la peste di Milano del 1630, durante questo periodo fu intentato un
processo, contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio tramite misteriose sostanze,
in seguito ad un'accusa - infondata - da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa. Il
processo, svoltosi storicamente nell'estate del 1630, decretò sia la condanna capitale di due
innocenti, Guglielmo Piazza (commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (barbiere), giustiziati
con il supplizio della ruota, e con la distruzione della casa-bottega di quest'ultimo. Come avviso
venne eretta sulle macerie dell'abitazione del Mora la "colonna infame", che dà il nome alla
vicenda. Solo nel 1778 la colonna infame, ormai divenuta una testimonianza d'infamia non più a
carico dei condannati, ma dei giudici che avevano commesso un'enorme ingiustizia, fu abbattuta.
A differenza di Pietro Verri che ha attribuito all’ignoranza e all’arretratezza del sistema legislativo
la procedura di queste torture, Manzoni sostiene che la responsabilità di queste torture è dei
giudici e della loro corruzione che li ha portati a compiere dei delitti di Stato. Nel castello Sforzesco
di Milano se ne conserva la lapide, che reca una descrizione, in latino seicentesco, delle pene
inflitte. Perennemente insoddisfatto della sua opera, che ripensava, riscriveva e modificava nelle
successive edizioni, Manzoni arrivò infine alla conclusione che la storia fosse troppo lunga, e la
‘Storia Della Colonna Infame’ diventa un romanzo in sé. Nell'edizione del 1827 è presente un
lavoro di revisione linguistica; infatti, egli va a Firenze e prende come modello il fiorentino parlato
dai colti, come avevano fatto Dante, Petrarca e Boccaccio che avevano definito il volgare italiano
e l'idea di stile. Tra il 1840 e il 1842, Manzoni pubblica l'edizione definitiva con il titolo “Promessi
sposi”(Quarantana); essa è ripulita: dai francesismi (Napoleone in Italia), dai Lombardismi
(Milano), dai neologismi (termini di nuovo conio), dai latinismi perché per l’autore la sapienza è un
sapere dal quale non si ricava critica. I promessi sposi è un romanzo che Manzoni rivolge a 25
lettori. È un manoscritto del 600 che racconta personaggi ed eventi del 600, e il vero protagonista
del romanzo è il 600. In questo romanzo è presente il concetto di vero simile, ovvero la capacità
di scrivere eventi e personaggi che abbiano un fondo di verità storica (storia che viene
romanzata); es. storia dell'Innominato, della Monaca di Monza, del cardinale Borromeo e della
peste. Oltre a riprendere personaggi storie reali aggiunge dei personaggi inventati come Fra
Cristoforo, che rappresenta il cristianesimo manzoniano e incarna il modello di Humanitas
manzoniano, Renzo, Lucia e Agnese che vengono descritti come persone vivevano ai tempi del
1600 anno in cui viene ambientato il romanzo. I promessi sposi nascono sul modello dei romanzi
francesi, sulla scorta della lettura di Rousseau e quella inglese; Fa riferimento anche ad alcune
caratteristiche del romanzo veneziano che sono a loro volta riprese dall’Orlando furioso di Ariosto
come i temi del vario e del molteplice. Il romanzo italiano del 1700 per molti versi è autobiografico
fino a Foscolo, ma con Manzoni si perde questa caratteristica in quanto sia una descrizione
storica, informazioni sulle classi di potere, ritratti psicosomatici dei personaggi. Con il personaggio
di Fra Cristoforo, l'autore si ribella in nome di Cristo e con il suo personaggio sottolinea la capacità
di esercizio della propria volontà, che permette di scegliere tra bene e male; Manzoni induce così
gli uomini a vivere una vita eticamente positiva. Nel romanzo, la provvidenza ha il ruolo di
operare attivamente nel libero arbitrio e due sono le visioni della cristianità che emergono nel
capitolo 25: quella del cardinale Borromeo e quella di Don Abbondio. Manzoni nella scrittura
modera stile e lingua a seconda dei personaggi; utilizza molto i puntini sospensivi che indicano un
lasciar sospeso il discorso ed aprono considerazioni personali.

TRAMA DEI PROMESSI SPOSI: Nella Lombardia del 600, dominata dagli spagnoli, in un piccolo
paese vicino al lago di Como due giovani di modeste condizioni, Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella, stanno per sposarsi. Ma un prepotente signorotto del luogo, Don Rodrigo, ha
scommesso con un suo amico che avrà la ragazza per sé e manda i suoi uomini a ordinare al
parroco, Don Abbondio, di non celebrare le nozze. Mentre il povero prete spaventato cerca ogni
scusa per rimandare le nozze le nozze, Don Rodrigo progetta il rapimento di Lucia, che per
fortuna fallisce. I due giovani sono costretti a fuggire e, aiutati da un coraggioso frate del vicino
convento dei Cappuccini, padre Cristoforo, raggiungono Monza. Qui le loro strade si dividono.
Lucia, accompagnata dalla madre, trova ospitalità nel convento di una potente suora dall'oscuro
passato: Gertrude (la Monaca di Monza). Renzo prosegue per Milano, ma in città viene coinvolto
nelle sommosse popolari scatenate dalla carestia e, ricercato dalla giustizia, fugge da un cugino
che possiede una filanda nel bergamasco, territorio della Repubblica Veneta. Intanto Lucia venne
rapita per ordine dell'Innominato, un altro individuo prepotente e crudele, a cui don Rodrigo aveva
chiesto aiuto, e si trova prigioniera nel suo castello. A permettere il rapimento è stata Gertrude,
che non ha saputo resistere alle pressioni di un losco individuo di cui si è innamorata e che anni
prima l’aveva sedotta. A questo punto la Provvidenza si manifesta e avviene l'incredibile.
L’Innominato, preso dai rimorsi per la sua vita violenta e colpito dalla statura morale del cardinale
Federico Borromeo, si converte e libera Lucia. La ragazza, che durante la prigionia ha fatto voto di
non sposarsi, viene accolta con la madre a casa del dotto Don Ferrante, a Milano. Ma altre prove
l’attendono: nella città si diffonde la peste portata dai Lanzichenecchi, le truppe mercenarie
assoldate dalla Spagna in guerra contro la Francia per il controllo del ducato del Monferrato. Le
peste spopola Milano, uccide Don Rodrigo e colpisce anche Lucia, che viene portata con gli altri
contagiati nel lazzaretto. Qui guarisce e viene raggiunta da Renzo, rientrato a Milano per cercarla.
Nel lazzaretto i due giovani trovano anche Fra Cristoforo che, in punto di morte, scioglie Lucia dal
suo voto. Finalmente i due promessi possono sposarsi e iniziare una vita laboriosa e serena,
illuminata dalla fede che li ha sempre sorretti.

CAP. 25° e 26° Il colloquio tra il Cardinale Borromeo e don Abbondio


In questo capitolo abbiamo la coppia del cardinale Borromeo e di don Abbondio il quale, sapendo
benissimo di dover dare delle spiegazioni al suo superiore riguardo il matrimonio non celebrato di
Renzo e Lucia, si ritira in una chiesa sperando così di sottrarsi al confronto. Don Abbondio cerca
di sviare queste domande e cerca di non dare risposte precise sull’accaduto ma il Cardinale che
conosceva la verità confessata da Agnese madre di Lucia, è ormai costretto a rispondere alle
domande del cardinale ma, a questo punto, le cose si complicano perché mentre il cardinale
Borromeo vorrebbe ordinare che Lucia torni a casa, riceve una lettera da donna Prassede, la
quale offre ospitalità a Lucia per aiutarla ad evitare il matrimonio con un ragazzo considerato un
poco di buono. Parla in realtà di Renzo che è, al momento, ricercato dalla polizia. La narrazione si
conclude con il confronto fra Federico Borromeo e don Abbondio, il quale chiaramente arranca nel
dare delle spiegazioni. Inoltre, Lucia, ha fatto voto alla madonna di non sposare Renzo ma non
riesce a confidarlo alla madre. Se quindi da una parte c'è Agnese piena di speranze, dall'altra
l'animo della ragazza è triste. Il capitolo 26 si apre con il confronto tra Borromeo e don Abbondio
che spiega che cosa è successo, dimostrando di essere un uomo che agisce solo per salvarsi la
pelle. Il cardinale Borromeo lo critica e gli spiega che la soluzione più facile sarebbe stata quella di
ricorrere al suo superiore, cioè la stessa soluzione che gli aveva proposto Perpetua all'inizio. La
narrazione prosegue con la partenza di Lucia che al mattino successivo si prepara per separarsi
dalla madre e, in lacrime, si avvia verso la casa di donna Prassede. Intanto l'innominato si ricorda
della promessa fatta a Lucia, quella di starle sempre vicino e invia quindi ad Agnese una lettera e
cento scudi d'oro per il matrimonio della fanciulla. Agnese si reca dalla figlia per darle la buona
notizia e a questo punto finalmente il cuore di Lucia si scioglie perché può confessare il suo voto e
può confessare la verità, la ragazza si è imposta di tener fede al proprio voto, ma non riesce a
smettere di amare Renzo. Il Cardinale Borromeo sostiene nella discussione con don Abbondio
precetti di carità, premura per gli altri, benevolenza e sacrificio per la propria comunità, che egli
stesso non metteva in pratica. Don Abbondio non ne esce assolto, ma neanche ridicolizzato, ma
ne esce come uomo comune che in un secolo feroce ha scelto di vivere invece che morire.
ROMANZO STORICO: Il romanzo storico è un'opera narrativa ambientata in un'epoca passata,
della quale ricostruisce le atmosfere, gli usi, i costumi, la mentalità e la vita, così da farli rivivere al
lettore. Può contenere personaggi realmente esistiti, oppure una mescolanza di personaggi storici
e di invenzione. Una caratteristica particolare del romanzo storico è la presenza di personaggi
collettivi: vi sono infatti molte scene “corali” che hanno per protagonista non più il singolo
personaggio, ma la folla, il popolo, gruppi di persone, raffigurati in comportamenti di
partecipazione nei confronti degli eventi politici e sociali del loro tempo. Dal punto di vista stilistico,
il romanzo storico è spesso caratterizzato da ampie descrizioni di paesaggi che hanno la funzione
di “incorniciare” le azioni, e da dettagliate descrizioni di oggetti, arredi, abiti d’epoca per meglio
caratterizzare i personaggi. Inoltre, il linguaggio usato è solitamente di registro alto, ma vi è anche
l’utilizzo di un linguaggio popolare, che riproduce quello parlato nell’epoca in cui si svolge la
vicenda narrata.

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