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LA BELLEZZA DELL’IMMAGINE
E SOMIGLIANZA NELL’UOMO/DONNA
NELLA SCRITTURA
Don Luca Pedroli in particolare fin dal suo primo libro del 2007
si è occupato della dimensione della nuzialità escatologica e ciò l’ha
condotto ad approfondimenti sia sul versante del percorso per gli
sposi sia sul versante della formazione del presbitero. Infatti, il suo
ultimo testo del 2015 con don Renzo Bonetti, mette a fuoco l’identità
nuziale del presbitero.
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Luca Pedroli
Barthélemy, Dieu et son image. Ébauche d’une théologie biblique, Paris 1963,
nel quale l’approccio all’antropologia biblica viene fatto ruotare proprio
attorno al concetto dell’uomo come «immagine di Dio». Vedi anche il con-
tributo di J.A. Soggin, «“Ad immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1,26-27)»,
in L’uomo nella Bibbia e nelle culture ad essa contemporanee, ABI, Bre-
scia 1975. Senza voler addentrarci nella discussione complessa e intricata
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G. De Gennaro, ed., L’antropologia biblica, Studio Biblico Teologico
Aquilano, Napoli 1981, 16.
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Cfr. Gn 2,7.
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Cfr. Gn 3,19.
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Nell’Apocalisse, una delle reazioni di coloro che risultavano connessi
a Babilonia era stata quella, alla vista della sua rovina, di spargere «polvere
sulle loro teste», in segno di lutto e di costernazione (cfr. Ap 18,19). Ora, ri-
sulta particolarmente indicativo rileggere anche questo riferimento alla luce
delle ultime considerazioni: è come se venisse ulteriormente rimarcato il fatto
che è proprio lasciandosi sprofondare nella perversione della «grande città»
che l’uomo smarrisce l’impronta divina, riproposta nella sua vitalità massima
e inaudita dal Risorto, e si vede degradato alla condizione inerte di «polvere».
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Vedi soprattutto Rm 8,15 e Gal 4,6. È alquanto suggestivo quello che
viene rimarcato da Doglio, in riferimento a 2Cor 5,17: «Paolo presenta come
“nuova creazione” la novità antropologica inaugurata dal mistero pasquale
di Cristo e realizzata per chiunque sia inserito in lui: unito a Cristo, l’uomo
diviene nuovo e tale novità è compiuta già nel presente e possibile all’in-
terno di questa storia» (C. Doglio, Il primogenito dei morti. La risurrezione
di Cristo e dei cristiani nell’Apocalisse di Giovanni, SRivBib 45, Bologna
2005, 319).
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Cfr. Col 1,15-20; vedi anche 2Cor 4,4. A questo proposito, è interessante
come Bianchi sottolinei che «senza di noi non è pensabile l’Adamo ultimo,
perché l’Adamo ultimo costituisce la pienezza della nostra identità umana e
la nostra verità profonda. L’identità dell’uomo implica così un mediatore che
possa condurre l’Adamo terrestre allo stato di pienezza di Adamo celeste, di
Adamo ultimo: questo mediatore è Gesù Cristo» (E. Bianchi, Adamo, dove sei?
Commento esegetico-spirituale ai capitoli 1-11 del libro della Genesi, Com-
menti biblici, Magnano 19942, 304). Tale percezione viene confermata anche
in O.H. Pesch, Liberi per grazia. Antropologia teologica, BTCon 54, Brescia
1988, 540-541, dove l’autore ribadisce come Cristo, proprio in quanto «nuovo
Adamo», rappresenti il prototipo umano che Dio si è delineato – per così
dire – in mente, che ha sempre immaginato e che anticipa la piena realizza-
zione del compimento escatologico. Per un quadro generale, poi, si rimanda
anche all’excursus di F. Manzi, «Cristo è l’“immagine di Dio”», in B. Maggioni,
F. Manzi, ed., Lettere di Paolo, Assisi 2005, 485-495.
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3. Il Figlio dell’uomo
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È significativo il fatto che anche la tradizione del cristianesimo primi-
tivo in generale riconoscesse nel «figlio dell’uomo» la persona di Gesù. Cfr.
O. Cullmann, Christologie du Nouveau Testament, Bibliothèque théologique,
Neuchâtel-Paris 19662; orig. Tedesco, Die Christologie des Neuen Testaments,
Tübingen 1957, 118. Per quanto riguarda il valore e l’originalità di questo
titolo nell’Apocalisse, cfr. U.B. Müller, Messias und Menschensohn in jüdi-
schen Apokalypsen und in der Offenbarung des Johannes, StNT 6, Gütersloh
1972, 197-199 e U. Vanni, L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, SRivBib
17, Bologna 1988, 123-128. Attorno a questa configurazione del Risorto, poi,
si sviluppa lo studio di M. Oliver Roman, «El Septenario de las Cartas a las
Iglesias (Apoc. 1,4-3,22)», Com(US) 9 (1976) 377-439», che legge tutta la se-
zione delle sette lettere alla luce di tale riferimento a Cristo. Particolarmente
preziose sono le pp. 397-408, dove l’autore offre una panoramica delle linee
di lettura principali che sono state adottate proprio in merito alla figura del
«figlio dell’uomo» nell’Apocalisse.
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Questo concetto di «figlio dell’uomo» è rimarcato in A. de Bovis, «Philo-
sophie ou théologie de l’histoire», NRTh 81 (1959) 449-461, 451, dove l’autore
mette in evidenza il ruolo centrale che ne consegue, come modello della
maturazione e del perfezionamento dell’uomo e dell’umanità.
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È molto interessante, a tale proposito, lo studio di F.J. Moloney, The
Johannine Son of Man, BSRel 14, Roma 19782, nel quale emerge come l’Apo-
calisse si ponga in continuità con la visione giovannea del «figlio dell’uomo»,
svelandone tutta la sua portata e il valore intrinseco. Infatti, questa espres-
sione ricorre nel Vangelo di Giovanni ben 13 volte (cfr. 1,51; 3,13.14; 5,27;
6,27.53.62; 8,28; 9,35; 12,23.34a.34b; 13,31). Anche nei Sinottici essa, come
formula tipica, viene utilizzata spesso; mentre, però, in questi ultimi indica
semplicemente il Risorto nella sua funzione di giudice e di signore della sto-
ria, per il quarto Vangelo essa rivela il Cristo che, nella sua umanità, manifesta
il volto di Dio, nella sua pienezza.
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Per un quadro dettagliato dei suoi tratti peculiari e delle possibili
linee interpretative si rimanda all’excursus «One Like a Human Being» di J.J.
Collins, Daniel. A Commentary on the Book of Daniel, Hermeneia, Minneap-
olis, MN 1993, 304-310.
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Cfr. H.T. Fletcher-Louis, «The High Priest as Divine Mediator in the
Hebrew Bible: Dan 7:13 as a Test Case», in SBL.SPS 36, Atlanta, GA 1997, 161-
193. È significativo poi il fatto che, al termine del suo percorso, Fletcher-Louis
metta esplicitamente in relazione questa connotazione riconosciuta in Dn
7,13 con il contesto di Ap 1,13: cfr. Ibid., 192.
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Cfr. W. Brueggemann, «From Dust to Kingship», ZAW 84 (1972) 1-18; per
quanto riguarda specificatamente il caso di Dn 12,2, vedi p. 11.
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Ora, ciò che emerge con forza in questi versetti è che l’uo-
mo, Adām, è demût, vale a dire riflesso autentico dell’immagine
(ṣelem) di Dio, proprio in quanto «maschio e femmina».
Questo dato ci apre a considerazioni che possono rivelarsi
quanto mai preziose. Una di queste ci riporta senz’altro al pas-
so di 1Cor 15,45 che abbiamo già avuto modo di menzionare:
cosa intende quindi Paolo, nel momento in cui si riferisce a
Cristo, capostipite dell’umanità nuova, in quanto nuovo Adamo
(Adām), «l’Adamo nello Spirito vivificante»?
A tal proposito, risulta illuminante un altro riferimento che
troviamo sempre nella Prima Lettera ai Corinti. Corinto era una
comunità grande, composita e particolarmente vivace, che aveva
vissuto una notevole e repentina espansione, sull’onda di una
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sere come un corpo; afferma invece che essa è «un corpo solo»,
a tutti gli effetti: è il corpo di Cristo. La seconda nota riguarda la
conclusione. Ci saremmo infatti aspettati: «Così anche la Chiesa».
E invece Paolo termina in modo alquanto sorprendete, affer-
mando: «Così anche il Cristo». Ciò che lascia intendere è un dato
di una potenza inaudita, che viene a costituire un elemento
cardine dell’ecclesiologia paolina: dopo la Pasqua, la Chiesa va
intesa come una cosa sola con Cristo, anzi è il Cristo stesso.
La mente a questo punto non può non riandare a Gn 2,24,
dove si dice: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre
e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne». Tanto
che, nell’«“Omelia” di un autore del secondo secolo» (14,2-5),
proprio a commento di questo versetto, si precisa: «Ecco perché
la Scrittura dice: “Dio creò l’uomo maschio e femmina” (Gn
1,27; 5,2). L’uno è Cristo, l’altra è la Chiesa»18.
come nel primo racconto della creazione ogni giorno venga scandito dal ri-
tornello «e vide Dio che era cosa buona» (Gn 1,10.12.18.21.25). Ora, questo
motivo appare amplificato al termine della narrazione, quando, proprio in
seguito alla creazione dell’uomo come «maschio e femmina» (v. 27), si affer-
ma: «E Dio vide che tutto ciò che aveva fatto era cosa molto buona (v. 31)».
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Si tratta della figura tipicamente nuziale, nota anche nel contesto se-
mitico come shoshbìn. Cfr. L. Alonso Schökel, «Simboli matrimoniali nel Nuovo
Testamento», in G. De Gennaro, ed., L’antropologia biblica, Studio Biblico
Teologico Aquilano, Napoli 1981, 545-570: 552-553. Particolarmente toccante
risulta la testimonianza di Procopio di Gaza: «Volendo Dio infondere in lui un
affetto verso di lei, prese qualcosa di lui, riempì quello che restava, lo sistemò
molto bene e glielo portò svolgendo il ruolo di ninfagógo. L’uomo, eccita-
to da un movimento innato per l’amore e poco meno che abbracciando la
donna, esclamò: “Questa sì che è osso delle mie ossa, carne della mia carne”,
poiché era immagine di Dio» (Procopius Gazaeus, Commentarii in Genesin, PG
87, 22-512: 172-173).
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Cfr. Gn 2,23. Le prime parole pronunciate dall’uomo nella Bibbia sono
proprio parole d’amore, una poesia: cfr. D.E. Gowan, From Eden to Babel, ITC,
Grand Rapids, MI – Edinburgh 1988, 48.
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Cfr. rispettivamente Ap 22,17 («E lo Spirito e la fidanzata dicono:
“Vieni!”. E chi ascolta dica: “Vieni!”») e 22,20 («Sì, vengo presto!»; «Amen, vieni
Signore Gesù!»).
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Dio offre all’uomo, nel corso della storia, tante voci e tante
figure capaci di mediare la sua parola e la sua presenza salvi-
fica, ma uno solo viene percepito come «perfettamente corri-
spondente», pienamente conforme al massimo delle sue attese
e portatore della sua identità più vera, più profonda. E, ancora
una volta, il tutto è destinato a sfociare in una grande esplosio-
ne di gioia, nell’unione sponsale con Cristo, che realizza quella
adombrata all’inizio della creazione, proiettandola addirittura
ad una dimensione nuova, escatologica24.
23
Queste ultime due citazioni sono riprese sempre da L. Alonso Schökel,
«Simboli matrimoniali nel Nuovo Testamento», 553.
24
È illuminante a tale proposito quanto è precisato in J. Comblin,
«L’homme retrouvé: la rencontre de l’Epoux et de l’Epouse. Ap 22,12-14.16-
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17.20», ASeign 29 (1970) 38-46: anche in questo saggio, l’autore rilegge l’ap-
pello della sposa e la risposta dello sposo di Ap 22 alla luce dell’episodio
della creazione dell’uomo e della donna, evidenziando come l’umanità abbia
la possibilità di ritrovarsi soltanto nell’unione coniugale con Cristo. In effetti,
la novità manifestata nell’Apocalisse sta nel fatto che il Risorto non si limita a
ripristinare l’umanità «tale e quale Dio l’aveva creata», ma la proietta verso un
livello mai sperimentato e inaudito, innescato e portato a compimento dalla
piena condivisione del suo amore e del mistero pasquale.
25
Cfr. F. Landy, Paradoxes of Paradise. Identity and Difference in the
Song of Songs, Shaffield 1983, 65.73.
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Vedi in particolare la pericope che va da 1,12 a 2,7.
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7. Il caso di Ef 5,25-27
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Conclusione
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Bibliografia di riferimento
Vedi anche:
Bonetti R., Pedroli L., Il prete: uno sposo. L’identità nuziale del
presbitero, La stola e il grembiule, Cittadella Editrice, Assisi
2015.
Meruzzi M., Pedroli L., «Venite alle nozze!». Un percorso biblico
sulle orme di Cristo-sposo, Cantiere coppia, Cittadella Editri-
ce, Assisi 2009.
Pedroli L., «Lo Spirito e le Nozze», in Bonetti R., Pilloni F., ed.,
La Grazia del Sacramento delle Nozze. Nello Spirito Santo
pienezza di vita, Famiglia dono grande 2, Cantagalli, Siena
2012, 5-20.
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