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Chi acconsente all’uso del proprio materiale biologico offre alla comunità un dono di inestimabile valore, favorendo
la ricerca sia per la comprensione delle patologie, sia per lo sviluppo di nuovi approcci diagnostici e terapeutici.
• Si tratta, dunque, di un gesto volontario a fini di solidarietà sociale, senza scopo di lucro o di ritorno personale e/o
economico.
• Consenso e gratuità connotano quindi la messa a disposizione da parte di un soggetto del proprio materiale
biologico per il conseguimento di fini leciti: raccolta, stoccaggio e possibili utilizzi dei campioni devono formare
oggetto di un consenso necessariamente preceduto da una adeguata ed esaustiva informativa.
NATURA GIURIDICA DEL CAMPIONE BIOLOGICO
• Nel campione biologico convivono due dimensioni, quella materiale e quella informazionale.
Il campione, infatti, non è soltanto una parte del corpo di una persona, su cui può in astratto configurarsi un diritto di
proprietà, ma è anche una fonte preziosissima di dati personali (genetici, clinici, relativi allo stile di vita), rispetto ai
quali sussiste il diritto della persona alla protezione e alla corretta gestione degli stessi.
• Sul versante legislativo, in Italia come in generale nei Paesi europei, è prevalsa la tendenza verso l’attrazione dei
profili di tutela nell’orbita della disciplina sulla protezione dei dati personali, con una considerazione del campione
biologico quale mero supporto materiale del dato informativo.
Ne consegue che il consenso prestato dal soggetto permette l’utilizzo dei campioni biologici, e delle informazioni che
essi recano, nei limiti previsti dall’informativa sottoposta al donatore.
LE BIOBANCHE
• Il valore scientifico assunto dai campioni biologici, lo sviluppo delle tecniche di conservazione, i progressi della
bioinformatica sono alla base della istituzione di numerosi centri di raccolta dei campioni – le cc.dd. biobanche – che
ormai rappresentano un elemento irrinunciabile dell’evoluzione tecnico-scientifica in campo medico e biotecnologico.
• Le biobanche rappresentano uno degli strumenti di attuazione dei fondamentali valori della libertà della ricerca
scientifica e tecnica.
• Cómpiti di una biobanca sono la catalogazione sistematica dei campioni, per facilitare l’accesso ad essi da parte dei
ricercatori; la raccolta e lo stoccaggio degli stessi su vasta scala, nel rispetto delle normative vigenti; l’inserimento in
un sistema di reti, che consenta la condivisione a livello globale dei campioni medesimi e delle informazioni ad essi
collegati.
CARATTERISTICHE DELLE BIOBANCHE
• Delle biobanche non esiste, per ora, una precisa e condivisa definizione, né una disciplina ad hoc: è importante,
allora, cercare di individuarne gli elementi qualificanti, che consentano di distinguerle da semplici collezioni di
campioni biologici, nella prospettiva di una loro futura specifica regolamentazione giuridica.
• Da alcuni documenti nazionali ed internazionali di carattere programmatico, non vincolanti sul piano giuridico, può
trarsi l’idea della biobanca quale «unità di servizio», cioè entità all’interno di strutture sanitarie o di ricerca, pubbliche
o private, che svolgono appunto un ‘servizio’ finalizzato alla raccolta, alla lavorazione, alla conservazione, allo
stoccaggio e alla distribuzione di campioni biologici umani, in vista di molteplici finalità: cura, diagnosi, ricerca.
• La strumentalità, dunque, rappresenta il primo degli aspetti caratterizzanti la figura, cui deve aggiungersi l’assenza di
scopi di lucro diretto, perché questo ruolo possa essere adeguatamente svolto.
• Inoltre, deve concorrere il possesso di requisiti organizzativi e gestionali, in grado di garantire il rispetto di standards
di qualità e sicurezza, nello svolgimento di ogni singola attività connessa alle finalità da perseguire.
• Attesa la particolare conformazione giuridica dei campioni biologici, la biobanca deve essere in grado di tutelare la
riservatezza dei soggetti coinvolti, rendendo anonimi i dati personali nei confronti di chi li utilizzerà, ma
consentendone l’accesso al soggetto cui si riferiscono; provvedendo, inoltre, ad un costante aggiornamento dei dati e a
garantirne la tracciabilità. Questo potrà avvenire sole se le biobanche vengano costruite come unità di servizio
autonome ed indipendenti, sia dai pazienti/donatori che dai ricercatori/utilizzatori.
LA SPERIMENTAZIONE
• Per sperimentazione si intende l’insieme delle prove e degli esperimenti effettuati sull’essere umano con lo scopo di
allargare ed accrescere il patrimonio delle conoscenze. In tal senso si esprimono i documenti internazionali che si sono
occupati del tema, nei quali viene evidenziato che anche la ricerca clinica destinata ad arrecare benefìci diagnostici o
terapeutici al singolo soggetto impiegato nella ricerca è tale in quanto finalizzata pur sempre allo sviluppo delle
conoscenze generali.
• Partendo dall’assunto secondo il quale la scienza, per progredire, non può prescindere da un’attività di
sperimentazione, gli ordinamenti giuridici la considerano lecita, in quanto strumento indispensabile per la tutela del
fondamentale diritto alla salute. Il fondamento della liceità giuridica della sperimentazione è, dunque, lo stesso
dell’attività medica: il diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione.
• Nella sperimentazione sull’uomo si ingenera un conflitto che il diritto e l’etica sono chiamati a risolvere: l’uomo è al
tempo stesso soggetto e oggetto delle metodiche innovative e non ancora consolidate, siano esse diagnostiche o
terapeutiche, che su di lui vengono per l’appunto sperimentate.
• Una ricerca espone inevitabilmente la persona sottoposta a sperimentazione a rischi, più o meno significativi, per
l’integrità fisica se non per la vita stessa, comunque maggiori rispetto ai rischi cui va incontro con i trattamenti medici
consolidati.
• Si pone, pertanto, un problema di controllo dei rischi e di individuazione di limiti oltre i quali i rischi stessi non
possono essere considerati leciti.
LA DISCIPLINA GIURIDICA (CENNI)
• Emerge la necessità di una disciplina giuridica coerente con l’esigenza di sottoporre l’attività di sperimentazione al
rispetto di regole cautelari.
• Nel nostro ordinamento, ad un iniziale vuoto normativo ha fatto séguito lentamente l’introduzione di discipline
imposte da direttive comunitarie.
• I testi di riferimento (D.lgs. n. 211/2003 e D.lgs. n. 200/2007), attuativi appunto di direttive, hanno ad oggetto la
sperimentazione clinica di farmaci.
• La disciplina è ora integrata con le disposizioni del Regolamento (UE) n. 536 del 16 aprile 2014, sulla
sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, atto normativo di diretta applicabilità ed efficacia negli Stati
membri dell’Unione.
• La sua più esplicita consacrazione si deve a Corte Cost., 23 dicembre 2008, n. 438, nella quale fu affermato che ‹‹la
circostanza che il consenso informato trovi il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost. pone in risalto la sua
funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute››.
• Il consenso informato è ora disciplinato dalla legge n. 219/2017, in particolare dall’art. 1, che descrive il contenuto
della figura e determina le modalità di acquisizione e di documentazione della volontà del paziente, e dall’art. 3,
inerente alla prestazione del consenso di minori e incapaci.
LA REGOLAMENTAZIONE DEL COMPARTO SANITARIO
• Le attività di cura al servizio della salute si innestano in un più ampio scenario che vede coinvolte le strutture
sanitarie, pubbliche e private, nonché una serie di altri operatori professionali.
• Il comparto sanitario è oggi regolato dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, recante ‹‹Disposizioni in materia di
sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le
professioni sanitarie››, nota anche come LEGGE GELLI-BIANCO dal nome dei relatori.
• L’introduzione di una disciplina unitaria e speciale per il settore sanitario è stata dettata dalla esigenza di arginare il
fenomeno della medical malpractice e della crescita esponenziale del contenzioso in materia, evitando atteggiamenti
di c.d. «medicina difensiva» da parte della classe medica.
La legge poggia su alcuni princìpi di carattere generale.
• Filo conduttore delle nuove norme è, innanzitutto, il principio della ‹‹sicurezza delle cure in sanità››, ricavabile
nello specifico dall’art. 1 (ma richiamato già nella intitolazione della legge), che viene considerato come ‹‹parte
costitutiva del diritto alla salute›› e indicato quale finalità da raggiungere, ‹‹nell’interesse dell’individuo e della
collettività››, mediante l’attuazione di un concerto di attività molteplici e tra loro coordinate.
• La disposizione evoca quindi, da un lato, l’ampia portata del diritto alla salute, con il chiaro riferimento alla formula
di cui all’art. 32 Cost., che vale a ricordarne anche il valore di rango superiore; dall’altro, spostandosi su un terreno
più pragmatico, evidenzia che è necessario che la sua tutela venga attuata non solo attraverso l’erogazione di
prestazioni cliniche adeguate, bensì predisponendo una serie di attività mirate alla prevenzione e alla gestione
del rischio connesso alle prestazioni sanitarie e ad un uso appropriato e corretto delle risorse strutturali,
tecnologiche e organizzative (art. 1, comma 2).
• Altro principio di base della regolamentazione del settore è quello della ‹‹trasparenza dei dati›› (art. 4), che
riguarda l’intera materia e mira a rendere tracciabile ogni fase del percorso terapeutico, con le diverse prestazioni
sanitarie erogate, comprese le fasi successive eventualmente sfociate in contenzioso.
• Nel settore della sanità, l’utilizzo massivo dei dati sanitari e di quelli concernenti il relativo contenzioso è già
da tempo una realtà, di cui la legge Gelli-Bianco sembra prendere atto, contribuendo a definirne gli obiettivi e
prevedendo un adeguamento delle regole consono alla particolare conformazione di tale tipologia di informazioni.
• I dati sanitari, difatti, cioè quelli inerenti allo stato di salute di una persona, pur collocandosi nella categoria dei dati
sensibili, presentano la peculiarità di poter essere proficuamente utilizzati per finalità diagnostiche e terapeutiche
proprio se fuoriescono dalla sfera privata del soggetto; deriva da ciò che essi non possono essere assoggettati tout
court alla disciplina dei dati sensibili, ma richiedono l’elaborazione di regole di trattamento specifiche.
Altre novità animano e caratterizzano l’impianto della legge, tra le quali le principali possono di séguito essere
così schematizzate:
• le norme rendono obbligatoria, per gli operatori sanitari, la copertura assicurativa (art. 10);
• vi è il riconoscimento dell’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa assicurativa (art. 12);
• viene istituito un Fondo di garanzia per le ipotesi in cui la tutela assicurativa risulti insufficiente (art. 14);
• vi sono disposizioni tese a snellire l’iter processuale, con la previsione del tentativo obbligatorio di conciliazione, da
esperire attraverso il ricorso alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696 bis c.p.c. o, in alternativa, al
procedimento di mediazione, finalizzati ad una più celere composizione della lite e costruiti quali condizioni di
procedibilità delle azioni innanzi al giudice civile relative a controversie per danni derivanti da responsabilità sanitaria
(art. 8).