Sei sulla pagina 1di 18

Luca Pedroli

LA BELLEZZA DELL’IMMAGINE
E SOMIGLIANZA NELL’UOMO/DONNA
NELLA SCRITTURA

Come potete vedere dal dépliant, il nostro convegno annuale si


apre questo pomeriggio con due relatori: don Luca Pedroli e poi Co-
stanza Miriano. Non hanno niente a che fare tra loro: uno è un sacer-
dote, l’altra una signora sposata ma, ancor prima di parlare, offrono
a tutti noi testimonianza di un dato per cui don Renzo Bonetti e noi
due siamo particolarmente grati alla vita: ho scoperto che sono nati
entrambi nel 1970 e che sono i relatori più giovani di questo conve-
gno; pensate che rispetto a don Renzo e a noi due, che siamo nati
attorno al 1940, potrebbero essere nostri figli!
Questo significa una cosa bellissima: la ricerca biblica, teologi-
ca, antropologica e sociologica sul maschile e sul femminile, sulla
coppia e sulla famiglia, in tutti questi anni in cui don Renzo ha girato
come un profeta per l’Italia e per il mondo, è andata avanti ed è viva
nelle nuove generazioni. Tutto ciò si chiama “speranza”, ci invita alla
speranza, ci invita a ringraziare il Signore perché il suo Regno viene e
le forze del male non prevalebunt!

Breve presentazione del relatore

Don Luca Pedroli in particolare fin dal suo primo libro del 2007
si è occupato della dimensione della nuzialità escatologica e ciò l’ha
condotto ad approfondimenti sia sul versante del percorso per gli
sposi sia sul versante della formazione del presbitero. Infatti, il suo
ultimo testo del 2015 con don Renzo Bonetti, mette a fuoco l’identità
nuziale del presbitero.

19
Luca Pedroli

A lui, che è docente di teologia biblica presso il Pontificio Istituto


Biblico in Roma e che viene da Vigevano, (una città che vanta una
delle più belle piazze d’Italia) abbiamo chiesto di mettere a fuoco,
in questa nostra piazza virtuale di Sacrofano che raccoglie persone
da tutto il mondo, il seguente tema: “La bellezza dell’immagine e
somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura”.

L’esame scritturistico della bellezza dell’immagine uomo-donna


inizia su più registri per condurci a gustare l’arco compiuto del pro-
getto che, per parlare di Sé, ha scelto il canale della relazione ma-
schile/femminile. Gustiamo così la vocazione delle parole originarie
immagine (sémel) e somiglianza (démut) in Gen 1,26 come sviluppo
che siamo chiamati a mettere in luce fino a giungere al compimento
dell’Adamo ultimo, il Cristo che unisce in Sé tutti gli adam della terra
in un corpo solo!

1. L’uomo immagine viva di Dio e l’uomo imprigionato


nel peccato e nella caducità

Nelle prime pagine della Scrittura viene rimarcato come


l’uomo sia destinato ad esprimersi secondo le due grandi realtà
che lo trascendono: la vita e la morte. Egli, infatti, è creato da
Dio perché possa significarlo in modo fedele e possa confor-
marsi pienamente a lui, «ad immagine» (TM, vale a dire il testo
masoretico ebraico: celem; la versione greca della LXX: eikṓn)
e «a somiglianza» (TM: demût; LXX: homoìōsis) sua1. All’uomo

  Cfr. Gn 1,26-27. Rimane sempre prezioso e illuminante lo studio di D.


1

Barthélemy, Dieu et son image. Ébauche d’une théologie biblique, Paris 1963,
nel quale l’approccio all’antropologia biblica viene fatto ruotare proprio
attorno al concetto dell’uomo come «immagine di Dio». Vedi anche il con-
tributo di J.A. Soggin, «“Ad immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1,26-27)»,
in L’uomo nella Bibbia e nelle culture ad essa contemporanee, ABI, Bre-
scia 1975. Senza voler addentrarci nella discussione complessa e intricata

20
La bellezza dell’immagine e somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura

immagine viva di Dio, secondo il disegno divino impresso nel


progetto della creazione, si contrappone quello imprigionato
nel peccato e nella caducità, che è portato a disperdersi, fino a
confluire nel disordine naturale2.
Sono queste le due grandi possibilità, le due grandi trame
antropologiche che si aprono davanti a lui: l’uomo ne assimilerà
sempre di più la forma, fino a identificarsi definitivamente nel
segno dell’una o dell’altra. Il promotore del secondo percorso
esistenziale, quello degradante, vincolato al male e alla morte,
è il demonio, il quale tende a deturpare l’uomo, equiparandolo
«all’immagine della bestia»3. L’artefice della realizzazione della
prima trafila, invece, è il Cristo risorto, modello e perfezionato-
re dell’uomo nuovo, secondo il cuore di Dio e nella comunione
incondizionata con lui.
A tal proposito, risulta particolarmente suggestiva la connes-
sione che viene messa in evidenza da Giuseppe De Gennaro,
in merito a quanto troviamo narrato in Gn 2,7. Dio, nell’atto di
creare l’uomo «a sua immagine e somiglianza», imprimendo in
lui la vocazione a condividere pienamente la sua comunione
e il suo amore, lo plasmò dalla polvere e «soffiò sul suo volto
l’alito di vita»4. Ora, è emblematico il fatto che il Risorto, non

inerente la precisa connotazione di questi termini, rimandiamo alla sintesi


offerta in J.J. Scullion, Genesis. A Commentary for Students, Teachers and
Preachers, OTSt 6, Collegeville, MN 1992, 28-29, dove si sottolinea anche
la differenza fra «immagine» e «somiglianza»: «Ṣelem è la parola ordinaria
per un’immagine concreta, mentre demût è un astratto dal verbo dāmāh,
assomigliare» (28).
2
  Cfr. Gn 3,1-4,16.
3
  Cfr. Ap 13,15. Vedi anche 13,14; 14,9-11; 16,2; 19,20.
4
  Vedi pure quanto è ribadito in Sap 15,11. È interessante osservare
come in Gn 2,7 la lezione del TM appaia più concreta e vivace: «E soffiò alle
sue narici l’alito di vita».

21
Luca Pedroli

appena si rese di nuovo presente in mezzo ai suoi discepoli,


«soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,22).
Il volto di cui parla Gn 2,7 niente altro è che il sistema
antropologico nell’ultimo grado di predisposizione a ricevere
l’alito di vita. […] Dell’uomo, privo dello Spirito donato dal
creatore e ridonato dal Redentore, resta solo la polvere e l’om-
bra di una facies, di un volto storicamente appesantito dalla
costante fatica per non morire e che, dopo l’esperienza di una
diuturna guerra, dovrà necessariamente confondersi con la ter-
ra in cui soccombe5.

Come l’impianto antropologico, privo del soffio divino, non


è altro che «polvere della terra»6 e rimane destinato a ritornare
tale7, così è anche dell’uomo che non viene rigenerato e trasfor-
mato dalla vitalità del Risorto e dalla potenza del suo Spirito.
È solo nella conformazione piena a Cristo, nel vortice del suo
mistero pasquale che, nell’attuazione della nuova creazione e
dei tempi escatologici, l’uomo può vedere ripristinato in tutta
la sua freschezza il «soffio vitale» impresso da Dio e, allo stesso
tempo, il progetto genesiaco risulta proiettato verso un compi-
mento vertiginoso, inaudito8.

5
  G. De Gennaro, ed., L’antropologia biblica, Studio Biblico Teologico
Aquilano, Napoli 1981, 16.
6
  Cfr. Gn 2,7.
7
  Cfr. Gn 3,19.
8
  Nell’Apocalisse, una delle reazioni di coloro che risultavano connessi
a Babilonia era stata quella, alla vista della sua rovina, di spargere «polvere
sulle loro teste», in segno di lutto e di costernazione (cfr. Ap 18,19). Ora, ri-
sulta particolarmente indicativo rileggere anche questo riferimento alla luce
delle ultime considerazioni: è come se venisse ulteriormente rimarcato il fatto
che è proprio lasciandosi sprofondare nella perversione della «grande città»
che l’uomo smarrisce l’impronta divina, riproposta nella sua vitalità massima
e inaudita dal Risorto, e si vede degradato alla condizione inerte di «polvere».

22
La bellezza dell’immagine e somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura

2. Lo sviluppo delle due grandi trame antropologiche

A questo punto, dobbiamo chiederci anche noi: che imma-


gine di uomo portiamo …? In tal senso, vale la pena richiamare
quanto si legge in Mc 12,13-17 (// Mt 22,19-21):
13
Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo
in fallo nel discorso. 14Vennero e gli dissero: «Maestro, sap-
piamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, per-
ché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio
secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo
dobbiamo dare, o no?». 15Ma egli, conoscendo la loro ipocri-
sia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi
un denaro: voglio vederlo». 16Ed essi glielo portarono. Allora
disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli
risposero: «Di Cesare». 17Gesù disse loro: «Quello che è di
Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E
rimasero ammirati di lui.

Sappiamo bene che non solo nella Genesi, ma in tutti i libri


della Bibbia, sia dell’Antico (AT) che del Nuovo Testamento
(NT), emerge, seppure in maniera e in misura diversa, come
l’uomo si trovi a vivere uno sviluppo progressivo. Questo svi-
luppo tende ad un fine, ad una meta, che si riflette nella novità
che scaturisce dall’azione di Dio nella storia.
In tal senso, è significativo il caso di Ezechiele, il quale de-
scrive le caratteristiche e, soprattutto, le modalità di quella che
è la creatura nuova. Particolarmente emblematico è quanto egli
proclama in Ez 36,26a: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro
di voi uno spirito nuovo».
Sarà soprattutto Paolo però, nel NT, a soffermarsi su que-
sta dimensione. Mettendo in risalto la valenza dell’aggettivo
kainós, l’apostolo parla espressamente dell’uomo nuovo, mo-
strando come nel cristiano si siano ormai realizzate, in questa

23
Luca Pedroli

prospettiva, le promesse anticotestamentarie9. Così, ricollegan-


dosi proprio al quadro della Genesi, egli mette in evidenza il
fatto che l’uomo è chiamato a realizzarsi come immagine viva
di Dio, ma ciò è possibile solo se questi viene riconfigurato dal
Padre nello Spirito del suo Figlio: solo venendo vivificato nel
Risorto potrà essere ricoperto di questa novità e sarà in grado
di amare come Dio stesso ama10. Cristo, quindi, si rivela capo-
stipite dell’umanità nuova, come nuovo Adamo, «l’Adamo nello
Spirito vivificante» (1Cor 15,45); è lui, infatti, il prototipo, il mo-
dello dell’uomo nuovo, in quanto perfettamente ad immagine
di Dio, l’immagine perfetta di Dio11.

  Cfr. Gal 6,15; Ef 4,21-24; Col 3,9-10.


9

10
  Vedi soprattutto Rm 8,15 e Gal 4,6. È alquanto suggestivo quello che
viene rimarcato da Doglio, in riferimento a 2Cor 5,17: «Paolo presenta come
“nuova creazione” la novità antropologica inaugurata dal mistero pasquale
di Cristo e realizzata per chiunque sia inserito in lui: unito a Cristo, l’uomo
diviene nuovo e tale novità è compiuta già nel presente e possibile all’in-
terno di questa storia» (C. Doglio, Il primogenito dei morti. La risurrezione
di Cristo e dei cristiani nell’Apocalisse di Giovanni, SRivBib 45, Bologna
2005, 319).
11
  Cfr. Col 1,15-20; vedi anche 2Cor 4,4. A questo proposito, è interessante
come Bianchi sottolinei che «senza di noi non è pensabile l’Adamo ultimo,
perché l’Adamo ultimo costituisce la pienezza della nostra identità umana e
la nostra verità profonda. L’identità dell’uomo implica così un mediatore che
possa condurre l’Adamo terrestre allo stato di pienezza di Adamo celeste, di
Adamo ultimo: questo mediatore è Gesù Cristo» (E. Bianchi, Adamo, dove sei?
Commento esegetico-spirituale ai capitoli 1-11 del libro della Genesi, Com-
menti biblici, Magnano 19942, 304). Tale percezione viene confermata anche
in O.H. Pesch, Liberi per grazia. Antropologia teologica, BTCon 54, Brescia
1988, 540-541, dove l’autore ribadisce come Cristo, proprio in quanto «nuovo
Adamo», rappresenti il prototipo umano che Dio si è delineato  – per così
dire – in mente, che ha sempre immaginato e che anticipa la piena realizza-
zione del compimento escatologico. Per un quadro generale, poi, si rimanda
anche all’excursus di F. Manzi, «Cristo è l’“immagine di Dio”», in B. Maggioni,
F. Manzi, ed., Lettere di Paolo, Assisi 2005, 485-495.

24
La bellezza dell’immagine e somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura

3. Il Figlio dell’uomo

Nell’Apocalisse tutto questo viene sintetizzato in un altro


titolo cristologico dalla connotazione umana straordinaria.
In 1,13, infatti, il Risorto viene presentato con un sintagma
alquanto significativo, che lo colloca nel cuore del livello
antropologico: «uno simile a figlio di uomo»12. Non si tratta
qui tanto di una somiglianza fisica: non dice che assomiglia
all’uomo nel suo aspetto esteriore; piuttosto, come emer-
ge dalla particolare costruzione grammaticale, va inteso nel
senso che Cristo corrisponde pienamente all’uomo: è il «fi-
glio dell’uomo», potremmo dire l’uomo perfettamente riusci-
to e realizzato13.
Ora, è emblematico il fatto che questo titolo ricorra in
modo abbondante nei Vangeli, a testimonianza di un’imme-

12
  È significativo il fatto che anche la tradizione del cristianesimo primi-
tivo in generale riconoscesse nel «figlio dell’uomo» la persona di Gesù. Cfr.
O. Cullmann, Christologie du Nouveau Testament, Bibliothèque théologique,
Neuchâtel-Paris 19662; orig. Tedesco, Die Christologie des Neuen Testaments,
Tübingen 1957, 118. Per quanto riguarda il valore e l’originalità di questo
titolo nell’Apocalisse, cfr. U.B. Müller, Messias und Menschensohn in jüdi-
schen Apokalypsen und in der Offenbarung des Johannes, StNT 6, Gütersloh
1972, 197-199 e U. Vanni, L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, SRivBib
17, Bologna 1988, 123-128. Attorno a questa configurazione del Risorto, poi,
si sviluppa lo studio di M. Oliver Roman, «El Septenario de las Cartas a las
Iglesias (Apoc. 1,4-3,22)», Com(US) 9 (1976) 377-439», che legge tutta la se-
zione delle sette lettere alla luce di tale riferimento a Cristo. Particolarmente
preziose sono le pp. 397-408, dove l’autore offre una panoramica delle linee
di lettura principali che sono state adottate proprio in merito alla figura del
«figlio dell’uomo» nell’Apocalisse.
13
  Questo concetto di «figlio dell’uomo» è rimarcato in A. de Bovis, «Philo-
sophie ou théologie de l’histoire», NRTh 81 (1959) 449-461, 451, dove l’autore
mette in evidenza il ruolo centrale che ne consegue, come modello della
maturazione e del perfezionamento dell’uomo e dell’umanità.

25
Luca Pedroli

diata identificazione del «figlio dell’uomo» con Gesù14. La con-


notazione più eloquente, però, viene suggerita dal confronto
con il passo del Libro di Daniele che ci porta a contatto con la
prerogativa originaria legata a tale figura. In Dn 7,13-14 infatti,
nel contesto delle visioni narrate nel cap. 7, si dice:
Io guardavo nelle visioni notturne ed ecco sulle nubi
del cielo venire uno come figlio dell’uomo; egli giunse fino
all’Antico di giorni e fu fatto avvicinare a lui. A lui fu dato
dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, nazioni e lin-
gue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno che
non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà mai
distrutto.

La natura e la funzione di questa figura, che si staglia nel


cuore della narrazione di Daniele, rimane per tanti versi com-
plessa e misteriosa15. Una connotazione che viene partico-
larmente evidenziata è costituita, però, dalla sua funzione
di mediazione: nella prospettiva teologica del libro, il «figlio
dell’uomo» si pone tra il livello divino e quello umano, otti-

14
  È molto interessante, a tale proposito, lo studio di F.J. Moloney, The
Johannine Son of Man, BSRel 14, Roma 19782, nel quale emerge come l’Apo-
calisse si ponga in continuità con la visione giovannea del «figlio dell’uomo»,
svelandone tutta la sua portata e il valore intrinseco. Infatti, questa espres-
sione ricorre nel Vangelo di Giovanni ben 13 volte (cfr. 1,51; 3,13.14; 5,27;
6,27.53.62; 8,28; 9,35; 12,23.34a.34b; 13,31). Anche nei Sinottici essa, come
formula tipica, viene utilizzata spesso; mentre, però, in questi ultimi indica
semplicemente il Risorto nella sua funzione di giudice e di signore della sto-
ria, per il quarto Vangelo essa rivela il Cristo che, nella sua umanità, manifesta
il volto di Dio, nella sua pienezza.
15
    Per un quadro dettagliato dei suoi tratti peculiari e delle possibili
linee interpretative si rimanda all’excursus «One Like a Human Being» di J.J.
Collins, Daniel. A Commentary on the Book of Daniel, Hermeneia, Minneap-
olis, MN 1993, 304-310.

26
La bellezza dell’immagine e somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura

mizzando il loro modo di interagire ed elevando progressi-


vamente il secondo, fino a condurlo a contatto con il primo.
Questo aspetto è stato evidenziato soprattutto da Crispin
Fletcher-Louis nel suo studio «The High Priest as Divine Me-
diator in the Hebrew Bible: Dan 7:13 as a Test Case»; egli, ana-
lizzando il retroterra storico di Dn 7, mette in risalto le prero-
gative della funzione esercitata dal «figlio dell’uomo», propo-
nendo di leggerla nel quadro simbolico delineato attorno alla
configurazione del sommo sacerdote, nella linea suggerita già
dagli archetipi di Enoch e Melchisedek16.
Ora, Walter Brueggemann ha messo in luce un aspetto pri-
oritario di questa mediazione, che traspare in Dn 12,2, dove si
legge: «E molti di quelli che dormono nella polvere della terra
si risveglieranno, alcuni per la vita eterna e altri per la vergogna
e l’infamia eterna». Ancora una volta, un riferimento quanto mai
indicativo alla «polvere». E l’intuizione è che in tutti i passi anti-
cotestamentari in cui viene utilizzato, il motivo relativo all’esse-
re sollevati dalla polvere rivela sempre una connotazione legata
alla regalità17.
In sintesi, allora, si deduce che Cristo, in quanto Figlio dell’uo-
mo, è colui che, nella linea della configurazione specifica del
sommo sacerdote, assume su di sé la funzione di cui è investito
dall’alto, quale mediatore tra la terra e il cielo, sollevando così
l’umanità dalla condizione di «polvere», segnata dal proprio limite
e destinata alla dispersione, a quella più alta, regale.

16
 Cfr. H.T. Fletcher-Louis, «The High Priest as Divine Mediator in the
Hebrew Bible: Dan 7:13 as a Test Case», in SBL.SPS 36, Atlanta, GA 1997, 161-
193. È significativo poi il fatto che, al termine del suo percorso, Fletcher-Louis
metta esplicitamente in relazione questa connotazione riconosciuta in Dn
7,13 con il contesto di Ap 1,13: cfr. Ibid., 192.
17
 Cfr. W. Brueggemann, «From Dust to Kingship», ZAW 84 (1972) 1-18; per
quanto riguarda specificatamente il caso di Dn 12,2, vedi p. 11.

27
Luca Pedroli

4. Il compimento, in Cristo nuovo Adamo

Alla luce di tutto questo, comprendiamo la ricchezza di cui


è investito l’uomo, Adām, in quanto essere tratto dalla polvere,
«dalla terra» (dalla adamāh: cfr. Gn 2,7).
C’è però un’altra etimologia possibile di Adām, che fa risali-
re il nome al verbo dāmāh, e più precisamente alla sua forma
astratta demût, che è già stata evidenziata precedentemente e
che indica la «somiglianza». Adām significherebbe quindi «colui
che è pienamente somigliante, che è capace di riflettere l’imma-
gine (ṣelem) fedelmente».
In tal senso, risulta essenziale richiamare quanto viene detto
in Gn 1,26-27:
26
Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine (ṣelem),
secondo la nostra somiglianza (demût): dòmini sui pesci del
mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali
selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». 27E Dio creò
l’uomo (Adām) a sua immagine; a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.

Ora, ciò che emerge con forza in questi versetti è che l’uo-
mo, Adām, è demût, vale a dire riflesso autentico dell’immagine
(ṣelem) di Dio, proprio in quanto «maschio e femmina».
Questo dato ci apre a considerazioni che possono rivelarsi
quanto mai preziose. Una di queste ci riporta senz’altro al pas-
so di 1Cor 15,45 che abbiamo già avuto modo di menzionare:
cosa intende quindi Paolo, nel momento in cui si riferisce a
Cristo, capostipite dell’umanità nuova, in quanto nuovo Adamo
(Adām), «l’Adamo nello Spirito vivificante»?
A tal proposito, risulta illuminante un altro riferimento che
troviamo sempre nella Prima Lettera ai Corinti. Corinto era una
comunità grande, composita e particolarmente vivace, che aveva
vissuto una notevole e repentina espansione, sull’onda di una

28
La bellezza dell’immagine e somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura

forte esperienza carismatica. Questo elemento aveva portato


ad una lodevole fioritura ministeriale, ma nel contempo aveva
provocato malumori e controversie, dovute a incomprensioni,
invidie e prevaricazioni di diverso tipo. Si era ingenerata, infat-
ti, un’esaltazione spropositata per le manifestazioni dello Spirito
più appariscenti ed eclatanti, che aveva scatenato una vera e pro-
pria corsa: molti ambivano a questi carismi, relegando in secon-
do piano quelli meno evidenti, come l’accoglienza e l’ospitalità,
la pazienza e la capacità di ascolto e tutte quelle attenzioni nei
confronti degli ultimi e dei più bisognosi che oggi identifichiamo
nelle opere di misericordia. Di conseguenza, coloro che benefi-
ciavano dei doni spirituali più apprezzati erano ricercati da tutti,
occupavano un posto centrale anche nelle assemblee liturgiche
e finivano per ritenersi in un certo qual modo al di sopra della
stessa comunità. Al contrario, quelli che avevano doni che abili-
tavano a servizi più ordinari e nascosti si sentivano meno dotati
dallo Spirito, un po’ come cristiani di livello inferiore.
Paolo, informato dai presbìteri di Corinto, risponde pron-
tamente e in modo dettagliato, con l’intento di sanare questa
situazione, ma anche di offrire nel contempo i parametri per
una edificazione della comunità cristiana, che si esplichi nel se-
gno dell’equilibrio, del rispetto e della corresponsabilità. Ecco
allora che introduce una nuova immagine: quella del «corpo». E
in 1Cor 12,12 si legge:
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte
le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo,
così anche il Cristo.

Sono due le note salienti che devono essere evidenziate in


questa citazione. La prima è riscontrabile nella forza che tale
riferimento assume in Paolo. L’apostolo infatti non si limita a for-
mulare una metafora, dicendo che la comunità cristiana deve es-

29
Luca Pedroli

sere come un corpo; afferma invece che essa è «un corpo solo»,
a tutti gli effetti: è il corpo di Cristo. La seconda nota riguarda la
conclusione. Ci saremmo infatti aspettati: «Così anche la Chiesa».
E invece Paolo termina in modo alquanto sorprendete, affer-
mando: «Così anche il Cristo». Ciò che lascia intendere è un dato
di una potenza inaudita, che viene a costituire un elemento
cardine dell’ecclesiologia paolina: dopo la Pasqua, la Chiesa va
intesa come una cosa sola con Cristo, anzi è il Cristo stesso.
La mente a questo punto non può non riandare a Gn 2,24,
dove si dice: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre
e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne». Tanto
che, nell’«“Omelia” di un autore del secondo secolo» (14,2-5),
proprio a commento di questo versetto, si precisa: «Ecco perché
la Scrittura dice: “Dio creò l’uomo maschio e femmina” (Gn
1,27; 5,2). L’uno è Cristo, l’altra è la Chiesa»18.

5. L’inclusione tra Gn 2,18-25 e Ap 22,17-20

Alquanto esplicativo risulta quindi il confronto con questo


passo, che scandisce una delle prime narrazioni teologiche che
troviamo nella Bibbia. Il riferimento è a Gn 2,18-25, visto nel
suo insieme: l’uomo contempla estasiato tutto il creato che lo
circonda, ma si sente solo… Allora, Dio fa una constatazione:
«Non è bene che l’uomo sia solo»19; così, crea ogni sorta di ani-

 Cfr. F.X. Funk, Patres apostolici, I, Tubingae 1901, 200-203.


18

  È importante evidenziare, a proposito della formulazione «non è bene»,


19

come nel primo racconto della creazione ogni giorno venga scandito dal ri-
tornello «e vide Dio che era cosa buona» (Gn 1,10.12.18.21.25). Ora, questo
motivo appare amplificato al termine della narrazione, quando, proprio in
seguito alla creazione dell’uomo come «maschio e femmina» (v. 27), si affer-
ma: «E Dio vide che tutto ciò che aveva fatto era cosa molto buona (v. 31)».

30
La bellezza dell’immagine e somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura

male e lo presenta ad Adamo. Questi attribuisce a ciascuno di


essi un nome, ma senza riconoscervi uno «corrispondente a sé».
Quando, però, il Signore plasma la donna e la conduce all’uo-
mo, quest’ultimo esplode in un’esclamazione di gioia.
Alonso Schökel fa notare come nei Padri della Chiesa fos-
se consueto, commentando questo testo, far riferimento a Dio
come paranìnfo o ninfagógo, colui cioè che nell’antichità ave-
va il compito di prelevare e di accompagnare la sposa dallo
sposo20. In questo caso, allora, Dio presenta ad Adamo la sua
sposa, e la prima parola dell’umanità che troviamo attestata
nella Bibbia è proprio la conseguente voce di gioia dello sposo:
«Questa volta è carne della mia carne e osso delle mie ossa!»21.
L’ultima voce dell’umanità attestata nella Scrittura è invece quel-
la della sposa, la quale, nella vitalità e nel trasporto dello Spirito,
rivolge il suo invito accorato allo sposo: «Vieni!»; e, a questa esorta-
zione, fa eco la rassicurazione del Risorto: «Sì, vengo presto!»22. La
gioia sponsale, prefigurata nel cuore del disegno divino e messa

20
  Si tratta della figura tipicamente nuziale, nota anche nel contesto se-
mitico come shoshbìn. Cfr. L. Alonso Schökel, «Simboli matrimoniali nel Nuovo
Testamento», in G. De Gennaro, ed., L’antropologia biblica, Studio Biblico
Teologico Aquilano, Napoli 1981, 545-570: 552-553. Particolarmente toccante
risulta la testimonianza di Procopio di Gaza: «Volendo Dio infondere in lui un
affetto verso di lei, prese qualcosa di lui, riempì quello che restava, lo sistemò
molto bene e glielo portò svolgendo il ruolo di ninfagógo. L’uomo, eccita-
to da un movimento innato per l’amore e poco meno che abbracciando la
donna, esclamò: “Questa sì che è osso delle mie ossa, carne della mia carne”,
poiché era immagine di Dio» (Procopius Gazaeus, Commentarii in Genesin, PG
87, 22-512: 172-173).
21
  Cfr. Gn 2,23. Le prime parole pronunciate dall’uomo nella Bibbia sono
proprio parole d’amore, una poesia: cfr. D.E. Gowan, From Eden to Babel, ITC,
Grand Rapids, MI – Edinburgh 1988, 48.
22
  Cfr. rispettivamente Ap 22,17 («E lo Spirito e la fidanzata dicono:
“Vieni!”. E chi ascolta dica: “Vieni!”») e 22,20 («Sì, vengo presto!»; «Amen, vieni
Signore Gesù!»).

31
Luca Pedroli

in risalto nella Genesi, come culmine della creazione, trova la sua


vera realizzazione e il suo compimento ad un livello ancora più
alto, vertiginoso, nella nuzialità escatologica dell’uomo con Cristo
stesso. Anche in questo caso, poi, Dio svolge il ruolo di ninfagógo;
questa volta, però, in un senso diverso, nuovo:
il Padre ninfagógo non porta la sposa, ma porta lo sposo, il
Figlio. Lui invia lo sposo all’umanità, quell’umanità dolente che
aspetta qualcuno capace di amarla come è.

Si può parlare davvero, a tutti gli effetti, di una nuova genesi,


tanto che vi ritroviamo la stessa dinamica di dono divino, di
riconoscimento e di accoglienza già evidenziata nel racconto
della creazione.
C’è un commento bellissimo del padre orientale della Chie-
sa antiochena Teodoreto che, commentando il Cantico, mostra
l’umanità che aspetta, aspetta quell’amore e dice: «Mi hai invia-
to tanti profeti, ho ascoltato i profeti, ma adesso voglio ascolta-
re la voce dello sposo, voglio sentire il bacio dello sposo…»23.

Dio offre all’uomo, nel corso della storia, tante voci e tante
figure capaci di mediare la sua parola e la sua presenza salvi-
fica, ma uno solo viene percepito come «perfettamente corri-
spondente», pienamente conforme al massimo delle sue attese
e portatore della sua identità più vera, più profonda. E, ancora
una volta, il tutto è destinato a sfociare in una grande esplosio-
ne di gioia, nell’unione sponsale con Cristo, che realizza quella
adombrata all’inizio della creazione, proiettandola addirittura
ad una dimensione nuova, escatologica24.

23
  Queste ultime due citazioni sono riprese sempre da L. Alonso Schökel,
«Simboli matrimoniali nel Nuovo Testamento», 553.
24
  È illuminante a tale proposito quanto è precisato in J. Comblin,
«L’homme retrouvé: la rencontre de l’Epoux et de l’Epouse. Ap 22,12-14.16-

32
La bellezza dell’immagine e somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura

6. La risonanza di Gv 3,29 e del Cantico dei Cantici

In tale prospettiva, ci accorgiamo che assume una conno-


tazione molto più precisa e illuminante anche il passo di Gv
3,29, in cui il Battista si definisce esplicitamente «l’amico dello
sposo».
Vale la pena poi soffermarsi ancora sulla stessa dinamica
per cui Dio fa ugualmente da ninfagógo prima all’uomo e poi
alla donna: è come se li ponesse così sullo stesso piano e ide-
almente uno di fronte all’altra, in quanto ish («uomo») e ishah
(«donna»), riproponendo il quadro originario di Gn 2. Così fa-
cendo, lo sposo e la sposa risultano davvero contrapposti e cor-
rispondenti, in modo simmetrico, e si riconoscono come com-
pletamento l’uno dell’altra. È quanto viene messo in evidenza
anche nel Cantico dei Cantici, attraverso due artifici che Francis
Landy definisce rispettivamente «flusso di identità» e «scambi
dell’immaginario»25.
Il primo fenomeno è costituito dall’accorgimento per cui in
alcuni passaggi non si lascia intendere se a parlare sia effetti-
vamente l’amato, l’amata o entrambi insieme; così facendo, si
comunica l’idea di una comunione sempre più profonda, tanto
da arrivare ad esprimersi all’unisono26. Il secondo fenomeno è

17.20», ASeign 29 (1970) 38-46: anche in questo saggio, l’autore rilegge l’ap-
pello della sposa e la risposta dello sposo di Ap 22 alla luce dell’episodio
della creazione dell’uomo e della donna, evidenziando come l’umanità abbia
la possibilità di ritrovarsi soltanto nell’unione coniugale con Cristo. In effetti,
la novità manifestata nell’Apocalisse sta nel fatto che il Risorto non si limita a
ripristinare l’umanità «tale e quale Dio l’aveva creata», ma la proietta verso un
livello mai sperimentato e inaudito, innescato e portato a compimento dalla
piena condivisione del suo amore e del mistero pasquale.
25
 Cfr. F. Landy, Paradoxes of Paradise. Identity and Difference in the
Song of Songs, Shaffield 1983, 65.73.
26
  Vedi in particolare la pericope che va da 1,12 a 2,7.

33
Luca Pedroli

rappresentato dal fatto che spesso, per descrivere l’altro, essi


fanno ricorso alle stesse metafore: è il caso dell’immagine del-
la «colomba» (cfr. 2,14; 5,2; 6,9), della «rosa» (cfr. 2,1-2), della
«gazzella» e del «cerbiatto» (cfr. 2,9.17; 4,5; 7,4; 8,14). In questo
modo essi finiscono sempre più per combaciarsi perfettamente,
riflettendosi e riconoscendosi l’uno nell’altra.

7. Il caso di Ef 5,25-27

Per completare il quadro che è venuto delineandosi, appare


davvero prezioso richiamare anche quanto viene precisato in
Ef 5,25-27, dove Paolo, nell’analisi dell’amore coniugale da lui
offerta, afferma:
Cristo ha amato la Chiesa e ha consegnato se stesso per lei,
per santificarla, dopo averla purificata col lavacro dell’acqua
nella parola, al fine di far comparire la Chiesa davanti a sé
gloriosa, senza macchia o ruga o alcunché di simile, ma perché
sia santa e irreprensibile.

Ecco la sorpresa: anche nella visione paolina emerge la fi-


gura di un ninfagógo; soltanto che in questo caso è Cristo in
persona a svolgere tale ruolo, con la conseguenza che sposo e
ninfagógo finiscono per coincidere. Egli vuole presentarsi alle
nozze, portando al braccio una sposa bella, unica, senza più
alcuna lacuna, proprio come si addice a lui; è lo stesso Risorto
quindi che, in quanto sposo, cura al meglio la preparazione
della Chiesa, rivestendola della sua gloria e facendo così di lei,
di noi, una sposa splendida, la sposa per eccellenza.
Se si fa attenzione, però, il lavacro in cui tutto questo avviene
non ci rimanda soltanto al rito nuziale del bagno della promessa
sposa, ma presenta tutte le connotazioni anche del Battesimo. In
esso allora troviamo associati il rito battesimale e quello nuziale.

34
La bellezza dell’immagine e somiglianza nell’uomo/donna nella Scrittura

Comprendiamo così come il Battesimo porti insita in sé anche


una connotazione prettamente nuziale, in quanto rigenera come
corpo di Cristo e come sposa. In tal senso, è emblematica la ve-
ste bianca di cui si viene rivestiti, in quanto, oltre ad esprimere il
fatto di essere diventati nuova creatura in Cristo, manifesta anche
la valenza tipica dell’abito nuziale.

Conclusione

Appare quindi quanto mai evidente come la metafora sponsale


non costituisca semplicemente una categoria linguistica, un modo
di dire, e neppure una simbologia antropologica a cui si ricorre
per esprimere altro. Ci troviamo invece di fronte ad un evento vero
e proprio: abbiamo a che fare a tutti gli effetti con un matrimonio,
con una sposa e uno sposo, che sono rispettivamente Cristo e la
Chiesa; è una relazione nuziale, instaurata da Dio con l’umanità
intera. Il simbolo utilizzato, allora, non si limita a rispondere alla
valenza di una immagine o di un semplice rimando, ma ci apre al
senso più profondo dell’evento rivelato, vissuto e celebrato, cosa
che un linguaggio univoco non potrebbe fare.
E il tutto avviene attraverso la modalità squisita della mascoli-
nità e della femminilità, nella configurazione uomo/donna, quale
codice naturale e privilegiato nel quale Dio imprime il suo rifles-
so più autentico e la bellezza del suo disegno d’amore, portato
a compimento in Cristo, nella novità e nella vitalità della Pasqua.

35
Luca Pedroli

Bibliografia di riferimento

Per una visione dettagliata:


Pedroli L., Dal fidanzamento alla nuzialità escatologica. La di-
mensione antropologica del rapporto crescente tra Cristo e la
Chiesa nell’Apocalisse, Studi e Ricerche, Cittadella Editrice,
Assisi 2007.

Vedi anche:
Bonetti R., Pedroli L., Il prete: uno sposo. L’identità nuziale del
presbitero, La stola e il grembiule, Cittadella Editrice, Assisi
2015.
Meruzzi M., Pedroli L., «Venite alle nozze!». Un percorso biblico
sulle orme di Cristo-sposo, Cantiere coppia, Cittadella Editri-
ce, Assisi 2009.
Pedroli L., «Lo Spirito e le Nozze», in Bonetti R., Pilloni F., ed.,
La Grazia del Sacramento delle Nozze. Nello Spirito Santo
pienezza di vita, Famiglia dono grande 2, Cantagalli, Siena
2012, 5-20.

36

Potrebbero piacerti anche