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NOZIONI DI PSICOPATOLOGIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA E SISTEMI DI

CLASSIFICAZIONE (40 ORE)

Docente: Dott.ssa Santina Marino

La psicologia dell’età evolutiva è il settore della psicologia dello sviluppo


che studia il processo di crescita e organizzazione delle persone, legata alla
crescita fisica e psicologica nell'ambiente sociale, nel periodo che va dalla
nascita fino alla maturazione sessuale e la piena integrazione
nell'ambiente sociale.
Infatti in questo periodo la persona acquisisce, attraverso alcuni processi
evolutivi, una maggiore autonomia e maturazione nella comprensione della
partecipazione affettiva e di socializzazione.
Solitamente questo processo viene diviso in cinque fasi:
• la prima infanzia (da zero a due anni);
• la seconda infanzia (da due a sei anni);
• la fanciullezza (da sei a dieci anni);
• la pre-adolescenza (da dieci ai 14)
• l'adolescenza (dai 14 anni in poi).

Il periodo della prima infanzia: è un periodo che va dai 0 mesi fino ai 2


anni.In questo periodo assistiamo a grandi ed impressionanti cambiamenti da
parte del neonato che coinvolgono la sfera motoria, interattiva, percettiva e
comunicativa. Qui da una totale dipendenza da qualcuno inizia il suo primo
percorso verso l’autonomia. Favorire il piccolo nello sviluppo di queste aree e
“sostenerlo” nelle prime conquiste, riguardanti la sua autonomia, è veramente
molto importante.

La seconda infanzia: Questo periodo va dai 2 ai 6 anni e vede il bambino


affinare ed arricchire le sue capacità motorie, sensoriali, cognitive, ed emotive.
Inoltre in questo periodo diventa autosufficiente conquistando così una piena
indipendenza ed autonomia. In questo periodo è fondamentale presentare al
piccolo opportuni materiali di sviluppo, che creeranno le basi necessarie per le
successive competenze che andrà ad acquisire, come ad esempio, la lettura e la
scrittura.

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La fanciulezza: è un periodo che abbraccia i 6 anni fino agli 11 e corrisponde
al periodo in cui il bambino inizia i suoi primi veri studi alla scuola elementare.
Ruolo primario di questo periodo diventa quindi l’apprendimento che comporta
una continua espansione delle capacità del bambino. Qui affronterà materie più
complesse e l’ambiente stesso lo vedrà approcciarsi con coetanei, insegnanti e
diverse situazioni portandolo quotidianamente a sviluppare e delineare le sue
capacità di socializzazione. Sostenendolo sempre nei suoi studi e proponendo
materiali o attività specifiche, il genitore può sempre dare un significativo
contributo alla sua crescita.

La pre-adolescenza: va dai 12 fino ai 14 anni

Adolescenza: dai 14 fino ai 18 anni.

Entrambi, sono i periodi più complessi a livello comportamentale per il


bambino. Ormai è diventato grande e si sta avviando verso la sua vita d’adulto.
Viene coinvolto contemporaneamente, cambiamenti fisici, psicologici,
sentimentali e cognitivi che gli rendono difficile il vedersi come persona ormai
grande e non più bambina. Costruire un buon dialogo col proprio figlio aiuterà
molto il ragazzo in questo lungo e complicato periodo.

Le suddivisioni si basano sul fatto che da un periodo all’altro si verificano


abitualmente cambiamenti significativi come il cominciare a camminare,
padroneggiare il linguaggio, ragionare astrattamente. Esse tengono conto delle
variazioni negli ambienti tipici di vita (come ad esempio il passaggio dal mondo
dominato dalla famiglia a quello in cui si affacciano i coetanei e la scuola) e
della posizione che le persone di quella età occupano nella società, di come
correntemente vengono viste e considerate.

Secondo la psicologia lo sviluppo psichico è un processo analogo alla crescita


fisica. Alla nascita il bambino è piccolo e deve aumentare in statura e peso. La
forma, l’anatomia e la fisiologia del suo corpo, specie per quanto riguarda il
sistema nervoso non sono ancora definitive: ad esempio la corteccia cerebrale
acquista un'architettura più complessa nel corso dei primi due anni. I neuroni
(cellule nervose) acquisiscono un maggior numero di prolungamenti e
moltiplicano i contatti reciproci formando una fitta rete di connessioni. Durante
questo periodo i bambini iniziano la comprensione della realtà circostante,
imparano a parlare, a muoversi, a camminare, acquistano autoconsapevolezza e
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senso morale. È una fase di eccezionale plasticità delle strutture cerebrali e di
grande sensibilità sugli apprendimenti.

CENNI STORICI

- Per tutto il Medioevo: scarsa attenzione al bambino; frequente il


maltrattamento, frequente l’infanticidio (femmine)

- Nel Rinascimento: il bambino è un ‘piccolo uomo’


- Nel Settecento: rinasce l’interesse per la specificità dell’età infantile. Studi
sul ritardo mentale e sull’intelligenza

- Nell’Ottocento: studi sulla delinquenza minorile


- John Loche: la mente del bambino è “una tabula rasa”
- Jean Jacques Rousseau: il bambino è un “nobile selvaggio”. Si definisce un
campo specifico per l’età infantile e per l’adolescenza

- Nella seconda metà del diciottesimo secolo incominciarono le prime


osservazioni sistematiche del bambino (Pestalozzi)

- Fine diciannovesimo secolo:studio sistematico di gruppi di bambini;


- G.Stanley Hall inventò e perfezionò una nuova tecnica d’indagine il
“questionario”

- Sigmund Freud e la sessualità infantile


- Piaget e lo sviluppo cognitivo
- Maria Montessori: attenzione al lato educativo e riabilitativo

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Dall’infanzia fino all'adolescenza si studiano tutti i cambiamenti di tipo:

- Cognitivo
- Affettivo
- Emotivo
- Relazionale

TAPPE DELLO SVILUPPO: Sviluppo relazionale, motorio e cognitivo

SVILUPPO RELAZIONALE

Fino al 4° mese: reazioni riflesse

Al 2° mese: sorriso al volto umano

Al 4° mese: tende le braccia alla madre che si avvicina; i bambini non vendenti
compiono lo stesso gesto al suono dei passi

Al 5° mese: inizio della lallazione

Dopo i 5 mesi: inizia attività esplorativa (corpo e oggetti)

A 8 mesi: reazioni di separazione alla lontananza della figura di accudimento

A 9-12 mesi: si allenta reazione di separazione (costanza dell’oggetto)

Dai 18 mesi ai 3 anni: interesse per le funzioni corporali

SVILUPPO MOTORIO

Neonato: riflesso tonico con attitudine di afferramento delle mani, e dei piedi

A 5 mesi: motricità spontanea

A 9 mesi: cominciano a stare in piedi


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A 10 mesi: aggrappati possono alzarsi in piedi

A 11 mesi: sta in piedi senza appoggio

Entro 2 anni salgono le scale

Dai 18 mesi camminano e cominciano a correre

Ai 2 anni si esercitano nella corsa

Ai 3 anni sanno stare in equilibrio su un solo piede

A 4 anni salgono e scendono alternando i piedi

SVILUPPO COGNITIVO

Entro i primi 8 mesi è riconosciuta una figura di riferimento privilegiata

A 5-8 mesi integrazione delle competenze: compare il gesto dell’indicare

Entro i 5 mesi: cercano un oggetto nascosto

Agli 8 mesi riconoscimento dello spazio esterno al proprio corpo

Ai 12 mesi: fase del no, opposizione all’adulto

Entro 12 mesi: ripetizione di parole

Entro i 18 mesi: apprendimento di un vocabolario (circa 10-20 parole)

Ai 2 anni: costruzione della frase (soggetto, verbo, predicato)

Entro i 2 anni: costruzione di oggetti complessi

Sino a 2 anni: giocano da soli

Dopo i 3 anni: cercano compagni

Ai 3 anni: linguaggio organizzato, frequenti domande

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LA PSICOPATOLOGIA

Con il termine Psicopatologia è indicata una situazione di forte disagio


individuale contraddistinta da una sintomatologia di origine psicologica, la
quale, poi, si diffonde ed interessa tutto l'organismo. Tale situazione solitamente
investe in modo graduale e disfunzionale non solo la parte soggettiva, ma anche
le altre fondamentali aree vitali dell'individuo, come ad esempio quella sociale,
scolastica, interpersonale, familiare, lavorativa, sessuale, etc. Si genera così un
vero e proprio Disturbo Psicologico definito e caratterizzato da specifici sintomi
psicofisici che, come accennato, vanno a creare disagio e menomazione nelle
molteplici sfere cruciali per il mantenimento del benessere e della salute sia
psichica, che fisiologica

La psicopatologia dello sviluppo si differenzia da Psicopatologia Medica in


quanto questa è attenta alle manifestazioni sintomatologiche e alle loro
connessioni con il substrato neurobiologico invece la prima enfatizza il ruolo
dei due sintomi considerando anche le dinamiche intrapsichiche nella genesi e
nell’espressione sintomatologica.

Con Dimensione Evolutiva non ci si riferisce solo ad infanzia e adolescenza


ma ALL’INTERO CICCLO VITALE che comporta fasi di cambiamento/
transizione come anche l’emergere di nuove capacità e strategie.

Inoltre non si riferisce solo alle espressioni psicopatologiche dell’infanzia,


adolescenza e dell’età adulta, ma SOPRATTUTTO ALLE TEORIE DELLO
SVILUPPO NORMALE/TIPICO che rappresentano le CORNICI DI
RIFERIMENTO PER COMPRENDERE LE EVOLUZIONI A RISCHIO e
PSICOPATOLOGICHE.

La psicopatologia dell’età evolutiva nasce dall’integrazione tra diverse


discipline e aree di studio, tra cui l’embriologia, le neuroscienze, l’etologia, la
psicologia clinica, la psicologia dell’età evolutiva, la psicologia sperimentale, e
la neuropsichiatria. I disturbi mentali costituiscono una delle più diffuse e
spesso marcatamente disabilitanti condizioni patologiche e dipendono dalle
traiettorie che viviamo ogni giorno.
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La prevalenza di questi disturbi, il loro esordio e decorso, le manifestazioni e
conseguenze sul piano soggettivo e sociale Trattamento che affronta in modo
sistematico e approfondito i temi della psicopatologia, secondo un approccio
consapevole delle traiettorie che ognuno può percorrere nell’arco della propria
vita. Tra i pionieri dell’approccio della psicopatologia dello sviluppo
ritiroviamo alcuni psicoanalisti tra cui Anna Freud, Melanine Klein, Erik
Erikson, Donald Winnicott e John Bowlby che con i loro studi furono tra i primi
a contribuire alla comprensione dei processi dello sviluppo normale e
patologico dei soggetti in eta’ evolutiva. I disturbi dell’età evolutiva (o Disturbi
del Neurosviluppo) hanno la caratteristica di esordire nelle prime fasi dello
sviluppo della persona. Generalmente implicano una compromissione del
funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo.

IL DISAGIO PSICHICO VIENE INTESO COME ESPRESSIONE DI UNA


MOLTEPLICITÀ DI FATTORI CHE POSSONO SIA OSTACOLARE SIA
FAVORIRE L’ADATTAMENTO DELL’INDIVIDUO.

Appartenere ad una popolazione cosiddetta“a rischio” per l’insorgere di una


psicopatologia significa che una persona fa parte di un gruppo di individui che
hanno maggiori possibilità di manifestare in futuro quel determinato disturbo,
riguardano i vari domini di funzionamento biologici, psicologici e sociali.

In campo infantile, durante i primi 3 anni di vita, la definizione dei disturbi


psichici è molto problematica: in primo luogo, si può parlare nell'infanzia di
psicopatologia individuale sufficientemente strutturata, chiaramente
identificabile in un comportamento anomalo del bambino, oppure è più
opportuno inquadrare tale patologia come un disturbo della relazione con i
genitori o le figure di attaccamento? In secondo luogo, come si può cercare di
definire la psicopatologia nel periodo preverbale, quando il bambino non è
ancora in grado di esprimere e comunicare le proprie difficoltà e le proprie
ansie personali? Ancora, mentre nell'adulto si può osservare un'organizzazione
relativamente stabile nel funzionamento personale, nel caso del bambino
possono comparire comportamenti tipici che in determinate fasi hanno
significato evolutivo, mentre la loro persistenza, o la loro comparsa in altre fasi,
può avere un significato psicopatologico.

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Fattori di rischio del disagio psichico:

1. Riguardano i vari domini di funzionamento: biologici, psicologici e sociali

2. Hanno un’influenza diretta o indiretta

3. Ad esempio, sono stati rilevati diversi aspetti delle relazioni: - presenza di


cure severe; - mancanza di chiarezza e di disciplina sicura; - maltrattamento
e abuso; - conflitti genitoriali; - qualità delle relazioni con i coetanei

Fattori di protezione del disagio psichico:

A partire dagli anni ’80 si è assistito ad un maggior interesse allo studio dei
fattori protettivi cioè: Sono fattori che quando presenti moderano o riducono
l’impatto di una variabile di rischio promuovendo l’adattamento. Possono
rimanere pressoché silenti in assenza di stress. agiscono sia in maniera
compensatoria, controbilanciando gli effetti dei rischi, oppure, come variabili di
mediazione, influenzando nei momenti di forte stress l’impatto dei fattori di
rischio e rimanendo pressoché silenti in altri periodi.

Tra i fattori di protezione si includono quelli che:

A. Riducono l’impatto dei fattori di rischio agendo sulla pericolosità stessa del
rischio oppure modificando l’esposizione o il coinvolgimento nel rischio;

B. Riducono la catena di reazioni negative che origina dall’incontro con il


rischio;

C. Promuovono la stima di sé e il senso di autoefficacia attraverso la


disponibilità di relazioni sicure e supportive o il successo nel
raggiungimento degli obiettivi;

D. Offrono nuove opportunità.

Fattori di vulnerabilità del disagio psichico:

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Nella psicopatologia evolutiva, inoltre, accanto ai fattori protettivi che
promuovono le capacità dell’individuo si considerano fattori che le limitano: i
cosiddetti fattori di vulnerabilità. Questi indicano

- Condizioni durevoli che promuovono il disadattamento


- Possono avere cause interne o esterne
- Limitano il raggiungimento di u buon adattamento e limitano lo sviluppo
ESEMPIO: Un fallimento nel raggiungimento degli obiettivi propri di un
determinato stadio evolutivo critico potrebbe indirizzare il corso ontogenetico
verso una maggiore vulnerabilità contribuendo ad esiti disfunzionali/maladattivi
attraverso lo sviluppo di una organizzazione una organizzazione più chiusa e
rigida rispetto ai compiti evolutivi successivi e alle possibili trasformazioni
ambientali. Nella comprensione del disagio psichico, dunque, la prospettiva
della psicopatologia evolutiva considera come in ogni individuo i fattori di
rischio e quelli protettivi siano presenti in un equilibrio dinamico.

Chiariamo dei termini:

Il DISAGIO emerge laddove tale equilibrio venga alterato a sfavore delle


risorse protettive, intendendo con “disagio” un equilibrio mantenuto con
difficoltà e sofferenza.

Con PATOLOGIA si intende la perdita di tale equilibrio con l’emergere di


sintomi o condotte disadattive. La psicopatologia emerge quando è presente una
storia evolutiva che ha portato ad una organizzazione patologica e le risorse
protettive e le capacità di coping della persona non sono in grado di
fronteggiare le vulnerabilità di vecchia data e i fattori di stress e di rischio acuti
attuali. Inoltre per parlare di psicopatologia non facciamo riferimento solo a
fattori genetici, ambientali ma anche a quelli contestuali, ovvero gli eventi.
Essi sono percepiti, elaborati, ricordati anche per il fatto che il cervello è un
organo geneticamente costituito per essere modificato da ciò che accade
giornalmente.

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Gli eventi possono così influenzare il funzionamento mentale e
l’organizzazione della personalità attraverso il loro riflettersi sulla storia
personale e quindi sul ricordo consapevole o inconsapevole degli affetti che
accompagnano gli eventi. Quindi gli eventi o meglio le catene di eventi hanno
rapporti complessi con gli accadimenti di interesse psicopatologico e
psichiatrico.

Evento stressante = Avvenimento della vita oggettivamente identificabile e


circoscritto nel tempo (matrimonio, divorzio, lutto, nascita figlio,
pensionamento, ecc). Esso modifica in modo variabile ma sostanziale l’assetto
di vita di una persona, richiedendole sforzo per riadattarsi alla nuova situazione.

Trauma= (ferita) impatto di un evento, in genere grave, che comporta


conseguenze, danni fisici e/o psichici”

Personalità= influisce sulla creazione di eventi e del loro significato e sulla


disposizione stessa ad ammalarsi.

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Ma come è possibile fare diagnosi in età evolutiva? Quali sono i sistemi di
classificazione?

1. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5 con la sua


quinta edizione

2. Classificazioni delle Sindromi e dei Disturbi Psichici e Comportamentali


ICD- 10 (World Health Organization, 1992)

3. Ateoretici (basati sul più basso livello inferenziale possibile), criteri


diagnostici descrittivi, no riferimento a eziologia e patogenesi, minima
interpretazione psicologica dei sintomi.

Distinguiamo due evoluzioni parallele:

• Da una parte l'evoluzione dell'ICD nelle successive classificazioni


dell'ICDH (1980) e dell'ICF (2001) per opera dell’OMS;

• Dall'altra l'evoluzione del DSM-I in DSM-II (1968), DSM-III (1980),


DSM-III-Revised (1987), DSM-IV (1994), il DSM-IV-TR (2000) e,
infine, il DSM-V, che sarà pubblicato nel 2013, per opera dell'APA.

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali DSM 5

Solo a partire dagli anni '50 si è cercato di costruire un sistema diagnostico


condiviso, basato sull'esperienza e sulle osservazioni cliniche in modo
sistematico. In questo campo, si parla di “sindromi psicopatologiche”:
raggruppamento di segni e sintomi, basato sulla frequente co-occorrenza, che
può far supporre una patogenesi sottostante, un decorso, un quadro familiare ed
una scelta del trattamento comuni.

Segni: manifestazioni oggettive, osservabili e riconoscibili da un osservatore


esterno.

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Sintomi: manifestazioni soggettive, avvertite e vissute direttamente dalla
persona interessata.

Il DSM I e II presentavano limiti evidenti: ogni quadro clinico veniva definito


in termini piuttosto generali, senza specificare, in termini operazionali, quali
siano i criteri da utilizzare per giungere ad una diagnosi. Presentavano una
bassa attendibilità, e quindi bassi livelli di concordanza fra clinici diversi
rispetto allo stesso quadro clinico. Inoltre il decorso clinico non può essere
previsto in maniera puntuale.

Gli studi di attendibilità diagnostica del DSM III hanno invece dimostrato un
notevole miglioramento dell'attendibilità rispetto ai sistemi precedenti. Tuttavia
anch'esso presentava dei limiti: molti disturbi di personalità, pur essendo
clinicamente rilevanti, non soddisfano i criteri del DSM, per cui ci si trova di
fronte al fenomeno della falsa negatività: le maglie del sistema diagnostico sono
troppo larghe.

Il DSM IV costituisce la classificazione più recente basata su un sistema


diagnostico multiassiale: per la valutazione tiene conto di vari assi, ciascuno
rivolto ad uno specifico campo di informazione. (asse I: disturbi e sindromi
cliniche; asse II: disturbi di personalità e ritardo mentale; asse III: condizioni
mediche generali; asse IV: problemi psicosociali e ambientali; asse V:
valutazione globale del funzionamento). Le diagnosi sono di tipo categoriale.

Arriva il DSM-5 a distanza di vent’anni dal DSM-IV-tr.

Il DSM-5 presenta diversi interessanti cambiamenti e aggiornamenti, forse


minori rispetto alle aspettative; è a ogni modo indubbio che, pur avendo
un’impostazione conservativa, il testo cerchi di offrire nella maniera più
aggiornata possibile quanto i dati di ricerca a livello internazionale hanno
introdotto nel panorama psichiatrico. Essendo nato all’interno della cultura
psichiatrica americana, notoriamente pragmatica, il DSM-5 può presentare
alcuni problemi di inserimento e accettazione in contesti culturali diversi,
sebbene ne esistano traduzioni nei principali Paesi del mondo. L’adozione di un
sistema diagnostico standardizzato come il DSM-5, così come è stato per i suoi
predecessori, rappresenta dunque un’importante opportunità per raccordarsi con
il mondo scientifico internazionale, con l’universo della ricerca, dalla genetica
alla neurochimica, con l’ambito della prevenzione in campo psicoterapeutico e
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riabilitativo, nonché una sfida aperta per andare oltre e migliorarne l’impiego
per clinici, pazienti, studenti, ricercatori. Per far fronte alla condizione di
“eterogeneità” dei sintomi contemporanei e al conseguente alto livello di
comorbidità diagnostica il DSM V pone molta attenzione alla valutazione
dimensionale del sintomo. Come? Attraverso una più attenta focalizzazione su
determinati indicatori clinici:

- Condivisione di substrati neurali


- Caratteristiche familiari
- Fattori di rischio genetici
- Specifici fattori di rischio ambientali
- Fattori biologici
- Fattori temperamentali
- Similarità dei sintomi
- Decorso della malattia
- Comorbilità
- Risposta al trattamento
Inoltre nel DSM 5 nel quadro clinico di ogni disturbo oltre i criteri diagnostici
vi è la presenza di Specificatori (specificare se…) li dove è necessario
evidenziare il livello di gravità del disturbo e la presenza/assenza di criteri
determinanti. Ad esempio: Disturbo dello spettro autistico specificare la gravità
attuale: il livello di gravità si basa sulla compromissione della comunicazione
sociale e sui pattern di comportamento ristretti, ripetitivi ecc. Ed è stato inoltre
eliminato il sistema multiassiale.

Critiche ai DSM: Le critiche al sistema DSM sono state particolarmente


intense dal mondo psicoanalitico. In primo luogo si critica l'eccessiva
attenzione al piano dei segni e dei sintomi: lo stesso sintomo può avere funzioni
e significati multipli, per cui basarsi sui sintomi manifesti può comportare
diagnosi falsamente positive o falsamente negative; lo stesso insieme di criteri
comportamentali possono essere presenti in disturbi diversi. Altra critica è al
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tentativo di eliminare i pregiudizi teorici: la teoria non è soltanto inevitabile, ma
è essenziale per lo sviluppo di una tassonomia; senza di essa è impossibile
valutare la validità di costrutto, centrale in ogni sistema diagnostico. Ancora, vi
è un'eccessiva attenzione all'attendibilità, a spese della validità, cosa che ha
prodotto un sistema tassonomico altamente frammentato.

L'ICF è uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e


dall'approccio universale. Si delinea come una classificazione che vuole
descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti
esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che
nel particolare contesto socio-culturale possono causare disabilità.

A differenza delle precedenti classificazioni (ICD, ICDH), dove veniva dato


ampio spazio alla descrizione delle malattie dell'individuo, ricorrendo a termini
quali malattia, menomazione e handicap (con riferimento a situazioni di
deficit), nell'ultima classificazione l'OMS fa riferimento a termini che
analizzano la salute dell'individuo in chiave positiva (funzionamento e
salute), arrivando alla definizione di disabilità intesa come una condizione di
salute in un ambiente sfavorevole, da ciò proviene il concetto di "diversamente
abile" in opposizione al termine “disabile".

In questo senso, l'applicazione universale dell'ICF emerge nella misura in cui la


disabilità non viene considerata un problema di un gruppo minoritario
all'interno di una comunità, ma un'esperienza che tutti, nell'arco della vita,
possono sperimentare. Ognuno di noi, infatti, può trovarsi in un contesto
ambientale precario e ciò può causare disabilità.

È in tale ambito che l'ICF si pone come classificatore della salute, anziché
della malattia, prendendo in considerazione gli aspetti sociali della disabilità: se
ad esempio una persona ha difficoltà in ambito lavorativo, ha poca importanza
se la causa del suo disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale.

Ciò che importa non è classificare il suo deficit, ma intervenire sul contesto
sociale costruendo reti di servizi significativi che riducano la disabilità. In
questo senso il DSM funziona nella direzione opposta, nel senso che rimane
"fermo" a spiegare la malattia mentale considerandola come un'esperienza di
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pochi, che si manifesta attraverso determinati sintomi, lasciando da parte il
contesto entro cui la malattia prende piede. In altri termini, mentre l'ICF
considera la persona all'interno del "sistema" che, allo stesso tempo, gioca da
facilitatore per l'inserimento sociale oppure pone ostacoli importanti (es.
barriere architettoniche, pregiudizi etc.), il DSM è focalizzato sull'individuo e
la sua malattia.

Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi


Sanitari Correlati. Decima Revisione (ICD-10)

La Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi


Sanitari Correlati (ICD-10) è la decima revisione di ICD adottata nel 1990
dall’Assemblea Mondiale della Sanità (WHA) ed è in vigore dal 1 Gennaio
1993. Una classificazione delle malattie può essere definita come un sistema di
categorie al quale le entità morbose vengono assegnate secondo criteri
prestabiliti. Esistono diversi possibili assi di classificazione e la selezione di
uno di essi dipenderà da come dovranno essere utilizzate le statistiche elaborate.
Una classificazione statistica delle malattie deve racchiudere l‟intera gamma
delle entità morbose entro un numero adeguato di categorie. La presentazione
della classificazione è stata cambiata ed ora consta di tre volumi:

Volume 1 – Classificazione Analitica. Contiene il rapporto della Conferenza


Internazionale per la Decima Revisione, la Classificazione stessa a tre e a
quattro caratteri, la morfologia dei tumori, liste speciali per l’intabulazione delle
cause di mortalità e di morbosità, definizioni ed il regolamento riguardante la
Nomenclatura.

Volume 2 – Manuale d’istruzione. Riporta insieme le note sia per la


compilazione del certificato di morte che per la codifica, precedentemente
incluse nel I° volume, con una maggiore quantità di informazioni e di materiale
di istruzione e di orientamento sull’uso del I° volume, sulle tavole e sulla
programmazione per l‟uso dell’ICD, aspetti ritenuti carenti nelle precedenti
versioni. Vi sono riportati inoltre cenni storici già formalmente presentati
nell’introduzione al I° volume.

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Volume 3 – Indice Alfabetico. Vi è contenuto l’indice con una introduzione ed
una maggiore quantità di istruzioni per il suo uso.

L’ICD-10 è un sistema di classificazione universale adottato dall’OMS,


(Organizzazione Mondiale della Sanità) che utilizza un codice univoco e
alfanumerico per definire e delineare una malattia, che sia essa fisica o
psicologica. Esempi: SETTORE V Disturbi psichici e comportamentali (F00-
F99)

Disturbi dell’umore [affettivi] (F30-F39)

F30 Episodio maniacale

F31 Disturbo affettivo bipolare

F32 Episodio depressivo

F33 Disturbo depressivo ricorrente

Ritardo mentale (F70-F79)

F70 Ritardo mentale lieve

F71 Ritardo mentale di media gravità

F72 Ritardo mentale grave

F73 Ritardo mentale profondo

F78 Ritardo mentale di altro tipo

F79 Ritardo mentale non specificato

Disturbi dello sviluppo psicologico (F80-F89)

F80 Disturbi evolutivi specifici dell’eloquio e del linguaggio

F81 Disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche

F82 Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria

F83 Disturbo evolutivo specifico misto

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F84 Disturbi evolutivi globali

F88 Disturbo dello sviluppo psicologico di altro tipo

F89 Disturbo dello sviluppo psicologico non specificato

Classificazione tramite OSSERVAZIONE.

OSSERVARE significa: Considerare con sguardo attento per semplice interesse


o curiosità, a occhio nudo o con l’aiuto di strumenti.
Rispetto a guardare segnala un atteggiamento più critico e scientifico Si osserva
perché si vuole scoprire qualcosa. La capacità di apprendere tramite
l’osservazione, rimane un aspetto fondamentale di acquisizione delle
conoscenze.
OSSERVAZIONE SISTEMATICA
Definire:
Chi osservare
Cosa osservare
Come osservare
Dove osservare
Quando osservare

L’osservazione può essere


- INDIRETTA: l’osservatore non interviene direttamente sul fenomeno
oggetto di osservazione
- DIRETTA: oggetto di osservazione è il risultato di una qualche
manipolazione della realtà effettuata dall’osservatore

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L’osservazione come metodo di ricerca
Miti Realtà
Osservare non è registrare L’osservazione richiede:
fedelmente la realtà • Tempo e distensione
• Libertà intellettuale
Osservare non è guardare. • Assenza di pregiudizi
L’osservazione si fonda sempre • Consapevolezza di sé
su un’ipotesi o quanto meno su • Capacità di non coinvolgersi
una curiosità • Capacità di sospendere il giudizio
L’osservazione è esposta al
Osservare non è interpretare.
rischio della soggettività
L’osservazione rappresenta un
momento intermedio tra la E’ impossibile stabilire dei
percezione del fenomeno e la confini netti tra “chi osserva” e
sua interpretazione “chi viene osservato”
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Di seguito verranno elencati alcuni tra i disturbi mentali più comuni
relativi all’infanzia e all’adolescenza in riferimento al DSM-5:

1- I DISTURBI D’ANSIA: All’interno della psicopatologia dello sviluppo, i


disturbi d’ansia rappresentano la patologia psichiatrica più comune in età
evolutiva e si stima che un terzo degli adolescenti soddisferà i criteri per un
disturbo d’ansia all’età di 18 anni. I fattori in grado di determinare l’insorgenza
e il mantenimento dei disturbi d’ansia in età evolutiva sono tre: i fattori
genetici, il temperamento del bambino e i fattori ambientali, i quali
comprendono lo stile educativo genitoriale ed eventualmente l’ansia del
genitore. Il DSM 5 descrive i disturbi d’ansia in una categoria specifica, e lungo
il continuum del ciclo di vita: le medesime categorie sono riferite all’infanzia,
all’adolescenza e all’età adulta. I disturbi d’ansia sono caratterizzati da
sentimenti pervasivi di preoccupazione o ansia con evidenti sintomi fisici,
difficili da controllare e che si manifestano per la maggior parte dei giorni per
almeno sei mesi. Nei bambini e negli adolescenti l’ansia si manifesta
principalmente con preoccupazioni relative agli impegni scolastici o alle
prestazioni in generale, come gli impegni sportivi, o gli impegni sociali.
L’ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente
significativo o menomazione del funzionamento sociale, scolastico, o di altre
aree importanti. Il bambino ansioso, infatti, vive costantemente un vago
sentimento d’oppressione, “un peso”, associato a un atteggiamento di attesa di
un avvenimento vissuto come spiacevole e imprevisto. Il DSM 5 identifica le
seguenti categorie diagnostiche per i disturbi d’ansia:

- Disturbo d’ansia di separazione


- Mutismo selettivo
- Fobia specifica
- Disturbo d’ansia sociale
- Disturbo di panico
- Agorafobia
- Disturbo d’ansia generalizzata
- Disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci
- Disturbo d’ansia dovuto a un’altra condizione medica
- Disturbo d’ansia con altra specificazione
- Disturbo d’ansia senza specificazione.

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I DISTURBI DELL’UMORE:

I DISTURBI DEPRESSIVI: Nell’ambito della psicopatologia dello sviluppo


riguardante i disturbi dell’umore, è la forma più diffusa di depressione negli
adolescenti e adulti.
Per soddisfare la diagnosi, devono essere presenti almeno cinque sintomi per
almeno due settimane, che indichino un cambiamento significativo rispetto al
funzionamento precedente.
I possibili sintomi sono: umore depresso (o irritabilità); marcata diminuzione di
interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività; significativa perdita o
aumento di peso oppure aumento o diminuzione dell’appetito (nei bambini
anche incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali); insonnia o
ipersonnia; agitazione o rallentamento psicomotorio; faticabilità o mancanza di
energia; sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropiati;
ridotta capacità di pensare o concentrarsi o indecisione; pensieri ricorrenti di
morte; ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico o un tentativo di
suicidio o un piano specifico per commettere suicidio. I sintomi devono causare
disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento in
ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

Distinguiamo tra:

- Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente


- Disturbo depressivo maggiore
- Disturbo depressivo persistente (ex distimia)
- Disturbo disforico premestruale

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Il Disturbo depressivo persistente (Distimia) è un forma di depressione meno
grave. Nel DSM-5, i criteri per bambini e adolescenti sottolineano che deve
essere presente un umore depresso o irritabile per almeno un anno, durante il
quale il bambino o l’adolescente presenta due o più dei seguenti sintomi: scarso
appetito o iperfagia; insonnia o ipersonnia; scarsa energia o astenia; bassa
autostima; difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni; sentimenti di
disperazione. Nei soggetti in eta’ evolutiva la sintomatologia si presenta
secondo modalità peculiari e differenti rispetto all’eta’ adulta: ad esempio
l’anedonia nei bambini può manifestarsi nella diminuzione dell’attività di
gioco; la difficolta’ nella concentrazione concentrarsi può rendersi evidente in
un calo del rendimento scolastico. L’irritabilità e’ rilevante quando il bambino,
inizia ad avere maggiori conflitti con i pari oppure presenta comportamenti
oppositivi.

DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE: Il disturbo alimentare può nascere da


quelli che sono normali problemi nell’alimentazione, sani segnali di sviluppo:
fra i 7e i 9 mesi, durante lo svezzamento; tra i 2e i 3 anni, nel passaggio
all’alimentazione autonoma; i problemi alimentari, in questi periodi, sono il
segno che le capacità biologiche, effettive e cognitive del bambino si stanno
riorganizzando.
Bisogna tener conto anche del fatto che l’alimentazione è un aspetto essenziale
nell’accudimento ed è fonte di soddisfazione anche e, forse, soprattutto per un
genitore, così come può diventare fonte di preoccupazione per quei caregiver
che, durante le fasi normali di momentanei disturbi alimentari del bambino,
instaurano comportamenti di genitori mal adattivi. La difficoltà a stabilire
pattern regolari di alimentazione può avere un esordio precoce, durante il
secondo semestre di vita, o tra il primo e il secondo anno, causano un
rallentamento della crescita psicofisica. Il DSM-5 inserisce tra i disturbi
dell’alimentazione: la pica, il disturbo da ruminazione, il disturbo evitante/
restrittivo dell’assunzione di cibo, l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e
il binge eating. Rimarchiamo, inoltre, che l’obesità non viene inclusa nel
DSM-5 come un disturbo mentale.

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Pica: La caratteristica fondamentale di tale disturbo è la persistenza ad ingerire
una o più sostanze non commestibili per un periodo di almeno un mese; tali
sostanze tendono a variare e comprendono spesso carta, sapone, stoffa, capelli,
lana, talco in polvere, cenere, gomma ecc. È importante che il comportamento
di ingestione non faccia parte di una pratica culturale o sociale. I fattori di
rischio tipici della pica sono l’abbandono, la mancanza di controllo e il ritardo
dello sviluppo. In alcune popolazioni mangiare la terra o altre sostanze ha un
valore spirituale, medico o sociale ma tali comportamenti non giustificano una
diagnosi di pica. Essa si riscontra sia nei maschi che nelle femmine; in
quest’ultime si può presentare durante la gravidanza o nel post partum. La pica,
infine, si presenta spesso insieme ad altri disturbi come quello dello spettro
autistico, la disabilità intellettiva e, in misura minore, ma pur sempre presente,
nella schizofrenia e nel disturbo ossessivo-compulsivo.

Disturbo da ruminazione: La caratteristica fondamentale di tale disturbo è il


ripetuto rigurgito del cibo dopo la nutrizione per un periodo di almeno un mese.
Il cibo, precedentemente ingerito, viene rigurgitato e, spesso, rimasticato,
ringoiato senza nausea o disgusto. È importante che tale rigurgito non sia legato
ad un problema gastrointestinale o a un’altra condizione medica come, ad
esempio, il reflusso gastroesofageo. La prevalenza non è specificata ma risulta
comunemente presente in individui con disabilità intellettiva oppure in un
disturbo d’ansia generalizzato. L’esordio può avvenire durante la prima infanzia
ma anche in età adolescenziale o adulta. Tale disturbo può avere un decorso
episodico oppure verificarsi in modo continuativo fino al trattamento. I fattori
di rischio tipici sono i problemi psicosociali come la mancanza di stimolazione,
l’abbandono, eventi stressanti e problemi nella relazione genitore-bambino. Il
rigurgito può essere associato ad altri disturbi mentali quali il disturbo d’ansia
generalizzato.

Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo: La caratteristica


diagnostica principale è l’evitamento o la restrizione nell’assumere alcuni cibi.
Devono essere presenti delle caratteristiche diagnostiche principali quali:
significativa perdita di peso, un deficit nutrizionale, dipendenza
dall’alimentazione parenterale o da supplementi nutrizionali orali e una forte
interferenza con il funzionamento sociale. In alcuni individui l’evitamento o la
restrizione nell’assumere il cibo può essere dovuto alle caratteristiche sensoriali

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della qualità del cibo o un’estrema sensibilità ad aspetto, colore, odore,
consistenza, temperatura o gusto. Tale comportamento viene definito
alimentazione restrittiva, cioè un rifiuto cronico del cibo. L’alimentazione
restrittiva si sviluppa comunemente nell’infanzia e può persistere in età adulta. I
fattori di rischio possono essere sia temperamentali, cioè associati a disturbi
d’ansia, disturbo dello spettro autistico, ossessivo-compulsivo o deficit di
attenzione/iperattività. Contribuiscono anche i fattori ambientali come l’ansia
familiare o fattori genetici associati ad una storia di condizioni gastrointestinali,
vomito e altri problemi medici come il reflusso gastroesofageo. Anche tale
disturbo non deve essere associato ad una condizione medica e l’evitamento
può insorgere a qualunque età. I disturbi in comorbidità spesso sono i disturbi
d’ansia, l’ossessivo-compulsivo e i vari disturbi del neurosviluppo .

Binge eating: Tipici di tale disturbo sono i ricorrenti episodi di abbuffata che
devono verificarsi almeno una volta alla settimana per tre mesi. L’episodio di
abbuffata è caratterizzato dal mangiare, in un determinato periodo di tempo, una
quantità di cibo maggiore di quella che mangerebbe un altro individuo nello
stesso tempo e, inoltre, vi è la sensazione di perdere il controllo durante
l’episodio. È tipico mangiare più rapidamente del normale, mangiare fino a
sentirsi sgradevolmente pieni, mangiare quantità di cibo esagerate anche se non
si ha fame, mangiare da soli a causa dell’imbarazzo e sentirsi disgustati verso sé
stessi. Gli individui con tale disturbo si vergognano dei loro problemi cercando,
infatti, di nascondere i loro sintomi; proprio per questo l’antecedente più
comune all’abbuffata è l’emozione negativa.

Anoressia nervosa: Le caratteristiche essenziali dell’anoressia sono: la


persistente restrizione nell’assunzione di calorie, l’intensa paura di aumentare di
peso o di diventare grassi e la presenza di un’alterazione significativa
riguardante la percezione di sé e del corpo. Tipico di questi soggetti è
mantenere un peso corporeo al di sotto di quello normale per età, sesso e
sviluppo.

Bulimia nervosa: è una sindrome di definizione molto recente e, quindi, i


confronti con il passato sono più difficili ma non impossibili.Le abbuffate e le
condotte compensatorie si devono verificare, in media, almeno una volta a
settimana per tre mesi. È importante specificare la gravità che varia da lieve,
moderata, grave ed estrema. La prevalenza è più alta in giovani di sesso
23
femminile e il suo picco si ha nella tarda adolescenza o addirittura nella prima
età adulta. Si hanno poche informazioni sulla prevalenza della bulimia negli
uomini anche se, negli ultimi decenni, è un fenomeno in crescita.

4. DISTURBI DELL’IDENTITÀ DI GENERE: condizione di


preoccupazioni intense e invasive relative al genere sessuale. L’inizio del
disturbo si situa tra la fine del primo e il terzo anno di vita. Nella
Classificazione diagnostica 0-3 il GID è inserito all’interno dei disturbi affettivi.
I sintomi sono funzionali all’interno di una strategia per ridurre l’ansia. Il
bambino affetto da GID farà dichiarazioni sul fatto che il pene è disgustoso e
che gli scomparirà, ha avversione verso i giochi violenti, verso tutte le attività
“tipicamente maschili”. La bambina, invece, avrà fantasie riguardo al giorno il
cui il pene le spunterà, rifiuta di fare pipì in posizione seduta, non vuole che le
cresca il seno, non vuole indossare gonne o qualsiasi abito “da femmina”. La
diagnosi di GID è rara, e tiene conto dell’intensità, della pervasività di tali
pensieri ricorrenti. Sono distinti fattori eziologici non specifici (la depressione
materna o il ritiro paterno) da fattori eziologici specifici (la sintonizzazione
specifica di uno dei genitori nei riguardi del comportamento del sesso opposto
espresso dal bambino). I bambini affetti da GID sono spesso timidi, inibiti e
diventano facilmente ansiosi; è stato dimostrato che dimostrino un maggior
bisogno della relazione di attaccamento rispetto alla media.

NEI MASCHI: c’è una strategia con cui sostituiscono la relazione con la madre
con un’identificazione con la madre. Sembra che nella maggior parte dei casi
tentino di gestire così l’ansia di separazione. Una volta che il bambino ha
sperimentato questa soluzione, l’autonomia crescente che gliene deriva funge
da rinforzo. La fantasia di appartenere al sesso opposto può essere riparatoria,
ma la rigidità e la pervasività delle preoccupazioni sono il prezzo da pagare a
livello intrapsichico.

NELLE FEMMINE: la stessa condizione che genera l’identificazione nel


maschio, nelle femmine non attiverà fantasie di appartenere all’altro sesso, ma
sviluppando un disturbo d’ansia da separazione oppure un’esagerata iper-
femminilità. La bambina con GID è genericamente una bambina che avverte il
padre come aggressivo, ha magari episodi di violenza in famiglia, una madre
svalutata e, quindi, svalutante. Perciò, la bambina preferirà identificarsi col
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padre aggressore, piuttosto che con la madre vittima; l’identificazione con
l’aggressore diventa un aspetto importante. Il bambino e la bambina affetti da
GID svilupperanno un falso Sé, basato sul bisogno degli altri, pur di gestire le
ansie relative all’annientamento, alla separazione, all’aggressione.

DISFORIA DI GENERE

5. DISTURBI DELL’ATTACCAMENTO: derivano da una mancanza


dall’esterno che il bambino sperimenta a scapito della propria tendenza innata a
generare relazioni emotive intime. Il legame di attaccamento si sviluppa a
partire da predisposizioni innate che ogni uomo ha all’interazione sociale, con
la funzione di garantire la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Fin dalla
nascita, il bambino possiede dei pattern di comportamento atti a sviluppare
l’attaccamento: comportamenti di segnalazione, il riso come il pianto, i
vocalizzi; tutti comportamenti che permettono al bambino di comunicare i
propri bisogni alla madre e che hanno l’effetto di avvicinarla a lui. Alla fine del
primo anno di vita si evidenzia l’organizzazione di un comportamento di
attaccamento verso una sola figura discriminata, preferita; è questo, infatti, il
periodo in cui nasce la sana “angoscia dell’estraneo” segno che il bambino
interpreti la presenza di un altro che non sia la madre, come sua lontananza.
Lo stile di attaccamento sano è SICURO, quello patologico va dall’INSICURO/
EVITANTE all’INSICURO/AMBIVALENTE. La procedura di valutazione
usata per gli stili di attaccamento è la STRANGE SITUATION, elaborata da
Mary Ainsworth; una procedura standardizzata che studia le reazione dei
bambini nel corso del primo anno di vita in caso di separazione, riunificazione e
in presenza di un estraneo con o senza la madre, per valutare l’equilibrio tra
sistema di attaccamento e di esplorazione dell’ambiente, in presenza di uno
stress moderato. Dalla Strange situation si evincono 3 modello di attaccamento:

A. Insicuro-evitante: è riscontrato nel 20-25% della popolazione normale.


Sono bambini che esplorano volentieri l’ambiente, ma presentano scarse
manifestazioni di affetti positivi, non facendo riferimento ad una base
sicura. Alla separazione rispondono con lievi manifestazioni d’angoscia,
ma alla riunione evitano il genitore, spesso si focalizzano sui giocattoli.

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B. Sicuro: usano con successo la loro base sicura. Riguarda, fortunatamente la
maggioranza della popolazione normale, il 60-65%. Esplorano liberamente
ed interamente l’ambiente, con segnali d’angoscia alla separazione che,
però, riescono facilmente ad esser riparati. Alla riunione cercano
attivamente il genitore che riesce attivamente a consolarli, permettendogli
di tornare a giocare. Il MOI è costruito attorno ad una figura sensibile e
affidabile.

C. Insicuro-ambivalente: riguarda il 10-15% della popolazione normale. Sono


i bambini che appaiono sensibilmente angosciati alla separazione, agitati e
passivi non riescono ad impegnarsi nell’esplorazione. Alla riunione non
riescono a farsi consolare e non trovano conforto nei genitori. Il MOI è
costruito intorno ad un accadimento inadeguato e incapace di rispondere ai
suoi bisogni. Le madri sono incostanti e imprevedibili nelle cure.

6. DISTURBI POST-TRAUMATICI DA STRESS E ABUSI: presenta un


quadro sintomatologico cha fa seguito ad un evento traumatico. Per esser
traumatico, tale evento deve avere 2 caratteristiche: significare una minaccia di
morte, o una minaccia all’integrità del Sé del soggetto, e deve essere concepito
dal soggetto come minaccioso.

Nei bambini è più complicato stabilire la percezione avuta, date le loro ridotte
capacità verbali. Prima dei 48 mesi, evento traumatico può essere l’aggressione
di un animale, la scomparsa di uno dei genitori e, nei casi più gravi l’abuso. Il
quadro clinico del PTSD deve tener conto del temperamento del bambino, del
contesto, dell’interazione con i genitori e della capacità dei genitori di fornire le
giuste risposte ai bisogni del bambino. I sintomi diagnosticati dalla
Classificazione diagnostica 0-3 sono:
1. Il ripresentarsi cronico dell’evento traumatico, che può avvenire attraverso
gli incubi o nel gioco;
2. L’appiattimento degli affetti, causa di ritiro emotivo ma anche di distorsione
se non, addirittura, del blocco dello sviluppo fisico e la momentanea perdita di
abilità già acquisite;

3. Aumenta, invece, l’attivazione, che si esprime in disturbi del sonno,


dell’alimentazione, dell’attenzione;

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4. Sintomi aggressivi paure da ansia di separazione, paura di rimanere solo e,
nei casi di abuso, comportamenti sessuali non adatti alla sua età.

L’abuso è spesso alla base del PTSD. Anche la trascuratezza è un abuso e può
esser fisica educativa ed emozionale. L’abuso intrafamiliare può esser fisico,
sotto forma di minaccia di aggressione o di vera aggressione fisica, è sessuale,
quando implica la sfera genitale, con i toccamenti, e immerge il bambino in una
dimensione che non è ancora capace di elaborare. La crescita, lo sviluppo del
bambino in un contesto familiare del genere gli fa sperimentare un distorto
senso del Sé, negativo, inefficace, in cui saranno ovviamente preponderanti
sentimenti di rabbia e ostilità.

7. IL RITARDO MENTALE (RM): vi è una prevalenza nell’1% della


popolazione, ma è più comune dei maschi. Non tutti i casi di RM dura per tutta
la vita, (esempio, persone con RM lieve, in età precoce possono essere
recuperate le funzioni tramite dei training specifici). Le persone con Ritardo
Mentale non presentano né caratteristiche fisiche specifiche, né caratteristiche
specifiche di personalità e comportamento. Ad oggi non parliamo più di
RITARDO MENTALE ma vengono definite DISABILITÀ INTELLETTIVE.
Per essere diagnosticato il QI (grado di intelligenza e capacità di sviluppare le
risorse cognitive) deve essere uguale o inferiore a 70, vi deve essere un carente
funzionamento adattivo e l’esordio si deve presentare prima dei 18 anni.
Distinguiamo:

RITARDO MENTALE GRADO LIEVE: vi è un incidenza del 85%, il Q.I. è


tra 50/55 - 70, presentano un età mentale tra 8 e 11 anni. Le caratteristiche
tipiche sono: Minime compromissioni senso-motorie, infatti con l’adeguato
sostegno possono vivere in comunità, a livello scolastico corrispondono a dei
bambini di quinta elementare. Presentano comportamenti instabili e aggressivi
verso l’insuccesso e reazioni di collera ed esibizionismo. Viceversa usano
spesso nella vita il ripiegamento, l’inibizione, la passività, e la sottomissione.
Abbiamo 3 ambiti di riferimento da attenzionare: 1Ambito concettuale:
supporto per imparare a leggere e scrivere e fare operazioni aritmetiche. 2
Ambito sociale: immaturità nei rapporti sociali. 3 Ambito pratico: supporto
per adulto nelle spese e nella gestione della casa.

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4) RITARDO MENTALE GRADO MEDIO: vi è un incidenza del 10%, il
Q.I. è tra 35/40 – 50/55, presentano un età mentale tra i 5-7 anni.
CARATTERISTICHE: discrete capacità comunicative, con supervisione
provvedono alla cura della propria persona e lavori semplici, relativa
autonomia nei luoghi familiari un discreto adattamento alla vita di
comunità. Le competenze scolastiche corrispondono ai bambini di seconda
elementare . Abbiamo 3 ambiti di riferimento: 1 Ambito concettuale:
ritardo marcato nello sviluppo concettuale e linguistico fin dai primi sei
anni di vita. 2 Ambito sociale: difficoltà nella comunicazione a causa di un
linguaggio povero. 3 Ambito pratico: supporto per la cura dei bisogni
personali (mangiare, bere, igiene personale)

5) RITARDO MENTALE GRADO GRAVE: vi è un incidenza del 3-4%, il


Q.I. è tra 20/25 – 35/40, presentano un età mentale tra i 4 -6 anni.
CARATTERISTICHE: Minimi o assenti livelli di linguaggio, Minime
competenze di autonomia, da adulti possono svolgere attività semplici in
ambienti protetti. Le competenze scolastiche scarse principalmente
imparano le materie prescolastiche come il riconoscere parole semplici per
i bisogni. Abbiamo 3 ambiti di riferimento: 1Ambito concettuale: può non
essere in grado di imparare a leggere a livello delle prime classe della
scuola primaria, 2 Ambito sociale: difficoltà nella comunicazione a causa
di un linguaggio molto povero, 3 Ambito pratico: supporto per tutte le
attività di vita quotidiana.

6) RITARDO MENTALE GRADO PROFONDO O GRAVISSIMO: vi è


un incidenza del 1-2%, il Q.I. è al di sotto del 20/25 e presentano un età
mentale meno di 4 anni. CARATTERISTICHE: Compromissione
significativa del funzionamento senso- motorio, Assistenza e supervisione
costante. Abbiamo 3 ambiti di riferimento: 1 Ambito concettuale: tali
capacità si limitano alla fase pre-simbolica, 2 Ambito sociale: le difficoltà
nella comunicazione possono essere così significative da richiedere
l’utilizzo della comunicazione alternativa, 3 Ambito pratico: massiccio
supporto per tutte le attività di vita quotidiana.

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7)Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) sono caratterizzati dalla
persistente difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche chiave per
almeno 6 mesi tra lettura delle parole lenta o imprecisa e faticosa, difficoltà
nella comprensione del significato di ciò che viene letto, difficoltà nello
spelling, difficoltà con l’espressione scritta, difficoltà nel padroneggiare il
concetto di numero, i dati numerici o il calcolo, difficoltà nel ragionamento
matematico. Negli adulti, una difficoltà persistente si riferisce a difficoltà
continuative nel leggere e nello scrivere o nelle abilità di calcolo. Le abilità
scolastiche sono al di sotto di quelle attese per età e causano interferenza con il
rendimento scolastico o lavorativo. Le difficoltà di apprendimento iniziano
durante gli anni scolastici e non solo influenzano le abilità scolastiche, ma
possono anche ostacolare l’apprendimento di altre materie; questi problemi
sono attribuiti alle difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche
sottostanti. I disturbi specifici di apprendimento (DSA) si distinguono in:
Dislessia. Compromissione della lettura, in particolare nell’accuratezza nella
lettura delle parole, nella velocità o fluenza della lettura e comprensione del
testo; Disgrafia. Compromissione dell’espressione scritta, dell’accuratezza nello
spelling e nella grammatica e nella punteggiatura; Discalculia. Compromissione
del calcolo: concetto di numero, memorizzazione di fatti aritmetici, calcolo
accurato o fluente e ragionamento matematico corretto.

I DSA presentano una caduta (discrepanza, disabilità, difficoltà) nelle abilità


legate agli apprendimenti:

1) lettura = DISLESSIA,

2) scrittura = DISORTOGRAFIA e DISGRAFIA,

3) numero e calcolo = DISCALCULIA

1. La Dislessia: disturbo specifico di lettura e si caratterizza per la difficoltà ad effettuare


una lettura accurata e fluente in termini di velocità e correttezza; tale difficoltà si può
ripercuotere, nella maggior parte dei casi, sulla comprensione del testo. Quali difficoltà
incontrano nel processo di lettura i soggetti con dislessia evolutiva?

- Inversioni di lettere (ad es. da=ad, per=pre, da=pa),

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- Sostituzioni di lettere simili graficamente o che si pronunciano in maniera simile (punto
o modo di articolazione ma diverse come sonorità) per cui nel primo caso d-b, p-q, m-n,
t-f, a-e mentre nel secondo b-p, t-d, f-v, s-z ecc.

- Omissioni di lettere, sillabe e/o parole

- Difficoltà a riconoscere gruppi sillabici complessi come ch gn, gh, gl, sc

- Commette errori di anticipazione : legge la prima o le prime lettere e “tira ad indovinare”


la parola, a volte sbagliandola; Esitazioni o rilettura di parole o parti di parole. Difficoltà
a leggere ed a pronunciare parole non familiari, più lunghe o a bassa frequenza d'uso o
non parole, Difficoltà a mantenere la riga di lettura (salti di riga o rilettura di una stessa
riga) o a procedere regolarmente da destra a sinistra , Lettura lenta e faticosa, a volte
sillabata, Conseguente difficoltà di comprensione del testo.

CASSA- CASA= (CA) (SA)

FAMIGLIA= FA IA

LUNGHE= LU E

2) La Disortografia: disturbo specifico che riguarda la componente costruttiva della


scrittura, legata agli aspetti linguistici e consiste nella difficoltà di scrivere in modo corretto.
Errori Fonologici:

- Scambio di grafemi (B-A-C) visivamente simili e/o i cui suoni sono fonologicamente
simili : es. (m-n / b-d) bado per dado; (p-b / f-v / k-g...) brina per prima,

- Omissione e aggiunta di lettere o sillabe: es. taolo per tavolo; tavolovo per tavolo

- Inversioni: es. li per il; bamlabo per bambola

- Grafema inesatto: es. agi ACHI ahi per aghi; pese per pesce; puniale per pugnale

- Separazioni illegali: es. in sieme per insieme, l’avato per lavato, perlo per per lo;

- Fusioni illegali: es. nonevero per non è vero, lacqua per l’acqua, ilcane per il cane;

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- Scambio grafema omofono: es. squola per scuola, qucina per cucina

- Omissione o aggiunta di “h”: es. ha casa per a casa, lui non a per lui non ha, l’hanno
scorso per l’anno scorso

- 2) La Disgrafia: disturbo specifico che riguarda la componente esecutiva, grafo-motoria


della scrittura, legata alla realizzazione grafica e di coordinazione occhio-mano; consiste
nella difficoltà di scrivere in modo fluido veloce ed efficace (lentezza esecutiva, scarsa
fluidità, lettere spezzate, incomplete o irriconoscibili). Caratteristiche:

BAMBINO BAM INO

- Tratto grafico illeggibile o poco leggibile con difficoltà soprattutto con il corsivo
- Fluenza o rapidità di scrittura notevolmente ridotta
- Analisi qualitativa del segno grafico (lettere spezzate, orientamento, prensione, postura,
pressione, affaticabilità, organizzazione spazio foglio, fluidità ecc…)
- Deformazione o perdita dei tratti distintivi delle lettere;
- Passaggio illecito da un codice di scrittura all’altro con alternanze di maiuscolo,
minuscolo, script, corsivo;
- Lettere di dimensioni irregolari;
- Fluttuazioni delle lettere sopra o sotto il rigo base
- Possono essere riscontrate anche difficoltà prassiche e/o visuo-motorie e/o visuospaziali;

3) La Discalculia: disturbo nel manipolare i numeri, nell’eseguire calcoli rapidi a mente,


nel recuperare i risultati delle tabelline e nell’eseguire diversi compiti aritmetici, che
riguarda sempre le abilità di numero e/o calcolo in termini di rapidità e/o accuratezza.
Caratteristiche: 1,2,4,6,5,7,9,8,3,10

- Difficoltà nella conoscenza numerica: capacità di elaborazione delle quantità e grandezze


numeriche subitizing (identicazione immediata del valore numerico di piccole quantità
senza contarle) concetto di stima

- Semantica (comprensione della quantità) : quanto vale un numero rispetto ad un altro,


qual è il più grande tra due o tre concetto di Comparazione seriazione (es. difficoltà ad
individuare che 65 è più grande di 40) 40-43————20-60——-30-70—— 7-9

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- Difficoltà di conteggio

- Errori lessicali: sostituisco una cifra con un’altra (da codice verbale ad arabico = scrittura
sotto dettatura es. 32 invece che 35) (da c. arabico a verbale = lettura confondo i numeri
457 per 427) 2/5———6/8——3/8

- Errori sintattici: valore posizionale delle cifre 35 = 3 decine e 5 unità (scrivo 47 per 74 o
errori nei numeri che contengono lo 0 es. sento “centotrè” scrivo 1003) (k-h-da-u)

Gradi: Lieve- medio/moderato- grave/gravissimo

Strumenti dispensativi e compensativi

9 La Sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD): alla base c’è


da inattenzione, impulsività e iperattività motoria. Non si conosce ancora una
causa specifica di questo disturbo, ma sono stati individuati dei fattori
predisponenti quali condizioni sociali e fisiche del soggetto, eredità genetica,
esposizione a fattori ambientali negativi, problemi neurologici. Colpisce
prevalentemente i bambini ed è stato stimato che il 50% di questi soggetti
mantiene i disturbi fino all’età adulta. Per diagnosticare il disturbo è necessario
che i sintomi siano presenti per almeno sei mesi consecutivi in situazioni
diverse. Esistono diverse manifestazioni del deficit, predominanza di sintomi di
distrazione/disattenzione, predominanza di iperattività-impulsività. I bambini
sono distratti, dimenticano le cose, hanno difficoltà di concentrazione, si
annoiano facilmente, non riescono a restare attenti, hanno difficoltà a svolgere i
compiti, non ascoltano, hanno difficoltà di elaborazione delle informazioni.
Possono parlare senza sosta, hanno difficoltà a stare seduti, sono costantemente
in movimento, toccano e giocano con qualsiasi cosa, si contorcono da seduti.
Spesso i bambini sono impazienti, fanno commenti e hanno comportamenti
inappropiati. I bambini che soffrono di questo disturbo hanno problemi
relazionali con i genitori, con gli insegnanti e con i coetanei dai quali sono
spesso rifiutati. Inoltre questi bambini presentano un comportamento aggressivo
e difficoltà a rispettare le regole.

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I sintomi per fare diagnosi di ADHD sono: Iperattività-impulsività: Il ragazzo
si agita e parla molto, gli risulta difficile stare fermo per molto tempo (ad
esempio per un pasto o mentre fa i compiti a casa). I bambini più piccoli
possono correre, saltare o provare ad arrampicarsi costantemente. L’individuo si
sente inquieto e ha problemi con l’impulsività, che si manifestano
interrompendo altre persone che parlano o giocano, afferrando i giochi di altri
bambini o parlando in tempi inadeguati. È difficile o impossibile aspettare il
proprio turno o ascoltare indicazioni e istruzioni. Un soggetto impulsivo è poi
più soggetto a piccoli e grandi infortuni. Disattenzione: è una sfida spesso
insormontabile organizzare o terminare un compito, prestare attenzione ai
dettagli, seguire istruzioni o conversazioni. Il paziente si distrae facilmente e
tende a dimenticare dettagli della routine quotidiana. Inoltre circa il 70% dei
bambini con ADHD presenta altri disturbi, tra cui: Disturbi Specifici di
Apprendimento-Dislessia (30%) !Disturbo Oppositivo Provocatorio (25%)!
Disturbo della Condotta (10%-15%)!Disturbo d’Ansia/ Depressione (15%). Si
tratta di uno dei disturbi in età evolutiva in cui è più difficile fare diagnosi
differenziale o associata.

Distinguiamo i sintomi in base all’eta: ADHD in età prescolare presenta:


Massimo grado di iperattività , Comportamenti aggressivi, Crisi di rabbia,
Litigiosità, atti provocatori, Assenza di paura, condotte pericolose, incidenti e
Disturbo del sonno.

ADHD in età scolare: Comparsa di disattenzione, impulsività, Difficoltà


scolastiche (lettura e scrittura), Possibile riduzione della iperattività, Evita
compiti prolungati, Comportamento oppositivo - provocatorio.

ADHD IN ADOLESCENZA Disturbo dell’attenzione, Difficoltà scolastiche,


Difficoltà di organizzazione della vita quotidiana (pianificazione), Riduzione
del comportamento iperattivo (sensazione soggettiva di instabilità), Instabilità
scolastica, lavorativa, relazionale, Condotte pericolose (droga, alcol), Disturbi
depressivo – ansiosi. ADHD in adolescenza (possibili evoluzioni): 30%:
superamento dei sintomi, prestazioni scolastiche talvolta inferiori ai controlli,
60%: permanenza della sindrome, frequente attenuazione della componente
iperattiva, crescente compromissione emotiva (depressivo- ansiosa) e sociale, il
10%: permanenza della sindrome, disturbi comportamentali di adattamento
sociale.
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ADHD in età adulta: Difficoltà di organizzazione nel lavoro (strategie per il
disturbo attentivo), Intolleranza di vita sedentaria, Condotte rischiose, Rischio
di marginalità sociale, Bassa autostima, Tendenza all’isolamento sociale,
Vulnerabilità psicopatologica

10 BES: BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

Dal punto di vista concettuale, i Bisogni Educativi Speciali rappresentano una macro-categoria che
comprende una serie di possibili difficoltà educative. La normativa sui BES, DM 27/12/12, si
aggiunge, in parte sovrapponendosi, alla normativa già in vigore in Italia (legge 170 e legge 104)
dedicata al principio della personalizzazione dell’insegnamento, sancito dalla Legge 53/2003. La
Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni
educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” ha inaugurato un acceso
dibattito ancora in corso all’interno della Scuola. Se ad oggi il concetto di inclusione è più chiaro,
meno lo è quello dei “BES”, per l’alto numero di condizioni di difficoltà e disagio cui fa
riferimento.

La Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 (Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi
Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica) prevede che gli alunni con BES
possano essere suddivisi in tre macro-categorie:

1. Disabilità: rientrano in questo gruppo tutti gli alunni che presentano una difficoltà
certificata ai sensi della legge 104/92 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale
e i diritti delle persone handicappate), vale a dire tutti coloro che presentano una
minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà
di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo
di svantaggio sociale o di emarginazione (ritardo mentale, disturbi generalizzati dello
sviluppo, altre gravi patologie della struttura e della funzione corporea).

2. Disturbi evolutivi specifici: questa macroarea comprende tutte quelle difficoltà che non
sono o che non possono essere certificate dalla legge 104/92. Sono compresi in questo
gruppo:

• I disturbi specifici di apprendimento (DSA): sono quei disturbi di natura


neurobiologica che alunni con intelligenza e caratteristiche psicofisiche nella norma
possono mostrare in quelle abilità specifiche degli apprendimenti scolastici, quali la

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lettura, la scrittura o il calcolo; sono riconosciuti dalla legge 170/2010 (Nuove norme
in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico);

• i disturbi specifici del linguaggio;

• i deficit delle abilità non verbali (disturbi della coordinazione motoria, disprassia,
disturbo non verbale);

• i deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività (DDAI, o secondo formula


inglese ADHD);

• i disturbi dello spettro autistico lieve (non compreso nelle casistiche previste dalla
legge 104/92);

• il funzionamento intellettivo limite (o borderline).

3. Svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale: si tratta di un’area molto ampia ed


eterogenea dei BES, nella quale sono compresi tutti quegli alunni che presentano difficoltà
in ambito emozionale, psico-affettivo, comportamentale, motivazionale, oppure legate a
complessi vissuti di ordine psicofisico, familiare, socioeconomico o linguistico-culturale.

Nello specifico, l’individuazione degli alunni con BES nelle tre categorie precedentemente
descritte, pur restando di competenza dei docenti del consiglio di classe, può essere avallata:

• Per gli alunni con disabilità, da apposita certificazione medico-legale ai sensi della legge
104/92, che dà diritto all’alunno di usufruire di un certo numero di ore di sostegno con un
insegnante specializzato e di un Piano Educativo Individualizzato (PEI) che preveda i
percorsi e gli strumenti didattici più idonei per il raggiungimento di obiettivi personalizzati
nonché le modalità adeguate per la valutazione degli stessi;

• Per gli alunni con disturbi specifici, da documentazione clinica rilasciata da strutture
pubbliche e da motivazioni pedagogico-didattiche opportunamente verbalizzate dal team
degli insegnanti. In questa categoria è opportuno ricordare che per gli alunni con DSA la
legge 170/2010 garantisce il diritto allo studio attraverso peculiari criteri educativi e
didattici, misure dispensative, strumenti compensativi e modalità di valutazione degli
apprendimenti scolastici, che possono essere estesi anche a tutti gli alunni con BES;

• Per gli alunni con svantaggio socio-economico, linguistico e culturale, da segnalazioni sulla
base di elementi oggettivi (per esempio segnalazioni degli operatori dei servizi sociali) e/o
da motivazioni pedagogico-didattiche, anch’esse accuratamente verbalizzate

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Ianes e Cramerotti (2007) definiscono Bisogno Educativo Speciale:

“…Una qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o di apprendimento, che consiste in un
funzionamento problematico come risultante dall’interrelazione reciproca tra i sette ambiti della
salute secondo il modello ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il funzionamento è
problematico per l'alunno, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente
dall’eziologia e necessita di educazione/didattica speciale individualizzata”. Per Bisogno
Educativo Speciale si intende quindi una qualsiasi difficoltà che può essere permanente (come nel
caso dei disturbi evolutivi specifici) oppure transitoria e che si manifesta con un funzionamento
problematico in ambito scolastico (Ianes & Macchia, 2008).

Purtroppo, le direttive ministeriali a tutela degli studenti individuati come BES non sono poi così
chiare. Sostanzialmente, troviamo 4 casi distinti:
• Alunni con disabilità, per i quali vale la legge 104/92: questi alunni sono seguiti da un
insegnante di sostegno (o da un assistente in mancanza del sostegno) e vi è l’obbligo di
redigere un PEI (Piano Educativo Individualizzato
• Alunni con DSA, per i quali vale la legge 170/2010: questi alunni, presentando la specifica
certificazione, sono tutelati tramite l’obbligo di redigere un PDP (Piano Didattico
Personalizzato)
• Alunni con disturbi evolutivi specifici: in questo caso il Consiglio d’Istituto ha facoltà di
redigere un PDP o meno; la valutazione spetta ai docenti
• Alunni con svantaggio socio-economico o culturale o linguistico: anche in questo caso il
Consiglio d’Istituto ha facoltà di redigere un PDP o meno; la valutazione spetta ai docenti
Negli ultimi due casi, non è previsto l’obbligo di legge di redigere un PDP; tuttavia, gli
insegnanti devono tutelare il percorso formativo dell’alunno ed attivare tutte le misure di
personalizzazione necessarie.

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Per quanto concerne il trattamento con gli alunni BES si hanno a disposizione diversi materiali e
proposte a partire dall’ausilio di strumenti compensativi. Gli strumenti compensativi sono mezzi
formativi e tecnici che rimpiazzano o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. Fra i
più noti resi disponibili dalle scuole abbiamo:

• L’uso di sintesi vocale, che converte un compito di lettura in un compito di ascolto;

• Il registratore, per riascoltare la lezione, dal momento in cui l’alunno può avere distrazioni o
difficoltà nel prendere gli appunti con cosiddetta carta e penna;

• I programmi di video scrittura che permette la correzione ortografica, cosi da produrre testi
più corretti ed evitare spiacevoli errori;

• La calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo e altri strumenti più classici come
tabelle, formulari, mappe concettuali, cartelloni ecc.

Le misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno di non svolgere alcune
prestazioni che sono troppo difficoltose e non porterebbero ad un migliorano dell’apprendimento.
L’adozione delle misure dispensative, dovrà essere valutata sulla base dell’ incidenza del disturbo
sulle prestazioni richieste. Un aiuto ulteriore è fornito dalla multimedialità. Dove lo strumento
privilegiato è rappresentato dal computer o dal tablet. Ulteriori indicazioni da adottare sono:

• Andare incontro ai bisogni speciali dell’alunno riducendo i modi classici di fare didattica e
ponendo l’attenzione sulle nuove misure dispensative utili,

• Ottenere il massimo rendimento concentrandosi sui punti di forza dell’alunno, adattando i


compiti allo stile d’apprendimento;

• Ridimensionare i punti di debolezza, adattando i compiti da svolgere alle sue capacità ed


evitare di fargli fare compiti fuori dalle sue capacità;

• Utilizzare il canale visivo e il canale uditivo per le spiegazioni e lo svolgimento dei compiti
sia in aula che a casa;

• Favorire la socializzazione tra pari, che siano compagni della stessa classe che dello stesso
istituto;

• Incrementare l’autostima e la fiducia su se stessi e sugli altri.

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Disturbo dello spettro Autistico

Il tasso mediano è di 5 casi su 10.000 con tassi riferiti che variano da 2 a 20 casi
su 10.000. Non è chiaro se i tassi più alti riferiti riflettano differenze nella
metodologia o piuttosto un’aumentata frequenza della condizione. Per
definizione, l’esordio del Disturbo Autistico si situa prima dei 3 anni di età. Il
Disturbo Autistico ha un decorso continuo. Nei bambini in età scolare e
nell’adolescenza, sono comuni recuperi di sviluppo in alcune aree (per es.,
aumentato interesse nel funzionamento sociale quando il bambino raggiunge
l’età scolare). Alcuni soggetti si deteriorano sul piano comportamentale durante
l’adolescenza, mentre altri migliorano. Le capacità di linguaggio (per es., la
presenza di eloquio comunicativo) e il livello intellettivo generale sono i fattori
che più fortemente condizionano la prognosi definitiva. Gli studi di follow-up
disponibili indicano che solo una piccola percentuale di soggetti con questo
disturbo riesce, nell’età adulta, a vivere e a lavorare in modo indipendente. In
circa un terzo dei casi, è possibile un certo grado di indipendenza parziale.

I sintomi dell’autismo compaiono spesso a 18-36 mesi, e alcuni segnali di


allarme possono essere colti molto presto, sin dalla nascita. L’intervento
precoce può fare una notevole differenza nel contenere i sintomi e l’impatto
negativo dell’autismo: individuarlo precocemente è sicuramente un vantaggio. I
genitori hanno maggiori probabilità di individuare i segni e sintomi precoci
dell’autismo attraverso un preciso monitoraggio dello sviluppo dei propri figli,
cercando di individuare eventuali deficit o arresti.I seguenti deficit esigono un
attenta valutazione del pediatra del vostro bambino:

A 6 MESI: assenza di grandi sorrisi o espressioni di gioia e calore

A 9 MESI: il bambino non emette suoni o non risponde ad essi, non sorride e
non emette altre espressioni facciali

A 12 MESI: assenza di “gorgoglii” o di “baby talk”, dunque il bambino non


emette gesti (come puntare, tendere le braccia) e non risponde ad essi

A 16 MESI: assenza di parole

A 24 MESI: il bambino non cerca di imitare o ripetere le frasi che sente


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A QUALSIASI ETA’: qualsiasi deficit nel linguaggio e nelle abilità sociali

Presentano una compromissione qualitativa dell’interazione sociale:

Compromissione notevole nell’uso di diversi comportamenti non verbali (per


es., sguardo diretto, espressione del viso, posture corporee, e gestualità) che
regolano l’interazione sociale e la comunicazione

Può esservi incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di


sviluppo che può assumere diverse forme a seconda dell’età. I soggetti più
piccoli possono avere uno scarso o nullo interesse nel fare amicizia. I soggetti
più grandi possono essere interessati all’amicizia ma mancare della
comprensione delle convenzioni che regolano l’interazione sociale.

Può esservi una mancanza di tentativi spontanei di condividere gioie, interessi o


obiettivi con altre persone (per es., non mostrare, portare, o richiamare
l’attenzione su oggetti che trovano interessanti)

Può essere presente una mancanza di reciprocità sociale o emotiva (per es., non
partecipare attivamente a semplici giochi sociali, preferire attività solitarie o
coinvolgere altri in attività solo come strumenti o aiutanti “meccanici”)

Spesso la consapevolezza che il soggetto ha degli altri è notevolmente


compromessa. I soggetti con questo disturbo possono essere incuranti degli altri
bambini (inclusi i fratelli), possono non avere idea dei bisogni degli altri, o non
accorgersi del malessere di un’altra persona.

Vi è una Compromissione della comunicazione verbali(CV)


e non verbali (CNV)
1. Può esservi ritardo, o totale mancanza, dello sviluppo del linguaggio parlato

2. Nei soggetti che parlano, può esservi notevole compromissione della capacità
di iniziare o di sostenere una conversazione con altri

3. Uso stereotipato o ripetitivo del linguaggio o linguaggio eccentrico


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4. Può esservi anche mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei.

Quando il linguaggio si sviluppa, l’altezza, l’intonazione, la velocità, il ritmo, o


la sottolineatura possono essere anomali (per es., il tono di voce può essere
monotono o inappropriato per il contesto oppure contenere accentuazioni di tipo
interrogativo in frasi affermative). Le strutture grammaticali sono spesso
immature e includono un uso del linguaggio stereotipato e ripetitivo (per es.,
ripetizione di parole o frasi indipendentemente dal significato; ripetizione di
ritornelli o di spot pubblicitari) o linguaggio metaforico (cioè, linguaggio che
può essere capito chiaramente solo da coloro che hanno familiarità con lo stile
di comunicazione del soggetto). La comprensione del linguaggio è spesso molto
ritardata, e l’individuo può essere incapace di capire domande o indicazioni
semplici. Un’alterazione dell’uso pragmatico (sociale) del linguaggio viene
spesso evidenziata dalla incapacità di integrare le parole con la gestualità o di
capire l’umorismo o gli aspetti non letterali del discorso come l’ironia o i
significati impliciti.

Modalità di comportamento, interessi, e attività ristretti, ripetitivi, e


stereotipati:

- Può esservi dedizione assorbente per uno o più tipi di interessi stereotipati e
ristretti che sono anomali o per intensità o per focalizzazione

- Sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici

- Manierismi motori stereotipati e ripetitivi

- Persistente eccessivo interesse per parti di oggetti

Mostrano una gamma di interessi ristretta, e sono spesso eccessivamente


assorbiti per es., date, numeri di telefono, frequenze di stazioni radio, mettere in

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fila giocattoli sempre nello stesso numero e nello stesso modo per più e più
volte, o mimare ripetitivamente i gesti di un attore della televisione. Possono
comportarsi in modo monotonamente eguale e mostrare resistenza o malessere
per cambiamenti banali (per es., un bambino piccolo può avere una reazione
catastrofica per un piccolo cambiamento nell’ambiente, una risistemazione dei
mobili o l’uso di un nuovo set di posate).Vi è spesso un asservimento ad inutili
abitudini o rituali, oppure un’insistenza irragionevole nel seguire certe routine
(per es. prendere ogni giorno esattamente la stessa strada per recarsi a scuola).

I movimenti corporei stereotipati riguardano le mani (battere le mani,


schioccare le dita), o l’intero corpo (dondolarsi, buttarsi a terra, oscillare).
Possono essere presenti anomalie della postura (per es., camminare in punta di
piedi, movimenti delle mani o atteggiamenti del corpo bizzarri). Questi soggetti
mostrano un persistente, eccessivo interesse per parti di oggetti (bottoni, parti
del corpo). Possono essere anche affascinati dai movimenti (per es., ruote dei
giocattoli che girano, aprire e chiudere la porta, un ventilatore elettrico, o altri
oggetti che ruotano rapidamente). Vi può essere intenso attaccamento ad alcuni
oggetti inanimati (per es., un pezzo di spago oppure un elastico).

Sindrome di Rett

La sindrome di Rett è una malattia neurodegenerativa dell’evoluzione


progressiva che colpisce quasi esclusivamente soggetti di sesso femminile e si
manifesta prevalentemente nei primi due anni di vita. Essa comporta un
handicap neuro- muscolare grave ed è caratterizzata da un quadro clinico
consistente in una precoce regressione delle normali acquisizioni psicomotorie
(intorno ai 18 - 24 mesi di vita) associata ad altri segni clinici fra cui anomalie
della respirazione e la caratteristica comparsa di movimenti stereotipati delle
mani ( sfregamento continuo simile al lavare le mani, movimenti di torsione
delle dita; portare di continuo le mani alla bocca, battito continuo delle mani).

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Il decorso della malattia, intesa come sindrome di Rett “classica”- avviene
attraverso quattro stadi, variano a seconda delle pazienti:

- Stagnazione precoce: può iniziare tra i 6 e i 18 mesi, può durare alcuni mesi
e si caratterizza per un rallentamento ed una “stagnazione” dello sviluppo
psicomotorio che, fino a quel momento, si è presentato come normale o solo
un poco più rallentato del normale. In questa fase si manifesta una crescente
mancanza di attenzione verso l’ambiente e la bambina diventa molto meno
attiva rispetto al suo solito. Si possono osservare degli strani movimenti delle
mani, sporadici e non specifici, anche se le mani riescono ancora ad essere
utilizzate in modo funzionale. Un elemento molto importante è il
rallentamento della crescita della circonferenza cranica.

- Regressione rapida: si verifica tra il primo e il terzo anno d’età e può durare
alcune settimane o mesi. È caratterizzata da un deterioramento dello sviluppo
globale, accompagnato da una vera e propria regressione, vale a dire una
perdita delle capacità acquisite. Il corso della regressione può essere
improvviso e drammatico, oppure lento e graduale.

- La bambina appare isolata e talvolta con caratteristiche autistiche, e dà


l’impressione di essere gravemente ritardata dal punto di vista cognitivo. Per
quanto riguarda le abilità fino-motorie, si osserva una perdita dell’uso
funzionale delle mani, mentre, parallelamente, compaiono i tipici movimenti
stereotipati. Infine le abilità grosso-motorie, anche se meglio preservate,
presentano anch’esse dei segni di deterioramento in quanto la bambina
diventa instabile ed esegue movimenti scoordinati e a scatti. In questa fase le
bambine sono irritabili, soffrono di insonnia e possono mettere in atto
comportamenti autolesionisti, come mordersi le dita o schiaffeggiarsi.
Pseudo-stazionaria: può durare molti anni, dall’età prescolare a quella
scolare , ed è caratterizzata dal fatto che, dopo la fase di regressione, lo

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sviluppo si stabilizza al livello raggiunto fino a quel momento. Diminuiscono
gli aspetti di tipo autistico e la ragazza recupera il contatto emotivo con ciò
che la circonda. Le capacità grosso-motorie sono ancora pienamente
preservate e deteriorano solo lentamente e con il passare del tempo. Si
evidenzia un’atassia del tronco accompagnata da una scarsa coordinazione
muscolare. Sono frequenti gli attacchi epilettici.

- Deterioramento motorio tardivo: è caratterizzato da un ulteriore


miglioramento del contatto emotivo e del contatto oculare. Le ragazze sono
serene, prive di stati d’ansia. Gli attacchi epilettici sono più controllabili
grazie all’uso dei farmaci. In questa fase si manifesta un deterioramento delle
abilità grosso-motorie: la debolezza, l’atrofia, la spasticità e la scoliosi
impediscono alla maggior parte delle ragazze di camminare, anche se non
mancano eccezioni. Spesso i piedi sono freddi, bluastri e gonfi a causa di
problemi di trofismo.

La sindrome di Rett è diffusa in tutto il mondo e colpisce la popolazione


femminile. La malattia ha base genetica: è determinata dalla mutazione di un
gene, il MeCP2, presente sul cromosoma X. Questo comporta che la sindrome
di Rett colpisca solo femmine: la mutazione del gene per i maschi è nella
maggior parte dei casi, fatale.

Sindrome di Asperger

La sindrome di Asperger è un grave disturbo dello sviluppo caratterizzato dalla


presenza di difficoltà importanti nell’interazione sociale e da schemi inusuali e
limitati di interessi e di comportamento. Presenta le seguenti caratteristiche:

- Compromissione qualitativa dell’interazione sociale

- Modalità di comportamento, interessi e attività ripetitivi e stereotipati

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- Non vi è un ritardo nello sviluppo del linguaggio (cambia solo la pragmatica)

- Non vi è un ritardo nello sviluppo cognitivo, nello sviluppo della capacità di


auto- accudimento e della curiosità per ambiante.

Disturbo disintegrativo della fanciullezza

Sviluppo normale nei primi 2 anni, prima dei 10 anni perdita significativa di
prestazioni già acquisite con anomalie nelle seguenti aree: Interazione sociale,
Comunicazione /linguaggio, Abilità motorie e interessi. Il Disturbo
Disintegrativo dell’infanzia comporta una regressione significativa, con la
perdita del livello di sviluppo raggiunto precedentemente, delle prestazioni
acquisite in almeno due delle seguenti aree:

- Linguaggio

- Abilità sociali

- Controllo sfinterico

- Capacità di gioco simbolico

- Abilità motorie.

La regressione dello sviluppo può interessare anche tutte le aree citate. Ne


deriva un deficit di interazione sociale e relazionale che compromette lo
sviluppo di comunicazioni empatiche e di relazioni di amicizia con i coetanei;
un ritardo o una perdita delle abilità linguistiche; schemi comportamentali
ripetitivi e stereotipati. Le cause del Disturbo Disintegrativo dell’infanzia si
ritiene possano essere organiche dovute ad un anomalo sviluppo cerebrale e/o
a carico di fattori ambientali di natura tossica o infettiva anche a carico della
madre durante la gravidanza.
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Disturbi Comportamento

Con il termine di disturbi della condotta sono descritti una serie di


comportamenti inadeguati, in cui i diritti fondamentale degli altri oppure le
norme e le regole della vita sociale vengono violate. I bambini che presentano
disturbi della condotta si riconoscono facilmente in quanto sono la disperazione
dei loro genitori, degli insegnanti e di tutti gli educatori in genere. Sono
chiamati “bambini difficili” o “bambini terribili”, per evitare di utilizzare la
denominazione di “bambini cattivi”, che comporterebbe un giudizio e una
condanna morale. I bambini che presentano disturbi della condotta possono
presentare:

- scarsa attenzione per i sentimenti altrui;

- atteggiamenti disubbidienti, irritanti, di sfida e accusa;

- poco rispetto ed empatia verso i bisogni e verso i loro oggetti

- sentimenti di acredine verso chi ha fatto loro del male;

- atteggiamenti aggressivi e, a volte, crudeli verso le persone e gli animali;

- gioia e godimento nel distruggere, far dispetto o del male agli altri: male
fisico con violenze e, a volte, lesioni gratuite o provocate da atti
assolutamente irrilevanti, ma anche male morale, in quanto nell’età
dell’adolescenza questi ragazzi possono trascinare gli altri, “i buoni”, in atti e
condotte deplorevoli: come il bere eccessivamente, il fumare, il fare baldoria;

- scarsa sensibilità nei confronti degli atteggiamenti educativi autoritari e


punitivi;

- presenza frequente di linguaggio scurrile.

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I ragazzi più grandi che presentano disturbi della condotta, sono quelli che più
marinano la scuola, ed è anche per questo che hanno minori competenze
cognitive; sono quelli che più facilmente fuggono di casa e, a volte, trascorrono
la notte fuori casa; possono compiere vari gesti delinquenziali: furti, scippi,
estorsioni, prepotenze e atti di bullismo nei confronti dei coetanei, violenze
sessuali, imbrattamento di muri, danneggiamento dei monumenti, frodi, furti
ecc. La gravità di questi sintomi può essere molto varia, per cui il disturbo della
condotta può essere classificato come: lieve, medio o grave, in base al numero,
alla tipologia e all’intensità con i quali si presentano i comportamenti
disturbanti del bambino. Il numero di minori ai quali viene diagnosticato un
disturbo della condotta appare nettamente aumentato negli ultimi decenni.

Cos’è il disturbo del comportamento ? Comprende:

- Disturbo della condotta

- Disturbo oppositivo-provocatorio

- Disturbo del comportamento legato a problematiche depressive

- Iperattività nel bambino affetto da ADHD (Deficit di Attenzione ed Iperattività)

DISTURBO DELLA CONDOTTA: è una modalità ripetitiva e persistente di


condotta antisociale aggressiva o provocatoria. Tale comportamento deve condurre a
rilevanti violazioni dei diritti fondamentali delle altre persone o delle principali
norme e regole sociali in rapporto all’età (più grave delle comuni birichinate infantili
o ribellioni dell’adolescenza). Durata di almeno sei mesi. Sintomi:

- Accessi d’ira insolitamente frequenti e marcati per il livello di sviluppo

- Litigiosità frequente con gli adulti

- Disobbedienza alle richieste e agli ordini degli adulti

- Frequenti azioni, apparentemente deliberate, che irritano le altre persone

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- Attribuzione ad altri di propri errori e comportamenti sbagliati.

- Marcata suscettibilità e facile irritabilità

- Risentimento ed ira frequenti

- Vendicatività e atteggiamento dispetto

- Spesso mente e non mantiene le promesse

- Provoca spesso l’inizio di risse (escluse quelle con i fratelli)

- Utilizzo di armi (bastoni, coltelli, bottiglie rotte, ...) che possono creare seri danni
ad altre persone

- Permanenza fuori casa oltre il tramonto nonostante il divieto dei genitori

- Crudeltà fisica nei confronti di altre persone

- Crudeltà fisica nei confronti degli animali

- Distruzione volontaria di cose altrui

- Provocazione volontaria di incendi

- Furto di oggetti di valore evitando il confronto con la vittima (furto nei magazzini,
furto con scasso,...)

- Frequente assenza ingiustificata da scuola prima dei 13 anni 


- Fuga da casa dei genitori per almeno due volte o una ma per più di una notte

- Esecuzione di un crimine che comporta il confronto con la vittima (scippo,


estorsione, borseggio,...)

- Obbligo di altre persone ad una attività sessuale contro la propria volontà

- Intrusione nelle case, negli uffici o nelle macchine altrui

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Disturbo Oppositivo-Provocatorio: Si verifica abitualmente in bambini che hanno
un comportamento marcatamente provocatorio e disobbediente che non include atti di
delinquenza o manifestazioni aggressive o antisociali più estreme. Durata di almeno
sei mesi Sintomi:

- Accessi d’ira insolitamente frequenti e marcati per il livello si sviluppo

- Litigiosità frequente con gli adulti

- Disobbedienza alle richieste e agli ordini degli adulti

- Frequenti azioni, apparentemente deliberate, che irritano le altre persone

- Attribuzione ad altri di propri errori e comportamenti sbagliati.

- Marcata suscettibilità e facile irritabilità

- Risentimento ed ira frequente

- Vendicatività e atteggiamento dispettoso

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO Fattori di Rischio:

GENITORI CON ATTEGGIAMENTI AGGRESSIVI: quindi sono un modello


negativo di comportamento, Atteggiamento educativo che utilizzi le percosse,
Percezione di successo e superiorità del modello educativo violento e/o sentimenti di
paura, impotenza e vulnerabilità, Genitori in un costante stato di tensione emotiva si
sentono impotenti e privi di risorse. Il bambino maltrattato ripropone il medesimo
comportamento nei confronti di coloro che percepiscono più deboli. Dolore fisico e
senso di insicurezza, dovuta alla mancanza di un nesso tra il proprio comportamento
sbagliato e la reazione esagerata ed imprevedibile dei genitori, identificazione con
l’aggressore ed infine comparsa di rabbia, odio e desiderio di vendetta.

MANCANZA DI CALORE AFFETTIVO: Incapacità dei genitori di manifestare il


giusto calore ed affetto (in alcuni casi non li hanno conosciuti da bambini) • Genitori
bisognosi di certezze affettive: si aspettano manifestazioni da parte dei figli. •
Genitori violenti per la frustrazione di non ricevere attenzioni dai figli • Bambini
trascurati che sviluppano la convinzione di poter ricevere più attenzioni assumendo
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un comportamento aggressivo • Ironia pesante, indifferenza, sarcasmo, rifiuto,
contraddizione, Atmosfera famigliare tesa: i figli si sentono responsabili per le
difficoltà della coppia genitoriale • Madri sole • Problemi psicologici o sociali:
disoccupazione, alcolismo, tossicodipendenza.

PROBLEMI PSICOLOGICI DEI GENITORI E PROBLEMI SOCIALI:


•Psicopatologia dei genitori, alcolismo, tossicodipendenza, disoccupazione, povertà,
degrado abitativo • Tensione nella coppia genitoriale a causa delle difficoltà
economiche • Atmosfera oppressiva e ansiosa: atteggiamenti irascibili e ansiosi •
Sensazione di essere genitori incapaci ed inutili: nei figli decadono gioia, ottimismo e
sensazioni positive • Tendenza al consumo quale funzione compensatoria nei bambini
emarginati e con complessi
di inferiorità

SORVEGLIANZA E GUIDA INSUFFICIENTI DA PARTE DEI GENITORI: •


Atteggiamento genitoriale negligente: sviluppo comportamento aggressivo per
suscitare l’attenzione dei genitori a causa della mancanza di controllo e correzioni
•Mancanza di interesse: rischio di attività illegali •Genitori immigrati e perdita dei
valori originari della famiglia •Mancanza di un vero rapporto affettivo e reazione alla
noia: ricerca di emozioni forti • Iperprotettività come restrizione: aggressività quale
effetto della mancata possibilità di imparare ad interiorizzare e rielaborare la
frustrazione

INFLUENZA DEI MASS MEDIA: • Episodi di violenza quali emulazioni della TV


• Modelli acquisiti dalle trasmissioni televisive • Modelli lontani da un principio di
realtà • Sono più colpiti i soggetti più fragili • Calo della fantasia • Stimolo
all’imitazione ed al consumismo

Cosa si può fare con le persone che hanno un disturbo del comportamento?
L’ADULTO ha necessità di un educatore per insegnarli il dovere etico. L’adulto che si
avvicina ad un bambino nei diversi ambiti della quotidianità va considerato e si deve
considerare primariamente un educatore. L’adulto rappresenta il mediatore tra il
bambino/ragazzo e la realtà circostante: sono i modelli a cui guardare per inserirsi nel
mondo. Consapevolezza ed attenzione al ruolo educativo. Ruolo attivo (presenza,
azione positiva, continuità). Favorire l’inserimento dei ragazzi nei vari contesti.
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Aiutare a mediare i conflitti. Confrontarsi con i limiti ed Essere vicini nei momenti di
crisi. Rafforzare l’autostima ed incoraggiare il percorso di autonomia

Alle INSEGNANTI serve un rafforzamento del ruolo a partire dal Contesto.


Spesso di ha: • Ruolo complesso e disciplina scolastica poco tollerata • Scarsa
alleanza scuola/ famiglia • Il 30-40% dei bulli presenterà in età adulta un disturbo
antisociale Gli insegnanti devono intervenire, bloccando sul nascere i comportamenti
aggressivi, attraverso il contenimento, indicazione di regole e limiti- I ragazzi si
aspettano che gli adulti reagiscano dimostrando di avere il controllo della situazione
Infine è importante favore un dialogo aperto: • Il dialogo aperto, anche conflittuale,
quale strumento capace di: • rendere più comprensibile la relazione • ascoltare ed
aiutare il ragazzo in difficoltà • favorire con equilibrio la sua crescita • Sviluppare la
riflessione critica su tematiche importanti

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