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LEZIONE 4 – GLI ITINERARI DEL DIRITTO ALLA SALUTE

Unità 1 – Le attività di ricerca e di sperimentazione


LA LIBERTÀ DI RICERCA SCIENTIFICA E TECNICA
• La ricerca scientifica e la sua libertà costituiscono valori importantissimi per l’ordinamento, che trovano riscontro
nella nostra Costituzione:
• nell’art. 9, comma 1, ove si afferma che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica»;
• nell’art. 33, comma 1, ove si afferma che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»
QUESTIONI GIURIDICHE CONNESSE
• Le attività di ricerca scientifica, finalizzate alla cura di patologie, necessitano per il loro svolgimento di
materiale biologico. Una prima questione che viene a porsi, pertanto, è quella della configurazione giuridica del
«campione biologico».
• La necessità di garantire che l’attività di ricerca si svolga su campioni di elevata qualità e purezza, per assicurare il
buon fine degli studi, ha condotto alla istituzione di strutture qualificate – le cc.dd. «biobanche», presso le quali
vengono conservati i campioni biologici. La disciplina giuridica delle biobanche costituisce un’altra delle più attuali
questioni del biodiritto.
I CAMPIONI BIOLOGICI
• Le nuove acquisizioni di genomica, proteomica e biologia sistematica hanno reso crescente l’utilizzo di materiale
biologico per applicazioni nell’àmbito della diagnostica, della cura e della ricerca bio-medica.
• È aumentata, pertanto, la domanda di materiale biologico, controllato e validato, per condurre studi e ricerche
scientifiche.
• Di qui, la necessità di garantire che i relativi test vengano effettuati presso strutture qualificate, che dispongano di
materiale di elevata qualità e purezza.
• Con il termine «campione biologico» si indicano generalmente i materiali biologici di origine umana, spesso
raccolti per attività di ricerca scientifica o per eseguire procedure di carattere diagnostico o terapeutico.
• Sul piano giuridico, vengono così a sollevarsi questioni che investono i diritti della persona e la sua identità, il
diritto di proprietà su parti del corpo umano, di utilizzo dei materiali e del loro sfruttamento a fini commerciali.
CONTENUTO DEI CAMPIONI BIOLOGICI
Il termine campione biologico può essere riferito, sotto l’aspetto contenutistico, a:
• materiali quali componenti subcellulari come Dna, Rna, o proteine;
• cellule o tessuti, inclusi quelli tumorali rimossi chirurgicamente;
• interi organi, come fegato, rene, cuore, placenta, etc.;
• gameti, embrioni, tessuti fetali;
• cellule staminali;
• prodotti del corpo (denti, capelli, unghie, latte materno, urina, feci);
• sangue e suoi derivati (plasma, siero, linfociti, globuli rossi).
ACQUISIZIONE DEL CAMPIONE BIOLOGICO
I campioni biologici possono essere distinti in base alle circostanze per cui sono appresi e collezionati:
• materiali ottenuti da donazioni volontarie al solo fine di ricerca;
• campioni raccolti e conservati per altro tipo di ricerca;
• materiale autoptico prelevato da persone decedute;
• campioni raccolti per scopi diagnostici e terapeutici, o scarti operatori, poi conservati.

Chi acconsente all’uso del proprio materiale biologico offre alla comunità un dono di inestimabile valore, favorendo
la ricerca sia per la comprensione delle patologie, sia per lo sviluppo di nuovi approcci diagnostici e terapeutici.
• Si tratta, dunque, di un gesto volontario a fini di solidarietà sociale, senza scopo di lucro o di ritorno personale e/o
economico.
• Consenso e gratuità connotano quindi la messa a disposizione da parte di un soggetto del proprio materiale
biologico per il conseguimento di fini leciti: raccolta, stoccaggio e possibili utilizzi dei campioni devono formare
oggetto di un consenso necessariamente preceduto da una adeguata ed esaustiva informativa.
NATURA GIURIDICA DEL CAMPIONE BIOLOGICO
• Nel campione biologico convivono due dimensioni, quella materiale e quella informazionale.
Il campione, infatti, non è soltanto una parte del corpo di una persona, su cui può in astratto configurarsi un diritto di
proprietà, ma è anche una fonte preziosissima di dati personali (genetici, clinici, relativi allo stile di vita), rispetto ai
quali sussiste il diritto della persona alla protezione e alla corretta gestione degli stessi.
• Sul versante legislativo, in Italia come in generale nei Paesi europei, è prevalsa la tendenza verso l’attrazione dei
profili di tutela nell’orbita della disciplina sulla protezione dei dati personali, con una considerazione del campione
biologico quale mero supporto materiale del dato informativo.
Ne consegue che il consenso prestato dal soggetto permette l’utilizzo dei campioni biologici, e delle informazioni che
essi recano, nei limiti previsti dall’informativa sottoposta al donatore.
LE BIOBANCHE
• Il valore scientifico assunto dai campioni biologici, lo sviluppo delle tecniche di conservazione, i progressi della
bioinformatica sono alla base della istituzione di numerosi centri di raccolta dei campioni – le cc.dd. biobanche – che
ormai rappresentano un elemento irrinunciabile dell’evoluzione tecnico-scientifica in campo medico e biotecnologico.
• Le biobanche rappresentano uno degli strumenti di attuazione dei fondamentali valori della libertà della ricerca
scientifica e tecnica.
• Cómpiti di una biobanca sono la catalogazione sistematica dei campioni, per facilitare l’accesso ad essi da parte dei
ricercatori; la raccolta e lo stoccaggio degli stessi su vasta scala, nel rispetto delle normative vigenti; l’inserimento in
un sistema di reti, che consenta la condivisione a livello globale dei campioni medesimi e delle informazioni ad essi
collegati.
CARATTERISTICHE DELLE BIOBANCHE
• Delle biobanche non esiste, per ora, una precisa e condivisa definizione, né una disciplina ad hoc: è importante,
allora, cercare di individuarne gli elementi qualificanti, che consentano di distinguerle da semplici collezioni di
campioni biologici, nella prospettiva di una loro futura specifica regolamentazione giuridica.
• Da alcuni documenti nazionali ed internazionali di carattere programmatico, non vincolanti sul piano giuridico, può
trarsi l’idea della biobanca quale «unità di servizio», cioè entità all’interno di strutture sanitarie o di ricerca, pubbliche
o private, che svolgono appunto un ‘servizio’ finalizzato alla raccolta, alla lavorazione, alla conservazione, allo
stoccaggio e alla distribuzione di campioni biologici umani, in vista di molteplici finalità: cura, diagnosi, ricerca.
• La strumentalità, dunque, rappresenta il primo degli aspetti caratterizzanti la figura, cui deve aggiungersi l’assenza di
scopi di lucro diretto, perché questo ruolo possa essere adeguatamente svolto.
• Inoltre, deve concorrere il possesso di requisiti organizzativi e gestionali, in grado di garantire il rispetto di standards
di qualità e sicurezza, nello svolgimento di ogni singola attività connessa alle finalità da perseguire.
• Attesa la particolare conformazione giuridica dei campioni biologici, la biobanca deve essere in grado di tutelare la
riservatezza dei soggetti coinvolti, rendendo anonimi i dati personali nei confronti di chi li utilizzerà, ma
consentendone l’accesso al soggetto cui si riferiscono; provvedendo, inoltre, ad un costante aggiornamento dei dati e a
garantirne la tracciabilità. Questo potrà avvenire sole se le biobanche vengano costruite come unità di servizio
autonome ed indipendenti, sia dai pazienti/donatori che dai ricercatori/utilizzatori.
LA SPERIMENTAZIONE
• Per sperimentazione si intende l’insieme delle prove e degli esperimenti effettuati sull’essere umano con lo scopo di
allargare ed accrescere il patrimonio delle conoscenze. In tal senso si esprimono i documenti internazionali che si sono
occupati del tema, nei quali viene evidenziato che anche la ricerca clinica destinata ad arrecare benefìci diagnostici o
terapeutici al singolo soggetto impiegato nella ricerca è tale in quanto finalizzata pur sempre allo sviluppo delle
conoscenze generali.
• Partendo dall’assunto secondo il quale la scienza, per progredire, non può prescindere da un’attività di
sperimentazione, gli ordinamenti giuridici la considerano lecita, in quanto strumento indispensabile per la tutela del
fondamentale diritto alla salute. Il fondamento della liceità giuridica della sperimentazione è, dunque, lo stesso
dell’attività medica: il diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione.
• Nella sperimentazione sull’uomo si ingenera un conflitto che il diritto e l’etica sono chiamati a risolvere: l’uomo è al
tempo stesso soggetto e oggetto delle metodiche innovative e non ancora consolidate, siano esse diagnostiche o
terapeutiche, che su di lui vengono per l’appunto sperimentate.
• Una ricerca espone inevitabilmente la persona sottoposta a sperimentazione a rischi, più o meno significativi, per
l’integrità fisica se non per la vita stessa, comunque maggiori rispetto ai rischi cui va incontro con i trattamenti medici
consolidati.
• Si pone, pertanto, un problema di controllo dei rischi e di individuazione di limiti oltre i quali i rischi stessi non
possono essere considerati leciti.
LA DISCIPLINA GIURIDICA (CENNI)
• Emerge la necessità di una disciplina giuridica coerente con l’esigenza di sottoporre l’attività di sperimentazione al
rispetto di regole cautelari.
• Nel nostro ordinamento, ad un iniziale vuoto normativo ha fatto séguito lentamente l’introduzione di discipline
imposte da direttive comunitarie.
• I testi di riferimento (D.lgs. n. 211/2003 e D.lgs. n. 200/2007), attuativi appunto di direttive, hanno ad oggetto la
sperimentazione clinica di farmaci.
• La disciplina è ora integrata con le disposizioni del Regolamento (UE) n. 536 del 16 aprile 2014, sulla
sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, atto normativo di diretta applicabilità ed efficacia negli Stati
membri dell’Unione.

UNITÀ 2 – L’ATTIVITÀ DI CURA E LA RESPONSABILITÀ SANITARIA


LA RELAZIONE DI CURA
• Il rapporto di cura costituisce il terreno privilegiato di attuazione del diritto alla salute.
Come si è già avuto modo di osservare, la relazione tra il medico e il paziente è sorretta dal fondamentale principio
del consenso informato, in virtù del quale si conferisce al professionista il potere di ingerenza sul proprio corpo,
indirizzato verso le finalità terapeutiche dettate dalle esigenze del caso clinico concreto.
• La figura del consenso informato non aveva finora conosciuto una disciplina organica ed unitaria, ma derivava la
sua elaborazione da norme di settore, anche di fonte secondaria, e, soprattutto, dalle ricostruzioni operate dalla dottrina
e dalla giurisprudenza, sulla scorta dei valori emergenti dal dettato costituzionale.

• La sua più esplicita consacrazione si deve a Corte Cost., 23 dicembre 2008, n. 438, nella quale fu affermato che ‹‹la
circostanza che il consenso informato trovi il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost. pone in risalto la sua
funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute››.
• Il consenso informato è ora disciplinato dalla legge n. 219/2017, in particolare dall’art. 1, che descrive il contenuto
della figura e determina le modalità di acquisizione e di documentazione della volontà del paziente, e dall’art. 3,
inerente alla prestazione del consenso di minori e incapaci.
LA REGOLAMENTAZIONE DEL COMPARTO SANITARIO
• Le attività di cura al servizio della salute si innestano in un più ampio scenario che vede coinvolte le strutture
sanitarie, pubbliche e private, nonché una serie di altri operatori professionali.
• Il comparto sanitario è oggi regolato dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, recante ‹‹Disposizioni in materia di
sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le
professioni sanitarie››, nota anche come LEGGE GELLI-BIANCO dal nome dei relatori.
• L’introduzione di una disciplina unitaria e speciale per il settore sanitario è stata dettata dalla esigenza di arginare il
fenomeno della medical malpractice e della crescita esponenziale del contenzioso in materia, evitando atteggiamenti
di c.d. «medicina difensiva» da parte della classe medica.
La legge poggia su alcuni princìpi di carattere generale.
• Filo conduttore delle nuove norme è, innanzitutto, il principio della ‹‹sicurezza delle cure in sanità››, ricavabile
nello specifico dall’art. 1 (ma richiamato già nella intitolazione della legge), che viene considerato come ‹‹parte
costitutiva del diritto alla salute›› e indicato quale finalità da raggiungere, ‹‹nell’interesse dell’individuo e della
collettività››, mediante l’attuazione di un concerto di attività molteplici e tra loro coordinate.
• La disposizione evoca quindi, da un lato, l’ampia portata del diritto alla salute, con il chiaro riferimento alla formula
di cui all’art. 32 Cost., che vale a ricordarne anche il valore di rango superiore; dall’altro, spostandosi su un terreno
più pragmatico, evidenzia che è necessario che la sua tutela venga attuata non solo attraverso l’erogazione di
prestazioni cliniche adeguate, bensì predisponendo una serie di attività mirate alla prevenzione e alla gestione
del rischio connesso alle prestazioni sanitarie e ad un uso appropriato e corretto delle risorse strutturali,
tecnologiche e organizzative (art. 1, comma 2).

• Altro principio di base della regolamentazione del settore è quello della ‹‹trasparenza dei dati›› (art. 4), che
riguarda l’intera materia e mira a rendere tracciabile ogni fase del percorso terapeutico, con le diverse prestazioni
sanitarie erogate, comprese le fasi successive eventualmente sfociate in contenzioso.

• Nel settore della sanità, l’utilizzo massivo dei dati sanitari e di quelli concernenti il relativo contenzioso è già
da tempo una realtà, di cui la legge Gelli-Bianco sembra prendere atto, contribuendo a definirne gli obiettivi e
prevedendo un adeguamento delle regole consono alla particolare conformazione di tale tipologia di informazioni.
• I dati sanitari, difatti, cioè quelli inerenti allo stato di salute di una persona, pur collocandosi nella categoria dei dati
sensibili, presentano la peculiarità di poter essere proficuamente utilizzati per finalità diagnostiche e terapeutiche
proprio se fuoriescono dalla sfera privata del soggetto; deriva da ciò che essi non possono essere assoggettati tout
court alla disciplina dei dati sensibili, ma richiedono l’elaborazione di regole di trattamento specifiche.

Altre novità animano e caratterizzano l’impianto della legge, tra le quali le principali possono di séguito essere
così schematizzate:
• le norme rendono obbligatoria, per gli operatori sanitari, la copertura assicurativa (art. 10);
• vi è il riconoscimento dell’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa assicurativa (art. 12);
• viene istituito un Fondo di garanzia per le ipotesi in cui la tutela assicurativa risulti insufficiente (art. 14);
• vi sono disposizioni tese a snellire l’iter processuale, con la previsione del tentativo obbligatorio di conciliazione, da
esperire attraverso il ricorso alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696 bis c.p.c. o, in alternativa, al
procedimento di mediazione, finalizzati ad una più celere composizione della lite e costruiti quali condizioni di
procedibilità delle azioni innanzi al giudice civile relative a controversie per danni derivanti da responsabilità sanitaria
(art. 8).

LE RESPONSABILITÀ CIVILI DELLA STRUTTURA SANITARIA E DEL MEDICO


• L’assesto delle responsabilità professionali che esce dal disegno della l. n. 24/2017 prevede l’addossamento dei
maggiori oneri risarcitori in capo alle strutture sanitarie, chiamate a rispondere, a titolo contrattuale, per i danni
scaturenti dall’inadempimento di tutte le prestazioni dedotte quale oggetto del contratto atipico c.d. ‹‹di spedalità››.
• Di contro, la legge ha voluto alleggerire la posizione dei medici, la cui responsabilità, quanto al profilo civilistico, è
stata riportata all’àmbito operativo delle regole della responsabilità extracontrattuale, salvo che abbiano agito
nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
• Si tratta di evidenti scelte di politica del diritto, rispondenti alle ragioni dianzi evidenziate.
• Ai sensi dell’art. 7 della legge, difatti, le strutture sanitarie o sociosanitarie, pubbliche o private, vengono chiamate a
rispondere a titolo contrattuale, ex artt. 1218 e 1228 c.c., per i danni derivanti dall’inadempimento delle prestazioni
(organizzative, gestionali, assistenziali etc.) a loro carico nascenti dal contratto di ricovero, e per quelli derivanti dalla
condotta, dolosa o colposa, degli ausiliari, ancorché scelti dal paziente e non dipendenti della struttura stessa;
• mentre tutti gli esercenti le professioni sanitarie, dunque anche i medici, rispondono del loro operato in via
extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c.
• Il legislatore ha prediletto una scelta di gestione del rischio clinico che vede protagonista quel soggetto (la struttura
sanitaria) che maggiormente è in grado di gestirlo – per i mezzi organizzativi, le dotazioni, le riserve finanziarie, il
bagaglio di competenze tecniche –, e di sopportarne gli oneri economici; i quali ultimi, sub specie di danni, vengono
alleviati mediante un meccanismo di redistribuzione, poggiato sulla previsione della copertura assicurativa
obbligatoria

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